MISSIONARIO - Diocesi di Cremona

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MISSIONARIO - Diocesi di Cremona
MESE            MISSIONARIO
STRAORDINARIO 2019
Battezzati e inviati

In occasione dei 100 anni dalla Lettera Apostolica Maximum
Illud di Papa Benedetto XV, per “risvegliare maggiormente la
consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con
nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della
pastorale” Papa Francesco ha indetto il Mese Missionario
Straordinario.

Con l’indizione di questo mese missionario straordinario,
l’intento di papa Francesco, come dice nella lettera al Card.
Filoni, è di “risvegliare maggiormente la consapevolezza
della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la
trasformazione missionaria della vita e della pastorale”
(https://www.missioitalia.it/mese-missionario-
                             straordinario-2019/).    Quattro
                             sono le dimensioni indicate dal
                             Papa per vivere più intensamente
                             il cammino di preparazione e
                             realizzazione del Mese:

     Incontro personale con Gesù Cristo vivo nella sua
     Chiesa: Eucaristia, Parola di Dio, preghiera personale e
     comunitaria
     La testimonianza: i santi, i martiri della missione e i
     confessori della fede, espressione delle Chiese sparse
     nel mondo intero
MISSIONARIO - Diocesi di Cremona
La formazione missionaria:       scrittura,   catechesi,
     spiritualità e teologia
     La carità missionaria.

È stato aperto anche il sito ufficiale per il mese missionario
straordinario da cui è possibile scaricare i documenti per
aiutare    tutte   le   comunità    a   vivere   l’evento
(www.october2019.va).

Verso la Giornata missionaria
2016
“Nel nome della misericordia”: è questo lo slogan della
Giornata missionaria mondiale 2916. Di seguito la proposta di
alcuni strumenti pastorali e di approfondimento, da poter
scaricare.

     presentazione del tema per la GMM 2016
     messaggio del Papa per la GMM 2016
     veglia del 1° ottobre (missionario) per le religiose
     libretto della veglia missionaria 2016
     libretto missionario per tutta la comunità parrocchiale
     meditazione per i giovani
     animatore missionario per ragazzi
     veglia del 1° ottobre (missionario) per le religiose
     locandina delle cinque settimane
     manifesto gmm per ragazzi
     manifesto per la gmm 2016
MISSIONARIO - Diocesi di Cremona
Dalla Repubblica Democratica
del Congo abbiamo notizie del
cremonese Paolo Carini

Parto da un fatto concreto. Oggi, 26 aprile, abbiamo
controllato i soldi nella cassa dell’ospedale. Ci sono poco
più di 900 mila franchi congolesi, l’equivalente di        950
dollari. Entro 4 giorni si dovrebbero pagare gli stipendi
degli 87 dipendenti che ammontano a circa 3 milioni e 800 mila
franchi. Non c’è alcun conto bancario sul quale fare
affidamento. Come si farà? L’ipotesi più probabile è quella di
un anticipo. Ma un conto è dare la metà dello stipendio, un
altro è darne un quarto.

Sono qui in Congo, nella città di Mbuji Mayi, capoluogo della
provincia del Kasai orientale, dal 3 marzo . Ci resterò per 3
anni per un progetto di ristrutturazione e di rilancio
dell’ospedale St Jean Baptiste di Kansele.

Il progetto è stato proposto dall’Ascom, un’associazione di
Legnago che da 35 anni lavora in Africa ed è finanziato dalla
Cei. Sempre con l’Ascom, sono stato 13 anni in Burundi tra il
1996 e il 2011. Un’esperienza per me importante e che adesso
mi è utile perché qui la situazione logistica non è delle più
agevoli. Ci si lava con un secchio, si cucina con il carbone,
fa un gran caldo e si ha a disposizione un’ora di corrente
elettrica al giorno. Non c’è un frigo per cui è necessario
consumare in giornata quello che si prepara (ma gli spaghetti
si possono mangiare anche il giorno dopo). L’altro lato della
medaglia sul piano logistico è che c’è una signora che cucina,
pulisce, lava e stira e un guardiano che va volentieri a
prendere una birra al bar quando occorre. Personalmente, ho
ripreso la decennale guerra con le pulci da materasso e altri
insetti non identificati, ma sono strategicamente in vantaggio
grazie ad una polvere magica acquistata al mercatino ed in
ogni caso, dormo più che a Cremona. E se i sogni sono sempre
strani, mi addormento senza grandi preoccupazioni per
l’indomani. Di solito, in Africa, quello che non fai un giorno
puoi farlo il giorno dopo. O almeno entro i 4 giorni seguenti.

