Heinrich Heine tra sansimonismo e hegelismo - di Paola Ferruta
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Heinrich Heine tra sansimonismo e hegelismo di Paola Ferruta Nel corso del pubblicazioni e convegni hanno cercato di definire i contorni della biografia intellettuale e politica di Heine in occasione del bicentenario della nascita. Si è trattato di ricostruire il percorso travagliato di un’esistenza volta alla partecipazione politica attiva, sublimata o a volte distaccata, rimettendo in discussione letture precedentemente avanzate. In Germania durante il Vormärz il poeta fu allontanato dalla vita politica fisicamente attraverso l’esilio, moralmente attraverso la censura. Ciò non ha favorito la costituzione di una Intellektuellenschicht a lui «af- fine per elezione», il cui processo di formazione ha avuto inizio a partire dalla prima guerra mondiale per completarsi solo dopo la seconda. La scissione tra intelletto e potere caratterizzante la società tedesca, unita all’ostilità nei confronti degli intellettuali e della loro ingerenza nella sfera politica, hanno reso ancor più problematico il rapporto con Heine, il quale «si rifiutava di sacrificare la specificità dell’apparenza estetica alla prassi politica» ma al tempo stesso rispondeva con sarcasmo ai suoi detrattori che miravano ad esiliarlo “sul Parnaso” per discreditare il suo attivismo politico. Alla ricezione limitata alla Natur- e Liebeslyrik o alla valutazione nega- tiva dell’opera di Heine durante il Keiserreich e la Adenauerzeit, estrema nell’era del nazionalsocialismo, è seguita una “congiuntura” all’inizio “democratica e antifascista” della DDR come all’epoca del movimento studentesco e della coalizione liberalsocialista nella BDR; negli anni Set- tanta questo impulso ha dato luogo a nuove prospettive e metodologie di ricerca concentrandosi su temi politici e filosofici. Tale fioritura di studi ha implicato dibattiti stimolanti ma anche critiche da parte dei rappresentanti della “nuova sinistra” rispetto all’uso strumentale e “affermativo” dello scrittore da parte di germanisti e politici nella Germania orientale. Negli anni Ottanta, dopo più di un decennio di ricerche esaustive, in coinci- denza con il «cambiamento intellettuale e morale» del governo Kohl si Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /
PAOLA FERRUTA è verificato un calo di interesse. Il silenzio seguito alle celebrazioni del bicentenario potrebbe essere una spia di allarme riguardo alla situazione attuale, ma bisogna attendere i risultati delle future analisi statistiche svolte sul grande pubblico per valutare se Heine mantiene il “carattere esoterico” che aveva perduto temporaneamente nella DDR e se sarà pos- sibile un approccio differenziato e interdisciplinare nell’analisi del “plu- rale” rappresentato dalla complessa personalità del poeta. Per rendere ragione del significato storico delle riflessioni politiche heiniane occorre infatti evitare giudizi affrettati e univoci su un personaggio che elude il confronto su un piano esclusivamente reale e rigidamente definito. Benché non costituiscano un pensiero sistematico, queste riflessioni sono di ampio respiro: egli si confronta con la realtà europea nel suo insieme e con quella dei singoli paesi ed il suo sguardo di poeta, «storico con lo sguardo volto al futuro», rivela notevole acutezza. Heine «non ha mai visto nulla attraverso la lente di un’ideologia – anche se sempre tutto come attraverso le lenti di un telescopio, più lontano e più distinto» e proprio per questo può essere considerato uno dei più perspicaci interpreti degli avvenimenti politici del suo tempo. Gli studiosi definiscono concordemente il credo heiniano nella monarchia come il tentativo di sfuggire agli aspetti più deteriori della realtà del mondo a lui contemporaneo, sempre più cupo e illiberale: «Per combattere reazione e repubblicanesimo, Heine era un convinto diffusore della monarchia». Senza di essa l’esistenza sarebbe stata squallida e gri- gia; la monarchia offriva, secondo una visione che oggi appare poetica e sentimentale, la