Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
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Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila ROMA – La storia del campionato 2018/2019 può essere definito come un riassunto scritto su poche righe. La Juventus è partita a testa bassa con il piede premuto al massimo sull’acceleratore vincendo le prime otto partite consecutive, e non a caso quindi il 29 settembre aveva già 6 punti di vantaggio. Il 25 novembre cioè due mesi più tardi, i punti in più erano diventati 8 e da quel giorno non sono mai diminuiti. Questo ha tolto ogni speranza agli inseguitori confermando una previsione molto facile: se senza Cristiano Ronaldo i bianconeri avevano già vinto 7 scudetti consecutivi , con il “fenomeno” portoghese in maglia bianconera non avrebbero neanche dovuto cominciare a giocare l’ottavo campionato per vincerlo e così è stato. Ha ragione chi scrive che forse valeva assegnarlo a tavolino, assegnandolo come un “Oscar alla carriera”. Se nel campionato precedente il Napoli di Maurizio Sarri aveva sacrificato presto l’Europa all’Italia, restando ad inseguire lo scudetto quasi fino alla fine, quello di quest’anno con Carlo Ancelotti in panchina ha scelto saggiamente il realismo dei propri limiti pensando soltanto (senza fortuna) all’Europa League. Il risultato è un torneo noiosissimo, ma di questo naturalmente non ha colpa la Juve. L’impatto psicologico, agonistico, finanziario e mediatico di Ronaldo sulla Juve e sull’intera serie A è stato enorme, ma questo lo si poteva immaginare, ma sicuramente non fino a questo punto. Ronaldo ha
scatenato la “caccia” al biglietto in ogni stadio in cui si giocava la Juventus, in una squadra diventata una specie di “Harlem Globetrotters” del calcio, e quando Ronaldo non è stato convocato da Allegri nell’unica volta prima dell’infortunio muscolare, cioè in occasione Genoa-Juventus, gara non a caso persa dai torinesi, il pubblico è quasi insorto con proteste da consumatori buggerati più che da spettatori delusi. Ormai una partita senza Ronaldo in campo, vale meno della metà, ed è anche così che si spiega l’impennata del costo degli abbonamenti della Juventus: se compro il secondo calciatore più importante del mondo, il tifoso poi deve pagare il “giusto” il biglietto per vederlo giocare. Questo l’inevitabile ragionamento del club bianconero. In questa serie cominciata da Antonio Conte e compiutamente realizzata da Massimiliano Allegri, andata ben oltre la storia (non a caso il precedente primato degli scudetti consecutivi già apparteneva alla Juve, ma risaliva agli anni Trenta), l’ottavo scudetto di fila è stato il più facile quanto il settimo era stato invece il più conteso e difficile. I tifosi dell’ Italia avversaria dei bianconeri probabilmente non si sono divertiti, ma i 14 milioni di tifosi della Signora invece non volevano altro, ed adesso si sono già sono concentrati sul numero 10 da conquistare di seguito, giusto per fare cifra tonda… Per certe cose Allegri non è cambiato di una virgola, in questi cinque anni in cui ha fatto la storia della Juventus ma anche nel calcio italiano senza mai atteggiarsi a guru, profeta, divo e nemmeno professore (e come li mal sopporta, i guru, i professori eccetera). Continua a vincere quasi facendo finta che non gli interessi, è la stessa persona smagata che nel 2014 accetto di sedersi sulla panchina di Antonio Conte quando tutti gli suggerivano di non farlo dicendogli “Ma dove vai, hai solo da perderci” e che invece con soave leggerezza,
con quella nonchalance che è in definitiva la sua cifra stilistica, che lo distingue dai più (anzi, da tutti) e che nel tempo ha persino valorizzato ha tracciato la sua strada . Peccato soltanto che non faccia scuola, che in questo periodo non si sia formata una categoria di fedeli seguaci: uno come lui fa bene al calcio, lo rende migliore e quindi sarebbe stato bello che altri cercassero di imitare il suo modo di fare. Purtroppo non è successo. L’acume, la correttezza, la gentilezza e la pazienza con cui Allegri gestisce tutto il contorno ed anche le persone alle sue dipendenze, ovvero i giocatori , sono invece importantissimi valori di riferimento, che però di rado vengono condivisi da altri. Può essere che Allegri abbia un problema: la sua intelligenza è troppo raffinata, troppo sottile, perché possa diventare un fenomeno di massa. È per questo che il giorno in cui lascerà la Juve ed il calcio italiano, probabilmente resterà un vuoto incolmabile. Allegri è una persona seria che non si prende sul serio: è questo il suo segreto e probabilmente la definizione che gradisce di più. Non ha la presunzione di Arrigo Sacchi, o l’arroganza di Luciano Spalletti, in compenso ama lavorare, è affidabile e pretende affidabilità, ha un grande rispetto delle persone e notevole senso del dovere, ma al tempo stesso non si ritiene una sorta di eroe nazionale solamente perché ha vinto qualche scudetto. E’ consapevole di aver contribuito non poco a far fare palate di soldi al club per cui lavora , ed un bel po’ ne ha incassati da parte anche lui, anche se è ben lontano dall’ostentazione del lusso, ma sa anche che tutto quello che fa, nella vita, è nient’altro che occuparsi di pallone: tutto sommato, una cosa futile. Il calcio è un gioco, non un affare di stato: così lo vive lui, e bisogna ammettere che si tratta di una posizione minoritaria, in un mondo così carico di tensioni (per forza, con tutto il denaro che gira e le posizioni di potere che garantisce). La Juventus è una “tirannide” calcistica, ma anche societaria, di cui non si intravede la fine: non a caso #finoallafine è il famoso hashtag
di Andrea Agnelli , che ormai va inteso come la fine degli altri, la fine di una concorrenza che in realtà non esiste più. La Juventus all’arrembaggio dell’Atletico Madrid ROMA – Il giorno della rivincita è arrivato. La Juventus di Massimiliano Allegri deve rimontare 2 gol all’Atletico Madrid. La vigilia è trascorsa nelle fede. Il mantra di Allegri in cammino verso il “Cholo” Simeone : se la Juve l’ha fatto in passato, può rifarlo anche oggi. Coppa Campioni 1972-73, primo turno. A Lione, un autogol di Salvadore fece felice l’Olympique Marsiglia. Il 27 settembre ’72, a Torino, Bettega sale due volte in cielo e schiaccia in rete due cross di Haller, che poi segna in contropiede: 3-0. Il risultato che andrebbe bene stanotte. A fine match, Bobby Gol scoppia a piangere. Sono i primi gol importanti dopo otto mesi di malattia, i polmoni sgonfi, la paura di un sogno senza fiato, già a 22 anni. Invece no. La malattia lo ha pure migliorato, come scriveva Gualtiero Zanetti sulla Gazzetta dello Sport , perché mister Vicpalek, nella convalescenza, per non affaticarlo, lo allenava con esercizi tecnici “che gli allenatori di oggi non fanno più con i ragazzi”. Il cielo è elemento naturale per Mario Mandzukic. Nella scorsa Champions: 4 gol di “Supermario”, tutti di testa. Stasera lassù il croato dovrà salirci come se avesse i capelli d’argento per annientare il muro difensivo di Godin e Gimenez. Dovrà bombardare dall’alto le barricate difensive erette da Simeone. Per fortuna polmoni di Mario sono sani e forti, ed il croato aspetta un gol da mesi. L’ultimo lo segnò di testa alla Roma prima di Natale. È ora di ripetersi . Nel caso difficilmente piangerà.
