PRESENTA LA CLASSE 2 D a.s.2014-2015 - S.M.Don Milani - Seregno - IC Stoppani Seregno

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S.M.Don Milani – Seregno

LA CLASSE 2^D a.s.2014-2015
          PRESENTA

                  Copertine di Gaia Crippa e Federica Ravì pinto

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PRESENTA LA CLASSE 2 D a.s.2014-2015 - S.M.Don Milani - Seregno - IC Stoppani Seregno
I ragazzi e le ragazze
         della classe 2^D
           presentano

AVVENTURE di “CLASSE”

    Anno scolastico 2014-2015

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AI LETTORI

Quella che state per sfogliare è una raccolta di racconti d’avventura.
I giovani autori dei testi sono alunni di una classe seconda media, sono i ragazzi e le ragazze della
2^D, a.s. 2014-2015, della scuola media Don Milani di Seregno.
Si sono cimentati con questo classico genere narrativo perché molti di loro sono appassionati
lettori e tutti quanti sono fantasiosi ideatori. Amano osservare la realtà ma, a partire da essa,
elaborarne delle variazioni, cercare il significato di ciò che vedono, porsi domande su quanto
accade e trovare risposte. Sono curiosi, e la curiosità, quella positiva, è la molla per imparare
davvero!
Le alunne e gli alunni della 2^D sono ragazze e ragazzi simpatici, amano stare insieme, accogliere
anche nuovi amici per conoscerli, ma soprattutto – dote rara al giorno d’oggi – sono sempre
interessati ad ascoltare il punto di vista degli adulti. Non si può eludere la loro voglia di
confrontarsi e di discutere, tipi così vanno presi sul serio, non possono essere “liquidati”.
In queste loro fatiche i ragazzi hanno dato voce all’immaginazione, la risorsa più autentica e
personale di cui dispongono, quella che nella vita permetterà loro di trovare soluzioni innovative ai
problemi che negli anni incontreranno, la facoltà che da sempre permette all’uomo di compiere
progressi e di non limitarsi a ciò che è già preconfezionato e proposto come inevitabilmente
necessario.
L’avventura spalanca mondi, invita a immaginare e stimola la creatività per trovare strade nuove,
nuove prospettive. I nostri ragazzi hanno dunque applicato alla lettera l’insegnamento e non si
sono limitati a “leggere” avventure scritte da altri, ma le hanno ideate loro stessi in prima
persona….. Le storie hanno ambientazioni varie, quasi sempre vedono in azione giovani
protagonisti e spesso contengono anche una morale, segno che la scrittura ha indicato ai nostri
autori tante possibilità: sognare, divertirsi, imparare e anche insegnare.
Buona lettura a voi!

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AVVENTURE tra i MARI

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LA RICERCA DI ANASTASIA
                                            di Laura Bottoli

Anastasia è una ragazza che ignora di avere un padre e una sorella. Affronterà molte avventure
per trovarli, ma riuscirà veramente a scoprire dove vivono?

Anastasia è una ragazzina come tante altre della sua età, cioè come tutte le ragazzine di 12 anni. È
alta e magra, ha lunghi capelli neri, grandi occhi castani, naso a punta e lentiggini.
È stata separata da suo padre Giulio e da sua sorella gemella Alice che si sono trasferiti in un
paesino del centro Italia subito dopo la sua nascita. La mamma ha lasciato andare via solo Alice e
ha tenuto con sé Anastasia perché non voleva separarsi del tutto dalla sua famiglia bensì tenere
una parte di essa con lei nella speranza di riunirla in futuro.
Giulio e Alice si erano traferiti così presto, senza neanche conoscere la piccola Anastasia, perché la
madre si era infiltrata in un gruppo di malviventi che, appena avevano scoperto la vera identità
della donna, avevano minacciato lei, la sua famiglia e le due bambine.
Un giorno Anastasia andò a trovare sua nonna all’ospizio: mentre stava entrando, sentì la nonna
parlare al telefono con Alice del fatto che era giunto il momento in cui Anastasia avrebbe dovuto
sapere dell’esistenza di Giulio e Alice. La nonna era l’unica che parlava con i due e che talvolta li
andava a trovare. Però c’era un problema: come faceva la nonna a spiegare tutta la storia ad
Anastasia? Lei temeva che, conosciuta l’esistenza di Alice e Giulio, Anastasia sarebbe andata a
cercare i suoi famigliari mettendo a rischio la loro sicurezza e la sicurezza anche della madre che
tutti i malviventi credevano morta.
Visto che Anastasia era molto curiosa, entrò nella camera della nonna e le chiese di Alice, così la
nonna dovette spiegarle tutto. La ragazza sorpresa ma anche arrabbiata per il fatto che nessuno le
aveva detto nulla in quei 12 anni, come temeva la nonna, volle sapere dove vivevano suo padre e
sua sorella, quindi la nonna dovette dirle tutto ciò che sapeva. Tuttavia né la nonna né la mamma
conoscevano il luogo esatto in cui i loro cari vivevano, sapevano solo che vivevano in una isoletta
del centro Italia.
Una notte la madre di Anastasia sentì dei rumori strani che provenivano della stanza della figlia
però non dette loro troppa importanza. La mattina seguente Anastasia era scomparsa: non era a
casa, non era dalla nonna e non era neanche in giro per la città. La mamma era disperata. Le
vennero in mente tutti i lamenti di Anastasia: la sera precedente aveva insistito che voleva

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assolutamente conoscere suo padre e sua sorella. La mamma si recò all’aeroporto per cercare la
figlia e chiese a tutti gli impiegati di guardare se fosse salita su un aereo diretto in Italia centrale.
La mamma corse come non aveva mai fatto e riuscì a salire su quell’aereo dove, come aveva
previsto, trovò Anastasia. Le due parlarono a lungo e alla fine la ragazza accettò il fatto che la
mamma la dovesse seguire nel viaggio perché con il suo passato da infiltrata si sapeva difendere e
poteva difendere anche Anastasia.
Una volta atterrate, le due presero il telefono protetto che la mamma teneva sempre in tasca per
ogni emergenza e chiamarono Alice per chiederle dove vivessero. Mentre la ragazzina stava
dicendo che vivevano su un’isola sconosciuta da tutti, qualcuno la interruppe e si sentirono delle
grida. Le due preoccupate noleggiarono una barca e si avventurarono alla ricerca dell’isola
misteriosa. Il viaggio in mare durò diversi giorni. Mentre ancora si trovavano in mare, avvistarono
una piccola isoletta che in 30 minuti si attraversava da riva a riva.
Arrivate alla spiaggia, ancorarono la barca; videro subito dei segni che fecero capir loro subito che
qualcuno aveva vissuto lì, trovarono anche delle gocce di sangue che le fecero preoccupare molto.
Nel tentativo di capire chi potesse mai aver potuto rapire Giulio e Alice, alla mamma venne in
mente il capo del gruppo di malviventi in cui tempo addietro si era infiltrata e che, a quanto si
sapeva, non era mai stato catturato: il suo nome era Giorgio Casacchieri ma da tutti si faceva
chiamare “medico”.
Mentre stava camminando, la mamma trovò uno scatolone: era pieno di soldi e armi
evidentemente destinati al medico e ai suoi soci. Più in la videro una specie di grotta illuminata dal
sole. La mamma prese un fucile, la ragazza afferrò due bastoni e vi si addentrarono molto
cautamente. Alice e Giulio erano imbavagliati sotto il tiro del “medico” che puntava una pistola
sulla loro testa. “Consegnate i soldi e le armi” intimava il medico. Proprio in quel momento, la
mamma saltò fuori e gli disse: ”Ho io i soldi, loro non c’entrano, lasciali stare.” Ma il medico disse
molto prontamente che prima voleva il denaro e le armi, dopo li avrebbe lasciati andare. La
mamma fece come aveva detto il medico ma, come temeva, l’uomo non mantenne la promessa e
qui entrò in gioco Anastasia. La ragazza lanciò un bastone alla mamma che iniziò a combattere con
gli scagnozzi del medico mentre la ragazza liberava la sorella e il padre, a cui diede l’altro bastone.
I due con vari colpi mortali ebbero la meglio sul medico, uscirono dalla grotta e tornarono alla
barca. Prontamente raggiunsero una centrale di polizia che si trovava sulla costa italiana prima di
tornare tutti a casa. Anastasia e Alice si conobbero meglio e tutto finì felicemente.