possibilità di salvaguardare l’eredità del passato. I repub- blicani miravano ad abolirla solo perché non riuscivano a vedere in essa qualcosa di immediato, alcuna evidente utilità: questi «sobri baccanti della ragione» valutavano tutto in termini di funzionalità. «Nicht als Höfling war Heine monarchist», invece, «proprio come il suo nemico Metternich, per paura», credeva infatti che la monarchia fosse «l’ultima garanzia» della società. Nella cultura politica del primo Ottocento l’ideale della monarchia costituzionale era largamente condiviso. Lorenz von Stein, che si tende a collocare sulla destra dello spettro politico, ne esalta il valore proprio come Heine, definito più volte hegeliano di sinistra. Boldt invita a riflettere su questo punto, considerando le classificazioni spesso fuorvianti e richiamandosi a Hermann Lübbe, che nella sua analisi della filosofia politica in Germania, ha approfondito lo studio della destra hegeliana, la quale prospettava una monarchia costituzionale in grado di porre rimedio agli squilibri sociali. Anche Eduard Gans, un amico del periodo della giovinezza berlinese, si professa, allo stesso modo di Heine, monarchico. L’obiezione di Boldt è interessante: «Che cosa rende tale la differenza tra Heine, Gans e gli hegeliani di destra?». Benché sia nota la
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO partecipazione del poeta di Düsseldorf al Verein für Kultur und Wissen- schaft des Judentums negli anni Venti a Berlino, in cui i temi della filosofia hegeliana erano largamente diffusi e della quale facevano parte anche gli amici Eduard Gans e Moses Moser, il confronto ideologico tra Heine e gli hegeliani di destra è stato assai raramente preso in considerazione dagli studiosi. Eppure si tratta di un aspetto significativo. L’esempio più evidente di questa affinità è il paragone tra filosofia tedesca e rivoluzione politica in Francia, peraltro già accennato da Hegel. Ciò che distingue gli hegeliani di destra dagli altri autori è il ricorso alla weltgeschichtliche Mission dello Stato prussiano, il Vernunftstaat per antonomasia, che avrebbe concretato sul piano storico le speculazioni rivoluzionarie della filosofia idealistica. Il giudizio sulla rivoluzione franc- ese e sugli aneliti rivoluzionari in genere costituisce un primo elemento discriminante tra gli hegeliani più vicini alla tradizione, il loro maestro e Heine. Questi, al contrario di Hegel, non si dimostrò particolarmente costernato dall’esecuzione di Luigi XVI e dal Terrore. «Criticò l’uso della ghigliottina, nella quale vide però una morte veloce e indolore, migliore delle torture subite dai roturiers e dai vilains prima della rivoluzione». Il tema della rivoluzione viene trattato esaurientemente da Heine e rimane centrale nelle sue riflessioni per tutta la vita. Hegel e i suoi discepoli avevano senz’altro in mente una monarchia costituzionale e la intendevano come necessità filosofica. Rosenkranz am- mette che uno Stato senza tradizione storica come quello prussiano deve trovare i propri principi nello spirito, e quindi nella filosofia. Anche Gans afferma che «lo Stato prussiano non può essere altro se non intelligente», e la sua istituzione più rappresentativa, coerentemente, è l’università di Berlino. Nonostante ciò, «lo Stato autoritario non venne mai messo in questione da Hegel e dai suoi seguaci». Ci si contentava «dello Stato di diritto e di cultura sotto il tetto dello Stato autoritario». Nel complesso, il pensiero politico degli hegeliani di destra ha un fondamento filosofico e le riflessioni sul concetto di Stato del maestro sono un punto di riferimento costante, anche se questa dipendenza diminuisce progressivamente partendo da Erdmann per arrivare a Gans. Nel caso di Heine, l’attenzione rivolta all’aspetto costituzionale della monarchia rivela una tendenza democratica volta ad arginare l’assolutismo, mentre gli hegeliani di destra pongono maggiormente l’accento sul principio monarchico. Non è ad ogni modo l’aspetto costituzionale, sul quale il poeta ritorna più volte, ad allontanarlo da Hinrichs o da Gans, ma il rifiuto di riconoscere l’attuazione dell’ideale nelle monarchie realmente esistenti. Il realismo heiniano evita le contraddizioni degli hegeliani di destra, che non riescono ad armonizzare la prassi politica con la teoria. «Particolarmente nella diversa chiave di lettura delle guerre di liberazi-
