MISSIONARIO - Diocesi di Cremona
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MESE MISSIONARIO STRAORDINARIO 2019 Battezzati e inviati In occasione dei 100 anni dalla Lettera Apostolica Maximum Illud di Papa Benedetto XV, per “risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale” Papa Francesco ha indetto il Mese Missionario Straordinario. Con l’indizione di questo mese missionario straordinario, l’intento di papa Francesco, come dice nella lettera al Card. Filoni, è di “risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale” (https://www.missioitalia.it/mese-missionario- straordinario-2019/). Quattro sono le dimensioni indicate dal Papa per vivere più intensamente il cammino di preparazione e realizzazione del Mese: Incontro personale con Gesù Cristo vivo nella sua Chiesa: Eucaristia, Parola di Dio, preghiera personale e comunitaria La testimonianza: i santi, i martiri della missione e i confessori della fede, espressione delle Chiese sparse nel mondo intero
La formazione missionaria: scrittura, catechesi, spiritualità e teologia La carità missionaria. È stato aperto anche il sito ufficiale per il mese missionario straordinario da cui è possibile scaricare i documenti per aiutare tutte le comunità a vivere l’evento (www.october2019.va). Verso la Giornata missionaria 2016 “Nel nome della misericordia”: è questo lo slogan della Giornata missionaria mondiale 2916. Di seguito la proposta di alcuni strumenti pastorali e di approfondimento, da poter scaricare. presentazione del tema per la GMM 2016 messaggio del Papa per la GMM 2016 veglia del 1° ottobre (missionario) per le religiose libretto della veglia missionaria 2016 libretto missionario per tutta la comunità parrocchiale meditazione per i giovani animatore missionario per ragazzi veglia del 1° ottobre (missionario) per le religiose locandina delle cinque settimane manifesto gmm per ragazzi manifesto per la gmm 2016
Dalla Repubblica Democratica del Congo abbiamo notizie del cremonese Paolo Carini Parto da un fatto concreto. Oggi, 26 aprile, abbiamo controllato i soldi nella cassa dell’ospedale. Ci sono poco più di 900 mila franchi congolesi, l’equivalente di 950 dollari. Entro 4 giorni si dovrebbero pagare gli stipendi degli 87 dipendenti che ammontano a circa 3 milioni e 800 mila franchi. Non c’è alcun conto bancario sul quale fare affidamento. Come si farà? L’ipotesi più probabile è quella di un anticipo. Ma un conto è dare la metà dello stipendio, un altro è darne un quarto. Sono qui in Congo, nella città di Mbuji Mayi, capoluogo della provincia del Kasai orientale, dal 3 marzo . Ci resterò per 3 anni per un progetto di ristrutturazione e di rilancio dell’ospedale St Jean Baptiste di Kansele. Il progetto è stato proposto dall’Ascom, un’associazione di Legnago che da 35 anni lavora in Africa ed è finanziato dalla Cei. Sempre con l’Ascom, sono stato 13 anni in Burundi tra il 1996 e il 2011. Un’esperienza per me importante e che adesso mi è utile perché qui la situazione logistica non è delle più
agevoli. Ci si lava con un secchio, si cucina con il carbone, fa un gran caldo e si ha a disposizione un’ora di corrente elettrica al giorno. Non c’è un frigo per cui è necessario consumare in giornata quello che si prepara (ma gli spaghetti si possono mangiare anche il giorno dopo). L’altro lato della medaglia sul piano logistico è che c’è una signora che cucina, pulisce, lava e stira e un guardiano che va volentieri a prendere una birra al bar quando occorre. Personalmente, ho ripreso la decennale guerra con le pulci da materasso e altri insetti non identificati, ma sono strategicamente in vantaggio grazie ad una polvere magica acquistata al mercatino ed in ogni caso, dormo più che a Cremona. E se i sogni sono sempre strani, mi addormento senza grandi preoccupazioni per l’indomani. Di solito, in Africa, quello che non fai un giorno puoi farlo il giorno dopo. O almeno entro i 4 giorni seguenti. Mbuji Mayi è la quarta città del Congo come numero di abitanti, più di 2 milioni e mezzo, ed è conosciuta perché costruita attorno ad una miniera di diamanti. Io ammetto di non averla mai sentita nominare prima dell’anno scorso. Il nostro guardiano di notte scruta tutti i sassolini che si vedono in giardino, ma al momento non risulta aver scoperto niente di prezioso perché continua a lavorare per 2 dollari a notte. Sembra che i diamanti si trovino a partire dai 6 metri di profondità. Per decenni la città è cresciuta grazie alla Miba, l’azienda multinazionale che sfruttava la miniera. Ha costruito strade, case, scuole, centro sportivo e ospedale. Nei tempi d’oro aveva 5 mila dipendenti e il monte stipendi – ben più grande di quello dell’ospedale – arrivava a 3 milioni di dollari. La compagnia ha avuto un crollo nel 1997, durante la seconda guerra del Congo, perché i diamanti sono stati requisiti come “effort de guerre” dall’allora presidente Désiré Kabila. E’ poi sopravvissuta con un numero minimo di dipendenti e con un parco macchine sempre più vecchio ed inadeguato. Venerdì scorso i pochi lavoratori rimasti avevano programmato una marcia di protesta per chiedere il pagamento degli stipendi arretrati. La marcia, però, non è stata