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AVVENTURA TRA I MARI
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La storia avvincente di alcuni ragazzi coraggiosi che lottano contro una banda di pirati inquinatori
del mare. Per fortuna alla fine il bene trionfa e per gli oceani giustizia è fatta!

Mi trovavo a bordo della “Princess of the Sea”, una bellissima nave che aveva il compito di girare
per i mari e gli oceani con l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente marino. Era bello guardare
l’orizzonte e sapere che tra le onde c’era tanta vita.
Stavamo attraversando una riserva marina al largo delle Isole dell’Oceano Indiano. Ero sul ponte
di comando con i miei amici studenti e insieme studiavamo le carte nautiche, non dimenticandoci
di osservare il mare che tranquillo si distendeva davanti a noi. All’improvviso apparve una macchia
nera, scura e oleosa che si disperdeva sulla superficie dell’acqua, si notavano qua e là contenitori
galleggianti con disegnato sopra un teschio e con la scritta “veleno” o “rifiuto tossico pericoloso”.
In lontananza scorgemmo una nave che lasciava una scia di inquinamento. Allarmati, decidemmo
di verificare cosa stesse succedendo. I motori della Princess of the Sea furono azionati alla
massima velocità e in breve tempo raggiungemmo la nave. I malviventi stavano ancora lanciando
in mare rifiuti tossici e alla nostra richiesta di smettere, per tutta risposta ci spararono contro colpi
di mitra. Erano pirati, criminali assunti da grandi compagnie petrolifere allo scopo di gettare in
mare rifiuti tossici senza preoccuparsi degli effetti devastanti sull’ambiente.
Avevo paura, ma quello era solo l’inizio. La prua della loro nave ci stava venendo addosso,
procurando un grosso danno alla nostra fiancata. La nostra nave cominciò a imbarcare acqua, in
breve tempo si inclinò e iniziò ad affondare. Salimmo tutti sulla scialuppa di salvataggio: eravamo
in 20, stretti stretti, impauriti, ma per il momento salvi. Purtroppo mancava all’appello solo il
capitano, che non aveva avuto il tempo di salire e forse era affogato.
La nave dei “pirati” si era allontanata, un po’ danneggiata, senza più preoccuparsi di noi, con il suo
carico di rifiuti tossici. Che paura, che freddo, eravamo con poco cibo e poca acqua e il mare
cominciava ad agitarsi. Fulmini riempivano il cielo sempre più vicini, annunciando una devastante
burrasca. Le onde sempre più alte mandavano spruzzi nella barca e il peggio sembrava dovesse
ancora arrivare. All’improvviso, oltre le onde apparve la terraferma. Ci mettemmo a remare con
tutte le nostre forze e finalmente arrivammo sulla spiaggia, salvi anche se completamente esausti.

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Era notte, e al di là della spiaggia c’era una foresta molto fitta da cui provenivano rumori di animali
selvatici e suoni incomprensibili.
Decidemmo di accendere un fuoco per riscaldarci e per tenere lontano gli animali feroci. All’alba ci
svegliammo con un bel sole e cominciammo a esplorare l’isola. In una baia scoprimmo che era
ancorata la nave pirata che ci aveva assalito il giorno prima. Dovevamo escogitare un piano per
dare una lezione a quei criminali: avremmo aspettato la notte e tentato di rubare loro la nave per
andare a denunciarli alla polizia.
Così, con il favore delle tenebre, mentre i pirati stavano intorno a un fuoco cantando ed
ubriacandosi, prendemmo la nostra scialuppa e ci avvicinammo alla loro nave. Un pirata, l’unico
che era rimasto a guardia della nave, si accorse di noi e diede l’allarme. Sentii un colpo di arma da
fuoco e un mio amico fu colpito ad un polpaccio. Non riusciva più a muoversi e mi chiese di
lasciarlo sulla scialuppa, mentre gli altri salivano già sulla nave. Io decisi allora di rimanere con lui.
Subito dopo udii altri spari, che per fortuna non avevano colpito nessuno. La nave pirata, ormai in
possesso dei miei amici, si stava allontanando, ma noi due fummo presi come prigionieri. I
criminali ci portarono, legati saldamente con una fune in una caverna, mentre il mio amico
continuava a perdere sangue. Eravamo soli, in mano ai pirati, che erano inferociti per aver perso la
nave. Passarono alcuni giorni senza che nulla accadesse. La ferita per fortuna andava meglio ma
eravamo stremati. Fu allora che, durante un cambio della guardia, attraverso le sbarre della porta
che chiudeva l’accesso alla caverna, riuscimmo a impadronirci delle chiavi dimenticate su una
vecchia cassa. Aprii, uscimmo in fretta e io diedi un colpo in testa alla guardia che si era accorta di
noi. C’erano però molte altre guardie e non era facile fuggire. Il mio amico ferito stava male e
soffriva molto. Nonostante tutto, con passo silenzioso, riuscimmo a non farci notare e a prendere
un po’ di distanza, nascondendoci dietro alcuni cespugli. Da una cassa, prima di fuggire, per
fortuna avevo preso un trasmettitore, una specie di telefono satellitare con cui i pirati potevano
comunicare. Con un’ansia terribile chiamai la Guardia Costiera. Poco dopo sentimmo il rumore di
un elicottero nel cielo. Era la polizia venuta a salvarci. Subito l’elicottero atterrò, salimmo a bordo
e volammo via, in men che non si dica liberi.
Il giorno dopo con la polizia e i nostri amici tornammo sul posto con una grande nave armata fino
ai denti. I pirati inquinatori furono arrestati e finalmente nel mare tornò la pace.
Tutti noi eravamo felici di aver contribuito a rendere il mondo più pulito. La giustizia aveva
trionfato e il mare poteva vivere!

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di Martina mandaglio

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IL VIAGGIO DI LUCA
                                          Di Nicole Dell’Orto

Luca e suo padre sono ostacolati nel loro viaggio dalle intemperie. Purtroppo Luca si ritroverà a
combattere e a difendersi da solo.

