"Meglio le Province che le Regioni" La Lega? "Sia meglio organizzata" - Le Cronache Salerno

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«Meglio le Province che le
Regioni» La Lega? «Sia meglio
organizzata»
di Andrea Pellegrino

«Spero che la Lega non sia come gli altri: si faccia un
congresso e ci sia rappresentatività e soprattutto tenga ben
presente chi sale all’ultimo momento sul carro dei vincitori.
Anzi sul Carroccio». Pino Palmieri è sindaco di Roscigno. Ha
lasciato Roma, dove è stato anche consigliere regionale, per
amministrare il suo comune di origine. Già da tempo è un
iscritto della Lega di Matteo Salvini, fin da quando al sud
era impossibile raggiungere percentuali a due cifre. «Non sono
interessato a candidature, non sono interessato ad incarichi»,
dice Palmieri: «Sono interessato a far crescere il mio
territorio e a sostenere un progetto politico che mi
convince».

Tra qualche mese si voterà per il rinnovo dei vertici della
Regione Campania, lei sarà in campo?

«Mi hanno offerto la candidatura. Io ho detto no. Anche perché
sono stato consigliere regionale del Lazio e da questa
esperienza ho appreso solo l’importanza delle Province e la
poca utilità delle Regioni. Sono favorevole al ritorno di
amministrazioni provinciali forti e rappresentative, anche al
costo di abolire le regioni che sono, ad oggi, solo pachidermi
istituzionali». Centrodestra. Ad oggi siamo ancora in alto
mare «Penso che occorra abbandonare il tatticismo partitico a
favore del progetto. Non è possibile che a sessanta giorni
circa dalla presentazione delle liste non ci sia ancora
l’indicazione sul candidato. Noi siamo persone che danno anima
e corpo sui territori ma abbiamo bisogno di riferimenti
certi».
Cosa pensa di Caldoro?

«E’ una persona perbene, pacata e preparata. Penso che abbia
amministrato bene. Naturalmente non tocca a me stabilire
logiche politiche o strategie che spettano ai partiti».

Un centrodestra unito pensa che sia vincente?

«L’unione fa la forza. Ora è indispensabile indicare il
candidato e avviare la campagna elettorale. Il centrodestra ha
un trend positivo in tutta Italia ed anche in Campania, ma
naturalmente gli avversari non stanno a guardare. De Luca,
inoltre, è un personaggio politico di spessore e sa bene come
si fa una campagna elettorale».

Ha mai conosciuto Vincenzo De Luca?

«No, mai incontrato».

Torniamo al Carroccio..

«Io ho aderito convintamente alla Lega, anche quando era
difficile farlo in questa terra. Però ora occorre una classe
dirigente che sia rappresentativa, che sia capace, che
sostenga noi amministratori locali. La critica non è sinonimo
di abbandono, anzi è qualcosa di cui si necessita, a mio
avviso, per costruire e non distruggere. Non sono interessato
a candidature o incarichi, vorrei solo che questo partito non
sia come gli altri. Spero in un congresso e spero che siano i
tesserati ad eleggere i propri dirigenti di partito. Io
ribadisco la mia appartenenza alla Lega e la mia volontà di
far crescere questo partito».
I volontari di Sea Shepherd a
Salerno,     dibattito     in
programma al Foyer Cafè
Sea Shepherd fa nuovamente tappa a Salerno. I volontari della
più agguerrita organizzazione per la difesa dei mari e dei
suoi abitanti terranno una conferenza pubblica per
simpatizzanti e sostenitori il prossimo 15 febbraio.
L’appuntamento, dunque, è per sabato alle ore 17.00 presso il
Foyer Café di via Valerio Laspro dove gli attivisti parleranno
di alcune delle principali campagne portate avanti, in questi
anni, da Sea Shepherd. Per l’occasione, è prevista la
proiezione di video ufficiali e, all’interno del locale,
saranno allestiti infopoint e mostra fotografica.

