L'Autonomia del Nord vista da Visentin "Sembrano prove tecniche di secessione" - Anci FVG
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IL MESSAGGERO VENETO 18 FEBBRAIO 2019 L'ex deputato e senatore leghista, tra i fondatori del Patto, analizza le richieste avanzate da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna L'Autonomia del Nord vista da Visentin «Sembrano prove tecniche di secessione» L'INTERVISTA MATTIA PERTOLDI Roberto Visentin è uno che da anni, ormai, ha rinunciato alla "prima linea" politica. All'ex parlamentare leghista piace lavorare nell'ombra, dietro le quinte, come ha fatto - e continua a fare - in nome per conto del Patto per l'Autonomia. Tra i fondatori della lista che a fine aprile è riuscita a portare a casa due consiglieri regionali, Visentin ha, alle sue spalle, un bagaglio di esperienza enorme e una personalissima visione del Governo nazionale e soprattutto delle richieste di maggiore autonomia del Nord.Visentin, conoscendola non abbiamo molti dubbi sul fatto che non condivida le politiche del Governo gialloverde. Corretto?«Diciamo che se le proposte della politica italiana del novecento erano caratterizzate da quello che possiamo chiamare il provvisorio stabile ora l'evoluzione del "Governo del cambiamento" ha impostato una specie di provvisorio instabile. L'instabilità del provvisorio, cioè, impedisce ogni tipo di programmazione, per cui si naviga a vista nella fitta nebbia delle proposte senza strumenti che consentano l'orientamento».Secondo lei questo Governo durerà ancora molto?«Io lo chiamo il Governo dei costretti a governare che, tra l'altro, evidenzia la fantasia italiana e l'inesistenza di una concreta alternativa. L'elenco dei provvedimenti realizzati è talmente falso da creare dibattiti sul nulla scatenando i tifosi delle parti avversarie che, casualmente ma pure tragicamente, governano assieme. Ma l'ubriacatura finirà ed esaurita la propaganda resteranno le macerie di un Paese soffocato dalla vecchia burocrazia e devastato dalle mirabolanti promesse non mantenute».Non le sembra di esagerare o di essere eccessivamente pessimista?«No e per capire la pericolosità del Governo è necessario ritornare alla proposta di creazione della Padania, termine recuperato da Umberto Bossi per lanciare la proposta di divisione dello Stato italiano. Bossi definiva il Paese come pura espressione geografica alla quale contrapponeva un'altra pura e semplice espressione geografica, peggiore di quella che voleva eliminare, ovvero la Padania. La proposta di secessione però partiva da considerazioni valide ancora oggi».E quali erano?«La prima diceva che se esiste una questione meridionale è altrettanto vero che quella settentrionale non poteva essere dimenticata. La seconda è che il modello di sviluppo e di gestione della cosa pubblica non poteva essere lo stesso per tutto lo Stato. Per realizzare il progetto Bossi puntò su una rivendicazione di diritti in favore del Nord e solo per facili strumentalizzazioni fu interpretata come una proposta contro il Sud: era in favore di se stessi non contro qualcuno».Scusi, ma oggi cosa c'è di diverso?«La proposta di Bossi rappresentava un atto d'amore verso il territorio di appartenenza non di odio verso gli altri. Adesso invece i grillini, nel loro impeto giustizialista, dopo l'Europa, i poteri
finanziari e i politici, sostenendo il reddito di cittadinanza stanno scatenando una reazione mai vista prima d'ora contro i meridionali e gli amministratori del Sud».Il contraltare non è quindi la maggiore Autonomia del Nord?«No, e penso che in parallelo si scatenerà altrettanto odio anti-settentrionale. Se le azioni del Governo nascondono un progetto di divisione dello Stato, allora Bossi ringrazierà dicendo addio all'idea federale, ma se alle spalle di queste decisioni non c'è, come sospetto, una volontà precisa, allora povero Paese. A governare sarà il caso e non la volontà di coloro che dovrebbero progettare lo sviluppo dell'Italia».In definitiva, quindi, lei vede il futuro nero...«Dando per scontato che fa più danni un incapace di un ladro e che, di conseguenza, l'onesta è una precondizione non una giustificazione per l'inettitudine, direi che possiamo usare le parole di Henri-Fredèric Amiel per descrivere la fumosità delle proposte attuali».Ci rinfresca la memoria?«Amiel sosteneva che "le masse saranno sempre al di sotto della media, la maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà e la democrazia arriverà all'assurdo rimettendo la decisione sulle cose più grandi ai più incapaci"». Inclusione e accoglienza contro i disvalori della destra Le prossime elezioni europee saranno le più importanti da quando, nel 1979, si è tenuta la prima elezione diretta per il Parlamento europeo. Da allora l'Unione si è trovata a fronteggiare molte criticità, dal costruirsi un ruolo negli anni della Guerra Fredda fino alla sfida della moneta unica, passando per crisi e tensioni sociali. Ma queste sfide sono state affrontate sapendo che la grande maggioranza dei popoli condivideva il sogno di pace, solidarietà e unità dal quale l'Unione è nata.Oggi non siamo sicuri sia ancora così. In molti Paesi serpeggiano sentimenti antieuropei, isolazionisti, nazionalisti e reazionari abilmente fomentati da classi politiche di straordinario cinismo. E chi ancora crede alla vitalità perdurante del sogno europeo è costretto sulla difensiva, quasi a doversi giustificare per preferire un mondo solidale, inclusivo e aperto a uno chiuso ed egoista. Complessa appare la posizione delle forze di sinistra. In tutta Europa sono queste ad aver pagato il conto elettorale della crisi economica e della globalizzazione, per non aver saputo promuovere politiche in grado di temperare il rigore economico con la salvaguardia delle conquiste sociali del '900. E oggi la partita di una rilegittimazione dell'Europa si gioca proprio nel campo progressista, attraverso la definizione di idee di inclusione e innovazione sociale ed economica sostenibile capaci di recuperare il consenso di quei ceti popolari usciti impoveriti dai processi in atto. In Italia e in Europa la sinistra non può più permettersi di marciare in ordine sparso o di limitarsi a una retorica meramente difensiva. Ai disvalori della destra populista vanno opposti i valori dell'inclusione, dell'accoglienza, dell'uguaglianza e della solidarietà non solo tra ceti sociali, ma anche tra generazioni. Si parla molto in questi giorni di liste o listoni per le europee. La cosa peggiore che potrebbe essere fatta in tal senso è annegare il tema in un politicismo tutto sigle e formule a scapito dei contenuti.Penso invece che per fare ripartire il sogno europeo sia necessario affermare fortemente che crediamo in un welfare europeo, in un modello di accoglienza europeo, una fiscalità europea che si ponga il problema di rendere più equo un sistema nel quale le grandi multinazionali - in particolare Amazon, Google e gli altri giganti del web - sono sostanzialmente affrancati dall'onere di pagare le tasse a fronte di fatturati stellari. Non è più pensabile un sistema dove i capitali circolano liberamente, ma i diritti si fermano ancora alla dogana. Dobbiamo inoltre immaginare un'Europa che riacquisti una leadership politica e morale in temi fondamentali come la pace e la salvaguardia
