"Meglio le Province che le Regioni" La Lega? "Sia meglio organizzata" - Le Cronache Salerno
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«Meglio le Province che le Regioni» La Lega? «Sia meglio organizzata» di Andrea Pellegrino «Spero che la Lega non sia come gli altri: si faccia un congresso e ci sia rappresentatività e soprattutto tenga ben presente chi sale all’ultimo momento sul carro dei vincitori. Anzi sul Carroccio». Pino Palmieri è sindaco di Roscigno. Ha lasciato Roma, dove è stato anche consigliere regionale, per amministrare il suo comune di origine. Già da tempo è un iscritto della Lega di Matteo Salvini, fin da quando al sud era impossibile raggiungere percentuali a due cifre. «Non sono interessato a candidature, non sono interessato ad incarichi», dice Palmieri: «Sono interessato a far crescere il mio territorio e a sostenere un progetto politico che mi convince». Tra qualche mese si voterà per il rinnovo dei vertici della Regione Campania, lei sarà in campo? «Mi hanno offerto la candidatura. Io ho detto no. Anche perché sono stato consigliere regionale del Lazio e da questa esperienza ho appreso solo l’importanza delle Province e la poca utilità delle Regioni. Sono favorevole al ritorno di amministrazioni provinciali forti e rappresentative, anche al costo di abolire le regioni che sono, ad oggi, solo pachidermi istituzionali». Centrodestra. Ad oggi siamo ancora in alto mare «Penso che occorra abbandonare il tatticismo partitico a favore del progetto. Non è possibile che a sessanta giorni circa dalla presentazione delle liste non ci sia ancora l’indicazione sul candidato. Noi siamo persone che danno anima e corpo sui territori ma abbiamo bisogno di riferimenti certi».
Cosa pensa di Caldoro? «E’ una persona perbene, pacata e preparata. Penso che abbia amministrato bene. Naturalmente non tocca a me stabilire logiche politiche o strategie che spettano ai partiti». Un centrodestra unito pensa che sia vincente? «L’unione fa la forza. Ora è indispensabile indicare il candidato e avviare la campagna elettorale. Il centrodestra ha un trend positivo in tutta Italia ed anche in Campania, ma naturalmente gli avversari non stanno a guardare. De Luca, inoltre, è un personaggio politico di spessore e sa bene come si fa una campagna elettorale». Ha mai conosciuto Vincenzo De Luca? «No, mai incontrato». Torniamo al Carroccio.. «Io ho aderito convintamente alla Lega, anche quando era difficile farlo in questa terra. Però ora occorre una classe dirigente che sia rappresentativa, che sia capace, che sostenga noi amministratori locali. La critica non è sinonimo di abbandono, anzi è qualcosa di cui si necessita, a mio avviso, per costruire e non distruggere. Non sono interessato a candidature o incarichi, vorrei solo che questo partito non sia come gli altri. Spero in un congresso e spero che siano i tesserati ad eleggere i propri dirigenti di partito. Io ribadisco la mia appartenenza alla Lega e la mia volontà di far crescere questo partito».
I volontari di Sea Shepherd a Salerno, dibattito in programma al Foyer Cafè Sea Shepherd fa nuovamente tappa a Salerno. I volontari della più agguerrita organizzazione per la difesa dei mari e dei suoi abitanti terranno una conferenza pubblica per simpatizzanti e sostenitori il prossimo 15 febbraio. L’appuntamento, dunque, è per sabato alle ore 17.00 presso il Foyer Café di via Valerio Laspro dove gli attivisti parleranno di alcune delle principali campagne portate avanti, in questi anni, da Sea Shepherd. Per l’occasione, è prevista la proiezione di video ufficiali e, all’interno del locale, saranno allestiti infopoint e mostra fotografica. Regione, approvata la legge sulle cooperative di comunità di Erika Noschese «Dalla Regione Campania un’opportunità di recupero e rinascita a contesti sociali svantaggiati e facendo leva sul senso di identità e attaccamento alle origini». Lo dichiara la consigliera regionale Maria Ricchiuti dopo che il consiglio regionale, ieri, ha approvato la sua proposta di legge sulle cooperative di comunità, dopo un articolato confronto normativo e politico. «La Regione Campania riconosce il portato valoriale della cooperazione di comunità anche nel suo impatto produttivo ed economico, dando un’opportunità di recupero e rinascita a contesti sociali svantaggiati e facendo
