Ivan Schirmenti: l'ombra che abbaglia
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Ivan Schirmenti: l’ombra che abbaglia di Olga Chieffi Imponendo la stabilità delle sue forme riflesse in un mondo di messaggi confusi, la fotografia dà il nome ad un insieme di pratiche creative che la collocano al centro della sensibilità del nostro tempo. Esaminare la contemporaneità della fotografia significa, quindi, raccogliere l’eredità di un ampliamento della questione fotografica, riconoscendo sì all’arte il suo ruolo di riferimento fondamentale, ma anche osservando, al di là di tale riferimento, la portata estetica ed etica delle pratiche e delle produzioni fotografiche. L’associazione Fotografi e Videografi Professionisti, presieduta da Walter Gilardi ha scelto Salerno, le sue bellezze e una location particolare, quale è il Museo Diocesano, nel cuore del centro storico, per la due giorni di workshop con il fotografo siciliano Ivan Schirmenti, realizzata grazie a Cesare Giliberti fotografo in Salerno vicepresidente del direttivo AFVP. “Salerno ci ha accolto splendidamente – ha affermato entusiasta il presidente Gilardi – sia umanamente si artisticamente coi suoi tesori conservati nel Museo, sia fuori nel suo centro storico. Stiamo pensando di come impiegare al meglio gli scatti di questa due giorni di studio”. Oltre centoquaranta fotografi di cerimonia stanno confrontandosi da ieri in due intense giornate, in cui si stanno toccando diversi argomenti dall’ uso della luce, alla gestione fotografica di un matrimonio, dal marketing dell’azienda alla risoluzione delle difficoltà di realizzare le immagini di gruppo, alla creatività e alle nuove derive estetiche della fotografia di cerimonia. Dopo il tempo trascorso in sala per la teoria, l’incontro con sponsor tecnici, quali FotoEma, Fowa, D’Aponte e I Nobili, è proprio Salerno ad offrirsi ai centoquaranta obiettivi dei fotografi
con uno shooting fotografico negli spazi del Museo di San Matteo e in notturna nell’ intero centro storico della nostra città. Ad introdurre i lavori ieri è stata Antonia Willburger, membro del consiglio comunale, già assessore alla cultura della città, che ha salutato questo workshop come una grande occasione per Salerno, alle soglie di una primavera nel segno del turismo. L’accoglienza è stata affidata ad un master della fotografia Armando Cerzosimo, in un anno particolare, poiché festeggerà a breve il quarantennale del suo studio, un periodo, che può sembrare breve, ma che ha visto cambiare mezzi, intenzioni, ragioni estetiche, non cessando mai d’interrogarsi, lui che da dinosauro dell’analogico si è trasformato in un falco del digitale, simbolo di una categoria che ha resistito e forte di un percorso che viene da lontano riesce a gestire una mole di lavoro digitale che pochi riescono a sostenere. Consegna delle tessere AFPV a fotografi d’eccellenza quali Damiano Errico, Ivan Schirmenti, Angelo Marchese e ad Armando Cerzosimo, prima della presentazione del docente della clinic, Ivan Schirmenti, palermitano, figlio d’arte di papà Franco, la cui passione lo ha portato a studiare all’estero psicologia e fotografia di moda. Nel 2008 ha ricevuto il titolo di “Best Wedding Photographer”, e da lì, grazie anche alla sua esperienza, ha vinto diversi contest fotografici, a livello nazionale e internazionale, diventando nel 2016 Master of professional Photography, fino al 2019, quando è entrato a far parte del Team Italy per i Campionati del Mondo di fotografia. Ha fotografato cerimonie in tutto il mondo, laureandosi miglior Fotografo d’Europa nella categoria wedding, grazie ad uno stile personale che lo distingue dagli altri le cui caratteristiche sono la creatività e l’armonia delle immagini. Tre sono le pietre miliari della visione di Ivan Schirmenti, l’osservazione, la creatività e l’emozionare. La sua scrittura di luce, rispecchiando le sue radici siciliane è un’ombra che abbaglia, alla ricerca della giusta balance per penetrare l’essenza del significato di un’immagine. D’altra parte per dirla con Bresson “Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il