Regione, approvata la legge
sulle cooperative di comunità
di Erika Noschese

«Dalla Regione Campania un’opportunità di recupero e rinascita
a contesti sociali svantaggiati e facendo leva sul senso di
identità e attaccamento alle origini». Lo dichiara la
consigliera regionale Maria Ricchiuti dopo che il consiglio
regionale, ieri, ha approvato la sua proposta di legge sulle
cooperative di comunità, dopo un articolato confronto
normativo e politico. «La Regione Campania riconosce il
portato valoriale della cooperazione di comunità anche nel suo
impatto produttivo ed economico, dando un’opportunità di
recupero e rinascita a contesti sociali svantaggiati e facendo
leva sul senso di identità e attaccamento alle origini», ha
dichiarato la consigliera Ricchiuti. La legge sulle
cooperative di comunità, infatti, è ad oggi un valido
strumento per contrastare, in Campania, il fenomeno dello
spopolamento, il declino economico e il degrado socio-
urbanistico. «Si tratta di un lavoro iniziato un anno fa,
nella sesta commissione, anche grazie al prezioso contributo
delle associazioni appartenenti al terzo settore», ha poi
spiegato la consigliera secondo cui, in Campania, la legge si
basa soprattutto sulle innovazioni portate al tavolo nazionale
del terzo settore e sul rapporto con le altre realtà. In
sintesi, le cooperative di comunità dovranno operare
prevalentemente nei comuni o aree rispondenti a determinate
caratteristiche, ovvero comuni delle “aree interne”, piccoli
comuni, aree urbane fortemente degradate, anche a causa del
forte impatto demografico. La legge è stata approvata dal
Consiglio regionale della Campania con 34 voti a favore, dopo
che la consigliera Ricchiuti ha illustrato il testo normativo.
Una legge che mira non solo a far sì che le nuove generazioni
possano far ritorno nei loro paesi d’origine ma anche di
promuovere servizi quali l’attività di vendita di generi
alimentari, di prodotti di prima necessità e rivendita di
giornali, di quotidiani e di riviste; servizi di pagamento,
previo ottenimento della relativa autorizzazione o licenza;
servizi di natura informatica; servizi di assistenza per la
prenotazione telefonica o telematica di visite mediche e
supporto tecnico per servizi sanitari; servizi di raccolta e
successivo invio della corrispondenza nei centri abitati privi
di ufficio postale, previa apposita convenzione con il gestore
del servizio postale; servizi bibliotecari e noleggio di
libri; servizi di mobilità; attività di valorizzazione delle
tradizioni tipiche locali e della trasmissione inter-
generazionale dei saperi. Per essere soci della cooperativa,
ha spiegato la consigliera, requisito necessario è essere
residenti, con la sede nella comunità interessata, oppure che
in essa operano con carattere di continuità. «Grazie a tutti
gli attori istituzionali, imprenditoriali e associativi per il
prezioso ed insostituibile contributo, al fine di massimizzare
il benessere collettivo», ha poi aggiunto la consigliera.

S’insediano i vertici della
Procura e del Tribunale
di Pina Ferro

L’aula 17 della Cittadella Giudiziaria ha fatto da coreografia
all’insediamento del novo vertice della Procura e di quello de
Tribunale di Salerno. Giuseppe Borrelli, 60 anni proveniente
da Napoli dove ha ricoperto il ruolo di procuratore aggiunto e
Giuseppe Ciampa, 61 anni, anche egli proveniente da Napoli
dove ha ricoperto il ruolo di presidente di sezione, ieri
mattina, hanno giurato dinanzi al collegio formato dalla
presidente Rosa Sergio e dai giudici a latere Lucia Casale e
Vincenzo Ferrara Ad accogliere il neo procuratore ed il neo
presidente del Tribunale di Salerno c’erano magistrati,
avvocati, funzionari e i rappresentanti delle forze
dell’ordine. Presente anche l’ex procuratore capo di Salerno
Corrado Lembo, in pensione nel settembre 2018. Al suo posto a
reggere la Procura, fino a ieri, vi è stato il facente
funzioni Luca Masini. A dare per primo il benvenuto ai due
nuovi vertici è stato il presidente vicario della Corte
d’Appello di Salerno, Bruno De Filippis, il quale, ha
sottolineato che «Salerno è una realtà che non manca di
problemi ma abbiamo grandi risorse umane. Siamo sicuri che
insieme faremo un ottimo lavoro». Un benvenuto corredato da un
invito quello del procuratore generale Leonida Primicerio. Un
invito a pretendere di più da Roma, a far sentire la propria
voce battendo il pugno sul tavolo. Dopo aver dato il benvenuto
ai colleghi Ciampa e Borrelli il procuratore generale Leonida
Primicerio ha sottolineato il loro valore e professionalità
«Valore e professionalità che unitamente alla loro esperienza
metteranno al servizio non solo in materia di contenzioso
civile ma anche di criminalità organizzata che qui a Salerno
non è tanto diversa da quella napoletana». Poi è arrivato
l’affondo:«la realtà giudiziaria salernitana è un po’
trascurata a Roma Roma dove si decidono cose importanti. Vi
chiediamo di andare a Roma e sbattere il pugno sul tavolo e
chiedere il rafforzamento degli organici perché molto spesso
il nostro appello resta inascoltato». «Vi abbiamo aspettato a
lungo – ha sottolineato il procuratore aggiunto facente
funzioni Luca Masini – Qui c’è una squadra che è pronta a
qualsiasi miglioramento». A dare il benvenuto al neo
procuratore ed al neo presidente del Tribunale a nome
dell’avvocatura salernitana è stato il presidente dell’Ordine
Forense Salernitano Silverio Sica. «Porto il saluto
dell’intera avvocatura salernitana. L’avvocatura salernitana è
mediamente sana e leale. Pur vivendo in un tribunale di
frontiera ha sempre avuto spirito di collaborazione nel
rispetto reciproco della propria toga. Noi ci aspettiamo che i
problemi della giustizia vengano affrontati con sano
pragmatismo, con la volontà di risolverli».