ambientale e su questi temi la sinistra o gioca un ruolo da protagonista oppure non ha senso di esistere.Per contrastare realmente queste ingiustizie la dimensione statale (e ancor meno quella sub- statale) non è certo adeguata: è solo un rafforzamento dell'Europa come istituzione e come idea di comunità che può agire utilmente in questo senso.Il dibattito di questi giorni non ci aiuta. Dobbiamo tutti impegnarci per dare vita a una proposta politica il più possibile unitaria, che valorizzi non solo le appartenenze partitiche ma anche il patrimonio di competenze, esperienze e passione civile che emerge dal mondo associativo e dalla dimensione civica, trovando il modo di costruire nuove forme di partecipazione democratica per una Europa non solo dei governi, immaginando un grande spazio europeo delle comunità e delle città, dell'educazione e della ricerca. Questo sforzo unitario vale in particolare per la nostra Regione, per la sua collocazione geopolitica, per il prezzo che noi per primi pagheremmo in caso di un indebolimento strutturale dell'Unione e perché da quasi un anno viviamo ogni giorno le conseguenze nefaste di un governo regionale autoreferenziale e ostile anche al solo vocabolo "Europa", che non compare nei provvedimenti legislativi. 17 FEBBRAIO 2019 Ciriani e Provincia unica Mattia Pertoldi udine. Pordenone chiude all'ipotesi della Provincia unica del Friuli. Il contraltare all'apertura manifestata da Rodolfo Ziberna per Gorizia, infatti, si materializza per bocca dei principali esponenti politici della Destra Tagliamento, a partire dal sindaco di Pordenone Alessandro Ciriani.«La mia posizione resta quella di sempre - spiega il primo cittadino -: non serve a nulla complicarsi la vita da soli. Come Pordenone, rivendichiamo la nostra autonomia attraverso la restituzione della Provincia che rappresenta non soltanto l'identità locale, ma anche il metodo più funzionale di gestione del territorio». Per cui «idee balzane come quella che porta a una specie di "Provincione" non servono a nulla» sia perché «è inutile riattivare vecchi progetti legati al Friuli storico che non hanno mai visto la luce per la resistenza dei territori» sia perché «andremmo a creare una specie di Regione-bis mentre oggi abbiamo bisogno che il centro deleghi funzioni e competenze verso la periferia».Il no, senza troppi giri di parole, è dunque deciso e totale. «Capisco, anche se non è un mio problema, la necessità degli amici di Gorizia e Trieste di trovare una soluzione adeguata - conclude il sindaco -, ma per quanto riguarda Udine e Pordenone dico di lasciarle esattamente com'erano. Massimiliano Fedriga e Pierpaolo Roberti hanno avviato un processo di riforma coerente con le identità dei territori e con quello che abbiamo sostenuto in campagna elettorale. Lasciamoli lavorare in pace visto che abbiamo bisogno di tutto tranne di laboratori che generino una sorta di Frankenstein istituzionale come con le Uti».E a fare eco al primo cittadino, bocciando la proposta di Piero Mauro Zanin, ci pensa il fratello, e capogruppo di Fratelli d'Italia in Senato, Luca Ciriani. «Da queste pari siamo tutti compatti - sostiene - nel premere per il ritorno alle quattro Province così come sono esistite per decenni. La nostra Regione ha vissuto per tanti anni su un equilibrio fragile, ma fondamentale, basato sui quattro enti. Attenzione, quindi, a scherzare con il fuoco e a sottovalutare, come ha fatto Debora Serracchiani, la sensibilità popolare perché qui non siamo a Yalta dove si disegnavano i confini dell'Europa del futuro prendendo in mano squadra e righello».Chiusura finale, sulla stessa linea d'onda, per Alessandro Basso. «Non dico che
alzeremo le barricate - dice il consigliere regionale di Fratelli d'Italia -, ma certamente non dimentico il mandato ricevuto dagli elettori pordenonesi che mi hanno mandato in Consiglio anche perché offesi dal depauperamento subito dal territorio per mano del centrosinistra. Sulla Camera di commercio, così come sulla Provincia, c'è stata una sollevazione popolare che impone a tutti di non procedere verso nessuna, pericolosa, marcia indietro». gli autonomisti Il Patto è possibilista «Pronti a discuterne» udine. «La proposta di Piero Mauro Zanin ha aperto un dibattito interessante. Come Patto per l'Autonomia - afferma il capogruppo in Consiglio regionale, Massimo Moretuzzo - ci dichiariamo disponibili fin da subito, su questa proposta, a partecipare a una discussione vera, a un ragionamento che superi le battute e i tatticismi per arrivare a una soluzione capace di guardare davvero al futuro di questa terra».Certo, gli autonomisti, però, pongono alcune questioni. «La prima questione - spiega - riguarda il ruolo di Monfalcone, che sia Zanin sia Pietro Fontanini danno ormai per de-friulanizzata e consegnano a Trieste. Sarebbe interessante capire cosa ne pensano i cittadini monfalconesi. Così come sarebbe interessante capire cosa ne pensano i territori del Friuli occidentale, in particolare quelli la cui identità friulana non è così forte e sentita come in altre zone. Altra questione è il rapporto fra Friuli e Trieste, sempre più avviata al suo destino di città o area metropolitana. Zanin sostiene che il Friuli è sempre più "retroporto naturale dell'area metropolitana giuliana", cosa significa? Sullo sfondo rimangono poi i Comuni, che dovrebbero essere il perno di questi ragionamenti e che invece sono abbandonati al loro presente fatto di tagli, di organici scoperti, di burocrazia soffocante». Aperta a 99 giorni dal voto la campagna per le Europee di fine maggio Obiettivo principale la riconferma a Bruxelles della parlamentare uscente Il Pd regionale si ricompatta attorno al nome di De Monte Alessandro Cesare codroipo. È partita dal Medio Friuli la rincorsa di Isabella De Monte al Parlamento Europeo. Per il lancio della sua candidatura, avvenuta al ristorante Del Doge di villa Manin, tutto il Pd regionale ha fatto quadrato, tralasciando per un po' le divisioni interne in vista dell'approssimarsi delle primarie nazionali.È stato il segretario Fvg, Cristiano Shaurli, a riempire di significato le elezioni europee: «Siamo una delle prime regioni a far partire la campagna elettorale perché consideriamo prioritario questo appuntamento, anche più del nostro Congresso. Ci troviamo di fronte a un bivio tra chi, come noi, crede ancora fortemente nell'Europa, e chi la considera un nemico o un ostacolo». Da qui la scelta di Shaurli di allargare oltre il Pd questa "battaglia" contro la deriva nazionalista: «Chiunque voglia costruire un'alternativa all'autoritarismo che rischia di affossare l'idea di Europa può trovare collaborazione nel Pd». A chi fa notare che la strada, per i dem, anche dopo quanto successo in
