La Copertina d'Artista - Gennaio 2018 - Smart Marketing | Mensile

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La Copertina d'Artista - Gennaio 2018 - Smart Marketing | Mensile
La Copertina d’Artista - Gennaio 2018
Una barchetta di carta, come quelle con cui giocavamo da piccoli, piena zeppa di scritte è in balia di
un mare mosso e minaccioso. L’onda monta sempre di più e la piccola imbarcazione pare lì, lì per
affondare. L’opera di questo numero, a prima vista, pare una nostalgica rievocazione della nostra
infanzia, quando per divertirsi bastava poco, anche un semplice foglio di carta ripiegato.
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più cose di quello che appare ad un’occhiata fugace. Ed infatti, se guardiamo attentamente questa
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immagine, ci saltano agli occhi alcuni elementi rivelatori. Il mare, innanzitutto, non è cristallino e
trasparente, ma pare denso, opaco, melmoso quasi. Un immenso pulviscolo, una chiazza consistente,
anzi no, una nube compatta di minuscolo plancton sembra intorbidire la sua naturale lucentezza.

Ma questo plancton è ben strano, sembra la cartina geografica della nostra Terra, contorta e
ripiegata su se stessa. Intuiamo i continenti, pensiamo di riconoscere i confini delle nazioni, ma, per
quanto ci sforziamo, non ci riesce di definire un singolo stato, ed inoltre qui e là sono disseminati dei
piccoli punti cardinali con delle didascalie che richiamano i nomi dei social network più conosciuti:
Facebook, Instagram, Twitter, etc..

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Quindi, cosa ci vuole dire l’artista di questo numero, al secolo Chiara Loiudice (classe 1988)? Che
storia ci sta raccontando? Quale messaggio ha scritto sulla carta della barchetta e ha poi affidato ad
un mare cosi minaccioso?
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Come il messaggio che i naufraghi di una volta inserivano nelle bottiglie che poi affidavano alle onde
del mare, nella remota speranza che qualcuno raccogliesse la richiesta ed inviasse i soccorsi, allo
stesso modo, sembra dirci l’artista, i nostri messaggi quotidiani (leggi post, eventi, like) vengono
affidati alla balia di un mare, il web, che è, di giorno in giorno, più inquinato e torbido. I nostri
messaggi, i nostri like, le nostre foto, i nostri tweet, si perdono nella sua immensa massa, e
intorbidiscono ed inquinano la sua acqua. Ogni nostro messaggio, come una barchetta di carta, ci
dice l’artista, è in balia di questo mare, senza una rotta, senza una destinazione, pronto a
naufragare.

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n oblò”, fotografia digitale elaborata, anno 2015

Ed infatti, se riflettiamo, la realtà non è poi così lontana da questa rappresentazione: come barchette
di carta, i nostri messaggi, i nostri profili, i nostri eventi salpano da porti sicuri (i nostri computer, i
nostri smartphone) per “Navigare in acque contaminate” (questo il titolo dell’opera) quelle del
web, perennemente in tempesta. Forse sappiamo da dove siamo partiti, ma sia la rotta sia la
destinazione sono affidate, in definitiva, al caso, navighiamo a vista e questo è tutto ciò che possiamo
fare.

Ma l’arte non è mai senza speranza, l’arte pone domande, è vero, quasi mai fornisce risposte, e
quando lo fa non sono mai semplici, ma, per chi ha voglia di imparare, l’arte è sempre un’ottima
maestra. In tutto questo marasma una cosa ci colpisce: sulla barchetta di carta che solca il mare
tempestoso nessuna frase pare decifrabile, tranne una che è scritta proprio sulla sua prua che
infrange le onde e che è “My heart”, il mio cuore.
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ta e carboncino, anno 2017.

Allora, il suggerimento che ci sta dando la nostra artista forse è quello, fondamentale ed ineludibile,
di non dimenticare la nostra passione sul molo, di non lasciare il nostro cuore nel porto da dove
siamo partiti, perché, se mai ci sarà un modo per portare la barchetta ed il nostro messaggio a
destinazione, lo sarà solo grazie alla nostra passione, al nostro carattere, alla nostra personalità,
perché, se il mare del web tutto ingoia e livella, solo quello che ci rende più umani ci differenzia e
definisce, in una parola ci identifica. Qualunque sia il messaggio, evento, post, che vogliamo affidare
al web, sarà proprio in virtù della sua “identità” che sarà unico, riconoscibile, condivisibile e forse
giungerà finalmente a destinazione.

D’altronde lo diceva pure lo psicologo e giornalista statunitense Daniel Goleman: “Le nostre
passioni possiedono una loro propria saggezza: guidano il nostro pensiero e la scelta dei nostri
valori, e garantiscono la nostra sopravvivenza”.
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Chiara Loiudice nasce a Bari, dove frequenta prima il Liceo Artistico “De Nittis – Pascali” e poi
l’Accademia di Belle Arti, dove, nel 2016, consegue la laura magistrale in Graphic Design. Molteplici
le esperienze nei settori della grafica e dell’editoria con diverse aziende, alle quali affianca sempre
una produzione artistica che la porterà da una parte alla partecipazione a diverse mostre, e dall’altra
a diventare Cultrice della Materia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, proprio in Grafica D’arte.

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, fotografia, anno 2016.

Ultime mostre

2017

“Acqua Ossigenata”, Bari;

“Le dieci bellezze” – Festival regionale “FotoArte”, Bari;

“Olio d’Artista”, mostra itinerante, Mesagne (BR);

“Inverso l’infinito. Luoghi, Non luoghi e Scenari della Contemporaneità” – Faccia a Faccia con il
Libro d’Artista, Bari.

2016

“Giri di pensiero”, Spazio Murat, Bari;

“Nero come l’ebano, Il mondo delle forme tra materia e tecnica”, Pinacoteca Comunale, Ruvo (BA);

“Impaginazione della Rivista ARCHEOMODERNITAS”, Associazione ex studenti

dell’Accademia di Belle Arti, Palazzo ATENEO “ALDO MORO”, Bari.

Per informazioni e per contattare l’artista Chiara Loiudice:

chiaraloiudice9@gmail.com

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla
selezione della quarta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un
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portfolio alla nostra redazione: redazione@smarknews.it

Social Events- L'editoriale di Ivan Zorico

  Sentiamo sempre più parlare di eventi.

Partendo dai classici eventi riferiti al mondo aziendale e produttivo (convention, workshop,
ecc.), passando dagli eventi sportivi (Olimpiadi, Mondiali, competizioni varie, ecc.) sino ad arrivare
agli eventi televisivi (Sanremo, programmi cult come XFactor, ecc.).

Ma, ormai, oltre a questi più o meno grandi eventi, ci siamo abituati, con la complicità della
diffusione dei social network e delle nuove tecnologie, a considerare, chiamare e definire “evento”
qualsiasi cosa.