In un tempo indefinito, un bel giorno un ragazzo di nome Luca e suo padre decidono di
intraprendere un viaggio in nave, solcando le acqua dell’oceano Pacifico. Il padre, infatti, da
esperto marinaio vuole insegnare i segreti della navigazione al figlio adolescente.
Una mattina illuminata da un sole splendente, salgono a bordo della piccola nave e aiutati da
alcuni marinai salpano. Dopo alcune ore di navigazione, spinta da un forte vento, la nave con le
vele gonfie si trova già al largo e Luca si gode lo splendido paesaggio che solo il mare sa regalare:
l’azzurro dall’acqua, il bianco della schiuma delle onde e il sole che scalda la pelle.
Il viaggio prosegue per parecchi giorni tra risate e divertimento; Luca è felice perché finalmente
non si sente più un bambino, ma un piccolo uomo con i propri compiti sulla nave, come un vero
marinaio. Il padre, dal canto suo, è fiero del figliolo e dell’impegno che ci mette nella navigazione.
Un giorno il piccolo marinaio quasi uomo ha un presentimento, infatti vede il mare che incomincia
a risucchiare tutto quello che trova; i marinai, il padre e Luca stesso lottano, fanno di tutto, la nave
capovolta ormai è distrutta, i pesci impazziscono, insomma in un gran turbinio di sensazioni il mare
è proprio arrabbiato e lo dimostra.
La nave ormai è ridotta a un relitto, i marinai morti, il padre di Luca disperso e il povero giovane si
trova senza sensi aggrappato a un trono arenato su una spiaggia cristallina e meravigliosa.
Al suo risveglio Luca ringrazia di essere in vita, sano e salvo, ma si sente solo e smarrito perché non
ci sono più i marinai e soprattutto gli manca suo padre; ha paura, prova tante emozioni e
sensazioni contrastanti, si sente come se fosse tornato piccolo.
Con un po’ di coraggio, si alza e comincia ad esplorare tutta l’sola: incontra animali, piante di tutti i
tipi, si costruisce una zattera con tronchi di albero e palme, insomma si arrangia e fa un bel lavoro.
Col passare dei giorni Luca matura il proposito di tornare a casa .
Una mattina accende un grande fuoco facendo un falò enorme, affinché le navi che dovessero
passare da quell’isola avrebbero notato Luca e lo avrebbero portato in salvo.

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E così accade. Quello stesso giorno transita una grandissima nave con vele e una scritta nera sul
lato “THE BIG”. Luca la nota, gesticola e lancia sassi e alla fine la nave si accorge di lui.
I marinai scendono a terra, Luca chiede aiuto per essere portato in salvo.
Salito sulla nave, i marinai gli offrono da mangiare e da bere, mentre il ragazzo racconta loro tutto
quello che gli è capitato fino a quando arriva alla città da dove è partito.
Luca viene riconosciuto come eroe e da allora la storia di Luca viene raccontata a tutti per
dimostrare alla gente che con un po’ di coraggio e di forza di carattere si possono superare anche i
momenti più difficili e brutti della vita.

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TITANILUS
                                         di Federica Ravi Pinto
Sono imbarcata sul Titanilus nel suo viaggio di inaugurazione, ma un grave imprevisto impedirà per
sempre al transatlantico di trasportare passeggeri…

“Un ICEBERG a prua!” urlò il comandante terrorizzato, ma con spirito combattivo, “la nave non
riuscirà a resistere! Dobbiamo fare qualche cosa!” .
“Non c’è nulla da fare, il transatlantico affonderà” disse Joan, il direttore di macchina. “Ma è
indistruttibile, non può affondare!” ribatté il cameriere. “Invece affonderà, è fatta di metallo,
signore, come tutte le altre!” continuò Joan.
Era una mattina di inverno, i passeggeri facevano colazione, il comandante si trovava in cabina di
manovra e il direttore di macchina beveva il suo caffè, mentre io, sì io, dormivo e stavo sognando
di essere su una nave, il cui nome era TITANILUS.
14 Gennaio 1902, il TITANILUS era arrivato al porto ed io, emozionata, stavo aspettando il
maggiordomo che aveva con sé le mie valigie.
Ero salita sulla nave, stavo prendendo il mio caffè e me ne stavo lì comoda a guardare il
maggiordomo che portava le mie valigie nella cabina, in cui avrei dovuto alloggiare per una
settimana, mentre i passeggeri di terza classe sgobbavano in fila uno per uno, portando con sé le
proprie valigie.
Era arrivata l’ora di pranzo ed io ero nella cabina ad osservare il mare che ondeggiava. Decisi di
andare a mangiare al ristorante, invece di farmi portare il pranzo in cabina.
Urlai “ Nick, Nick…” il nome del cameriere , “ lascia stare il pranzo, vado a prenderlo io!” “ Ma
milady…” ribatté il ragazzo, “ lascia stare Nick” dissi io.
18:15 martedì 15 gennaio 1902, ero affacciata sul ponte e stavo osservando il tramonto, ad un
certo punto vedo un’ onda gigantesca salire verso di me, pensavo che fosse la fine di tutto, invece
l’onda tutto d’un tratto si abbassò ed io scappai subito dentro la mia cabina.
20:35, filava tutto liscio, fino a quando il comandante entrò terrorizzato nella mia cabina, dicendo:
“ Faccia le valigie, abbandoni la cabina e corra verso l’atrio, non si serva dell’’ascensore, usi le
scale!”. “Cosa succede! Qualcuno sta male? ” chiesi io.

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“Corra senza fare storie!” disse il comandante.
Purtroppo avevo capito cosa stava succedendo: il TITANILUS stava affondando!
Corsi subito nel salone ma mi accorsi che Nick non c’era. Lo chiamai tantissime volte, ma non
rispose, allora mi incamminai verso le scialuppe di salvataggio, quando sentii la sua voce. Lo
chiamai ancora una volta …
Lo vidi sulla scialuppa che stava per essere calata in mare. Dalla disperazione mi buttai tra le onde
per stare con lui.
Ore 21:43, il TITANILUS era ormai stato inghiottito dal mare ed io ero in acqua con Nick, eravamo
appoggiati su un pezzo di ghiaccio senza sapere come fare ad arrivare a riva. Nick mi parlava
sottovoce, come se la sua voce fosse soffocata dalla massa pesante di acqua che ci circondava.
Piano piano lo vedevo chiudere gli occhi, come se si fosse addormentato tra le braccia del mare
che con le sue onde cullava tutte le persone che, come noi, stavano aggrappate ad una tavoletta
galleggiante.
Gli parlai anch’io sottovoce, ma lui non si mosse, non aprì nemmeno gli occhi. Ormai avevo capito
cosa gli era successo, ma non volevo arrendermi, così lo chiamai tante volte, ma Nick era morto.
Le scialuppe dei soccorritori arrivavano, ma io non volevo salire da sola senza Nick, così decisi di
gridare aiuto e intanto nuotavo trascinando il corpo inerte di Nick per farlo salire sulla scialuppa,
così non sarebbe affondato negli abissi del mare.

18 novembre 2014
Sono le 5:10, mi sveglio: sono sdraiata sul divano con la televisione ancora accesa su rai 1 che
trasmette il telegiornale. Tra le tante notizie c’è quella che riguarda il naufragio di una nave di
nome TITANILUS.

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IL VIAGGIO DI ARMANDO
                                         di Francesco Vaccaro

Armando è cresciuto senza padre, ma desidera ritrovarlo. Vivrà un’avventura ai Caraibi prima di
potersi ricongiungere a lui.