Abruzzo, appare in salita, Shaurli ha risposto così: «Cominciamo subito a levarci quell'aria di pessimismo che ci portiamo sulle spalle, perché questa battaglia è fondamentale. Togliamoci alibi puntando ad avere un rappresentante eletto al Parlamento europeo per il Fvg».A tentare la sfida, come detto, sarà De Monte, che dopo un primo mandato passato a Bruxelles, ha intenzione di centrare il bis: «Rispetto a 5 anni fa è cambiato tutto, ma non la voglia di spiegare quanto l'Europa possa essere utile per i cittadini. Sappiamo che sarà una campagna elettorale in salita, ma voglio restare fiduciosa, perché considero essenziale, per il Fvg, continuare a essere rappresentato a Bruxelles. In questi anni ho lavorato per dare voce ai cittadini, alle imprese e ai lavoratori della mia regione e del Nordest, e continuerò a farlo puntando a raggiungere progetti pratici e risultati concreti, nel segno di un'Europa utile e dei diritti».Tra i presenti a Codroipo, anche il capogruppo in Consiglio Sergio Bolzonello, che non ha voluto far mancare il proprio appoggio a De Monte: «Abbiamo bisogno di vincere e di fare in modo che Isabella continui a rappresentarci: ha lavorato bene, con rigore, e con lei c'è stata un'interlocutrice straordinaria che ha dato ottimi risultati». Al voto per le europee mancano 99 giorni: periodo durante il quale De Monte ha intenzione di ascoltare le istanze provenienti dal territorio. Ha iniziato ieri da Codroipo, dando spazio a tre testimonianze della società civile: lo studente Nicolò Miotto, l'economista Paolo Ermano e l'imprenditrice Sabrina Puleo. Tra i fan di De Monte, c'è anche una campionessa olimpica, Gabriella Paruzzi, che ha voluto esprimere, in un video, il proprio appoggio «a una donna di montagna, forte e determinata, come lei». maltempo Conficoni: al Veneto altri 900 milioni e il Fvg fermo udine. «Mentre il Veneto di Zaia procede a ritmo incalzante nei confronti del governo nazionale, difendendo le proprie istanze senza esitare ad alzare la voce, il Friuli Venezia Giulia guidato da Fedriga è ancora fermo al palo». A dirlo è il consigliere regionale del Pd Nicola Conficoni commentando l'annuncio del presidente Zaia sul fatto che il Veneto riceverà dallo Stato ulteriori 900 milioni di euro per fronteggiare gli ingenti danni causati dal maltempo a ottobre 2018. «Non sappiamo se avremo o meno i soldi per i danni del maltempo, ma sappiamo che in questo momento c'è poco o nulla mentre intere comunità in ginocchio ancora aspettano. Eppure anche la nostra montagna, duramente colpita dalla forte ondata di maltempo di fine ottobre, merita certezze. Ma dopo quello che è stato quasi un carosello, dove il presidente Feriga e l'assessore Riccardi hanno vantato i 6,5 milioni assegnati dallo Stato, non abbiamo saputo più nulla se non che i danni complessivi superano i 600 milioni». ferrovie Trieste-Venezia ferma e Santoro se la prende con leghisti e grillini
udine. Sulla velocizzazione della tratta ferroviaria Trieste-Venezia è iniziato il rimpallo di responsabilità. I lavori di realizzazione dell'intervento da 1,8 milioni di euro che ha preso il posto della Tav orientale nel piano investimenti di Rfi non sono partiti, i progetti non ci sono e nemmeno le risorse (salvo 200 milioni di euro). Ma di chi è la responsabilità?La consigliera regionale Mariagrazia Santoro (Pd), già assessore ai Trasporti nella giunta Serracchiani, punta il dito contro gli esponenti regionali di M5s e Lega: «Dovevano darsi da fare prima - attacca la democratica - quando si costruiva la Finanziaria nazionale, e far inserire dal governo amico le risorse che servono alla velocizzazione della tratta Trieste-Venezia. Non serve a niente lamentarsi, solo per aver qualcosa da dire: ricordino che per la nostra regione il governo ha messo zero euro».Replica così Santoro alle dichiarazioni del consigliere pentastellato Cristian Sergo e del suo successore ai Trasporti, Graziano Pizzimenti, in merito alla mancanza di risorse necessarie ad avviare i cantieri. Per Santoro, «una parte dei 200 milioni disponibili dovrebbe essere stata spesa sul nodo di Latisana, ma è evidente che vorremmo fosse rapidamente impiegato anche il resto. E auspichiamo che poi arrivi almeno una consistente altra tranche per avanzare con i lavori: Fedriga e Patuanelli dovrebbero cominciare a fare pressioni già da ora. Perché queste - affonda Santoro - non sono opere che si fanno con i pochi milioni per gli investimenti annunciati con il patto Stato-Regione».La risposta di Sergo arriva a stretto giro. «È avvilente verificare che chi doveva occuparsi di queste cose negli scorsi 5 anni non abbia idea di cosa è stato fatto, vale dire nulla per velocizzare la linea salvo un polo intermodale per rallentarla, e non dia spiegazioni sul perché le Frecce oggi ci mettano dieci minuti in più a percorrere la Trieste-Venezia rispetto al passato». 16 FEBBRAIO 2019 Udine e Gemona saranno le prime città con il Gigabit Nel 2019 sono previsti allacciamenti in 112 comuni Banda ultralarga in metà regione Entro quest'anno aperti 71 cantieri Maura Delle Case udine. Metà dei Comuni Fvg sarà agganciata alla banda ultralarga entro la fine dell'anno. Udine e Gemona saranno le prime aree della regione a poter vantare una rete in fibra ottica Ftth (Fiber to the home) capace di viaggiare a Gigabit al secondo arrivando direttamente nelle case e nelle aziende. Entro la fine del 2019 a queste aree "nere", dove nero per una volta indica un fattore positivo e cioè l'appetibilità di mercato, si aggiungeranno 110 Comuni. Aree "bianche", a fallimento di mercato, dove non essendoci interesse da parte dei privati interverrà Open Fiber, società partecipata da Cdp ed Enel che su mandato di Infratel (in house del Mise delegata ai piani di banda larga e e ultra larga) sta realizzando la banda nelle aree bianche, per un valore a bando che in Fvg è di 100 milioni di euro.Ai cantieri partiti nel 2018 in 39 comuni (vedi piantina a fianco) se ne aggiungeranno 71 nel 2019. In totale, sommate Udine e Gemona (dove Open Fiber agisce in veste privata), saranno dunque 112 i Comuni interessati entro fine anno alle opere di infrastrutturazione.A fare il punto è l'esecutivo di Anci Fvg che, a valle di un incontro con i vertici di Open Fiber, delinea una situazione a doppia velocità, con
