Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila

Pagina creata da Benedetta Pisani
 
CONTINUA A LEGGERE
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Nella storia nessuno come la
Juventus: ottavo scudetto di fila
ROMA – La storia del campionato 2018/2019 può essere definito come un
riassunto scritto su poche righe. La Juventus è partita a testa bassa
con il piede premuto al massimo sull’acceleratore vincendo le prime
otto partite consecutive, e non a caso quindi il 29 settembre aveva
già 6 punti di vantaggio. Il 25 novembre cioè due mesi più tardi, i
punti in più erano diventati 8 e da quel giorno non sono mai
diminuiti. Questo ha tolto ogni speranza agli inseguitori confermando
una previsione molto facile: se senza Cristiano Ronaldo i bianconeri
avevano già vinto 7 scudetti consecutivi , con il “fenomeno”
portoghese in maglia bianconera non avrebbero neanche dovuto
cominciare a giocare l’ottavo campionato per vincerlo e così è stato.
Ha ragione chi scrive che forse valeva assegnarlo a tavolino,
assegnandolo come un “Oscar alla carriera”.

Se nel campionato precedente il Napoli di Maurizio Sarri aveva
sacrificato presto l’Europa all’Italia, restando ad inseguire lo
scudetto quasi fino alla fine, quello di quest’anno con Carlo
Ancelotti in panchina ha scelto saggiamente il realismo dei propri
limiti pensando soltanto (senza fortuna) all’Europa League. Il
risultato è un torneo noiosissimo, ma di questo naturalmente non ha
colpa la Juve.

L’impatto psicologico, agonistico, finanziario e mediatico di Ronaldo
sulla Juve e sull’intera serie A è stato enorme, ma questo lo si
poteva immaginare, ma sicuramente non fino a questo punto. Ronaldo ha
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
scatenato la “caccia” al biglietto in ogni stadio in cui si giocava la
Juventus, in una squadra diventata una specie di “Harlem
Globetrotters” del calcio, e quando Ronaldo non è stato convocato da
Allegri nell’unica volta prima dell’infortunio muscolare, cioè in
occasione Genoa-Juventus, gara non a caso persa dai torinesi, il
pubblico è quasi insorto con proteste da consumatori buggerati più che
da spettatori delusi. Ormai una partita senza Ronaldo in campo, vale
meno della metà, ed è anche così che si spiega l’impennata del costo
degli abbonamenti della Juventus: se compro il secondo calciatore più
importante del mondo, il tifoso poi deve pagare il “giusto” il
biglietto per vederlo giocare. Questo l’inevitabile ragionamento del
club bianconero.

In questa serie cominciata da Antonio Conte e compiutamente realizzata
da Massimiliano Allegri, andata ben oltre la storia (non a caso il
precedente primato degli scudetti consecutivi già apparteneva alla
Juve, ma risaliva agli anni Trenta), l’ottavo scudetto di fila è
stato il più facile quanto il settimo era stato invece il più conteso
e difficile. I tifosi dell’ Italia avversaria dei bianconeri
probabilmente non si sono divertiti, ma i 14 milioni di tifosi della
Signora invece non volevano altro, ed adesso si sono già sono
concentrati sul numero 10 da conquistare di seguito, giusto per fare
cifra tonda…
Per certe cose Allegri non è cambiato di una virgola, in questi cinque
anni in cui ha fatto la storia della Juventus ma anche nel calcio
italiano senza mai atteggiarsi a guru, profeta, divo e nemmeno
professore (e come li mal sopporta, i guru, i professori eccetera).
Continua a vincere quasi facendo finta che non gli interessi, è la
stessa persona smagata che nel 2014 accetto di sedersi sulla panchina
di Antonio Conte quando tutti gli suggerivano di non farlo dicendogli
“Ma dove vai, hai solo da perderci” e che invece con soave leggerezza,
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
con quella nonchalance che è in definitiva la sua cifra stilistica,
che lo distingue dai più (anzi, da tutti) e che nel tempo ha persino
valorizzato ha tracciato la sua strada . Peccato soltanto che non
faccia scuola, che in questo periodo non si sia formata una categoria
di fedeli seguaci: uno come lui fa bene al calcio, lo rende migliore e
quindi sarebbe stato bello che altri cercassero di imitare il suo modo
di fare. Purtroppo non è successo.

L’acume, la correttezza, la gentilezza e la pazienza con cui Allegri
gestisce tutto il contorno ed anche le persone alle sue dipendenze,
ovvero i giocatori , sono invece importantissimi valori di
riferimento, che però di rado vengono condivisi da altri. Può essere
che Allegri abbia un problema: la sua intelligenza è troppo raffinata,
troppo sottile, perché possa diventare un fenomeno di massa. È per
questo che il giorno in cui lascerà la Juve ed il calcio italiano,
probabilmente resterà un vuoto incolmabile.
Allegri è una persona seria che non si prende sul serio: è questo il
suo segreto e probabilmente la definizione che gradisce di più. Non ha
la presunzione di Arrigo Sacchi, o l’arroganza di Luciano Spalletti,
in compenso ama lavorare, è affidabile e pretende affidabilità, ha un
grande rispetto delle persone e notevole senso del dovere, ma al tempo
stesso non si ritiene una sorta di eroe nazionale solamente perché ha
vinto qualche scudetto. E’ consapevole di aver contribuito non poco a
far fare palate di soldi al club per cui lavora , ed un bel po’ ne ha
incassati da parte anche lui, anche se è ben lontano dall’ostentazione
del lusso,    ma sa anche che tutto quello che fa, nella vita, è
nient’altro che occuparsi di pallone: tutto sommato, una cosa futile.
Il calcio è un gioco, non un affare di stato: così lo vive lui, e
bisogna ammettere che si tratta di una posizione minoritaria, in un
mondo così carico di tensioni (per forza, con tutto il denaro che gira
e le posizioni di potere che garantisce).
La Juventus è una “tirannide” calcistica, ma anche societaria, di cui
non si intravede la fine: non a caso #finoallafine è il famoso hashtag
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
di Andrea Agnelli , che ormai va inteso come la fine degli altri, la
fine di una concorrenza che in realtà non esiste più.

La Juventus all’arrembaggio
dell’Atletico Madrid
ROMA – Il giorno della rivincita è arrivato. La Juventus di
Massimiliano Allegri deve rimontare 2 gol all’Atletico Madrid. La
vigilia è trascorsa nelle fede. Il mantra di Allegri in cammino verso
il “Cholo” Simeone : se la Juve l’ha fatto in passato, può rifarlo
anche oggi.

Coppa Campioni 1972-73, primo turno. A Lione, un autogol di Salvadore
fece felice l’Olympique Marsiglia. Il 27 settembre ’72, a Torino,
Bettega sale due volte in cielo e schiaccia in rete due cross di
Haller, che poi segna in contropiede: 3-0. Il risultato che andrebbe
bene stanotte. A fine match, Bobby Gol scoppia a piangere. Sono i
primi gol importanti dopo otto mesi di malattia, i polmoni sgonfi, la
paura di un sogno senza fiato, già a 22 anni. Invece no. La malattia
lo ha pure migliorato, come scriveva Gualtiero Zanetti sulla Gazzetta
dello Sport , perché mister Vicpalek, nella convalescenza, per non
affaticarlo, lo allenava con esercizi tecnici “che gli allenatori di
oggi non fanno più con i ragazzi”.