cuore”. “Il mio insegnamento inizia dall’imitazione – ha detto Schirmenti – ma sono dell’idea di non essere autoritario come maestro, e spiego immediatamente quale azione si va ad intraprendere e il suo perché, in un confronto d’intenti. L’importante è conquistare un proprio stile, che innegabilmente dipende da chi siamo, dal nostro background culturale, dal nostro vissuto, che va a completarsi con la visione fotografica che farà di un’immagine tecnicamente corretta, una fotografia unica, carica di emozione, racchiudente un sentimento”. Un workshop, questo, che attraverso i temi e le immagini prodotte, ci offre anche un signifyng della rappresentazione della realtà, ridefinendo l’identità della fotografia che, approdata oggi ad una dimensione originale e autonoma, nel caotico universo delle immagini globalizzate, potrebbe proporre e una nuova e vera etica di questo mondo, in rapporto alle altre arti e alle forme. Un flauto per la festa della donna Abbiamo incontrato la venticinquenne Ylenia Cimino, concertista e docente presso il conservatorio G.Martucci di Salerno. Di Olga Chieffi Nel Symposio, Platone, per bocca di Eurissimaco, dice di mandare a spasso la flautista che all’improvviso è entrata nel consesso: “….che vada a suonare altrove per suo conto o, se ne ha voglia, rientri fra le donne, poiché di qui a poco discuteremo argomenti importanti….”. Oggi per la giornata
della donna abbiamo incontrato la venticinquenne Ylenia Cimino, flautista pollese, figlia d’arte di papà Antonio, flautista anche lui, suo primo maestro. Di lì una carriera brillante e fulminante che l’ha portato attraverso l’ottenimento del diploma a soli sedici anni al Fesualdo da Venosa di Potenza, il corso di perfezionamento presso l’Accademia Musicale “L. Perosi” di Biella, il Master presso la “Staatliche Hochschule für Musik und Darstellende Kunst” di Stoccarda, attualmente iscritta al Master of Advanced Studies in Music Performance and Interpretation presso il Conservatorio della Svizzera Italiana, e le vittorie a mani basse di concorsi nazionali ed internazionali tra cui il Concorso Flautistico “Severino Gazzelloni”, il Concorso “E. Krakamp”, il Concorso “Giuseppe Gariboldi” e il Premio Flautistico “Angelo Persichilli”, ad avere già un’avviata carriera concertistica, ad essere una musicista sostenuta dal Comitato Nazionale Italiano Musica, nonché la docenza proprio nel nostro conservatorio “G.Martucci”. E’ stato difficile per lei essere donna musicista? “Personalmente no. Credo che la musica sia qualcosa di assoluto che va oltre qualunque cosa, compresa l’identità di genere”. La musica ha scelto lei o lei la musica e in particolare il flauto? “Ci siamo scelte a vicenda. La musica è sempre stata presente nella mia vita e ha sempre occupato un posto importante. Mio padre è flautista, quindi sono cresciuta ascoltando il suono di questo bellissimo strumento. Così all’età di dieci anni, affascinata e spinta ormai dalla forte curiosità, chiesi a mio padre di iniziare con la prima lezione e da quel momento non l’ho più lasciato”.E’ divenuta giovanissima docente di Conservatorio, e al contempo prosegue la sua carriera di concertista e solista, quale strada percorre con più piacere? “Io le considero due splendide strade che vanno verso un’unica direzione. Credo che insegnare sia un’opportunità unica che ti permette di approfondire aspetti tecnici, interpretativi e musicali che vanno ad incidere in maniera determinante sulle performance concertistiche. Mi ritengo davvero fortunata ad aver avuto l’opportunità d’ insegnare, già da diversi anni,
prima al Conservatorio di Cosenza e attualmente al Conservatorio di Salerno. Due esperienze che mi hanno dato tanto dal punto di vista non solo professionale ma anche e soprattutto umano”. Ha mai pensato di diventare prima parte in una prestigiosa orchestra? “A dire il vero fino ad oggi non ho mai dedicato molto tempo alle audizioni orchestrali, ma sicuramente essere prima parte di un’orchestra importante rientra nei sogni e nelle ambizioni di qualsiasi flautista. Quindi la mia risposta alla domanda è senz’ombra di dubbio affermativa”. Il suo sogno nel cassetto? “Credo di averlo già realizzato: riuscire a vivere di musica”. POMPEI. INSULA OCCIDENTALIS Domani al centro congressi federiciano di via Partenope si presenta il volume POMPEI. INSULA OCCIDENTALIS. Conoscenza Scavo Restauro e Valorizzazione a cura di Giovanna Greco, Massimo Osanna e Renata Picone, edito dall’Erma di Bretschneider, Roma. Il libro, di oltre 700 pagine, raccoglie gli esiti di una ricerca interdisciplinare condotta sull’area extraurbana della città antica di Pompei da cinquantaquattro tra funzionari del Parco archeologico, docenti e giovani studiosi di cinque Dipartimenti dell’Ateneo fridericiano di Napoli; quelli di Architettura, di Strutture per l’ingegneria
