La Copertina d'Artista - Marzo 2018 - Smart Marketing | Mensile

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La Copertina d'Artista - Marzo 2018 - Smart Marketing | Mensile
La Copertina d’Artista – Marzo 2018
Una Ferrari, estremamente pop, fa bella mostra di sé sulla copertina del nostro magazine, è dipinta
con poche partiture di colore dense e ben definite: il verde della parete, il blu della strada ed il rosso
della vettura. Le tinte sono state stese sul supporto con pennellate nervose e molto fitte, ma i colori
non risultano piatti, ma vibrano di energia e dinamismo.
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rte destra frontale della vettura è stata distrutta da un devastante sinistro. Quindi l’opera testimonia
un disastro, un vero e proprio dramma, soprattutto per il possessore della fuoriserie. Ma sulla parte
alta del dipinto, a destra, scorgiamo un piccolo rettangolo grigio puntellato di verde che, ad
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un’occhiata fugace, pare non avere nulla a che fare con il resto della rappresentazione. Ma sarebbe
uno sbaglio sottovalutare questo elemento. Se lo osserviamo meglio, infatti, ci rendiamo conto che è
l’infografica, le istruzioni disegnate che si trovano sul retro delle confezioni di giocatoli o modellini.

  Cosa ci vuole dire l’artista, al secolo Cristiano Pallara?

Lo abbiamo imparato dopo tante Copertine d’Artista, quanto più un opera è semplice nelle sua
realizzazione (apparentemente semplice, visto che non si tratta di colori acrilici ma di colori ad olio,
ed il supporto non è una tela ma un foglio di carta), tanto più il suo significato può essere complesso
e multiforme.
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Forse il titolo dell’opera può chiarirci meglio il nostro percorso di ricerca. L’opera si intitola “Un
Giocattolo Idiota”! Quindi il sospetto che si tratti di un modellino di un’auto radiocomandata pare
confermato. Ma allora cosa ci vuole dire l’autore? E soprattutto cosa ha a che vedere un modellino di
Ferrari con il tema di questo mese del nostro magazine, che è appunto il lusso?

Forse l’autore ci dice che i beni di lusso rappresentano, prima che uno status symbol, solamente
l’ultimo giocattolo alla moda che, come bambini, usiamo compulsivamente fino a romperlo, per poi
metterlo via, proprio come un capriccio?

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Non possiamo saperlo, la percezione ed il significato delle opere d’arte, come sappiamo, non
appartengono nemmeno agli autori che le hanno realizzate, ma ai fruitori ultimi che siamo tutti noi
spettatori, che inevitabilmente proiettiamo sulle opere le nostre ansie, le nostre speranze, le nostre
idiosincrasie, i nostri desideri. E, siccome tutte queste emozioni, cambiano da soggetto a soggetto, ci
sono tante interpretazioni quante sono gli spettatori coinvolti.

A me, ad esempio oltre a richiamare alla memoria le opere a soggetto automobilistico di Andy
Warhol, Roy Lichtenstein e, soprattutto, James Rosenquist, mi ha fatto venire in mente, anche, un
fatto di cronaca recentemente accaduto. Sto parlando del primo incidente mortale causato da una
macchina senza conducente della Uber, che a Tempe in Arizona, ha causato la morte di una donna di
49 anni, lo scorso 19 marzo.
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rtesy Galleria Erbetta, Foggia.

Non so perché, ma il “sinistro” del modellino di Ferrari radiocomandata di Cristiano Pallara, mi ha
ricordato proprio quest’altro “ben più inquietante sinistro”, ed ho pensato che l’artista volesse
ammonirci sull’uso smodato e compulsivo dei beni che acquistiamo. Perché, se nell’opera “Un
Giocattolo Idiota” a rompersi è stato solo il modellino, nella realtà, a Tempe in Arizona, con un altro
tipo di auto a guida automatica, a rompersi e morire è stata una giovane donna di 49 anni.

E allora, l’auto senza conducente di Uber è un autentico “giocattolo idiota”, del quale non c’era
alcun bisogno e quindi, in ultima istanza, un lusso che non possiamo permetterci.
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Cristiano Pallara (classe 1976) nato a Lecce. Artista Figurativo, Curatore occasionale, Giocattolaio.
Finalista al Premio Celeste 2007 e al Premio Combat 2012; Selezionato per CREART 2014, ha al suo
attivo numerose mostre personali e collettive. Già presente ad Art Verona, MiArt. Dal 2016, in
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collaborazione con Z.N.S. project e Rivaartecontemporanea, è promotore del progetto “2°Piano Art
Residence” durante il quale ospita giovani creativi invitati ad interagire e reinterpretare il territorio.
Vive e lavora tra Lecce, Palagiano (TA) e Istanbul.

Ultime Mostre

2018

“Il Dubbio | racconto personale di Cristiano Pallara”, Via Murat Art Container, Palagiano (Ta).

2017

“Anteprima”, Museo Narracentro, Palagiano (Ta);

“Cose preziose” (personale), SevenSanatGalerisi, Istanbul, Turchia.

2016

“Valediction”, progetto Toppunt, Lecce;

“Harem”, Istanbul, Kadikoy;

“Cose prezione “, ArtVerona i7 Spazi Indipendenti;

“Charade”, web happening;

“Lo zen è l’arte della manutenzione della Beretta”, intervento per Stalker, Lecce;

“The Garden”, Aida, Istanbul, Turchia.

Per informazioni e per contattare l’artista Cristiano Pallara:

cristianopallara@gmail.com

http://cristianopallara.wixsite.com/visualartist

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi
alla selezione della quarta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed
inviando un portfolio alla nostra redazione: redazione@smarknews.it

Luxury - L'editoriale di Ivan Zorico
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Se dovessimo riassumere e spiegare in un’unica parola
cosa si intende per lusso, di certo la parola unicità
potrebbe essere quella giusta.

Il mondo del lusso è sempre stato legato al tema dello status symbol, dell’esclusività e dell’estremo
ed elevato valore, simbolico e non. Semplificando, bastava sostanzialmente creare l’idea di
privilegio attorno al bene o servizio di lusso per aver compiuto un buon lavoro di comunicazione e
marketing.

Ma negli ultimi tempi, complice anche l’avvento di nuovi consumatori sul mercato globale – i
millennials – e delle nuove tecnologie – il web e i social network –, alla parola lusso si sono
affiancati anche altri appellativi: fiducia e trasparenza del brand, ricercatezza dei materiali e
della manifattura e innovazione.

A questo nuovo pubblico di consumatori, che risulta essere sempre più rilevante per le aziende del
lusso, non basta più avere un prodotto fine a se stesso. Quello che oggi chiedono, e si aspettano,
è che i brand siano credibili.