leva sul senso di identità e attaccamento alle origini», ha dichiarato la consigliera Ricchiuti. La legge sulle cooperative di comunità, infatti, è ad oggi un valido strumento per contrastare, in Campania, il fenomeno dello spopolamento, il declino economico e il degrado socio- urbanistico. «Si tratta di un lavoro iniziato un anno fa, nella sesta commissione, anche grazie al prezioso contributo delle associazioni appartenenti al terzo settore», ha poi spiegato la consigliera secondo cui, in Campania, la legge si basa soprattutto sulle innovazioni portate al tavolo nazionale del terzo settore e sul rapporto con le altre realtà. In sintesi, le cooperative di comunità dovranno operare prevalentemente nei comuni o aree rispondenti a determinate caratteristiche, ovvero comuni delle “aree interne”, piccoli comuni, aree urbane fortemente degradate, anche a causa del forte impatto demografico. La legge è stata approvata dal Consiglio regionale della Campania con 34 voti a favore, dopo che la consigliera Ricchiuti ha illustrato il testo normativo. Una legge che mira non solo a far sì che le nuove generazioni possano far ritorno nei loro paesi d’origine ma anche di promuovere servizi quali l’attività di vendita di generi alimentari, di prodotti di prima necessità e rivendita di giornali, di quotidiani e di riviste; servizi di pagamento, previo ottenimento della relativa autorizzazione o licenza; servizi di natura informatica; servizi di assistenza per la prenotazione telefonica o telematica di visite mediche e supporto tecnico per servizi sanitari; servizi di raccolta e successivo invio della corrispondenza nei centri abitati privi di ufficio postale, previa apposita convenzione con il gestore del servizio postale; servizi bibliotecari e noleggio di libri; servizi di mobilità; attività di valorizzazione delle tradizioni tipiche locali e della trasmissione inter- generazionale dei saperi. Per essere soci della cooperativa, ha spiegato la consigliera, requisito necessario è essere residenti, con la sede nella comunità interessata, oppure che in essa operano con carattere di continuità. «Grazie a tutti gli attori istituzionali, imprenditoriali e associativi per il
prezioso ed insostituibile contributo, al fine di massimizzare il benessere collettivo», ha poi aggiunto la consigliera. S’insediano i vertici della Procura e del Tribunale di Pina Ferro L’aula 17 della Cittadella Giudiziaria ha fatto da coreografia all’insediamento del novo vertice della Procura e di quello de Tribunale di Salerno. Giuseppe Borrelli, 60 anni proveniente da Napoli dove ha ricoperto il ruolo di procuratore aggiunto e Giuseppe Ciampa, 61 anni, anche egli proveniente da Napoli dove ha ricoperto il ruolo di presidente di sezione, ieri mattina, hanno giurato dinanzi al collegio formato dalla presidente Rosa Sergio e dai giudici a latere Lucia Casale e Vincenzo Ferrara Ad accogliere il neo procuratore ed il neo presidente del Tribunale di Salerno c’erano magistrati, avvocati, funzionari e i rappresentanti delle forze dell’ordine. Presente anche l’ex procuratore capo di Salerno Corrado Lembo, in pensione nel settembre 2018. Al suo posto a reggere la Procura, fino a ieri, vi è stato il facente funzioni Luca Masini. A dare per primo il benvenuto ai due nuovi vertici è stato il presidente vicario della Corte d’Appello di Salerno, Bruno De Filippis, il quale, ha sottolineato che «Salerno è una realtà che non manca di problemi ma abbiamo grandi risorse umane. Siamo sicuri che insieme faremo un ottimo lavoro». Un benvenuto corredato da un invito quello del procuratore generale Leonida Primicerio. Un invito a pretendere di più da Roma, a far sentire la propria voce battendo il pugno sul tavolo. Dopo aver dato il benvenuto ai colleghi Ciampa e Borrelli il procuratore generale Leonida
Primicerio ha sottolineato il loro valore e professionalità «Valore e professionalità che unitamente alla loro esperienza metteranno al servizio non solo in materia di contenzioso civile ma anche di criminalità organizzata che qui a Salerno non è tanto diversa da quella napoletana». Poi è arrivato l’affondo:«la realtà giudiziaria salernitana è un po’ trascurata a Roma Roma dove si decidono cose importanti. Vi chiediamo di andare a Roma e sbattere il pugno sul tavolo e chiedere il rafforzamento degli organici perché molto spesso il nostro appello resta inascoltato». «Vi abbiamo aspettato a lungo – ha sottolineato il procuratore aggiunto facente funzioni Luca Masini – Qui c’è una squadra che è pronta a qualsiasi miglioramento». A dare il benvenuto al neo procuratore ed al neo presidente del Tribunale a nome dell’avvocatura salernitana è stato il presidente dell’Ordine Forense Salernitano Silverio Sica. «Porto il saluto dell’intera avvocatura salernitana. L’avvocatura salernitana è mediamente sana e leale. Pur vivendo in un tribunale di frontiera ha sempre avuto spirito di collaborazione nel rispetto reciproco della propria toga. Noi ci aspettiamo che i problemi della giustizia vengano affrontati con sano pragmatismo, con la volontà di risolverli». Tragedia delle Foibe, Monaco: «Campagna attenta alla storia» di Andrea Bignardi «Campagna è una città attenta alla storia ed al suo corso». Parla così il sindaco Roberto Monaco, in occasione della