e l’architettura, di Scienze umanistiche, di Scienze della terra e di Agraria. Dopo i saluti del sindaco Gaetano Manfredi, che da rettore ha voluto fortemente questa ricerca, del Rettore Matteo Lorito e dei rappresentanti dei dipartimenti, il volume verrà presentato da Alfonsina Russo, direttrice del Parco archeologico del Colosseo, e da Paolo Giordano, ordinario di Restauro architettonico dell’Università Vanvitelli. Seguiranno le conclusioni di Gabriel Zuchtrieghel, direttore del Parco archeologico di Pompei, e le brevi repliche dei curatori e degli autori. La ricerca è stata condotta all’interno della cornice istituzionale dell’Accordo quadro siglato tra l’ Università degli Studi di Napoli Federico II e il Parco Archeologico di Pompei, per lo svolgimento di attività di ricerche e didattica finalizzata alla valorizzazione, fruizione e divulgazione del sito di Pompei, nel 2015, con la responsabilità scientifica di Giovanna Greco e Vincenzo Morra, e rinnovato nel 2019 con la responsabilità scientifica di Renata Picone e Vincenzo Morra. Un accordo che ha favorito, dopo un periodo di minore attenzione, il ritorno dell’Ateneo federiciano con le proprie competenze multidisciplinari sul sito di Pompei e che ha visto i curatori di questo volume coinvolti sin dal primo momento in un’attività di coordinamento delle plurime ricerche svolte. Lo studio multidisciplinare i cui esiti sono esposti all’interno del volume, ha affrontato gli aspetti legati alla conoscenza, messa in sicurezza, paleobotanica, archeologia e geofisica, nonché al restauro, alla conservazione e al miglioramento della fruizione dell’Insula Occidentalis di Pompei, alla scala urbana e architettonica. Lo sguardo intrecciato dei diversi saperi ha consentito di guardare al sito archeologico sotto diverse angolazioni, concorrendo ad un significativo avanzamento del quadro conoscitivo sull’area del Suburbio occidentale pompeiano e ad una strategia per la sua trasmissione al futuro e per una sua piena e consapevole valorizzazione. L’Insula Occidentalis di Pompei rappresenta oggi un’area strategica per il miglioramento dell’accessibilità e della fruizione al sito archeologico:
essa include alcuni dei principali ingressi attuali alla città antica e costituisce la principale interfaccia tra l’area archeologica e la città contemporanea, contenuta nella Buffer zone perimetrata dall’UNESCO. A partire dall’analisi di queste specificità, gli studiosi coinvolti nella ricerca hanno previsto una fruizione diversificata del sito, alleggerendo anche la pressione antropica sui percorsi più frequentati, avviando una riflessione globale su questo comparto della città antica, che dalle Terme Suburbane arriva fino alla Villa dei Misteri. Il risultato, che possiamo vedere nelle pagine di questo volume, è un progetto organico e coerente che sulla base di analisi diagnostiche avanzate e ricerche archeologiche, propone un piano strategico per il restauro, la valorizzazione e l’accessibilità di una zona di Pompei a lungo dimenticata, potenziandone le possibilità di comprensione anche per il pubblico, nel rispetto dei suoi significati storici. Il volume raccoglie i saggi dei seguenti autori: Raffaele Amore, Consuelo Isabel Astrella, Aldo Aveta, Claudia Aveta, Serena Borea, Domenico Caputo, Luigi Cicala, Anna G. Cicchella, Chiara Comegna, Francesco Cona, Sabrina Coppola, Francesca Coppolino, Alessia D’Auria, Pantaleone De Vita, Bruna Di Palma, Gaetano Di Pasquale, Maurizio Fedi, Ersilia Fiore, Giovanni Florio, Rosa Anna Genovese, Paolo Giardiello, Giovanna Greco, Mauro La Manna, Gian Piero Lignola, Barbara Liguori, Bianca Gioia Marino, Giovanni Menna, Pasquale Miano, Vincenzo Morra, Iole Nocerino, Massimo Osanna, Andrea Pane, Valeria Paoletti, Annamaria Perrotta, Renata Picone, Ivano Pierri, Stefania Pollone, Andrea Prota, Giancarlo Ramaglia, Lia Romano, Valentina Russo, Giovanna Russo Krauss, Viviana Saitto, Claudio Scarpati, Domenico Sparice, Angela Spinelli, Teresa Tescione, Maria Pia Testa, Luana Toniolo, Damiana Treccozzi, Luigi Veronese, Mariarosaria Villani, Gian Paolo Vitelli
“Le solite notti” al Circolo Canottieri Irno 10 marzo, si presenta il romanzo “Le solite notti” di Elvira Morena al Circolo Canottieri Irno di Salerno Flora, giovane e senza risorse, recide le sue radici e finisce come emigrante dal Sud Italia al Nord. Scenari imprevisti affollano il suo orizzonte notturno, tra la realtà e il sogno di essere come Audrey Hepburn. È la storia che anima il romanzo “Le solite notti” di Elvira Morena, II edizione, Marlin editore. Giovedì 10 marzo, alle 19:00, al Circolo Canottieri Irno di Salerno (in via Porto 41), che organizza l’iniziativa, si presenta il libro. Dialoga con la scrittrice l’avvocato Giovanni Falci e lo psichiatra e autore Walter Di Munzio. Ingresso libero con obbligo di Super Green Pass. Il libro Un romanzo sospeso tra l’icona immaginaria di Audrey Hepburn, con la quale s’identifica la protagonista, e la dura realtà della strada nel segno di una scrittura originale e profonda. “Le solite notti” di Elvira Morena «nasce dalla voglia di viaggiare nell’animo femminile; nasce dalla curiosità di testare mondi a me sconosciuti, di riuscire a descriverli, seguendo il mio stile narrativo. Flora, la protagonista del mio ultimo romanzo, è stata una mia sfida. Ma Flora è solo un pretesto. Attraverso la sua storia ho voluto soffermarmi sul potere: su chi “lo gestisce e mai lo subisce”. Su quanto sia schiacciante e, nello stesso tempo, effimero, questo potere. A dispetto di ciò che si è indotti a credere, il potere è solitudine», sottolinea l’autrice. La storia Flora è una ragazza meridionale che, perduti i genitori, emigra al Nord, in una città che ricorda vagamente Bologna. Con l’aiuto di Peppe, unico amico, lavora come commessa in un negozio periferico. Ma, non sapendo arginare rapine e piccole truffe, viene