Il cielo è elemento naturale per Mario Mandzukic. Nella scorsa
Champions: 4 gol di “Supermario”, tutti di testa. Stasera lassù il
croato dovrà salirci come se avesse i capelli d’argento per annientare
il muro difensivo di Godin e Gimenez. Dovrà bombardare dall’alto le
barricate difensive erette da Simeone. Per fortuna polmoni di Mario
sono sani e forti, ed il croato aspetta un gol da mesi. L’ultimo lo
segnò di testa alla Roma prima di Natale. È ora di ripetersi . Nel
caso difficilmente piangerà.
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Coppa Campioni 1975-76. La Juve perde di misura a Sofia: 2-1. La
rimonta arrivò ancora di testa, ma dal meno prevedibile dei colpitori:
Beppe Furino, un mediano alto 167 centimetri. Un ricordo, un messaggio
buono per stanotte: tutti dovranno trasformarsi in giganti e lanciarsi
con coraggio tra le fila del nemico, anche i mediani, anche Emre Can e
Matuidi. Furino era l’ “anima” di quella Juve, come oggi lo è
Chiellini. Da Giorgione, abbattuto a Madrid dai gol degli uruguaiani,
ci si aspetta una rivincita “rabbiosa”, in una gara che celebra le sue
500 partite in bianconero. Tra i quattro juventini che lo precedono in
presenze c’è proprio Furino che quella volta disse: “Il Cska si
lamenta del nostro gioco duro? A Sofia mi hanno linciato. Un po’ per
uno”. Il “Chiello” ancora oggi non dimentica il gol di Godin che lo
eliminò dal Mondiale brasiliano e neppure i denti di un altro
uruguaiano piantati nella spalla.
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Champions 1995-96. Nel ritorno dei quarti di finale c’era da rimontare
il gol di Raul al Bernabeu. La notte del 20 marzo 1996 uno striscione
steso in Curva Scirea annunciava: “Un solo grido: avanti, Savoia!”.
Settantamila anime soffiavano sull’impresa. Tra quelle anche Bruna e
Gino Del Piero, i genitori di Alex. Papà Gino puntava i fari dell’auto
nel campetto accanto a casa, a San Vendemiano, per permettere al
figlio di giocare anche al buio. Lì allenò la mira, tanto che riusciva
a spegnere un interruttore calciando una pallina da tennis.

Al 16’ del primo tempo, nella barriera del Real Madrid, si aprì uno
spiraglio abbastanza grande per non approfittarne. Ed Alex Del Piero
ci fece passare la palla in mezzo: 1-0. Padovano firmò il 2-0, ma la
qualificazione l’aveva spianata il totem, il capitano, il più atteso,
che con quel gol raggiunse Raul e Litmanen in cima alla classifica dei
cannonieri (6). Stanotte a Torino nessuno sarà più atteso di Cristiano
Ronaldo che nelle ultime 6 Champions giocate ne ha vinte 5 . Ha
segnato 39 dei 121 gol negli scontri diretti, proprio quando la
temperatura sale. Nella semifinale Champions ‘16-17 firmo da solo il
3-0 all’ Atletico. Ai Colchoneros rifilò altre due triplette il
12-4-2012 e il 19-11-2016, in Liga. Se c’è al mondo cì un giocatore
assolutamente capace di rimontare l’Atletico, quel qualcuno veste la
maglia bianconera della Juve. All’andata a Madrid lo derisero e gli
urlarono di pagare le tasse. Il portoghese ha fatto un bel nodo al suo
orgoglio di campione. Stanotte intende presentare un nuovo ricordo
amaro al “Cholo” Simeone : un bel 3-0
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Ronaldo arrivato a Torino per serate come queste anche se, finora,
l’alieno in Champions di magie ne ha fatte vedere poche. La Juventus
ha puntato su di lui in estate per sfatare la maledizione europea: il
Cristiano “Real” però si è visto poco. Un gol tanto bello quanto
inutile con il Manchester United, e due assist nelle ultime due
giornate di un girone in cui forse non ha brillato come ci si
aspettava a inizio stagione, anche a causa del rosso esagerato di
Valencia. Stasera sarà comunque il più atteso allo Stadium e le
condizioni per rivedere un CR7 in versione “Galactica” ci sono tutte,
a partire dall’avversario.

Champions 2002-03. Il 15-5-2003 a Torino c’è da rimontare ancora una
volta il Real. Semifinale. Ci pensano Trezeguet e Del Piero, ma al 22’
delle ripresa Ronaldo il Fenomeno si procura un rigore e, se Figo lo
segna, sarà 2-1 come al Bernabeu e quindi supplementari. Ma il
portoghese frena due volte la rincorsa, segno che il monumento che ha
di fronte lo intimidisce. Infatti Buffon lo parò . La partita finì
3-1 con Nedved in lacrime perché l’ammonizione gli costerà la finale a
Old Trafford. Stanotte servirà fare gol, ma anche non prenderli.
Szczesny dovrà chiudere con la saracinesca la sua porta ai pericoli di
Griezmann e Morata, ex della Juventus e del Real Madrid proprio come
Figo.
Champions 2004-05. Questa volta l’eroe della rimonta sul solito Real è
una sorpresa: Marcelo Zalayeta, il “Panterone”, che nel secondo tempo
supplementare segnò il gol che porta la Juve ai quarti. Allegri questa
sera ha in panchina un attaccante felino, affamato di gloria: Moise
Kean. Il giorno è arrivato. Cara Juve, l’hai già fatto, puoi rifarlo.
Con il cuore e lo spirito dei padri rimontatori.
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Addio a Marella Agnelli vedova
dell’ "avvocato" Gianni

                                           di Giovanna Rei

Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli e zia di Andrea,
attuale presidente della Juventus. Donna Marella, nata a Firenze il 4
maggio 1927, si è spenta ieri all’età di 91 anni. Da tempo era malata
e le sue condizioni negli ultimi giorni erano peggiorate . Dopo aver
seguito gli studi superiori e conseguito il diploma in Svizzera,
Marella Agnelli ha frequentato “l’Académie des Beaux-Arts” e quindi
“l’Académie Julian” di Parigi. Ha iniziato in seguito la sua attività
di fotografa a New York quale assistente di Erwin Blumenfeld.
Rientrata in Italia, ha collaborato come redattrice e fotografa per la
Condé Nast.
Marella designer e collezionista d’arte si era sposata con Gianni
Agnelli nel 1953 a Strasburgo. Due i figli della coppia: Edoardo e
Margherita, la madre di Lapo, John e Ginevra Elkann. Nel 1977 è stata
premiata negli Stati Uniti con l’Oscar del disegno con il premio
“Product Design Award of the Resources Council Inc.”. È stata membro
dell’International Board of Trustees del Salk Institute di San Diego e
dell’International Council del MOMA ( Museum of Modern Art) di New
York, oltre a essere vicepresidente del consiglio di amministrazione
di Palazzo Grassi a Venezia, nonché presidente de “I 200 del FAI” di
Milano e dell’Associazione degli Amici Torinesi dell’Arte
Contemporanea di Torino. E’ stata vicepresidente della Commissione
Nazionale dei Collegi del Mondo Unito. Nell’ottobre 2000 è stata
insignita del titolo di “Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della
Repubblica Italiana”.
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Nel 1973, su richiesta della famosa fabbrica di tessuti svizzera
Abraham Zumsteg, ha realizzato una serie di disegni per tessuti
d’arredamento. Ad essa sono seguite le collezioni in Italia per la
Ditta Ratti di Como, in Francia per gli Stabilimenti Steiner, negli
Stati Uniti per la Martex e numerose collezioni per la Marshall
Field’s. Nel 1987 ha pubblicato il best-seller “Giardini italiani“,
nel 1995 “Il Giardino di Ninfa”, nel 1998 “Giardino segreto“, nel 2007
“Ninfa ieri e oggi“. Successivamente nel 2014 “Ho coltivato il mio
giardino” e nel 2015 “La Signora Gocà“.