Questa è la storia di un ragazzo di 17 anni, Armando. È un ragazzo buono e gentile, con un senso
della giustizia così profondo che lotta sempre contro le ingiustizie. Ha i capelli scuri, è alto e magro,
solitamente indossa pantaloni scuri, maglietta rossa e scarpe un po’ rovinate. Vive in una fattoria
con la madre appena fuori da un paesino. Ogni giorno lavora nell’orto, mentre sua madre pensa
agli animali. Ogni sera, a cena, chiede a sua madre qualcosa sul padre che non ha mai conosciuto.
Egli non sa che sta per intraprendere una indimenticabile avventura.
Una mattina,mentre annaffiava le piante, pensava:”Voglio conoscere mio padre o, almeno, sapere
se è ancora vivo!”. Quella sera stessa chiese a sua madre il permesso di partire alla ricerca di suo
padre ed ella tristemente disse: ”Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. E io non ti fermerò”.
La mattina prima di lasciarlo partire la mamma gli disse di andare nel paesino poco lontano a
cercare il vecchio amico del padre. Così Armando s’incamminò. La strada era agevole, perciò nel
giro di mezz’ora arrivò. In quel paesino non esistevano regole e ognuno faceva quello che voleva.
Armando non sapeva dove cercare, provò a entrare in una locanda che vide affollata.
La locanda ospitava ubriaconi della peggior specie. Armando andava in giro per il locale chiedendo
se qualcuno conoscesse suo padre: contava che il suo aspetto attirasse l’attenzione degli
interpellati, visto che, stando ai racconti della madre, Armando e suo padre erano due gocce
d’acqua. Purtroppo le risposte erano le seguenti: ”Chi è?” e ”Vattelo a cercare!”
All’improvviso vide un uomo che lo chiamava col gesto della mano. ”Conosco io tuo padre,
scommetto che vuoi andare a cercarlo”. Disse questo individuo ad Armando. Il ragazzo annuì.
”Molto bene,” continuò il tipo, “mi ricordo che tuo padre mi disse che stava per partire per
un’isola” e intanto tirò fuori la cartina dei Caraibi. Armando gli chiese come arrivare in quell’isola
visto che non aveva mezzi. L’individuo gli propose di usare la sua nave che era attraccata al porto
appena di fronte alla locanda. Però, prima che Armando se ne andasse ,il tizio gli disse: ”Rum no
mur!” Il ragazzo, piuttosto perplesso per quelle parole, si allontanò.
Appena arrivato al porto, vide tante navi, ma una, di colore marrone e giallo, era la più
imponente. Armando stava per salire a bordo, quando la ciurma lo fermò. ”Parola d’ordine” gli
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intimò un uomo forzuto. Il ragazzo rimase a lungo a pensare, quando si ricordò le parole del tizio,
così disse: ”Rum no mur!” Pronunciate queste parole i ceffi si dileguarono, lasciandolo passare.
Appena salito sul ponte, l’intera ciurma lo fissò con sguardo freddo, come si aspettassero da lui
chissà cosa. Dopo un po’ apparve un uomo che ruppe il ghiaccio dicendo: ”Avanti su! Il timone è
tuo!” Il ragazzo, sapendo che questo vuol dire che era diventato capitano, rivolgendosi ad un
marinaio donna intimò: ”Tu, al timone!” La donna, anche se contraria all’idea di avere Armando
come capitano, obbedì: ”Sì capitano! Ognuno ai propri posti!”. In men che non si dica la nave
salpò. Erano più o meno le 5 del pomeriggio quando l’intera ciurma cessò ogni attività.”Perché vi
siete fermati?”, chiese Armando. ”Siamo stufi di essere comandati da un marinaio d’acqua dolce
come te!” Rispose un mozzo. Era dunque in corso un ammutinamento. I marinai sguainarono le
spade per ucciderlo, così Armando propose: ”Sentite: so che per voi non è bello essere comandati
da un tipo come me, ma io voglio soltanto ritrovare mio padre!” Commossi da questo pensiero,i
pirati buttarono per terra le spade e lo invitarono a mangiare con loro. Da quel momento i marinai
trattarono Armando come un membro dell’equipaggio.
Era tarda notte quando la ciurma scorse un piccolo villaggio su un’isola che sulla cartina aveva il
nome di Puerto Rico, così decisero di attraccare per poter dormire più tranquillamente. Sarebbe
stato meglio se fossero rimasti in alto mare… Stavano dormendo, quando Armando sentì dei
rumori di passi e si svegliò. Sulla nave erano saliti altri pirati! Armando diede immediatamente
l’allarme e in un batter d’occhio i marinai di Armando erano in piedi con le spade in pugno. Iniziò
una battaglia per il controllo della nave. Ogni pirata lottava strenuamente per evitare di essere
ucciso. Un avversario si lanciò contro Armando, così un suo pirata gli passò una spada perché si
difendesse. Durante il duello Armando perse l’arma ed era sul punto di essere ucciso, quando con
una spettacolare prontezza di riflessi riuscì ad afferrare di nuovo l’arma e ad uccidere il nemico.
Per fortuna ebbe la meglio la ciurma di Armando. La mattina dopo il ragazzo ripartì con una grinta
mai vista prima.
Stavano navigando, quando il cielo diventò nero, l’aria era secca e il mare iniziò ad agitarsi. ”Un
uragano!” urlò un marinaio. A breve distanza si stava scatenando una tempesta. Tutta la ciurma
lottò strenuamente nel tentativo di invertire la rotta, ma l’acqua e il vento erano così violenti che
la nave sarebbe stata risucchiata dentro l’uragano. L’intera ciurma era nel panico: c’era chi si
gettava in mare, chi si uccideva e chi attendeva la morte passivamente. Armando era così
spaventato che non riusciva più a muoversi. Il vento si fece ancora più forte e in un attimo la nave
scomparve nell’occhio del ciclone. Fortunatamente sopravvissuto all’uragano, Armando si risvegliò

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sopra il ponte di una nave che stava per attraccare in un’isola. “Dove mi trovo?” domandò il
ragazzo ad un uomo accanto a lui. “Ti trovi su un mercantile”, rispose l’uomo, dicendogli anche
che l’avevano trovato svenuto su un pezzo di legno che galleggiava in mare. Armando gli chiese
dove stessero attraccando e l’uomo gli rispose, indicando su una cartina dei Caraibi proprio l’isola
dove era diretto Armando. Una volta arrivato, il ragazzo salutò e ringraziò la ciurma di quella nave
e si diresse al villaggio. Dopo poco, come per miracolo, Armando incontrò suo padre e i due si
abbracciarono piangendo.

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AVVENTURE nella NATURA
   e sulle MONTAGNE

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L’UCCISIONE DEL DRAGO DI KOMODO
                                 di Christian Corti e Tommaso Novara

Un ragazzo strappato ai genitori dai terribili draghi di Komodo e allevato dalle scimmie, una volta
cresciuto affronta molte avventure per vendicare i suoi genitori.

