Dell'ultimo Super Bowl, che sta facendo il giro del mondo
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Timothée Chalamet è il figlio di Edward Mani di Forbice nello spot Cadillac, dell’ultimo Super Bowl, che sta facendo il giro del mondo Che molte aziende americane attendano il Super Bowl per lanciare e/o promuovere i loro ultimi prodotti è una cosa risaputa; sono anni che la finalissima di football americano è stabilmente l’evento sportivo con i più grandi investimenti, e ritorni, pubblicitari di sempre. Così come è prassi consolidata quella che vede le grandi aziende statunitensi, e non solo, pagare i più grandi registi di Hollywood per girare spot milionari che poi debuttano durante, o a cavallo, dell’evento sportivo. W i n o n a R y d e r e T i m othée Chalamet nello spot della Cadillac Lyriq , trasmesso durante il LV Super Bowl. Negli anni le collaborazioni fra brand e registi sono state tante, tutte coronate dal successo mediatico, che hanno prodotto spot indimenticabili, che spesso rivisitano film cult: negli ultimi dieci anni, le pubblicità per l’evento hanno ripreso Il giorno della marmotta, Una pazza giornata di vacanza, Mamma, ho perso l’aereo, Il grande Lebowski e, più recentemente, Fuori di testa. Ma questa volta la Cadillac si è davvero superata, proponendo uno spot che rivisita un vero cult movie, che più cult non si può. Per lanciare la sua nuovissima “Lyriq”, una berlina elettrica con un sistema di guida autonoma molto evoluto, ha rivisitato niente po’ po’ di meno che “Edward mani di forbice”, classicone del 1990 di Tim Burton, che vedeva nel cast un’indimenticabile Johnny Depp in coppia con Winona Ryder (quest’ultima tornata a vestire i panni dello stesso personaggio a 30 anni di distanza). timothée chalamet as johnny depp in edward scissorhands always on my mind
pic.twitter.com/nnCwK9ZekV — potter (@louistfIeur) February 7, 2021 Ebbene, nello spot della Cadillac Lyriq scopriamo che il figlio di Edward e Kim Boggs (il personaggio interpretato da Winona Ryder), Edgar, che ha il volto ed il talento di Timothée Chalamet, conduce una vita difficile ed ai margini della società a causa delle sue protesi alle mani. Non può giocare a football con gli amici, nel fastfood dove lavora il suo estro creativo viene soffocato, i suoi rapporti con l’altro sesso sono difficili, l’unico rifugio rimane un videogioco di guida in realtà virtuale. Sarà proprio quest’ultimo, ed unico, hobby a spingere la madre a regalare al figlio una nuova e fiammante Cadillac Lyriq elettrica con un evoluto sistema di guida autonomo che permette al figlio di non dover toccare e quindi danneggiare il volante dell’auto. Insomma, uno spot davvero ben fatto e coinvolgente che è già diventato virale sul web, che vede due attori estremamente a loro agio nella parte, con un Timothée Chalamet perfettamente a fuoco nei panni del figlio di Edward mani di forbice, molto somigliante nel fisico, nelle fattezze e nella recitazione a quel Johnny Depp che rese immortale il personaggio ed il film del 1990. In un’intervista a Vogue, Chalamet ha spiegato che: “È stata una grande opportunità per rendere il film originale più attuale per il pubblico moderno, senza sacrificarne l’originalità che aveva negli anni novanta. Abbiamo creato un personaggio che fosse un omaggio a quello creato da Johnny Depp”. I bene informati dicono che il regista Tim Burton ha non solo avvallato, ma pure supervisionato il progetto dello spot, contento che dopo 30 anni il suo iconico personaggio torni in scena per quelle nuove generazioni che non hanno visto il film, come ha dichiarato in un’intervista riportata da Vanity Fair: “È raro che un lavoro di cui sei orgoglioso continui a vivere e ad evolversi con i tempi, anche dopo trent’anni. Sono contento di vedere Edgar affrontare il nuovo mondo”. Pubblicità e cinema creano spesso cortocircuiti interessanti e ben fatti, come questo spot dimostra, ma le simmetrie e connessioni fra la settima arte e la pubblicità sono molto più profonde e assidue di quanto si pensi. PER APPROFONDIRE