                               Marella Agnelli è stata e rimarrà
un’icona di stile, uno dei “Cigni” di Truman Capote, tra le donne più
eleganti del mondo, capitata in una vita patinata che però non le ha
risparmiato dolore. Come la morte dell’amatissimo figlio Edoardo ma
anche le liti in famiglia dopo la morte di suo marito Gianni.
Un’unione forte la loro, resistente ai forti scossoni della vita,
sigillata il 19 novembre 1953 nel castello di Osthoffen a Strasburgo.
La riservatezza è stata una delle grandi forze di questa donna che ha
sempre cercato di fare della sua condizione,sicuramente straordinaria,
normalità. Il padre di Marella, Filippo Caracciolo Principe di
Castagneto, era uno scrittore saggista e diplomatico, è stato
Sottosegretario di Governo alla fine della seconda Guerra Mondiale e,
successivamente, Segretario Generale del Consiglio d’Europa.         La
madre, Margaret Clarke, era americana, nata a Peoria, nell’Illinois.
Aveva due fratelli amatissimi, Carlo Caracciolo, fondatore nel 1955
insieme a Eugenio Scalfari del gruppo editoriale L’Espresso-La
Repubblica e Nicola Caracciolo, storico giornalista, autore
televisivo.
Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
Immenso anche il suo amore
per gli animali, per la natura e per i giardini di cui è diventata una
delle più importanti esperte del mondo. Negli ultimi anni ad avere le
sue cure à stato il giardino della sua casa di Aïn Kassimou, “l’occhio
della fonte” in dialetto berbero, a Marrakech, dove ha vissuto gran
parte del tempo. Una casa amatissima che ha segnato un cambiamento
radicale della sua vita, costruita insieme all’architetto Gae Aulenti
e all’arredatore e giardiniere Federico Forquet. Nel suo libro
biografico e fotografico “Ho curato il mio giardino” (Adelphi
editore) scritto insieme alla nipote Marella Caracciolo Chia. , Donna
Marella scriveva: “Sapevo che questo progetto mi avrebbe portato
conforto”.
Marella è stata la moglie ideale di Gianni Agnelli l’uomo considerato
il più “potente d’Italia”. Elegante, discreta., disposta ad accettare
la sua libertà, sapendo stargli vicina e lontana. Anche lei, come suo
marito, parlava inglese fin da bambina. Non rivendicava potere né
ruoli pubblici. Trovava pace e rifugio nell’oasi di Villar Perosa, e a
Villa Frescot sulla “discreta” collina torinese, amante della cura dei
giardini, tifoso della Juventus, sostenitrice dell’istituto oncologico
di Candiolo. Molto forte era il legame con sua cugina Allegra, la
seconda moglie di Umberto Agnelli. E il rifugio sulla collina
torinese, Villa Frescot.
Edoardo Agnelli e Donna Marella Agnelli

Donna e personaggio internazionale non soltanto per riflesso del
celebre marito, Marella Agnelli ha sempre condotto una vita che non ha
offerto spazio e spunti alle cronache mondane se non in qualche
occasione esclusiva. Era di casa a New York così come a Sankt Moritz,
ma amava molto trascorrere la maggior parte del suo tempo a Torino
dove, assieme al marito, frequentava Romilda Bollati di Saint Pierre,
Maria Cattaneo, Mariella e Antonio Marocco e pochissime altre persone
riservate come lei. Ma l’amica che vede più frequentemente è Evelina
Christillin, verso la quale ha un rapporto quasi materno , la moglie
di Gabriele Galateri di Genola, alla quale nelle loro passeggiate in
collina confessa sovente le pene per lo stato di salute che nel
novembre del 2000 portarono al suicidio del figlio Edoardo.
Passata la soglia dei settant’anni sono stati i nipoti, John futuro
presidente della Fiat, Lapo e Ginevra nati dal primo matrimonio della
figlia Margherita con Alain Elkann, a tenerle spesso compagnia . Ma
anche Pietro, Sofia, Maria, Anna e Tatiana nati dal secondo matrimonio
con Serge de Phalen. La morte del figlio prediletto Edoardo e la
malattia del marito che seguirà nel 2003 diradano la sue comparse in
pubblico con le tristi eccezioni dei lutti e di quella contesa con la
figlia Margherita per una di quelle vicende ereditarie purtroppo molto
spesso presenti alla scomparsa dei proprietari di grandi patrimoni.
Una m0ntagna di carta giudiziarie che si è andato esaurendo col
procedere della malattia accompagnato mano a mano dal giusto riservato
silenzio.
Marella Agnelli insieme ai suoi nipoti Elkann

Ma tutto ciò non è stato abbastanza per tenersi lontano dal dolore. Il
suicidio di suo figlio Edoardo. La rottura con la figlia Margherita
con cui era insieme ad assistere l’Avvocato sul letto di morte.
Successivamente sarebbe emersa la questione dell’eredità. Ma Marella
Caracciolo in Agnelli è sempre rimasta fedele alle indicazioni del
marito: la Fiat non era una villa plurifamiliare che potesse essere
divisa; bisognava individuare un capofamiglia, garantirne la
successione. Questo è stato il ruolo finale di Marella. Vissuto con
immensa dignità, eleganza e stile nel silenzio, sino all’ultimo
giorno. I funerali si svolgeranno in forma privata.

La Città di Torino ha espresso la propria vicinanza alla famiglia
Agnelli per la scomparsa della signora Marella. “Nel ricordo di una
figura – dice la sindaca Chiara Appendino – che negli anni, per il
nostro Paese e non solo, ha rivestito un ruolo importante nel mondo
dell’arte e della cultura”. “Con Marella Agnelli – ha detto il
presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino – scompare una
figura illustre che ha accompagnato la storia torinese del 900 con
grandissimo garbo. La sua eleganza e la sua riservatezza colpivano,
erano impagabili ed ora non posso che fare le mie più sentite
condoglianze a John, Lapo, Ginevra e all’intera famiglia“.