Tanto tempo fa a Komodo viveva un ragazzo di 15 anni di nome Steve. Basso, moro e con gli occhi
marroni, era cresciuto come un selvaggio perché i suoi genitori erano stati uccisi dai draghi di
Komodo, quando lui aveva solo 2 anni. Era vissuto nella giungla di Komodo, adottato da un branco
di scimmie che gli avevano insegnato a sopravvivere nella natura. Non aveva imparato mai a
comunicare con gli umani, da cui era sempre stato lontano, perché le scimmie li ritenevano
pericolosi.
Un giorno un ranger che stava facendo un safari nella giungla lo notò e gli chiese chi fosse, ma lui
non poteva rispondere. Da quella volta però il ragazzo iniziò ad interessarsi agli uomini, li spiò e
ascoltandoli imparò presto la loro lingua. Un giorno arrivarono dei draghi di Komodo che cercarono
di azzannarlo: gli animali si ricordavano l’odore dei genitori del ragazzo che tempo addietro
avevano sbranato. Steve riuscì a scappare e a rifugiarsi in una grotta. Da allora cominciò a chiedersi
perché l’avessero aggredito. Un giorno, mentre stava uscendo per andare a procurarsi del cibo,
trovò un portafoglio con dentro molti soldi che usò per comprarsi dei vestiti e per cercare qualche
notizia sui draghi di Komodo. Mentre svolgeva le sue ricerche, vide un articolo che parlava di una
coppia con un bambino piccolo che era stata uccisa dai draghi di Komodo, nell’articolo c’era anche
una foto che ritraeva i due coniugi. I loro volti erano familiari al ragazzo, ma lui non riusciva a
riconoscerli. Dopo qualche un signore, amico dei genitori, vide il ragazzo e gli raccontò tutta la
verità: quelli sulla foto erano i suoi genitori e lui era stato lasciato alle scimmie perché i draghi non
lo trovassero. Steve ringraziò il signore e giurò vendetta ai draghi di Komodo.
Si incamminò verso la giungla dove fabbricò una lancia e andò a cercare i draghi di Komodo che
trovò dopo 3 giorni e 3 notti, grazie all’aiuto del saggio re delle scimmie. Entrò nella loro caverna,
uccise i primi due che erano a guardia della tana, e dopo tante altri scontri arrivò dal re che lo stava
aspettando. Tra i due si accese una lunga e sanguinosa lotta a colpi di lancia e Steve, cercando di
non farsi mordere, riuscì a trafiggere il re e a portarlo fuori dalla caverna in segno trionfo. In città lo
vendette per comprarsi una casa dove finalmente visse in pace.

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L'AVVENTURA DI PETER
                                         di Thomas Colombo

Una notte Peter, ragazzino curioso e un po’ imprudente, vivrà un’avventura di cui presto si
pentirà…

Peter era un ragazzo di circa 12-13 anni. Quella sera Peter aveva litigato in famiglia, cosi quando i
suoi genitori furono andati a letto, lui prese il lenzuolo del suo letto e si calò dalla finestra per
scappare portando con sé l'indispensabile. Allontanandosi sulla sua bicicletta raggiunse il suo
nascondiglio segreto, che si trovava in un edificio abbandonato.
Di solito quel palazzo era vuoto, ma quella sera così non sembrò a Peter, che con una lanterna
accesa si avvicinò per vedere chi ci fosse. C’erano due uomini che indossavano vestiti stracciati, si
riscaldavano le mani con un fuoco su cui stavano scaldando dei cibi in scatola e vicino tenevano
delle armi e dei coltelli. Peter si avvicinò un po’ troppo così fu visto: lui scappò e corse
abbandonando la bici a terra. Andò a rifugiarsi nel boschetto che veniva chiamato "MALVAGIO" e
si nascose dietro un enorme albero spoglio. Sulle sue tracce gli uomini si facevano luce con la
lanterna e imbracciavano un’arma pronti a sparare. Peter, tornando indietro per recuperare la sua
bicicletta, entrò nel rifugio, si impossessò anche lui di un’arma e scappò.
La sera seguente tornò per spiarli munito di arma. Quando gli uomini uscirono dal rifugio, Peter vi
si introdusse, costruì una specie di porta con del legno e ci mise davanti una vecchia poltrona per
sentirsi protetto mentre si trovava all’interno. I malviventi però riuscirono ad abbattere la
protezione e a catturare Peter.
I genitori del ragazzo, vedendo che il secondo giorno Peter non era ancora tornato a casa,
chiamarono la polizia e lo andarono a cercare. Trovarono la sua bici appoggiata alla ringhiera, così
la polizia fece irruzione nel nascondiglio. Trovarono i due uomini che si riscaldarono le mani
davanti al fuoco. Gli agenti, una volta entrati, perquisirono il rifugio abbandonato, trovando Peter
imbavagliato e con le mani legate.
I malviventi iniziarono a sparare contro la polizia e colpirono un poliziotto che rimase a terra,
mentre un altro poliziotto ferì i delinquenti. Finalmente, dopo tanta paura, gli agenti portarono
Peter in salvo a casa con i suoi genitori, mentre i malvagi finirono in galera a vita.

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AVVENTURA PER LA SALVEZZA
                                           di Michela Colzani

Sembra una notte come le altre, ma un po’ oltre la mezzanotte il vulcano decide di eruttare e il
giovane protagonista dovrà cercare di mettersi in salvo insieme al nonno e alla zia.

Ad un tratto della notte mio nonno Galù disse a zia Jenny: "Quella non è una semplice montagna
come tutti dicono, è...", ma non fece in tempo a finire che la zia ribatté prontamente:"No,non
pensarci più fino a che non esploderà".
Allora nonno Galù venne a svegliarmi perché doveva parlarmi. Mi disse: "Kenton, dolce nipote, a
malincuore mi tocca dirti che tutti gli abitanti del nostro villaggio sono in grave pericolo e che
dobbiamo scappare al...” ancora non fece in tempo a finire perché udimmo urla e vedemmo
bagliori intensi quasi toccare il cielo accompagnati da un caldo soffocante. In quell'istante un
pensiero mi passò per la testa e capii che la montagna che tutti chiamavano "la montagna che
suda" era un vulcano rimasto inattivo per tanti anni che ora minacciava l’uomo con le sue armi
incandescenti.
Mio nonno, che aveva sempre sospettato che la montagna potesse essere un vulcano, aveva
scavato qualche anno prima una galleria che partiva dalla nostra piccola casetta e arrivava al di là
dell'isola, in un altro villaggio.
La zia Jenny preparava le scorte di cibo e acqua, il nonno raccoglieva un po’ di legna e dei
fiammiferi e io mettevo in tasca dei soldi, in modo tale che, arrivati nell'altro villaggio, avremmo
potuto vivere per un po'. Ci mettemmo in viaggio.
Dopo cinque giorni di cammino ininterrotto, nella galleria incontrammo nove lupi pronti a
sbranarci.
Un lupo salta di scatto contro nonno Galù che, accendendo un fuoco, uccide i primi quattro, poi
conficca nel ventre del capo branco una pietra trovata a terra e con un coltello da cucina di zia
Jenny ne uccide altri tre. Rimaneva solo una cucciola che davanti a noi si sedette come per
implorarci di tenerla in vita. A quel punto il nonno la prese in braccio e continuò a camminare
dicendoci che solo a metà percorso avremmo fatto una sosta. Arrivati a metà mangiammo e poi
per la stanchezza crollammo tutti in un sonno profondo, compresa la lupacchiotta.
Ci svegliò l’animale quasi un giorno dopo e riprendemmo a camminare. Una volta giunti alla fine

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della galleria, nonno Galù mi disse: "Esco prima io e poi vi darò il via libera". In quel momento però
la lava, entrando nella galleria, trascinò via il nonno. Io e zia Jenny allora chiudemmo subito
l’accesso che dava sull'altra parte dell'isola.
Una volta giunti finalmente in salvo, piangemmo tutte e due insieme alla lupacchiotta: nonno Galù
era stato e sarebbe sempre stato l'eroe delle nostre vite.