Secondo Giuseppe Mazza, copywriter di lungo corso che ha lavorato in Saatchi & Saatchi e in Lowe Pirella, che insegna alla Scuola Holden e alla IULM ed è fondatore di “Bill”, il magazine che ragiona di pubblicità, il cinema e la pubblicità alla fine sono quasi la stessa cosa, e la tesi, estrema ed interessante, è condivisa da molti altri studiosi. Infatti, scrive nel suo libro “Cinema e pubblicità. La relazione sorprendente” (Editrice Bibliografica, 2019): “Che cosa hanno in comune il cinema e la pubblicità? Il certificato di nascita, innanzitutto. Sono fratelli gemelli, figli della modernità, nati dall’unione fra spettacolo e industria, entrambi merce e forma espressiva. È già molto, quasi tutto, ma naturalmente condividono anche la casa, ovvero la società di massa. È lì che trascorrono le giornate giocando con gli altri linguaggi, fotografia, grafica, giornalismo, fumetto, televisione, web, tutte creature nate dalla seconda metà dell’ottocento in poi, epoca di macchine e di elettricità.” Anche noi di Smart Marketing abbiamo l’idea che fra il cinema e la pubblicità ci siano molte più affinità di quelle che emergono a prima vista, infatti la nostra rubrica di cinema nasce, anche e soprattutto, per esplorare i film dal punto di vista del marketing, della comunicazione e dei social media, e negli anni ha sempre cercato di leggere grandi classici, serie TV e film cult senza preconcetti di alcun tipo. Anche perché, come abbiamo scritto nella presentazione della rubrica stessa: «…i fratelli Lumière avevano già fatto una proiezione pubblica, davanti a 300 persone tra imprenditori, filantropi e capitani d’industria, presso la sede della Società Francese per il Progresso dell’Industria Nazionale il 22 marzo 1895 (quindi 9 mesi prima di quella celeberrima al Gran Cafè al n° 114 di Boulevard des Capucine del 28 dicembre 1895) presentando il famoso “L’uscita degli operai dalle Officine Lumière a Lione”. Quindi possiamo dire, senza pericolo di smentita, che il Cinema è da sempre, fin dalla sua nascita, legato a doppio filo al mondo economico, industriale e commerciale.». Quindi, come dice anche Giuseppe Mazza, cinema e pubblicità, sono fratelli gemelli figli della modernità e del progresso. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Gli imperdibili: i 5 film di Natale che dovete assolutamente vedere Come molti sanno il Natale è il periodo più importante per l’industria cinematografica: tutta la filiera è in fermento, dai produttori ai distributori, dagli esercenti fino agli spettatori finali. Infatti le uscite e le anteprime più importanti, sia italiane che mondiali, vengono programmate proprio in questo magico periodo. Anche i network televisivi ripropongono grandi classici e prime visioni a tema natalizio da metà novembre ai primi di gennaio; i dati di ascolto infatti hanno un’impennata proprio in questo periodo, in virtù del fatto che il freddo e la voglia di riunirsi con la famiglia e/o gli amici per serate di gioco e cene porta molta gente a rimanere a casa, dove i televisori rimangono sempre accesi. Negli anni molte pellicole sono diventate degli autentici tormentoni natalizi, e risulta alquanto difficile stilare una lista dei migliori 5 film da vedere assolutamente, nondimeno vogliamo provarci lo stesso, spaziando fra quelli che a noi di Smart Marketing sono rimasti nel cuore e cercando di prendere in considerazione quanti più generi possibili, nonostante sia la commedia a farla da padrona. Cominciamo allora! 1°) Una poltrona per due (di John Landis, USA, 1983) Per chi ha tra i trenta è i quarantacinque anni è senza dubbio questo il film natalizio più famoso e atteso di sempre. Il film narra le vicende di due personaggi agli antipodi nell’America reaganiana, il ricco agente di borsa Louis Winthorpe III, dai modi altezzosi, e Billie Ray Valentine, un senzatetto, imbroglione ed insolente, che a seguito di una scommessa dei fratelli Mortimer e Randolph Duke (datori di lavoro di Winthorpe) si vedranno scambiate le loro vite con risvolti, come si può intuire, davvero esilaranti. Nei ruoli dei due protagonisti troviamo i due brillanti attori Dan Aykroyd (Louis Winthorpe III) e Eddie Murphy (Billie Ray Valentine) perfettamente calati nelle parti e in piena sintonia.