Coppa Campioni 1975-76. La Juve perde di misura a Sofia: 2-1. La rimonta arrivò ancora di testa, ma dal meno prevedibile dei colpitori: Beppe Furino, un mediano alto 167 centimetri. Un ricordo, un messaggio buono per stanotte: tutti dovranno trasformarsi in giganti e lanciarsi con coraggio tra le fila del nemico, anche i mediani, anche Emre Can e Matuidi. Furino era l’ “anima” di quella Juve, come oggi lo è Chiellini. Da Giorgione, abbattuto a Madrid dai gol degli uruguaiani, ci si aspetta una rivincita “rabbiosa”, in una gara che celebra le sue 500 partite in bianconero. Tra i quattro juventini che lo precedono in presenze c’è proprio Furino che quella volta disse: “Il Cska si lamenta del nostro gioco duro? A Sofia mi hanno linciato. Un po’ per uno”. Il “Chiello” ancora oggi non dimentica il gol di Godin che lo eliminò dal Mondiale brasiliano e neppure i denti di un altro uruguaiano piantati nella spalla.
Champions 1995-96. Nel ritorno dei quarti di finale c’era da rimontare il gol di Raul al Bernabeu. La notte del 20 marzo 1996 uno striscione steso in Curva Scirea annunciava: “Un solo grido: avanti, Savoia!”. Settantamila anime soffiavano sull’impresa. Tra quelle anche Bruna e Gino Del Piero, i genitori di Alex. Papà Gino puntava i fari dell’auto nel campetto accanto a casa, a San Vendemiano, per permettere al figlio di giocare anche al buio. Lì allenò la mira, tanto che riusciva a spegnere un interruttore calciando una pallina da tennis. Al 16’ del primo tempo, nella barriera del Real Madrid, si aprì uno spiraglio abbastanza grande per non approfittarne. Ed Alex Del Piero ci fece passare la palla in mezzo: 1-0. Padovano firmò il 2-0, ma la qualificazione l’aveva spianata il totem, il capitano, il più atteso, che con quel gol raggiunse Raul e Litmanen in cima alla classifica dei cannonieri (6). Stanotte a Torino nessuno sarà più atteso di Cristiano Ronaldo che nelle ultime 6 Champions giocate ne ha vinte 5 . Ha segnato 39 dei 121 gol negli scontri diretti, proprio quando la temperatura sale. Nella semifinale Champions ‘16-17 firmo da solo il 3-0 all’ Atletico. Ai Colchoneros rifilò altre due triplette il 12-4-2012 e il 19-11-2016, in Liga. Se c’è al mondo cì un giocatore assolutamente capace di rimontare l’Atletico, quel qualcuno veste la maglia bianconera della Juve. All’andata a Madrid lo derisero e gli urlarono di pagare le tasse. Il portoghese ha fatto un bel nodo al suo orgoglio di campione. Stanotte intende presentare un nuovo ricordo amaro al “Cholo” Simeone : un bel 3-0
Ronaldo arrivato a Torino per serate come queste anche se, finora, l’alieno in Champions di magie ne ha fatte vedere poche. La Juventus ha puntato su di lui in estate per sfatare la maledizione europea: il Cristiano “Real” però si è visto poco. Un gol tanto bello quanto inutile con il Manchester United, e due assist nelle ultime due giornate di un girone in cui forse non ha brillato come ci si aspettava a inizio stagione, anche a causa del rosso esagerato di Valencia. Stasera sarà comunque il più atteso allo Stadium e le condizioni per rivedere un CR7 in versione “Galactica” ci sono tutte, a partire dall’avversario. Champions 2002-03. Il 15-5-2003 a Torino c’è da rimontare ancora una volta il Real. Semifinale. Ci pensano Trezeguet e Del Piero, ma al 22’ delle ripresa Ronaldo il Fenomeno si procura un rigore e, se Figo lo segna, sarà 2-1 come al Bernabeu e quindi supplementari. Ma il portoghese frena due volte la rincorsa, segno che il monumento che ha di fronte lo intimidisce. Infatti Buffon lo parò . La partita finì 3-1 con Nedved in lacrime perché l’ammonizione gli costerà la finale a Old Trafford. Stanotte servirà fare gol, ma anche non prenderli. Szczesny dovrà chiudere con la saracinesca la sua porta ai pericoli di Griezmann e Morata, ex della Juventus e del Real Madrid proprio come Figo. Champions 2004-05. Questa volta l’eroe della rimonta sul solito Real è una sorpresa: Marcelo Zalayeta, il “Panterone”, che nel secondo tempo supplementare segnò il gol che porta la Juve ai quarti. Allegri questa sera ha in panchina un attaccante felino, affamato di gloria: Moise Kean. Il giorno è arrivato. Cara Juve, l’hai già fatto, puoi rifarlo. Con il cuore e lo spirito dei padri rimontatori.
Addio a Marella Agnelli vedova dell’ "avvocato" Gianni di Giovanna Rei Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli e zia di Andrea, attuale presidente della Juventus. Donna Marella, nata a Firenze il 4 maggio 1927, si è spenta ieri all’età di 91 anni. Da tempo era malata e le sue condizioni negli ultimi giorni erano peggiorate . Dopo aver seguito gli studi superiori e conseguito il diploma in Svizzera, Marella Agnelli ha frequentato “l’Académie des Beaux-Arts” e quindi “l’Académie Julian” di Parigi. Ha iniziato in seguito la sua attività di fotografa a New York quale assistente di Erwin Blumenfeld. Rientrata in Italia, ha collaborato come redattrice e fotografa per la Condé Nast. Marella designer e collezionista d’arte si era sposata con Gianni Agnelli nel 1953 a Strasburgo. Due i figli della coppia: Edoardo e Margherita, la madre di Lapo, John e Ginevra Elkann. Nel 1977 è stata premiata negli Stati Uniti con l’Oscar del disegno con il premio “Product Design Award of the Resources Council Inc.”. È stata membro dell’International Board of Trustees del Salk Institute di San Diego e dell’International Council del MOMA ( Museum of Modern Art) di New York, oltre a essere vicepresidente del consiglio di amministrazione di Palazzo Grassi a Venezia, nonché presidente de “I 200 del FAI” di Milano e dell’Associazione degli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea di Torino. E’ stata vicepresidente della Commissione Nazionale dei Collegi del Mondo Unito. Nell’ottobre 2000 è stata insignita del titolo di “Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”.