Mbuji Mayi è la quarta città del Congo come numero di
abitanti, più di 2 milioni e mezzo, ed è conosciuta perché
costruita attorno ad una miniera di diamanti. Io ammetto di
non averla mai sentita nominare prima dell’anno scorso. Il
nostro guardiano di notte scruta tutti i sassolini che si
vedono in giardino, ma al momento non risulta aver scoperto
niente di prezioso perché continua a lavorare per 2 dollari a
notte. Sembra che i diamanti si trovino a partire dai 6 metri
di profondità. Per decenni la città è cresciuta grazie alla
Miba, l’azienda multinazionale che sfruttava la miniera. Ha
costruito strade, case, scuole, centro sportivo e ospedale.
Nei tempi d’oro aveva 5 mila dipendenti e il monte stipendi –
ben più grande di quello dell’ospedale – arrivava a 3 milioni
di dollari. La compagnia ha avuto un crollo nel 1997, durante
la seconda guerra del Congo, perché i diamanti sono stati
requisiti come “effort de guerre” dall’allora presidente
Désiré Kabila. E’ poi sopravvissuta con un numero minimo di
dipendenti e con un parco macchine sempre più vecchio ed
inadeguato. Venerdì scorso i pochi lavoratori rimasti avevano
programmato una marcia di protesta per chiedere il pagamento
degli stipendi arretrati. La marcia, però, non è stata
autorizzata.

Anche l’ospedale di Kansele sembra abbia fatto dei grossi
passi indietro. Il capo del personale, che lavora qua da 15
anni, ricorda un ospedale pieno di ricoverati e una lunga fila
per le consultazioni. Il problema di fondo è economico. Il
fondo di sostentamento dello stato, 10 milioni di franchi al
mese, è solo teorico perché da anni non arriva alcun
contributo. L’ospedale vive sulle consultazione, sugli esami,
sui ricoveri. Sono entrate che dovrebbero compensare le spese
di gestioni, tra le quali gli stipendi sono una voce
importante, ma non l’unica. Due anni fa il ministero ha alzato
bandiera bianca e ha chiesto alla diocesi se poteva occuparsi
della gestione ospedaliera. Si è tenuto per sé la medicina
preventiva e i programmi di cura per HIVpositivi e
tubercolotici che sono ben finanziati da organismi
internazionali. Tra il personale curante c’è chi riceve ancora
uno stipendio statale, al quale si aggiunge un premio. Ci sono
8 medici, dei quali 3 a tempo parziale, ma nessuno supera i
150 dollari al mese. Ma basta un confronto sul monte stipendi,
4 mila dollari per 87 lavoratori, per rendersi conto che è
l’equivalente di uno stipendio netto di un primario in Italia.
Per difetto.

La città è guidata da un governatore, recentemente rieletto
per altri 5 anni con 24 voti su 24. Votavano i rappresentanti
parlamentari di tutti i partiti. E’ come se il premier Renzi
fosse stato confermato con il voto plebiscitario di 24
capigruppo, anche quelli dell’opposizione!!!!

I rappresentati dell’opposizione hanno dovuto arrampicarsi
sugli specchi per spiegare ai loro elettori il voto a favore!
La città è sporchissima, non c’è alcun tipo di raccolta di
rifiuti e di convogliamento delle acque nere. Non casualmente
la febbre tifoide, legata all’igiene alimentare, è la seconda
malattia come frequenza dopo la malaria. Non sono in grado di
dire come viva la gente e cosa mangi. La signora che lavora a
casa nostra percepisce uno stipendio di 50 dollari, che è
superiore a quello di alcuni infermieri dell’ospedale. Come
faccia, con questi 50 dollari, a dar da mangiare ai suoi 6
familiari, non è spiegabile. A metà mese, ha chiesto un
anticipo di 25 dollari per poter pagare l’iscrizione del
figlio più grande all’esame di maturità. Il ragazzo è venuto a
ringraziarmi con la richiesta implicita che, questi 25
dollari, non fossero detratti dallo stipendio. Siamo qui per
aiutare, ne terrò conto.

Il direttore dell’ospedale, l’abbé Martin Mutombo,     è un
medico sacerdote congolese con specializzazione in sanità
pubblica. Ha studiato in Spagna, Ungheria ed Italia ed è
tornato a casa conservando gelosamente l’amicizia con una
famiglia veronese. E’ stato grazie a questa intermediazione
che è riuscito a contattare l’Ascom e a mettere in moto il
complesso meccanismo di aiuto. L’associazione di Legnago ha
presentato un progetto di ristrutturazione alla Cei che ha
accordato un finanziamento per le costruzioni. Una parte del
progetto resta a carico dell’Ascom e deduco che sia una parte
non trascurabile, visto i ripetuti consigli a spendere il meno
possibile. Nei prossimi giorni è atteso a Matadi, il porto
congolese sull’Atlantico, un container che contiene tutto il
materiale idraulico ed elettrico per la ristrutturazione della
maternità, più un trasformatore per un collegamento in media
tensione. Sappiamo che quella congolese è la dogana più cara
del mondo, ma quanto si dovrà pagare non si sa ancora. Da
Matadi a Mbuji Mayi ci sono ancora 1.500 chilometri. Fino a
Kinshasa il container viaggerà via terra, poi risulta più
conveniente spedirlo per cargo. Con raccomandazioni per
l’atterraggio perché la pista di Mbuji Mayi è tra le più corte
dell’Africa. Per Natale, un aereo cargo è atterrato
allegramente a metà pista ed ha finito la frenata nel giardino
del ristorante.