Anche dalla squadra di famiglia arriva un ricordo: “La Juventus saluta
con commozione Donna Marella, che ci ha lasciato oggi. Nata a Firenze,
Marella Caracciolo di Castagneto nel 1953 sposò Gianni Agnelli, e
restò al suo fianco fino al 2003, anno della sua morte“. È il pensiero
della Juventus nel giorno della morte di Marella Agnelli, vedova
dell’Avvocato Gianni Agnelli e zia dell’attuale presidente bianconero
Andrea. “La Juventus, in questa triste giornata, è vicina a tutta la
famiglia Agnelli, alla quale porge le più sentite e affettuose
condoglianze“.

Il Napoli e l'incapacità di dare
seguito alla bellezza
ROMA – Sono anni che il Napoli produce uno dei giochi più
spettacolari, coinvolgenti, divertenti ed entusiasmanti di tutto il
calcio europeo. Alla bellezza del calcio espresso dai partenopei,
tuttavia, continua a contrapporsi, inesorabile, l’incapacità degli
azzurri nel riuscire a tramutare la bellezza in trofei. Anche la
passata stagione è stata chiusa dal Napoli senza titoli nonostante la
squadra, allora allenata da Maurizio Sarri, avesse incantato il mondo
intero con il suo calcio fatto di possesso palla, inserimenti e
giocate spettacolari ed avesse più volte ricevuto attestati di stima
da parte di tutti gli addetti ai lavori, Pep Guardiola in primis. Con
l’arrivo di Carlo Ancelotti sulla panchina azzurra sembra che il
Napoli abbia deciso di puntare un po’ meno allo spettacolo ed un po’
di più alla concretezza e non è un caso che in questo avvio di
stagione, in più di un’occasione, i Partenopei siano riusciti a
portare a casa più di quanto probabilmente avrebbero meritato.
I mister Carlo Ancelotti e Maurizio Sarri

L’eliminazione dalla Champions League

                                           Nonostante Ancelotti stia
lavorando molto sull’atteggiamento della propria squadra e stia
cercando di infondere nei propri giocatori una mentalità vincente,
dopo un inizio di Champions sensazionale in cui gli azzurri hanno reso
al di sopra le aspettative, il Napoli è uscito sconfitto dalla partita
decisiva giocata in casa del Liverpool ed ha dovuto dire addio alla
competizione. Anche in Europa il Napoli ha dato la sensazione di
potersela giocare alla pari con chiunque ma, vuoi per episodi pochi
fortunati, vuoi per qualche errore di troppo, alla fine a qualificarsi
per gli ottavi di finale sono stati il PSG ed il Liverpool.
L’avventura europea degli azzurri ad ogni modo continuerà in Europa
League, competizione verso cui Ancelotti ha già rivolto la propria
attenzione ed il proprio interesse. L’allenatore emiliano sa benissimo
che vincere aiuta a vincere e che la conquista di un trofeo sarebbe
fondamentale per dare uno scossone a tutto l’ambiente. Dando uno
sguardo alle quote champions Betfair , ad oggi, i partenopei sono
infatti tra gli assoluti favoriti per la vittoria dell’Europa League,
trofeo che potrebbe rivelarsi fondamentale nel processo di crescita
della squadra napoletana.

L’eterna rivalità con la Juventus

                                            Il sospetto, che con gli
anni sta diventando sempre più una certezza, è che se in Italia non ci
fosse stata la Juventus, il Napoli sarebbe stato in grado di
aggiudicarsi gli ultimi due scudetti e, probabilmente, avrebbe vinto
anche il campionato in corso. Per sfortuna del Napoli, la Juventus in
serie A c’è e continua a dominare incontrastata il campionato.
Nonostante gli azzurri, anche in questo inizio di stagione, stiano
impressionando per la qualità del gioco espresso, per la concretezza
sotto porta e per la ritrovata solidità difensiva, i punti che
separano i partenopei dal primo posto occupato dalla Juventus sono già
undici. La squadra allenata dal mister Allegri sembra essere una
macchina perfetta che, ancora imbattuta in campionato dopo ben venti
partite, pare destinata a continuare a scrivere record su record.

La speranza di tutti i tifosi partenopei è che finalmente in questa
stagione la squadra di mister Ancelotti possa riportare qualche trofeo
a casa. L’impressione è che il Napoli abbia tutte le carte in regola
per giocarsela fino in fondo sia in Europa League che in campionato e
che, proprio in campionato, i partenopei dovranno essere bravi a farsi
trovare pronti per sfruttare ogni passo falso della Juventus.

Toto-Governo: Belloni in pole, sale
Rossi al Tesoro
ROMA -Un riferimento alle tensioni di queste ore, e alla delusione per
il comportamento delle forze politiche, è arrivato dal Capo dello
Stato   Sergio Mattarella con una sua frase pronunciata durante
l’incontro con i giocatori del Milan e Juventus, protagonisti oggi
della finale di Coppa Italia allo Stadio Olimpico di Roma rivolgendo
loro un discorso sulla correttezza del comportamento di chi fa sport.
Poi ricorda di essersi paragonato a un arbitro nel discorso di
insediamento, nel 2015.

 “I vostri discorsi – ha detto il capo dello Stato rivolgendosi ai
capitani delle due squadre Buffon e Bonucci – mi hanno fatto pensare
alle squadre che concorrono e si rispettano, avendo a cuore la
correttezza. Questo mi ricorda gli arbitri, i miei colleghi: nel mio
discorso di insediamento mi sono paragonato agli arbitri assicurando
la mia imparzialità, guadagnandomi un applauso, poi ho detto che i
giocatori lo devono aiutare con la loro correttezza” e anche qui è
scattato un applauso con qualche segno di sorpresa. “L’arbitro può
condurre bene un incontro se ha un buon aiuto, correttezza e impegno
leale. Un buon arbitro spera sempre di non essere notato e può non
essere notato se i giocatori sono corretti”, ha detto il Presidente
della Repubblica.
Intanto, sembrano allungarsi i tempi per il conferimento
dell’incarico. Mattarella     da un lato deve sondare i possibili
candidati alla “premiership” e i potenziali ministri per un esecutivo
chiamato a rimanere in carica fino a dicembre, nell’ipotesi più
ottimistica, o poche settimane in caso di mancata fiducia; dall’altro
deve cercare di capire quanto siano concrete le voci di un passo di
lato da parte di Silvio Berlusconi, che potrebbe ridare vigore alla
trattativa tra M5S e Lega.

Ma alle otto di ieri sera è arrivata con una nota dai toni secchi il
secco “rifiuto” di Berlusconi    che mette un punto alle voci che
circolavano negli ambienti politico-parlamentari: “Silvio Berlusconi –
si legge – smentisce fermamente le indiscrezioni secondo le quali
sarebbe pronto a dare un appoggio esterno ad un governo guidato da M5s
e Lega. Dopo due mesi di tentativi per dare vita a un governo
espressione del centrodestra, prima forza politica alle elezioni del 4
marzo, Forza Italia non può accettare nessun veto“.