Nel 1973, su richiesta della famosa fabbrica di tessuti svizzera Abraham Zumsteg, ha realizzato una serie di disegni per tessuti d’arredamento. Ad essa sono seguite le collezioni in Italia per la Ditta Ratti di Como, in Francia per gli Stabilimenti Steiner, negli Stati Uniti per la Martex e numerose collezioni per la Marshall Field’s. Nel 1987 ha pubblicato il best-seller “Giardini italiani“, nel 1995 “Il Giardino di Ninfa”, nel 1998 “Giardino segreto“, nel 2007 “Ninfa ieri e oggi“. Successivamente nel 2014 “Ho coltivato il mio giardino” e nel 2015 “La Signora Gocà“. Marella Agnelli è stata e rimarrà un’icona di stile, uno dei “Cigni” di Truman Capote, tra le donne più eleganti del mondo, capitata in una vita patinata che però non le ha risparmiato dolore. Come la morte dell’amatissimo figlio Edoardo ma anche le liti in famiglia dopo la morte di suo marito Gianni. Un’unione forte la loro, resistente ai forti scossoni della vita, sigillata il 19 novembre 1953 nel castello di Osthoffen a Strasburgo. La riservatezza è stata una delle grandi forze di questa donna che ha sempre cercato di fare della sua condizione,sicuramente straordinaria, normalità. Il padre di Marella, Filippo Caracciolo Principe di Castagneto, era uno scrittore saggista e diplomatico, è stato Sottosegretario di Governo alla fine della seconda Guerra Mondiale e, successivamente, Segretario Generale del Consiglio d’Europa. La madre, Margaret Clarke, era americana, nata a Peoria, nell’Illinois. Aveva due fratelli amatissimi, Carlo Caracciolo, fondatore nel 1955 insieme a Eugenio Scalfari del gruppo editoriale L’Espresso-La Repubblica e Nicola Caracciolo, storico giornalista, autore televisivo.
Immenso anche il suo amore per gli animali, per la natura e per i giardini di cui è diventata una delle più importanti esperte del mondo. Negli ultimi anni ad avere le sue cure à stato il giardino della sua casa di Aïn Kassimou, “l’occhio della fonte” in dialetto berbero, a Marrakech, dove ha vissuto gran parte del tempo. Una casa amatissima che ha segnato un cambiamento radicale della sua vita, costruita insieme all’architetto Gae Aulenti e all’arredatore e giardiniere Federico Forquet. Nel suo libro biografico e fotografico “Ho curato il mio giardino” (Adelphi editore) scritto insieme alla nipote Marella Caracciolo Chia. , Donna Marella scriveva: “Sapevo che questo progetto mi avrebbe portato conforto”. Marella è stata la moglie ideale di Gianni Agnelli l’uomo considerato il più “potente d’Italia”. Elegante, discreta., disposta ad accettare la sua libertà, sapendo stargli vicina e lontana. Anche lei, come suo marito, parlava inglese fin da bambina. Non rivendicava potere né ruoli pubblici. Trovava pace e rifugio nell’oasi di Villar Perosa, e a Villa Frescot sulla “discreta” collina torinese, amante della cura dei giardini, tifoso della Juventus, sostenitrice dell’istituto oncologico di Candiolo. Molto forte era il legame con sua cugina Allegra, la seconda moglie di Umberto Agnelli. E il rifugio sulla collina torinese, Villa Frescot.
Edoardo Agnelli e Donna Marella Agnelli Donna e personaggio internazionale non soltanto per riflesso del celebre marito, Marella Agnelli ha sempre condotto una vita che non ha offerto spazio e spunti alle cronache mondane se non in qualche occasione esclusiva. Era di casa a New York così come a Sankt Moritz, ma amava molto trascorrere la maggior parte del suo tempo a Torino dove, assieme al marito, frequentava Romilda Bollati di Saint Pierre, Maria Cattaneo, Mariella e Antonio Marocco e pochissime altre persone riservate come lei. Ma l’amica che vede più frequentemente è Evelina Christillin, verso la quale ha un rapporto quasi materno , la moglie di Gabriele Galateri di Genola, alla quale nelle loro passeggiate in collina confessa sovente le pene per lo stato di salute che nel novembre del 2000 portarono al suicidio del figlio Edoardo. Passata la soglia dei settant’anni sono stati i nipoti, John futuro presidente della Fiat, Lapo e Ginevra nati dal primo matrimonio della figlia Margherita con Alain Elkann, a tenerle spesso compagnia . Ma anche Pietro, Sofia, Maria, Anna e Tatiana nati dal secondo matrimonio con Serge de Phalen. La morte del figlio prediletto Edoardo e la malattia del marito che seguirà nel 2003 diradano la sue comparse in pubblico con le tristi eccezioni dei lutti e di quella contesa con la figlia Margherita per una di quelle vicende ereditarie purtroppo molto spesso presenti alla scomparsa dei proprietari di grandi patrimoni. Una m0ntagna di carta giudiziarie che si è andato esaurendo col procedere della malattia accompagnato mano a mano dal giusto riservato silenzio.
Marella Agnelli insieme ai suoi nipoti Elkann Ma tutto ciò non è stato abbastanza per tenersi lontano dal dolore. Il suicidio di suo figlio Edoardo. La rottura con la figlia Margherita con cui era insieme ad assistere l’Avvocato sul letto di morte. Successivamente sarebbe emersa la questione dell’eredità. Ma Marella Caracciolo in Agnelli è sempre rimasta fedele alle indicazioni del marito: la Fiat non era una villa plurifamiliare che potesse essere divisa; bisognava individuare un capofamiglia, garantirne la successione. Questo è stato il ruolo finale di Marella. Vissuto con immensa dignità, eleganza e stile nel silenzio, sino all’ultimo giorno. I funerali si svolgeranno in forma privata. La Città di Torino ha espresso la propria vicinanza alla famiglia Agnelli per la scomparsa della signora Marella. “Nel ricordo di una figura – dice la sindaca Chiara Appendino – che negli anni, per il nostro Paese e non solo, ha rivestito un ruolo importante nel mondo dell’arte e della cultura”. “Con Marella Agnelli – ha detto il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino – scompare una figura illustre che ha accompagnato la storia torinese del 900 con grandissimo garbo. La sua eleganza e la sua riservatezza colpivano, erano impagabili ed ora non posso che fare le mie più sentite condoglianze a John, Lapo, Ginevra e all’intera famiglia“. Anche dalla squadra di famiglia arriva un ricordo: “La Juventus saluta con commozione Donna Marella, che ci ha lasciato oggi. Nata a Firenze,
Marella Caracciolo di Castagneto nel 1953 sposò Gianni Agnelli, e restò al suo fianco fino al 2003, anno della sua morte“. È il pensiero della Juventus nel giorno della morte di Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli e zia dell’attuale presidente bianconero Andrea. “La Juventus, in questa triste giornata, è vicina a tutta la famiglia Agnelli, alla quale porge le più sentite e affettuose condoglianze“. Il Napoli e l'incapacità di dare seguito alla bellezza ROMA – Sono anni che il Napoli produce uno dei giochi più spettacolari, coinvolgenti, divertenti ed entusiasmanti di tutto il calcio europeo. Alla bellezza del calcio espresso dai partenopei, tuttavia, continua a contrapporsi, inesorabile, l’incapacità degli azzurri nel riuscire a tramutare la bellezza in trofei. Anche la passata stagione è stata chiusa dal Napoli senza titoli nonostante la squadra, allora allenata da Maurizio Sarri, avesse incantato il mondo intero con il suo calcio fatto di possesso palla, inserimenti e giocate spettacolari ed avesse più volte ricevuto attestati di stima da parte di tutti gli addetti ai lavori, Pep Guardiola in primis. Con l’arrivo di Carlo Ancelotti sulla panchina azzurra sembra che il Napoli abbia deciso di puntare un po’ meno allo spettacolo ed un po’ di più alla concretezza e non è un caso che in questo avvio di stagione, in più di un’occasione, i Partenopei siano riusciti a portare a casa più di quanto probabilmente avrebbero meritato.