Un lavoro di comunicazione in linea con le aspettative è quindi d’obbligo: storytelling e content
marketing su tutti. E le aziende del lusso, che certo non stanno a guardare e sanno cogliere i
segnali del mercato, se ne sono accorte. A dimostrazione di quanto detto si può fare riferimento agli
accresciuti investimenti in comunicazione compiuti negli ultimi anni proprio sul web: le
risorse allocate sulle campagne sui social network sono arrivate al 12% nel 2016. Nel 2012 erano lo
0% dell’intero budget destinato alla comunicazione e al marketing.

Sappiamo che il mondo del lusso è da molti definito il mondo del superfluo e per questo
viene osteggiato o magari, celatamente, anche guardato con invidia. Certo, anch’io concordo con il
dire che alcuni eccessi del mondo del lusso possano sembrare stridenti, soprattutto in rapporto alla
condizione non proprio rosea nella quale tutti viviamo e con la quale quotidianamente ci
confrontiamo. Ma, ad una analisi più attenta, possiamo anche guardare un’altra faccia della
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medaglia.

Questa industria è in grado di generare un fatturato di 1.200 miliardi di euro (dati al 2017) e
delle 100 Top aziende per fatturato nel mondo, 29 sono italiane. In Italia, tutto il comparto del
lusso, vale 88 miliardi di euro. E questo fatturato è generato da 67 mila aziende italiane che sono
costituite, ovviamente, da lavoratori: quasi 600 mila persone. E, quindi, se vediamo l’intera
situazione con gli occhi di quest’ultimi, il mondo del lusso appare tutt’altro che superfluo. E
non mi sento francamente di dire diversamente.

Cambiare il punto di vista, come sempre, aiuta ad avere una visione di insieme più organica.

Buona lettura e, dato il periodo, auguri di buona Pasqua… o “anche a te e famiglia” se preferite :).

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Luxury – L’editoriale di Raffaello
Castellano
Come sappiamo, la nostra è la seconda nazione manifatturiera
d’Europa, dopo quella tedesca, ma ci sono alcune peculiarità
che contraddistinguono la nostra da quelle degli altri Paesi.
Innanzitutto le aziende italiane sono per la maggior parte
piccole e medie; in secondo luogo la particolare geografia del
nostro territorio, con una pianta stretta e lunga, ha favorito,
insieme ad altri fattori, l’aggregazione di queste piccole e medie
aziende in distretti; ed infine la manifattura italiana è rinomata
nel mondo per l’estrema qualità delle sue produzioni.

Ma qualcuno dei nostri lettori potrebbe chiederci che cosa c’entrino queste precisazioni di carattere
economico con il macro-argomento del lusso, con il quale abbiamo voluto connotare il numero di
marzo del nostro giornale.

Tutto! Verrebbe da rispondere di getto a questo quesito. Infatti, una buona parte delle aziende
manifatturiere italiane, soprattutto piccole, è specializzata in produzioni di fascia alta, appunto.
Alcuni esempi: siamo fra i principali e più prestigiosi produttori di calzature di lusso al mondo;
ancora, il nostro Paese veste gli amministratori delegati, presidenti e capitani d’industria più
importanti del pianeta; le principali marche di super car sono storici costruttori italiani (anche se le
acquisizioni straniere e le delocalizzazioni hanno impoverito e disperso questo comparto); ancora, le
produzioni Made in Italy del settore agroalimentare sono fra le più rinomate e ricercate, tanto da
aver fatto della nostra cucina la più famosa e apprezzata fra le tre grandi gastronomie mondiali
(francese, cinese, italiana). Ed infine cito solo due prodotti dello sconfinato tagliere enogastronomico
italiano: il Parmigiano Reggiano, una sorta di Nike delle produzioni casearie, probabilmente il
formaggio più imitato e contraffatto al mondo, e la Pizza, una delle tipicità italiane più famose, nata
dall’estro di un piccolo fornaio napoletano nel 1889.

Ed il filo rosso che unisce tutte queste manifatture così disparate è appunto il fatto che, almeno alle
origini, le nostre aziende erano piccole, addirittura piccolissime. Giusto a titolo di inventario ne
citerò un paio per ognuno dei comparti sopracitati: per le scarpe Salvatore Ferragamo e Tod’s, per
gli abiti le sartorie di Valentino e Armani; per le auto di lusso Maserati, Lamborghini (che alle origini
era un piccolo costruttore di trattori agricoli) e soprattutto Ferrari, che nacque dalla caparbietà e
voglia di riscatto di un piccolo meccanico e pilota, Enzo Ferrari, fuoriuscito dalla grande casa
automobilistica Alfa Romeo.

  Ma quali sono i numeri di questo comparto?

Il mercato dei beni di lusso personali del 2017 ha chiuso a 262 miliardi di euro, segnando un +5%
sul 2016. Inoltre l’80% delle vendite di beni di lusso sono riconducibili a Millennials, donne e uomini
under 40. Una ricerca condotta nel 2017 da The Boston Consulting Group ha analizzato i
comportamenti di acquisto di 12 mila top spender (almeno 36 mila euro all’anno in acquisti di alta
gamma) in 10 Paesi, decretando che il Made In Italy è considerato in tutto il mondo il primo per
qualità della manifattura di beni di lusso personali (29% di preferenze contro il 23% della Francia e
il 12% degli Usa).

Oggi, quindi, siamo conosciuti soprattutto per il nostro Made in Italy di lusso, le famose “Le quattro
A” (da Abbigliamento, Agroalimentare, Arredamento e Automobili). E pensare che “l’etichetta di
origine” più contraffatta al mondo, a differenza da quanto si può immaginare, non è nata a difesa dei
prodotti italiani, bensì con l’intento opposto.

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i paesi europei, tra cui Germania, Francia ed Inghilterra, per difendere la loro produzione interna,
apponevano delle etichette sui prodotti stranieri, per indicare ai consumatori quali fossero quelli da
evitare per scarsa qualità. Con il passare del tempo i produttori italiani sono riusciti a trasformare
questa censura in opportunità. Quello che all’inizio era nato come un handicap, un marchio d’infamia
quasi, si è rivelato essere una fortuna grazie alla quale l’Italia ne è uscita con un’identità ben
precisa, diventando simbolo di creatività e qualità.
Quindi, in questo numero torniamo a parlare di Made in Italy, Sistema Italia, di quello che
veramente ci contraddistingue come Paese con un sistema di valori, una cultura ed una storia che,
anche se noi Italiani spesso lo dimentichiamo, gli altri paesi ci invidiano.

Buona lettura e Buona Pasqua.

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Case History – L’associazione Z.N.S.project
e 2° Piano Art Residence
Per il nostro secondo “Case History” torniamo a parlare di arte contemporanea, a poco più di un
mese dall’articolo sulle Residenze artistiche BoCS Art di Cosenza. Questa volta la realtà (e il
territorio) che incontriamo è ancora più piccola e periferica della città di Cosenza, siamo infatti a
Palagiano, comune di 16.000 abitanti in provincia di Taranto, ma il caso di cui vi parliamo, se si può,
è ancora più innovativo, geniale e coraggioso.