autorizzata. Anche l’ospedale di Kansele sembra abbia fatto dei grossi passi indietro. Il capo del personale, che lavora qua da 15 anni, ricorda un ospedale pieno di ricoverati e una lunga fila per le consultazioni. Il problema di fondo è economico. Il fondo di sostentamento dello stato, 10 milioni di franchi al mese, è solo teorico perché da anni non arriva alcun contributo. L’ospedale vive sulle consultazione, sugli esami, sui ricoveri. Sono entrate che dovrebbero compensare le spese di gestioni, tra le quali gli stipendi sono una voce importante, ma non l’unica. Due anni fa il ministero ha alzato bandiera bianca e ha chiesto alla diocesi se poteva occuparsi della gestione ospedaliera. Si è tenuto per sé la medicina preventiva e i programmi di cura per HIVpositivi e tubercolotici che sono ben finanziati da organismi internazionali. Tra il personale curante c’è chi riceve ancora uno stipendio statale, al quale si aggiunge un premio. Ci sono 8 medici, dei quali 3 a tempo parziale, ma nessuno supera i 150 dollari al mese. Ma basta un confronto sul monte stipendi, 4 mila dollari per 87 lavoratori, per rendersi conto che è l’equivalente di uno stipendio netto di un primario in Italia. Per difetto. La città è guidata da un governatore, recentemente rieletto per altri 5 anni con 24 voti su 24. Votavano i rappresentanti parlamentari di tutti i partiti. E’ come se il premier Renzi fosse stato confermato con il voto plebiscitario di 24 capigruppo, anche quelli dell’opposizione!!!! I rappresentati dell’opposizione hanno dovuto arrampicarsi sugli specchi per spiegare ai loro elettori il voto a favore! La città è sporchissima, non c’è alcun tipo di raccolta di rifiuti e di convogliamento delle acque nere. Non casualmente la febbre tifoide, legata all’igiene alimentare, è la seconda malattia come frequenza dopo la malaria. Non sono in grado di dire come viva la gente e cosa mangi. La signora che lavora a casa nostra percepisce uno stipendio di 50 dollari, che è
superiore a quello di alcuni infermieri dell’ospedale. Come faccia, con questi 50 dollari, a dar da mangiare ai suoi 6 familiari, non è spiegabile. A metà mese, ha chiesto un anticipo di 25 dollari per poter pagare l’iscrizione del figlio più grande all’esame di maturità. Il ragazzo è venuto a ringraziarmi con la richiesta implicita che, questi 25 dollari, non fossero detratti dallo stipendio. Siamo qui per aiutare, ne terrò conto. Il direttore dell’ospedale, l’abbé Martin Mutombo, è un medico sacerdote congolese con specializzazione in sanità pubblica. Ha studiato in Spagna, Ungheria ed Italia ed è tornato a casa conservando gelosamente l’amicizia con una famiglia veronese. E’ stato grazie a questa intermediazione che è riuscito a contattare l’Ascom e a mettere in moto il complesso meccanismo di aiuto. L’associazione di Legnago ha presentato un progetto di ristrutturazione alla Cei che ha accordato un finanziamento per le costruzioni. Una parte del progetto resta a carico dell’Ascom e deduco che sia una parte non trascurabile, visto i ripetuti consigli a spendere il meno possibile. Nei prossimi giorni è atteso a Matadi, il porto congolese sull’Atlantico, un container che contiene tutto il materiale idraulico ed elettrico per la ristrutturazione della maternità, più un trasformatore per un collegamento in media tensione. Sappiamo che quella congolese è la dogana più cara del mondo, ma quanto si dovrà pagare non si sa ancora. Da Matadi a Mbuji Mayi ci sono ancora 1.500 chilometri. Fino a Kinshasa il container viaggerà via terra, poi risulta più conveniente spedirlo per cargo. Con raccomandazioni per l’atterraggio perché la pista di Mbuji Mayi è tra le più corte dell’Africa. Per Natale, un aereo cargo è atterrato allegramente a metà pista ed ha finito la frenata nel giardino del ristorante. Uno dei passaggi chiave per la ristrutturazione dell’ospedale è un nuovo collegamento con la linea elettrica. Attualmente l’ospedale ha corrente elettrica per un’ora e mezza, verso