Matteo Renzi intervistato in serata da Giovanni Floris a Di Martedì,
ha annunciato: “Io non correrò alle primarie che decideranno il
prossimo leader del Pd. Secondo me il candidato naturale è Gentiloni“,
ha aggiunto rispondendo a Floris che gli domanda chi sarà secondo lui
il candidato premier del Pd. “C’è qualcuno che sta giocando sulla
pelle del Paese, sono i 5Stelle e il centrodestra”. “Io Salvini l’ho
visto, siamo entrambi senatori. Sono curioso di come spiegherà
all’operoso Veneto che andranno a pagare il reddito di cittadinanza a
chi sta sul divano. Secondo me i due si amano, ma le famiglie non sono
d’accordo. Quello che mi colpisce di Di Maio è la straordinaria
capacità di cambiare idea. E’ molto simile a Marx, ma non a Karl, a
Groucho: ‘questi sono i miei valori, se non vi piacciono li cambio’“,
ha detto l’ex segretario dimissionario dei Democratici.

 “Tenere bloccato un paese è assurdo, Di Maio, se non è in grado di
fare un governo con il centrodestra, lo deve dire e deve consentire di
riscrivere le regole del gioco”, ha aggiunto Renzi. “E’ una soap
opera, ogni giorno c’è una cosa nuova. Il referendum che mi ha mandato
a casa serviva a evitare questa buffonata“.
Per azzardare un pronostico bisogna partire dal profilo generale
impostato da Sergio Mattarella nei giorni scorsi. Le certezze sono
poche: il premier deve avere una standing internazionale ed essere
riconosciuto in Europa (il Consiglio europeo di fine giugno viene
considerato cruciale); nella squadra ci devono essere competenze di
gestione economica visto che l’obiettivo è scongiurare l’aumento
dell’Iva grazie all’approvazione della Legge di Bilancio 2019; i
componenti dell’esecutivo non devono essere politici, anche perché il
Presidente gli chiederà di non essere candidati alle prossime
elezioni. I profili devono essere inattaccabili dal punto di vista
etico e giudiziario. Non poco, quindi. Paletti questi che
presuppongono una decisione difficile anche da parte di chi dovesse
essere chiamato dal Colle ad entrare in questo nuovo Governo.

L’incarico per formare quel governo di “garanzia” annunciato due
giorni prima, potrebbe quindi slittare alla giornata di giovedì, per
poi sciogliere la riserva nella giornata di sabato, dopo oltre
sessanta giorni, tre giri di consultazioni e un appello alla
“responsabilità”, essendosi esaurita anche l’ennesima attesa delle
convulsioni del centrodestra. Dopo il giuramento il nuovo Governo si
presenterà alle Camere prevedibilmente alla metà della prossima
settimana, quando sarà già trascorsa la prima metà di maggio sul
calendario .
I partiti concederanno la fiducia ? Tra il frequentatori del Colle
viene manifestata una sicurezza serafica: “Bene Mattarella, come ha
spiegato nel suo discorso, si dirà pronto a sciogliere le Camere in
due giorni, se è questo che vogliono“. Toccherà quindi poi ai partiti
assumersi la responsabilità davanti ai cittadini che non sembrano così
entusiasti e disgustati in molti dall’ inconcludenza dei partiti di
questi mesi e poco disposti ad annullare le ferie per andare a votare.
Toccherà spiegarlo agli albergatori, agli operatori del settore
turistico la cui preoccupazione sulla stagione è stata già recapitata
ai rispettivi parlamentari dei vari territori

Il Parlamento per fortuna non è Facebook, cioè un social
network. Potrebbe accadere per esempio che, dopo una non auspicabile
bocciatura da parte dei due rami del Parlamento del Governo di tregua,
vengano alla luce gli elementi per un nuovo giro di consultazioni che
il Presidente Mattarella, che le sta provando tutte senza interferire
minimamente, non potrebbe rifiutare. A quel punto un nuovo giro di
colloqui renderebbe impossibile lo scioglimento in tempo utile per
poter votare il prossimo 22 luglio.
In definitiva se il tentativo del presidente Mattarella fosse
destinato ad andare a vuoto, un Governo “neutrale” è pur sempre un
passaggio politico, e un passaggio politico non è mai neutro, produce
sempre degli effetti, anche in questa epoca di messaggi semplificati e
di ubriacatura da ritorno al voto. E, a dirla parole povere, il
“messaggio” sarà che Mattarella avrà fatto un governo di persone
competenti e oneste, dopo mesi di chiacchiere, puntigli e veti. E
potrebbe succedere che qualcuno dica: “perché non lo facciamo
lavorare?“. Può anche accadere che questo Governo, una volta vista la
composizione “tecnica”, possa piacere all’opinione pubblica. Ma
sopratutto ai molti parlamentari neo-eletti che non hanno alcuna
certezza di essere rieletti, e dovrebbero affrontare una nuova dura e
costosa campagna elettorale.

E nel riserbo totale del Quirinale impazza il toto-nome. Rumours
parlamentari alla vigilia danno in pole per l’incarico di premier
Elisabetta Belloni, la prima donna a ricoprire il delicato ruolo di
segretario generale della Farnesina. Molto forti anche le voci intorno
a Salvatore Rossi, barese, dal 2013 direttore Generale della Banca
d’Italia , il quale verrebbe indicato come Ministro dell’ Economia.

Prima fila da SX: Enzo Moavero Milanesi, Lucrezia Reichlin, Salvatore
Rossi, Anna Maria Tarantola. Seconda fila da SX: Elisabetta Belloni,
Giampiero Massolo, Marta Cartabia, Carlo Cottarelli

Si tratta infatti di un Governo a vita limitata e, probabilmente,
limitatissima se i partiti lo bocceranno sul nascere. Insomma, la
prospettiva eutanasica non invoglia certo a partecipare. Nella “rosa”
del presidente Mattarella, che gira negli ambienti del Quirinale,
oltre ad Elisabetta Belloni (persona “bipartisan” gradita anche al
M5s), è entrata Marta Cartabia. Milanese, 54 anni, vicepresidente
della Corte Costituzionale la più giovane componente della Consulta
nominata nel 2014 da Giorgio Napolitano, che è molto stimata
dall’attuale presidente della Repubblica. Dagli uomini del Colle viene
analizzato anche il profilo di Lucrezia Reichlin, romana, economista
figlia di due comunisti storici (Alfredo Reichlin e Luciana
Castellina), attualmente docente di Economia alla London Business
School, direttrice generale alla Ricerca alla Banca Centrale Europea
la quale ha sicuramente tutte le competenze e le carte in regola per
ricoprire un ruolo di prestigio.
Circola anche il nome anche di Giampiero Massolo, ambasciatore di
lungo corso con grandi conoscenze internazionali, che sarebbe perfetto
al Ministero degli Esteri. E poi si prosegue da giorni con i nomi di
Carlo Cottarelli, 64 anni, già commissario alla spending review a
Palazzo Chigi, di Anna Maria Tarantola, una vita in Bankitalia ed ex
presidente della Rai, di Enzo Moavero Milanese, grande esperto dei
meccanismi dell’Unione Europea e già ex ministro del Governo Letta. Ma
non si escludono sorprese dell’ultima ora

E’ maledizione Champions. Vince il
Real, la Juve scompare.
di Antonello de Gennaro

CARDIFF – La Juventus ha perso smarrendo nel secondo tempo la sua
migliore caratteristica : la compattezza tattica . Diciamolo con
chiarezza, nella finale di Cardiff sono venuti meno gli uomini più
importanti. Da Bonucci, a Pjanic ma soprattutto Higuain e Dybala. La
squadra bianconera si è disunita sotto gli attacchi di un Real Madrid
che voleva portare a casa la coppa e ci è riuscito grazie al solito
Cristiano Ronaldo che è stato lasciato un pò troppo solo dalla difesa
bianconera .