giornata del ricorso per la tragedia delle foibe. Sindaco, Campagna è una città impegnata in prima linea nel ricordo della tragedia delle foibe, e l’iniziativa di oggi (ieri per chi legge,ndr) lo testimonia. Una tendenza non sempre seguita dai comuni. Come mai questa scelta? «Campagna è da sempre una città attenta alla storia ed al suo corso. Proprio per questo motivo abbiamo il museo – itinerario della Memoria e della Pace intitolato alla figura di Giovanni Palatucci (ultimo questore di Fiume e nipote di Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna negli anni della II Guerra Mondiale, ndr). Un’entità che si occupa di trasferire, soprattutto alle nuove generazioni, il significato profondo della memoria, con particolare riferimento ai fatti della seconda guerra mondiale e alle sue conseguenze. Ma non solo. A Campagna abbiamo costruito un vero e proprio Percorso della Memoria, che coinvolge tutte le istituzioni locali». In cosa consiste quest’iniziativa? «Ogni anno, l’amministrazione comunale che ho l’onore di rappresentare e il Museo (diretto da Marcello Naimoli) organizzano, con il contributo di alcune associazioni (in particolare il Comitato Giovanni Palatucci, presieduto da Michele Aiello), un vero e proprio percorso della Memoria che prende il via il 27 gennaio, giorno della Memoria, attraversa il 10 febbraio, giorno del Ricordo, per poi giungere al 6 marzo, la giornata dei Giusti tra le nazioni». In che modo realizzate questa importante operazione di sensibilizzazione? «Con numerosi appuntamenti capaci di trasmettere alla cittadinanza il messaggio che cerchiamo di veicolare. Il 21 e il 28 marzo, ad esempio, sono previsti due spettacoli sul tema della memoria e del ricordo: la “Pietra oscura” e la “Serva padrona” (intermezzo buffo di Antonello Mercurio per la regia di Pasquale De Cristofaro). Questi sono soltanto gli
appuntamenti fissati in un termine più o meno breve, ma non ne mancheranno anche tanti altri, che avranno luogo nel mese di maggio». I giovani di Campagna – che si spera possano essere i veri depositari della memoria in futuro – come hanno percepito quest’attenzione a temi del genere da parte dell’amministrazione? «I giovani hanno recepito bene, anzi direi benissimo, il messaggio lanciato nella giornata di oggi (ieri per chi legge, ndr). Sono molto più sensibili di ciò che molti a torto sono disposti a riconoscere. La nostra scelta, unitamente al direttore del Museo, è stata quella di allestire non un plesso statico, fatto esclusivamente di immagini. Al contrario, facendo leva sul linguaggio e sugli strumenti di comunicazione utilizzati dai giovani, abbiamo voluto un museo digitale, multimediale e dialogante che che fosse capace di coinvolgere la sfera emotiva ed emozionale dei fruitori. E questa è tra le ragioni principali per cui migliaia e migliaia di studenti (ormai da tutta Italia e non solo) vengono a visitare il museo della Memoria di Campagna». Secondo lei una convivenza pacifica tra gli eredi delle parti coinvolte in quella che fu una sanguinosa guerra civile è possibile attraverso il recupero di una memoria condivisa che archivi definitivamente errori del passato, rivendicazionismi e negazionismi di ogni sorta? «Noi riteniamo, innanzitutto, di dover fornire alle nuove generazioni gli elementi della conoscenza, come leva per prendere le distanze dal male, da qualunque parte esso provenga. Sul tema della memoria, riteniamo che Campagna sia, in questo momento, tra le città più impegnate in Europa, se non la più impegnata, su questo fronte. Basti vedere quante iniziative, abbiamo messo in cantiere, a cominciare da quella di oggi (ieri per chi legge, ndr), per la quale sento il dovere di rivolgere un sentito ringraziamento al Prefetto di