sbattuta fuori dalla titolare della rivendita e si ritrova ancor più disperata e sola. Allora affida la sua sopravvivenza nelle mani di Peppe, che a sua volta ha affidato la sua nelle mani di Rosario, il potente boss locale, dedito allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione. Flora accetta ogni compromesso ed entra a far parte del gruppo di prostitute in servizio in una precisa area della periferia: Pineta Grande. La lunga catena di disperati si allunga quando Flora s’innamora di Marco, il giornalista delle ronde notturne, a caccia di mondi sommersi perché affamato di scoop. La delusione colpisce Flora e le offusca l’ultima casella destinata ai sogni. Forse solo allora apre davvero gli occhi e le si palesa davanti la precarietà di una vita consumata sulla strada, in incontri occasionali e con uomini anonimi. Nel frattempo, la donna sopravvive a un lungo interrogatorio della polizia e scaccia con disprezzo Peppe che, invece, nutre da tempo una sotterranea passione per lei. Ma il boss Rosario decide di averla tutta per sé. Riuscirà a salvarsi? L’autrice Elvira Morena vive e lavora a Salerno, dove svolge la professione di medico cardio-anestesista. È autrice di poesie inedite e racconti brevi pubblicati su blog e riviste culturali. Come narratrice, ha esordito nel 2015 col romanzo “Domani mi vesto uguale”. La battipagliese Denise Avagliano è Miss Showgirl Italia Talent Ecco le prime foto della premiazione di Miss Showgirl Italia 2021 svoltasi sabato 5 marzo presso il l’Heaven Ristorante pizzeria Costa sud Pontecagnano. Per la categoria bambini sono
stati premiati i piccoli Aurora, Aldo, Eros e Fatima Gioia che si è aggiudicata il primo posto della classifica. La fascia per la categoria Lady è stata meritatamente conquistata da Valentina Esposito di Pontecagnano. Per la categoria standard si è aggiudicata il terzo posto la bella 14enne residente a Torre del Greco, in provincia di Napoli, Alessia Concetta Coscia, mentre il secondo gradino del podio è stato conquistato dalla bellissima 16enne Anna Bellosguardo di Montecorvino Pugliano ed infine sul gradino più alto del podio è salita la star della serata che si chiama Denise Avagliano, originaria di Battipaglia e per tutto il 2022 toccherà a lei essere “Miss Showgirl Italia Talent”. Nicola Della Calce Al Teatro Centro Sociale Pagani “Io” di Antonio Rezza Sabato 12 marzo 2022 ore 20,45 Teatro Centro Sociale Pagani “İo” di Flavia Mastrella, Antonio Rezza con Antonio Rezza, habitat e quadri di scena: Flavia Mastrella, (mai) scritto da Antonio Rezza, Rezza/Mastrella – Leoni d’oro alla carriera La Biennale di Venezia 2018. “İo” è un elettrocardiogramma di impulsi. Il ritmo non è mai lo stesso: ossessivo, trascinato, cantilenante, spasmodico, divertente fino alle lacrime. Le situazioni si concludono per poi ritrovarsi, in una spirale coinvolgente senza inizio né fine, visionaria, al limite dell’onirico. Le certezze non esistono, tutto è labile e precario. In una società come quella che ci propongono Rezza e Mastrella è facile perdersi. Ecco che entrano in gioco i numeri: boe a cui aggrapparsi quando tutto diventa liquido. Di fatto i numeri occupano lo spazio scenico in modo del tutto
irrazionale, perdendo la loro logica intrinseca e diventando confusi. Tutto questo è rappresentato con totale ironia. Rizzo e le indiavolate geometrie di equivoci Week-end champagne al teatro delle Arti con “Un figlio in provetta” dominato dal talento e dall’esperienza di Caterina De Santis di Olga Chieffi Fine settimana all’insegna della leggerezza al teatro delle Arti di Salerno, con la rappresentazione di “Un figlio in provetta” una commedia brillante scritta a quattro mani da Giacomo Rizzo e Germano Benincaso. La compagnia stabile del Teatro Bracco, al completo ha incontrato in un parimenti spumeggiante “prima della prima” gli allievi del liceo classico Torquato Tasso e dello scientifico Francesco Severi, che stanno avvicinandosi ai meccanismi del teatro e alla scrittura giornalistica, grazie alla “visione” dei loro docenti e dirigenti scolastici, i quali credono fortemente in una formazione dentro e fuori l’istituto scolastico. Diverse le domande rivolte all’intero cast e in particolare al prim’attore Giacomo Rizzo, in una giornata particolare quale era il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, che lo ha visto interprete del Decameron e di Storie scellerate. Tanti i consigli per quanti avessero il desiderio di calcare le tavole del palcoscenico, la giusta formazione di interpreti che hanno sposato il teatro in tutti i suoi generi, dalla sceneggiata al vaudeville, alla pochade, sino allo spettacolo,