In principio i due protagonisti dovevano essere rispettivamente Gene Wilder e Richard Pryor, con quest’ultimo che dovette rifiutare per un serio incidente. Fu allora che gli sceneggiatori e il regista presero in considerazione l’astro nascente Eddie Murphy che, ottenuta la parte, fece pressione affinché il ruolo di Winthorpe fosse dato ad un altro attore per non essere considerato il rimpiazzo di Pryor, in quel sodalizio artistico che si andava consolidando fra la coppia Wilder-Pryor. Si ride molto, ma il film è in controluce una critica abbastanza caustica, per non dire feroce, all’America degli yuppies, arrivista, cinica e spietata sotto la presidenza di Ronald Reagan. Il film è diventato un classico natalizio soprattutto in Italia, complice sia l’ambientazione della pellicola stessa, sia soprattutto a causa della consuetudine di inserire il film nei palinsesti delle feste natalizie fin dal 1989. Dal 1997 “Una poltrona per due”, viene trasmesso regolarmente su Italia1 la sera della vigilia. Se volete sapere altre curiosità qui trovate la nostra recensione. 2) The Family Man (di Brett Ratner, USA, 2000) Il film racconta le vicende di Jack Campbell, uno squalo di Wall Street che vive in un attico a New York, frequenta bellissime modelle e guida una Ferrari. Il giorno di Natale, dopo aver sventato una sorta di rapina in un negozio di alimentari la sera della vigilia, a Jack viene offerta la possibilità di vedere cosa sarebbe stata la sua vita se, 13 anni prima, invece di andare a studiare economia a Londra fosse rimasto con la sua fidanzata Kate Reynolds. Il 25 dicembre, in effetti, Jack Campbell si risveglia nel letto, in una casa della periferia nel New Jersey, con affianco la moglie Kate e due figli. Jack scoprirà che il suo gesto altruistico della vigilia gli ha permesso di dare un’occhiatina a come sarebbe stata la sua vita se non avesse sacrificato tutto per il successo ed il potere. Il film da una parte rilegge e riscrive il classico “Canto di Natale” di Charles Dickens e dall’altra si ispira per atmosfere e tematica di fondo al superclassico “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, che dal 1946 è il vero capostipite dei tormentoni di Natale. Perfetti i due attori protagonisti, con un Nicolas Cage che interpreta un Jack Campbell prima cinico e poi stralunato e un po’ goffo e la splendida Téa Leoni che interpreta una Kate Reynolds forte ed appassionata. Sì, il film è una favola un po’ melensa e buonista, ma in realtà parla di seconde occasioni e dei bivi che incontriamo sul percorso delle nostre vite. Seconde occasioni e strade che non sempre cogliamo e percorriamo, e allora ben venga un film come questo, che a Natale ci ricorda che una famiglia è meglio di una Ferrari e che l’amore è l’unico traguardo a cui dovremmo ambire. Se volete sapere altre curiosità qui trovate la nostra recensione. 3) La Vita è meravigliosa (di Frank Capra, USA, 1946) Lo abbiamo appena citato, ed eccolo qui il più classico fra i classici di Natale: La Vita è meravigliosa racconta di George Bailey, un uomo generoso ed altruista, che per aiutare gli altri, famigliari, amici e comunità, ha rinunciato ai suoi sogni e che la sera della vigilia di Natale, in previsione del fallimento della sua piccola società per debiti non onorati, decide di farla finita gettandosi da un ponte. Nevica copiosamente, fa molto freddo e George è ubriaco e disperato, ma proprio mentre si sta per gettare nel fiume un uomo, un certo Clarence, si butta in acqua prima di lui, costringendo il nostro protagonista a gettarsi a sua volta per salvarlo. Una volta scampato il pericolo si scoprirà che Clarence è un angelo custode di 2° classe (ancora senza ali) che è stato
inviato sulla terra per impedire a George di suicidarsi e mostragli che cosa sarebbe stata la vita delle persone a lui care se lui non fosse mai esistito. Insomma, Clarence offre a George una sbirciatina in un mondo alternativo, dove il nostro protagonista scopre come le sue innumerevoli buone azioni e i suoi sacrifici per gli altri hanno plasmato la vita delle persone a lui care, rendendole esseri umani migliori. Insomma, si rende conto di come tutti e tutto siano collegati ed interdipendenti e quanto la sua vita sia stata significativa. Il film è diretto da uno dei massimi registi della Hollywood dei tempi d’oro, Frank Capra, che con i suoi film ispiratori ha plasmato, più di qualunque altro regista, quell’american way of life fatto di ottimismo, fiducia, speranza e voglia di riscatto, in un periodo fra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso in cui l’America cercava di riprendersi dalla grande depressione. I protagonisti sono una delle coppie d’oro del cinema classico, James Stewart (nei panni di George Bailey) e Donna Reed (nei panni di Mary Hatch Bailey), con l’angelo di seconda classe Clarence interpretato da un Henry Travers, neanche a dirlo, in stato di grazia. Il film riceverà 5 candidature agli Oscar e il suo impatto culturale sarà immenso. Due esempi fra i tanti possibili: l’Enciclopedia Britannica ha inserito questo film fra i sinonimi della parola Natale; nel 1987 un giudice della Florida ordinò la visione del film, come parte della pena, ad un imputato che aveva ucciso la moglie gravemente malata e aveva tentato poi il suicidio. Un film da vedere e rivedere, che pone al centro del suo sguardo la sacralità dell’individuo. 