Ma cos’è un evento? Cosa si intende realmente per evento?
Per un attimo facciamo un tuffo nel passato, ai tempi della scuola, e andiamo a consultare il sempre
caro e utile vocabolario. In questo caso però, rispetto al mio passato da studente pre internet, lo
faremo online.

Dal Garzanti: “[…] ciò che è accaduto o potrà accadere; avvenimento, fatto di una certa importanza
[…]”.

Dalla Treccani: “[…] fatto degno di memoria; grandi e., avvenimenti di grande importanza (in origine
con riferimento a importanti competizioni sportive, sul modello dell’ingl. great event, e oggi esteso a
qualunque manifestazione o spettacolo che attiri il pubblico) […]”.

Da GlossarioMarketing: “[…] per evento si intende una leva di marketing, coerentemente inserita nel
piano di comunicazione, che è finalizzata a generare un orientamento positivo verso un marchio o
prodotto per mezzo di azioni costruite attraverso contenuti di comunicazione, intrattenimento e
interazione […]”.

  Riassumendo, per evento si intende qualcosa di grande, importante, rilevante che in
  qualche modo ha a che vedere con l’unicità.

Come abbiamo visto quindi, il significato della parola evento mal si sposa con il suo utilizzo, in
qualche modo inflazionato, che ci potrebbe portare a dire che “se tutto è un evento, nulla è un
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evento”.

Ma è davvero così?
A mio parere no. Perché seppur è vero che siamo circondati da eventi di qualsiasi natura, l’accezione
che possiamo dare oggi ad un evento è la capacità di creare interesse, agganciare l’attenzione e
sviluppare senso di appartenenza, per portare le persone ora all’interno di un Palazzetto, ora
connessi per una diretta streaming, ora davanti al televisore. Cioè infondere la sensazione che si sta
per assistere ad un fatto imperdibile, unico.

    Online o Offline, non fa alcuna differenza. È la crossmedialità a fare la differenza.

Già, bene, ma come si fa a lavorare sull’unicità di un evento che magari per sua natura è
anche seriale?

La risposta è semplice. Occorre fare un lavoro di comunicazione.

■   Lavorare su quegli aspetti di unicità che ogni evento porta con sé.
■   Raccontare una storia credibile che emozioni la gente.
■   Creare una comunità di persone davvero affezionate e disposte a concederci il loro tempo ed
    attenzione.

In questo modo, un evento si svilupperà in maniera partecipata, in maniera “socializzata”.

Il successo dell’evento stesso sarà quindi dettato da quanto le persone interagiranno con la
manifestazione o con i temi/argomenti che al suo interno si sviluppano.
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Portare le persone al centro è la chiave della riuscita di ogni buona azione comunicativa.

Ecco quindi il nostro contributo per capire il mondo degli eventi.
Un numero – Social Events – tutto dedicato al mondo degli eventi ed alle strategie di
comunicazione ad esso collegata.

■   Il fenomeno del Live tweeting – perché tutti vogliono “cinguettare”
■   Gli eventi nell’era del digital e della crossmedialità
■   Niente è più veloce di Twitter: perché e come usare Twitter per il successo di un evento
■   Cinema, internet e social network
■   Vita social: 10 regole per non cadere nella rete
■   BoCS Art Cosenza: un’arte da abitare, vivere e condividere

                                                                                               Ivan Zorico

Social events – L’editoriale di Raffaello
Castellano

Data: 26 dicembre 2004

Ora: 00:58:53 UTC

Luogo: Oceano Indiano, al largo della costa nord-occidentale di Sumatra
(Indonesia)

Profondità: 30 km

Magnitudo: 9,1 (il terzo terremoto più violento degli ultimi 60 anni)
Lo tsunami, conseguenza di questo cataclisma immane, che farà oltre 220.000 vittime in tutta
l’Indonesia, è, con tutta probabilità, il primo “evento social” della storia, fotografato, ripreso e
documentato quasi interamente da non professionisti: i turisti, soprattutto occidentali, coinvolti
nell’evento.
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La diffusione dei primi telefoni cellulari dotati di fotocamera e
videocamera, fra il 2003 ed il 2004, diede il via non solo al
cosiddetto citizen journalism, ma a quella vera e propria
rivoluzione digitale che avrebbe visto negli apparecchi cellullari,
sempre più performanti e tecnologici, il terminale perfetto per
comunicare in tempo reale attraverso il web.

Uno dei disastri più devastanti che l’uomo ricordi è stato il primo terreno di prova dei nuovi ritrovati
tecnologici ed insieme il primo evento di rilevanza mondiale che è stato ripreso e fotografato dai
media non tradizionali.

Alla stessa maniera, ed è alquanto singolare, la guerra di Crimea lo fu per la fotografia analogica e
la Prima Guerra Mondiale per il cinema, anche se fu il 2° conflitto mondiale a consacrare
definitivamente il cinema non solo come mezzo in sé, ma come vera e propria arma.

Se confrontiamo lo tsunami del 2004, oppure altri due eventi contemporanei come gli attentati
terroristici di Madrid (11 marzo 2004) e Londra (7 luglio 2005) con quello ben più disastroso
dell’11 settembre 2001 di New York, ci rendiamo conto di come, in capo a 4 anni, sia cambiata la
natura stessa delle immagini che documentano un evento.

Nell’attentato alla Torri gemelle del 2001, la quasi totalità delle immagini era stata realizzata da
fotografi ed operatori video professionisti; l’impatto del primo volo ripreso da terra, ad esempio, fu
filmato da una troupe che stava realizzando un documentario sul corpo dei Vigili del Fuoco di New
York, mentre gran parte delle riprese televisive furono realizzate sempre da troupe professioniste
appartenenti ai vari network, sistematesi sui grattacieli vicini.

Come ci dice la storia, il primo cellullare dotato di fotocamera fu il Samsung SCH-V200 lanciato
nel giugno 2000 (o se preferite lo Sharp J-Phone J-SH04 del novembre 2000), e nel 2001 la loro
diffusione era ancora limitata, ma nel 2004 erano già in tanti i possessori di telefonini dotati sia di
fotocamera che di videocamere, e quindi cambiò per sempre la maniera di documentare un evento.
Non furono più fotoreporter professionisti ed agenzie stampa a dare notizie, ma il cittadino comune
che, in virtù della sua natura di testimone oculare dell’evento vissuto (o semplicemente osservato) e
dei nuovi ritrovati tecnologici, diventava testimone della storia.
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del giugno 2000.

In realtà basta sfogliare qualsiasi manuale di storia della fotografia per rendersi conto di come
l’esplosione dell’immagine digitale abbia rappresentato pure la morte della sua “oggettività” e del
suo “valore documentale”. La trasformazione delle immagini dal loro supporto materiale e dalla loro
natura chimica alla nuova natura immateriale e digitale fece sì che l’immagine stessa si svincolasse
dai suoi supporti classici (pellicola, fotocamera, cinepresa, VHS, etc.) e che divenisse possibile
generare un’immagine “artificiale” direttamente al computer, attraverso algoritmi più o meno
complessi (in virtù della sua natura binaria) e codificando i suoi 0 e 1 nei miliardi di combinazioni
possibili.