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t (“Zentral Nerve System” – “Sistema Nervoso Centrale”), nata dalla passione e dalla tenacia di una
coppia, nel lavoro e nella vita, formata dall’artista visivo Cristiano Pallara e dalla curatrice e
organizzatrice di eventi Margherita Capodiferro, che si sviluppa principalmente lungo due assi
principali. Il primo è Via Murat Art Container, uno spazio indipendente che opera nell’ambito
dell’Arte Contemporanea a sostegno e valorizzazione della cultura pugliese e dei suoi artisti; il
secondo è 2° Piano Art Residence, un ciclo di residenze artistiche, indipendenti, che si sviluppano
tra le vie di Palagiano e lo spazio laboratorio Via Murat Art Container.

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della terza edizione delle residenze d’artista “2° Piano Art Residence – Call for Artist”, abbiamo
voluto approfondire la collaborazione invitando l’artista Cristiano Pallara a realizzare la Copertina
d’Artista di questo numero e intervistando Margherita Capodiferro per questa rubrica, affinché ci
raccontasse le difficoltà ma anche le opportunità che si incontrano quando si decide di fare dell’arte
contemporanea una scelta di vita e una professione.
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rvista Margherita Capodiferro.

Domanda:

Tutto nasce, per così dire, da un’esperienza di co-gestione e coordinamento del Laboratorio Urbano
“TheFactory” (gestito dalla Cooperativa Corda Fratres), durata 5 anni, fino alla conclusione del
mandato di gestione nel novembre 2015. Quali sono stati i progetti principali ai quali ti sei dedicata
in quel contenitore?

Risposta:

Coordinare uno spazio pubblico non è semplice, ancor di più quando non ci sono obiettivi comuni. Il
mio compito non era direttamente “creare” progetti, diletto che ho comunque assolto, quanto
piuttosto permettere ad altri di proporli e realizzarli. Infine coordinare il tutto. Il Laboratorio Urbano
si configurava realmente quale incubatore di progetti di iniziativa giovanile. Progetti meritevoli di
menzione sono sicuramente la sperimentazione di una Falegnameria Sociale, una RadioWeb,
Laboratori di Cucina con diversabili e il progetto ThULab | Spazio per le Arti Visive. In cinque anni di
attività il “TheFactory” ha raggiunto numerose conquiste, risultando tra i più attivi spazi della Puglia
e terminando la sua esperienza con la vittoria del bando “Laboratori Urbani Mettici le Mani” con il
progetto “Piazza Laboratorio Urbano”, durante il quale abbiamo sperimentato la prima residenza a
Palagiano, dal titolo “La Memoria dell’Acqua”.
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Fra le iniziative più importanti avviate in quel periodo sicuramente dobbiamo annoverare Il progetto
ThULab | Spazio per le Arti Visive, progetto di rete tra i Laboratori Urbani della Puglia e gli Spazi
Pubblici, nato nel 2013, ma già tra le prime 5 Best practices della Regione Puglia nel 2015. Di cosa
si tratta e quali sono stati i numeri di questo progetto?

Risposta:

ThULab è nato dal desiderio di fare rete pensando ai giovani artisti pugliesi. In quegli anni Bollenti
Spiriti aveva attivato il CrLab. L’invito era fare Rete tra Laboratori Urbani e Spazi Pubblici pugliesi.
Noi (Cristiano ed io, come collettivo Z.N.S.) abbiamo risposto con ThULab. Attenzione, però: il
CrLab è stato un percorso di formazione per i Gestori di Spazi Pubblici, nessun finanziamento per
eventuali progetti. Quindi con la sola voglia di metterci in campo abbiamo messo 12 Spazi in rete,
coinvolto 30 giovani artisti pugliesi, realizzato 20 eventi espositivi in tour nelle 6 province
pugliesi e, con la mia piccola macchinetta, percorso 5435 km. La nostra è stata una piccola
provocazione, in un contesto nel quale sembrava che i progetti potessero essere attivati solo se
finanziati… Noi volevamo invitare al “si può fare”, perché qualcosa arriva sempre, se ci credi e la fai
bene.
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Ma veniamo ai giorni nostri: dopo la conclusione dell’esperienza nel Laboratorio Urbano
“TheFactory”, come abbiamo detto conclusasi nel novembre 2015, tu e Cristiano Pallara decidete di
non disperdere l’esperienza maturata e di dare continuità ai numerosi progetti intrapresi ed avviati,
fondando Z.N.S.project e lanciando l’iniziativa 2° Piano Art Residence. Diciamolo pure, senza fondi,
senza aiuti, tu ed il tuo compagno, rischiando capitali personali, avete letteralmente aperto le porte
di casa vostra agli artisti che avete di volta in volta ospitato. Quanta geniale follia c’è alla base di
una decisione così radicale?

Risposta:

Grazie per “geniale follia”. Hai detto bene, dopo tanto lavoro e impegno per ThULab, il pensiero di
disperdere i risultati raggiunti era intollerabile. Così ci siamo rimboccati le maniche guardandoci
intorno e pensando a ciò che avevamo. Abbiamo semplicemente aperto le nostre porte
all’accoglienza, ma per noi è uno stile di vita, è la normalità. Certo, siamo anche insopportabili,
prova e vivere una settimana con noi! Fa parte del gioco. Siamo semplicemente veri. Il nostro è
anche un messaggio, un invito al cambiamento, all’essenzialità delle cose, all’esperienza. Perché,
vedi, non si tratta di essere accomodanti o per forza accondiscendenti o altro. Non c’è disparità o
elevazione. L’ospite è un pari. Fa parte della famiglia. E questo aspetto ci piace molto.
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Gli artisti invitati nella residenza artistica si impegnano a dialogare con il territorio, la comunità che
lo abita e le tensioni che lo attraversano, al fine di creare un’opera/installazione/performance che
non sia meramente estetica, ma che rappresenti veramente un’opera artistica sociale. Parlaci di una
di queste residenze, i cui effetti a tuo modo di vedere sono stati particolarmente innovativi ed
originali per la realtà di Palagiano.