Salerno Francesco Russo che ha voluto essere a Campagna per onorare questa importante giornata del ricordo». Primo caso di sospetto Coronavirus Si tratta di un 43enne di Postiglione di Pina Ferro «Sono rientrato da due giorni dalla Cina e ora ho la febbre». E’ bastata questa unica frase a far scattare il protocollo operativo del Coronavirus presso il pronto soccorso dell’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno. Sono state due ore di grande tensione e caos quelle vissute a partire dalle 15 di ieri pomeriggio. A presentarsi dinanzi agli infermieri del Triage del Ruggi è stato un 43enne, residente a Postiglione. L’uomo ha raccontato che aveva la febbre e che l’innalzamento della temperatura era stato riscontrato al rientro dalla Cina dove aveva trascorso un periodo di due mesi e dove pare viva la fidanzata. L’uomo è rientrato i Italia due giorni fa facendo scalo a Berlino. Raccolte le primissime informazioni è stato immediatamente posto in atto il protocollo previsto in questo caso. Il paziente è stato immediatamente isolato e posto in una stanza singola lontano da altri pazienti e familiari degli stessi. A tutti i presenti, personale sanitario compreso sono state distribuite mascherine da indossare rigorosamente. Coloro che hanno monitorato il 43enne hanno anche indossato speciali tute. L’accesso alle stanze di degenza del Pronto soccorso è stato chiuso con delle transenne leggere. A vigilare sul rispetto delle norme precauzionali attivate vi erano le
guardie giurate. Intanto, al 43enne di Postiglione sono stati effettuati alcuni prelievi ed un tampone. Ovviamente, quanto stavano vivendo ha generato paura e preoccupazione sia tra i pazienti che tra i familiari presenti in sala di attesa. Nel frattempo, mentre i medici continuavano a visitare i pazienti presenti nelle stanze dei codici rossi, gialli e verdi altro personale ha continuato a porre in essere il protocollo previsto nel caso specifico e contemporaneamente è stato allertato l’ospedale “Cotugno” di Napoli (ospedale di riferimento). Erano da poco passate le 16 30 quando l’ambulanza dell’Humanitas, appositamente attrezzata ha preso in carico il paziente ed è partita in direzione Napoli. Trasferito il paziente, è servita almeno un’altra ora prima di poter riaprire il pronto soccorso a pieno regime. Infatti, è stato necessario procedere alla bonifica e sanificazione di tutti i luoghi del reparto di emergenza. Quello del 43enne di Postiglione è il primo caso di sospetto Coronavirus registrato in provincia di Salerno. Proprio in questi giorni il personale del pronto soccorso dell’azienda ospedaliera di via San Leonardo aveva seguito dei corsi di formazione tesi alla gestione del paziente con sospetta sindrome da Coronavirus. Ieri pomeriggio la macchina organizzativa ha funzionato alla perfezione. Per sapere se il 43enne ha contratto il virus che sta facendo centinaia di vittime in Cina bisognerà attendere le prossime ore. Fibrillazione a Palazzo per le candidature Lega, c’è Di
Brizzi. In bilico Ernesto Sica di Andrea Pellegrino A Roma le trattative proseguono sia nel centrosinistra che nel centrodestra per definire le coalizioni e le candidature, in vista delle prossime elezioni regionali. E se De Luca ha sulla sua testa la spada di Damocle di un possibile accordo tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico, che di fatto escluderebbe il governatore in carica, Caldoro nel centrodestra è minato duramente dalla Lega di Matteo Salvini che da giorni rimescola le carte sullo scacchiere nazionale, mettendo in discussione la candidatura di Fitto in Puglia. Ma mentre i vertici studiano e trattano, la corsa degli aspiranti consiglieri regionali è già partita. Luca Cascone, presidente della commissione trasporti in Consiglio regionale, ha già aperto la sua sede in via dei Principati. Per lui c’è già un posto nella lista “De Luca presidente” che tra le new entry vedrà, quasi certamente, la presenza dell’assessore alle politiche sociali, Nino Savastano. Ci riproverà anche Andrea Volpe che la scorsa volta sfiorò l’elezione, posizionandosi dopo Cascone. Anche la civica “Campania Libera” vedrà l’uscente Nello Fiore in pole position mentre l’assessore ai lavori pubblici Mimmo De Maio sarà dirottato nel collegio napoletano. Nel Pd, invece, s’attende il Nazareno: in testa c’è sicuramente Franco Picarone, così come Tommaso Amabile. Questo se De Luca sarà candidato presidente. Sicuramente dovrebbe esserci, a prescindere, l’ex deputato Simone Valiante mentre l’area Alfieri potrebbe rimettere in campo l’ex deputata Sabrina Capozzolo. In dubbio c’è la lista di Matteo Renzi che nel salernitano conta sulla presenza di Angelica Saggese e di Tommaso Pellegrino. Nel centrodestra, invece, Fratelli d’Italia ha già incassato le disponibilità, presentando i primi aspiranti candidati durante la convention