Uno dei passaggi chiave per la ristrutturazione dell’ospedale
è un nuovo collegamento con la linea elettrica. Attualmente
l’ospedale ha corrente elettrica per un’ora e mezza, verso
mezzogiorno, quando accende il gruppo elettrogeno. Fra
parentesi, un litro di gasolio costa 2 dollari perché è
gravato dal costo di trasporto dal porto meno lontano. Però,
la sera, si è tutti al buio. Ed è comprensibile che una
persona cerchi un ospedale che abbia un minimo di confort
durante la notte.

In realtà, il collegamento con la linea elettrica c’è già e
ogni tanto funziona anche. Ma è una tipica storia congolese.
Lungo i 1.500 metri del collegamento in bassa tensione, ci
sono molte case collegate in modo abusivo ed altre,
parzialmente in regola, che non pagano da tempo la bolletta.
L’azienda privata responsabile della distribuzione ha pertanto
deciso di non erogare corrente su questa linea. Ad essere
sinceri del tutto, nemmeno l’ospedale ha mai pagato una
fattura, ma qui si sostiene che l’energia per un ospedale
statale dovrebbe essere a carico del ministero. Mi pare
comunque di leggere, nel preventivo fornito dall’Enerka, un
anticipo di 3.500 dollari sulle prossime consumazioni   (tanto
per essere sicuri…).

Non è una sorpresa in Africa, ma il preventivo della società è
una lunga lista di richieste e si articola in due parti. Nella
prima si chiede una somma di circa 11 mila dollari, nella
seconda si fa l’elenco di tutto il materiale da mettere a
disposizione: trasformatori, piloni, armature, cemento e tutto
il resto. Probabile che l’Enerka ci metta solo la manodopera.
Comunque, con il preventivo in mano, si può iniziare la
discussione. Per lo sviluppo dell’ospedale non c’è alternativa
a dotarsi di corrente elettrica. Dal mio ufficio, verso le 11,
vedo 2 infermieri che portano fuori una grande pentola e la
mettono sul fuoco: è la sterilizzazione dei ferri chirurgici.

Il mio compito, in ospedale, è quello di approntare un sistema
di contabilità corretto e autosostenibile. I bilanci e i dati
statistici sull’attività non aumentano i soldi in cassa, ma
offrono indicazioni puntuali che dovrebbero servire a
migliorare la gestione. Un bel discorso, si potrebbe dire, ma
quanti soldi mancano per pagare gli stipendi di aprile? Il
futuro dell’ospedale di Kansele non può prescindere
dall’arrivo di altri sostenitori. Da sola, l’Ascom non ce la
può fare.

                                                  Carini Paolo

              (dalla Parrocchia del Boschetto alla R.D. Congo)

Giubileo:   il   diritto   di
rimanere nella propria terra

In occasione del Giubileo della Misericordia     e su invito
della Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione MISSIO, la
Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale
Volontario (FOCSIV) e Caritas Italiana lanciano la campagna
dal titolo “Il diritto di rimanere nella propria terra”, per
promuovere e garantire a ciascuno il diritto di restare nel
proprio Paese vivendo in modo dignitoso.

Papa Francesco ha lanciato ripetuti appelli ad aprire le
nostre chiese e, in particolare ora, in occasione del Giubileo
della Misericordia, ci indica ancora una volta la via
dell’accoglienza e della carità concreta. Di fronte al dramma
dei migranti che continuano a perdere la vita lungo le diverse
rotte della disperazione, il Consiglio Permanente della
Conferenza Episcopale Italiana ha approvato un Vademecum con
una serie di indicazioni pratiche per le Diocesi italiane
circa l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in
Italia e per la solidarietà con i paesi di provenienza dei
migranti.

Al punto 7 del Vademecum la CEI evidenzia che “il doveroso
impegno di accoglienza non deve farci dimenticare le cause
del cammino e della fuga dei migranti che arrivano nelle
nostre comunità: guerre, fame, disastri ambientali,
persecuzioni politiche e religiose”. Questo sollecita la
Fondazione MISSIO, la Federazione degli Organismi Cristiani
Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) e Caritas Italiana
a un lavoro unitario sia a livello nazionale sia a livello
diocesano.

I tre Organismi hanno costituito un tavolo di lavoro comune e
ora lanciano una campagna congiunta dal titolo “Il diritto di
rimanere nella propria terra”. Attraverso le proprie realtà
diocesane essi propongono alle Chiese che sono in Italia di
sostenere, nel corso del Giubileo della Misericordia, una o
più “Microrealizzazioni Giubilari”, proprio con l’intento di
tutelare il diritto fondamentale di ciascuno a vivere nella
propria terra.