Tragedia delle Foibe, Monaco:
«Campagna    attenta     alla
storia»
di Andrea Bignardi

«Campagna è una città attenta alla storia ed al suo corso».
Parla così il sindaco Roberto Monaco, in occasione della
giornata del ricorso per la tragedia delle foibe.

Sindaco, Campagna è una città impegnata in prima linea nel
ricordo della tragedia delle foibe, e l’iniziativa di oggi
(ieri per chi legge,ndr) lo testimonia. Una tendenza non
sempre seguita dai comuni. Come mai questa scelta?

«Campagna è da sempre una città attenta alla storia ed al suo
corso. Proprio per questo motivo abbiamo il museo – itinerario
della Memoria e della Pace intitolato alla figura di Giovanni
Palatucci (ultimo questore di Fiume e nipote di Giuseppe Maria
Palatucci, vescovo di Campagna negli anni della II Guerra
Mondiale, ndr). Un’entità che si occupa di trasferire,
soprattutto alle nuove generazioni, il significato profondo
della memoria, con particolare riferimento ai fatti della
seconda guerra mondiale e alle sue conseguenze. Ma non solo. A
Campagna abbiamo costruito un vero e proprio Percorso della
Memoria, che coinvolge tutte le istituzioni locali».

In cosa consiste quest’iniziativa?

«Ogni anno, l’amministrazione comunale che ho l’onore di
rappresentare e il Museo (diretto da Marcello Naimoli)
organizzano, con il contributo di alcune associazioni (in
particolare il Comitato Giovanni Palatucci, presieduto da
Michele Aiello), un vero e proprio percorso della Memoria che
prende il via il 27 gennaio, giorno della Memoria, attraversa
il 10 febbraio, giorno del Ricordo, per poi giungere al 6
marzo, la giornata dei Giusti tra le nazioni».

In che modo realizzate questa importante operazione di
sensibilizzazione?

«Con numerosi appuntamenti capaci di trasmettere alla
cittadinanza il messaggio che cerchiamo di veicolare. Il 21 e
il 28 marzo, ad esempio, sono previsti due spettacoli sul tema
della memoria e del ricordo: la “Pietra oscura” e la “Serva
padrona” (intermezzo buffo di Antonello Mercurio per la regia
di Pasquale De Cristofaro). Questi sono soltanto gli
appuntamenti fissati in un termine più o meno breve, ma non ne
mancheranno anche tanti altri, che avranno luogo nel mese di
maggio».

I giovani di Campagna – che si spera possano essere i veri
depositari della memoria in futuro – come hanno percepito
quest’attenzione     a   temi   del   genere    da  parte
dell’amministrazione?

«I giovani hanno recepito bene, anzi direi benissimo, il
messaggio lanciato nella giornata di oggi (ieri per chi legge,
ndr). Sono molto più sensibili di ciò che molti a torto sono
disposti a riconoscere. La nostra scelta, unitamente al
direttore del Museo, è stata quella di allestire non un plesso
statico, fatto esclusivamente di immagini. Al contrario,
facendo leva sul linguaggio e sugli strumenti di comunicazione
utilizzati dai giovani, abbiamo voluto un museo digitale,
multimediale e dialogante che che fosse capace di coinvolgere
la sfera emotiva ed emozionale dei fruitori. E questa è tra le
ragioni principali per cui migliaia e migliaia di studenti
(ormai da tutta Italia e non solo) vengono a visitare il museo
della Memoria di Campagna».

Secondo lei una convivenza pacifica tra gli eredi delle parti
coinvolte in quella che fu una sanguinosa guerra civile è
possibile attraverso il recupero di una memoria condivisa che
archivi definitivamente errori del passato, rivendicazionismi
e negazionismi di ogni sorta?

«Noi riteniamo, innanzitutto, di dover fornire alle nuove
generazioni gli elementi della conoscenza, come leva per
prendere le distanze dal male, da qualunque parte esso
provenga. Sul tema della memoria, riteniamo che Campagna sia,
in questo momento, tra le città più impegnate in Europa, se
non la più impegnata, su questo fronte. Basti vedere quante
iniziative, abbiamo messo in cantiere, a cominciare da quella
di oggi (ieri per chi legge, ndr), per la quale sento il
dovere di rivolgere un sentito ringraziamento al Prefetto di
Salerno Francesco Russo che ha voluto essere a Campagna per
onorare questa importante giornata del ricordo».