Alla Juventus non è bastato segnare il più bel gol della Champions
League, cosi come non è bastato aver condotto e dominato tutto il
primo tempo senza aver avuto paura. Tutto questo non è servito perché
alla Juventus è venuto meno qualcosa che era stata una costante per
tutta la stagione e che è scomparsa nella notte della finale: la
solidità tattica del gruppo, quel meccanismo perfetto di gioco che
rendeva in fase difensiva la squadra di Allegri un blocco unico. I
primi ad essere i fantasmi di sè stessi, sono stati Higuain e Dybala,
i peggiori della Juve in campo, non tanto per non aver concluso
nulla nella fase d’attacco, ma sopratutto per il mancato solito
contributo offerto alla difesa. Poi è svanito Pjanic, e con
lui Khedira, e quindi a quel punto per il Real Madrid infilzare la
Juventus è diventata gioco facile facile, trovando di fronte la difesa
bianconera che ha smarrito la sua forza ed esperienza.

Non era la vera Juventus, quella vista in campo nel secondo tempo
della finale contro il Real Madrid ieri sera . Non era mentalmente e
fisicamente la stessa squadra che aveva annientato il Barcellona e che
per tutta la Campions League ha sempre giocato e vinto in modo
esemplare arrivando fino alla finale di Cardiff. E’ stata una
brutta copia sbiadito nel momento più importante di tutti e che ha
regalato con un paio di sciocchezze il sogno di una stagione intera.

Una squadra con un obiettivo così importante e ambizioso non può
arrivare a questo appuntamento in simili condizioni psicofisiche .
Sopratutto stanca fin dal primo tempo . Non si contano i passaggi
sbagliati e le palle perse, soprattutto quelli di Dybala a centrocampo
da cui sono scaturiti gol e azioni pericolose del Real Madrid. Un ko
limpido a favore del Real e inaccettabile per la Juventus arrivata a
Cardiff su un’onda di consensi che probabilmente hanno scaricato
mentalmente la solita rabbia e grinta dei giocatori bianconeri.
In ogni caso questa Juventus merita l’applauso ricevuto ieri fra le
lacrime nello stadio di Cardiff. Un applauso meritato per una stagione
che resta “storica” per il sesto scudetto consecutivo conquistato, per
la Coppa Italia vinta e sopratutto per il proprio strepitoso ruolo di
marcia in una Champions      League che avrebbe meritato un altro
risultato. La delusione spesso fa dimenticare i meriti ed i traguardi
conquistati, ma sarebbe ingiusto ed ingrato abbandonarsi allo
sconforto da parte del popolo bianconero e sopratutto da parte della
squadra .

Questa finale persa è diversa da quella di Berlino, perché il Real è
stato sicuramente più forte, ma non superiore in campo, perché la
“vera” Juventus, avrebbe perfino potuto batterlo. La Juventus, ma
quella “vera”, potrà riprovarci l’anno prossimo: questo è un “gruppo”
fortissimo ce la può fare e ieri sera ha preso un impegno morale con
la sua gente arrivata da ogni parte del mondo a sostenerla ed
incitarla fino al triplice fischio finale , che la società bianconera
dovrà saldare tra dodici mesi.
Onore a mister Allegri quando dice “Sono orgoglioso dei miei ragazzi.
L’anno prossimo sarò sulla panchina della Juve. Vogliamo ripartire per
fare una grande Champions, vincere lo scudetto ed essere competitivi
in Coppa Italia: questa seconda sconfitta in tre anni non ci deve
fermare“.

Alla fine della partita Andrea Agnelli ha abbracciato uno a uno i
giocatori, sul prato di Cardiff, mentre il Real si godeva la
Champions. La sconfitta è stata una brutta botta, pure nel punteggio
(4-1), soprattutto per chi già aveva perso la finale di Berlino, e
così il presidente della Juve ha voluto fare coraggio ai suoi, e
lanciare un messaggio: “C’è un sentimento d’orgoglio per aver
raggiunto in sette anni una dimensione europea totale – ha detto
dinnanzi alle telecamere – ed ho abbracciato tutti i ragazzi. L’anno
prossimo dovremo essere ancora più cattivi”. L’obiettivo è quello di
crescere ancora: “Dobbiamo farlo, anno dopo anno, giorno dopo giorno.
Dobbiamo crescere, perché se in questa competizione sbagli 10, 15 o 20
minuti, la Coppa non la vinci”.
Il presidente Agnelli ha sicuramente capito ieri sera che questa
Juventus con due-tre innesti di caratura internazionale può finalmente
salire sul gradino più alto nel mondo e conoscendone la sua ambizione
e lungimiranza siamo sicuri che la sconfitta di ieri sera porterà quel
contributo tecnico di cui la squadra di Allegri ha fortemente bisogno
per diventare imbattibile. Rimane indiscutibile sia chiaro, la grande
stagione ed una dimensione europea conquistata anno dopo anno dalla
squadra bianconera, sui campo di gioco di tutt’ Europa.

Tre trofei vinti in quattro anni sono la dimostrazione della dittatura
sportiva, tecnica e tattica del Real Madrid: nessuno, da quando la
Champions si chiama così era riuscito a portarla a casa due volte di
seguito. Ce l’ha fatta il Real di Zinedine Zidane, con la sua umiltà e
grazie alle capacità tecniche dei suoi giocatori. Si vince anche con
questi doti, e non solo sul campo, la 12ma Champions League.

Per la Juventus rimane l’amarissimo ricordo di un’altra sconfitta in
finale, che fa più male delle altre precedenti perché nessuno se
l’aspettava, sopratutto non così. Ma quando il tuo avversario è più
forte di te in tutto, ed ha giocatori in campo come Cristiano Ronaldo
che da solo è capace di cambiare una partita, allora c’è poco da dire
e ancora meno da fare.

Juve, come te nessuno mai
di Antonello de Gennaro

ROMA – Aspettando di poter festeggiare la parola proibita, la Juventus
ha vinto la Coppa Italia 2017. E trionfano loro, sempre loro, sul
campo. Fino alla fine. Dopo la Coppa Italia del 2015 e quella
del 2016, è arrivata quella di ieri sera per la terza volta
consecutivamente. Mister Allegri ed i giocatori bianconeri stanno
riscrivendo la storia del calcio in Italia, aggiudicandosi un torneo
che già era contrassegnato dal marchio bianconero nell’albo d’oro:
 12 vittorie, più di chiunque altra società, con il tris di
vittorie consecutive che costituiscono un primato assoluto nel calcio
in Italia.