I mister Carlo Ancelotti e Maurizio Sarri L’eliminazione dalla Champions League Nonostante Ancelotti stia lavorando molto sull’atteggiamento della propria squadra e stia cercando di infondere nei propri giocatori una mentalità vincente, dopo un inizio di Champions sensazionale in cui gli azzurri hanno reso al di sopra le aspettative, il Napoli è uscito sconfitto dalla partita decisiva giocata in casa del Liverpool ed ha dovuto dire addio alla
competizione. Anche in Europa il Napoli ha dato la sensazione di potersela giocare alla pari con chiunque ma, vuoi per episodi pochi fortunati, vuoi per qualche errore di troppo, alla fine a qualificarsi per gli ottavi di finale sono stati il PSG ed il Liverpool. L’avventura europea degli azzurri ad ogni modo continuerà in Europa League, competizione verso cui Ancelotti ha già rivolto la propria attenzione ed il proprio interesse. L’allenatore emiliano sa benissimo che vincere aiuta a vincere e che la conquista di un trofeo sarebbe fondamentale per dare uno scossone a tutto l’ambiente. Dando uno sguardo alle quote champions Betfair , ad oggi, i partenopei sono infatti tra gli assoluti favoriti per la vittoria dell’Europa League, trofeo che potrebbe rivelarsi fondamentale nel processo di crescita della squadra napoletana. L’eterna rivalità con la Juventus Il sospetto, che con gli anni sta diventando sempre più una certezza, è che se in Italia non ci fosse stata la Juventus, il Napoli sarebbe stato in grado di aggiudicarsi gli ultimi due scudetti e, probabilmente, avrebbe vinto anche il campionato in corso. Per sfortuna del Napoli, la Juventus in serie A c’è e continua a dominare incontrastata il campionato. Nonostante gli azzurri, anche in questo inizio di stagione, stiano impressionando per la qualità del gioco espresso, per la concretezza sotto porta e per la ritrovata solidità difensiva, i punti che separano i partenopei dal primo posto occupato dalla Juventus sono già undici. La squadra allenata dal mister Allegri sembra essere una macchina perfetta che, ancora imbattuta in campionato dopo ben venti partite, pare destinata a continuare a scrivere record su record. La speranza di tutti i tifosi partenopei è che finalmente in questa stagione la squadra di mister Ancelotti possa riportare qualche trofeo a casa. L’impressione è che il Napoli abbia tutte le carte in regola per giocarsela fino in fondo sia in Europa League che in campionato e che, proprio in campionato, i partenopei dovranno essere bravi a farsi
trovare pronti per sfruttare ogni passo falso della Juventus. Toto-Governo: Belloni in pole, sale Rossi al Tesoro ROMA -Un riferimento alle tensioni di queste ore, e alla delusione per il comportamento delle forze politiche, è arrivato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella con una sua frase pronunciata durante l’incontro con i giocatori del Milan e Juventus, protagonisti oggi della finale di Coppa Italia allo Stadio Olimpico di Roma rivolgendo loro un discorso sulla correttezza del comportamento di chi fa sport. Poi ricorda di essersi paragonato a un arbitro nel discorso di insediamento, nel 2015. “I vostri discorsi – ha detto il capo dello Stato rivolgendosi ai capitani delle due squadre Buffon e Bonucci – mi hanno fatto pensare alle squadre che concorrono e si rispettano, avendo a cuore la correttezza. Questo mi ricorda gli arbitri, i miei colleghi: nel mio discorso di insediamento mi sono paragonato agli arbitri assicurando la mia imparzialità, guadagnandomi un applauso, poi ho detto che i giocatori lo devono aiutare con la loro correttezza” e anche qui è scattato un applauso con qualche segno di sorpresa. “L’arbitro può condurre bene un incontro se ha un buon aiuto, correttezza e impegno leale. Un buon arbitro spera sempre di non essere notato e può non essere notato se i giocatori sono corretti”, ha detto il Presidente della Repubblica.
Intanto, sembrano allungarsi i tempi per il conferimento dell’incarico. Mattarella da un lato deve sondare i possibili candidati alla “premiership” e i potenziali ministri per un esecutivo chiamato a rimanere in carica fino a dicembre, nell’ipotesi più ottimistica, o poche settimane in caso di mancata fiducia; dall’altro deve cercare di capire quanto siano concrete le voci di un passo di lato da parte di Silvio Berlusconi, che potrebbe ridare vigore alla trattativa tra M5S e Lega. Ma alle otto di ieri sera è arrivata con una nota dai toni secchi il secco “rifiuto” di Berlusconi che mette un punto alle voci che
circolavano negli ambienti politico-parlamentari: “Silvio Berlusconi – si legge – smentisce fermamente le indiscrezioni secondo le quali sarebbe pronto a dare un appoggio esterno ad un governo guidato da M5s e Lega. Dopo due mesi di tentativi per dare vita a un governo espressione del centrodestra, prima forza politica alle elezioni del 4 marzo, Forza Italia non può accettare nessun veto“. Matteo Renzi intervistato in serata da Giovanni Floris a Di Martedì, ha annunciato: “Io non correrò alle primarie che decideranno il prossimo leader del Pd. Secondo me il candidato naturale è Gentiloni“, ha aggiunto rispondendo a Floris che gli domanda chi sarà secondo lui il candidato premier del Pd. “C’è qualcuno che sta giocando sulla pelle del Paese, sono i 5Stelle e il centrodestra”. “Io Salvini l’ho visto, siamo entrambi senatori. Sono curioso di come spiegherà all’operoso Veneto che andranno a pagare il reddito di cittadinanza a chi sta sul divano. Secondo me i due si amano, ma le famiglie non sono d’accordo. Quello che mi colpisce di Di Maio è la straordinaria capacità di cambiare idea. E’ molto simile a Marx, ma non a Karl, a Groucho: ‘questi sono i miei valori, se non vi piacciono li cambio’“, ha detto l’ex segretario dimissionario dei Democratici. “Tenere bloccato un paese è assurdo, Di Maio, se non è in grado di fare un governo con il centrodestra, lo deve dire e deve consentire di riscrivere le regole del gioco”, ha aggiunto Renzi. “E’ una soap opera, ogni giorno c’è una cosa nuova. Il referendum che mi ha mandato a casa serviva a evitare questa buffonata“.