metà della regione che viaggia a passo spedito verso la connettività veloce e l'altra metà che invece non sa se, da chi e quando verrà connessa alla banda ultra larga. Vale per i restanti comuni bianchi (molti dei quali non hanno ancora sottoscritto la convenzione con Open Fiber), ma soprattutto per le aree "grigie", aree appetibili in teoria ma non in pratica, che restano invece al palo, in attesa, legate alla nuova consultazione aperta dal Mise con i gestori privati.L'associazione del Comuni denuncia il rischio di stallo. «In Fvg le zone grigie corrispondono ad aree a grosso impatto socio-economico, che spesso si trovano a ridosso delle città e rischiano per la quasi totalità della loro superficie di essere tagliate fuori dalle opportunità della fibra ottica - dice allarmato il presidente regionale dell'associazione dell'Anci, Mario Pezzetta -. A oggi non ci sono certezze sulle tempistiche degli interventi in queste che rischiano di essere servite per ultime. Chiediamo quindi alla Regione di intervenire per far chiarezza sul futuro di zone che per il nostro territorio sono strategiche».Se da un lato parte del territorio annaspa dunque nell'incertezza, altrove i cantieri sono pronti a partire, sulla base dei tempi e delle modalità decise da Infratel e delle convenzioni sottoscritte dai Comuni. «La programmazione cantieri per il 2019 - ha spiegato Alberto Sperandio, regional manager di Open Fiber per Trentino e Friuli Venezia Giulia - darà anzitutto la precedenza ai comuni che hanno già firmato la convenzione con la Regione e con Infratel. Nello specifico, partiremo con 24 comuni detti "hub o Pcn", che avranno sul proprio territorio la centrale da cui partiranno i collegamenti ai comuni limitrofi».Si tratta di Sesto al Reghena, Travesio, Montereale Valcellina, Ampezzo, Majano, Paluzza, Resiutta, Brugnera, Cimolais, Moruzzo, Remanzacco, Comeglians, Palazzolo dello Stella, Malborghetto Valbruna, Farra d'Isonzo, San Giorgio della Richinvelda, Trieste, Palmanova, Lestizza, Trasaghis, San Pietro al Natisone, Lusevera, Sedegliano, Fiumicello, Fanna e Polcenigo.«La banda si espanderà a raggiera - ha aggiunto ancora Sperandio -, evitando "buchi" sul territorio e il piano si svilupperà partendo dai comuni in cui, quando verranno ultimati i lavori, ci sarà la possibilità di attivare il servizio in tempi brevi». Anci e Open Fiber udine. «Siamo in una situazione di stallo paradossale che genera incertezza e sconforto nei cittadini e negli imprenditori»: ad affermarlo è il presidente regionale dell'associazione dei Comuni, Mario Pezzetta, che testimonia la crescente preoccupazione dei sindaci rispetto ai tempi incerti di collegamento alla fibra, trattandosi «di uno strumento fondamentale per i cittadini come per le piccole imprese che stanno fuori dalle zone industriali o artigianali» già servite dalla fibra.Il resto del territorio è distinto in zone nere, bianche e grigie sulla base di una classificazione contenuta negli orientamenti dell'Unione europea, fondamentale per indirizzare i fondi dello Stato a sostegno dello sviluppo delle reti a banda ultralarga compatibilmente con la normativa comunitaria. Le aree bianche sono prive di reti a banda ultra larga, quelle grigie sono aree in cui è presente almeno una rete a banda ultralarga di un operatore privato o in cui almeno un operatore privato, nel corso della consultazione al Mise aveva dichiarato di volerne realizzare una tra il 2015 e il 2018, quelle nere infine sono le aree con più copertura e concorrenza.Mentre per le aree bianche sono ammessi fondi statali per i lavori di cablatura, nelle aree grigie l'intervento pubblico comporta un rischio di falsare la concorrenza e interferire sulle dinamiche di mercato e richiede un'attenta valutazione della compatibilità.Per questo, Open Fiber come concessionaria di bando pubblico opera solo nelle zone bianche, mentre interviene come operatore
privato in quelle nere, forte di accordi specifici con i Comuni, come nel caso di Udine e di Gemona.I collegamenti in questo caso sono ti tipo Ftth (Fiber to the home): nelle aree nere la rete sarà portata fino in casa, nelle bianche si fermerà a una distanza massima di 40 metri, con l'obbligo di raggiungere le abitazioni a richiesta degli interessati. Così la velocità di trasmissione dei dati viaggia a Gigabit/s contro un massimo 100 Megabit/s della modalità Fttc (Fiber to the cabin) che è quella utilizzata per le altre aree attualmente servite dalla fibra. Incerto il futuro delle zone "grigie".«In quale modalità saranno connesse? - chiede il presidente Pezzetta - auspichiamo che sia garantita anche qui la connettività più veloce». --M.D.C. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI udine. Nelle complesse dinamiche di un settore in costante evoluzione come quello delle reti telefoniche e dei dati si inerisce la crisi di Sirti, storica azienda leader in Italia nel settore delle istallazioni, manutenzioni di reti telefoniche e ponti radio che giovedì ha comunicato alle organizzazioni sindacali Fim Fiom Uilm e al Coordinamento Rsu l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo per 833 persone tra i suoi quasi 4.000 dipendenti di cui 90 in forze a Basiliano.I lavoratori dello stabilimento Fvg si riuniranno in assemblea mercoledì, per esaminare la situazione e decidere eventuali azioni di protesta, a partire dall'utilizzo delle quattro ore di sciopero già proclamato.Nel Triveneto il taglio riguarderà circa un quinto della forza lavoro distribuita sulle sedi di Verona (100 dipendenti), Trento (25), Mareno di Piave (135), Basiliano (90) e Belluno (20). Dei mille esuberi a livello nazionale, poco meno di un centinaio potrebbero infatti colpire il Nordest.Forte la preoccupazione a Basiliano per gli effetti su lavoro e reddito dei tanti operai, stante anche la comunicazione che Sirti avrebbe perso ben 83 centrali Tim assegnate ad altro appalto.A spingere sul piede di guerra lavoratori e sindacato è per altro una situazione tutt'altro che critica a Nordest dove non vi è carenza di lavoro, anzi, i recenti, violenti eventi atmosferici hanno consegnato agli operatori del settore una mole di lavoro importante.Sirti ha denunciato come causa della crisi il taglio dei prezzi, da parte della Tim e degli altri competitor sulle attività, tali da non rende più competitivo il business costringendo le società a far ricorso ai sub appalti. Area dove - a sentire il sindacato - si annida di tutto, sul versante della regolarità e trasparenza dei flussi economici e di sicurezza dei lavori, in particolare a scapito delle condizioni retributive e lavorative degli operai tecnici addetti agli interventi.Per queste ragioni le parti sociali hanno chiesto un incontro al ministero dello Sviluppo economico per rivendicare non solo il ritiro delle procedure di licenziamento, ma un diverso piano industriale dove legalità e sicurezza di lavoro e occupazione siano le basi per gli appalti di Tim sulle varie attività. mattia pertoldi Va risolto il rebus del dopo puksic Chiamatelo ennesimo episodio di spoils system oppure un semplice avvicendamento fisiologico quando le decisioni su una Partecipata pubblica passano da un colore politico all'altro. Sia come sia, resta il fatto che questi saranno gli ultimi mesi di Simone Puksic alla guida di Insiel, la società in house della Regione che realizza e gestisce servizi informatici al servizio dei cittadini, della Pa e del Servizio