Ma veniamo ad oggi: come avevo già scritto nel precedente editoriale, assistiamo al susseguirsi
senza soluzione di continuità di eventi che sono sempre i “più social di sempre”. Alcuni esempi: X
Factor 2018, l’Isola dei Famosi 2018, Olimpiadi Invernali, Sanremo 2018, etc., etc..

Oramai sembra che non si possa organizzare neanche una partita a carte fra amici senza renderla
social, facendo una pagina su Facebook, postando foto su Instagram o Snapchat, addirittura creando
un gruppo di discussione su Whatsapp.
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sia del 2004.

Siamo perennemente alla ricerca dell’evento, anzi siamo noi stessi immersi in un evento che è
diventato immersivo, pervasivo e permanente. Ma il rischio è dietro l’angolo: se, come la psicologia
ci insegna, la prolungata esposizione ad uno stimolo crea assuefazione, corriamo il rischio di non
riuscire più a distinguere fra una partita a carte fra amici e un disastro aereo, fra il festival di
Sanremo e la crisi umanitaria dei migranti, fra ciò che davvero rappresenta la rottura di uno status
quo, e quindi un evento, e la semplice spettacolarizzazione del banale.

La capacità di distinguere (e quindi di scegliere e di assegnare valore), è forse la caratteristica che
ci rende più umani; distinguere una vera notizia da una fake news, Buona Domenica da Super Quark,
l’Isola dei Famosi da veri naufraghi, è un talento che non dobbiamo assolutamente perdere.

Anzi, dovremmo esercitare questa nostra capacità con disciplina, evitando di atrofizzarla per pigrizia
così come di esaurirla per un uso scorretto e smodato, ne va della nostra sopravvivenza!
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onesia del 2004.

Perché, mai come ora, in un mondo che realmente è alla portata di un clic, pieno di possibilità
espressive, rischiamo di cadere vittime del pensiero unico, vittime delle utopie, vittime delle truffe,
vere e proprie vittime degli “eventi”, non riuscendo più a distinguere il bene dal male, il vero dal
falso, il giusto dallo sbagliato, il bello dal brutto, smarrendo e sfarinando la nostra identità.

  E quando non sapremo più chi siamo, quello sì che sarà un evento!

                                                                             Raffaello Castellano

Niente è più veloce di Twitter: perché e
come usare Twitter per il successo di un
evento.
Se c’è una cosa in cui Twitter è imbattibile è la capacità di concentrare e raccogliere commenti
in tempo reale. Questo probabilmente grazie alla sua stessa natura: a un feed veloce e dinamico,
al ruolo fondamentale ed imprescindibile degli hashtag, alla capacità di sintesi a cui ci ha educati
negli anni. Una volta i tweet erano al massimo di 140 caratteri, adesso possiamo contare su 280, che
per la lingua italiana iniziano ad essere molto più adeguati.
La differenza tra l’utilizzo di Twitter e gli altri social media è grande: Twitter ci tiene meno
  incollati al suo feed ma ci spinge più “a consultarlo” in determinati momenti.

Qualche esempio?
Andiamo su Twitter per leggere gli aggiornamenti legati ad una notizia di attualità, i
commenti raggruppati da un determinato hashtag o per seguire quasi in diretta eventi sul
territorio. Ecco perché su Twitter seguiamo meno amici e conoscenti e molte più agenzie di stampa,
giornalisti, opinion leader, specialisti di vari settori. D’altronde essere follower su Twitter è meno
impegnativo che essere amico su Facebook, e poi non è necessario accettarsi a vicenda… e già
questo rende tutto più semplice.

Secondo un’analisi di Ninjamarketing lo scorso Festival di Sanremo su Twitter ha registrato
duemilioniduecentoottantottomilacentoventuno interazioni. Un numero impressionante, “un
flusso di dati che ha raggiunto circa 3.203.000 utenti, coinvolto 186.800 utenti unici e registrato più
di 10 miliardi di visualizzazioni”.

Un dato che si traduce facilmente così: in Italia amiamo seguire il Festival e commentarlo. Fin
qui nulla di nuovo: è tradizione, è cultura nazionalpopolare, è abitudine, ed è stato sempre così sin
dalle prime edizioni probabilmente. La novità è che oggi lo facciamo per lo più su Twitter e in
tempo reale. Mentre un cantante si esibisce sul palco dell’Ariston commentiamo la sua
interpretazione, la sua voce, il suo look, la sua emozione, il testo della canzone… e nel frattempo
riceviamo like, retweet, risposte acide dagli account dei fan club o dai fan sfegatati. Una
volta probabilmente compilavamo la pagella, ovvero la tabella dei voti su Tv Sorrisi e Canzoni,
storico partner dell’evento, oggi invece il nostro commento e il nostro voto lo affidiamo al
web, nel bene e nel male.

Ma il Festival di Sanremo non è di certo l’unico evento che si lascia travolgere dall’ondata di Tweet.
Nel 2017 i top trend su Twitter sono stati programmi tv e talent come #MasterChef, #Xfactor,
la notte degli #Oscar, ma anche gli eventi di politica estera e le elezioni hanno ricevuto
numerosi commenti: gli hashtag #Trump e #Macron non hanno deluso le aspettative e sono stati
tra i più utilizzati in tutto il mondo. Impossibile non citare anche il mondo dello sport, la serie A e i
vari hashtag legati alle squadre di calcio più seguite e amate come #Milan, #Inter e #Juve con il
suo hashtag #Finoallafine.

Twitter può essere ribattezzato come il social network della tempestività, dei commenti in
tempo reale, dell’aggiornamento continuo. Niente è più veloce di Twitter. Ecco perché è il
mezzo più adatto da associare ad un evento, che sia la storica kermesse di musica italiana o un
evento specifico, di settore, diretto a un target mirato, o ancora una mostra o una convention.

Come fare a far sì che un evento abbia il suo lato social? Come assicurarsi che i partecipanti
twittino, commentino e facciano sì che il vostro evento viva anche su Twitter? Bisogna partire dalla
strategia di marketing ed inserire alcuni accorgimenti utili.

Ecco qui i 6 principali:

1. Creare i canali social ufficiali dell’evento con anticipo e iniziare twittare tempo prima.
2. Scegliere, definire e comunicare l’hashtag ufficiale dell’evento, assicurandosi che sia
   semplice da ricordare, da scrivere e che non venga già utilizzato per altro.
3. Ripere l’hashtag ufficiale su tutta l’immagine coordinata legata all’evento: biglietti di
   ingresso, eventuali schermi, gadget, poster ecc..
4. Coinvolgere i relatori e gli sponsor nell’utilizzo dell’hashtag per promuovere l’evento su
   Twitter in anticipo e per twittare anche durante e dopo.
5. Prevedere un Twitter Wall in cui proiettare durante l’evento commenti ed eventuali domande ai
   relatori con l’hashtag apposito.
6. Promuovere l’hashtag su Twitter per incrementare la sua visibilità.