4) Babbo bastardo (di Terry Zwigoff, USA-Germania, 2003) Qui siamo di fronte ad un film sul Natale sui generis e politicamente scorretto. La pellicola narra della coppia di ladri specializzati nel derubare centri commerciali il giorno di Natale, facendosi assumere come Babbo Natale ed elfo. Marcus (l’attore Tony Cox) è affetto da nanismo ed è il basista della squadra e naturalmente l’elfo; Willie (uno straordinario Billy Bob Thornton) invece interpreta un Babbo Natale con gravi problemi di alcolismo. Decisi a svaligiare l’ennesimo centro commerciale, i due balordi, fattisi assumere, cominciano a studiare planimetrie, orari e abitudini degli altri impiegati. Le cose prendono una piega diversa quando un giorno, fra i bambini venuti ad incontrare Babbo Natale, arriva Thurman Merman (l’attore Brett Kelly), ingenuo, credulone e con problemi di obesità, che instaurerà con Babbo Natale (credendolo vero) un rapporto che piano piano diverrà autentico e trasformerà, in meglio, entrambi i protagonisti. Il film dapprima prende in giro il buonismo tipicamente natalizio, ma poi mette in scena la trasformazione, anzi l’evoluzione dei due protagonisti, che imparano ad affrontare le sfide della vita o i propri demoni interiori attraverso una vera amicizia. All’inizio il ruolo di Babbo Natale doveva essere affidato a Bill Murray, che non poté accettare perché aveva firmato il contratto per Lost in Translation. Il ruolo da protagonista fu poi offerto a Jack Nicholson che, benché interessato, dovette rifiutare sempre per problemi di lavoro. Billy Bob Thornton regalerà al personaggio un carattere cinico, disincantato e perfido al punto giusto, che farà la fortuna del film e darà una decisa impennata alla sua carriera. Il lungometraggio merita una visione proprio in virtù della sua originalità, una commedia nera che rappresenta quasi un unicum nel settore delle pellicole natalizie: si ride tanto e si riflette abbastanza, cosa volere di più da un film?
5) Nightmare Before Christmas (di Henry Selick e Tim Burton, USA, 1993) Anche qui siamo di fronte ad un grande classico. Questo film di animazione in stop motion è nato dalla mente geniale di Tim Burton quando ancora lavorava come animatore per la Disney. Burton disse che l’idea per il soggetto gli venne un giorno, quando vide un negoziante, all’approssimarsi delle festività natalizie, che rimuoveva le decorazioni di Halloween per fare spazio a quelle di Natale. Fu in quel momento che prese forma il soggetto di un film che combinasse entrambe le festività. All’inizio la storia divenne una poesia illustrata che l’autore propose alla Disney, che la rifiutò a causa dei temi e dei toni decisamente dark che non si ritennero adatti ad un pubblico di bambini. Dopo il successo di pellicole come Edward mani di forbice (1990) e Batman – Il ritorno (1992), Burton rimise mani al progetto di Nightmare Before Christmas, affidando la regia al suo amico e socio Henry Selick, che girò il film con l’intento di realizzare un classico di Natale. La storia narrata è quella del paese immaginario di Halloween, dove risiedono tutti i mostri della festività. Questo paese è governato dal re delle zucche, Jack Skeletron, uno scheletro alto due metri con la testa a forma di zucca trapuntata, il cui compito principale è organizzare ogni anno la festa di Halloween. Negli ultimi tempi però Jack è stanco ed annoiato di organizzare sempre la stessa festa e di seguire lo stesso copione ed un giorno si imbatte per caso in un portale che lo trasporta in un altro mondo, il nostro, dove vede gli esseri umani intenti ai preparativi per le feste di Natale. Jack rimane folgorato dal clima e dallo spirito natalizio e, tornato nel suo mondo, decide di organizzare insieme a tutti i suoi abitanti la prima festa di Natale nel paese di Halloween. Ovviamente i risultati saranno comici e del tutto imprevedibili. Il film fu un ottimo successo di botteghino sia nel mercato statunitense che nel resto del mondo e, da allora, è diventato un classico dei palinsesti natalizi, registrando sempre ottimi indici d’ascolto ad ogni passaggio televisivo. Il film merita di essere visto perché miscela grottesco e poesia, toni dark e buoni sentimenti, in perfetto stile burtoniano. Questi 5 sono secondo noi i film natalizi che dovete assolutamente vedere: certo nella lista mancano tanti altri classici del Natale, ma, si sa, ogni lista è, per forza di cose, una sintesi e qualche volta rimangono fuori grandi capolavori. Noi di Smart Marketing vi abbiamo proposto un elenco che contiene: l’immancabile tormentone (Una poltrona per due); la storia natalizia che mette in scena il dualismo avere o essere (The Family Man); il classico di Natale per antonomasia (La vita è meravigliosa); la storia più politicamente scorretta e sui generis sul Natale (Babbo bastardo); uno dei più originali e magici film di animazione a tema natalizio (Nightmare Before Christmas).