sanitario del Fvg.La giunta, infatti, ha già deciso di puntare su un volto nuovo e non per niente a fine gennaio, nel momento della nomina del nuovo Cda, ha confermato l'attuale presidente - nominato dal centrosinistra - soltanto fino a fine giugno. Nel frattempo, però, gli ha cambiato i compagni di viaggio visto che al suo fianco ci sono, da qualche settimana, la presidente di Confindustria Udine Anna Mareschi Danieli e l'esperto israeliano di informatica sanitaria Shai Misan. Un antipasto del ricambio al vertice, dunque, con la giunta che sta cercando già il sostituto. Chiunque siederà sulla poltrona di Puksic, però, si troverà di fronte a un compito arduo considerato che Insiel è da sempre finita al centro delle polemiche per il lavoro svolto e non sono pochi quelli che, anche in maggioranza, spingono per rivolgersi all'esterno nell'acquisto dei programmi e servizi informatici rinunciando a Insiel. Difficile, però, per non dire impossibile che - prima di tutto politicamente - qualcuno si prenda la responsabilità di chiudere la società lasciando a casa poco meno di 700 persone. parla l'assessore Territorio pieno di buchi fra ritardi e paradossi Callari: non gestiamo noi Maura Delle Case udine. Un territorio servito a macchia di leopardo. Questo è il Friuli Venezia Giulia a banda ultralarga. La fibra arriva in zone relativamente isolate e manca in altre. Paradossi (e ritardi) di una gestione accentrata dei cantieri che si sarebbero potuti evitare se a farsi carico dell'opera fosse stata direttamente la Regione autonoma.Così la pensa l'assessore alla Funzione pubblica, Sebastiano Callari, che la partita della fibra ottica la sta seguendo da presidente della commissione speciale Agenda digitale. «Il tema delle zone grigie ci è noto. Di più - afferma Callari - ne abbiamo discusso anche durante l'ultima seduta, giorni fa, perché non è un problema del solo Friuli Venezia Giulia ma di tutto il Paese. Viviamo il paradosso per cui ci sono zone servite, zone che lo saranno a breve e zone per le quali non sappiamo ancora quando il collegamento sarà possibile».«Se la palla ce l'avessimo in mano noi potremmo intervenire con maggiore tempestività - rilancia l'assessore -. Scontiamo invece il digital divide per via di un Paese che corre a più velocità e che accentrando la gestione di questa maxi- infrastruttura di fatto costringe tutti a rallentare».L'obiettivo 2020 dell'Agenda digitale europea ricordiamolo è quello di garantire al 100% dei cittadini la banda ultra larga a 20 Mb arrivando a 100 Mb per almeno il 50 per cento della popolazione. A livello nazionale Infratel ha sottoscritti 103 accordi di programma, l'82% delle infrastrutture sono già state completate così da portare la banda ultralarga, a velocità uguale o maggiore di 30 Mb al 26,4 per cento della popolazione. La regione più avanzata è la Calabria dove la percentuale raggiunge il 77,87 per cento di popolazione raggiunta dalla fibra ad alta velocità, l'ultima è la Valle d'Aosta, zero accordi di programma sottoscritti e appena il 13,95 per cento di popolazione raggiunta dalla banda ultra larga.Il Fvg? Si "difende". Un accordo di programma sottoscritto, 49 per cento delle infrastrutture realizzate, il 29,28% di popolazione raggiunta dalla banda, maggiore o uguale a 30 Mb. Ad agevolare in Fvg l'intervento di Open Fiber, la società che opera nelle zone bianche su mandato di Infratel è la presenza dell'infrastruttura di proprietà pubblica realizzata - per un costo di 100 milioni di euro - con il progetto Ermes che ha connesso alla fibra tutti i municipi
della regione e in generale gli uffici della pubblica amministrazione nonché le principali zone industriali. Oggi la dorsale "consente a Open Fiber di focalizzarsi sulle ultime tratte di collegamento, quelle che portano la fibra "in casa". «L'investimento pubblico fatto negli ultimi anni - sottolinea Simone Puksic, presidente di Insiel spa, la società informatica della Regione Fvg - permette all'operatore del Mise di avere maggiore velocità di interconnessione con i cittadini ed è questa velocità che valorizza il contributo dato da Insiel e dalla Regione». Il sindaco di Gorizia: «Se l'idea è quella di ridefinire completamente l'assetto della Regione, allora possiamo parlarne» Ziberna apre alla Provincia unica del Friuli Mattia Pertoldiudine. Rodolfo Ziberna lancia un assist di primo piano al suo compagno di partito in Forza Italia Piero Mauro Zanin che ha avanzato l'ipotesi di procedere a una riforma degli enti locali tale da creare un sistema bipolare con Trieste e Monfalcone da una parte e una sorta di Provincia unica del Friuli - inglobando Pordenone, Udine e Gorizia - dall'altra.«Possiamo parlarne» dice il sindaco di Gorizia e in quelle due parole si racchiude, probabilmente, la mossa politica di chi intravede un alleato in grado di garantirgli l'uscita da quel cul-de-sac in cui pare essere entrata, nelle proposte e idee politiche del momento sul futuro assetto degli enti locali, la sua città e il territorio che rappresenta. «Di positivo c'è che finalmente - continua Ziberna - si è smesso di ritenere come l'unico problema di questa regione sia Gorizia come pareva dal trend degli ultimi mesi: bisogna cancellare un'Azienda ospedaliera? Mettiamo Gorizia con Trieste. C'è la necessità di non fare rinascere un'ex Provincia? Accorpiamo l'Isontino con l'area giuliana. Si deve semplificare lo schema delle Ater? Basta cancellare quella di Gorizia. Insomma, così non si poteva certo andare avanti».Da qui a pensare a un matrimonio con Udine (ed eventualmente pure con Pordenone) ce ne passa, è evidente, ma già il fatto che Ziberna non sbatta la porta in faccia a Zanin, e alla sua idea, è un segnale politicamente non indifferente. «Non mi tiro indietro di fronte a una discussione di questo genere - spiega il primo cittadino -. Fino a questo momento ho sempre ascoltato come opzione principale quella di una fusione con Trieste cui sono e resto contrario visto che ci porterebbe a una perdita secca di almeno 500 posti di lavoro che diventerebbero un migliaia in pochi anni. Se, invece, cominciamo a pensare a ruoli diversi per i vari territori, visto che da qui a un decennio la vera sfida sarà quella di far sì che il Friuli Venezia Giulia non diventi l'ottava Provincia del Veneto, allora dico: discutiamone». Perché «da sindaco» deve fare in modo che «il mio territorio ottenga il massimo dall'evoluzione dei tempi». D'altronde, conclude il sindaco, «ho ricevuto un chiaro mandato dalla mia città che è quello di evitare la perdita dell'identità» ma se il centrodestra «attraverso un'architettura istituzionale nuova si inventa qualcosa di diverso in grado di cambiare la regione nel profondo assecondando le vocazioni di ogni singolo territorio» allora, come accennato, «possiamo parlarne senza patemi».Ziberna apre, dunque, alla proposta di Zanin, mentre un sostanziale placet al presidente del Consiglio regionale arriva anche da Diego Navarria, presidente della Comunità linguistica friulana. «Non condivido l'aver già tracciato dei confini - spiega - perché toccherà ai territori esprimersi, ma in linea generale sono d'accordo visto che è chiaro come io veda la necessità di creare un'istituzione che raggruppi le tre Province storiche del Friuli. Ricordo,