Risposta:

Ogni progetto ha un suo perché, una sua radice e un suo sviluppo. Senza fare torto a nessuno, posso
dire che, in generale, abbiamo registrato il bisogno della gente di raccontarsi e tanta curiosità.
Certo, alcuni progetti hanno avuto più presa di altri, riuscendo ad avvicinare e coinvolgere giovani e
meno giovani. Penso al progetto di Annalisa Macagnino e Francesca Speranza con “IMPRINTING-
I’M|PRINTING” o a Silvia Trappa e Andrea Moscardi con “MEMORY CUBES” oppure, per tornare
agli albori, a Paolo Guido e Alessandra Lani con “La Memoria dell’Acqua”. Sia il carisma degli artisti
che la proposta artistica stessa hanno influito molto. Ma ripeto, senza fare torto a nessuno, tutte le
esperienze in residenza ci hanno dato tanto sia dal punto di vista umano che professionale ed è
questo l’aspetto più importante. Lo dicevamo prima, l’artista vive con noi! Attraversa e sosta sulle
nostre strade. C’è uno scambio che va oltre il lavoro che si sta svolgendo. Sono sicura che questa
energia giunge anche a quei cittadini che si sono trovati ad interagire con gli artisti ospiti. L’intero
progetto, parlo di “2°Piano”, è un macro intervento artistico che accoglie. La restituzione che
offriamo è il cambiamento. Osservare con occhi diversi, arrivarci grazie all’ospite “estraneo” che
porta con sé le sue esperienze, professionalità, umori e conoscenze. Probabilmente due settimane è
un tempo breve per riuscire a conquistare fiducia e coinvolgimento, tuttavia ce lo dirà il tempo
stesso. La continuità, la familiarità del dispositivo scioglierà timidi e incerti. Ringrazio quindi gli
artisti che dal 2015 fino ad oggi hanno avuto fiducia in noi partecipando a questa nostra piccola
avventura e quindi, in ordine puramente alfabetico: Lisa Cutrino, Paolo Ferrante, Giulia Gazza, Paolo
Guido, Alessandra Lani, Annalisa Macagnino, Andrea Moscardi, Giusi Pallara, Irene Pucci, Francesco
Romanelli, Silvia Trappa, Francesca Speranza, Marco Vitale. E ringrazio i cittadini che hanno
“approfittato” di questa opportunità concedendosi un modo diverso per guardare alla nostra
cittadina.

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Ma veniamo ai numeri: come sai noi di Smart Marketing siamo particolarmente interessati alla
fattibilità e sostenibilità economica dei progetti culturali, oltre che alle ricadute, economiche e di
visibilità mediatica, di interventi di marketing culturale di ampio respiro come questo.

Risposta:

Per cominciare, nel 2016 siamo stati selezionati come Spazio Indipendente impegnato in progetti di
Arte Contemporanea e per questo ospiti ad ArtVerona – i7 Spazi Indipendenti: lo stesso anno del
lancio di “2°Piano Art Residence”! Questo è stato per noi un risultato importantissimo, che ci ha
permesso di diffondere il progetto ad una platea più ampia; conoscere altre realtà Indipendenti,
capire come lavorano. In breve tempo abbiamo raggiunto molti followers su Facebook e Instagram.
Segno che il progetto riscuote consenso sui social network sono le condivisioni e richieste di
informazioni. Dalla seconda edizione Danilo Riva, gallerista, è nostro partner e membro del comitato
di selezione. La scorsa edizione il numero di proposte è stato talmente elevato e la selezione
talmente complessa che abbiamo selezionato 8 artisti, suddivisi in tre residenze. Una no stop dal 1°
agosto al 15 settembre 2017. E’ stato fantastico, ma anche faticoso.

Domanda:

Prima di concludere, parlaci della terza edizione di “2° Piano Art Residence – Call for Artist”: quali
sono, se ci sono, le novità di quest’edizione e quando si conclude il bando di selezione?

Risposta:

Non abbiamo particolari novità anche se siamo molto tentati… è una scelta, per il momento. C’è
ancora tanto da fare per “far affezionare” la gente al progetto così com’è. Comprenderlo e usarlo.
Sicuramente quest’anno saremo più “rigidi” (..se ci riusciamo..) con le selezioni: Minimo 2, massimo
4 artisti. Ogni anno ci limitiamo a inventare l’immagine guida. Ad esempio, il nostro protagonista
2018 è Kermit la rana e il tormentone che rimbalza sui social è “Segui la Rana!”. E’ nato tutto come
un gioco e ti assicuro che ci siamo divertiti tantissimo nel costruire la scena con Kermit (un peluche
che abbiamo in casa) in mille pose. L’idea è pubblicare in seguito alcune di queste foto da backstage.
Vedremo. Una chicca: Palagiano è compresa in una terra tra mare, collina, dune, gravine, paludi,
pinete e fiumi. Per questo i suoi cittadini si dice fossero soprannominati “rospi”, non so sinceramente
se sia ancora così. Tuttavia, noi non avevamo un rospo ma… una rana molto simpatica. Deadline
per “Call for Artist | “2°Piano 2018”: 16 Aprile 2018. Segui la Rana!
Instagram e la promozione dei brand di
lusso
E’ stato dimostrato in diversi studi come la centralità dell’immagine che molti social network
offrono, tra cui Instagram, renda tali piattaforme il canale di comunicazione ideale per
promuovere il lusso e i brand di lusso. Oggi tutte le aziende sono consapevoli dell’importanza dei
social network per avviare una campagna di comunicazione completa ed efficace. Ogni social
media ha però le sue caratteristiche e i suoi punti di forza e scegliere quello più adatto è
sempre più complesso: per farlo occorre partire da un’attenta analisi dei propri bisogni ed esigenze
e di quelli del target. Da recenti studi sembra proprio che Instagram sia la piattaforma più
adatta ai brand che promuovono prodotti di lusso online, grazie alla forza data dall’immagine
in un mondo sempre più affollato di messaggi pubblicitari.

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Per esempio Exane BNP Paribas già nel 2015 aveva fatto uno studio sull’andamento delle
campagne di comunicazione dei top 30 brand di lusso e la metà di quelli considerati investiva già tre
anni fa gran parte del budget su Instagram, affiancando il social network ai messi tradizionali per
promuovere la brand image del marchio. Tra i nomi analizzati troviamo aziende di grande
rilievo come Chanel, Gucci, Prada, Dior e molti altri.

Instagram: i motivi del successo

Ma cosa rende Instagram la piattaforma ideale per la promozione del lusso e la comunicazione
di queste aziende. E’ presto detto: il popolare social network, acquistato da Facebook nel 2012,
mette al centro l’immagine. Infatti si possono condividere solo fotografie e video di massimo 60
secondi con poco spazio al testo. Il risultato è un rapporto più personale e quotidiano con oltre 400
milioni di utenti al mondo che usano Instagram. Ecco perché su Instagram hanno grande
successo le strategie di storytelling del brand e i valori associati. Non dimentichiamo poi che
l’utenza di questo social media è giovane e rappresenta quindi il futuro del settore del lusso: le
aziende possono cominciare in modo veloce e non troppo costoso a farsi conoscere da chi comprerà,
domani, i loro prodotti raggiungendo un bacino illimitato di possibili clienti.

I numeri di Instagram

Comprendere l’importanza di Instagram per il lusso e i brand del settore richiede di analizzare
qualche dato numerico, ad esempio le condivisioni e i post che parlano della Fashion Week a Parigi,
Mosca e Milano.

Un’analisi che l’osservatorio di Blogmeter ha effettuato e che si chiama
#InstagramFashionIndex.

I risultati?