PAOLA FERRUTA one da Napoleone si esprimono queste differenze». Per Heine queste ultime mostrano in nuce i loro presupposti reazionari. Il poeta aveva visto (insieme ad Hegel) in Napoleone il figlio della rivoluzione francese e lo aveva criticato nel momento in cui ne aveva tradito gli ideali. Su questo punto va sottolineata l’affinità fra Heine e Hermann Hinrichs, i quali vedono nel momento storico delle guerre di liberazione la prima vittoria concreta dell’ideologia tedesca, la prima volta in cui la filosofia tedesca diviene effettivamente pratica. Hinrichs ne stimava particolarmente il volkstümliches Element, «l’implicazione fichtiana»: malgrado riconosca a Napoleone (e alla rivoluzione francese, con il «suo mandato nella storia mondiale») il merito di avere creato la «possibilità di uno Stato di diritto e di pensiero in una forma costituzionale», la mancanza dell’elemento di “carattere popolare” aveva fatto sì che questa “possibilità” rimanesse allo stato potenziale e che si dovesse arrivare alle guerre di liberazione per completare il processo all’insegna di una peculiarità “popolare” e tedesca a un tempo. Per Heine le cose stanno diversamente. Le guerre di liberazi- one avevano spazzato via quanto di positivo la rivoluzione francese aveva portato con sé, “l’autodeterminazione” dei popoli era stata manipolata e si era abusato del pathos nazionale nell’interesse della reazione. Nel suo pensiero, secondo Hengst, la battaglia per l’unità nazionale, der Kampf für das Vaterland, passa in second’ordine rispetto alla libertà sociale a causa del suo pronunciato liberalismo. Lübbe dà una chiara definizione della differenza fondamentale che intercorre tra Heine e Hinrichs: Ma […] diversamente […] da Heine, il quale si aspettava un’armonizzazione della prassi tedesca con la propria filosofia solo nel futuro, Hinrichs credeva di poter interpretare l’insorgere delle guerre di liberazione già come una manifestazione politica pratica dei principi della filosofia tedesca. A tutto ciò va aggiunta la nota ostilità di Heine nei confronti dello Stato prussiano, e alla luce di questa vanno interpretate le sue considerazioni sul periodo napoleonico e le guerre di liberazione in Germania. La defi- nizione hegeliana che vedeva il popolo in quanto Stato rappresentare il potere assoluto sulla terra segna il confine tra la visione del filosofo e la diversa analisi heiniana, che dà maggiore importanza alla diversificazione delle classi sociali e al bisogno di emancipazione da parte di alcune di esse. Hegel sacrifica «l’uomo al cittadino». Il filosofo e il poeta intendono diversamente il concetto di sintesi e lo mettono in relazione ad aspirazioni politiche contrastanti. Per entrambi l’emancipazione non può realizzarsi per mezzo della semplice, astratta negazione di valori. Hegel accetta la funzione della rivoluzione francese vista come presupposto di una visione dello Stato che accetta il principio della libertà e ne fa un momento
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO costitutivo di «tutti i futuri ordinamenti giuridici e politici durevoli e produttivi»; allo stessso tempo, però, essa si dimostra incapace «di portare costituzioni accettabili». Per Hegel e i suoi seguaci essa e la sua riuscita sono delegate allo Stato, che nel caso specifico è quello prussiano; Heine invece con la categoria di sintesi intende prima di tutto una emancipazione individuale. Ciò rafforzerebbe il suo legame intellettuale con la tradizione “umanistica” dell’illuminismo, che in Germania non trovava adeguato canale di espressione nel campo delle teorie politiche. Il confronto con gli hegeliani di destra, nel caso di Heine, interagisce in certo senso con il rapporto con il sansimonismo e con la critica heiniana