inoltre, che si potrebbero ripescare e rendere attuali due proposte di legge presentate da Sergio Cecotti negli anni '90 in cui si proponeva una specie di federazione delle tre Province del Friuli». Una questione a lungo ignorata Dopo 35 anni, le firme di due direttori del Messaggero Veneto compaiono appaiate a trattare lo stesso argomento: quel piccolo segno che divide o meno il Friuli da Venezia Giulia e che riaffiora, come fiume carsico, a scadenze regolari nel dibattito politico. Entrambi gli interventi hanno il pregio di rompere "l'omertà politica" con cui il tema è stato affrontato, confinato spesso nel limbo teorico, altre volte riservato alle enclavi autonomista, ma sempre presente nel sentire della gente. I partiti in tutti questo lungo periodo hanno volutamente ignorato la "Questione Friuli" come se il solo affrontarla, avesse potuto minare la stessa unità regionale, non rendendosi conto che proprio un simile atteggiamento dilatorio, ne avrebbe pregiudicato la tenuta. Il compromesso da cui nacque la nostra Specialità ha tenuto per tanto tempo solo grazie ad un tacito accordo tutto interno all'ex dc per un bilanciamento di poteri tra Udine e Trieste. L'elezione di Roberto Antonione alla presidenza del Consiglio ruppe questo equilibrio proprio nel momento in cui il Friuli esprimeva il massimo della sua potenzialità economica e finanziaria mentre il capoluogo viveva una profonda crisi di ruolo e prospettive.Ma già prima, il disagio si era manifestato. Ho un vivo ricordo di quelle sere del 1984 in cui all'Astoria, Vittorino Meloni maturata i temi dei suoi editoriali. Era netta la sua convinzione che al Friuli, per quanto rappresentava in termini identitari, dovesse essere concesso un maggiore peso politico, compresso da una forma e da un assetto istituzionale non più sopportabili. Si trattava, secondo Meloni, «di dare logico compimento a quella capacità imprenditoriale e sociale, a quelle caratteristiche di popolo che avevano permesso la ricostruzione post terremoto: un modello unico che solo i friulani erano stati in grado di realizzare».Era il momento magico del "Made in Friuli" espressione peculiare di un ruolo di essere società civile e, insieme, l'aprirsi a un confronto con la modernità e alle prime avvisaglie della globalizzazione. Come finì? Male, perché aldilà di una marea di interventi, alla fine prevalse la logica dei partiti che non ebbero il coraggio, ma ancor di più, l'intenzione, di dare risposte concrete sul piano legislativo. Da quella estate la situazione è radicalmente cambiata, anzi ribaltata. Oggi la città giuliana ha una marcia in più. Le prospettive internazionali per il suo porto le permettono di dettare i tempi di tutta la regione. In sintesi può permettersi di essere città metropolitana, anche di rimanere provincia, ampliando inoltre la sua composizione inglobando Gorizia, ma forse basta Monfalcone sempre restando capoluogo regionale. Nel frattempo il Friuli, dal Livenza al Timavo, è ridotto ad un disarticolato pupazzo, colpito dal fallimento delle Uti, dallo scioglimento delle storiche province, dalla cronica e insopportabile sofferenza dei suoi Comuni. In una fase in cui anche lo Stato si interroga sui diversi livelli d'autonomia, porsi la domanda di quale sarà un futuro possibile per il Friuli- Venezia Giulia non solo è legittimo, ma necessario. E non ci sono facili scorciatoie, scelte calate dall'alto o falsità storiche e geografiche da inventarsi. le posizioni
Tra Isontino e Noncello Posizioni opposte all'interno di Forza Italia sulla proposta di Piero Mauro Zanin. Il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna (nella foto a sinistra) dice infatti che se ne può parlare, mentre l'ipotesi non piace alla pordenonese Mara Piccin (nalla foto in alto). le altre reazioni Piccin frena su Pordenone Il Pd se la prende con Zanin udine. Una frenata dagli azzurri pordenonesi e un attacco diretto nei confronti di Piero Mauro Zanin da parte del Pd. Il day after la proposta lanciata dal presidente del Consiglio regionale, infatti, le reazioni non sono tutte allineate a quella di Rodolfo Ziberna.«La materia della modifica dell'assetto istituzionale della nostra regione è tema da trattare con i guanti di velluto - spiega la consigliera pordenonese di Forza Italia Mara Piccin -. La storia recente ci ha insegnato che su questi temi sono necessari ascolto, esame, discussione a grande convergenza di coalizione. Dichiarazioni frettolose o colpi di testa possono costare cari e produrre effetti devastanti, come nel caso delle Uti, con la probabile conseguente perdita di consenso. Da consigliere pordenonese non alzo barricate finalizzate al riconoscimento del campanile. Quando si aprirà il dibattito in Consiglio rivendicherò, con tutta la forza che ho, la voce di un territorio che ha nel proprio tessuto sociale la forza produttiva ed una identità che per buona parte guarda più al Veneto che a Udine e che storicamente ha sofferto per il riconoscimento come ultimo della Provincia di Pordenone e come primo la sua soppressione».Il Pd, come accennato, se la prende invece molto più duramente di Piccin con Zanin. «Colpisce l'ennesima forzatura del presidente del Consiglio regionale - attacca il segretario Fvg Cristiano Shaurli -, che rinuncia al suo ruolo di garante di tutti ed entra a gamba tesa, da uomo di partito, nelle ipotesi della sua stessa maggioranza. Se adesso le cose vanno così, ci chiediamo cosa accadrà con le esternazioni extra- istituzionali una volta che avrà nominato il nuovo portavoce personale "regalatogli" a 100 mila euro all'anno. Dopo nove mesi di governo nel centrodestra regna la confusione totale sul futuro assetto della Regione: Zanin sconfessa l'assessore leghista alle Autonomie, il leader di Progetto Fvg propone tre Province e sindaci di Forza Italia dicono "no", e intanto il presidente fantastica sui nomi dei nuovi enti». Sulla stessa linea d'onda anche il consigliere regionale dell'Isontino Diego Moretti per il quale «ritornare al modello delle vecchie Province è sbagliato e antistorico e se a questo si aggiunge che ognuno, nella variegata maggioranza di centrodestra, propone il suo modello di spezzatino ne esce un territorio regionale indebolito». Gli enti locali dispongono complessivamente di 900 milioni L'obiettivo è sbloccare nel 2019 quante più opere possibili