Nei giorni delle sfilate Moda Donna ogni top brand di lusso ha condiviso in media 31 post per 10
milioni di interazioni totali. La medaglia d’oro va a Gucci, che è riuscito a ottenere dall’evento
103.500 nuovi follower e 2.2 milioni di interazioni totali. Un successo che è stato ottenuto anche
dalla Milano Design Week 2016 con 113 mila messaggi online che riguardavano i prodotti del
Salone e del Fuori Salone.

Che dire, Instagram rappresenta davvero una bella opportunità. E voi, lo state già utilizzando?

Il Neo-lusso e l'eterogeneità dei cluster di
clienti
  “Il lusso inizia dove finisce la necessità” Coco Chanel

Se il lusso si potesse racchiudere in un’immagine sarebbe fumosa, vana e ostentata. Oggi il
consumatore che cerca beni costosi ed esclusivi, non lo vuole per la qualità ma per metterlo in
mostra.

  Che lusso sarebbe, se gli altri non lo riconoscessero come tale?

La fascia di consumatori (italiani) tra i 35 e i 54 anni con un reddito annuo tra i 30 e i 60
mila euro scelgono piccole gratificazioni quotidiane che ogni tanto si possono regalare.
Secondo una ricerca di Agroter sono circa 20 milioni le persone che il marketing potrebbe
accaparrarsi perchè pronte a spendere qualcosa in più per qualche sfizio.

I prototipi sono variegati. Ci sono gli empty nester, i nidi vuoti, cioè le famiglie i cui figli sono
diventati autonomi e quindi il loro livello di reddito è tornato alto; oppure i DINK (double income no
kids) dove entrambi lavorano, ma possono disporre inteamente del guadagno per le proprie spese.

Un’altra categoria da tenere sott’occhio sono le donne divorziate, disposte a concedersi somme
spropositare in certi settori, o semplicemente single e lavoratrici che pensano che risparmiare sia
ancora un progetto londano.

  Una piccola differenziazione, tanto storytelling, brand immaginifici e misteriosi sono quello che
  cattura questa fascia di popolazione.

Per la generazione dei 1000 euro al mese il miraggio della gratificazione è rappresentato
dal weekend di stacco, dal pacchetto benessere, o dal prodotto high tech, difficilmente
inquadrabili tra le spese pazze.

Ma sono gli sgarri alla regola a portata di tutti verso cui le aziende strizzano l’occhio. Un esempio
sono i 6 piani da 61 milioni di euro che la Rinascente di Torino intende sfoggiare entro
settembre 2019 per diventare centro del lusso per tutti.

Se il lusso inaccessibile fatto di manifatture pregiate e artigianali, massima personalizzazione, prezzi
esosi e materiali preziosi è destinato all’export o a pochi, il neo lusso è un po’ per tutti.

Nel lusso intermedio si identificano chiaramente le icone del lifestyle, identià di marca e
accurata selezione del target, dei canali e dei media. Così molti brand di successo sono riusciti a
identificare un chiaro posizionamento in questo senso. Ce ne sono per tutti i gusti e tutti i
settori: Bottega Veneta, Gallo, Artemide, Bugatti, Bulthaup, Miele, Stokke, Ducati, Harley Davidson,
Lexus, Mini, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, Grom sono solo alcuni.

  Ciascuno di questi, con le sue particolarità e distinzioni suscita un brivido e una sensazione
  soltanto pronunciandone il nome, a dimostrazione di quanto siano radicati nell’immaginario
  collettivo.

Diverso il discorso del lusso accessibile, che è un’aspirazione di status, un’imitazione dei
prodotti top a prezzi contenuti. Ci sono grandi nomi che hanno fatto di questa politica la loro
bandiera – Zara in primis – ma non manca chi punta spudoratamente alla copia.

E le battaglie di slogan sono solo la punta dell’iceberg (cfr Diesel vs Piazza Italia con Be
stupid e Be intelligent). Infatti oggi la massima dimostrazione di essere alla portata di tutti è data
dalla possibilità di diventare modelli per un giorno di marchi del fashion low cost. Impazzano i
contest per l’abbigliamento, i capelli, le creme dove il consumatore può diventare testimonial del
prodotto, quasi a ribadire che quel marchio è per ognuno e tutti possono arrivare alla gloria (lusso?)
per un giorno.

Approfondendo un’analisi sui consumi si nota che l’idea di lusso non è universale. Lo stesso
consumatore può fare la spesa al discount per permettersi un’auto più prestigiosa o viaggiare su un
usato, ma consumare solo cibi Bio. Questa varietà e assoluta personalità del settore medio o
accessibile rende molto eterogenei i cluster di clienti.

Cosa attendersi dal futuro?

I siti che propongono abbigliamento o tecnologia di grandi marche a prezzi scontati non avrebbero
più senso perchè se il brand esclusivo diventa per tutti perde parte dell’appeal. Così anche i
ristoranti saranno stellati dalla Guida Michelin o da Tripadvisor?

Pare che la long tail del web che avrebbe dovuto garantire l’ugualitarismo in realtà abbia comunque
portato a una classifica simile a quella off line.

E che ne sarà dei Millennials, oggi così aperti alla condivisione, alle esperienze digitali, all’offerta
in rete quando potranno disporre di maggior reddito? Rimarranno così vogliosi di parificazione o
punteranno, come le precedenti generazioni, alla stratificazione sociale?

Anche il lusso, infatti, se è alla portata di tutti, smette di essere tale.
E-commerce, piattaforme social,
influencer ecco come le grandi Griffe
influenzano i tuoi acquisti

  Grandi Brand e la rete un connubio perfetto per fare Business.

Far parlare di sé alle persone giuste con post che ne catturano l’attenzione è ormai Il valore di una
pubblicità maggiormente influente che batte qualsiasi annuncio in televisione o cartellonistica.

Piattaforme di e-commerce o social come instagram stanno radicalmente cambiando il modo di
“scegliere” i prodotti e le grandi griffe ne stanno sempre di più comprendendo le dinamiche
cominciandone a sfruttare le opportunità.

E’ il caso di grandi aziende di moda che hanno visto una crescita del 4% delle proprie vendite
globali grazie alla rete, un risultato che è stato spinto principalmente dalle vendite in Cina e in
particolare da quelle sulle piattaforme di e-commerce e di WeChat una app social, questa, che
risulta essere un vero e proprio ecosistema digitale che permette di mandare e ricevere denaro,
fare acquisti online, effettuare pagamenti, giocare, ordinare cibo, fare di tutto un po’: un vero e
proprio catalizzatore di opportunità che nel mercato cinese vede quasi il 30% del tempo speso dalla
“popolazione digitale” intenta a fare azioni di scelta.