alla religione. Il concetto stesso di sintesi subisce l’influenza della termi- nologia sansimoniana. Per il poeta la religione rappresentava la libera messa in atto della democrazia, l’aspetto politico e sociale del messaggio cristiano; il concetto di religione comprende «le sfere dello spirituale e dell’umano allo stesso tempo come innalzamento del naturale». In modo analogo gli hegeliani di destra protestavano contro l’atteggiamento spiritu- alista e razionalista dello stesso idealismo. Egli, però, si trovava da sempre oltre la moderata critica alla religione dell’idealismo e da questo punto di vista può essere considerato un hegeliano di sinistra, avvicinandosi a Michelet nel trattare il problema religioso, rispetto al quale dimostrava comunque più vigile attenzione ai movimenti sociali e maggior sensibilità politica all’importanza della rivoluzione di luglio in Francia. Heine si riteneva probabilmente intorno agli anni Trenta un sosteni- tore di determinate idee politiche e quindi coinvolto dall’attività dei partiti; non si annoverava tra gli imparziali “grandi uomini”. Costoro comprendono lo Zeitgeist nella sua pienezza e rimangono al di fuori della scena politica pur seguendone attentamente le vicende. Il poeta di Düsseldorf può essere definito un aristocratico della cultura: attendeva in Germania la salvezza da parte di una sorta di aristocrazia intellettuale, un’élite di spiriti scelti che avrebbe dovuto prendere e gestire il potere. Questo attivismo avvicina il poeta agli hegeliani di sinistra. Nonostante le riserve espresse da Miss Butler (autrice di un’analisi del sansimonismo in Germania ed in particolare dei rapporti di Heine con questo), le sue opinioni filosofiche dei primi anni sembrano avvicinarlo ad Hegel piut- tosto che ai sansimoniani. In particolare Heine diverge nettamente dai sansimoniani restando fedele all’idea della rivoluzione come strumento di progresso sociale. Il nesso tra hegelismo e sansimonismo nella biografia heiniana pare indissolubile, come osserva Jean Pierre Lefebvre: A questo hegelismo bisogna ricollegare anche la sua simpatia per la filosofia di Saint-Simon verso la fine degli anni Venti e all’inizio degli anni Trenta. Nel san- simonismo Heine vedeva una possibilità di avverare politicamente l’hegelismo,
PAOLA FERRUTA in questo ritorno all’antica sensualità, nella riabilitazione della materia, l’unica via verso la Aufhebung della ascesi cristiana. La speranza del poeta di vedere attuata una rivoluzione con esito mod- erato si attenuò ogni giorno di più. Il crescente scontento nei confronti della monarchia di luglio francese logorò il mito dell’istituzione monar- chica. Se da una parte la prospettiva della rivoluzione divenne sempre meno allettante, dall’altra egli ne constatò la fatale necessità, ritenendola una giusta punizione per l’umanità che non aveva saputo comprendere la sua “nuova dottrina”. Essa rappresentava ciò che Paolo Chiarini ha definito una sorta di «riduzione antropologica» della dottrina sansimo- niana. Il gioco di Heine con il fantasma dell’orrore rivoluzionario è, secondo Chiarini, un godimento quasi macabro, in cui si manifesta una caratteristica Schadenfreude. Furono proprio l’osservazione quotidiana della politica francese, il sempre più concreto avanzare del conservator- ismo in Germania all’inizio degli anni Trenta (il decreto del Bundestag del giugno imponeva forti limitazioni alla libertà di espressione e una lettera di Genz all’editore Cotta biasimava l’estremismo di Heine negli articoli sulla Francia), a indurre il poeta a considerare il costituzi- onalismo parlamentare affetto da troppe carenze strutturali: la monarchia non poteva più costituire un ideale politico valido e l’alternativa più soddisfacente sembrava il sistema del cesarismo, in cui il sovrano guida l’esecutivo con piena responsabilità. Heine rimase un democratico per tutta la vita: questa convinzione può convivere assieme ad idee divergenti, contraddittorie soltanto ai nostri occhi, ma compatibili ai loro albori, quando si trovavano in un unico crogiolo. Giorgio