mezzogiorno, quando accende il gruppo elettrogeno. Fra parentesi, un litro di gasolio costa 2 dollari perché è gravato dal costo di trasporto dal porto meno lontano. Però, la sera, si è tutti al buio. Ed è comprensibile che una persona cerchi un ospedale che abbia un minimo di confort durante la notte. In realtà, il collegamento con la linea elettrica c’è già e ogni tanto funziona anche. Ma è una tipica storia congolese. Lungo i 1.500 metri del collegamento in bassa tensione, ci sono molte case collegate in modo abusivo ed altre, parzialmente in regola, che non pagano da tempo la bolletta. L’azienda privata responsabile della distribuzione ha pertanto deciso di non erogare corrente su questa linea. Ad essere sinceri del tutto, nemmeno l’ospedale ha mai pagato una fattura, ma qui si sostiene che l’energia per un ospedale statale dovrebbe essere a carico del ministero. Mi pare comunque di leggere, nel preventivo fornito dall’Enerka, un anticipo di 3.500 dollari sulle prossime consumazioni (tanto per essere sicuri…). Non è una sorpresa in Africa, ma il preventivo della società è una lunga lista di richieste e si articola in due parti. Nella prima si chiede una somma di circa 11 mila dollari, nella seconda si fa l’elenco di tutto il materiale da mettere a disposizione: trasformatori, piloni, armature, cemento e tutto il resto. Probabile che l’Enerka ci metta solo la manodopera. Comunque, con il preventivo in mano, si può iniziare la discussione. Per lo sviluppo dell’ospedale non c’è alternativa a dotarsi di corrente elettrica. Dal mio ufficio, verso le 11, vedo 2 infermieri che portano fuori una grande pentola e la mettono sul fuoco: è la sterilizzazione dei ferri chirurgici. Il mio compito, in ospedale, è quello di approntare un sistema di contabilità corretto e autosostenibile. I bilanci e i dati statistici sull’attività non aumentano i soldi in cassa, ma offrono indicazioni puntuali che dovrebbero servire a migliorare la gestione. Un bel discorso, si potrebbe dire, ma
quanti soldi mancano per pagare gli stipendi di aprile? Il futuro dell’ospedale di Kansele non può prescindere dall’arrivo di altri sostenitori. Da sola, l’Ascom non ce la può fare. Carini Paolo (dalla Parrocchia del Boschetto alla R.D. Congo) Giubileo: il diritto di rimanere nella propria terra In occasione del Giubileo della Misericordia e su invito della Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione MISSIO, la Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) e Caritas Italiana lanciano la campagna dal titolo “Il diritto di rimanere nella propria terra”, per promuovere e garantire a ciascuno il diritto di restare nel proprio Paese vivendo in modo dignitoso. Papa Francesco ha lanciato ripetuti appelli ad aprire le nostre chiese e, in particolare ora, in occasione del Giubileo della Misericordia, ci indica ancora una volta la via dell’accoglienza e della carità concreta. Di fronte al dramma dei migranti che continuano a perdere la vita lungo le diverse rotte della disperazione, il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha approvato un Vademecum con una serie di indicazioni pratiche per le Diocesi italiane circa l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in
Italia e per la solidarietà con i paesi di provenienza dei migranti. Al punto 7 del Vademecum la CEI evidenzia che “il doveroso impegno di accoglienza non deve farci dimenticare le cause del cammino e della fuga dei migranti che arrivano nelle nostre comunità: guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose”. Questo sollecita la Fondazione MISSIO, la Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) e Caritas Italiana a un lavoro unitario sia a livello nazionale sia a livello diocesano. I tre Organismi hanno costituito un tavolo di lavoro comune e ora lanciano una campagna congiunta dal titolo “Il diritto di rimanere nella propria terra”. Attraverso le proprie realtà diocesane essi propongono alle Chiese che sono in Italia di sostenere, nel corso del Giubileo della Misericordia, una o più “Microrealizzazioni Giubilari”, proprio con l’intento di tutelare il diritto fondamentale di ciascuno a vivere nella propria terra. La campagna sarà attiva per l’intero anno giubilare mettendo a disposizione strumenti utili alla riflessione, all’azione pastorale e all’attività concreta attraverso una newsletter ad hoc e sezioni dedicate sui siti e sulle riviste dei tre Organismi. In particolare le proposte concrete riguardano: SOSTEGNO A 1.000 MICROREALIZZAZIONI, proposte periodicamente a gruppi, prioritariamente localizzate nei Paesi di origine dei migranti e finalizzate a rafforzare/rilanciare il lavoro di promozione umana delle Chiese, delle ONG e dei missionari presenti sul posto; SOSTEGNO A MICRO “MODULARI” che sono di fatto un progetto più ampio, finalizzato a garantire non soltanto il diritto a rimanere nella propria terra, ma anche quello a una migrazione sicura;