di domenica scorsa all’Hotel Mediterranea. La Lega, invece, in attesa delle decisioni di Matteo Salvini ha già immaginato i primi candidati da schierare. Tra questi il sindaco di Positano Michele De Lucia, che tra non molto, dopo la fase di commissariamento, potrebbe prendere le redini in mano del partito salernitano. Poi c’è Peppe Zitarosa, mentre si tratta con Valentino Di Brizzi, fino a ieri dirigente provinciale di Forza Italia. Ma per un forzista che va verso la Lega ci dovrebbe essere un leghista che ritornerà forzista. E’ il caso di Ernesto Sica che resta in bilico e tenta di ritornare alla casa madre per ottenere l’attesa candidatura e ritornare in pista. Gli azzurri salernitani per ora puntano sull’uscente Monica Paolino ma anche sul consigliere comunale di Salerno, Roberto Celano e su Lello Ciccone. Dai banchi consiliari arriva anche la candidatura di Dante Santoro che auspica la promozione a Napoli. Probabile l’impegno di una lista di civica di sinistra. LE FIBRILLAZIONI A PALAZZO La candidatura o meno di Vincenzo De Luca, così come la vittoria o meno dell’attuale governatore certamente cambierà lo scenario a Palazzo di Città, chiamato al voto tra un anno. In pratica se De Luca non dovesse spuntarla a Napoli, potrebbe ritornare nella sua Salerno, così come gli eventuali esclusi dalla prossima tornata elettorale. Scenari che non passano inosservati agli occhi dell’attuali consiglieri comunali, soprattutto tra le fila dei «senatori» che attendono il salto di qualità. Il futuro politico, qualsiasi cosa accada, passerà certamente dalle prossime elezioni regionali. Intanto c’è chi già ha opzionato il posto come possibile successore di Enzo Napoli: ai nastri di partenza ci sono Fulvio Bonavitacola ed Andrea Prete.
Giorgio Benvenuto: Pola, ove imparai a nuotare da bambino Una testimonianza attinente la giornata del ricordo dell’esodo degli istriani e dei dalmati, dell’ex segretario generale della Uil profugo giuliano assieme alla sua famiglia, madre e padre e poi la sorellina piccolissima, abbandonò, in tenera età, la città di Pola, allora italianissima. Il racconto parte dalla vicenda storica, che vede Giorgio trasferirsi in Istria a causa degli impegni di lavoro del padre, ufficiale di Marina Di Giulia Iannone Abbiamo chiesto a Giorgio Benvenuto una sua testimonianza attinente la giornata del ricordo dell’esodo degli istriani e dei dalmati, istituita nel 2004. L’ex segretario generale della Uil è profugo giuliano ed assieme alla sua famiglia, madre e padre e poi la sorellina piccolissima, abbandonò, in tenera età, la città di Pola,allora italianissima. Il racconto parte dalla vicenda storica, che vedeGiorgio trasferirsi in Istria a causa degli impegni di lavoro del padre, ufficiale di Marina, allora Capitano (a fine carriera diventò Ammiraglio). “I miei genitori, Luisa Rita Corsi e Giuseppe Benvenuto, si sono sposati a Chieti il 10 ottobre 1936”. Questo l’incipit della nostra conversazione telefonica” La prima destinazione di mio padre, ufficiale di Marina, è stata Brindisi. Io sono nato alla fine del 1937. Dovevo venire al mondo a Brindisi, sennonché mio padre venne trasferito a Gaeta. Dopo mio padre è stato mandato a Pola, ove siamo rimasti quasi per 5 anni. Pola era una base navale italiana, prima era stata un porto della Marina austriaca. Mio padre era Capitano: era stato trasferito a Pola alle scuole CREM (Corpo Reali Equipaggi di Marina) per i sottufficiali. In quella città abbiamo vissuto
alcuni anni.Mia madre sentiva in cuor suo il desiderio di ritornare a casa per avvicinarsi, nell’Italia centrale quanto più possibile a Chieti, sua città natia. Ecco perché mia sorella Rosanna, è nata a Pescara nel 1942, mentre eravamo ancora residenti a Pola. Mio padre aveva ottenuto di venire al Centro Italia per andare in Albania, a Tirana e a Durazzo. L’8 settembre del 1943 ci fu l’armistizio.. Mio padre aveva avuto una peritonite e non era potuto partire per l’Albania. Le forze armate italiane si disfecero. Mio padre, assieme ad altri ufficiali e militari, entrò in clandestinità e riuscì, con l’aiuto del Vescovo di Chieti e del Vice Parroco della Parrocchia della Trinità, dove si era sposato con mia madre, a passare il fronte, che era quello di Cassino, che arrivava in Abruzzo fino a Castel di Sangro e Vasto (la cosiddetta linea “Gustav”). Mia madre non ebbe notizie di mio padre per un anno. Fu un periodo interminabile e terribile. Noi