Tonelli definisce il cesarismo heiniano la «transazione» di assolutismo e democrazia, del principio di uguaglianza ed aristocrazia, uguaglianza e ineguaglianza, autorità e libertà. Basterebbe seguire le orme di «Macaulay, dei Rohmer e di Treitschke» fino ad oggi per riac- costare i termini apparentemente antitetici di un discorso su libertà e autorità, progresso e conservazione, «in quanto la storia si è incaricata di dimostrare esaurientemente che tanto il parlamentarismo bipartitico (monarchia o repubblica parlamentare) quanto il cesarismo (bonapart- ismo, Volkskönigstum) sono rami del medesimo albero». Le pagine di Momigliano sul cesarismo servono principalmente da ammonimento, un invito a non scordare che, in fondo, il concetto di cesarismo appartiene solo ed esclusivamente al diciannovesimo secolo ed è difficile rapportarlo all’antichità classica. In ogni caso l’idealizzazione heiniana tendeva ad arricchire questo concetto, ispirandosi, tra l’altro, al mito di epoche as- sai lontane. Heine non è stato certo l’unico ad interessarsi ad esso: basti ricordare Max Weber, Hans Kelsen, Carl Schmitt, che hanno tentato di risolvere il problema della democrazia sotto l’aspetto del Führertums.
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO Heine definì il cesarismo di Napoleone «nuovo» e seppe darne un quadro che ne elogia l’ideale socialista-meritocratico: Sotto un certo riguardo Napoleone fu un imperatore sansimoniano; destinato egli stesso al comando in virtù della sua superiorità intellettuale, favorì soltanto il dominio delle capacità ed ebbe di mira il benessere fisico e morale “delle classi più povere e più numerose”. Le immagini dell’uomo «grande e giusto» che incorrono frequenti negli scritti di Heine, paiono indicare una preferenza per il cesarismo democratico progressista e prefigurare l’avvento al potere di Luigi Na- poleone, esprimendo la predilezione per il «culto della personalità» tanto in voga in quel periodo. Iggers ha escluso una vera e propria vicinanza ideologica con i sansimoniani perché il “liberale” Heine era fin troppo estraneo all’autoritarismo totalitario del socialismo nascente (secondo Iggers «prefascista») e a una visione opprimente della religione come quella proposta dalla «nuova Chiesa». Eppure «nel contesto del culto napoleonico di Heine non è in alcun modo sorprendente il suo flirt con i sansimoniani e le loro idee». Non bisogna dimenticare, però, che il poeta di Düsseldorf pagò in termini di conflitti politici e sociali le sue idee politiche, e l’amore per Napoleone lo fece cadere in disgrazia pro- prio presso i teutomani, i nazionalisti estremisti, forse i veri cultori di un titanismo pericolosamente irrazionale. Heine, che non si rassegnava alla delusione procurata dall’evoluzione negativa subita dal governo di Luigi Filippo, condivise con i sansimoniani le speranze cesaristiche nei con- fronti del giovane duca di Orléans, disilluse dalla sua morte prematura. A questo punto della biografia heiniana la lotta per l’eguaglianza contro i privilegi pare sostituire ogni altro interesse politico. Perfino la riforma delle istituzioni governative passa in secondo piano. L’assolutismo come la democrazia sono ritenuti, come è stato brevemente illustrato, compatibili con la sovranità popolare. È in questo contesto che la figura di Napoleone assurge a rappresentare il prototipo dell’“imperatore sansimoniano”, il cui esercito è espressione di una gerarchia basata sulle capacità individu- ali. Heine aveva saputo comprendere il profondo legame del popolo francese con il bonapartismo, un ideale cui il poeta tedesco restò fedele fino alla fine dei suoi giorni. Il mito del Volkskaiser aveva continuato ad esprimere in una certa misura gli ideali della rivoluzione, aveva saputo disciogliere le barriere dell’assolutismo per avvicinarsi alle masse che lo avevano riconosciuto e amato. In una lettera a Laube del luglio , Heine ripeté che il benessere delle masse era più importante della forma di governo: mano a mano divenne più consapevole della rilevanza dei problemi economici mentre diminuiva il suo interesse per le questioni meramente politiche. Nell’introduzione all’edizione francese dei Reise-