Lo stadio Olimpico, ha visto ieri la Juventus prevalere sul campo per
2-0 contro la Lazio in una partita esemplare per la correttezza, il
fair play, ma anche per la qualità delle giocate da ambo le
 formazioni in campo, senza dimenticare le rispettive tifoserie che
hanno sostenuto sino all’ultimo secondo di gioco le proprie squadre
con amore e con correttezza. . La Juventus ha vinto grazie ai due tra
i più forti terzini al mondo, se non i più forti, vincendo una finale
da grandissima anche se non aveva a disposizione i centrocampisti
Pjanic (squalificato) e Khedira rimpiazzati dall’ottimo Marchisio che
ha gestito il centrocampo sorretto dal grintoso Rincon      che hanno
dimostrato una fisicità debordante (siamo quasi alla fine del
campionato…)

La prima vittoria di una stagione che potrebbe diventare leggendaria
per i cuori bianconeri, in campo e sugli spalti, è stata
confezionata nei primi 45 minuti di gioco grazie ai gol di Dani Alves
al 12’ e Bonucci al 25’. Il gol dell’1-0 è nato da un intesa perfetta
tutta brasiliana    da Alex Sandro a Dani Alves ancora una volta
implacabile sotto rete: un goal al volo, probabilmente meno
spettacolare ma più importante di quello realizzato in semifinale di
Champions Leaugue contro al Monaco. Per Dani Alves due goals in
campionato e altri due in Champions, mancava quello in Coppa
Italia che è arrivato .

Non è casuale che proprio in questa fase della stagione, il
brasiliano sia diventato incontenibile con Barzagli a coprirgli le
spalle e Cuadrado ad aspettare in panchina. Un altra mossa azzeccata
da Allegri e dal vice e tattico Landucci. Una Juve che torna
dominatrice assoluta in Italia (e non solo) come ci ha abituato a
vedere sui vari campi di calcio: tra i due gol della banda Allegri è
stata un’autentica pioggia di palle gol bianconere, che solo l’istinto
di Strakosha riescono a neutralizzare, togliendo a Dybala ed Higuain
la gioia del goals, con due prodezze d’istinto effettuate con i piedi.
La Juve di Allegri è una squadra bellissima da vedere, ricca di
tecnica, agonismo, con giocatori dalla qualità assoluta e di
formidabile esperienza. Come è possibile per chi ama il calcio come
sport, non esaltarsi davanti a quel tunnel di incredibile precisione
effettuato da Dani Alves ad un’incredulo Lulic ? Queste prodezze
tecniche solitamente irritano qualsiasi avversario, ma la danza del
brasiliano sul campo a contatto con il pallone non era una
provocazione ma ricercata per creare un pericolo reale che si è
rivelato tale.
E’ questa una Juve che può fare la “storia”, vincendo unica squadra
nel calcio italiano a vincere tre coppe Italia di seguito,
apprestandosi a portare a casa un altro record: 6 campionati vinti di
seguito. Una Juventus dei colpi di classe dei propri giocatori
nonostante qualche calo di tensione nel corso della stagione. Ed ora
il popolo e la squadra bianconera attende l’evento clou di una
stagione pressochè perfetta: Cardiff.

Immensa. Infinita impresa di una
Juventus monumentale al Camp Nou
Sul Camp Nou di Barcellona nessuno ha visto entrare in campo 11
calciatori bianconeri dai piedi notoriamente alati, ma 11 spartani che
minuto dopo minuto hanno riscattato anni ed anni di insulti
internazionali per un calcio italiano troppe volte bistrattato. Gli 11
“eroi” di una delle notti più lunghe per ogni singolo tifoso, la cui
attesa diciamolo era iniziata già alle 23.50 dell’11 aprile 2017,
hanno irrimediabilmente cancellato ogni impegno dall’agenda per
assistere la loro unica Signora che le ha generosamente offerto un
regalo senza eguali.

Nessuno ci avrebbe scommesso un solo centesimo, nemmeno dopo il super
acquisto a matrice argentina di Gonzalo Higuain, lo ripeto forte e
chiaro nessuno. L’atmosfera da brivido, un’emozione concessa a pochi
terrestri. Ormai nessuno si fa promotore di idee che in Italia non
circolano più, nessuna fiducia nel calcio nostrano sempre definito
“inferiore”. Ma loro si i calciatori in primis, ma anche i loro tifosi
hanno avuto fiducia e trasformato qualcosa di impossibile in
facilmente realizzabile.

Una partita perfetta all’andata, senza errori e distrazioni ma un
match sbalorditivo, un ritorno eccellente con il raggiungimento
dell’obiettivo . La squadra con l’attacco più forte del mondo contro
la squadra con la difesa più inaccessibile della storia. Tutte le
stelle blaugrana hanno a più riprese cercato di attaccare una porta
murata con “Santo” Gigi Buffon sempre pronto all’impresa ma ad un
certo momento sembravano arrendersi. Qui non si passa, che muro
ragazzi, tutti partecipano nella fase difensiva come insegna il calcio
moderno di qualità.

Questo scontro è stato vero spettacolo per gli amanti del calcio
giocato, assoluto, sanguigno. Con 180 minuti minacciosi come una
tempesta shakespeariana potevano uccidere ogni speranza o mantenerne
una viva dopo 6 anni di Champions, colmi di uscite rapide, una finale
persa proprio con chi questa sera è stato annientato rendendoci ancora
più orgogliosi di una squadra che porta fieramente il Made in Italy
nel mondo. Dopo il 3-0 dell’andata per la Juventus si facile è più
semplice forse, ma dopo la “remontada” compiuta contro il Paris Saint
Germain, ogni paura riaffiorava forte e testarda. Ogni protagonista
di questa prode impresa ha contribuito a sigillare con il proprio
personalissimo marchio quest’opera.

La storica difesa, la graffiante grinta di Chiellini con la sicurezza
e le brucianti ripartenze di Bonucci, la solidità di Buffon ormai un
mito vivente con l’organizzazione esemplare di un centrocampo che
costantemente ha visto cambiare la sua composizione perdendo pezzi
pregiati, quali Pogba, Vidal, Pirlo; alcuni inseguendo sogni di gloria
mai davvero realizzati, altri si sono spenti nel nulla.

Il sacrificio di una vita di Claudio Marchisio (a sostenere l’amore di
una vita in panchina, senza esitare o contestare le scelte del suo
tecnico), i piedi tattici di Khedira, la pregevole maestria del gioco
direzionale di Pjanic, la sconvolgente promessa mantenuta di Alex
Sandro, l’esperienza avvelenata di Dani Alves, ma il vero asso nella
manica rimane Cuadrado capace di risolvere al momento giusto ogni
problema, ah che acquisto sublime immancabile nella testa e nel cuore.

Ma non trascuriamo chi ha reso tutto questo possibile un piccolino
comprato dal Palermo tra mille critiche per la cifra spesa stiamo
parlando di lui la “joya” Dybala, l’immenso talento di Higuain
sostenuto dall’instancabile Mandzukic. Ma soprattutto “mister” Allegri
che in questa grandiosa scommessa ci ha messo tutto il cuore, dato
per perdente si è rialzato come un mitico super eroe portando la
passione in mezzo ai ragazzi, grandioso e sapiente.
A tutti loro l’ Italia deve dire grazie. Grazie per averci dato la
possibilità di sperare ancora da “italiani”, perché la Juve da grande
club sa benissimo che non è finita, entrare in quell’arena gloriosa
spaventosamente spaventosa, persino per un tifoso che non può non
lasciarsi affascinare dalla storia di un club che negli ultimi anni ha
dettato legge nel mondo del bel calcio; entrare lì in punta di piedi
ed uscire da padroni con in tasca il biglietto di un dominio europeo
ora consolidato, prima nel ranking mondiale meritatamente allora.
Una squadra completa,
attenta in ogni settore, il gioco espresso mostra sicurezza
dimostrazione, basta con l’idea che il gioco italiano è solo
difensivo, questo gioco è soprattutto dominio dell’avversario e
motivazione e stasera anche emozione. Testa tanta testa tutta testa
per fermarli, idea azzeccata direi. Tutte le possibili avversarie
sperano di evitare una squadra che ormai fa davvero paura.