Per azzardare un pronostico bisogna partire dal profilo generale impostato da Sergio Mattarella nei giorni scorsi. Le certezze sono poche: il premier deve avere una standing internazionale ed essere riconosciuto in Europa (il Consiglio europeo di fine giugno viene considerato cruciale); nella squadra ci devono essere competenze di gestione economica visto che l’obiettivo è scongiurare l’aumento dell’Iva grazie all’approvazione della Legge di Bilancio 2019; i componenti dell’esecutivo non devono essere politici, anche perché il Presidente gli chiederà di non essere candidati alle prossime elezioni. I profili devono essere inattaccabili dal punto di vista etico e giudiziario. Non poco, quindi. Paletti questi che presuppongono una decisione difficile anche da parte di chi dovesse essere chiamato dal Colle ad entrare in questo nuovo Governo. L’incarico per formare quel governo di “garanzia” annunciato due giorni prima, potrebbe quindi slittare alla giornata di giovedì, per poi sciogliere la riserva nella giornata di sabato, dopo oltre sessanta giorni, tre giri di consultazioni e un appello alla “responsabilità”, essendosi esaurita anche l’ennesima attesa delle convulsioni del centrodestra. Dopo il giuramento il nuovo Governo si presenterà alle Camere prevedibilmente alla metà della prossima settimana, quando sarà già trascorsa la prima metà di maggio sul calendario .
I partiti concederanno la fiducia ? Tra il frequentatori del Colle viene manifestata una sicurezza serafica: “Bene Mattarella, come ha spiegato nel suo discorso, si dirà pronto a sciogliere le Camere in due giorni, se è questo che vogliono“. Toccherà quindi poi ai partiti assumersi la responsabilità davanti ai cittadini che non sembrano così entusiasti e disgustati in molti dall’ inconcludenza dei partiti di questi mesi e poco disposti ad annullare le ferie per andare a votare. Toccherà spiegarlo agli albergatori, agli operatori del settore turistico la cui preoccupazione sulla stagione è stata già recapitata ai rispettivi parlamentari dei vari territori Il Parlamento per fortuna non è Facebook, cioè un social network. Potrebbe accadere per esempio che, dopo una non auspicabile bocciatura da parte dei due rami del Parlamento del Governo di tregua, vengano alla luce gli elementi per un nuovo giro di consultazioni che il Presidente Mattarella, che le sta provando tutte senza interferire minimamente, non potrebbe rifiutare. A quel punto un nuovo giro di colloqui renderebbe impossibile lo scioglimento in tempo utile per poter votare il prossimo 22 luglio.
In definitiva se il tentativo del presidente Mattarella fosse destinato ad andare a vuoto, un Governo “neutrale” è pur sempre un passaggio politico, e un passaggio politico non è mai neutro, produce sempre degli effetti, anche in questa epoca di messaggi semplificati e di ubriacatura da ritorno al voto. E, a dirla parole povere, il “messaggio” sarà che Mattarella avrà fatto un governo di persone competenti e oneste, dopo mesi di chiacchiere, puntigli e veti. E potrebbe succedere che qualcuno dica: “perché non lo facciamo lavorare?“. Può anche accadere che questo Governo, una volta vista la composizione “tecnica”, possa piacere all’opinione pubblica. Ma sopratutto ai molti parlamentari neo-eletti che non hanno alcuna certezza di essere rieletti, e dovrebbero affrontare una nuova dura e costosa campagna elettorale. E nel riserbo totale del Quirinale impazza il toto-nome. Rumours parlamentari alla vigilia danno in pole per l’incarico di premier Elisabetta Belloni, la prima donna a ricoprire il delicato ruolo di segretario generale della Farnesina. Molto forti anche le voci intorno a Salvatore Rossi, barese, dal 2013 direttore Generale della Banca
d’Italia , il quale verrebbe indicato come Ministro dell’ Economia. Prima fila da SX: Enzo Moavero Milanesi, Lucrezia Reichlin, Salvatore Rossi, Anna Maria Tarantola. Seconda fila da SX: Elisabetta Belloni, Giampiero Massolo, Marta Cartabia, Carlo Cottarelli Si tratta infatti di un Governo a vita limitata e, probabilmente, limitatissima se i partiti lo bocceranno sul nascere. Insomma, la prospettiva eutanasica non invoglia certo a partecipare. Nella “rosa” del presidente Mattarella, che gira negli ambienti del Quirinale, oltre ad Elisabetta Belloni (persona “bipartisan” gradita anche al M5s), è entrata Marta Cartabia. Milanese, 54 anni, vicepresidente della Corte Costituzionale la più giovane componente della Consulta nominata nel 2014 da Giorgio Napolitano, che è molto stimata dall’attuale presidente della Repubblica. Dagli uomini del Colle viene analizzato anche il profilo di Lucrezia Reichlin, romana, economista figlia di due comunisti storici (Alfredo Reichlin e Luciana Castellina), attualmente docente di Economia alla London Business School, direttrice generale alla Ricerca alla Banca Centrale Europea la quale ha sicuramente tutte le competenze e le carte in regola per ricoprire un ruolo di prestigio.