La campagna sarà attiva per l’intero anno giubilare mettendo a
disposizione strumenti utili alla riflessione, all’azione
pastorale e all’attività concreta attraverso una newsletter ad
hoc e sezioni dedicate sui siti e sulle riviste dei tre
Organismi. In particolare le proposte concrete riguardano:

SOSTEGNO A 1.000 MICROREALIZZAZIONI, proposte periodicamente
a gruppi, prioritariamente localizzate nei Paesi di origine
dei migranti e finalizzate a rafforzare/rilanciare il lavoro
di promozione umana delle Chiese, delle ONG e dei missionari
presenti sul posto;

SOSTEGNO A MICRO “MODULARI” che sono di fatto un progetto più
ampio, finalizzato a garantire non soltanto il diritto a
rimanere    nella propria terra, ma anche quello a una
migrazione sicura;
avvio/rilancio di gemellaggi, rapporti solidali, accoglienza,
volontariato, ecc. per rafforzare legami, scambi di
esperienze    pastorali,    relazioni   che   arricchiscano
reciprocamente le Chiese coinvolte.

Altre iniziative “straordinarie” sono allo studio: verranno
comunicate per tempo e proposte durante l’anno giubilare.

“La presenza di tante/i missionarie/i italiane/i nelle
frontiere di questo mondo, afferma don Michele Autuoro,
direttore della fondazione Missio, ci testimonia l’impegno a
realizzare la Parola di Gesù “Io sono venuto perché tutti
abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” e ci sprona, con le
parole di Papa Francesco, a “crescere in una solidarietà che
deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze
ad essere artefici del loro destino”.

Mons. Massimo Ungari dalla
diocesi di San Clemente in
Saratow (Russia)
Mons. Massimo Ungari, rientrato in diocesi in
occasione dell’ingresso del nuovo vescovo Antonio,
ha fatto visita al Centro Missionario Diocesano e
ha rilasciato una piccola intervista riguardante
la sua attuale esperienza.

La diocesi dove don Massimo opera attualmente è
davvero cattolica: il suo vescovo è tedesco
(http://kath-ru.blogspot.it/ è il suo blog, per
chi volesse maggiori informazioni), diverse
religiose che prestano servizio arrivano da
diverse parti del mondo e i fedeli di questa
piccola comunità sono prevalentemente immigrati
dall’Ucraina e dalla Bielorussia, cui si
aggiungono le origini cremonesi di don Massimo

stesso.

Il centro diocesano è a Saratow e qui don Massimo
presta servizio in quella che assomiglia ad una
curia (due stanze) dal lunedì al giovedì per poi
partire, il venerdì, verso la città di Penza
(quattro ore di macchina!), presso la quale serve
la piccolissima comunità cattolica latina
costituita da cinquanta persone (la città di Penza
ha 500.000 abitanti!!!).

“Questa comunità – racconta don Massimo – non
possiede una vera e propria chiesa, l’unico
ricordo che abbiamo dell’antica chiesa è
un’immagine ritratta su una scatola di
cioccolatini, una chiesa che è stata abbattuta dal
regime sovietico, come spesso accadeva. In questo
momento celebriamo in una stanza sita in una
baracca. Ora abbiamo messo in vendita la ‘baracca’
nella quale celebriamo e se riuscissimo a venderla
ne costruiremmo una in legno. Al momento
l’attività possibile con questa piccola comunità è
esclusivamente di carattere liturgico, anche se
nelle scorse settimane abbiamo acquistato una
casa, grazie alla onlus Miriam, per farne
un’accoglienza per i migranti kazaki, che vengono
a cercare lavoro in Russia. Il mio vescovo però mi
ha proposto altre due case, con lo stesso scopo,
che un sacerdote irlandese aveva acquistato molti
anni fa e che ora ha dovuto lasciare il servizio
per raggiunti limiti di età. Questo sacerdote le
aveva acquistate – sono a circa 1200 km da Penza –
per gli immigrati ucraini; molti di loro infatti,
in ragione della situazione di belligeranza non
del tutto sopita, stanno cercando fortuna altrove,
in particolare in Russia.”

Quando affrontiamo il problema Russia-Ucraina don
Massimo mi propone una visione della situazione
attuale ben diversa da quella cui noi occidentali
siamo abituati a vedere e sentire, una visione
interessante che aggiunge frammenti di verità e di
autenticità che sono frutto di chi vive
direttamente l’esperienza, aprendo di fatto una
pagina per nulla scontata sui tentativi dei pochi
ricchi russi, nei confronti dei tanti poveri, di
accaparrarsi le risorse e i mercati con l’aiuto di
alcune superpotenze.

“Dopo anni, la comunità civile ha iniziato a
prendere consapevolezza e rispetto della presenza
religiosa cattolica anche se la comunità ortodossa
russa sta riprendendo vita, anche se solo dal
punto di vista liturgico, ma con la costruzione di
nuovi edifici e la ristrutturazione di edifici
ormai vecchi. Lo stesso clero ortodosso, quello
giovane, che numericamente è importante,
riconosce in che modo la chiesa latina intende
l’universalità senza fare troppa politica, come
spesso accade dalla parte ortodossa. Inoltre anche
la società russa è costretta giorno dopo giorno ad
interrogarsi sul suo essere o meno aperta a tutte
le culture, a differenza di quanto la chiesa di
Roma fa ormai da secoli. E anche questo, per il
clero giovane ortodosso, è motivo di continuo
confronto. Negli anni ’90 la chiesa cattolica è
stata accusata di proselitismo, ora questo
atteggiamento è venuto meno. Le stesse
frequentazioni tra vescovi cattolici e ortodossi
iniziano ad essere maggiormente distese, seppur
diversi pregiudizi permangono da parte della
classe dirigente, tanto che la chiesa cattolica in
Russia è ancora considerata come la chiesa
straniera, fatta da stranieri che si occupa degli
stranieri. Per questo viene accettata con più
facilità rispetto al passato, non viene però
ancora riconosciuta come chiesa tradizionale e
quindi non possibile destinataria delle
sovvenzioni dello Stato, a differenza della chiesa
ortodossa, della comunità musulmana, quella
ebraica e quella buddista (queste ultime due per
ragioni storiche e geografiche).”