cosiddetto di “piazza”, sino alle collaborazioni eccellenti. Una grande esperienza quella dell’intera compagnia del Bracco, ottenuta dalla frequentazione continua delle tavole del palcoscenico, “rubando” il mestiere al “nome” di turno. “Non convengo con l’inarrivabile Eduardo De Filippo – ha concluso l’incontro Giacomo Rizzo – il teatro non è gelo. E’ il contrario, è calore, è una grande famiglia”. Quindi, il sipario si è levato sulla commedia “Un figlio in provetta”, concepita nel 2004 dallo stesso Rizzo, che ne è anche interprete principale e regista, e ripresa coraggiosamente durante gli “spiragli” post-covid. Rizzo con questo testo ha badato in particolare a divertire il pubblico come sabato sera ha dimostrato di amare la risata a gola spiegata, senza soffermarsi poi tanto sulle ragioni del suo ridere, grazie all’autore formidabile costruttore di meccanismi di precisione, che sa portare alla perfezione con le sue coincidenze, i qui pro quo, gli imbrogli, attraverso una regola che è anche quella della pochade di Feydau, ovvero la creazione di due personaggi che hanno il solo interesse di sfuggirsi, ovvero Riccardo, interpretato da Rizzo e la suocera Teresa, affidata alla prima donna, una effervescente Caterina De Santis. Trovarsi faccia a faccia genera la sorpresa e scatena gli avvenimenti. Ma Giacomo Rizzo ha nascosto nel fondo della sua vis comica il tratto della sua osservazione acuta, sulla abbiente borghesia. Riccardo uomo maturo è sposato con la giovane Veronica, alla quale dà voce Emanuela Giordano, ma non hanno il dono di un figlio necessario per poter ereditare da un suo lontano parente. La suocera, Teresa, si fa aiutare da una sua amica ginecologa Tiziana, interpretata da Andreina Ranucci e con Veronica, all’insaputa di Riccardo, ricorrono a questa fecondazione artificiale. Riccardo intanto, ha pensato di andare in vacanza in una casa in montagna insieme alla sua Veronica, per allontanarsi da tutti e avere la tranquillità di concepire. Teresa raggiunge la figlia in vacanza, invitando un avvocato suo amante, Costantino Grande, affidato a Corrado Taranto. Inizia il tourbillon di personaggi a partire dalla immancabile cameriera
impicciona e nullafacente, Carmencita (Carla Schiavone) proposta e voluta dalla suocera la quale combina solo guai, fidanzata a Totore un mafioso, il quale la chiama continuamente sul telefono fisso di casa. Su questo tema la commedia gioca, rinnovandosi sempre con vivace ingegnosità, ed immettendo nell’azione, quasi a capofitto, personaggi caratterizzati da particolari espressioni verbali, in qualunque momento o stato d’animo si trovino, sicché c’è un burlesco contrasto tra le loro parole e le travolgenti vicende che intrecciano i personaggi in dialoghi esilaranti. La matrice è la pochade, messa in tensione sul comico brillante in due atti che corrono spediti, tra colpi di scena, molti pasticci e inattesi colpi di scena, soprattutto per i due protagonisti, i quali insieme a Enzo Varone, Marco Serra, Mario Arienzo, con l’ assistente alla regia Alessia Sanchez, le scene di Marco Comune, costumi di Anna Giordano, verso l’atteso lieto fine. Applausi e il messaggio da un ideale e universale palcoscenico che può e deve cambiare il mondo: l’interpretazione di Giacomo Rizzo de’ “La ninna nanna della guerra” che Trilussa compose nel 1914, mentre stava per deflagrare la Prima guerra mondiale, oggi tornata tristemente attuale, alle soglie di un ipotetico terzo conflitto mondiale. Perdersi sul palcoscenico con due sorelle gemelle eterozigote molto, molto diverse di Francesca Quaranta
Manola racconta di due sorelle gemelle eterozigote molto diverse, una solare, allegra, bella e positiva e l’altra introversa, profonda, pesante, non particolarmente bella e intelligente, si detestano da sempre, da prima della loro nascita, nella pancia della mamma. Lo spettacolo è fatto soprattutto di monologhi, la realtà raccontata da una e la realtà raccontata dall’altra, spesso interrotti, poiché una dice la sua e immediatamente l’altra esprime il suo pensiero smentendo quello che è stato affermato precedentemente. Chiamano sempre in causa Manola, che non c’è in scena, ed è qualcuno a cui si rivolgono che in realtà è il pubblico, ciò è fatto per richiamare l’attenzione di quest’ultimo travolto dalla valanga di parole che arrivano