Circola anche il nome anche di Giampiero Massolo, ambasciatore di lungo corso con grandi conoscenze internazionali, che sarebbe perfetto al Ministero degli Esteri. E poi si prosegue da giorni con i nomi di Carlo Cottarelli, 64 anni, già commissario alla spending review a Palazzo Chigi, di Anna Maria Tarantola, una vita in Bankitalia ed ex presidente della Rai, di Enzo Moavero Milanese, grande esperto dei meccanismi dell’Unione Europea e già ex ministro del Governo Letta. Ma non si escludono sorprese dell’ultima ora E’ maledizione Champions. Vince il Real, la Juve scompare. di Antonello de Gennaro CARDIFF – La Juventus ha perso smarrendo nel secondo tempo la sua migliore caratteristica : la compattezza tattica . Diciamolo con chiarezza, nella finale di Cardiff sono venuti meno gli uomini più importanti. Da Bonucci, a Pjanic ma soprattutto Higuain e Dybala. La squadra bianconera si è disunita sotto gli attacchi di un Real Madrid che voleva portare a casa la coppa e ci è riuscito grazie al solito Cristiano Ronaldo che è stato lasciato un pò troppo solo dalla difesa bianconera . Alla Juventus non è bastato segnare il più bel gol della Champions League, cosi come non è bastato aver condotto e dominato tutto il
primo tempo senza aver avuto paura. Tutto questo non è servito perché alla Juventus è venuto meno qualcosa che era stata una costante per tutta la stagione e che è scomparsa nella notte della finale: la solidità tattica del gruppo, quel meccanismo perfetto di gioco che rendeva in fase difensiva la squadra di Allegri un blocco unico. I primi ad essere i fantasmi di sè stessi, sono stati Higuain e Dybala, i peggiori della Juve in campo, non tanto per non aver concluso nulla nella fase d’attacco, ma sopratutto per il mancato solito contributo offerto alla difesa. Poi è svanito Pjanic, e con lui Khedira, e quindi a quel punto per il Real Madrid infilzare la Juventus è diventata gioco facile facile, trovando di fronte la difesa bianconera che ha smarrito la sua forza ed esperienza. Non era la vera Juventus, quella vista in campo nel secondo tempo della finale contro il Real Madrid ieri sera . Non era mentalmente e fisicamente la stessa squadra che aveva annientato il Barcellona e che per tutta la Campions League ha sempre giocato e vinto in modo esemplare arrivando fino alla finale di Cardiff. E’ stata una brutta copia sbiadito nel momento più importante di tutti e che ha regalato con un paio di sciocchezze il sogno di una stagione intera. Una squadra con un obiettivo così importante e ambizioso non può arrivare a questo appuntamento in simili condizioni psicofisiche . Sopratutto stanca fin dal primo tempo . Non si contano i passaggi sbagliati e le palle perse, soprattutto quelli di Dybala a centrocampo da cui sono scaturiti gol e azioni pericolose del Real Madrid. Un ko limpido a favore del Real e inaccettabile per la Juventus arrivata a Cardiff su un’onda di consensi che probabilmente hanno scaricato mentalmente la solita rabbia e grinta dei giocatori bianconeri.
In ogni caso questa Juventus merita l’applauso ricevuto ieri fra le lacrime nello stadio di Cardiff. Un applauso meritato per una stagione che resta “storica” per il sesto scudetto consecutivo conquistato, per la Coppa Italia vinta e sopratutto per il proprio strepitoso ruolo di marcia in una Champions League che avrebbe meritato un altro risultato. La delusione spesso fa dimenticare i meriti ed i traguardi conquistati, ma sarebbe ingiusto ed ingrato abbandonarsi allo sconforto da parte del popolo bianconero e sopratutto da parte della squadra . Questa finale persa è diversa da quella di Berlino, perché il Real è stato sicuramente più forte, ma non superiore in campo, perché la “vera” Juventus, avrebbe perfino potuto batterlo. La Juventus, ma quella “vera”, potrà riprovarci l’anno prossimo: questo è un “gruppo” fortissimo ce la può fare e ieri sera ha preso un impegno morale con la sua gente arrivata da ogni parte del mondo a sostenerla ed incitarla fino al triplice fischio finale , che la società bianconera dovrà saldare tra dodici mesi.
Onore a mister Allegri quando dice “Sono orgoglioso dei miei ragazzi. L’anno prossimo sarò sulla panchina della Juve. Vogliamo ripartire per fare una grande Champions, vincere lo scudetto ed essere competitivi in Coppa Italia: questa seconda sconfitta in tre anni non ci deve fermare“. Alla fine della partita Andrea Agnelli ha abbracciato uno a uno i giocatori, sul prato di Cardiff, mentre il Real si godeva la Champions. La sconfitta è stata una brutta botta, pure nel punteggio (4-1), soprattutto per chi già aveva perso la finale di Berlino, e così il presidente della Juve ha voluto fare coraggio ai suoi, e lanciare un messaggio: “C’è un sentimento d’orgoglio per aver raggiunto in sette anni una dimensione europea totale – ha detto dinnanzi alle telecamere – ed ho abbracciato tutti i ragazzi. L’anno prossimo dovremo essere ancora più cattivi”. L’obiettivo è quello di crescere ancora: “Dobbiamo farlo, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Dobbiamo crescere, perché se in questa competizione sbagli 10, 15 o 20 minuti, la Coppa non la vinci”.
Il presidente Agnelli ha sicuramente capito ieri sera che questa Juventus con due-tre innesti di caratura internazionale può finalmente salire sul gradino più alto nel mondo e conoscendone la sua ambizione e lungimiranza siamo sicuri che la sconfitta di ieri sera porterà quel contributo tecnico di cui la squadra di Allegri ha fortemente bisogno per diventare imbattibile. Rimane indiscutibile sia chiaro, la grande stagione ed una dimensione europea conquistata anno dopo anno dalla squadra bianconera, sui campo di gioco di tutt’ Europa. Tre trofei vinti in quattro anni sono la dimostrazione della dittatura sportiva, tecnica e tattica del Real Madrid: nessuno, da quando la Champions si chiama così era riuscito a portarla a casa due volte di seguito. Ce l’ha fatta il Real di Zinedine Zidane, con la sua umiltà e grazie alle capacità tecniche dei suoi giocatori. Si vince anche con questi doti, e non solo sul campo, la 12ma Champions League. Per la Juventus rimane l’amarissimo ricordo di un’altra sconfitta in finale, che fa più male delle altre precedenti perché nessuno se l’aspettava, sopratutto non così. Ma quando il tuo avversario è più forte di te in tutto, ed ha giocatori in campo come Cristiano Ronaldo che da solo è capace di cambiare una partita, allora c’è poco da dire e ancora meno da fare. Juve, come te nessuno mai
di Antonello de Gennaro ROMA – Aspettando di poter festeggiare la parola proibita, la Juventus ha vinto la Coppa Italia 2017. E trionfano loro, sempre loro, sul campo. Fino alla fine. Dopo la Coppa Italia del 2015 e quella del 2016, è arrivata quella di ieri sera per la terza volta consecutivamente. Mister Allegri ed i giocatori bianconeri stanno riscrivendo la storia del calcio in Italia, aggiudicandosi un torneo che già era contrassegnato dal marchio bianconero nell’albo d’oro: 12 vittorie, più di chiunque altra società, con il tris di vittorie consecutive che costituiscono un primato assoluto nel calcio in Italia. Lo stadio Olimpico, ha visto ieri la Juventus prevalere sul campo per 2-0 contro la Lazio in una partita esemplare per la correttezza, il fair play, ma anche per la qualità delle giocate da ambo le formazioni in campo, senza dimenticare le rispettive tifoserie che hanno sostenuto sino all’ultimo secondo di gioco le proprie squadre
con amore e con correttezza. . La Juventus ha vinto grazie ai due tra i più forti terzini al mondo, se non i più forti, vincendo una finale da grandissima anche se non aveva a disposizione i centrocampisti Pjanic (squalificato) e Khedira rimpiazzati dall’ottimo Marchisio che ha gestito il centrocampo sorretto dal grintoso Rincon che hanno dimostrato una fisicità debordante (siamo quasi alla fine del campionato…) La prima vittoria di una stagione che potrebbe diventare leggendaria per i cuori bianconeri, in campo e sugli spalti, è stata confezionata nei primi 45 minuti di gioco grazie ai gol di Dani Alves al 12’ e Bonucci al 25’. Il gol dell’1-0 è nato da un intesa perfetta tutta brasiliana da Alex Sandro a Dani Alves ancora una volta implacabile sotto rete: un goal al volo, probabilmente meno spettacolare ma più importante di quello realizzato in semifinale di Champions Leaugue contro al Monaco. Per Dani Alves due goals in campionato e altri due in Champions, mancava quello in Coppa Italia che è arrivato . Non è casuale che proprio in questa fase della stagione, il brasiliano sia diventato incontenibile con Barzagli a coprirgli le spalle e Cuadrado ad aspettare in panchina. Un altra mossa azzeccata da Allegri e dal vice e tattico Landucci. Una Juve che torna dominatrice assoluta in Italia (e non solo) come ci ha abituato a vedere sui vari campi di calcio: tra i due gol della banda Allegri è stata un’autentica pioggia di palle gol bianconere, che solo l’istinto di Strakosha riescono a neutralizzare, togliendo a Dybala ed Higuain la gioia del goals, con due prodezze d’istinto effettuate con i piedi.