Primo   caso   di  sospetto
Coronavirus Si tratta di un
43enne di Postiglione
di Pina Ferro

«Sono rientrato da due giorni dalla Cina e ora ho la febbre».
E’ bastata questa unica frase a far scattare il protocollo
operativo del Coronavirus presso il pronto soccorso
dell’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di
Salerno. Sono state due ore di grande tensione e caos quelle
vissute a partire dalle 15 di ieri pomeriggio. A presentarsi
dinanzi agli infermieri del Triage del Ruggi è stato un
43enne, residente a Postiglione. L’uomo ha raccontato che
aveva la febbre e che l’innalzamento della temperatura era
stato riscontrato al rientro dalla Cina dove aveva trascorso
un periodo di due mesi e dove pare viva la fidanzata. L’uomo è
rientrato i Italia due giorni fa facendo scalo a Berlino.
Raccolte le primissime informazioni è stato immediatamente
posto in atto il protocollo previsto in questo caso. Il
paziente è stato immediatamente isolato e posto in una stanza
singola lontano da altri pazienti e familiari degli stessi. A
tutti i presenti, personale sanitario compreso sono state
distribuite mascherine da indossare rigorosamente. Coloro che
hanno monitorato il 43enne hanno anche indossato speciali
tute. L’accesso alle stanze di degenza del Pronto soccorso è
stato chiuso con delle transenne leggere. A vigilare sul
rispetto delle norme precauzionali attivate vi erano le
guardie giurate. Intanto, al 43enne di Postiglione sono stati
effettuati alcuni prelievi ed un tampone. Ovviamente, quanto
stavano vivendo ha generato paura e preoccupazione sia tra i
pazienti che tra i familiari presenti in sala di attesa. Nel
frattempo, mentre i medici continuavano a visitare i pazienti
presenti nelle stanze dei codici rossi, gialli e verdi altro
personale ha continuato a porre in essere il protocollo
previsto nel caso specifico e contemporaneamente è stato
allertato l’ospedale “Cotugno” di Napoli (ospedale di
riferimento). Erano da poco passate le 16 30 quando
l’ambulanza dell’Humanitas, appositamente attrezzata ha preso
in carico il paziente ed è partita in direzione Napoli.
Trasferito il paziente, è servita almeno un’altra ora prima di
poter riaprire il pronto soccorso a pieno regime. Infatti, è
stato necessario procedere alla bonifica e sanificazione di
tutti i luoghi del reparto di emergenza. Quello del 43enne di
Postiglione è il primo caso di sospetto Coronavirus registrato
in provincia di Salerno. Proprio in questi giorni il personale
del pronto soccorso dell’azienda ospedaliera di via San
Leonardo aveva seguito dei corsi di formazione tesi alla
gestione del paziente con sospetta sindrome da Coronavirus.
Ieri pomeriggio la macchina organizzativa ha funzionato alla
perfezione. Per sapere se il 43enne ha contratto il virus che
sta facendo centinaia di vittime in Cina bisognerà attendere
le prossime ore.

Fibrillazione a Palazzo per
le candidature Lega, c’è Di
Brizzi.                In   bilico           Ernesto
Sica
di Andrea Pellegrino

A Roma le trattative proseguono sia nel centrosinistra che nel
centrodestra per definire le coalizioni e le candidature, in
vista delle prossime elezioni regionali. E se De Luca ha sulla
sua testa la spada di Damocle di un possibile accordo tra
Movimento 5 Stelle e Partito democratico, che di fatto
escluderebbe il governatore in carica, Caldoro nel
centrodestra è minato duramente dalla Lega di Matteo Salvini
che da giorni rimescola le carte sullo scacchiere nazionale,
mettendo in discussione la candidatura di Fitto in Puglia. Ma
mentre i vertici studiano e trattano, la corsa degli aspiranti
consiglieri regionali è già partita. Luca Cascone, presidente
della commissione trasporti in Consiglio regionale, ha già
aperto la sua sede in via dei Principati. Per lui c’è già un
posto nella lista “De Luca presidente” che tra le new entry
vedrà, quasi certamente, la presenza dell’assessore alle
politiche sociali, Nino Savastano. Ci riproverà anche Andrea
Volpe che la scorsa volta sfiorò l’elezione, posizionandosi
dopo Cascone. Anche la civica “Campania Libera” vedrà
l’uscente Nello Fiore in pole position mentre l’assessore ai
lavori pubblici Mimmo De Maio sarà dirottato nel collegio
napoletano. Nel Pd, invece, s’attende il Nazareno: in testa
c’è sicuramente Franco Picarone, così come Tommaso Amabile.
Questo se De Luca sarà candidato presidente. Sicuramente
dovrebbe esserci, a prescindere, l’ex deputato Simone Valiante
mentre l’area Alfieri potrebbe rimettere in campo l’ex
deputata Sabrina Capozzolo. In dubbio c’è la lista di Matteo
Renzi che nel salernitano conta sulla presenza di Angelica
Saggese e di Tommaso Pellegrino. Nel centrodestra, invece,
Fratelli d’Italia ha già incassato le disponibilità,
presentando i primi aspiranti candidati durante la convention
di domenica scorsa all’Hotel Mediterranea. La Lega, invece, in
attesa delle decisioni di Matteo Salvini ha già immaginato i
primi candidati da schierare. Tra questi il sindaco di
Positano Michele De Lucia, che tra non molto, dopo la fase di
commissariamento, potrebbe prendere le redini in mano del
partito salernitano. Poi c’è Peppe Zitarosa, mentre si tratta
con Valentino Di Brizzi, fino a ieri dirigente provinciale di
Forza Italia. Ma per un forzista che va verso la Lega ci
dovrebbe essere un leghista che ritornerà forzista. E’ il caso
di Ernesto Sica che resta in bilico e tenta di ritornare alla
casa madre per ottenere l’attesa candidatura e ritornare in
pista. Gli azzurri salernitani per ora puntano sull’uscente
Monica Paolino ma anche sul consigliere comunale di Salerno,
Roberto Celano e su Lello Ciccone. Dai banchi consiliari
arriva anche la candidatura di Dante Santoro che auspica la
promozione a Napoli. Probabile l’impegno di una lista di
civica di sinistra.