stavamo a Chieti, ma mio padre era a Bari, Messina…sapevamo solo che era vivo. Non c’erano infatti comunicazioni tra il regno del Sud e la parte dell’Italia occupata dai nazisti e dai fascisti. Nel 1944 cade il fronte di Cassino. Ci giungono finalmente notizie certe di mio padre. Nel 1945 lo raggiungiamo a Messina con un viaggio avventuroso, lungo la Puglia, poi scendendo per la Calabria. Non c’erano ferrovie e non c’era nulla per rendere sicuro, agevole e semplice questo nostro viaggio. Siamo giunti a Messina ove ci siamo riuniti come famiglia dalla fine del 1945 fino al 1947. Quanto al ricordo della vita e dei giorni trascorsi a Pola”in quella città avevamo la casa” ha continuato il Presidente della Fondazione Bruno Buozzi”: era la casa di servizio; era una abitazione molto confortevole. La città era ed è bellissima, affacciata sul mare, antica, romana, ha l’arena, l’anfiteatro, il Tempio di Augusto di epoca romana affiancato dal Palazzo Comunale di Pola che risale al XIII secolo, l’Arco dei Sergi, poi ha dei dintorni bellissimi , c’è anche l’isola di Brioni ove andavo d’estate a trascorrere le vacanze, perché era sede di un distaccamento della marina militare, ed era stata aperta alle famiglie dei militari. È lì, che una estate mia madre mi
insegnò a nuotare: mi lasciavo trasportare in alto mare dalla mamma – che nuotava benissimo – mettendomi a cavalcioni sulle sue spalle e così , perfettamente sicuro, attraversavo le acque limpide e cristalline di quella costa adriatica che era molto italiana. Serbo dentro di me dei bellissimi e tenerissimi ricordi di questo periodo e di questi luoghi.Ripeto, la casa era molto bella, c’era un bel giardino, imparai privatamente a leggere e a scrivere con un maestro privato, la gente era simpatica. Fino al dicembre de1942 non c’erano stati bombardamenti e situazioni che facessero sentire di essere in guerra. Per l’Italia la guerra stava andando male: agli inizi del 1943, perché ci fu la tragica ritirata in Russia, la perdita della Libia e la resa dell’armata italiana in Tunisia. L’Italia stava per essere invasa. Noi fino alla fine del 1942 siamo stati bene e, dato importante da ricordare, ci eravamo dovuti iscrivere all’anagrafe di Pola, per cui risultavamo cittadini di Pola. Poi, siamo andati via. Una parte delle cose che avevamo, abbiamo fatto a tempo a riportarle giù a Chieti, ma non tutte. Venne con noi Angela Del Bianco, la persona che era stata assunta anche in previsione della nascita di mia sorella Rosanna. Ricordo benissimo che Angela, la nostra tata, aveva perso suo padre: era stato nel 1945, avvenne quando Tedeschi e Slavi dettero una caccia spietata agli italiani. Il suo papà, italiano ed originario di Carnizza, piccolissimo paese agricolo dell’Istria, fu preso, ucciso e gettato orribilmente nelle foibe. Angela venne via ed è rimasta con noi quasi 10 anni, poi nell’ultimo trasferimento di mio padre, a Roma, lei decise di restare a Chieti, dove si è poi sposata ed è così diventata abruzzese. Per l’affetto che aveva nei confronti di mia madre, ha dato alla sua prima figlia il nome Rita.Ed ecco” Le battute finali amare e decisive di questo racconto, che mescola tratti teneri di bambino, storia di una famiglia in fuga, in viaggio, in bilico, tra le alterne vicende della carriera militare di un padre, di una madre giovane nella disperata ed eroica forza e coraggiosa tensione di tenere unita la famiglia”. C’è stato nel 1947 il trattato di pace. Pola e l’Istria, Fiume, la
Dalmazia sono state cedute alla Jugoslavia. Le clausole prevedevano che, chi era iscritto prima del 1947 all’anagrafe di Pola, poteva optare se rimanere lì come cittadino slavo o venire in Italia. Noi non accettammo quella cittadinanza e siamo rimasti in Italia come profughi Giuliani. Siamo sempre stati iscritti alla Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ( che da sempre si occupa di onorare e mantenere vivo il ricordo degli esuli, caduti e martiri delle foibe) e penso che quel giorno, i miei genitori, decidendo per me e per mia sorella, di essere italiani ed aiutandoci con grande forza e coraggio ad uscire da quella situazione tragica, hanno consentito, oggi, come da molti anni, di testimoniare e ricordare la storia di quei luoghi e di quei fatti, quando altri non possono più farlo. Federico Euro Roman: Istria terra rossa “ I miei genitori e i nonni ci hanno tenuti lontani dal peso e dalla sofferenza del loro essere “Esuli” – scrive l’oro di Mosca 1980 di concorso completo di equitazione – Solo vedendo e rivedendo il film “Red land” ho capito che Visinada teatro di una delle tante tragedie, era a 15 km da dove nacque mio Padre e viveva mia Madre: Cittanova d’Istria” Di FEDERICO EURO ROMAN A casa, a Trieste , non se ne parlava. Almeno non certo con i toni drammatici e tristi che la recente verità avrebbe concesso. Forse, per dimenticare, forse perchè eravamo piccoli. L’unico ricordo certo è che iugoslavo a casa nel vocabolario non esisteva da solo: come in Friuli si bestemmia