e coinvolgerlo, in maniera si comica che drammatica. Dopo aver raccontato della loro infanzia, del Natale, la scuola e tanto altro, accade che una delle due si innamora di un “essere terribile”, la storia si dipana intorno all’incontro di quest’essere e di come è vissuto dall’una e dall’altra, tanto da sconvolgere l’esistenza di entrambe. Questo è quello che ci raccontano le due grandissime attrici Nancy Brilli e Chiara Nochese, sullo spettacolo teatrale “Manola” tenutosi sabato scorso al Teatro delle Arti a Salerno, dove, prima della loro esibizione le due attrici si sono sottoposte ad un’intervista tenutasi da alcune classi di diverse scuole del salernitano, alle quali con molta disponibilità hanno partecipato, e con molta disinvoltura si sono spinte a raccontare anche molto di sé, e del loro legame, di stima e grande sostegno reciproco. Invogliando anche i ragazzi a mettersi in gioco, a cimentarsi nell’arte del teatro e nell’ambito della recitazione, per farla diventare anche per loro una passione. Come nasce questo spettacolo teatrale Nancy? “Questo spettacolo nasce 25 anni fa con Margaret Mazzantini, me e Sergio Castellitto, Margaret scrisse lo spettacolo per entrambe, essendoci noi in scena con la regia di Castellitto, ebbe molto successo per svariati anni, fin quando fu poi bloccato. Da questa prima rappresentazione teatrale è stato poi tratto un romanzo. C’è poi dietro un importante studio della Mazzantini sulla psicologia, inoltre
il pubblico è fondamentale per questo spettacolo. Quest’anno ho chiesto a Margaret di riscriverlo in chiave moderna e modificarlo stando al passo con i tempi, aggiungendo elementi contemporanei come internet. Lo stesso episodio vissuto da personalità completamente diverse sembra un’altra cosa.” “Perché avete scelto di fare teatro?” “Io sono figlia di un attore, che era una star tantissimi anni fa – ha affermato Chiara Noschese -volevo fare la scuola di Gigi Proietti e sono riuscita a farla appena raggiunta la maggiore età e diplomata. L’ho scelto perché fare questo lavoro è fuggire, è come prendersi una vacanza dentro qualcun’altro, fondamentalmente l’ho fatto non tanto per esibirmi ma per la voglia di perdermi dentro qualcun’altro e poi mi è piaciuto molto, sono diventata anche una regista e dirigo una scuola di giovani ragazzi”. “Io ho fatto l’attrice ha continuato Nancy Brilli – perché in realtà mi è capitato, a 19 anni mi hanno proposto di fare un film, io ho accettato e così è nata la mia carriera. Sempre per caso sono stata scelta per fare una commedia musicale al Sistina a Roma con Enrico Montesano, totalmente inconsapevole ho fatto dei provini a cui sono stata scelta e da lì non ho mai più smesso. Ho scoperto che stando in scena mi sentivo perfettamente a mio agio, cosa che non mi sentivo fuori, dove mi giudicavo moltissimo e mi sentivo tutta sbagliata e non amata. In scena invece stavo e mi sentivo benissimo, a casa e ho capito che nessuno avrebbe potuto smuovermi da qui, dedicando così tutta la mia vita alla recitazione” Come vi siete ritrovate a lavorare insieme? Come vi siete conosciute? “Ci siamo conosciute – ha rivelato Chiara Noschese – grazie ad un’amica in comune. Stavo facendo la regista di uno spettacolo per Luca Barbareschi, e lei è venuta a vederlo, da lì ci siamo iniziate a stimare molto, dopo esserci incontrate svariate volte ci siamo “scelte” per lavorare insieme”. “Si, ci siamo scelte ha continuato la Brilli – e meno male perché lavorare con qualcuno che stimi è in primis stimolante e poi divertente e ti protegge, perché nonostante gli alti bassi che ci sono stati noi abbiamo scelto di esserci sempre l’una per l’altra…Mi sembra di conoscerla da sempre”. Nancy Brilli
rivolgendosi poi, alle ragazze ha lanciato loro un forte messaggio “Ognuna deve imparare ad essere la forza di sé stessa, l’obiettivo non è quello di trovarsi un uomo e sposarsi ma fare qualcosa di cui essere fiere e da portare avanti. Noi non dobbiamo essere bisognose nei confronti dei maschi, noi dobbiamo essere contente di stare con uomini contenti di stare con noi” Cosa preferite tra la televisione e il teatro? “In realtà – ha cominciato la Brilli – sono due cose completamente diverse, in teatro, sei responsabile deve essere tutto grande, forte, raccontato, bisogna fare cose che colpiscono. Sono due modi di recitare complementari ma diversi. In cinema e in tv non si sa mai quello che succederà alla fine, perché tu reciti, fai una cosa che pensi sarà in un modo mai poi il montaggio può stravolgere la tua interpretazione.”