  Ci siamo concentrati su Twitter ma ovviamente la comunicazione di un evento di successo
  necessita di una strategia integrata su diversi mezzi.

Facebook, ad esempio, potrebbe aiutarvi a raggiungere il target specifico più facilmente e
potrebbe dar modo di spaziare e comunicare in modo più libero, senza limiti di caratteri o altro.
Instagram o Snapchat potrebbero aiutarvi a creare engagement raccontando con le immagini la
preparazione dell’evento, l’organizzazione e il making of tramite le stories. Ogni evento ha una
strategia a sé, da studiare ad hoc tenendo conto del target specifico e delle sue esigenze ed
abitudini, ma è innegabile che i social siano dei grandi facilitatori di visibilità e
coinvolgimento ed oggi non possiamo permetterci di tenerli fuori da una strategia legata al lancio
di qualunque evento.

BoCS Art Cosenza: un'arte da abitare,
vivere e condividere
Ripensare una città in chiave culturale attingendo, in parte dal suo glorioso passato, in parte
guardando al futuro, esplorando contemporaneamente, le propaggini più estreme e più feconde,
della ricerca artistica contemporanea. È questa, in sintesi, la mission che pare essersi posta la città
di Cosenza, attraverso il progetto delle Residenze d’Artista BoCS Art che, inaugurate nel 2015, sono
composte da 27 spazi espositivi/studio e da un’area polifunzionale dislocati sulla via Lungofiume
Dante Alighieri, nel centro storico.

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Foto Fabio Costantino Macis

Il progetto, che ha visto l’interesse e il sostegno della Provincia e del Comune di Cosenza, è stato
promosso dall’Associazione Culturale “I Martedì Critici”.

L’idea alla base di questi container creativi è quella di ospitare ciclicamente artisti provenienti da
tutta Italia, anche di spessore internazionale. Residenti nei box, ispirati dal contesto territoriale,
operando direttamente con la città, interagendo liberamente con i cittadini, cercheranno di
riscoprire e/o reinventare l’identità di Cosenza.

Il tutto viene restituito sotto forma di opere d’arte che contribuiscono alla crescita culturale e allo
scambio di competenze. Il progetto mira a rendere fruibile l’arte e stimolare la collettività a
partecipare attivamente a tutte le attività, raccogliendo qualsiasi fascia di età, dai bambini agli
anziani, sia attraverso la possibilità di accedere agli studi avendo così l’opportunità di assistere dal
vivo alla realizzazione di opere d’arte, sia attraverso workshop organizzati dagli artisti una volta a
settimana, sia assistendo a performance che prenderanno vita quotidianamente tra le strade della
città.
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o dei BoCS Art, lo storico e critico dell’arte, dott. Alberto Dambruoso.

Noi di Smart Marketing, da sempre sensibili alle tematiche artistiche, abbiamo voluto approfondire
questo interessante progetto ed abbiamo intervistato il direttore artistico, lo storico e critico
dell’arte, dott. Alberto Dambruoso.

Domanda: 27 box (o, per meglio dire, BoCS, dalla sigla della città di Cosenza), che diventano
residenze artistiche, studio e fabbriche per una serie di artisti che ciclicamente vengono invitati per
delle sessioni medie di circa 3 settimane, durante le quali gli artisti stessi si impegnano a dialogare
con la città ed i suoi abitanti, al fine di reinterpretare e reinventare l’identità della città di Cosenza.
Come vi è venuto in mente un progetto così ambizioso e geniale?

Risposta: La città di Cosenza aveva partecipato vincendolo, ad un bando della Comunità Europea
per il periodo 2007/2013 dal titolo “Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – Investiamo nel vostro
futuro” con il progetto di “Riqualificazione e rinfunzionalizzazione ricreativo – culturale del Parco
Fluviale”. L’idea quindi di creare un polo culturale in questa area si deve agli amministratori della
città nel periodo che va dall’emissione del bando alla sua attuazione. Merito del Sindaco vigente
Mario Occhiuto quello di aver reso concreta un’iniziativa che poteva rimanere incompiuta come
tante se ne vedono (o sarebbe meglio dire non se ne vedono) in Italia.
Domanda: Dall’inaugurazione nel luglio del 2015 ad oggi sono più di 330 gli artisti invitati,
provenienti da diverse are geografiche che, non solo hanno visitato la città, ma vi hanno vissuto ed
operato interagendo con il tessuto vitale della stessa. Cosa hanno lasciato tutti questi artisti, non
solo in termini di opere e progetti?

Risposta: Gli artisti che sono venuti in residenza hanno lasciato un ricordo indelebile ai tanti
cittadini che sono stati coinvolti nel progetto delle residenze d’artista. Molti cosentini hanno
partecipato attivamente alla realizzazione di molte opere. In molti hanno aperto le loro case
accogliendo gli artisti e raccontandogli le loro storie familiari. Quasi tutti gli artisti che sono stati in
residenza hanno interagito con la popolazione e certamente oltre alle loro opere è sicuramente
quest’aspetto, legato ai rapporti umani, la cosa più preziosa che rimarrà a Cosenza.

Domanda: In termini di economia e marketing della cultura, cosa ha significato questo progetto per
la città e la comunità di Cosenza?

Risposta: certamente il fatto che una città del sud Italia si sia aperta ai linguaggi dell’arte
contemporanea ha favorito un certo interesse in primis da parte della comunità artistica nazionale
che ha richiesto, si può dire in massa, di partecipare alle residenze. Con l’attenzione costante della
stampa specializzata sicuramente ne ha beneficiato l’intera città. Non ho i conti alla mano per dirLe
se ci sono stati o meno degli incrementi turistici a seguito del progetto BoCS Art, ma so per certo
che l’inaugurazione del BoCS Art Museum, aperto il 16 dicembre scorso, sta portando diversi
visitatori da tutta Italia per vedere questa nuova realtà museale.

Domanda: Può la città di Cosenza, in virtù di questo geniale progetto, del Ponte di Calatrava (che
inaugura il 26 gennaio), della sua storica natura culturale, dell’Accademia Cosentina e della vicina
Università della Calabria (con il Campus universitario più esteso d’Italia), rappresentare una testa di
ponte della ripresa di quel Sud spesso e volentieri bistrattato?

Risposta: Sono assolutamente del parere che Cosenza stia diventando negli ultimi anni un modello
non solo per il mezzogiorno, ma direi anche per tantissime altre città del Centro – Nord. Merita un
plauso l’investimento nel settore cultura che negli ultimi anni fa il Comune destinando un budget
sostanzioso, per il teatro Rendano, per i BoCS Art e per altre iniziative d’interesse non solo locale,
superiore a qualsiasi altra città italiana delle stesse dimensioni.