LE FIBRILLAZIONI A PALAZZO

La candidatura o meno di Vincenzo De Luca, così come la
vittoria o meno dell’attuale governatore certamente cambierà
lo scenario a Palazzo di Città, chiamato al voto tra un anno.
In pratica se De Luca non dovesse spuntarla a Napoli, potrebbe
ritornare nella sua Salerno, così come gli eventuali esclusi
dalla prossima tornata elettorale. Scenari che non passano
inosservati agli occhi dell’attuali consiglieri comunali,
soprattutto tra le fila dei «senatori» che attendono il salto
di qualità. Il futuro politico, qualsiasi cosa accada, passerà
certamente dalle prossime elezioni regionali. Intanto c’è chi
già ha opzionato il posto come possibile successore di Enzo
Napoli: ai nastri di partenza ci sono Fulvio Bonavitacola ed
Andrea Prete.
Giorgio Benvenuto: Pola, ove
imparai a nuotare da bambino
Una testimonianza       attinente la giornata del ricordo
dell’esodo degli istriani e dei dalmati, dell’ex segretario
generale della Uil       profugo giuliano assieme alla sua
famiglia, madre e padre e poi la sorellina piccolissima,
 abbandonò, in tenera età,        la città di Pola, allora
italianissima.    Il racconto   parte dalla vicenda storica,
che vede Giorgio trasferirsi in Istria a causa degli impegni
di lavoro del padre, ufficiale di Marina

Di Giulia Iannone

Abbiamo chiesto a Giorgio Benvenuto    una sua testimonianza
  attinente la giornata del ricordo dell’esodo degli istriani
e dei dalmati, istituita nel 2004. L’ex segretario generale
della Uil è profugo giuliano ed assieme alla sua famiglia,
madre e padre e poi la sorellina piccolissima, abbandonò, in
tenera età,    la città di Pola,allora italianissima.      Il
racconto    parte dalla vicenda storica, che vedeGiorgio
 trasferirsi in Istria a causa degli impegni di lavoro del
padre, ufficiale di Marina, allora Capitano (a fine carriera
diventò Ammiraglio).