avvio/rilancio di gemellaggi, rapporti solidali, accoglienza, volontariato, ecc. per rafforzare legami, scambi di esperienze pastorali, relazioni che arricchiscano reciprocamente le Chiese coinvolte. Altre iniziative “straordinarie” sono allo studio: verranno comunicate per tempo e proposte durante l’anno giubilare. “La presenza di tante/i missionarie/i italiane/i nelle frontiere di questo mondo, afferma don Michele Autuoro, direttore della fondazione Missio, ci testimonia l’impegno a realizzare la Parola di Gesù “Io sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” e ci sprona, con le parole di Papa Francesco, a “crescere in una solidarietà che deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino”. Mons. Massimo Ungari dalla diocesi di San Clemente in Saratow (Russia) Mons. Massimo Ungari, rientrato in diocesi in occasione dell’ingresso del nuovo vescovo Antonio, ha fatto visita al Centro Missionario Diocesano e ha rilasciato una piccola intervista riguardante la sua attuale esperienza. La diocesi dove don Massimo opera attualmente è
davvero cattolica: il suo vescovo è tedesco (http://kath-ru.blogspot.it/ è il suo blog, per chi volesse maggiori informazioni), diverse religiose che prestano servizio arrivano da diverse parti del mondo e i fedeli di questa piccola comunità sono prevalentemente immigrati dall’Ucraina e dalla Bielorussia, cui si aggiungono le origini cremonesi di don Massimo stesso. Il centro diocesano è a Saratow e qui don Massimo presta servizio in quella che assomiglia ad una curia (due stanze) dal lunedì al giovedì per poi partire, il venerdì, verso la città di Penza (quattro ore di macchina!), presso la quale serve la piccolissima comunità cattolica latina costituita da cinquanta persone (la città di Penza ha 500.000 abitanti!!!). “Questa comunità – racconta don Massimo – non possiede una vera e propria chiesa, l’unico ricordo che abbiamo dell’antica chiesa è un’immagine ritratta su una scatola di cioccolatini, una chiesa che è stata abbattuta dal
regime sovietico, come spesso accadeva. In questo momento celebriamo in una stanza sita in una baracca. Ora abbiamo messo in vendita la ‘baracca’ nella quale celebriamo e se riuscissimo a venderla ne costruiremmo una in legno. Al momento l’attività possibile con questa piccola comunità è esclusivamente di carattere liturgico, anche se nelle scorse settimane abbiamo acquistato una casa, grazie alla onlus Miriam, per farne un’accoglienza per i migranti kazaki, che vengono a cercare lavoro in Russia. Il mio vescovo però mi ha proposto altre due case, con lo stesso scopo, che un sacerdote irlandese aveva acquistato molti anni fa e che ora ha dovuto lasciare il servizio per raggiunti limiti di età. Questo sacerdote le aveva acquistate – sono a circa 1200 km da Penza – per gli immigrati ucraini; molti di loro infatti, in ragione della situazione di belligeranza non del tutto sopita, stanno cercando fortuna altrove, in particolare in Russia.” Quando affrontiamo il problema Russia-Ucraina don Massimo mi propone una visione della situazione attuale ben diversa da quella cui noi occidentali siamo abituati a vedere e sentire, una visione interessante che aggiunge frammenti di verità e di autenticità che sono frutto di chi vive direttamente l’esperienza, aprendo di fatto una pagina per nulla scontata sui tentativi dei pochi ricchi russi, nei confronti dei tanti poveri, di
accaparrarsi le risorse e i mercati con l’aiuto di alcune superpotenze. “Dopo anni, la comunità civile ha iniziato a prendere consapevolezza e rispetto della presenza religiosa cattolica anche se la comunità ortodossa russa sta riprendendo vita, anche se solo dal punto di vista liturgico, ma con la costruzione di nuovi edifici e la ristrutturazione di edifici ormai vecchi. Lo stesso clero ortodosso, quello giovane, che numericamente è importante, riconosce in che modo la chiesa latina intende l’universalità senza fare troppa politica, come spesso accade dalla parte ortodossa. Inoltre anche la società russa è costretta giorno dopo giorno ad interrogarsi sul suo essere o meno aperta a tutte le culture, a differenza di quanto la chiesa di Roma fa ormai da secoli. E anche questo, per il clero giovane ortodosso, è motivo di continuo confronto. Negli anni ’90 la chiesa cattolica è stata accusata di proselitismo, ora questo atteggiamento è venuto meno. Le stesse frequentazioni tra vescovi cattolici e ortodossi iniziano ad essere maggiormente distese, seppur diversi pregiudizi permangono da parte della classe dirigente, tanto che la chiesa cattolica in Russia è ancora considerata come la chiesa straniera, fatta da stranieri che si occupa degli stranieri. Per questo viene accettata con più facilità rispetto al passato, non viene però