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LA MINIERA ABBANDONATA
                                            di Marta Corbetta

Riccardo decide di partire alla ricerca del padre scomparso. Durante il viaggio incontra degli amici
che lo aiuteranno a superare le difficoltà, ma all’ingresso della miniera ci sarà una brutta sorpresa
ad aspettarli…

Riccardo è un ragazzo di 13 anni, alto, magro, con gli occhiali, ha capelli castani e occhi azzurri
come il cielo. Indossa sempre una maglietta a maniche corte, una felpa, di solito blu, jeans con finti
strappi e scarpe da ginnastica. È di carattere gentile, generoso e sensibile, anche se non sembra.
Vive in campagna con la madre Melissa e la sorella Beatrice. Il padre è scomparso nel corso di una
spedizione misteriosa su una montagna vicino a una cascata.
Un bel giorno d' estate, Riccardo decide di partire alla ricerca di suo padre pensando che, se non
l'avesse trovato, sarebbe tornato indietro e avrebbe accettato l’idea che suo padre era morto. Con
lui decidono di andare due suoi cari amici, Francesco e Matte: era sicuro che nessuno di loro due
l'avrebbe mai abbandonato per nessun motivo.
Era in viaggio da tre giorni quando arrivano al margine della foresta: all' inizio esitano un po', ma
poi entrano nella boscaglia fitta e abbastanza scura. Il rumore del vento tra le foglie fa loro
compagnia e li fa sentire tranquilli. A mezzogiorno circa inizia a piovere e i ragazzi affrettarono il
passo, ma il fango, le foglie e la pioggia impediscono loro di andare avanti, così decidono di
accamparsi finché la pioggia non fosse diminuita. I ragazzi passano così tutto il giorno nella tenda a
parlare e a raccontarsi barzellette. All'alba la pioggia è cessata, il fango diminuito e il vento tra le
foglie è tornato a far loro compagnia. Questa volta però i tre amici decidono di fermarsi vicino al
fiume per poter pescare pesci. Quando i ragazzi decidono di riprendere la via della miniera, dopo
una fruttuosa pesca, sentono un verso simile a un grido che proviene dalla foresta. Prima che
possano scappare, si ritrovano un orso alle spalle che corre verso di loro. Sembra la fine per i
ragazzi, ma poi, proprio all'ultimo, una rete li cattura tutti e tre, tirandoli su, verso l'alto dell'albero
dove è situato un nido gigante, il riparo di una ragazzina di nome Greta.
La ragazza è alta, magra, ha capelli lunghi biondi e occhi verdi. Greta è un'amica di Riccardo, che
anche lei ha deciso di andare a cercare Michele, suo padre, scomparso con Stefano, padre di
Riccardo. Come loro, anche Greta si era trovata alle calcagna l'orso. I quattro amici decidono di

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restare sul nido per tutto il giorno e di ripartire poi alle prime luci dell' alba. Nella notte il cielo si
oscura e inizia a piovere a dirotto. Il giorno dopo i ragazzi riprendono il cammino, ma il fango, le
foglie e la pioggia continua rallentano il loro percorso.
Dopo tre giorni di cammino con il fango che arrivava alle caviglie e il digiuno prolungato, i quattro
amici arrivano in vista della montagna e della miniera ai suoi piedi. I ragazzi sono pieni di gioia, ma
la loro allegria dura poco perché scoprono che l’accesso alla miniera è bloccato da massi crollati da
giorni. Quando i ragazzi hanno ormai deciso di tornare indietro, Greta li ferma e rivela loro di avere
con sè della dinamite che suo padre aveva dimenticato il giorno della sua partenza. I tre amici
l'abbracciano e tentano di far esplodere i massi che bloccano l' entrata: tutto funziona a
meraviglia.
Appena l'accesso è libero, i ragazzi prendono le torce e si mettono alla ricerca degli scomparsi.
All'alba ancora nessuno dei ragazzi aveva trovato i genitori e allora decidono di fare un po' di
pausa. Il giorno dopo le ricerche continuano, ma stavolta volgono a buon fine perchè i ragazzi
trovarono Stefano e Michele seduti in un angolo a parlare davanti ad un fuoco su cui abbrustolisce
della carne, pronta per essere mangiata. Appena Riccardo e Greta vedono i genitori, corrono ad
abbracciarli felici di averli ritrovati. Quella sera i ragazzi raccontano la loro avventura e i due padri
a loro volta narrano ciò che era successo loro nella foresta e nella miniera, prima e dopo il crollo
dei massi.
Il giorno dopo si avviano insieme per tornare a casa: nella foresta il vento sembra felice per loro
perché sembra che faccia cantare le foglie! Appena la madre di Riccardo, quella di Greta e le
madri di Francesco e Matteo, li avvistano, si commuovono tanto da mettersi a piangere per la
gioia.
Quella sera Riccardo scopre che Greta è la bambina a cui da piccolo regalava una margherita ogni
volta che la vedeva vicino alla sua staccionata!

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LA GEMMA MAGICA
                                      di Mohamed El Kaoutari

Un giorno Michele vede cadere dal cielo una gemma, la prende in mano e si accorge che si tratta di
una pietra che può esaudire i suoi desideri. Purtroppo dovrà difenderla dalle cattive intenzioni di
alcuni malvagi che se ne vogliono impossessare.

Mi chiamo Michele, ho 13 anni e abito assieme alla mia famiglia in Norvegia, una terra in cui fa
molto freddo, dove vi sono foreste con alberi secolari. A me piace molto passeggiare nella foresta
durante il periodo estivo, perché d’inverno fa troppo freddo. Una volta di notte, guardando dalla
finestra della mia stanza, vidi cadere un oggetto luccicante, che era diretto nella foresta. Uscii di
casa per capire cosa fosse quella luce. Faceva molto freddo, ma io, pian piano, mi avvicinai a quella
luce. Vidi una gemma che lampeggiava, aveva i colori dell’arcobaleno. Non appena la toccai però la
luce smise di lampeggiare. Ero decisamente stupito e cercavo di capire quello che stesse
succedendo. Mi guardai attorno e mi trovai circondato da un gruppo di persone con le armi
puntate contro di me. Immaginai che, per uscire dai guai, gli uomini scomparissero: come per
miracolo la gemma, con mia grande sorpresa, iniziò a lampeggiare e il mio desiderio fu esaudito.
Rimasi a bocca aperta e capii che ogni cosa che avrei immaginato sarebbe diventata realtà: ecco
perché quegli uomini volevano impossessarsi della gemma!
Per paura di essere ritrovato dai miei nemici, immaginai di abitare con i miei genitori in America, in
una città lontana e un po’ sperduta. Da quel giorno immaginai di diventare un uomo immortale
con dei superpoteri che usavo per salvare la brava gente dai criminali. Dopo tanto tempo decisi di
nascondere la gemma in un posto sicuro, conosciuto solo da me, così nessuno l’avrebbe potuta
usare per far del male. Intanto ho continuato ad aiutare la gente e sono diventato molto famoso.
Sono proprio felice e contento di aver trovato quella gemma magica, dei cui poteri non ho mai
approfittato né abusato.

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LA CASA PERICOLANTE
                                      di Martina Mandaglio

Camilla è una bambina simpatica, testarda e molto curiosa. Grazie a questa sua dote si ritroverà a
vivere avventure straordinarie, che le permetteranno di scoprire il vero miracolo della natura.