“I miei genitori, Luisa Rita Corsi e Giuseppe Benvenuto, si
sono sposati a Chieti il 10 ottobre 1936”. Questo l’incipit
della nostra conversazione telefonica” La prima destinazione
di mio padre, ufficiale di Marina, è stata Brindisi. Io sono
nato alla fine del 1937. Dovevo venire al mondo a Brindisi,
sennonché mio padre venne trasferito a Gaeta. Dopo mio padre è
stato mandato a Pola, ove siamo rimasti quasi per 5 anni.
Pola era una base navale italiana, prima era stata un porto
della Marina austriaca. Mio padre era Capitano: era stato
trasferito a Pola alle scuole CREM (Corpo Reali Equipaggi di
Marina) per i sottufficiali. In quella città abbiamo vissuto
alcuni anni.Mia madre sentiva in cuor suo il desiderio di
ritornare a casa per avvicinarsi, nell’Italia centrale quanto
più possibile a Chieti, sua città natia. Ecco perché mia
sorella Rosanna, è nata a Pescara nel 1942, mentre eravamo
ancora residenti a Pola. Mio padre aveva ottenuto di venire al
Centro Italia per andare in Albania, a Tirana e a Durazzo. L’8
settembre del 1943 ci fu l’armistizio.. Mio padre aveva avuto
una peritonite e non era potuto partire per l’Albania. Le
forze armate italiane si disfecero. Mio padre, assieme ad
altri ufficiali e militari, entrò in clandestinità e riuscì,
con l’aiuto del Vescovo di Chieti e del Vice Parroco della
Parrocchia della Trinità, dove si era sposato con mia madre, a
passare il fronte, che era quello di Cassino, che arrivava in
Abruzzo fino a Castel di Sangro e Vasto (la cosiddetta linea
“Gustav”). Mia madre non ebbe notizie di mio padre per un
anno. Fu un periodo interminabile e terribile. Noi stavamo a
Chieti, ma mio padre era a Bari, Messina…sapevamo solo che era
vivo. Non c’erano infatti comunicazioni tra il regno del Sud e
la parte dell’Italia occupata dai nazisti e dai fascisti. Nel
1944 cade il fronte di Cassino. Ci       giungono finalmente
notizie certe di mio padre. Nel 1945 lo raggiungiamo a Messina
con un viaggio avventuroso, lungo la Puglia, poi scendendo
per la Calabria. Non c’erano ferrovie e non c’era nulla per
rendere sicuro, agevole e semplice questo nostro viaggio.
Siamo giunti a Messina ove ci siamo riuniti come famiglia
dalla fine del 1945 fino al 1947. Quanto al ricordo della
vita e dei giorni trascorsi a Pola”in quella città avevamo la
casa” ha continuato il Presidente della Fondazione Bruno
Buozzi”: era la casa di servizio; era una abitazione molto
confortevole. La città era ed è bellissima, affacciata sul
mare, antica, romana, ha l’arena, l’anfiteatro, il Tempio di
Augusto di epoca romana affiancato dal Palazzo Comunale di
Pola che risale al XIII secolo, l’Arco dei Sergi, poi ha dei
dintorni bellissimi , c’è anche l’isola di Brioni ove andavo
d’estate a trascorrere le vacanze, perché era sede di un
distaccamento della marina militare, ed era stata aperta alle
famiglie dei militari. È lì, che una estate mia madre mi
insegnò a nuotare: mi lasciavo trasportare in alto mare dalla
mamma – che nuotava benissimo – mettendomi a cavalcioni sulle
sue spalle e così , perfettamente sicuro, attraversavo      le
acque limpide e cristalline di quella costa adriatica che era
molto italiana.     Serbo dentro di me dei bellissimi e
tenerissimi ricordi di questo periodo e di questi
luoghi.Ripeto, la casa era molto bella, c’era un bel giardino,
imparai privatamente a leggere e a scrivere con un maestro
privato, la gente era simpatica. Fino al dicembre de1942 non
c’erano stati bombardamenti e situazioni che facessero sentire
di essere in guerra. Per l’Italia la guerra stava andando
male: agli inizi del 1943, perché ci fu la tragica ritirata in
Russia, la perdita della Libia e la resa dell’armata italiana
in Tunisia. L’Italia stava per essere invasa. Noi fino alla
fine del 1942 siamo stati bene e, dato importante da
ricordare, ci eravamo dovuti iscrivere all’anagrafe di Pola,
per cui risultavamo cittadini di Pola. Poi, siamo andati via.
Una parte delle cose che avevamo, abbiamo fatto a tempo a
riportarle giù a Chieti, ma non tutte. Venne con noi Angela
Del Bianco, la persona che era stata assunta anche in
previsione della nascita di mia sorella Rosanna. Ricordo
benissimo che Angela, la nostra tata, aveva perso suo padre:
era stato nel 1945, avvenne quando Tedeschi e Slavi dettero
una caccia spietata agli italiani. Il suo papà, italiano ed
originario di Carnizza, piccolissimo paese agricolo
dell’Istria, fu preso, ucciso e gettato orribilmente nelle
foibe. Angela venne via ed è rimasta con noi quasi 10 anni,
poi nell’ultimo trasferimento di mio padre, a Roma, lei decise
di restare a Chieti, dove si è poi sposata ed è così diventata
abruzzese. Per l’affetto che aveva nei confronti di mia madre,
ha dato alla sua prima figlia il nome Rita.Ed ecco” Le battute
finali amare e decisive di questo racconto, che mescola tratti
teneri di bambino, storia di una famiglia in fuga, in viaggio,
in bilico, tra le alterne vicende della carriera militare di
un padre, di una madre giovane nella disperata ed eroica forza
e coraggiosa tensione di tenere unita la famiglia”. C’è stato
nel 1947 il trattato di pace. Pola e l’Istria, Fiume, la
Dalmazia sono state cedute alla Jugoslavia. Le clausole
prevedevano che, chi era iscritto prima del 1947 all’anagrafe
di Pola, poteva optare se rimanere lì come cittadino slavo o
venire in Italia. Noi non accettammo quella cittadinanza e
siamo rimasti in Italia come profughi Giuliani. Siamo sempre
stati iscritti alla Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia ( che da sempre si occupa di onorare e mantenere vivo
il ricordo degli esuli, caduti e martiri delle foibe) e penso
che quel giorno, i miei genitori, decidendo per me e per mia
sorella, di essere italiani ed aiutandoci con grande forza e
coraggio ad uscire da quella situazione tragica, hanno
consentito, oggi, come da molti anni, di       testimoniare e
ricordare la storia di quei luoghi e di quei fatti, quando
altri non possono più farlo.