. “In teatro – ha detto la Noschese – c’è un evento che avviene solo tra quelle persone, solo quella sera, unico e irripetibile. Tra teatro e televisione io preferisco di più il teatro perché è per quei pochi intimi, non morirà mai perché uno racconta una storia e tu l’ascolti, tutto il resto si annulla e tu sei dietro a quel susseguirsi di parole, entrando in un altro mondo”. Tra tutti i personaggi che avete interpretato durante la vostra lunga carriera in quale avete rivisto voi stesse maggiormente e come li avete interpretati, è facile entrare in un personaggio? “Non è che entri – ha esordito Chiara Noschese – nel personaggio, sei sempre tu, ti perdi dentro la storia, la cosa figa è che tu diventi qualcun’altro, è un grande gioco, questo è quello che mi sento io. Il nostro lavoro è come mettersi una maschera legittimata, perché noi tutti indossiamo delle maschere, il nostro è mettersi una maschera, per essere qualcun’altro e quindi è come se fossimo autorizzati a farlo.” “C’è poi un patto ha ribattuto Nancy – tra il pubblico e il palcoscenico, il pubblico decide che è vero che sta vedendo Nancy e Chiara ma accetta che siano altro, se non ci fosse questo non funzionerebbe. Non mi è mai successo di rispecchiarmi in un personaggio, ci ritrovi qualcosa della tua esperienza personale sicuramente ma non mi ci sono mai rispecchiata
totalmente perché ho sempre trovato quel qualcosa di diverso dalla mia persona.” Come descrivereste l’emozione che provate mentre siete in scena? “Con un’unica parola: goduria!” – ha risposto Nancy Brilli. “Quando ti piglia male è una tragedia – ha confessato la Noschese – perché essere costretti a stare là e arrivare fino in fondo e non lasciarti andare e non divertirti è duplice. Però quando viene bene siamo molto contenti e soddisfatti” Vi sarebbe piaciuto avere una gemella? Se si perché? “A me no, non credo – ha detto Nancy – mi sarebbe piaciuto avere una gemella, specialmente se come le protagoniste della rappresentazione”. “No, una gemella no, ma una sorella si, ha rivelato Chiara Noschese -io ho un fratello e forse una sorella l’avrei voluta. Poi credo che la vita dei gemelli non sia sempre facile, perché è come se uno schiacciasse l’altra senza volerlo” Interpretare sempre diversi personaggi, come avete fatto voi nella vostra lunga carriera, secondo voi e la vostra esperienza aiuta a cercare meglio se stessi o a perdere sé stessi? Per Chiara Noschese “Per me la seconda, ovvero a perdersi…mentre, Nancy brilli ha risposto: “Per me, invece, è stato fondamentale per trovare me stessa, mi ha guarita questo mestiere, io ero molto spaventata dalla vita e in scena ho trovato la sicurezza di cui avevo bisogno.” Nancy, Chiara e il gioco del teatro di Stefano De Domenico Le attrici Nancy Brilli e Chiara Noschese si sono esibite al teatro delle arti di Salerno, mettendo in scena “Manola”, opera teatrale di Margaret Mazzantini. Prima dello spettacolo
le due attrici sono state intervistate dai “critici in erba” del Liceo Scientifico Francesco Severi e del Liceo Classico Torquato Tasso. Nancy Brilli, come nasce la pièce “Manola”? “Nel 1997, questa opera ebbe molto successo, lo scorso anno volevamo riprenderla ma, a causa del covid, non ci è stato dato il permesso di farla. Quest’ anno, durante una lunga pausa io e Chiara abbiamo chiesto a Margaret di riscrivere alcune parti, perché, essendo un’opera di nata lo scorso secolo, andava letta in maniera diversa e con l’aggiunta di elementi moderni. Molte persone pensano che questo spettacolo sia stato tratto dal romanzo ma, in realtà, è il contrario. Le due gemelle, nell’ opera, hanno personalità opposte, che hanno influenzato le loro vite, il loro aspetto psicologico è molto importante e in questo la Mazzantini ha lavorato molto. Ciò rende molto comico lo spettacolo, ma il pubblico deve essere molto attento nel capire il messaggio morale e le stesse battute che hanno un significato profondo.” Come Chiara Noschese ha deciso di fare l’attrice? “Io ho sin da piccola avuto il desiderio di diventare attrice infatti, dopo il liceo sono entrata nell’ Accademia di Gigi Proietti dove mi sono formata. Ho scelto di fare l’attrice perché fare questo lavoro significa fuggire dentro un altro mondo e in quel momento difficile della mia vita, avevo il bisogno di impersonificare un personaggio. Poi, con il passare del tempo sono diventata regista, dirigo una scuola di giovani ragazzi.” Per Nancy, invece, come è avvenuta la scelta del palcoscenico? “In realtà è stato un caso, a 19 anni mi chiesero se volessi fare un film ed io accettai. Questo film era una commedia musicale al teatro Sestina a Roma con Enrico Montesano, che si chiamava “Se il tempo fosse un gambero”. Come vi siete conosciute? “Ci siamo conosciute grazie a un’amica in comune, mentre io (Chiara n.d.r.) stavo facendo uno spettacolo per Luca Barbareschi, Nancy è venuta a vedere lo spettacolo assieme a questa nostra amica. Poi lla grande stima reciproca ci ha portato a lavorare.” Nancy, le piace più il teatro, il cinema o la TV? “Nel teatro deve essere tutto più forte e diretto per arrivare al pubblico, non si può essere poco chiari. Inoltre,