Gruppo di esperti per aiutare i Comuni a spendere i fondi dei lavori pubblici udine. Sbloccare le risorse finanziarie già stanziate agli enti locali per realizzare le opere pubbliche nel territorio regionale: si occuperà di questo la task force, formata da dipendenti pubblici del Comparto unico regionale e liberi professionisti, che supporterà gli enti per accelerare e attuare le procedure d'appalto di lavori pubblici in modo da dare avvio alla realizzazione di opere e quindi promuovere economia e occupazione.È quanto ha disposto ieri la giunta regionale su proposta dell'assessore alle Infrastrutture e Territorio Graziano Pizzimenti. Complessivamente per investimenti in lavori pubblici le risorse disponibili sul bilancio regionale sono pari a 900 milioni, di cui 525 a favore degli enti locali (esattamente sono 111 milioni e 400 mila euro), del sistema casa (55 milioni e 400 mila) e della viabilità locale delle ex Province (oltre 50 milioni): consentire una cospicua attività progettuale nel corso del 2019 è la priorità per poter dare avvio alla spesa.A questo scopo, ha comunicato alla giunta Pizzimenti, occorre predisporre con urgenza misure per l'affidamento di incarichi di progettazione anche a professionisti esterni, con il coinvolgimento degli Stati generali delle costruzioni, degli enti locali e di tutti i soggetti portatori di interessi. «Ho incontrato recentemente i rappresentanti degli Stati Generali delle costruzioni - ha fatto sapere Pizzimenti - per condividere i criteri per l'iscrizione nell'elenco regionale di candidati idonei a comporre le unità specializzate e quindi all'incarico di Responsabile unico del procedimento (Rup) e per stabilire la remunerazione in linea con i parametri generali professionali».Per dare operatività all'elenco, dopo la riunione e con la collaborazione degli ordini professionali degli architetti, degli ingegneri e dei collegi dei geometri e dei geometri laureati, dei periti industriali e dei periti industriali laureati, sarà definito un regolamento. Tra i requisiti di particolare rilevanza che verranno richiesti ci sarà quello di aver svolto, nei dieci anni antecedenti alla data di presentazione della domanda di iscrizione all'elenco, attività o supporto al Rup di progettazione, direzione lavori e coordinamento per la sicurezza, e di collaudo tecnico-amministrativo nel settore degli appalti pubblici. Sarà richiesta anche la partecipazione a corsi specifici di formazione in materia di procedimento amministrativo, per almeno 20 ore, con verifica finale di apprendimento.Inoltre nel regolamento sarà posta attenzione a favorire l'inclusione e l'ingresso dei giovani professionisti nel mercato del lavoro pubblico del territorio regionale, con particolare riguardo al settore dei lavori pubblici. «L'entrata in vigore, in tempi rapidi, del nuovo regolamento per la ripartizione degli incentivi per funzioni tecniche, ampiamente condiviso con le direzioni regionali interessate e con il parere favorevole espresso all'unanimità dal Cal faciliterà la disponibilità del personale in servizio ad assumere incarichi nei procedimenti di realizzazione di opere pubbliche», assicura l'assessore regionale Pizzimenti. pAtto per l'autonomia Moretuzzo a Fedriga «Chieda subito a Roma nuove competenze»
udine. I consiglieri regionali del Patto per l'Autonomia depositano una mozione per chiedere di attivare una trattativa seria con lo Stato anche attraverso un mandato chiaro alla Commissione paritetica. E chiedono subito nuove competenze, a partire da lavori pubblici e istruzione. finestra.«Dopo che la nostra Specialità, per dieci anni, è stata messa in discussione in modo pesante, a partire dalla rapina che è stata effettuata a danno del bilancio regionale (sono oltre 7 i miliardi di euro sottratti solo fra il 2011 e il 2017, con una proporzione quasi doppia rispetto alle altre Regioni autonome) ora è necessario rivendicare in modo forte risorse e nuove competenze - sollecita il capogruppo in Consiglio Massimo Moretuzzo -. Non è pensabile che una Regione come il Friuli-Venezia Giulia, la cui autonomia è radicata prima ancora che nella Carta Costituzionale della Repubblica italiana, nella sua Storia, nelle sue diversità linguistiche e culturali, nella sua collocazione geografica che la pone al centro dell'Europa, stia a guardare di fronte al processo che vede coinvolti Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna». la missione di zilli Alleanza con il Veneto per cambiare Finest udine. Definire assieme un percorso per la revisione della mission di Finest, dando a quest'ultima un ruolo maggiormente al passo con i tempi. Ma anche confrontare le modalità operative delle due amministrazioni in tema di demanio idrico, facendo fronte comune per chiedere al Governo uniformità anche sulle acque interne.Sono stati questi i due temi principali al centro dell'incontro svoltosi a Venezia tra l'assessore al Bilancio e patrimonio Barbara Zilli, il vicepresidente della Regione Veneto Gianluca Forcolin e l'assessore alle Infrastrutture e trasporti Elisa De Berti. L'intento è stato quello di mettere a confronto temi di interesse comune al fine di dare un'accelerata ad alcune iniziative al momento in fase di stand by. In particolare, su Finest il vicepresidente Forcolin si è reso disponibile a rivedere la mission della partecipata, «alla luce del fatto - ha detto - che anche gli amici del Friuli Venezia Giulia hanno espresso la medesima necessità». «Su questo tema - ha detto l'assessore Zilli - abbiamo concordato di avviare un tavolo di confronto che ci possa consentire di modificare, attraverso legge nazionale, l'azione di Finest la cui operatività è legata alla legge istitutiva del 1991. Da parte di entrambi c'è infatti intenzione di ampliare il suo ambito operativo a nuovi mercati quali quello statunitense ed asiatico, garantendone così maggiore competitività». l'iniziativa comunitaria De Monte: «Dall'Ue più tutele per i passeggeri dei treni» Alessandro Cesare udine. Treni con trasporto bici obbligatorio, stazioni più reattive sul fronte dell'assistenza ai disabili, rimborsi graduali del biglietto in base ai disagi patiti. È il pacchetto relativo ai diritti dei passeggeri del trasporto ferroviario approvato al Parlamento europeo e presentato a Udine, a tutti i portatori di interesse, dall'europarlamentare del Pd Isabella De Monte. Tra i relatori della serata, Leopoldo Coen, professore di Diritto amministrativo all'Università di Udine, Francesco Deana,