Federico Euro Roman: Istria
terra rossa
“ I miei genitori e i nonni ci hanno tenuti lontani dal peso e
dalla sofferenza del loro essere “Esuli” – scrive l’oro di
Mosca 1980 di concorso completo di equitazione – Solo vedendo
e rivedendo il film “Red land” ho capito che Visinada teatro
di una delle tante tragedie, era a 15 km da dove nacque mio
Padre e viveva mia Madre: Cittanova d’Istria”

Di FEDERICO EURO ROMAN

 A casa, a Trieste , non se ne parlava. Almeno non certo con i
toni drammatici e tristi che la recente verità avrebbe
concesso. Forse, per dimenticare, forse perchè eravamo
piccoli. L’unico ricordo certo è che iugoslavo a casa nel
vocabolario non esisteva da solo: come in Friuli si bestemmia
senza volerlo fare, l’esclamativo della mia fanciullezza era
sempre accompagnato da un aggettivo di insulto, lo slavo era
“sciavo”,    ed oltre confine, benevolmente, detto “ injugo”.
Ricordi di quando avevo 4-6 anni , nomi ripetuti intorno al
tavolo, dopo mangiato, mentre noi piccoli giocavamo sotto o
nel corridoio accanto, voci lontane, Visinada, la Rivarola ,
i Drusi , in zona B…..
E ricordi di noiose visite a parenti, che vivevano nei due
campi profughi di mia memoria, in riva a Trieste e       verso
Prosecco, baracche di legno grigio azzurro, con un recinto in
muratura attorno, come un lazzaretto, unico rifugio per chi in
Istria aveva perduto tutto, ed in Italia non era riuscito,
nella estrema povertà del primo dopoguerra, a trovare altre
strade per sopravvivere. Solo ultimamente, superati i
sessant’anni, ho capito meglio i drammi vissuti dai miei
genitori e nonni, che ci hanno tenuti lontani dal peso e dalla
sofferenza del loro essere “Esuli”.   Solo vedendo e rivedendo
il film “Red land” (la terra istriana è rossa, rossa con
pietre bianche) ho capito che Visinada dove è stata rapita
torturata uccisa ed altro Norma Cossetto, assieme ai tanti
concittadini, era a 15 km da dove nacque mio Padre e viveva
mia Madre: Cittanova d’Istria. Solo ultimamente, dai racconti
di cugini triestini su testimonianze dei loro genitori, ho
saputo che quel Varin palombaro che andavamo a trovare a
Monfalcone, aveva un fratello trucidato solo ventiquattrenne
a sassate dai suoi coetanei sulla spiaggia di fronte la diga
di Cittanova, perchè di sentimenti italiani. E su quella
spiaggia di ciottoli, come tutte le spiagge istriane, ero
arrivato più volte a nuoto partendo dalla punta della diga,
ignaro in quei 300 metri di mare di andare verso un angolo
testimone della crudeltà dilagata contro gli italiani dal 1943
in poi . La scorsa primavera ero a Cittanova con la barca, ed
in una piovosa giornata di maggio ho cercato a lungo nel
cimitero vecchio la tomba di Giuseppe Varin, date precise,
motivo della morte neutro politicamente: “rapito da crudele
destino”. Accanto Cittanova d’Istria c’è Daila, e sul finire
della borgata, in riva al mare al centro di una piccola baia,
un gruppo di case ed una chiesetta minuscola, con 15 venti
posti a sedere al massimo. E’ il villaggio dei Roman, dove i
miei bisnonni e fratelli, nonni, prozii erano vissuti. Ed in
quella chiesa si sposavano , andavano a Messa la domenica ed
ai funerali dei congiunti. Mio Padre Antonio Virginio era lì,
nato, lì andato a scuola e sulle lisce pietre di quel mare
passato le estati. E da lì era partito a 17 anni per Pinerolo
volontario in cavalleria. Scelta che avrebbe condizionato
tanto della nostra vita. Da Daila era partito suo Padre, nonno
Luigi, allora suddito dell’Impero Austro-Ungarico, allo
scoppio della Grande Guerra. Fuggendo      in barca da punta
Salvatore, era arrivato con un amico a remi in Italia, verso
Grado, per arruolarsi e sotto falso nome combattere contro
l’Austria. Tale era forte il sentimento italiano di quelle
popolazioni.    Per ironia della sorte sul fronte avverso,
austriaco, c’era il mio nonno materno di Pola che,
italianissimo anche lui Isidoro De Bianchi, ma meno impavido
di fronte il rischio di fare la fine di Cesare Battisti, aveva
servito nelle retrovie col chiodo in testa. Passata, ormai, la
generazione che ha vissuto le guerre, gli Istriani di oggi
dicono “Noi”, non si sentono né troppo Croati, né troppo
Italiani, tantomeno austriaci. Parlano intercalando vocaboli
italici e slavi con termini unici del dialetto istriano. Nei
giorni di festa a Cittanova, da quando l’amico di gioventù
Sergio Stoinich era   Sindaco sventolano in Comune le due
bandiere, oltre quella della Città. Ma le tensioni sono oggi
rinate sul confine tra Croati e Sloveni dove collidono gli
equilibri politici delle due capitali. A metà degli anni ’90,
in un incontro con la popolazione del luogo, per definire il
confine tra le due Repubbliche divenute Stati indipendenti,
alle richieste della commissione preposta, un vecchio nato
sotto l’Austria replicò: “Non mi sono mai spostato dal mio
paese e dalla mia casa ed ho cambiato cinque passaporti. Se
oggi vi dico che voglio essere sloveno o piuttosto croato, e
poi Lubjana e Zagabria si rimettono d’accordo per spostare il
confine, “cossa fè ? me impichè?”. Come scrivevo sopra,
scoperte tutte acquisite di recente, grazie al silenzio di
allora dei miei ed anche per la distrazione del mio
vagabondare sportivo e scolastico, che mi ha allontanato dalla
Trieste della mia fanciullezza a metà ginnasio. La storia del
confine croato-sloveno l’ho raccolta nella pioggia della mia
visita per mare,      in un bar      sotto le mura romane,
chiacchierando con      Sergio Stoinich: Madre di origini
italiane, il    Padre pescatore croato, critico verso gli
eccessi del regime nell’immediato dopoguerra, morto in mare
con ancora e cima della barca scomparse, e circostanze mai
chiarite. Istria terra rossa difficile e sofferta di passioni
ancora oggi accese.