lo spettacolo teatrale è unico e irripetibile ogni sera in cui dovrai seguire attentamente tutte le parole che ti porteranno in un altro “mondo”. Invece, il cinema e la Tv sono mondi complementari ma diversi, perché per noi attrici non si sa mai cosa succederà alla fine a causa delle scene separate. Ovviamente, nel cinema non c’è bisogno di tanta concentrazione. In conclusione entrambe preferiamo il teatro.” Chiara, è facile impersonificare un personaggio? “No, il Maestro Proietti diceva sempre “Entra e esci dal personaggio come “certi correnti d’aria”, in realtà non è che entri, sei sempre te stesso ma c’è uno momento in cui ti perdi dentro la storia. Io sono contro la sacralità di questa cosa, poiché è un lavoro come un altro in cui tu diventi un personaggio ed è proprio questo il bello del nostro lavoro. Infatti, per me è una fortuna essere pagata per qualcosa che mi diverte e mi libera dal peso della vita. Infine, penso che il nostro lavoro sia come mettersi una “maschera legittimata”, perché siamo autorizzati dal pubblico, tutti noi indossiamo tante maschere a seconda delle situazioni e quasi mai siamo noi stessi.” Pillole per una Nuova Storia Letteraria 053 Cultura nel momento del pericolo Di Federico Sanguineti Da quando nel 1827 Goethe annuncia l’esistenza di una “letteratura mondiale” (Weltliteratur), diventa anacronistico
isolare ogni singola letteratura nazionale. Ne sono consapevoli Marx ed Engels quando pubblicano, nel 1848, il Manifesto del Partito Comunista (Manifest der Kommunistischen Partei), ormai disponibile a chiunque in Internet nella prima traduzione italiana del 1893 a cura di Pompeo Bettini (costava 25 centesimi), dove si legge: “Ciò che produce il pensiero [geistigen Erzeugnisse] delle singole nazioni diventa patrimonio comune [Gemeingut]. La unilateralità e la ristrettezza nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali nasce una letteratura mondiale [Weltliteratur]”. Ma sia questa versione che quella riveduta nel 1948 da Togliatti tradiscono il significato del testo originale in un punto decisivo: “Gemeingut” non vuol dire ‘patrimonio comune’, bensì “bene comune”. I prodotti spirituali, “die geistigen Erzeugnisse”, non sono affatto da considerarsi in quanto ‘patrimonio’, bensì come un “bene”, essendo Marx ed Engels agli antipodi dell’ideologia del patriarcato borghese. La parola “patrimonio”, derivando da “pater” (‘padre’) e “munus” (‘compito’), ha infatti il significato di “compito paterno”, assumendo di conseguenza quello di “cose appartenenti al padre”. Occorre insomma superare da parte del proletariato rivoluzionario la considerazione della letteratura e, più in generale, della cultura, come ‘patrimonio’. L’equivoco purtroppo si ripete altrove, per esempio nella sesta tesi Sul concetto di storia (Über den Begriff der Geschichte) di Walter Benjamin, dove si legge, nella traduzione di Solmi: “Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione [Bestand der Tradition] quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla”. Nessun ‘patrimonio’ neppure qui: “Bestand der Tradition” vale piuttosto ‘consistenza della tradizione’, la quale, intesa come ‘patrimonio’, si riduce
appunto a strumento della classe dominante, correndo così quel “pericolo” che l’autore si propone invece di evitare. Una volta intesa come ‘patrimonio,’ la tradizione è sopraffatta dal conformismo (Konformismus), per cui, analogamente, nella tesi successiva, è questione di “beni culturali” (Kulturgütern), tradotti purtroppo, ancora una volta, come ‘patrimonio culturale’. Oggi, in un momento di pericolo, la morale della favola è data da Rada Iveković, nel capolavoro intitolato Autopsia dei Balcani, dove si ricorda che la questione dell’identità nazionale è “un godimento sostitutivo”: “si tratta”, in effetti, “a dispetto del tempo, di godere a credito di una nazione bell’e fatta”. Denunciando finalmente il nazionalismo come “esclusione del femminile”, come “autismo storico-sociale” e come “regressione, in senso psicologico, alla condizione infantile”, scrive: “La responsabilità del socialismo e, a livello di storia delle idee, la responsabilità di tutte le sinistre, al potere e non, è incalcolabile. È di non aver capito che la diseguaglianza e l’ingiustizia patite dalle donne, in tutte le società conosciute, non è una discriminazione fra le tante, ma è alla base di tutte le altre discriminazioni ed è costitutiva del sistema”, per cui “denunciarla significa operare per sradicare anche tutte le altre discriminazioni”.
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