Domanda: Insomma un’arte contemporanea fatta dal vivo, a contatto con il pubblico, che mira alla
condivisione pura delle conoscenze, delle competenze e delle opere. Siete consapevoli che a Cosenza
avete creato il primo social network dell’arte contemporanea?

Risposta: Fa molto piacere che qualcuno ci riconosca questa realtà. Sì, siamo coscienti di aver
messo in piedi un progetto unico in tutta Italia e non solo, forse. L’unica pecca, mi verrebbe da dire,
è che siamo a Cosenza. Non per contraddire quanto detto finora, ma è chiaro che se questo stesso
progetto fosse stato realizzato a Roma o a Milano, saremmo di sicuro finiti in qualche servizio
televisivo nazionale. Meno male che il TGR si è accorto di noi e ultimamente ci ha concesso due
servizi, uno dei quali era addirittura in diretta. Voglio dire con questo che mi sarei aspettato molta
più attenzione da parte del sistema televisivo nazionale, visto l’elevato interesse manifestatosi
intorno al progetto dai diversi punti di vista: artistico, sociologico, antropologico, economico.
Vedremo in futuro cosa succederà.
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Shawnette Poe.

Domanda: Quali sono i progetti futuri, o meglio, gli scenari possibili, che si aprono dinanzi al
progetto delle Residenze artistiche BoCS Art?

Risposta: I progetti futuri sono quelli di proseguire con le residenze in primavera, realizzandone
qualcuna a tema (tipo una dedicata alla fotografia, una alla video – arte, un’altra alla street art) e poi
di allestire la prossima mostra al BoCS Art Museum, prevista a Pasqua e dintorni. Per gli scenari
possibili, mi piacerebbe ad esempio stringere un gemellaggio con qualche realtà simile alla nostra a
livello europeo. Sarebbe un modo per esportare e far conoscere il nostro progetto all’estero, ma al
contempo conoscere da vicino altri modelli dai quali magari poter apprendere qualcosa.

Gli eventi nell’era del digital e della
crossmedialità
Sempre di più il digital sta monopolizzando gli investimenti di aziende di qualsiasi dimensione. Più
volte abbiamo parlato di come l’on line sia sempre più la “priorità” a discapito dell’off line.

Prima di scrivere questo articolo ci siamo chiesti se anche gli eventi stiano subendo la
cannibalizzazione del digital e se il concetto di crossmedialità è davvero obsoleto?

  Numeri alla mano pare proprio di no.
Chiaro che gli investimenti nella comunicazione on line hanno superato quelli nell’off line ma gli
eventi, oggi come all’ora, sono certamente uno degli asset principali della “comunicazione
off line”.

L’on line, appare evidente, è sempre più il viatico a supporto di tutte le attività off line che sia un
evento, un progetto di ambient marketing o di guerrilla.

I numeri, i dati, sono la cartina di torna sole di tutti gli investimenti in comunicazione e
quindi anche degli eventi. First party data, insight, dati sul convertion rate o sul redemption rate.
Questi ed altri KPI (misuratori di performance) sono sempre più centrali. Oggi, molto più
che in passato, sono gli stessi investitori (intesi come sponsor o partner di eventi) a richiedere
valutazioni precise pre e post evento per comprendere, magari in anticipo, il ROI (ritorno
sull’investimento) ed il ROE (ritorno sul valore).

In precedenza abbiamo parlato di crossmedialità. Concetto non nuovo, certo, ma sempre più
centrale nella testa di pubblicitari, marketers ed esperti di comunicazione.

Ma cosa intendiamo per “prodotti” crossmediali?

Sicuramente quelli che, fin dall’origine, sono pensati per poter essere declinati, senza snaturarne il
significato e i valori, su più media (tradizionali e non).

Ed è proprio seguendo una strategia crossmediale che oggi sono organizzati eventi di qualsiasi
grandezza ed in qualsiasi settore e che renderanno, in una certa maniera, la comunicazione off
line immortale.

Non è un caso, infatti, se sta riscuotendo diverso successo la società di software per l’event
management Eventtia che si occupa di integrare il digitale all’interno degli eventi. I
partecipanti agli eventi, infatti, interagiscono spontaneamente con il digitale durante la fruizione
dell’evento attraverso un app al fine di migliorare la loro esperienza.

  La comunicazione off line, e soprattutto gli eventi, saranno immortali, dicevamo.

Beh secondo le ultime statistiche, infatti, gli spazi fieristici continuano a crescere. L’associazione
mondiale dei quartieri e organizzatori fieristici ha pubblicato una mappa mondiale delle sedi
espositive aggiornata al 2017 nella quale si evidenzia come in 6 anni (dal 2011 al 2017) il numero
delle sedi fieristiche con più di 5mila metri quadrati di spazio sia aumentato da 1.204 a 1.221.

Ad un primo sguardo l’incremento potrebbe apparire irrilevante (+1,4%) ma l’estensione degli spazi
espositivi in questo tipo di sedi è aumentato del 7,2%, passando dai 32,5 milioni di metri quadrati
del 2011 ai 35 milioni del 2017.
Si investe sempre di più, quindi, in superfici che verranno adibite a fiere ed eventi (spesso
B2B).

  L’Asia è certamente il paese che più sta credendo e scommettendo in questo settore: in 6 anni +
  24,4%.
Ma l’Europa? Sicuramente non è da meno.
Un esempio su tutti è il Paris Convention Centre (inaugurato lo scorso novembre): un nuovo centro
congressi – all’interno del quartiere fieristico Paris Expo Porte de Versailles – in cui sono stati
investiti circa 180 milioni di euro.

La struttura vanta 72mila metri quadrati di superficie, una sala plenaria da 5.200 posti, 50 sale
modulari e una capacità complessiva di 35mila posti – che ne fanno il centro congressi più grande
d’Europa.

Per tornare nel nostro bel paese e comprendere dislocazione e concentrazione territoriale degli
eventi nazionali possiamo evidenziare che la Campania è certamente la più attiva. Le fiere a
carattere nazionale, infatti, sono concentrate al 30% in Campania, al 19% in Emilia Romagna e
all’11% in Friuli.

Circa gli eventi internazionali, invece, la Lombardia è senza dubbi in testa (30% del totale).
Il 2018, infatti, sarà per l’Italia un anno ricco di eventi internazionali che riguarderanno
principalmente i settori tessile-abbigliamento-moda (38 manifestazioni in programma), sport-hobby-
intrattenimento-arte (36 manifestazioni), gioielli-orologi-accessori (21 manifestazioni) e food-
bevande-ospitalità (21 manifestazioni).

  Insomma il digital sarà certamente il futuro ma gli eventi, soprattutto ideati in un’ottica
  crossmediale, saranno immortali.