ancora riconosciuta come chiesa tradizionale e quindi non possibile destinataria delle sovvenzioni dello Stato, a differenza della chiesa ortodossa, della comunità musulmana, quella ebraica e quella buddista (queste ultime due per ragioni storiche e geografiche).” La missione “Ad gentes”. Chi vuole partire? Proposte per tutte le stagioni! Il senso della missione “ad gentes” si è molto affievolito, anche se le ragioni non sono tanto da cercarsi in una globalizzazione delle tecnologie della comunicazione digitale o della facilità con cui si possono organizzare viaggi e avventure, dove il gusto per l’esotico e la novità non hanno più molta presa. Al di là infatti delle motivazioni marcatamente sociologiche o commerciali, le ragioni più profonde abitano in un sempre più blando senso di urgenza nei confronti dell’annuncio evangelico. “Caritas Christi urget nos” (L’amore di Cristo ci spinge…) non è più apparentemente tra le priorità delle chiese locali. A mantenere vivo lo spirito della missione evangelizzatrice ci pensano quegli istituti e movimenti religiosi nati con lo specifico carisma. Non sentendo il bisogno di annunciare il Vangelo, in quasi tutte le fasce di età dei credenti e le fatiche di molti sacerdoti che vivono la quotidianità della vita d’oratorio ne sono una testimonianza, si corre il rischio di non parlarne più e di non sperimentarne il dovere; l’annuncio ai giovani è faticoso in ragione di una diffusa indifferenza anche nel
mondo adulto e di conseguenza una vita cristiana che, coltivata nel tempo, potrebbe condurre a scelte di vita forti e significative come quella missionaria, come è stata per decenni nella Chiesa, sfuma ai loro occhi. Eppure non tutto sembra essere scomparso. Infatti, chiedendo e cercando, si è scoperto che solo nella nostra diocesi, la scorsa estate, sono stati più di un centinaio i giovani (e meno giovani) che grazie ai loro sacerdoti, a delle amicizie con alcuni missionari oppure aderendo a dei progetti di collaborazione tra chiese sorelle, hanno vissuto periodi più o meno lunghi (ma molto intensi) in alcune parti del mondo dove le chiese sono più giovani, più povere, in alcuni casi anche in zone piuttosto rischiose! Di fronte ad una piccola porzione di Chiesa cremonese che cerca di mettersi a servizio in svariate parti del pianeta, creando legami e, speriamo, accrescendo un senso ecclesiale un po’ più universale, il Centro Missionario Diocesano intende non solo incoraggiare le iniziative già in atto da diversi anni (pensiamo al Drum Bun in Romania e in Albania) ma propone anche, a chi fosse interessato, nuove destinazioni dove missionari e missionarie portano avanti da tempo le attività di annuncio, di carità e di vita liturgica. Non dimentichiamo inoltre che la stessa presenza di tanti giovani stranieri sul nostro territorio diocesano e provinciale è di per se stesso “luogo” di missione per il quale andrebbero sperimentate nuove vie di annuncio e di coinvolgimento nelle comunità cristiane per facilitare, oltre all’evangelizzazione, anche percorsi di integrazione. Quest’anno, grazie alla disponibilità dei Missionari di Villa Regia di Lonato (BS), dell’Associazione “Amici del Brasile” e delle Suore Comboniane, si aprono ulteriori orizzonti.
Dal Brasile, don Emilio Bellani Non mi è facile raccontare quanto accaduto di più significativo in questi ultimi mesi, traboccanti di eventi. Apro la mia agenda e la trovo molto pasticciata, colma di nomi, di orari, di frecce, cancellazioni, sottolineature, rimandi. C’è una domanda che mi sento ripetere proprio tutti i giorni, per strada e nelle case: “e padre Ignazio? Come sta padre Ignazio? Hai notizie su di lui?” Padre Ignazio, lo scrivo per chi ancora non lo sapesse, è il padre e l’amico del Pime che, nel 2008 era presente all’inaugurazione della nostra chiesa, il fondatore –diciamo- della nostra parrocchia. L’ho affiancato nel 2010 ed insieme abbiamo vissuto e lavorato fino al marzo di quest’anno, quando i superiori gli hanno chiesto un grande sacrificio, di lasciare questa favela e la Bahia, per lanciare le reti in un altro angolo del Brasile, in Amazzonia. Duemila e otto chilometri in linea retta, avverte Google, 2.800 per un altro sito … Partirei proprio dal mese di marzo di quest’anno, se non ci fosse –ad impedirmelo- un fatto che ci ha feriti in questi ultimi giorni. Per me lei era una ragazzina molto speciale, intelligenza acuta, vivacissima, provocatrice nata. “Da grande farò la professora!” mi diceva, e a fatica io trattenevo la risata, perché me lo diceva la ragazzina che tirava scema ogni insegnante, e che una volta abbiamo allontanato anche dal catechismo, perché … ingestibile. La notizia mi è giunta su WhatsApp: ‘Emilio, sono Paola. Ho saputo una cosa terribile che é accaduta al Boiadero. Mi ha chiamato Pekeno. Non riesco a scrivere. Sono scioccata. Ti cerco domani.’ Paola è la direttrice del nostro Centro educativo, e il messaggio era scritto alle 2 e 33 di notte… Bruna ci ha lasciati non per malattia, ma perché uccisa dallo zio. Ebbe solo il torto, quel