La missione “Ad gentes”. Chi
vuole partire? Proposte per
tutte le stagioni!
Il senso della missione “ad gentes” si è molto affievolito,
anche se le ragioni non sono tanto da cercarsi in una
globalizzazione delle tecnologie della comunicazione digitale
o della facilità con cui si possono organizzare viaggi e
avventure, dove il gusto per l’esotico e la novità non hanno
più molta presa. Al di là infatti delle motivazioni
marcatamente sociologiche o commerciali, le ragioni più
profonde abitano in un sempre più blando senso di urgenza nei
confronti dell’annuncio evangelico. “Caritas Christi urget
nos” (L’amore di Cristo ci spinge…) non è più apparentemente
tra le priorità delle chiese locali. A mantenere vivo lo
spirito della missione evangelizzatrice ci pensano quegli
istituti e movimenti religiosi nati con lo specifico carisma.
Non sentendo il bisogno di annunciare il Vangelo, in quasi
tutte le fasce di età dei credenti e le fatiche di molti
sacerdoti che vivono la quotidianità della vita d’oratorio ne
sono una testimonianza, si corre il rischio di non parlarne
più e di non sperimentarne il dovere; l’annuncio ai giovani è
faticoso in ragione di una diffusa indifferenza anche nel
mondo adulto e di conseguenza una vita cristiana che,
coltivata nel tempo, potrebbe condurre a scelte di vita forti
e significative come quella missionaria, come è stata per
decenni nella Chiesa, sfuma ai loro occhi. Eppure non tutto
sembra essere scomparso. Infatti, chiedendo e cercando, si è
scoperto che solo nella nostra diocesi, la scorsa estate, sono
stati più di un centinaio i giovani (e meno giovani) che
grazie ai loro sacerdoti, a delle amicizie con alcuni
missionari oppure aderendo a dei progetti di collaborazione
tra chiese sorelle, hanno vissuto periodi più o meno lunghi
(ma molto intensi) in alcune parti del mondo dove le chiese
sono più giovani, più povere, in alcuni casi anche in zone
piuttosto rischiose! Di fronte ad una piccola porzione di
Chiesa cremonese che cerca di mettersi a servizio in svariate
parti del pianeta, creando legami e, speriamo, accrescendo un
senso ecclesiale un po’ più universale, il Centro Missionario
Diocesano intende non solo incoraggiare le iniziative già in
atto da diversi anni (pensiamo al Drum Bun in Romania e in
Albania) ma propone anche, a chi fosse interessato, nuove
destinazioni dove missionari e missionarie portano avanti da
tempo le attività di annuncio, di carità e di vita liturgica.
Non dimentichiamo inoltre che la stessa presenza di tanti
giovani stranieri sul nostro territorio diocesano e
provinciale è di per se stesso “luogo” di missione per il
quale andrebbero sperimentate nuove vie di annuncio e di
coinvolgimento nelle comunità cristiane per facilitare, oltre
all’evangelizzazione, anche percorsi di integrazione.
Quest’anno, grazie alla disponibilità dei Missionari di Villa
Regia di Lonato (BS), dell’Associazione “Amici del Brasile” e
delle Suore Comboniane, si aprono ulteriori orizzonti.
Dal  Brasile,                       don         Emilio
Bellani
Non mi è facile raccontare quanto accaduto di più
significativo in questi ultimi mesi, traboccanti di eventi.
Apro la mia agenda e la trovo molto pasticciata, colma di
nomi, di orari, di frecce, cancellazioni, sottolineature,
rimandi.

C’è una domanda che mi sento ripetere proprio tutti i giorni,
per strada e nelle case: “e padre Ignazio? Come sta padre
Ignazio? Hai notizie su di lui?” Padre Ignazio, lo scrivo per
chi ancora non lo sapesse, è il padre e l’amico del Pime che,
nel 2008 era presente all’inaugurazione della nostra chiesa,
il fondatore –diciamo- della nostra parrocchia. L’ho
affiancato nel 2010 ed insieme abbiamo vissuto e lavorato fino
al marzo di quest’anno, quando i superiori gli hanno chiesto
un grande sacrificio, di lasciare questa favela e la Bahia,
per lanciare le reti in un altro angolo del Brasile, in
Amazzonia. Duemila e otto chilometri in linea retta, avverte
Google, 2.800 per un altro sito …