Ecco che nel paese asiatico sono diversi i brand di lusso che aprendo uno “WeChat store” o creando
eventi di “limited-time sale” ingaggiano potenziali clienti analizzandone il rapporto che hanno con il
brand per capire come fare a raggiungerli in maniera sempre più efficace per potenziarne gli
acquisti.
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L’asso nella manica al momento è in mano agli influencer o anche chiamati Kol (Key Opinion
Leader) che influenzano milioni di persone con i loro post sui social, i brand fanno a gara per
avere una loro foto in compagnia di uno dei loro prodotti e non appena questa viene postata il
sito di e-commerce del brand finisce sold out; in un attimo milioni di visualizzazioni e di
conseguenza acquisti, una vera e propria tecnica di vendita più potente di qualsiasi forma di
marketing.

Non è necessario andare così lontano per vedere all’opera questa nuova strategia, nel nostro bel
Paese se ne ha un tipico esempio con personaggi come la Ferragni che ha deciso di far della sua
vita una vetrina on line: dalla dichiarazione di matrimonio, alla gravidanza, alla nascita di “Leone”
il tutto con fashon style. Seguita in quello che dice, in quello che fa, non soltanto dal popolo della
rete ma “corteggiata” dai media che comprendendone la sua popolarità ne capiscono l’influenza e di
come possa essere ascoltata e seguita e per questo la citano in trasmissioni, e ne discutono in
programmi per catturare ascolti.

    Da sempre nel mondo dei new media sono i numeri a farne da padrone: gli ascolti equivalgono a
    pubblicità che equivalgono a vendite che equivalgono a guadagni.

Influenzare le masse è sempre stata la macchina che ha mosso i motori della pubblicità. La
comunicazione pubblicitaria ha ampiamente provato che è in grado di influenzare e
cambiare il processo cognitivo del pubblico, condizionandone il comportamento.

Oggi con gli influencer, lo shopping on line, i dati che giornalmente lasciamo sul web durante le
nostre ricerche ed azioni l’obiettivo è ben più che raggiunto, si sta infatti passando da una
persuasione di massa ad un condizionamento del singolo con comunicazioni sempre più
personalizzate sull’analisi delle proprie scelte e necessità.

La domanda da porsi è: quanto delle scelte effettuate dipenda veramente da sé stessi… che in
realtà, poi, poco si distoglie dalla pubblicità alla vecchia maniera, quella all’epoca del carosello
quando dietro uno storytelling divertente si nascondeva lo scopo ultimo di proporre un prodotto.

Cambiano i tempi, cambiano i modi… ma le logiche quelle, seppur avanzate ed innovative, restano
per sempre.

I numeri del mercato del lusso: quanto
vale e il ruolo del web in questo settore.
Quando ci capita di pensare al mondo del lusso, spesso ci soffermiamo a pensare a quanto possa
costare una data vacanza o una tal macchina, ma con molta meno consuetudine ci interroghiamo su
quanto possa valere complessivamente il mercato del lusso.

È un aspetto interessante perché dietro a quei prodotti e servizi di valore c’è un’industria, quella
del lusso appunto, capace di generare un fatturato di quasi 1.200 miliardi di euro nel 2017 e, di
conseguenza, numerosi posti di lavoro. Dopo alcuni anni di stagnazione, il mercato del lusso è
tornato a crescere facendo segnare una crescita del 5% (dati dalla 16a edizione del “Bain-Altagamma
Luxury Study”).

Sono stati 3 i fattori principali di questi risultati:

1. I Millennials
2. Il turismo
3. Il web

Vediamoli meglio nel dettaglio.

#1 I Millennials
L’80% di questa crescita – ossia 12 miliardi di euro aggiuntivi realizzati nel 2017 – è stata
determinata proprio dai millennials, soprattutto cinesi. I millennials appaiano essere dei
consumatori molto diversi rispetto alla generazione precedente – i baby boomers – e con delle
specificità ben marcate. I millennials non scelgono di acquistare un prodotto solo perché
rappresenta uno status symbol, ma ricercano nel brand valori più alti come la trasparenza e la
fiducia. Dietro ad un bene di lusso, per i millennials, c’è sempre e comunque l’idea della
condivisione.

#2 Il turismo
L’altra importante fonte di ricavo per i brand del lusso è legata al tema del turismo ed alle spese
fatte durante i viaggi nelle aree tax free, ossia negli aeroporti. Per quanto riguarda il mercato
italiano, il 28% degli acquisti in aeroporto è stato fatto dai cinesi, seguiti dagli americani e russi,
entrambi all’11%. L’Italia resta una delle mete preferite, insieme con Regno Unito e Francia. La
crescita dei ricavi dei brand di lusso relativi al turismo è certamente stato trainato da un
aggiustamento dei differenziali di prezzo che prima vedevano un’ampia sproporzione tra i mercati
asiatici ed europei. Per capirci, tra Europa e Cina si è passati ad un differenziale di prezzo del 20-
30% contro un 80% precedente. La spesa dei turisti in Europa ha quindi registrato un +6% rispetto
all’anno precedente.

#3 Web
Il mondo legato al web è quello che senza dubbio è cresciuto di più in riferimento all’acquisto dei
beni di lusso. Nel 2017 c’è stato un incremento del 24%. Se si misura il dato rispetto alla crescita
degli altri canali di vendita, la crescita appare assai più evidente: wholesale +3% e retail +8%.
Quanto generato nel 2017 dal web è stato quindi pari a 23 miliardi di euro che sostanzialmente
equivale al mercato giapponese (22 miliardi di euro). Tale crescita non è casuale in quanto il 90% dei
brand di lusso è oggi attivamente sui social – Instagram in testa – ed anche gli investimenti in
pubblicità online sono cresciuti vertiginosamente (il 23% delle risorse allocate in
promozione/comunicazione).

Uno sguardo all’Italia
Da uno studio fatto da Deloitte si evince che l’Italia può vantare 29 aziende nella Top 100
mondiale per fatturato operanti nel mercato del lusso. Quelle che maggiormente spiccano in
questa speciale classifica sono: Luxottica al 4° posto, Prada al 15° e Giorgio Armani al 21° posto.
Le prime 100 aziende del lusso hanno raggiunto un fatturato di 222 miliardi di euro del
2014 del quale, purtroppo, le aziende italiane hanno contribuito solo per il 17%. Risultato, questo,
da imputare in larga misura alla struttura familiare di molte delle imprese italiane o alle loro piccole
dimensioni.
Ad oggi, il comparto del mercato del lusso italiano genera 88 miliardi di euro, di cui ben il
62% è destinato all’export, cresciuto a sua volta del 4% nel 2017. L’intero comparto è costituito da
67 mila imprese, con una forza lavoro formata 600 mila persone.

Il lusso può essere accessibile: viaggio nel
nuovo lusso
Quanti di noi oggi sono disposti a spendere per prodotti di lusso? Provate a fare questa domanda
ai Millennials del nostro paese e probabilmente vi risponderanno che non è tra le loro priorità, che
mai spenderebbero soldi inutilmente o somme esagerate senza motivo. Provate poi a guardare gli
scontrini del loro shopping e capirete che il punto non è l’acquisto low-cost, ma l’attenzione su
cosa si acquista. Il lusso oggi ha sfaccettature molteplici e non si riduce alla sola marca o al logo
irrinunciabile e ben visibile su borse, maglie e scarpe. Dopo il 2000 il lusso è un’altra cosa. I
consumatori sono cambiati rispetto al passato, il concetto stesso di superfluo è ben diverso da
quello di un tempo e anche nell’ostentazione variano molto le dinamiche.