senza volerlo fare, l’esclamativo della mia fanciullezza era sempre accompagnato da un aggettivo di insulto, lo slavo era “sciavo”, ed oltre confine, benevolmente, detto “ injugo”. Ricordi di quando avevo 4-6 anni , nomi ripetuti intorno al tavolo, dopo mangiato, mentre noi piccoli giocavamo sotto o nel corridoio accanto, voci lontane, Visinada, la Rivarola , i Drusi , in zona B….. E ricordi di noiose visite a parenti, che vivevano nei due campi profughi di mia memoria, in riva a Trieste e verso Prosecco, baracche di legno grigio azzurro, con un recinto in muratura attorno, come un lazzaretto, unico rifugio per chi in Istria aveva perduto tutto, ed in Italia non era riuscito, nella estrema povertà del primo dopoguerra, a trovare altre strade per sopravvivere. Solo ultimamente, superati i sessant’anni, ho capito meglio i drammi vissuti dai miei genitori e nonni, che ci hanno tenuti lontani dal peso e dalla sofferenza del loro essere “Esuli”. Solo vedendo e rivedendo il film “Red land” (la terra istriana è rossa, rossa con pietre bianche) ho capito che Visinada dove è stata rapita torturata uccisa ed altro Norma Cossetto, assieme ai tanti concittadini, era a 15 km da dove nacque mio Padre e viveva mia Madre: Cittanova d’Istria. Solo ultimamente, dai racconti di cugini triestini su testimonianze dei loro genitori, ho saputo che quel Varin palombaro che andavamo a trovare a Monfalcone, aveva un fratello trucidato solo ventiquattrenne a sassate dai suoi coetanei sulla spiaggia di fronte la diga di Cittanova, perchè di sentimenti italiani. E su quella spiaggia di ciottoli, come tutte le spiagge istriane, ero arrivato più volte a nuoto partendo dalla punta della diga, ignaro in quei 300 metri di mare di andare verso un angolo testimone della crudeltà dilagata contro gli italiani dal 1943 in poi . La scorsa primavera ero a Cittanova con la barca, ed in una piovosa giornata di maggio ho cercato a lungo nel cimitero vecchio la tomba di Giuseppe Varin, date precise, motivo della morte neutro politicamente: “rapito da crudele destino”. Accanto Cittanova d’Istria c’è Daila, e sul finire della borgata, in riva al mare al centro di una piccola baia,
un gruppo di case ed una chiesetta minuscola, con 15 venti posti a sedere al massimo. E’ il villaggio dei Roman, dove i miei bisnonni e fratelli, nonni, prozii erano vissuti. Ed in quella chiesa si sposavano , andavano a Messa la domenica ed ai funerali dei congiunti. Mio Padre Antonio Virginio era lì, nato, lì andato a scuola e sulle lisce pietre di quel mare passato le estati. E da lì era partito a 17 anni per Pinerolo volontario in cavalleria. Scelta che avrebbe condizionato tanto della nostra vita. Da Daila era partito suo Padre, nonno Luigi, allora suddito dell’Impero Austro-Ungarico, allo scoppio della Grande Guerra. Fuggendo in barca da punta Salvatore, era arrivato con un amico a remi in Italia, verso Grado, per arruolarsi e sotto falso nome combattere contro l’Austria. Tale era forte il sentimento italiano di quelle popolazioni. Per ironia della sorte sul fronte avverso, austriaco, c’era il mio nonno materno di Pola che, italianissimo anche lui Isidoro De Bianchi, ma meno impavido di fronte il rischio di fare la fine di Cesare Battisti, aveva servito nelle retrovie col chiodo in testa. Passata, ormai, la generazione che ha vissuto le guerre, gli Istriani di oggi dicono “Noi”, non si sentono né troppo Croati, né troppo Italiani, tantomeno austriaci. Parlano intercalando vocaboli italici e slavi con termini unici del dialetto istriano. Nei giorni di festa a Cittanova, da quando l’amico di gioventù Sergio Stoinich era Sindaco sventolano in Comune le due bandiere, oltre quella della Città. Ma le tensioni sono oggi rinate sul confine tra Croati e Sloveni dove collidono gli equilibri politici delle due capitali. A metà degli anni ’90, in un incontro con la popolazione del luogo, per definire il confine tra le due Repubbliche divenute Stati indipendenti, alle richieste della commissione preposta, un vecchio nato sotto l’Austria replicò: “Non mi sono mai spostato dal mio paese e dalla mia casa ed ho cambiato cinque passaporti. Se oggi vi dico che voglio essere sloveno o piuttosto croato, e poi Lubjana e Zagabria si rimettono d’accordo per spostare il confine, “cossa fè ? me impichè?”. Come scrivevo sopra, scoperte tutte acquisite di recente, grazie al silenzio di