PAOLA FERRUTA bilder (), scrisse che la politica andava concepita in termini di classe, e che il motto del era obsoleto. Anche secondo Sengle, l’uguaglianza sociale è per Heine il criterio decisivo; di fronte ad esso l’uguaglianza giuridica formale auspicata dalla repubblica liberale passa nettamente in secondo piano. La sua sfiducia nei confronti del repubblicanesimo si intreccia nel corso degli anni Trenta alla delusione per il tradimento della borghesia, di cui mette in discussione il ruolo privilegiato. Con il passare del tempo l’interesse sociale caratteristico delle opere presansimoniane divenne centrale nel pensiero di Heine. L’incontro con gli hegeliani di sinistra ed altri personaggi a lui più affini contribuì a fargli vedere la realtà politica in termini di interessi di classe e di forze economiche, a fargli presagire la rivoluzione comunista del proletariato affamato che minacciava di cancellare ogni tradizione culturale. Solo “idee sociali” e riforme significative potevano fermare la catastrofe. In questa atten- zione alla dimensione sociale Heine si accorda con le considerazioni di Lorenz von Stein. Questi riconobbe in Saint-Simon il primo che riuscì a comprendere che la forma di governo è secondaria rispetto alla primaria importanza dell’ordinamento sociale. Fu anche il primo a concepire l’industria come fondamento della società ed a parlare della necessità di liberarla dai parassiti sociali. Anche se le opere heiniane dell’inizio degli anni Trenta possono sembrare superficialmente sansimoniane (Die romantische Schule e Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland), secondo Ig- gers rientrano essenzialmente nella tradizione liberale dell’Illuminismo, criticata dai sansimoniani come un sintomo dell’età critica. Nonostante le critiche di Enfantin, capo carismatico della setta, Heine ribadì in una lettera a Laube il ruolo secondario della politica e la sua visione etica e sociale della religione, ricordando di essere stato definito dallo stesso Enfantin Kirchenvater der Deutschen. Il “Globe”, la rivista parigina edita dai sansimoniani e conosciuta anche nei salotti berlinesi, scrisse che Heine era l’intellettuale tedesco che aveva meglio di tutti gli altri saputo comprendere il sansimonismo. Anche in una lettera a Varnhagen del maggio , Heine confidò all’amico di interessarsi “propriamente solo per le idee religiose” dei sansimoniani, mentre “la parte politica” della dottrina, la teoria riguardante la proprietà, verrà in futuro “meglio elaborata da mani più capaci”. Iggers tiene a puntualizzare che la “Giovane Germania” ed Heine fecero riferimento soprattutto a concetti religiosi ed estetici sansimoni- ani (rispetto ai Giovani hegeliani l’interazione è meno complessa) e solo occasionalmente alle dottrine politiche da cui derivavano, fondate su premesse inaccettabili per gli autori tedeschi. Costoro interpretavano in modo diverso e con spirito ben più liberale l’estetica e la religione di
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO quella che aveva voluto soprattutto essere un’ideologia politica. Heine non volle comprendere come le convinzioni sansimoniane potessero conciliarsi con la partecipazione ad imprese capitalistiche e il suo risentimento per gli esponenti del movimento, che erano diventati rispettabili borghesi milionari (Heine se la prese anche con i Pereire che gli rifiutarono un prestito), lo portarono ad eliminare la dedica ad Enfantin nella seconda edizione di De l’Allemagne nel . Negli anni Quaranta l’uso della terminologia sansimoniana tende a rarefarsi. Il conflitto tra spiritualismo e sensualismo venne sostituito da quello tra due tipi di personalità: Nazareni ed Elleni. Questa interna lac- erazione, o meglio, questa antitesi tra diversi caratteri e scelte altrettanto diverse, si trova anche nell’opera di Büchner. Tale “polarità ideologica” lasciava trasparire dai protagonisti del suo dramma Dantons Tod la con- trapposizione tra “l’edonista