Già l’etimologia della parola lusso la dice lunga: Sapevate che ha origine latina e deriva da lux,
ovvero luce, splendore? I cosiddetti prodotti di lusso, dunque, sarebbero quelli in grado di
farci risplendere, spiccare, distinguerci. Ecco perché quando ci riferiamo ai prodotti di lusso
spesso parliamo anche di status symbol; prodotti in grado di evidenziare una determinata posizione
sociale ed economica. Una posizione sociale alta ovviamente; una grande capacità di spesa, che
permette di acquistare prodotti costosi.

  Quando parliamo di lusso, dunque, pensiamo a costi alti. Ammettiamolo: è la prima associazione
  che ci viene in mente. Tanto da utilizzare, oggi, la parola lusso spesso con accezione quasi
  negativa.

Ma siamo certi che si tratti solo di prezzo?
Di certo una borsa da 1.000 euro oltre ad essere bella, disegnata dai migliori stilisti, e – si spera –
realizzata con i migliori materiali, dà informazioni su chi la indossa, presenta chi la possiede. Ma
oggi, in un periodo economico decisamente poco florido, chi vuole davvero presentarsi come una
persona che spende una cifra esagerata per una semplice borsa o per qualcosa di assolutamente
superfluo? La stessa persona, però, probabilmente sarebbe disposta a spendere una cifra abbastanza
alta per un prodotto fatto a mano, o con materiali ricercati, creativi e innovativi, o ancora
ecologici ed eco-sostenibili. Una prezzo magari esagerato considerando il prodotto stesso, ma che
è giustificato da altre motivazioni, da una selezione attenta e non da una semplice marca da
ostentare.

Il nuovo lusso, quello che attrae i consumatori di oggi è un lusso più accessibile ma soprattutto
più attento. Un’attenzione ai materiali, al senso etico delle aziende, alla personalizzazione e
all’unicità. Un lusso fatto di sperimentazioni, di prodotti unici. Un lusso meno guidato dall’istinto,
che gravita intorno ad acquisti più ragionati e meno voluttuari, non necessariamente da
ostentare, o meglio da ostentare per ragioni diverse. Prodotti capaci di differenziare e dare luce e
splendore non solo per un nome, ma per come sono fatti, pensati o venduti. Un lusso meno “da
passerella” e più da negozio di nicchia. Un lusso moderno, più intelligente e soddisfacente.

Training Film - Jerry Maguire (1996)
Jerry Maguire è il miglior procuratore sportivo della Sports Management International, società che
ha fra i suoi clienti i più importanti campioni e promesse dello sport americano.

La sua vita è all’insegna del successo: ottimi contratti, eccellenti commissioni, fidanzate sexy, ma,
quando tutto sembra filare per il meglio, una crisi di coscienza gli fa percepire tutta la superficialità
e falsità del suo lavoro e delle sue relazioni. In preda al suo resuscitato senso etico e morale, decide
di scrivere una “relazione programmatica”, che distribuisce a tutti i suoi colleghi, che di lì a soli 3
giorni gli cambierà per sempre la vita.

La sua presa di coscienza è mal digerita da tutto il microcosmo e macrocosmo che circonda Jerry
Maguire: i colleghi, i suoi capi, la sua ragazza, i suoi clienti, tutti lo abbandoneranno, costringendolo
a fare i conti con il lato più cinico e sprezzante del sogno americano.

Solo due persone lo accompagneranno nel percorso di rinascita e redenzione: una segretaria della
sua vecchia azienda e un giocatore di football americano rompiscatole e problematico.

Un film (del quale abbiamo già parlato) da vedere perché mette in scena una umanità leggermente
sopra le righe ma vera ed autentica, con personaggi calati in situazioni e storie che li mettono
costantemente alla prova e che fanno emergere le loro fragilità ma pure il loro coraggio.

Il regista Cameron Crowe si immerge per l’ennesima volta nel cuore oscuro del sogno americano,
consegnandoci un commedia lieve, divertente ed amara. Cast di stelle, tutte in stato di grazia, con
Tom Cruise nel ruolo di Jerry Maguire, Renée Zellweger nel ruolo della segretaria Dorothy Boyd ed
uno straordinario Cuba Gooding Jr. nel ruolo del giocatore di football rompiscatole Rod Tidwell.
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glior attore non protagonista, e tre candidature ai Golden Globes, con Tom Cruise che vincerà quello
per il miglior attore protagonista.

Questa sera, martedì 27 marzo, alle ore 21:10, su Paramount Channel, canale 27 del digitale
terrestre, non perdete il film Jerry Maguire (1996) di Cameron Crowe, con Tom Cruise, Renée
Zellweger e Cuba Gooding Jr..

Lo Specchietto Retrovisore. Protezionismo
o isolazionismo?
La parola d’ordine è protezionismo, ma per molti Paesi in realtà si tradurrà in
isolazionismo.

L’amministrazione Trump, con le annunciate tariffe del 25% che andranno a colpire fino a 60billion
di dollari di importazioni dalla Cina, mira a riequilibrare la bilancia commerciale, il cui
disavanzo strutturale preoccupa gli Stati Uniti d’America e conseguentemente si pone l’obiettivo di
proteggere il tessuto industriale nazionale.

La risposta della Cina al momento si è rivelata di circostanza, molto più politica che di
azione diretta. Tuttavia, il pericolo che la situazione si inasprisca è evidente. Sono stati annunciati
possibili dazi sulle importazioni cinesi e individuati 128 prodotti sui quali il neo presidente Xi
Jinping potrebbe far ricadere la controffensiva.

Sono evidenti almeno un paio di elementi:

1. la guerra valutaria è appena iniziata e altri player potrebbero aggiungersi alla disputa. Penso
   alla Russia ma anche all’Europa, visto che il Presidente francese Macron, non ha perso occasione
   per mostrare il suo vero volto ancora una volta. Ostentare misure protezionistiche, chiamando in
   causa l’intera Europa questa volta, per tutelare l’interesse nazionale e quello europeo, non fosse
   altro perché la voce diviene leggermente più forte e corale mostrando le proprie istanze a favore
   di un’Unione Europea.
2. a livello globale è ormai nel seme democratico, una sorta di malcontento popolare che ha
   legittimato la volontà di chiudersi a riccio, di propagandare e infine mettere in atto politiche
   conto il libero scambio di merci e persone.