allora dei miei ed anche per la distrazione del mio vagabondare sportivo e scolastico, che mi ha allontanato dalla Trieste della mia fanciullezza a metà ginnasio. La storia del confine croato-sloveno l’ho raccolta nella pioggia della mia visita per mare, in un bar sotto le mura romane, chiacchierando con Sergio Stoinich: Madre di origini italiane, il Padre pescatore croato, critico verso gli eccessi del regime nell’immediato dopoguerra, morto in mare con ancora e cima della barca scomparse, e circostanze mai chiarite. Istria terra rossa difficile e sofferta di passioni ancora oggi accese. Il giorno del ricordo: le Foibe e l’esodo giuliano- dalmata Di OLGA CHIEFFI Oggi desideriamo saldare un debito di conoscenza, andando con la memoria ad un passato che, in qualche modo ci appartiene, poiché appartiene ad una parte importante della nostra comunità, sono le persone, le famiglie originarie dell’Istria, della Dalmazia, di Fiume, di Zara, che dovettero lasciare i luoghi dove erano nati, persone costrette all’esodo, storia italiana ed europea su cui riflettere ed interrogarci non solo oggi, ma per l’intero anno. La prima parte del Novecento è stata caratterizzata dalla nascita e dallo straripamento di nazionalismi e totalitarismi che hanno alterato e distrutto luoghi, identità, persone, violando ripetutamente i fondamentali diritti individuali, diritti negati, dimezzati, dimenticati e fatti dimenticare, con disprezzo, oltre che con
ferocia. Trieste e i suoi territori hanno conosciuto la repressione e la dittatura fascista, hanno sentito sulla propria pelle l’infamia delle leggi razziali, il campo di sterminio delle Risaie, hanno vissuto il dramma delle foibe, ha toccato con mano la sofferenza delle vicine genti istriane costrette all’esodo sotto la violenza del regime comunista di Tito. Non credo sia possibile fare paragoni con la Shoah, con il genocidio degli ebrei, richiamare l’orrore assoluto di quel preciso, lucido e folle disegno di annientamento di un intero popolo. Resta l’orrore delle foibe, alimentato da un intreccio di appetiti espansionistici di Tito, perverso odio etnico, nazionale e ideologico, un odio che colpì fascisti, antifascisti, persone senza una precisa posizione politica. Poi, iniziò la rimozione. Quasi tutta l’Italia, anche se non certo quanti hanno vissuto l’esodo e la sofferenza di quegli anni, anche attraverso le parole dei familiari, hanno rimosso. Da quelle terre proviene la lezione di quanto è costato e costa costruire la democrazia in terre plurali dove a lungo le istituzioni sono state adoperate per negare, violare, cancellare identità e diritti, superare steccati, rimozioni, prima di riconoscersi pienamente crocevia di culture. Avere memoria riconoscere la propria storia e il proprio dolore, serve a riconoscere la storia e il dolore degli altri. Per far questo ci siamo affidati alla parola “vera” di due testimoni di quei fatti, il senatore Giorgio Benvenuto, che ricordiamo tutti a capo della Uil, oggi Presidente della Fondazione Bruno Buozzi, e a Federico Euro Roman Oro Olimpico a Mosca 1980 del concorso completo di equitazione. E’ la prima ricerca da storici che verrà qui proposta, quella sulla propria famiglia, che dovremmo fare tutti, per conoscere meglio noi stessi. “La prima grande virtù dell’uomo è la verità (secondo alcuni filologi deriva dalla radice iranica ver che significa fiducia realtà) – scrive il filosofo Aldo Masullo – solo cercandola con passione potremo, forse, risollevarci dalla nostra condizione che sta cedendo al Nulla”. L’ invito è a rompere il guscio d’isolamento, che non è materiale ma una volontaria reclusione
dell’io. La passione non è la cecità di lasciarsi prendere da un’urgenza, ma patire, cioè vivere profondamente e dare spessore alla storia, ponendo un freno al frenetico correre, in modo da fermarci a riflettere su noi stessi, poichè l’uomo è libero e vive in quanto trascende con il proprio pensiero la stessa vita immediatamente vissuta. Riuscire a far questo significa poter guardare con fiducia al futuro, significa poterlo costruirlo insieme, offrendo ciascuno il proprio pesante contributo.
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