E voi? Quale è la vostra top 5? Quale è il film di Natale che vi ha fatto sognare, tornare bambini e divertito? Fatecelo sapere. David di Donatello 2019: i verdetti Nella serata di mercoledì 27 marzo 2019, si è tenuta la 64esima edizione dei David di Donatello, il più importante riconoscimento del cinema italiano, insieme ai Nastri d’Argento e leggermente sopra i Globi d’oro. La serata di premiazione, di quelli che sono definiti gli “Oscar italiani”, quindi i secondi come importanza al mondo, è stata trasmessa in diretta su Rai Uno e presentata per il secondo anno di fila da Carlo Conti. Come da pronostico, Dogman di Matteo Garrone, ha fatto incetta di statuette, con ben 9 David vinti: miglior film, regia a Garrone, attore non protagonista a Edoardo Pesce, sceneggiatura originale a Garrone con Massimo Gaudioso e Ugo Chiti, fotografia a Nicolaj Brüel, montaggio a Marco Spoletini, scenografia a Dimitri Capuani, trucco a Dalia Colli e Lorenzo Tamburini, sonoro a Maricetta Lombardo & co. Il regista Matteo Garrone, sul palco, accolto da applausi scroscianti, ha inviato un appello affinché il cinema vecchia maniera, quello delle sale, continui a sopravvivere, perché la magia del Cinema è tutta lì: «Grazie a voi, lo abbiamo fatto insieme questo film. Questa è una serata speciale perché si è parlato molto dell’importanza di tornare al cinema anche l’estate, di quanto sia importante e bello poter vedere i film sul grande schermo. Purtroppo è un periodo in cui le cose stanno cambiando velocemente, c’è la tendenza sempre più a vedere i film a casa sulle piattaforme digitali, Netflix ecc. Ma credo sia importante invece cercare di tornare al cinema, però è anche importate che i cinema diventino sempre più grandi, invece la sensazione che ho è che le sale diventino sempre più piccole e i televisori sempre
più grandi, quindi facciamo attenzione se crescono i televisori a far crescere anche gli schermi dei cinema. Questo film sono contento di averlo fatto, è nato un po’ per caso. Abbiamo iniziato a scriverlo dodici anni fa e tenuto sempre nel cassetto. L’ho fatto perché avevo qualche mese libero aspettando Pinocchio e invece è andato così bene che non ce l’aspettavamo. A volte accadono delle cose che non ti aspetti nel cinema, riuscire a creare dei momenti irripetibili.» Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, altro film attesissimo e pluri-presente in nominations, conquista 4 statuette: il film che ricostruisce gli ultimi, tragici giorni della vita di Stefano Cucchi porta a casa i premi per il miglior produttore, miglior regista esordiente a Cremonini, il David Giovani (votato da 3.000 studenti delle scuole superiori) e soprattutto il meritatissimo David per il miglior attore protagonista allo strepitoso Alessandro Borghi, visceralmente e fisicamente trasformato per interpretare la vittima di questa tragica vicenda di cronaca. Sul palco, lo stesso attore, visibilmente emozionato per il suo primo David in carriera, ha dedicato il premio a Stefano Cucchi: Magro invece il bottino di un altro film molto atteso, Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, che ottiene solo 2 David, per la sceneggiatura non originale a James Ivory,
Walter Fasano e Guadagnino, e per la canzone originale Mistery of Love di Sufjan Stevens. Loro di Paolo Sorrentino, si ferma a due statuette: per le acconciature del veterano Aldo Signoretti, ma soprattutto quello meritatissimo per la miglior attrice protagonista alla strepitosa Elena Sofia Ricci, completamente calatasi nei panni di Veronica Lario, moglie di Silvio Berlusconi. L’attrice toscana è colta di sorpresa dalla vittoria del suo terzo David e sul palco è davvero emozionatissima, trattenendo a stento le lacrime: «Non ci credo! Grazie. Ho la salivazione azzerata. Non riesco neanche a parlare. Grazie a mio marito che mi ha tanto sostenuta e mi ha aiutato a fare il provino e tutto. Grazie a Toni Servillo che è stato un collega, un compagno di lavoro meraviglioso. A Paolo[n.d.r. Sorrentino], a tutti i componenti della troupe e soprattutto a chi è riuscito a trasformarmi in un’altra. Grazie a tutti i giurati e a tutti voi che mi avete votata e sostenuta. Grazie davvero, non me lo aspettavo.» Due i David anche per Capri-Revolution di Mario Martone, che porta a casa il premio per il miglior musicista e quello per il miglior costumista. La bravissima Marina Confalone batte Jasmine Trinca e ottiene il David per la miglior attrice non protagonista per Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis, salendo sul palco visibilmente commossa e dedicando il premio «alla nostra terra, ai napoletani che hanno buona volontà». Premio per i migliori effetti visivi a Victor Perez per Il ragazzo invisibile – Seconda generazione, mentre il David dello Spettatore, assegnato al film più visto della scorsa stagione, se lo aggiudica A casa tutti bene di Gabriele Muccino.