sabato sera, di trovarsi nel posto sbagliato all’ora sbagliata. Un alterco violento tra ragazzine che vivono in povere case, che accendeva una furibonda lite tra le rispettive famiglie. Odio atavico tra persone legate dallo stesso sangue? Aggiustamento di conti?… L’uomo la colpiva improvvisamente al collo con un coltello e la piccola stramazzava a terra biascicando due paroline (“meu pai”) con l’ultimo fiato che le restava. Non vi racconto il resto perché non mi credereste, la gente che lancia pietre contro la casa dell’omicida, e questi che –per fuggire una pena pesantissima- istiga una nipotina minorenne ad assumersi la colpa. Hanno stampato, in ricordo di Bruna, una maglietta che conservo nel mio studio e che dice così: ‘mais uma estrela que no céu ira brilhar! Esteja com Deus!’. L’abbiamo ricordata nella santa Messa domenica mattina, col papà e tante amiche. Certi che quelle due ultime paroline la portavano dritta tra le braccia di un papà più grande. Domenica mattina la Messa è stata davvero speciale, c’erano con noi gli amici Angelo Abbondio, di Milano, e la figlia Cinzia. La nostra bella chiesa, senza di loro, non esisterebbe, ed io non sarei qua. A loro, che ci accompagnano sempre assieme alla mamma Fernanda(rimasta in Italia), abbiamo affidato di tagliare il nastro al momento di inaugurare il campo di calcetto a lato della chiesa, rimesso a nuovo. Un torneo a quattro squadre ha poi di fatto solennizzato il momento. Anche per questo, alla Messa, mi son visto arrivare ragazzini in divisa, in maggioranza evangelici (protestanti), che non avevano mai messo piede nella nostra chiesa. L’assedio al campetto tirato a lucido era già cominciato qualche ora prima e dovevate vedere gli occhioni sgranati e increduli dei ragazzini! Il Brasile è il Brasile e, pure in assenza dei campioni di una volta, è ancora … pane e pallone. La mia giornata era cominciata alle 6, quando, in una nostra chiesetta seminascosta tra le case della favela, i primi bambini cominciavano a essere serviti a tavola da adulti della nostra comunitá che gli avevano preparato una generosa
colazione a base di frutta, di torte, caffelatte e succhi. Donna Vanda, 75 anni e una casa che è stata rifugio per decine di ragazzine bisognose cresciute da lei, donava quella mattina a tutti i ragazzini della colazione un bel piatto di plastica sul quale aveva incollata l’immagine della Aparecida, la Madonna patrona del Brasile. E con la piccola statua dell’Aparecida, il 12 di ottobre, si era fatta una bella processione per le stradine, io col megafono e quattro ragazzine ad aprire il corteo avvolte in vesti colorate, sotto un sole fortissimo. Giunti alla chiesetta, tra canti e spari di mortaretti, siamo stati accolti da un piccolo coro e tanta gente in festa. La celebrazione si é chiusa, come sempre accade da queste parti, con l’offerta di grosse fette di torta. Altra festa –con processione e Messa- in altra parte del quartiere, il 4 di ottobre, per celebrare san Francesco. La chiesina era stracolma. Alla fine, pollo arrostito e soprattutto fejoada (stufato di fagioli neri con carne di maiale e pancetta, piatto per eccellenza della cucina brasiliana). Il pentolone era davvero enorme e, quel che rimase, venne offerto sulla strada alle persone in attesa. Per l’occasione abbiamo anche chiamato a raccolta tanti ragazzini del quartiere attraverso una caccia al tesoro tra le varie stradine. E qui accadde ció che non mi era mai accaduto: al momento di raggiungere il tesoro, questi non c’era. Non che fosse ben nascosto, no, proprio non c’era! L’avevo consegnato ad un pescatore amico perché lo nascondesse (un sacco pieno di caramelle italiane!) sulla propria barca a poche decine dalla riva, calcolando che la marea a quell’ora era bassa. Ma quando mancavano ancora pochi biglietti alla fine del gioco, constatavo nervosamente che pescatore e barca ancora non erano rientrati dalla notte di pesca. Pregai che ciò potesse accadere il più in fretta possibile. Inutilmente. Così la squadra che era in testa, seguendo le indicazioni dell’ultimo biglietto, si era portata in riva al mare a cercare la barca.