Vita social: 10 regole per non cadere nella
rete

  Se sei sui social sei qualcuno. Ecco cosa permea tutta la modernità.

Gran parte di ciò che esiste è legittimato da una pagina Facebook, da un profilo Instagram, da un
account Twitter. Sono sempre più le aziende che preferiscono una buona gestione dei social
rispetto a un sito ingessato, strutturato e poco reattivo.

Ma se questo vale per le imprese ancora di più per il singolo che utilizza le diverse bacheche spesso
come fossero vecchie lavagne su cui si possa scrivere e cancellare.
Sfoghi, reclami, stati d’animo, arrabbiature? Tutto passa sotto gli occhi di tutti.
Il dilagare del fenomeno però ha incuriosito il legislatore e non solo per mettere dei paletti, se non
per legge, per netiquette.

10 punti su quello che sta succedendo.
1. La privacy.
Chi può leggere le mie informazioni? Chi vede le mie foto? Chi commentare ciò che scrivo? Il social
di Zuckerberg è tra i primi ad aver promosso una autoregolamentazione e avere ben chiarito
i casi di cessione di immagini, condivisione e gestione dei contenuti.

2. Dimentichiamoci il diritto all’oblio.
Se un utente si pente di contenuti postati, se alcune informazioni sono pregiudizievoli, se qualcosa
vuole essere scordato, nel web si può. Ma mentre Google mette a disposizione un modulo on
line, l’Unione Europea e il Garante della Privacy hanno posto una serie di vincoli, se e ma che
rendono la pratica più lunga e difficoltosa.

3. L’azienda risponde con i chatbot.
Da AirFrance a Ikea lo strumento dell’interazione via chat per info sui prodotti sta
prendendo piede e sostituendo il call center. Meglio l’intelligenza artificiale, almeno nelle
domande di primo livello.

4. Sfogarsi oppure offendere la reputazione altrui?
Se un tempo la giurisprudenza reputava le frasi scritte in bacheca sui social network come qualcosa
di riservato ad un gruppo ristretto di persone, la diffusione moderna di questi strumenti ha
fatto cambiare parere valutando passibile di multa o reclusione chi contravviene alla reputazione
pubblica.

5. Cyberbullismo.
La leggerezza con cui si postano e si commentano certe situazioni, o contenuti o foto, rischiano di
diventare moleste telematiche all’ordine del giorno per gli adolescenti e, talvolta giovani
ancora più piccoli. L’utilizzo degli hashtag rende un contenuto ancora più virale, facilmente
condivisibile con danni maggiormente impattanti.

6. Tutto per un minuto di celebrità.
Nulla come un social network può far passare dalle stelle alle stalle. Se un tempo erano solo i vip ad
essere paparazzati ora tutti possono selfarsi per manipolare un po’ la propria reputazione
oppure farsi riprendere, come il ragazzo di Padova che di fronte all’auto di Google Street View ha
mostrato in primo piano il lato B, per immortalarsi negli annali del web.
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che di fronte all’auto di Google Street View ha mostrato in primo piano il lato B. Fonte:
Tgcom24

7. A ogni mezzo la sua storia.
Non confondere le finalità dei social network è alla base della netiquette ma non per tutti è così.
Molti influencer di LinkedIn invitano gli utenti con un “keep professional” e le utenze
Premium permettono di fare cernita tra chi vuole usarlo come piattaforma per lavoratori e chi lo
impiega come una nuova chat per il gossip da macchinette del caffè.

8. Dal televoto al teletwitt.
I mezzi di comunicazione cercano di legarsi a doppio filo con i social e, spesso, ci riescono. I
commenti in tempo reale, la creazione di hashtag ad hoc, la possibilità di interagire con il
programma a costo zero, spingono sempre più utenti a diventare attivi anche con la tv.

9. Quando per diventare famosi si passa da grandi flop.
Un numero crescente di personaggi, trasmissioni, post sono diventati famosi grazie alle prese in
giro, bonarie, che li hanno fatti diventare virali. Così prima ciò che premiava era il talento, ora
il successo passa dalle figuracce.

10. Disinformazione.
La facilità di diffusione della rete aiuta anche il proliferare delle fake news che, se talvolta sono
solo assurde, altre volte generano ingiustificato allarmismo o muovono gruppi di opinione.
L’Unione Europea sta già pensando a mettere in piedi una legge per arginare il fenomeno e l’Italia è
tra i casi studio.

  Le sfaccettature della rete sono molte e trabocchetti, nascondini, potenzialità si scoprono solo col
  tempo. Lo stesso tempo che il web non concede.
Il fenomeno del Live tweeting – perché
tutti vogliono “cinguettare”
Vi è mai capitato di partecipare ad un evento/convegno/congresso e seguire in “diretta twitter” i
commenti o le dichiarazioni fatte nel durante e spesso proiettati sugli schermi in sala? Oppure vi
sarà capitato di seguire in diretta su twitter tutto il flusso dei messaggi durante una trasmissione
televisiva.

  Avete assistito al “Live Tweeting” o semplicemente il tweettare in diretta qualcosa, diffondere in
  tempo reale via twitter un evento cui si sta assistendo “in presenza”.

E’ di tendenza ma non soltanto perché “fa figo” e lo fanno tutti, ma perché in realtà a livello di
immagine aziendale può portare dei forti benefici, rappresentando un’azienda che interagisce,
che dialoga ma anche innovativa e attiva oltre a mostrare ad un audience on line, quello che si fa.

Scopriamo insieme le opportunità del live tweeting e cerchiamo di capire di più sul
fenomeno.

Se ad aver organizzato l’evento è un’azienda o una istituzione fare il live tweeting significa
ampliare la portata dell’evento stesso anche a chi non è in aula aumentandone decisamente la
visibilità in rete, lasciando il compito a twitter di diventare un ottimo strumento di promozione e
di comunicazione innovativa ed interattiva soprattutto se i tweet vengono letti in sala e
diventano argomento di dibattito, rispondendo a possibili domande pervenute.
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e: ticketbooth

Spesso il live tweeting non è organizzato ma semplicemente nasce spontaneo tra i partecipanti
all’iniziativa; utilizzano il tweettare in diretta un convegno come un modo per ottenere visibilità
(self promotion) dimostrando che si partecipa a convegni interessanti e creando Engagement sulla
rete estraendo contenuti dalle varie discussioni che possono diventare virali e fonte interessante di
notizie su determinati temi. Diventa motivo di follower e di aumentare la propria rete, partendo
proprio dai partecipanti al convegno, interessati allo stesso modo ai suoi contenuti.

  Certo bisogna saperlo fare, nel modo giusto e intrigante soprattutto per stuzzicare il re- tweet e
  far diventare il post virale e carico di interesse.