professore di Diritto dell'Unione europea dell'Ateneo friulano, Elisa Nannetti, direttore regionale Fvg Trenitalia, Maurizio Ionico, amministratore unico della società Ferrovie Udine-Cividale, Paolo Attanasio, presidente Fiab Udine e Katia Gallo, dell'ufficio diritti degli utenti dell'Autorità di regolazione dei trasporti. «Siamo solo all'inizio del percorso - ammette De Monte -, ma siamo fieri di quanto raggiunto, che va nella direzione del miglioramento della tutela dei viaggiatori. Ciò dimostra che l'Europa può incidere in maniera positiva nella vita delle persone». Ora dovranno esserci le internegoziazioni tra commissioni, Parlamento e Consiglio, percorso che non si concluderà entro questa legislatura, ma avrà bisogno di almeno un altro anno per diventare realtà. Tra le novità licenziate dall'istituzione europea, c'è l'obbligo per ogni treno nuovo o ristrutturato, di avere almeno 8 alloggiamenti per le biciclette entro i due anni successivi all'entrata in vigore del regolamento. Un segnale chiaro di come il trasporto integrato treno più bici, già realtà su diverse linee (anche transfrontaliere) in Fvg, rivesta un ruolo strategico anche in Europa. «Garantire più diritti significa incentivare l'utilizzo di un mezzo di trasporto pulito, economico e sociale come la bicicletta - aggiunge De Monte - valorizzando i territori in cui il cicloturismo è una componente importante di crescita e sviluppo». Novità in vista anche per le persone con mobilità ridotta: nelle stazioni con più di 10 mila passeggeri al giorno, l'assistenza gratuita dovrà essere prevista senza alcun preavviso. Serviranno, invece, 3 ore di anticipo, per mobilitare il personale specializzato nelle stazioni con una mole di passeggeri compresa tra le 2 e le 10 mila unità. Nelle stazioni più piccole, al di sotto dei 2 mila passeggeri al giorno, il preavviso dovrà essere di 12 ore. Per quanto riguarda il rimborso dei biglietti, fino a 60 minuti di ritardo non sarà previsto, tra 60 e 90 minuti sarà del 50% rispetto al prezzo del biglietto, da 91 a 120 minuti del 75% del prezzo, oltre i 120 minuti del 100%. Infine, il reclamo si potrà presentare non solo nella lingua del Paese in cui avviene il disagio, ma anche in inglese. Reclami che, per il servizio ferroviario in Fvg, in un anno superano di poco le 600 unità. Dovrà migliorare anche il livello di informazione che chi vende il biglietto darà ai passeggeri in caso di ritardi o cancellazioni. IL PICCOLO 18 FEBBRAIO 2019 L'ultimo dossier di Libera fotografa la situazione anche in Friuli Venezia Giulia A Trieste sono 17, di cui 12 già riassegnati a enti pubblici e privati. A Gorizia due Case, box, terreni agricoli Sono 55 i beni strappati alla criminalità in regione
Emily Menguzzato trieste. Sono 55 i beni confiscati alla criminalità organizzata in Friuli Venezia Giulia, di cui 19 a Pordenone, 17 a Trieste e altrettanti a Udine, due (di cui un'azienda) a Gorizia. I dati emergono dall'ultimo report dell'associazione Libera contro le mafie, datato 28 gennaio 2019. Il Fvg - altro dettaglio - è peraltro una delle tre regioni d'Italia, assieme a Valle D'Aosta e Molise, in cui non sono presenti esperienze di riutilizzo degli stessi beni confiscati da parte di realtà del terzo settore (come associazioni senza fini di lucro che operano nel sociale o in attività di solidarietà, per esempio), una possibilità che è stata sancita dalla legge 109 del 1996, nata da una raccolta di firme promossa proprio da Libera. Il quadro emerge dal "Focus beni confiscati nel Triveneto", redatto a fine gennaio dalla realtà presieduta da don Luigi Ciotti. In questi mesi, a quasi 23 anni dall'approvazione di quella piccola rivoluzione, Libera sta portando avanti da Nord a Sud un monitoraggio delle pratiche di riutilizzo sociale, per «conoscere meglio il territorio e le storie che lo animano». Ma quanti sono e dove si trovano attualmente i beni confiscati alla criminalità in Fvg? La regione, come il resto del Nordest, si caratterizza per essere una zona dove si registra il fenomeno del riciclaggio e in cui vengono riscontrati anche forti legami con le mafie transnazionali. Secondo il portale Open Re.G.I.O gestito dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in Fvg esistono in totale 35 immobili in gestione (cioè strappati alla malavita e in attesa di essere affidati a enti pubblici o, da questi, ad associazioni) e 19 già destinati ai rispettivi soggetti pubblici o privati per un nuovo utilizzo (i numeri dei beni confiscati si riferiscono alle particelle catastali e non alle unità patrimoniali complesse). Tra gli immobili in gestione risultano esserci una villa, due abitazioni indipendenti, nove appartamenti in condominio, due box o garage, un magazzino, 17 terreni agricoli, un terreno con fabbricato rurale. Tra gli immobili destinati invece ci sono un'abitazione indipendente, sei appartamenti in condominio, otto box o garage. I beni confiscati totali nella provincia di Trieste sono 17 (di cui 12 destinati), a Udine 17 (di cui 7 destinati), 2 a Gorizia (di cui un'azienda non destinata) e 19 a Pordenone (tutti ancora in gestione). Dai dati più recenti emerge che nel 2018, in Friuli Venezia Giulia, sono stati destinati quattro beni immobili agli enti locali. Infine, dal dossier di Libera, emergono 11 procedure in corso che potrebbero portare all'attuazione di misure patrimoniali. È invece difficile ad oggi, anche per gli esperti del settore, avere uno sguardo d'insieme sui dettagli che si celano dietro a ogni storia criminale e a ogni confisca. Tuttavia, sono diversi i casi riferiti a beni, mobili e immobili, emersi dalla cronaca: dal caso di usura e riciclaggio del novembre scorso che ha portato alla confisca di 900 mila euro a Trieste, fino alle relazioni della Procura che negli ultimi anni hanno intercettato beni di Cosa Nostra, in mano agli eredi di Francesco Pecora, siti a Pordenone (come la Edilizia Friulana Nord Srl), o le proprietà di Graziano Domenico a Udine (la Nord Costruzioni Srl). O ancora, il bene di Villa Tartagna, affidato poi all'amministrazione comunale di Tricesimo. Davide Pati, membro della segreteria nazionale di Libera, da anni segue con attenzione l'andamento dei beni confiscati sul territorio nazionale. «Non c'è una regione in Italia - afferma Pati - in cui non ci sono beni confiscati, grazie al lavoro della magistratura, delle autorità investigative e delle forze di polizia. Questo quadro mostra la capacità della criminalità di riciclare e di investire i proventi dei traffici illeciti in beni mobili e immobili». Ed è proprio l'azione determinata sul piano economico, unita all'impegno civile e culturale della società, che può indebolire le forze criminali. «Sicuramente - continua Pati - bisogna lavorare sulla restituzione alla collettività dei beni confiscati nel Fvg. Significa che bisogna sensibilizzare le amministrazioni comunali nel procedimento di assegnazione di questi beni per le finalità pubbliche e sociali previste dall'attuale codice antimafia e anche continuare un'azione di informazione alle realtà sociali perché possano presentare dei progetti di riutilizzo che rispondano
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