In una valle circondata da molte montagne s’intravede un paesello sulle rive di un fiume che
attraversa molti borghi antichi, io abito qui con i miei genitori in una casetta ai piedi di una
montagna chiamata dagli antichi abitanti “la montagna misteriosa”. A proposito mi chiamo
Camilla e sono una ragazza di tredici anni che ha vissuto storie difficili a causa del carattere
imprevedibile. Sono una ragazza coraggiosa e soprattutto curiosa e per queste doti ho potuto
vivere un’avventura emozionante che ebbe inizio così.
Quella mattina, mentre osservavo il cielo minaccioso per l’arrivo di un temporale, notai una
stranezza inspiegabile che si manifestava in cima alla “montagna misteriosa” che vedevo dalla mia
stanza. Spaventata cercai di mettere a fuoco la mia vista per comprendere meglio ciò che stavo
guardando. Insomma era proprio così: quello che immaginavo fosse la mia fantasia invece risultò
inconfondibile. C’era “una donna vestita di bianco”, contornata da un insieme di colori, improntata
sulla facciata di una “casa pericolante” ormai abbandonata da anni. Incuriosita mi spinsi a fare
delle indagini iniziando dai miei genitori che, increduli del mio racconto, ma consapevoli di fatti
strani accaduti in passato, mi consigliarono di rivolgermi alla persona più anziana del paese “nonna
Rosetta” che, avendo vissuta per ben novantotto anni nel paesello, sarebbe stata sicuramente di
grande aiuto alle mie indagini. È una donna conosciuta e ben voluta dalla gente del paese
soprattutto per la sua saggezza. Agitata mi recai da lei pensando a come avrei potuto ottenere
spiegazioni. La mia paura era quella che lei, sentendo la mia storia, fosse incredula come i miei
genitori, ma quando la sentii parlare ebbi una sensazione di serenità che mi rese più facile
spiegarle ciò che avevo visto.
Avevo suscitato in lei tristi ricordi del passato, che la portarono a raccontare con emozione i
misteri della montagna: “Ero ancora piccola” disse nonna Rosetta “in questo paese c’era molta
povertà e le famiglie spesso non riuscivano a sfamare i propri figli, tanto che nei momenti di
assoluta disperazione alla porta delle loro case appariva una donna vestita di bianco che nessuno
ha mai potuto spiegare chi fosse. Lei si presentava come la provvidenza: faceva trovare loro cibo
per sfamare le persone povere e poi in pochi attimi svaniva nel nulla. Alcuni la vedevano nel luogo
della casa pericolante, ma l’immagine era sempre sfuggente ai loro occhi. Solo poche persone
hanno potuto vedere la donna dal vestito bianco e scoprire quale fosse il miracolo della natura
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che appariva nel luogo della casa pericolante.” Mentre salutavo nonna Rosetta la mia mente
desiderava solo a una cosa, avventurarmi alla scoperta del miracolo della natura, e per fare questo
avrei dovuto con molto coraggio raggiungere la casa pericolante.
Il giorno dopo, percorrendo la strada che mi avrebbe portato al sentiero, avvertii una sensazione
di paura che mi impediva di proseguire, ma nello stesso tempo la convinzione di poter scoprire
qualcosa era talmente forte che fui spinta a imboccare quel sentiero. Percorrendolo mi accorsi che
era privo di segnali, costatazione che aumentò in me la paura di perdermi. Incontravo uccellini,
lucertole e osservavo l’erbacce che coprivano il sentiero. Fortunatamente il sole illuminava il
cammino e mi permetteva di vedere quanto io fossi ancora distante dalla casa. Poiché temevo che
non sarei riuscita a raggiungere il luogo prima del calar del sole, mi misi a correre scontrandomi
con i rami degli alberi. Ad un tratto mi trovai davanti alla casa ed esclamai:” E’ proprio pericolante
questa casa! chissà che fine hanno fatto i proprietari? Forse non sono più in vita …”
Con molto stupore vidi spuntare un cespuglio di fiori che si affacciava dal retro dell’edificio.
Incuriosita mi avvicinai scavalcando rovi e macerie che ormai sopprimevano l’erba che cercava di
spuntare dal terreno, la mia voglia di esplorare era talmente forte che feci un salto lanciandomi
contro il muro. Mi trovai così nella posizione di poter scoprire un giardino meraviglioso pieno di
fiori colorati così alti che ricoprivano la facciata della casa riversa alla valle. Sul muro i fiori
componevano la sagoma di una donna simile a quella che avevo visto da casa mia.
La scoperta mi deluse: consideravo la donna vestita di bianco un essere esistente, invece dovevo
constatare che si trattava di un …. disegno realizzato dalla natura. Almeno c’era un mistero da
scoprire, cioè il giardino fiorito che nessuno aveva mai potuto conoscere al di fuori della casa
pericolante. Sono sicura che nessuno può spiegare come possa esistere un giardino di fiori
profumati in mezzo ad un accumulo di macerie e di ferraglia arrugginita. In virtù di questo
miracolo forse la donna vestita di bianco esiste e io posso raccontare che il mistero della
montagna e il prodigio, della natura sono la stessa cosa cioè un unico grande mistero.
Per concludere quest’ avventura voglio divertirvi: sono rimasta nella casa pericolante fino al calar
del sole e spaventata di dover scendere la montagna al buio ho cominciato a correre senza
rendermi conto dove fossi. Fortunatamente presi come unico punto di riferimento una lucina
gialla che s’intravedeva nella valle. La mia testa era in preda al panico: correndo inciampavo e
rotolavo giù per il sentiero, sembrava quasi che qualcuno mi spingesse a calci nel sedere per fare
in fretta tra pirolette e salti contornati da “Ahi che dolore!!” Mi ritrovai davanti alla luce gialla che
mi aveva accompagnato per tutto il tragitto e l’ironia della sorta è che quella luce proveniva dalla

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mia stanza, facendomi pensare che l’avventura aveva avuto inizio dalla mia stanza guardando la
montagna e che si concludeva dalla montagna arrivando alla mia stanza.

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di Martina Mandaglio

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AL CEENTRO DELLA TERRA
                                          di Leonardo Piacentini

Due ragazzi, Talas e Micheto, un pomeriggio, mentre si stanno rilassando all’ombra di un albero, cadono in
una strana apertura e scivolando precipitano in una grotta al centro della terra. Il segreto per uscire sarà
restare uniti e non separarsi mai…

In un giardino c'erano due ragazzini Talas e Micheto. Erano due amici nati e vissuti sempre insieme,
come due fratelli. Entrambi avevano la stessa età. La madre di Talas aveva un bar nel quartiere,
mentre suo padre era morto nella guerra in Iraq. Invece i genitori di Micheto erano due avvocati
famosissimi. Talas passava tutto il giorno a casa di Micheto, perché i suoi genitori avevano una
grande villa sull'oceano con un vasto giardino sul retro.
Un sabato pomeriggio d'estate, finita la scuola, i due decisero di giocare a pallone sotto il sole
cocente. Dopo qualche tempo si misero all'ombra di un albero a riposare. A un certo punto il
tronco, sotto il loro peso, si divise in due e Talos e Micheto caddero e finirono in una caverna
profonda. I due amici a causa della caduta svennero. Quando ripresero i sensi, si ritrovarono con
delle ferite su tutto il corpo. Talos aveva capito dov'erano, erano quasi al centro della Terra, perché
c'era un gran caldo. Il padre di Talos, prima di andare in guerra in uno dei suoi racconti gli aveva
descritto proprio un viaggio al centro della Terra.
Micheto si spaventò a morte pensando che avrebbe potuto non ritornare mai più a casa e morire
in quel posto sconosciuto. Mentre Micheto piangeva disperato seduto su una roccia, Talos
rifletteva su come potevano uscire di lì; gli venne in mente che sul medaglione che gli aveva
regalato suo padre era raffigurata una strana mappa. Talos lo tirò fuori: sulla mappa c'era segnato
un sentiero uguale a quello che aveva di fronte. Il percorso tracciato sulla mappa conduceva fuori
di lì, ma dovevano affrontare ostacoli impegnativi per raggiungere la meta tanto desiderata.
I due si avviarono. Dopo alcuni giorni di cammino Micheto disse che ne aveva abbastanza e quindi
si fermarono. Nella mappa c'era una parte colorata di blu con una scritta in bianco che mostrava
come, risalendo il sentiero, avrebbero trovato freddo glaciale. Micheto prese dei rami secchi e se li
mise addosso. Intanto Talos, che stava esplorando i dintorni, scorse del ghiaccio sulle pareti
rocciose e per terra vide delle rocce incandescenti e dei rami. Talos chiamò Micheto ed insieme
accesero il fuoco, presero del ghiaccio e lo fecero sciogliere in una roccia concava, a mo’ di
pentolino. Ne ricavarono dell'acqua per dissetarsi. Una volta riprese le forze, i due si avviarono di
nuovo sul sentiero.