Partirei proprio dal mese di marzo di quest’anno, se non ci
fosse –ad impedirmelo- un fatto che ci ha feriti in questi
ultimi giorni. Per me lei era una ragazzina molto speciale,
intelligenza acuta, vivacissima, provocatrice nata. “Da grande
farò la professora!” mi diceva, e a fatica io trattenevo la
risata, perché me lo diceva la ragazzina che tirava scema ogni
insegnante, e che una volta abbiamo allontanato anche dal
catechismo, perché … ingestibile. La notizia mi è giunta su
WhatsApp: ‘Emilio, sono Paola. Ho saputo una cosa terribile
che é accaduta al Boiadero. Mi ha chiamato Pekeno. Non riesco
a scrivere. Sono scioccata. Ti cerco domani.’      Paola è la
direttrice del nostro Centro educativo, e il messaggio era
scritto alle 2 e 33 di notte… Bruna ci ha lasciati non per
malattia, ma perché uccisa dallo zio. Ebbe solo il torto, quel
sabato sera, di trovarsi nel posto sbagliato all’ora
sbagliata. Un alterco violento tra ragazzine che vivono in
povere case,     che accendeva una furibonda lite tra le
rispettive famiglie. Odio atavico tra persone legate dallo
stesso sangue? Aggiustamento di conti?… L’uomo la colpiva
improvvisamente al collo con un coltello e la piccola
stramazzava a terra biascicando due paroline (“meu pai”) con
l’ultimo fiato che le restava. Non vi racconto il resto perché
non mi credereste, la gente che lancia pietre contro la casa
dell’omicida, e questi che –per fuggire una pena pesantissima-
istiga una nipotina minorenne ad assumersi la colpa. Hanno
stampato, in ricordo di Bruna, una maglietta che conservo nel
mio studio e che dice così: ‘mais uma estrela que no céu ira
brilhar! Esteja com Deus!’. L’abbiamo ricordata nella santa
Messa domenica mattina, col papà e tante amiche. Certi che
quelle due ultime paroline la portavano dritta tra le braccia
di un papà più grande.

Domenica mattina la Messa è stata davvero speciale, c’erano
con noi gli amici Angelo Abbondio, di Milano, e la figlia
Cinzia. La nostra bella chiesa, senza di loro, non
esisterebbe, ed io non sarei qua. A loro, che ci accompagnano
sempre assieme alla mamma Fernanda(rimasta in Italia), abbiamo
affidato di tagliare il nastro al momento di inaugurare il
campo di calcetto a lato della chiesa, rimesso a nuovo. Un
torneo a quattro squadre ha poi di fatto solennizzato il
momento. Anche per questo, alla Messa, mi son visto arrivare
ragazzini in divisa, in maggioranza evangelici (protestanti),
che non avevano mai messo piede nella nostra chiesa. L’assedio
al campetto tirato a lucido era già cominciato qualche ora
prima e dovevate vedere gli occhioni sgranati e increduli dei
ragazzini! Il Brasile è il Brasile e, pure in assenza dei
campioni di una volta, è ancora … pane e pallone. La mia
giornata era cominciata alle 6, quando, in una nostra
chiesetta seminascosta tra le case della favela, i primi
bambini cominciavano a essere serviti a tavola da adulti
della nostra comunitá che gli avevano preparato una generosa
colazione a base di frutta, di torte, caffelatte e succhi.
Donna Vanda, 75 anni e una casa che è stata rifugio per decine
di ragazzine bisognose cresciute da lei, donava quella mattina
a tutti i ragazzini della colazione un bel piatto di plastica
sul quale aveva incollata l’immagine della Aparecida, la
Madonna patrona del Brasile.

E con la piccola statua dell’Aparecida, il 12 di ottobre, si
era fatta una bella processione per le stradine, io col
megafono e quattro ragazzine ad aprire il corteo avvolte in
vesti colorate, sotto un sole fortissimo. Giunti alla
chiesetta, tra canti e spari di mortaretti, siamo stati
accolti da un piccolo coro e tanta gente in festa. La
celebrazione si é chiusa, come sempre accade da queste parti,
con l’offerta di grosse fette di torta.

Altra festa –con processione e Messa- in altra parte del
quartiere, il 4 di ottobre, per celebrare san Francesco. La
chiesina era stracolma. Alla fine, pollo arrostito e
soprattutto fejoada (stufato di fagioli neri con carne di
maiale e pancetta, piatto per eccellenza della cucina
brasiliana). Il pentolone era davvero enorme e, quel che
rimase, venne offerto sulla strada alle persone in attesa.
 Per l’occasione abbiamo anche chiamato a raccolta tanti
ragazzini del quartiere attraverso una caccia al tesoro tra le
varie stradine. E qui accadde ció che non mi era mai accaduto:
al momento di raggiungere il tesoro, questi non c’era. Non che
fosse ben nascosto, no, proprio non c’era! L’avevo consegnato
ad un pescatore amico perché lo nascondesse (un sacco pieno di
caramelle italiane!) sulla propria barca a poche decine dalla
riva, calcolando che la marea a quell’ora era bassa. Ma quando
mancavano ancora pochi biglietti alla fine del gioco,
constatavo nervosamente che pescatore e barca ancora non erano
rientrati dalla notte di pesca. Pregai che ciò potesse
accadere il più in fretta possibile. Inutilmente. Così la
squadra che era in testa, seguendo le indicazioni dell’ultimo
biglietto, si era portata in riva al mare a cercare la barca.
Dopo dieci minuti si aggiunge la squadra che era seconda. Una
manciata di secondi e arriva, nello stesso tratto di spiaggia,
anche quella più in ritardo. Tutti a cercare senza trovare.
Tutti a domandare. Io che non so quale santo invocare, ma
stavolta per l’esatto contrario: se la barca fosse rientrata
in quei momenti sarebbe stata la guerra tra decine di
ragazzini che l’avrebbero fatta da pirati. Non arrivò, grazie
a Dio. Il gioco non si è concluso come doveva, ma comunque le
caramelle, qualche giorno dopo, sono andate a tutti.