Ciò che va per la maggiore sono estratti / frasi interessanti dei relatori o delle presentazioni
citandone la fonte (@) spesso anche le domande e risposte dal dibattito in sala, creano interesse e
voglia di seguire la discussione on line aggiungendoci, poi, la propria opinione, abbinandoci un
hashtag (#) idoneo si rende tutto più personalizzato.

Gli hashtag, sono quei simpatici cancelletti “#” che compaiono in ogni dove sui post social
e che stanno cambiando il modo di fare comunicazione in rete, aiutano chi è su twitter, ma sui social
in generale, a seguire facilmente un argomento, organizzando i contenuti per parole chiave. E’
tutta una questione di associare la frase giusta all’ #giusto citando @ la persona giusta e il post, se
valido e fatto di contenuti interessanti, diventa così tanto popolare da essere ripreso, in caso di
eventi importanti, anche da testate giornalistiche aumentandone la popolarità.

E’ il caso degli hashtag ufficiali, quelli generati per promuovere ufficialmente un evento e che
andrebbero re-twittati così da far confluire anche i nostri tweet nel medesimo flusso, questo però,
non ci vieta di aggiungerne di nuovi e … provare l’effetto che fa!
Sono nate statistiche sui tweet più famosi di sempre se siete curiosi trovate qui la classifica dei top
ten, “rubatene” l’utilizzo e buon tweet a tutti!

Cinema, internet e social network
Da sempre il Cinema ha subito continue influenze derivanti dai molteplici cambiamenti della società,
che si sono sviluppati nell’arco dei suoi 120 anni di vita. L’arte cinematografica appare dunque come
un’arte alla continua ricerca di nuovi stimoli e territori da esplorare. Il cinema mondiale infatti, già
da qualche anno ha rivolto spesso la propria attenzione a quello che, da un punto di vista
sociologico, è di gran lunga il fenomeno di maggior rilievo da almeno un decennio a questa parte: la
diffusione dei social network e il ruolo preponderante che la comunicazione via internet ha assunto
nella nostra esistenza. Internet, del resto, costituisce uno degli aspetti fondamentali della nostra vita
quotidiana: per molti di noi a livello professionale, per quasi tutti noi pure nelle relazioni sociali, che
volenti o nolenti oggi passano in gran parte (in alcuni casi, soprattutto) attraverso la rete. E il
cinema, ovviamente, non poteva non essere contagiato da un elemento tanto importante, se non
addirittura emblematico della nostra epoca.

La curiosità del cinema nei confronti della realtà virtuale di internet (e dell’area social nello
specifico) ha abbracciato generi diversi, dal dramma alla commedia, passando anche per l’horror.
Nel 2010 ad esempio, nel pieno dell’esplosione della popolarità di Facebook, il regista giapponese
Hideo Nakata, ha realizzato un thriller dall’ambientazione assai atipica: I segreti della mente. Il
film si svolge quasi del tutto all’interno delle chatroom. Aaron Taylor-Johnson interpreta il ruolo di
William Collins, adolescente di Chelsea, disadattato e con tendenze autolesioniste, che decide di
sfogare la propria depressione nel dialogo virtuale con quattro suoi coetanei sconosciuti; ma il
tentativo di condividere i rispettivi problemi sfocerà in un meccanismo di sudditanza psicologica
gravido di rischi.

Parlando di cinema, internet e social media, un’altra tematica verso cui diversi film hanno puntato lo
sguardo è la voglia di essere notati e di apparire esattamente il contrario di quello che siamo nella
vita reale: quella bizzarra commistione fra la volontà e l’esigenza di aprirsi a un ‘auditorio’ quanto
più vasto possibile e le barriere di una solitudine che, talvolta, la rete non fa altro che accentuare.
Questo è uno degli aspetti rintracciabili, nel capolavoro dedicato al fenomeno della socialità in rete:
The Social Network, il film del 2010 di David Fincher sceneggiato da Aaron Sorkin e ricompensato
con tre premi Oscar. Se The Social Network costituisce una sapiente ricostruzione della nascita di
Facebook e un intrigante ritratto del suo creatore, il giovane e ambizioso Mark Zukerberg (Jesse
Eisenberg), il valore della pellicola va al di là della cronaca di una svolta epocale per il nostro stile di
vita: perché all’interno del film si può cogliere pure una riflessione amarissima sui social media
come compulsiva forma di reazione ad un senso di isolamento, di alienazione e di rifiuto contro il
quale, però, non basterebbero neppure cinquemila “amici”, giusto per parafrasare il limite di
amicizie per ogni profilo su facebook.

Dall’ambito della socialità sul web ci spostiamo ora verso fenomeni pur sempre collegati ad internet
come “villaggio globale”, in cui la riservatezza- e la segretezza – sono beni preziosi nonché oggetti di
violazioni e diffusioni indesiderate. E il cinema dell’ultimo lustro ha affrontato questo peculiare
aspetto nelle maniere più differenti, dalla docu-fiction alla comicità, dai pubblici scandali sulla
politica mondiale ai piccoli scandali di singoli individui. A tal proposito molto riuscita appare la
commedia Sex Tape – Finiti in rete (2014), per la regia di Jake Kasdan, che getta uno sguardo
sulla moda dei filmini erotici “fatti in casa”, con Cameron Diaz e Jason Segel nei panni di una coppia
che, per errore, diffonde sul web un video osé che sarebbe dovuto restare privato.

Interessante anche Friend Request (2016), che parte da interrogativi che tutti coloro che
frequentano i social network si sono posti (o dovrebbero porsi) più e più volte: qual è il “codice di
comportamento” più corretto laddove le nostre interazioni con l’altro sono filtrate interamente
attraverso internet? E in quale misura una richiesta d’amicizia approvata o respinta può influire
sulla nostra privacy e sul modo in cui scegliamo di ‘proporci’ al mondo esterno?

Concludiamo il saggio con un film tutto italiano, ovvero il nostrano Perfetti sconosciuti (2016) che
getta uno sguardo terribile e aberrante sui piccoli, grandi, meschini segreti che ognuno di noi
nasconde tra smartphone, facebook e watshapp. Il concetto del film di Paolo Genovese si riassume
tutto in questa frase: “Quante coppie si sfascerebbero se uno dei due guardasse nel cellulare
dell’altro?” È questa la premessa narrativa dietro la storia di un gruppo di amici di lunga data che si
incontrano per una cena destinata a trasformarsi in un gioco al massacro. E la parola gioco è forse la
più importante di tutte, perché è proprio l’utilizzo “ludico” dei nuovi “facilitatori di comunicazione” –
chat, whatsapp, mail, sms, selfie, app, t9, skype, social – a svelarne la natura più pericolosa: la
superficialità con cui (quasi) tutti affidano i propri segreti a quella scatola nera che è il proprio
smartphone (o tablet, o pc) credendosi moderni e pensando di non andare incontro a conseguenze, o
peggio ancora, flirtando con quelle conseguenze per rendere tutto più eccitante. I “perfetti
sconosciuti” di Genovese in realtà si conoscono da una vita, si reggono il gioco a vicenda e fanno fin
da piccoli il gioco della verità, ben sapendo che di divertente in certi esperimenti c’è ben poco. E si
ostinano a non capire che è la protezione dell’altro, anche da tutto questo, a riempire la vita di
senso.