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All'improvviso il calore delle rocce aumentò. Camminando Talos mise un piede in una zona dove
c'erano sabbie mobili. Micheto, vedendo Talos sprofondare, entrò in agitazione, ma Talos lo calmò
invitandolo a raccogliere da terra delle radici e farne una corda per tirarlo fuori.
Fatta la corda, Micheto se la legò intorno alla vita e lanciò l'altra estremità a Talos. L’amico
cominciò a tirarsi fuori; quando la corda stava per spezzarsi, con un ultimo strattone di Micheto
Talos fu tratto in salvo dalle sabbie mobili. A quel punto i due intravidero l'uscita della caverna, ma
di fronte a loro c'era ancora un lago di sabbie mobili per attraversare il quale serviva un mezzo
ingegnoso. Afferrarono una liana e iniziarono a dondolare per prendere lo slancio: quando si
staccarono da terra, procedettero passando da una liana all'altra, liane che penzolavano dalla volta
della grotta. Micheto stava per perdere la presa perché la mano gli scivolava, ma appena in tempo
Talos lo afferrò e lanciò il compagno sull'altra sponda. Di seguito anche Talos si staccò dalla liana ed
atterrò facendo una capriola. I due ragazzi si rialzarono e si avviarono verso l'uscita, sbucando nel
deserto vicino alle piramidi. Finalmente in salvo.

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UNA SCALATA SPECIALE
                                        di Simeone Giovanni

Franco, un ragazzo di 13 anni, ha un sogno: scalare il Monte Bianco, la cima più alta d’Italia. Con
tenacia si addestrerà per anni sotto la guida dell’amico Luca e dopo insidie e difficoltà riuscirà
finalmente nell’impresa.

Franco è un ragazzo di 13 anni che vive in un paesino della valle d’Aosta. È rimasto solo con sua
mamma perché il padre, esperto escursionista, è morto durante un’escursione. Franco e la
mamma abitano in una casetta dove la mamma cucina quel che riescono a trovare nel freddo delle
montagne. Un giorno la mamma ritrova una vecchia bussola del marito e la regala a Franco per il
suo compleanno. Il ragazzo è molto contento del regalo e quando apre la bussola trova al suo
interno, tutta ripiegata, una mappa di suo padre, una vera e propria guida per l’ascesa al Monte
Bianco, la cima più alta d’Italia! Franco è deciso a partire per tentare l’impresa, ma da solo ha
poche probabilità di farcela e così si rivolge all’amico Luca che ha 21 anni ed è un istruttore di
alpinismo. Ovviamente Luca non è d’accordo con Franco, perché sa bene che un ragazzo di 13 anni
non può scalare una montagna di 4800 m.
Dopo 6 lunghi anni di un attento addestramento coordinato da Luca, i due sono pronti per
raggiungere il punto più a nord della valle d’Aosta, proprio là dove si innalza il Monte Bianco! La
scalata non dà nessun problema ai due perché ormai sono esperti e seguono scrupolosamente le
istruzioni lasciate dal padre di Franco e ritrovate a suo tempo.
I due sono quasi in cima (a 4730 m. rispetto ai 4800 della vetta), è buio e allora decidono che sia
opportuno aspettare che arrivi giorno. All’alba Luca e Franco si rimettono in cammino quando ad
un certo punto il percorso si biforca. Luca suggerisce a Franco di dividersi e ogni 3 minuti chiamarsi
ad alta voce per rassicurarsi delle condizioni dell’altro. Inizia una tempesta di neve davvero molto
violenta. Franco è a pochi metri dalla vetta e lancia un ultimo grido a Luca che però non risponde…
Allora Franco torna indietro e riprende il sentiero di Luca per vedere se l’amico sta bene.
Purtroppo Franco trova Luca semi assiderato ed è tentato di caricarsi sulle spalle Luca e tornare
giù per cercare soccorsi, ma non lo fa. Riscalda Luca con quel poco che ha e con le ultime energie
rimaste, aiutando anche Luca, arriva finalmente in cima. I due sono sani e salvi!

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AVVENTURE in CITTA’

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LA RINASCITA DELLA MUMMIA
                                        di Emanuele Bomben

Giordana Shama parte con i suoi compagni per un viaggio scolastico in Egitto. Per distrazione con
un compagno un po’ vivace schiaccia dei pulsanti e l’aereo atterra in una zona sconosciuta del
paese. I ragazzi così vivranno avventure … inquietanti.

Una ragazza ribelle di nome Giordana Shama viveva a Londra, non rispettava nemmeno una regola
e neanche ascoltava le cose che le venivano dette. Un giorno di primavera, Giordana e i suoi
compagni partirono per andare in Egitto. Giordana sperava che non venisse il suo amico, cioè il
suo compagno di banco, detto “studente curioso”, ma anche lui partecipò al viaggio. Durante il
viaggio Giordana non rispettò le regole e fece confusione: per colpa sua e dello studente curioso,
che sull’aereo aveva toccato qualche pulsante che non doveva toccare, dovettero atterrare in una
parte dell’Egitto sconosciuta.
Dopo avere camminato, camminato e camminato sotto il sole cocente, videro un’oasi, ma quando
vi si addentrarono s’innalzò un vento terribile. Tutti pensarono a una tempesta di sabbia, ma loro
ritenevano di essere al sicuro perché protetti dalla vegetazione. Non si trattava esattamente di
una bufera di sabbia: l’amica di Giordana osservò che era qualcosa di simile al ruggito di un
mostro. Anche un altro amico, che conosceva tutto sull’ Egitto, non sapeva che vento fosse e allora
disse: “È il ruggito di un animale molto grosso.” Apparvero alcuni uomini vestiti di nero che in
faccia avevano dei segni egizi e una benda che copriva i loro capelli. Uno di loro disse: “Dovete
andarvene da qui, perché siete in pericolo, avete già sentito, no? Andate via da quest’oasi, la città
è a ovest. Addio.” Così i ragazzi si allontanarono.
Dopo aver camminato in lungo e in largo per trovare la città indicata, ormai persi nel deserto,
trovarono una piramide. Entrarono e la esplorarono tutta; poi si imbatterono in un muro che li
bloccava e non poterono procedere. Piantato nel muro, sporgeva un bastone di pietra. Lo
prelevarono e dal muro cadde un sarcofago con un manoscritto e un oggetto strano, che
sembrava una specie di chiave. Il sarcofago non conteneva nulla, allora continuarono. Procedendo
scoprirono che quella specie di chiave apriva un plico. L’insegnante dei ragazzi sapeva leggere gli
ideogrammi egiziani e pronunciò le parole della prima pagina. Si originò un terribile terremoto,
tutti urlavano e scappavano. Quando il terremoto si placò, i ragazzi videro una figura in
lontananza: aveva per mano due bambini che gridavano aiuto. Man mano che l’immagine si
avvicinava, tutti si accorsero che le voci appartenevano a Giordana e allo studente curioso. La
figura si avvicinò un pochino e lanciò i due ragazzi contro gli altri. Così videro che era una mummia.

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