Mentre scrivo bussa alla porta donna Leda, con una richiesta:
“padre Emilio, posso fare qualcosa?”. “Certo”, le rispondo,
tra poco comincia il mese di novembre e ogni domenica ce n’é
una nuova: i Battesimi per ragazzi e adulti, le prime
Comunioni, le Cresime. Avremo da servire molte merende, nel
nostro salone, ai ragazzi e ai loro amici e familiari; e poi
ci sono i fiori per abbellire l’altare … Con certezza avremo
bisogno di te, preparati!”. “Io sono qua, mi risponde, lo sa!”
Che forza!, mi dico, ha quattro figli, … e poi tutte le
mattine si fa la sua strada sotto il sole o la pioggia per
andare al lavoro … Ma la parrocchia sta su per gente così. Non
abbiamo alle spalle le multinazionali nordamericane!

Ai sacramenti ci si prepara, qua come in tutto il mondo, con
la catechesi. E quest’anno, in questo lavoro, no sono mancate
delle sorprese proprio belle. Al Cabrito, per esempio. Un’area
piuttosto lontana dalla nostra chiesa, e non solo
geograficamente. Moltissime famiglie sono di fatto evangeliche
e altre, afrodiscendenti, praticano il Candomblé, religione
derivata dall’animismo africano. Di sabato celebro la Messa
nella piccola chiesa con 3 o 4 persone, salvo eccezioni. Da
anni, in questa regione, il catechismo non si faceva.       Ma
quest’anno la musica é cambiata. Attraverso Marta, giovane
mamma con un passato da catechista, Dio sta facendo fiorire
qualcosa di bello in questo deserto. Marta vien giú dalla
collina a piedi, di sabato, con la figlia in braccio e il
figlio Matteo che la aiuta a reggere una grossa borsa di
merende perlopiù preparate in casa. Poi apre con Jassiara,
l’altra catechista, la chiesetta e la piccola sala attigua,
mette in ordine le sedie e i tavolini … i bambini cominciano
intanto a sbucare da ogni lato, sono quasi una ventina ed
apprendono i primissimi rudimenti della fede, fanno
cartelloni, giocano, cantano, ballano. Alla fine entrano nella
sala alcune loro mamme, con qualche salatino o specialità
casareccia. Insomma, una festa dove prima non c’era quasi
niente. Una strada, un cammino che si é aperto, e per
iniziarlo Dio si é servito di una madre che ancora non é
sposata, e che parla di Maria con una tenerezza che sempre mi
commuove. Una donna che non ha la volontà, e neppure il
tempo!, di rivendicare per se ruoli speciali nella chiesa.