Vengono annunciate misure protezionistiche, vengono votate a furore di popolo se pensiamo
alla Brexit, alle elezioni politiche italiane, allo stesso Trump. Ed evidentemente alcuni
protagonisti fanno paura più di altri. Le proposte propagandistiche antieuropee di Salvini & Co.
(perché nell’idea del protezionismo poi si giunge ad un mero isolazionismo sfrenato, ignorando che
l’Unione fa la forza, volutamente con la U maiuscola) fanno meno paura di quelle di Donald Trump.
La potenza di tiro è chiaramente diversa e così quando durante l’intera settimana appena trascorsa,
la preoccupazione di una guerra di dazi è cresciuta esponenzialmente, il vero timore è che altre voci
grosse si uniscano al coro. Sono gli equilibri internazionali che possono essere messi in discussione
proprio perché Putin o Xi Jinping possono agire da veri imperatori per i loro Paesi.

Quale messaggio possiamo ricavare dalla reazione dei mercati?

Innanzitutto, la correzione dell’azionario ci segnala e probabilmente lancia un messaggio chiaro a
Trump, di come una politica protezionistica vada infine ad incidere sui margini aziendali.
Quello che spesso accade nell’imporre dei dazi è che anche i produttori interni allineino i prezzi dei
propri manufatti a quelli importati maggiorati per le tariffe in corso. Si potrebbe avere un effetto
inflazionistico anche per effetto di un dollaro più debole dovuto ai flussi relativi alla domanda
internazionale del biglietto verde.

Ci lasciamo con un interrogativo.

Quanto di questa escalation di Donald Trump, non sia spiegata essenzialmente dalla sua volontà di
apparire forte al proprio elettorato per le elezioni del Mid Term del 6 novembre 2018?
Se cosi fosse, abbiamo dinanzi a noi ancora molti mesi, un periodo di tempo sufficiente perché la
situazione possa degenerare senza un chiaro passo in dietro rispetto ai proclami iniziali. Quello a
cui oggi assistiamo è in realtà una forma estrema di isolazionismo; Donald Trump ne
incarna perfettamente l’immagine dal momento che anche all’interno della sua amministrazione
appare sempre più in una posizione poco comoda. E le guerre dei dazi saranno anche facili da
vincere come ha dichiarato in un suo ormai famoso tweet, ma anche gli altri competitors sono dello
stesso avviso. Nel mezzo, la popolazione, la gente comune, le persone che hanno anche
probabilmente appoggiato e votato Donald Trump.

Qualora la reazione della Cina dovesse ricadere sull’importazione della soia, sarebbero
proprio gli stati più amici di Trump a risentirne il peso economico. E anche la Cina
probabilmente soffrirebbe costi più alti, dal momento che oltre un terzo della soia consumata in
Cina proviene dai campi statunitensi. Chiaramente a farne le spese di questa guerra di dazi,
combattuta non con armi convenzionali, ma con tariffe e veti, sarà la gente comune che
vedrà lievitare i prezzi delle merci finali.

E se alla fine per anni abbiamo cercato, implorato, l’arrivo dell’inflazione, e dovessimo aspettare
questa mossa politica di Donald Trump, magari alla fine ci toccherà anche ringraziarlo. Di certo,
queste politiche protezionistiche non sono nuove e probabilmente a Trump bisogna dare il merito di
palesarle con più efficacia, nel suo stile. Per il resto invece speriamo che la società non debba
fare i conti con un processo di chiusura che porterebbe anche le idee, le persone, l’essenza
stessa della collettività ad integrarsi con più difficoltà. Questo sarebbe un costo troppo
elevato, non finirebbe nelle statistiche legate all’inflazione, ma avrebbe un peso specifico elevato.

                                                                    Christian Zorico: LinkedIn Profile

Utilizzo dei dati, Facebook e Cambridge
Analytica, in parole semplici!
Ci risiamo.
Facebook è sotto l’occhio del ciclone per motivi di trasparenza, gestione ed utilizzo dei
dati; i nostri dati. Ed anche noi, sulle pagine virtuali di Smart Marketing, ne abbiamo parlato
precedentemente in un paio di occasioni:

■   Facebook ha deciso: basta notizie-bufala!
■   Facebook: operazione trasparenza

Negli ultimi giorni non si fa altro che parlare dello scandalo di Cambridge Analytica e dell’uso,
diciamo improprio, di dati presi da Facebook da parte della società inglese di analisi e studio di
dati per fini strategici (campagne e strategie di comunicazione e marketing commerciale e
politica).

Quelli di Cambridge Analytica sembrano essere molto bravi nel loro lavoro.
Attraverso le informazioni che giornalmente gli utenti (ossia noi) lasciano all’interno di Facebook
sotto forma di like, commenti, condivisioni e post, la società inglese riuscirebbe a tracciare un
profilo molto accurato dell’utente stesso, attraverso l’utilizzo di algoritmi specifici. Inoltre, a questa
vastità di informazioni, la società inglese affianca anche dati relativi ai comportamenti d’acquisto,
e/o di vario genere, che giornalmente abbiamo sul web. Con questa mole di dati, la Cambridge
Analytica riesce quindi a realizzare delle campagne di comunicazione altamente mirate e
targettizzate potendo contare sulla costituzione di un profilo utente molto ben definito non solo
sotto l’aspetto comportamentale, ma anche sotto l’aspetto emozionale.

Come detto sembrano essere molto bravi. Stando a quanto afferma Michal Kosinski, psicologo
e data scientist che lavora sull’algoritmo di Cambridge Analytica, attraverso pochi like lasciati
su Facebook, sono in grado di avere una conoscenza davvero molto precisa di un utente. Con 70
like si potrebbero conoscere più cose di un utente rispetto ai suoi amici, con 150 like di più
dei suoi genitori, con 300 di più del compagno/a, per arrivare a conoscerci addirittura di più di noi
stessi.

Cosa viene imputato a Facebook?

Facebook, in breve, non avrebbe opportunamente vigilato sui dati dei propri iscritti. Nel
2014, infatti, uno sviluppatore di App che consentiva l’accesso alla propria App – thisisyourdigitallife
– tramite il Facebook Login (azione lecita), ha successivamente ceduto i dati di cui era in possesso (si
parla di informazioni relative a circa 50 milioni di utenti) a Cambridge Analytica. Proprio
quest’ultimo aspetto è il fulcro del problema, perché la cessione a terzi dell’utilizzo dei dati non
è consentita da Facebook. Quindi è di questo che si tratta: un mancato o tardivo controllo
dell’utilizzo di dati.

E Cambridge Analytica come ha utilizzato queste informazioni?

Sembrerebbe che Cambridge Analytica abbia avuto un ruolo rilevante nella vittoria di
Trump alle elezioni presidenziali americane del 2016. Attraverso la loro capacità di
elaborazione dei dati e l’utilizzo delle loro tecnologie avrebbero prodotto una strategia di
comunicazione per veicolare messaggi di vario genere (pubblicità, ma anche fake news) contro
l’altra candidata alla Casa Bianca, Hillary Clinton.
E sappiamo tutti come è andata a finire.
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