Dopo dieci minuti si aggiunge la squadra che era seconda. Una manciata di secondi e arriva, nello stesso tratto di spiaggia, anche quella più in ritardo. Tutti a cercare senza trovare. Tutti a domandare. Io che non so quale santo invocare, ma stavolta per l’esatto contrario: se la barca fosse rientrata in quei momenti sarebbe stata la guerra tra decine di ragazzini che l’avrebbero fatta da pirati. Non arrivò, grazie a Dio. Il gioco non si è concluso come doveva, ma comunque le caramelle, qualche giorno dopo, sono andate a tutti. Mentre scrivo bussa alla porta donna Leda, con una richiesta: “padre Emilio, posso fare qualcosa?”. “Certo”, le rispondo, tra poco comincia il mese di novembre e ogni domenica ce n’é una nuova: i Battesimi per ragazzi e adulti, le prime Comunioni, le Cresime. Avremo da servire molte merende, nel nostro salone, ai ragazzi e ai loro amici e familiari; e poi ci sono i fiori per abbellire l’altare … Con certezza avremo bisogno di te, preparati!”. “Io sono qua, mi risponde, lo sa!” Che forza!, mi dico, ha quattro figli, … e poi tutte le mattine si fa la sua strada sotto il sole o la pioggia per andare al lavoro … Ma la parrocchia sta su per gente così. Non abbiamo alle spalle le multinazionali nordamericane! Ai sacramenti ci si prepara, qua come in tutto il mondo, con la catechesi. E quest’anno, in questo lavoro, no sono mancate delle sorprese proprio belle. Al Cabrito, per esempio. Un’area piuttosto lontana dalla nostra chiesa, e non solo geograficamente. Moltissime famiglie sono di fatto evangeliche e altre, afrodiscendenti, praticano il Candomblé, religione derivata dall’animismo africano. Di sabato celebro la Messa nella piccola chiesa con 3 o 4 persone, salvo eccezioni. Da anni, in questa regione, il catechismo non si faceva. Ma quest’anno la musica é cambiata. Attraverso Marta, giovane mamma con un passato da catechista, Dio sta facendo fiorire qualcosa di bello in questo deserto. Marta vien giú dalla collina a piedi, di sabato, con la figlia in braccio e il figlio Matteo che la aiuta a reggere una grossa borsa di
merende perlopiù preparate in casa. Poi apre con Jassiara, l’altra catechista, la chiesetta e la piccola sala attigua, mette in ordine le sedie e i tavolini … i bambini cominciano intanto a sbucare da ogni lato, sono quasi una ventina ed apprendono i primissimi rudimenti della fede, fanno cartelloni, giocano, cantano, ballano. Alla fine entrano nella sala alcune loro mamme, con qualche salatino o specialità casareccia. Insomma, una festa dove prima non c’era quasi niente. Una strada, un cammino che si é aperto, e per iniziarlo Dio si é servito di una madre che ancora non é sposata, e che parla di Maria con una tenerezza che sempre mi commuove. Una donna che non ha la volontà, e neppure il tempo!, di rivendicare per se ruoli speciali nella chiesa. Anche quella delle Cresime é bella da raccontare. La partenza del cammino preparatorio é avvenuta in sordina, con 3 o 4 ragazzine di 15 anni con le quali abbiamo diviso molte cose in questi anni. Ad un tratto si é aggiunta, non ricordo come, Annaurelia che, ogni settimana, vi portava uno nuovo: il nipote, per cominciare, poi la sorella (alla quale –sue parole al momento di presentarsi- interessa soprattutto la birra!), un altro nipote, poi una seconda sorella con lo sposo, un terzo nipote, … infine una amica. Quest’ultima, dopo due settimane, ritorna accompagnando un ragazzino di 16 anni che col pallone tra i piedi vi incanta… Il gruppo quindi si allarga, e anche l’entusiasmo. Mi colpisce anche Rafaele, una ragazza da poco tornata da Brasilia dove ha studiato. Mi dice che coi sacramenti lei é a posto, però mi porta il moroso: “io vorrei sposare un giovane che ama le stesse cose che io amo!”. I due non mancano una sola volta. C’é poi Giovanni, riaccostatosi alla chiesa cattolica dopo un terribile incidente di moto. Padre Ignazio lo andava a trovare nei difficilissimi giorni del coma e da allora non lo ha mai lasciato! L’altra domenica ciascuno di questi amici é uscito di casa con qualcosa (torta, frutta, succhi, caffé) e all’uscita da Messa insieme han voluto servire a tutti, gratuitamente, una buona colazione.