La Juve di Allegri è una squadra bellissima da vedere, ricca di tecnica, agonismo, con giocatori dalla qualità assoluta e di formidabile esperienza. Come è possibile per chi ama il calcio come sport, non esaltarsi davanti a quel tunnel di incredibile precisione effettuato da Dani Alves ad un’incredulo Lulic ? Queste prodezze tecniche solitamente irritano qualsiasi avversario, ma la danza del brasiliano sul campo a contatto con il pallone non era una provocazione ma ricercata per creare un pericolo reale che si è rivelato tale.
E’ questa una Juve che può fare la “storia”, vincendo unica squadra nel calcio italiano a vincere tre coppe Italia di seguito, apprestandosi a portare a casa un altro record: 6 campionati vinti di seguito. Una Juventus dei colpi di classe dei propri giocatori nonostante qualche calo di tensione nel corso della stagione. Ed ora il popolo e la squadra bianconera attende l’evento clou di una stagione pressochè perfetta: Cardiff. Immensa. Infinita impresa di una Juventus monumentale al Camp Nou Sul Camp Nou di Barcellona nessuno ha visto entrare in campo 11 calciatori bianconeri dai piedi notoriamente alati, ma 11 spartani che minuto dopo minuto hanno riscattato anni ed anni di insulti internazionali per un calcio italiano troppe volte bistrattato. Gli 11 “eroi” di una delle notti più lunghe per ogni singolo tifoso, la cui attesa diciamolo era iniziata già alle 23.50 dell’11 aprile 2017, hanno irrimediabilmente cancellato ogni impegno dall’agenda per assistere la loro unica Signora che le ha generosamente offerto un regalo senza eguali. Nessuno ci avrebbe scommesso un solo centesimo, nemmeno dopo il super acquisto a matrice argentina di Gonzalo Higuain, lo ripeto forte e chiaro nessuno. L’atmosfera da brivido, un’emozione concessa a pochi terrestri. Ormai nessuno si fa promotore di idee che in Italia non
circolano più, nessuna fiducia nel calcio nostrano sempre definito “inferiore”. Ma loro si i calciatori in primis, ma anche i loro tifosi hanno avuto fiducia e trasformato qualcosa di impossibile in facilmente realizzabile. Una partita perfetta all’andata, senza errori e distrazioni ma un match sbalorditivo, un ritorno eccellente con il raggiungimento dell’obiettivo . La squadra con l’attacco più forte del mondo contro la squadra con la difesa più inaccessibile della storia. Tutte le stelle blaugrana hanno a più riprese cercato di attaccare una porta murata con “Santo” Gigi Buffon sempre pronto all’impresa ma ad un certo momento sembravano arrendersi. Qui non si passa, che muro ragazzi, tutti partecipano nella fase difensiva come insegna il calcio moderno di qualità. Questo scontro è stato vero spettacolo per gli amanti del calcio giocato, assoluto, sanguigno. Con 180 minuti minacciosi come una tempesta shakespeariana potevano uccidere ogni speranza o mantenerne una viva dopo 6 anni di Champions, colmi di uscite rapide, una finale persa proprio con chi questa sera è stato annientato rendendoci ancora più orgogliosi di una squadra che porta fieramente il Made in Italy nel mondo. Dopo il 3-0 dell’andata per la Juventus si facile è più semplice forse, ma dopo la “remontada” compiuta contro il Paris Saint Germain, ogni paura riaffiorava forte e testarda. Ogni protagonista di questa prode impresa ha contribuito a sigillare con il proprio personalissimo marchio quest’opera. La storica difesa, la graffiante grinta di Chiellini con la sicurezza e le brucianti ripartenze di Bonucci, la solidità di Buffon ormai un mito vivente con l’organizzazione esemplare di un centrocampo che costantemente ha visto cambiare la sua composizione perdendo pezzi pregiati, quali Pogba, Vidal, Pirlo; alcuni inseguendo sogni di gloria
mai davvero realizzati, altri si sono spenti nel nulla. Il sacrificio di una vita di Claudio Marchisio (a sostenere l’amore di una vita in panchina, senza esitare o contestare le scelte del suo tecnico), i piedi tattici di Khedira, la pregevole maestria del gioco direzionale di Pjanic, la sconvolgente promessa mantenuta di Alex Sandro, l’esperienza avvelenata di Dani Alves, ma il vero asso nella manica rimane Cuadrado capace di risolvere al momento giusto ogni problema, ah che acquisto sublime immancabile nella testa e nel cuore. Ma non trascuriamo chi ha reso tutto questo possibile un piccolino comprato dal Palermo tra mille critiche per la cifra spesa stiamo parlando di lui la “joya” Dybala, l’immenso talento di Higuain sostenuto dall’instancabile Mandzukic. Ma soprattutto “mister” Allegri che in questa grandiosa scommessa ci ha messo tutto il cuore, dato per perdente si è rialzato come un mitico super eroe portando la passione in mezzo ai ragazzi, grandioso e sapiente.
A tutti loro l’ Italia deve dire grazie. Grazie per averci dato la possibilità di sperare ancora da “italiani”, perché la Juve da grande club sa benissimo che non è finita, entrare in quell’arena gloriosa spaventosamente spaventosa, persino per un tifoso che non può non lasciarsi affascinare dalla storia di un club che negli ultimi anni ha dettato legge nel mondo del bel calcio; entrare lì in punta di piedi ed uscire da padroni con in tasca il biglietto di un dominio europeo ora consolidato, prima nel ranking mondiale meritatamente allora.