Ma dopo tanti finali maledette l’obiettivo sembra essere ancora
lontano ma questa volta possibile. Riuscirà una parata di stelle super
pagata e sponsorizzata a battere un gioco di squadra più concreto ed
unico con un gioco solidissimo? In questa partita si, è successo ora
c’è solo l’infinita attesa dei sorteggi ed alle partite successive la
sentenza del campo di gioco !

Che continui questa intensa storia d’amore tutta italiana.

Il racconto fotografico della qualificazione della Juventus
                 al Camp Nou di Barcellona

                Il presidente della Juventus: Andrea Agnelli

                        Mister Allegri in pacnhina

                           Pianjc e Gigi Buffon
Gonzalo Higuain

Giorgio Chiellini

Giorgio Chiellini
Il dramma del tifoso dell’Inter:
imporre la post verità con la
moviola giudiziaria
di Claudio Cerasa*

Lo confesso. Sono un tifoso interista. Seguo l’Inter da quando avevo
sei anni. Ho sognato con Ronaldo. Ho goduto con Mourinho. Ho sbattuto
più volte la testa al muro vedendo correre sulle fasce delle più
improbabili formazioni guidate dai Gigi Simoni e dagli Héctor Cúper i
vari Gresko, Macellari, Centofanti, Cirillo, Coco, Fresi, Wome. Ho
pianto, come tutti, per l’unico 5 maggio che conta nella vita degli
interisti: non quello cantato da Alessandro Manzoni, che
chissenefrega, ma quello dei disastri di Gresko e Di Biagio. Era il
2002, l’anno di quel 5 maggio, e le ragioni del perché l’Inter perdeva
(e perde) valevano ieri e valgono anche oggi: l’Inter non vinceva (e
non vince) non per colpa degli arbitri o di Luciano Moggi o di Totò
Riina o della P4 ma perché gli avversari, e in particolare la
Juventus, segnavano e segnano di più, giocavano e giocano meglio,
sbagliavano e sbagliano di meno.

Eppure, dal 2002 a oggi, il tifoso interista, ancora scioccato forse
da quel maledetto 5 maggio, ha smesso di guardare il mondo con occhi
sinceri e ha creato una realtà virtuale all’interno della quale ha
accettato di diventare il prototipo del grillino perfetto, scaricando
le proprie incapacità sul sistema corrotto, delegittimando gli arbitri
per nascondere i propri difetti e cercando infine di cavalcare, con la
complicità dei giornali della buona borghesia calcistica da tempo
specializzati nell’alimentare su ogni fronte gli istinti anti casta,
una penosa via giudiziaria per la risoluzione dei conflitti
calcistici. Le notizie degli ultimi giorni – con ampia e documentata e
ridicola polemica sui presunti errori commessi dall’arbitro Rizzoli
durante la partita vinta domenica scorsa dalla Juventus sull’Inter per
1-0 – sono soltanto la coda di un problema più grande che affonda le
radici in un momento preciso della nostra vita calcistica: quando, nel
2006, venne istruito un processo farsa contro la Juventus, in cui
tutte le frustrazioni degli anti casta del calcio italiano vennero
prima abilmente trasformate in illeciti sportivi e poi amabilmente
trasferite in forma di gogna in tutti i talk-show.

Fu in quel preciso momento che il tifoso medio interista – che grazie
al supporto decisivo di un interista piazzato al vertice della
Federazione Italiana Giuoco Calcio (Guido Rossi) dopo il “caso
Calciopoli” riuscì a vincere un campionato a tavolino (2005/2006) e
uno successivo nell’anno in cui la Juventus fu mandata in B
(2006/2007) –    scelse di alimentare il circo mediatico sportivo
portando in prima serata e sulle prime pagine dei giornali le
chiacchiere da bar, facendole uscire dai confini delle serate con Aldo
Biscardi con lo stesso effetto che si avrebbe oggi se in prima serata
venissero riproposte le telefonate registrate senza filtri da Radio
Radicale ai tempi di Radio Parolaccia. Il tempo passa ma le modalità
del processo sono le stesse che osserviamo oggi anche in altri ambiti.
E l’idea che sia legittimo sconfiggere il nemico per via giudiziaria
puntando sulla post verità è ormai un dato assodato della nostra vita
non solo sportiva. Ed è un dato che prescinde da ogni giudizio di
merito. La Juve gioca meglio dell’Inter? La colpa è dell’arbitro che
non ha visto un rigore. La Juve vince più scudetti dell’Inter? La
colpa è delle sim di Moggi e non dei Buffon, Cannavaro, Zambrotta,
Emerson, Del Piero, Camoranesi e Vieira che valevano più dell’Inter
degli Zé Maria, Adriano, Burdisso, Favalli e Kily González.
Naturalmente, il tifoso medio dell’Inter non è l’unico a cui può
essere affibbiata la spilletta del moralista.

Ma a differenza degli altri, l’interista ha la particolarità unica di
essere il punto di intersezione perfetto tra la frustrazione del
popolo (la Curva Nord) e l’indignazione della borghesia (la Gazzetta
dello Sport). E fino a quando il tifoso interista non avrà uno scatto
d’orgoglio – e non organizzerà un bel vDay contro gli ultras frignoni
pronti a sventolare allo stadio fazzoletti bianchi sognando di vincere
scudetti con Guido Rossi e la moviola – continuerà ad alimentare un
sistema perverso in cui sguazzano gli Ingroia e in cui verrà
considerato sempre legittimo il tentativo di imporre la propria post
verità per via giudiziaria. Vale nel calcio, vale nel resto. Qui siamo
pronti a reagire, e voi?

*direttore del quotidiano IL FOGLIO

La verità di Gentile: “Così la Figc
di Rossi mi bruciò la Carriera”
di Claudio Gentile

 Battiamo 3-1 il Portogallo in semifinale e stravinciamo 3-0 la finale
contro la Serbia-Montenegro. Gilardino con quattro gol è il
capocannoniere e l’Italia Under 21 è di nuovo campione d’Europa, anche
senza Cassano. Io, però, non cerco rivincite, lascio che siano gli
altri a giudicare quello che ho fatto e come l’ho fatto. Subito dopo
ci aspetta l’avventura ad Atene, perché secondo l’assurdo calendario
si giocano nello stesso anno Europei e Olimpiadi. In più c’è il
problema dei “fuoriquota”. Per coerenza e per gratitudine nei
confronti dei miei ragazzi, che hanno appena vinto il titolo, io
vorrei confermarli in blocco rinunciando ai tre consentiti. Ne parlo
con Carraro e gli dico: “Presidente, si metta nei miei panni. Come
faccio a lasciare a casa chi ha vinto, per chiamare al loro posto tre
Puoi anche leggere