D e b a c l e t o t a l e p e r L a z zaro Felice di Alice Rohrwacher ed Euforia di Valeria Golino che, a fronte rispettivamente di 9 e 7 nomination, restano a mani vuote. Due grandi registi si aggiudicano invece i David per il miglior documentario e per il miglior film straniero. Il primo è Nanni Moretti con il suo Santiago, Italia ed uno scarno e veloce ringraziamento sul palco, mentre il secondo è Alfonso Cuarón con il suo pluripremiato Roma, già vincitore il mese scorso agli Oscar hollywoodiani. David per il miglior cortometraggio a Frontiera di Alessandro Di Gregorio. Esplicati i David ordinari, la serata, come sempre è stata arricchita dai David speciali alla Carriera. Uno di questi, attesissimo, è andato al grande Tim Burton. Il geniale regista di Dumbo, accolto da una standing ovation giusta e accorata, ha sottolineando la differenza di trattamento che riceve in patria: «Vorrei che la gente fosse così carina con me anche nel mio paese». Molto emozionato ha poi ricordato il suo amore per il cinema italiano: «Io sono cresciuto con registi italiani come Fellini, Mario Bava, Dario Argento.. ho lavorato con Dante Ferretti. Non sono italiano ma è come se avessi una famiglia italiana ed è meraviglioso per me ed è un onore essere qui.» Burton ha poi parlato del suo reboot di Dumbo ed ha ricevuto il David alla Carriera dalle mani di Roberto Benigni: «Roberto l’ho ammirato e amato per tantissimi anni, quindi la famiglia si ingrandisce. E per me ricevere questo premio da Roberto e tutti quelli che ho conosciuto ed amato qui, è uno dei più grandi onori della mia vita». Benigni risponde omaggiandolo a sua volta, annuncia poi il suo ritorno al cinema nel Pinocchio di Matteo Garrone, mentre riceve anch’egli una standing ovation
meritata per il ventennale del trionfo della Vita è bella agli Oscar. Altro ospite internazionale e altro David alla carriera per la sempre sensuale Uma Thurman. Gli altri due David alla Carriera della serata, invece parlano italiano: la terza statuetta speciale va alla grande scenografa vincitrice di 3 Oscar Francesca Lo Schiavo, che lo ha dedicato a «tutti i registi con cui ho lavorato e che mi hanno insegnato a guardare oltre il possibile»; la quarta e ultima statuetta alla Carriera, sicuramente la più meritata, va a Dario Argento, accolto dalla terza standing ovation della serata. Il maestro del brivido, che in carriera non aveva mai vinto un David, dopo le banali e trite domande di Conti, si compiace a metà per il premio, con un pizzico di polemica: «Vorrei dire una cosa, un po’ polemica: io ho fatto tanti anni cinema, ormai quasi 40 anni, e non ho mai ricevuto un David di Donatello, questa è la prima volta». E alla battuta di Conti «Maestro.. uno solo, ma un David Speciale dato col cuore dall’Accademia», Argento taglia corto con un lapidario «sì, ma troppo tardi». Se l’assegnazione dei premi, ordinari e speciali, è condivisibile e per alcune categorie, ampiamente previste, per la qualità delle eccellenze messe in gioco (vedasi Dogman per il miglior film, Alessandro Borghi come miglior attore ed Elena Sofia Ricci come miglior attrice), lo show è altresì sembrato troppo simile a quelli classici, salottari e sempliciotti, a cui “Mamma Rai”, ci ha abituato negli ultimi anni. Forse uno show più innovativo per i cosiddetti “Oscar italiani”, sarebbe stato più consono all’importanza e alla risonanza che i David di Donatello hanno nel mondo, in ossequio alla gloriosa e più che centenaria storia del nostro cinema.
Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali - Il Film Simona De Bartolomeo (78) Il romanzo “La casa per bambini speciali di Miss Peregrine” dello scrittore americano Ransom Riggs, dopo la fortunata invasione delle librerie, ispira l’ultimo film del regista Tim Burton “Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali” (www.youtube.com/watch?v=2J2-2KAzK38), uscito nelle sale il 15 dicembre 2016. Non è la prima volta che il regista ci regala una favola dark per le feste di Natale, ricordiamo “Edward mani di forbice” nel 1990 e “Nightmare before Christmas” da lui scritto e prodotto nel 1993, film diventati cult del periodo natalizio. Nel cast di Miss Peregrine attori come Samuel L.Jackson, Judi Dench, Rupert Everett, Asa Butterfield, appena diciannovenne, già protagonista di molte famose pellicole, tra cui “Hugo Cabret” di Martin Scorsese e l’ipnotica Eva Green, alla sua seconda collaborazione con Tim Burton, dopo “Dark Shadows” del 2012, che pare aver preso il posto di Johnny Depp, attore feticcio del regista americano. La storia racconta del timido adolescente Jacob, che ha difficoltà a farsi degli amici e a rapportarsi con i genitori, cresciuto col nonno Abraham, che riuscì a sfuggire alle persecuzioni naziste e fu accolto in un orfanotrofio. Jacob vede in suo nonno un punto di riferimento e ascolta le bizzarre storie sul suo passato e su una certa Miss Peregrine ed i suoi bambini speciali, dotati di strane peculiarità. Alla misteriosa e improvvisa morte del nonno, Jacob sconvolto vuole indagare sulle cause della sua scomparsa e cercare tracce di quella casa fantastica, che ospitava i ragazzi di
cui il nonno conservava vecchie fotografie al limite del credibile. Parte con il padre per questo viaggio in un paesino del Galles e presto si accorge che tutti i racconti del nonno erano reali, trova la casa di Miss Peregrine e tutti i bambini: Emma, una ragazza capace di fluttuare nell’aria; Millard, un ragazzo invisibile; Fiona, con la capacità di comandare le piante; Horace, con il dono dei sogni premonitori che proietta su uno schermo; i gemelli, completamente coperti da un inquietante costume bianco; Bronwyn, una bambina con una forza mostruosa; Hugh, un ragazzo con delle api che vivono dentro di lui; Olive, capace di controllare il fuoco; Claire, una dolce bambina con un’enorme bocca dietro la testa ed infine Enoch, un ragazzo che sa donare la vita ad ogni oggetto. Miss Peregrine è una Ymbryne, creatura capace di governare il tempo e creare anelli temporali, per proteggere gli “speciali”, che, infatti sono intrappolati in un’eterna giovinezza, nel giorno 3 settembre 1943, un giorno “tutto sommato” tranquillo. La ymbryne ha il compito di proteggere i bambini da malvagie creature chiamate Vacui, capitanati da Mr.Barron, che vogliono impossessarsi dei loro occhi. Rispetto al romanzo il regista, pur seguendo sempre la storia originale, ha apportato numerose modifiche, tutte approvate dallo scrittore Riggs. Due tra tutte: i poteri delle speciali Emma e Olive per il film sono state scambiate e il personaggio di Mr. Barron è stato creato appositamente per il film, per creare una maggiore tensione e con la sua caccia spietata agli occhi dei bambini, ha sottolineato ancor di più quel significato che l’immagine dell’occhio ha spesso richiamato in molti film, il simbolo dello sguardo dello spettatore e della sua attenzione verso lo schermo (ricordiamo “Un cane andaluso” di Luis Buñuel). Il regista in questa pellicola cita spesso se stesso, non solo in un lontano richiamo alla trama di un suo altro film “Big Fish – Le storie di una vita incredibile” (2003), ma anche nella scena nel giardino di Miss Peregrine, dove c’è una siepe a forma di dinosauro, che cita le creazioni di “arte topiaria” di Edward mani di forbice. Burton verso la fine del film appare anche in un cameo, nella scena del luna park. Mi piace pensare, inoltre, che nella scena in cui Jacob aiuta Emma a non volare via tenendola con una corda, ci sia una citazione al quadro “La passeggiata” del pittore Marc Chagall. Questa
pellicola non è stata accolta molto positivamente dalla critica e dal pubblico, che accusa Burton di essersi abbassato al cinema commerciale, fatto solo di effetti speciali, di aver perso la magia dei suoi capolavori passati e di aver lasciato da parte le emozioni. Eppure in quella “spaventosa Mary Poppins” (così ha definito il regista il personaggio di Miss Peregrine) e in quegli scenari dark e fiabeschi (una su tutte la scena sott’acqua), io ritrovo il Tim Burton che abbiamo sempre amato, il regista che ha sempre saputo raccontare storie di creature al limite della realtà, diversi agli occhi della società, speciali e particolari, ognuno a suo modo. La sensazione di essere “particolare” Burton la conosce molto bene e riesce ad esprimerla con tutta la poesia che lo caratterizza, proprio perché sin dall’infanzia ha vissuto questa condizione di bambino un po’ diverso dagli altri, solo perché appassionato di film di mostri e non facilmente catalogabile come gli altri ragazzi. Il messaggio che il regista vuole comunicare con quest’opera si evince dalle sue parole: “Per me era importante che questi bambini speciali fossero principalmente bambini con tutte le loro emozioni, il loro disagio, i propri sogni e paure…Essere diversi oggi è forse ancora più difficile perché chiunque può dire quello che vuole contro di te: esiste un bullismo senza nome e senza faccia che mi disturba moltissimo. La tecnologia…ha limitato la possibilità di apprezzare quello che viviamo…non godiamo il presente perché lo viviamo mutuato da un telefono. I ragazzi di oggi valutano se stessi dal numero di like che ottengono su Facebook e questo è triste e allarmante”. La frase promozionale del film è stata “Stay peculiar” e credo che da sola basti a cogliere tutto ciò che c’è di “speciale” in questa storia. Biopic: un’altra maniera di raccontare l’arte. Simona De Bartolomeo (78)