Una squadra completa, attenta in ogni settore, il gioco espresso mostra sicurezza dimostrazione, basta con l’idea che il gioco italiano è solo difensivo, questo gioco è soprattutto dominio dell’avversario e motivazione e stasera anche emozione. Testa tanta testa tutta testa per fermarli, idea azzeccata direi. Tutte le possibili avversarie sperano di evitare una squadra che ormai fa davvero paura. Ma dopo tanti finali maledette l’obiettivo sembra essere ancora lontano ma questa volta possibile. Riuscirà una parata di stelle super pagata e sponsorizzata a battere un gioco di squadra più concreto ed unico con un gioco solidissimo? In questa partita si, è successo ora c’è solo l’infinita attesa dei sorteggi ed alle partite successive la sentenza del campo di gioco ! Che continui questa intensa storia d’amore tutta italiana. Il racconto fotografico della qualificazione della Juventus al Camp Nou di Barcellona Il presidente della Juventus: Andrea Agnelli Mister Allegri in pacnhina Pianjc e Gigi Buffon
Gonzalo Higuain Giorgio Chiellini Giorgio Chiellini
Il dramma del tifoso dell’Inter: imporre la post verità con la moviola giudiziaria di Claudio Cerasa* Lo confesso. Sono un tifoso interista. Seguo l’Inter da quando avevo sei anni. Ho sognato con Ronaldo. Ho goduto con Mourinho. Ho sbattuto più volte la testa al muro vedendo correre sulle fasce delle più improbabili formazioni guidate dai Gigi Simoni e dagli Héctor Cúper i vari Gresko, Macellari, Centofanti, Cirillo, Coco, Fresi, Wome. Ho pianto, come tutti, per l’unico 5 maggio che conta nella vita degli interisti: non quello cantato da Alessandro Manzoni, che chissenefrega, ma quello dei disastri di Gresko e Di Biagio. Era il 2002, l’anno di quel 5 maggio, e le ragioni del perché l’Inter perdeva (e perde) valevano ieri e valgono anche oggi: l’Inter non vinceva (e non vince) non per colpa degli arbitri o di Luciano Moggi o di Totò Riina o della P4 ma perché gli avversari, e in particolare la Juventus, segnavano e segnano di più, giocavano e giocano meglio, sbagliavano e sbagliano di meno. Eppure, dal 2002 a oggi, il tifoso interista, ancora scioccato forse da quel maledetto 5 maggio, ha smesso di guardare il mondo con occhi sinceri e ha creato una realtà virtuale all’interno della quale ha accettato di diventare il prototipo del grillino perfetto, scaricando le proprie incapacità sul sistema corrotto, delegittimando gli arbitri per nascondere i propri difetti e cercando infine di cavalcare, con la
complicità dei giornali della buona borghesia calcistica da tempo specializzati nell’alimentare su ogni fronte gli istinti anti casta, una penosa via giudiziaria per la risoluzione dei conflitti calcistici. Le notizie degli ultimi giorni – con ampia e documentata e ridicola polemica sui presunti errori commessi dall’arbitro Rizzoli durante la partita vinta domenica scorsa dalla Juventus sull’Inter per 1-0 – sono soltanto la coda di un problema più grande che affonda le radici in un momento preciso della nostra vita calcistica: quando, nel 2006, venne istruito un processo farsa contro la Juventus, in cui tutte le frustrazioni degli anti casta del calcio italiano vennero prima abilmente trasformate in illeciti sportivi e poi amabilmente trasferite in forma di gogna in tutti i talk-show. Fu in quel preciso momento che il tifoso medio interista – che grazie al supporto decisivo di un interista piazzato al vertice della Federazione Italiana Giuoco Calcio (Guido Rossi) dopo il “caso Calciopoli” riuscì a vincere un campionato a tavolino (2005/2006) e uno successivo nell’anno in cui la Juventus fu mandata in B (2006/2007) – scelse di alimentare il circo mediatico sportivo portando in prima serata e sulle prime pagine dei giornali le chiacchiere da bar, facendole uscire dai confini delle serate con Aldo Biscardi con lo stesso effetto che si avrebbe oggi se in prima serata venissero riproposte le telefonate registrate senza filtri da Radio Radicale ai tempi di Radio Parolaccia. Il tempo passa ma le modalità del processo sono le stesse che osserviamo oggi anche in altri ambiti.
E l’idea che sia legittimo sconfiggere il nemico per via giudiziaria puntando sulla post verità è ormai un dato assodato della nostra vita non solo sportiva. Ed è un dato che prescinde da ogni giudizio di merito. La Juve gioca meglio dell’Inter? La colpa è dell’arbitro che non ha visto un rigore. La Juve vince più scudetti dell’Inter? La colpa è delle sim di Moggi e non dei Buffon, Cannavaro, Zambrotta, Emerson, Del Piero, Camoranesi e Vieira che valevano più dell’Inter degli Zé Maria, Adriano, Burdisso, Favalli e Kily González. Naturalmente, il tifoso medio dell’Inter non è l’unico a cui può essere affibbiata la spilletta del moralista. Ma a differenza degli altri, l’interista ha la particolarità unica di essere il punto di intersezione perfetto tra la frustrazione del popolo (la Curva Nord) e l’indignazione della borghesia (la Gazzetta dello Sport). E fino a quando il tifoso interista non avrà uno scatto d’orgoglio – e non organizzerà un bel vDay contro gli ultras frignoni pronti a sventolare allo stadio fazzoletti bianchi sognando di vincere scudetti con Guido Rossi e la moviola – continuerà ad alimentare un sistema perverso in cui sguazzano gli Ingroia e in cui verrà considerato sempre legittimo il tentativo di imporre la propria post verità per via giudiziaria. Vale nel calcio, vale nel resto. Qui siamo pronti a reagire, e voi? *direttore del quotidiano IL FOGLIO La verità di Gentile: “Così la Figc di Rossi mi bruciò la Carriera” di Claudio Gentile Battiamo 3-1 il Portogallo in semifinale e stravinciamo 3-0 la finale contro la Serbia-Montenegro. Gilardino con quattro gol è il capocannoniere e l’Italia Under 21 è di nuovo campione d’Europa, anche senza Cassano. Io, però, non cerco rivincite, lascio che siano gli altri a giudicare quello che ho fatto e come l’ho fatto. Subito dopo ci aspetta l’avventura ad Atene, perché secondo l’assurdo calendario si giocano nello stesso anno Europei e Olimpiadi. In più c’è il problema dei “fuoriquota”. Per coerenza e per gratitudine nei confronti dei miei ragazzi, che hanno appena vinto il titolo, io vorrei confermarli in blocco rinunciando ai tre consentiti. Ne parlo con Carraro e gli dico: “Presidente, si metta nei miei panni. Come faccio a lasciare a casa chi ha vinto, per chiamare al loro posto tre
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