Anche quella delle Cresime é bella da raccontare. La partenza
del cammino preparatorio é avvenuta in sordina, con 3 o 4
ragazzine di 15 anni con le quali abbiamo diviso molte cose in
questi anni. Ad un tratto si é aggiunta, non ricordo come,
Annaurelia che, ogni settimana, vi portava uno nuovo: il
nipote, per cominciare, poi la sorella (alla quale –sue parole
al momento di presentarsi- interessa soprattutto la birra!),
un altro nipote, poi una seconda sorella con lo sposo, un
terzo nipote, … infine una amica. Quest’ultima, dopo due
settimane, ritorna accompagnando un ragazzino di 16 anni che
col pallone tra i piedi vi incanta… Il gruppo quindi si
allarga, e anche l’entusiasmo. Mi colpisce anche Rafaele, una
ragazza da poco tornata da Brasilia dove ha studiato. Mi dice
che coi sacramenti lei é a posto, però mi porta il moroso: “io
vorrei sposare un giovane che ama le stesse cose che io
amo!”. I due non mancano una sola volta. C’é poi Giovanni,
riaccostatosi alla chiesa cattolica dopo un terribile
incidente di moto.    Padre Ignazio lo andava a trovare nei
difficilissimi giorni del coma e da allora non lo ha mai
lasciato! L’altra domenica ciascuno di questi amici é uscito
di casa con qualcosa (torta, frutta, succhi, caffé) e
all’uscita da Messa insieme han voluto servire a tutti,
gratuitamente, una buona colazione.
Quando penso alla cresima mi invade la memoria di una nostra
ragazzina che, pur sollecitata, non ha mai voluto andare oltre
la prima comunione, Duda. Abitava con papá difronte alla
nostra chiesa, su un dosso scosceso. L’uomo aggiustava casse
acustiche e –quand’era su di giri- le testava anche a
mezzanotte, invadendo di musica tutta la favela sottostante.
C’erano notti che, per fare un favore ai padri, e non
importava l’ora!, metteva su “Roberta” e altre canzonette
italiane. Anche i suoi vicini erano piuttosto turbolenti, non
per questioni legate alla musica ma alla droga. Cosí un certo
capetto, di notte, forzato il cancelletto, entrava nella casa
del poveruomo chiedendo denari. Nella colluttazione il nostro
amico rimaneva ferito alla testa, alla mano, al piede.
Azzoppato e costretto alle stampelle per qualche mese.
Duda, che era stata con noi negli ‘Amici di Edimar’, cominció
a staccarsi dalla chiesa, dalla scuola e persino dal papá,
fuggendo di casa e frequentando il peggio. Una notte di due
anni fa ci chiamarono al telefono dicendo che, in preda
all’alcool (o ad altro?) Duda sibilava il mio nome. Io e
l’Ignazio, immaginando l’imminente pericolo, saltiamo in
macchina e la cerchiamo dappertutto, nell’ora nella quale non
gira nessuno. Anche al posto di polizia non hanno nessuna
notizia sulla ragazzina che continuava a fare il mio nome, io
credo, nel tentativo estremo di chiamare un soccorso. Fece
ritorno a casa qualche settimana piú tardi, inventandosi un
mare di bugie. Duda non chiedeva soldi, perché sapeva che non
gliene avremmo dati. Ma a volte si presentava alla nostra
porta con la pancia vuota. Bastavano due battute e una
manciata di biscotti perché cominciasse a raccontare tutte le
cavolate che faceva. Ma in fondo aveva un cuore bello, che il
male non era riuscito a distruggere. Mi vien la pelle d’oca al
ricordo di come una sera, commossa, gli eran scese le lacrime
a sentirsi raccontare la storia del figlio prodigo e del padre
buono. Il tempo passava e lei, inseguita da figuri coi quali
si era indebitata fino al collo, dormiva ogni notte in locali
differenti. Fino a quando, forse con la soffiata di una amica,
le hanno teso la trappola fatale. Mezz’ora dopo che l’hanno
freddata con vari colpi alla testa e al collo, in un angolo
squallido della collina, la foto di una ragazzina
raggomitolata in una pozzanghera di sangue era postata in
facebook, in pasto a tutti. É una foto che conservo nel mio
cellulare, insieme ad una sua poesia. Anche la sepoltura,
accompagnata dal papá e da due o tre amiche, sotto un cielo
grigio, sembrava fatta apposta per cancellare per sempre le
tracce di questa ragazzina che aveva cominciato a chiamarmi
“pai”, papá. Non c’era posto nel nostro cimitero e l’hanno
posta del peggiore dei cimiteri che io conosca, chiusa tra
quattro assi senza maniglie. Ma ci rivedremo, Duda, tu con
quella tua treccia indio, e la piccola Bruna nell’abito
inusuale ed elegante col quale era proclamata vice-regina
nella piccola sfilata tre giorni prima di morire.

Domenica sará la solennitá di tutti i Santi. Qua, nella Bahía
de Todos os Santos (fu il nostro Vespucci …), non si celebra
niente. Nella cittá piú festaiola non si celebra la festa che
ha dato il nome alla sua incantevole baia. Peró é domenica. E
noi usciremo di qua per un giorno intero su una piccola isola,
per la chiusura dell’anno catechistico. Nell’Ilha de Maré,
cantata da molti artisti, faremo gioconi, il bagno nell’acqua
cristallina, celebreremo la Messa dinnanzi ad una chiesetta
conosciutissima. Questi sono i giorni delle iscrizioni e
saltano fuori ragazzini che non ho visto una sola volta al
catechismo, inventandosi storie che li fanno tra i piú assidui
frequentatori della chiesa … Ma sí, li caricheremo proprio
tutti sul barcone che attraversa quel pezzo di mare … Ma al
momento di salpare, e prima che si scateni la grande festa,
vorrei mostrare a tutti, puntandovi il dito, quel cimitero in
cima alla collina. So che alcuni, al ricordo di Duda, si
commuoveranno. Ma é solo per dirgli che noi siamo proprio
fortunati, perché abbiamo tra noi Chi ci aiuta a stare davanti
a tutte le cose della vita, il sole e la pioggia, il gioco e
il pianto. In fondo, il corso e i tornei di calcio (60
ragazzi), la scuola di balletto (150), i vari corsi di
computer (siamo a 250), gli incontri e i pranzi … tutto ci é
dato per incontrare e scoprire, insieme agli amici, quel
pezzettino di mondo che si chiama ‘cuore’, e tutto il bisogno
che lo abita. Cosí da poter dire, con l’Avvento alle porte:
“vieni Signore Gesú!”

Vostro don Emilio, Salvador Bahia, 27 di ottobre 2015.
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