Nel vasto mondo del cinema i generi in cui possiamo imbatterci consultando la programmazione di una qualsiasi sala cinematografica sono molteplici, ma negli ultimi anni un genere si sta facendo strada ricevendo premi e seminando seguaci in tutto il mondo. Parliamo del Biopic , termine nato dalla contrazione di “biographic ” e ” picture “, film biografico, in italiano. Numerosi registi portano sul grande schermo le vite di personaggi che hanno segnato la storia, come scienziati, uomini di potere, musicisti, sportivi e scrittori. Ampio spazio, in questo vasto genere, viene dato soprattutto agli artisti ed, in particolare, ai pittori. La settima arte porta in auge la vita, spesso travagliata, dei più grandi maestri dell’arte figurativa, narrandone le vicende personali e sentimentali, che spesso si fondono in un unico racconto con la nascita delle loro più famose opere d’arte. Uno dei primi biopic dedicato ad un artista è di un regista italiano, Goffredo Alessandrini, che nel 1941 girò “Caravaggio, il pittore maledetto” , raccontando il rapporto del pittore barocco Michelangelo Merisi da Caravaggio con la città di Roma, fino agli ultimi giorni della sua sregolata vita. Dedicato a un maestro della pittura del XX secolo, è il film del 1996, diretto da James Ivory, “Surviving Picasso” , incentrato sulle numerose avventure sentimentali dell’artista spagnolo Pablo Picasso, interpretato da Anthony Hopkins. Protagonista del film di Julian Schnabel del 1996, è il writer-pittore statunitense Jean-Michel Basquiat, uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano. Il film intitolato, appunto, “Basquiat ”, presenta il ritratto dell’artista metropolitano che insieme a Keith Haring portò i graffiti
dalle strade alle gallerie d’arte. Nel film troviamo David Bowie nel ruolo di Andy Warhol, il massimo esponente della pop art. Warhol, data la sua notevole importanza nel mondo dell’arte, trova spazio anche in un altro film, intitolato “Factory Girl” (2006), diretto da George Hickenlooper, basato sulla vita di Edie Sedgwick, la musa ispiratrice del pittore pop. La pittrice italiana Artemisia Gentileschi è la protagonista del film del 1998 di Agnes Merlet, “Artemisia, passione estrema”, storia della donna che sfidò numerosi pregiudizi per inseguire la sua ispirazione artistica, in un’epoca in cui non era facile per una donna affermarsi come pittrice. Sempre ad una donna è dedicato uno dei biopic più apprezzati, “Frida” (2002), della regista Julie Taymor, che ha portato sullo schermo le sofferenze fisiche e sentimentali della straordinaria pittrice messicana Frida Kahlo, famosa anche per il suo costante impegno politico. Il pittore e scultore Amedeo Modigliani è al centro del film “I colori dell’anima – Modigliani”, pellicola del 2004, diretta da Mick Davis, che narra la vita dell’artista celebre per i suoi ritratti femminili caratterizzati da volti stilizzati e colli lunghi e sottili, soffermandosi sulla grande rivalità con Pablo Picasso. Al pittore austriaco Gustav Klimt, uno dei massimi esponenti dell’Art Nouveau, è dedicato l’omonimo film “Klimt” (2006) del regista Raoul Ruiz. All’attore John Malkovich è affidata l’interpretazione dell’artista che destò scandalo per il carattere erotico della sua pittura. “Big eyes” (2014), uscito da pochi mesi al cinema , è l’ultimo film di Tim Burton, in cui racconta la storia di Margaret Keane, la pittrice che ama dipingere bambini dagli occhi enormi. Margaret fu vittima del marito Walter, che la costrinse a dipingere numerosi quadri spacciandoli per opere sue, ma dopo il divorzio lei svelò l’inganno. L’artista che maggiormente ricorre nel mondo del cinema è il pittore surrealista Salvador Dalì . A lui sono stati dedicati lungometraggi, documentari e la ragione va trovata nel fatto che nella sua vita si
è dedicato egli stesso al cinema, con sue opere, ma anche collaborando con registi come Luis Buñuel e Alfred Hitchcock. Uno splendido omaggio quello di Woody Allen nel film “Midnight in Paris” (2011), dove il protagonista incontra Dalì seduto in un bar, in un’epoca dall’atmosfera magica. Il genere del biopic probabilmente è destinato a continuare il suo successo di ncritica e botteghino, perché è un modo diverso e piacevole per conoscere periodi storici ed i loro personaggi più importanti. I libri di scuola ci raccontano gli avvenimenti, ma un film può aprirci la mente a numerose interpretazioni.
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