Il giorno del ricordo: le
Foibe e l’esodo giuliano-
dalmata
Di OLGA CHIEFFI

Oggi desideriamo saldare un debito di conoscenza, andando con
la memoria ad un passato che, in qualche modo ci appartiene,
poiché appartiene ad una parte importante della nostra
comunità, sono le persone, le famiglie originarie dell’Istria,
della Dalmazia, di Fiume, di Zara, che dovettero lasciare i
luoghi dove erano nati, persone costrette all’esodo, storia
italiana ed europea su cui riflettere ed interrogarci non solo
oggi, ma per l’intero anno. La prima parte del Novecento è
stata caratterizzata dalla nascita e dallo straripamento di
nazionalismi e totalitarismi che hanno alterato e distrutto
luoghi, identità, persone, violando ripetutamente i
fondamentali diritti individuali, diritti negati, dimezzati,
dimenticati e fatti dimenticare, con disprezzo, oltre che con
ferocia. Trieste e i suoi territori hanno conosciuto la
repressione e la dittatura fascista, hanno sentito sulla
propria pelle l’infamia delle leggi razziali, il campo di
sterminio delle Risaie, hanno vissuto il dramma delle foibe,
ha toccato con mano la sofferenza delle vicine genti istriane
costrette all’esodo sotto la violenza del regime comunista di
Tito. Non credo sia possibile fare paragoni con la Shoah, con
il genocidio degli ebrei, richiamare l’orrore assoluto di quel
preciso, lucido e folle disegno di annientamento di un intero
popolo. Resta l’orrore delle foibe, alimentato da un intreccio
di appetiti espansionistici di Tito, perverso odio etnico,
nazionale e ideologico, un odio che colpì fascisti,
antifascisti, persone senza una precisa posizione politica.
Poi, iniziò la rimozione. Quasi tutta l’Italia, anche se non
certo quanti hanno vissuto l’esodo e la sofferenza di quegli
anni, anche attraverso le parole dei familiari, hanno
rimosso. Da quelle terre proviene la lezione di quanto è
costato e costa costruire la democrazia in terre plurali dove
a lungo le istituzioni sono state adoperate per negare,
violare, cancellare identità e diritti, superare steccati,
rimozioni, prima di riconoscersi pienamente crocevia di
culture. Avere memoria riconoscere la propria storia e il
proprio dolore, serve a riconoscere la storia e il dolore
degli altri. Per far questo ci siamo affidati alla parola
“vera” di due testimoni di quei fatti, il senatore Giorgio
Benvenuto, che ricordiamo tutti a capo della Uil, oggi
Presidente della Fondazione Bruno Buozzi, e a Federico Euro
Roman Oro Olimpico a Mosca 1980 del concorso completo di
equitazione. E’ la prima ricerca da storici che verrà qui
proposta, quella sulla propria famiglia, che dovremmo fare
tutti, per conoscere meglio noi stessi.      “La prima grande
virtù dell’uomo è la verità (secondo alcuni filologi deriva
dalla radice iranica ver che significa fiducia realtà) –
scrive il filosofo Aldo Masullo – solo cercandola con passione
potremo, forse, risollevarci dalla nostra condizione che sta
cedendo al Nulla”. L’ invito è a rompere il guscio
d’isolamento, che non è materiale ma una volontaria reclusione
dell’io. La passione non è la cecità di lasciarsi prendere da
un’urgenza, ma patire, cioè vivere profondamente e dare
spessore alla storia, ponendo un freno al frenetico correre,
in modo da fermarci a riflettere su noi stessi, poichè l’uomo
è libero e vive in quanto trascende con il proprio pensiero la
stessa vita immediatamente vissuta. Riuscire a far questo
significa poter guardare con fiducia al futuro, significa
poterlo costruirlo insieme, offrendo ciascuno il proprio
pesante contributo.
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