Quando penso alla cresima mi invade la memoria di una nostra ragazzina che, pur sollecitata, non ha mai voluto andare oltre la prima comunione, Duda. Abitava con papá difronte alla nostra chiesa, su un dosso scosceso. L’uomo aggiustava casse acustiche e –quand’era su di giri- le testava anche a mezzanotte, invadendo di musica tutta la favela sottostante. C’erano notti che, per fare un favore ai padri, e non importava l’ora!, metteva su “Roberta” e altre canzonette italiane. Anche i suoi vicini erano piuttosto turbolenti, non per questioni legate alla musica ma alla droga. Cosí un certo capetto, di notte, forzato il cancelletto, entrava nella casa del poveruomo chiedendo denari. Nella colluttazione il nostro amico rimaneva ferito alla testa, alla mano, al piede. Azzoppato e costretto alle stampelle per qualche mese. Duda, che era stata con noi negli ‘Amici di Edimar’, cominció a staccarsi dalla chiesa, dalla scuola e persino dal papá, fuggendo di casa e frequentando il peggio. Una notte di due anni fa ci chiamarono al telefono dicendo che, in preda all’alcool (o ad altro?) Duda sibilava il mio nome. Io e l’Ignazio, immaginando l’imminente pericolo, saltiamo in macchina e la cerchiamo dappertutto, nell’ora nella quale non gira nessuno. Anche al posto di polizia non hanno nessuna notizia sulla ragazzina che continuava a fare il mio nome, io credo, nel tentativo estremo di chiamare un soccorso. Fece ritorno a casa qualche settimana piú tardi, inventandosi un mare di bugie. Duda non chiedeva soldi, perché sapeva che non gliene avremmo dati. Ma a volte si presentava alla nostra porta con la pancia vuota. Bastavano due battute e una manciata di biscotti perché cominciasse a raccontare tutte le cavolate che faceva. Ma in fondo aveva un cuore bello, che il male non era riuscito a distruggere. Mi vien la pelle d’oca al ricordo di come una sera, commossa, gli eran scese le lacrime a sentirsi raccontare la storia del figlio prodigo e del padre buono. Il tempo passava e lei, inseguita da figuri coi quali si era indebitata fino al collo, dormiva ogni notte in locali differenti. Fino a quando, forse con la soffiata di una amica, le hanno teso la trappola fatale. Mezz’ora dopo che l’hanno
freddata con vari colpi alla testa e al collo, in un angolo squallido della collina, la foto di una ragazzina raggomitolata in una pozzanghera di sangue era postata in facebook, in pasto a tutti. É una foto che conservo nel mio cellulare, insieme ad una sua poesia. Anche la sepoltura, accompagnata dal papá e da due o tre amiche, sotto un cielo grigio, sembrava fatta apposta per cancellare per sempre le tracce di questa ragazzina che aveva cominciato a chiamarmi “pai”, papá. Non c’era posto nel nostro cimitero e l’hanno posta del peggiore dei cimiteri che io conosca, chiusa tra quattro assi senza maniglie. Ma ci rivedremo, Duda, tu con quella tua treccia indio, e la piccola Bruna nell’abito inusuale ed elegante col quale era proclamata vice-regina nella piccola sfilata tre giorni prima di morire. Domenica sará la solennitá di tutti i Santi. Qua, nella Bahía de Todos os Santos (fu il nostro Vespucci …), non si celebra niente. Nella cittá piú festaiola non si celebra la festa che ha dato il nome alla sua incantevole baia. Peró é domenica. E noi usciremo di qua per un giorno intero su una piccola isola, per la chiusura dell’anno catechistico. Nell’Ilha de Maré, cantata da molti artisti, faremo gioconi, il bagno nell’acqua cristallina, celebreremo la Messa dinnanzi ad una chiesetta conosciutissima. Questi sono i giorni delle iscrizioni e saltano fuori ragazzini che non ho visto una sola volta al catechismo, inventandosi storie che li fanno tra i piú assidui frequentatori della chiesa … Ma sí, li caricheremo proprio tutti sul barcone che attraversa quel pezzo di mare … Ma al momento di salpare, e prima che si scateni la grande festa, vorrei mostrare a tutti, puntandovi il dito, quel cimitero in cima alla collina. So che alcuni, al ricordo di Duda, si commuoveranno. Ma é solo per dirgli che noi siamo proprio fortunati, perché abbiamo tra noi Chi ci aiuta a stare davanti a tutte le cose della vita, il sole e la pioggia, il gioco e il pianto. In fondo, il corso e i tornei di calcio (60 ragazzi), la scuola di balletto (150), i vari corsi di computer (siamo a 250), gli incontri e i pranzi … tutto ci é
dato per incontrare e scoprire, insieme agli amici, quel pezzettino di mondo che si chiama ‘cuore’, e tutto il bisogno che lo abita. Cosí da poter dire, con l’Avvento alle porte: “vieni Signore Gesú!” Vostro don Emilio, Salvador Bahia, 27 di ottobre 2015.
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