Paolo Genovese affronta di petto il modo in cui l’allargarsi dei cerchi nell’acqua di questi “giochi”
finisca per rivelare la “frangibilità” di tutti: e la scelta stessa di questo vocabolo al limite del
neologismo, assai legato alla delicatezza strutturale di strumenti così poco affidabili e per loro stessa
natura caduchi come i nuovi media, indica la serietà con cui il team degli sceneggiatori ha lavorato
su un argomento che definire spinoso è poco, visto che oggi riguarda (quasi) tutti. Il copione lavora
bene sugli incastri e sugli snodi narrativi che rimangono fondamentalmente credibili, instilla verità
nei dialoghi (che certamente verranno riecheggiati sui social e nelle conversazioni da salotto, perché
questo fanno certe “conversazioni”: l’eco), descrive tipi umani riconoscibili. Il cast, anch’esso corale,
fa onore al testo, e ognuno aggiunge al proprio ruolo una parte di sé, un proprio timore reale.

Perché questa società così liquida da tracimare di continuo, sommergendo ogni nostra certezza, fa
paura a tutti, e tutti ne portiamo già le cicatrici, abbiamo già assunto la posizione del pugile che
incassa e cerca di restare in piedi (o sopravvivere, come canta il motivo di apertura sopra i titoli di
testa). Il tono è adeguato alla narrazione: non farsesco, non romanticamente nostalgico, non cinico,
ma comico al punto giusto, con sfumature sarcastiche e iniezioni di dolore. Questa “cena delle beffe”
attinge a molto cinema francese e americano, ma la declinazione dei rapporti fra i commensali è
italiana, con continui riferimenti a un presente in cui il lavoro è precario, i legami fragili e i sogni
impossibili. La scrittura è crudele, precisa, disincantata, e ha il coraggio di lasciare appese alcune
linee narrative, senza la compulsione televisiva a chiudere ogni scena. C’è anche una coda alla
Sliding Doors che mostra come il “gioco” (prima che diventi al massacro) sia gestibile solo con
l’ipocrisia e l’accettazione di certe regole non scritte: ed è questa la strada che più spesso scelgono
gli esseri “frangibili”.

The Rearview Mirror: February 2018
The starting point is the GDP data released by Commerce Department on Friday: the US economy
grew up 2.6% in the last quarter of 2017 below the 3% estimated by analysts but reinforcing the
solid growth pattern. On top of it, some categories of the GDP are, by definition, more
volatile. In particular, the difference between imports (13.9%) and the less reactive exports (6.9%)
dented the overall measure as well as a fall in inventories was a negative contributor.

Havin said that, the following price action suggested a very optimistic mood for risky assets. The US
indexes recorded new highs, also due to the superior performance of Tech and Health Care names.
Investors are starting to price in the Tax Reform benefits meanwhile several CEOs are
planning to increase their investments. On the other hand, the US government curve continued
to slowly reprice a higher yield scenario, but still it is the short end that appears to be more reactive,
pricing already 2.5 rate hikes for the 2018. The long-end still sluggish to incorporate higher
inflation expectations and higher structural growth.

But the situation could rapidly change.
Here below we identified 3 main reasons why we could experience a steepening of the yield
curve.

a) Pressure dynamics into the job market. Although companies are planning to invest in more
machinery and robots in order to boost their productivity, the upcoming data could reiterate a trend
that will push the unemployment rate even below 4%. Overall, it is getting harder and harder to find
new qualified employers. The average hourly payment should benefit from these dynamics and
consequently push higher the inflationary expectations.

b) Technical triggers related to the issuances plan of new debt. At the moment, the risk is
mispriced and in some way undervalued for the long-end of the Treasury curve. According to the
several banking studies, any increase of more than 1bn dollars for the 10s and 30s buckets of the
curve for the upcoming auctions would cause a steepening effect. Hence, the combination of the
reduction of the FED balance sheet within the increase of fiscal deficit, could ample the need of
financing with long maturity.

c) Without talking about the commodities effect, which now is clearly affecting the price
pressure but can suffer some volatility due to a possible dollar appreciation, I would like to focus on
something that is already signaling an alert. The difference between the 30yr Treasury and the
correspondent fixed rate of 30yr interest swap rate is narrowing. Precisely the swap spread is
highlighting the fear perceived by investors of greater issuances.

To sum up, if the economic data are still supportive, with a fiscal cut and deregulation that is
approaching to the market, the equity will continue to benefit until we do not experience a full
repricing of the yield curve that could undermine the pile of debt of single corporates.

                                                                   Christian Zorico: LinkedIn Profile

Lo Specchietto Retrovisore. Analisi sullo
stato di salute dell'economia in Italia
Siamo ormai a meno di un mese e mezzo dalle elezioni politiche italiane e il Bollettino
Economico di Gennaio a cura di Banca d’Italia rappresenta l’occasione ideale per fare il punto
sullo stato di salute del Bel Paese quando ci si approccia a “donare” il proprio voto confidando
nelle varie promesse elettorali. È quantomeno opportuno comprendere la situazione da cui si parte e
tutto quello che ci portiamo come eredità.

Iniziamo con evidenziare che l’intero quadro economico non ha toni preoccupanti. Anzi la
fotografia che ne deriva racconta di un’Italia la cui espansione economica è in fase di
consolidamento, coadiuvata sia dai consumi interni che dall’aumento delle esportazioni. Basti
pensare che nei quattro trimestri che terminano nello scorso settembre si è registrato un avanzo di
conto corrente pari al 2.8 per cento del PIL.

Un Prodotto Interno Lordo che ha continuato a crescere, secondo le stime di Banca d’Italia, dello
0.4% anche nel quarto trimestre del 2017, replicando di fatto il dato del terzo trimestre. A fare da
volano alla ripresa economica, sicuramente da citare la spesa per gli investimenti e una
fiducia delle imprese ai livelli precedenti la recessione del 2008. Se guardiamo all’area Euro,
l’Italia è inserita in un contesto le cui prospettive di crescita risultano essere ancora
migliorate e, stando alle stime di Eurosistema, il PIL si espanderebbe del 2.3 per cento per il
2018. Anche a livello mondiale, il ciclo economico sembra essere tuttora in espansione e, almeno nel
breve termine, non si avvisano segnali di rallentamento. Resta un’incognita, nel senso di non
pervenuta, la pressione sui prezzi. Infatti, l’inflazione è l’unica variabile che nell’attuale contesto
sembra non volersi palesare, destando preoccupazioni a livello monetario e incidendo sulle scelte
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