Danton” ed il “messia della virtú” Robespi- erre. Cazzaniga osserva in proposito che nell’opera di Heine il ricorso all’opposizione Nazareni/Elleni potrebbe essere derivato da Enfantin (tesi di Mehring) e che linguaggio e concezioni del poeta tradiscono influssi eterogenei: i Nazareni romani, la letteratura radicale del Settecento, la letteratura libertina e massonica. «Questo gioco di allusioni rimanda ad un filone di letture heiniane su cui finora l’attenzione è stata debole». La portata dell’influenza del credo sansimoniano su Heine è assai controversa: i critici sembrano dividersi di fronte alle possibili ascendenze hegeliane o sansimoniane, anche se spesso non in modo preciso. Se si esaminano concretamente le occasioni di scambio e di contatto, queste si limitano ad incontri pubblici, soirées, alla nota dedica ad Enfantin dell’edizione francese di De l’Allemagne, ad un paio di articoli apparsi sul “Globe”. I riferimenti alla “setta” sansimoniana non sono necessari- amente accompagnati da un particolare pathos ed il poeta sembra ignorare le logoranti lotte intestine che si svolgevano nel gruppo. L’ideologia dei sansimoniani all’inizio degli anni Trenta non coincideva con quella del maestro, pur traendone l’ispirazione fondamentale. Infatti Saint-Simon non elaborò mai un sistema vero e proprio, mentre i suoi seg- uaci prospettavano una società in cui doveva realizzarsi l’organizzazione sistematica di tutte le attività umane, rette da un’autorità centralizzata e gerarchica. Essa si sarebbe servita di un sistema bancario ugualmente centralizzato che avrebbe cooperato con un sistema di istruzione pub- blica atto ad educare dogmaticamente le masse a raggiungere le mete della società. Ogni cittadino avrebbe trovato il suo posto nella gerarchia sociale in base al suo personale talento. La figura del salariato sarebbe scomparsa, lo status giuridico di proprietà avrebbe subito: Il sansimonismo, mentre si apprestava ad abolire lo sfruttamento dell’uomo
PAOLA FERRUTA sull’uomo, delineò un potenziale strumento per il più sistematico dispotismo dell’uomo sull’uomo. Il pensiero controrivoluzionario cattolico giocò un ruolo rilevante nella formazione dottrinale della nuova Chiesa, così come il pensiero illumini- sta. Nelle visioni della “setta” erano presenti elementi antirazionalistici e antilibertari, non riconducibili agli scritti di Saint-Simon. L’intero proc- esso storico veniva a configurarsi come una linea di sviluppo progressivo scandito dalla successione di periodi organici e critici, che avrebbero portato il genere umano all’“associazione universale”: l’associazione di tutti gli uomini sull’intera superficie della terra in tutti gli ambiti della loro reciproca interazione. Il valore della religione rimane centrale in questo grande affresco dove l’intera sfera politica finisce quasi per assumere un aspetto religioso, la finale associazione unitaria rappresenterà un tutto in cui ogni cosa sarà parte di Dio e dove tutti gli uomini uniti da un legame universale saranno rappresentati dalla nuova Chiesa. Questa ricerca di armonia universale trovava modo di esprimersi anche attraverso le istanze emancipatorie concernenti la sfera sessuale, in cui si concretava la crisi delle convenzioni e dei rapporti sociali dell’epoca. Heine fu notevolmente impressionato dalla forza d’impatto del movi- mento. Pare che la lettura ad Amburgo dell’opera di Bazard, pervenutagli tra le mani in circostanze tuttora non chiarite, contribuì a fargli prendere la decisione definitiva di partire per la Francia. La lettura della Doctrine saint-simonienne risale alla fine di gennaio del e può essere consid- erata il fattore determinante che spinse il poeta a mutare atteggiamento quanto al possibile abbandono della Germania. Essa offriva un balsamo psicologico al suo amor proprio ferito, in un momento in cui la possibilità di assicurarsi una posizione sociale e professionale in patria era sfumata ma l’alternativa dell’espatrio appariva ancora in una luce sgradevole. Il ruolo dell’artista veniva ampiamente riconosciuto nell’esposizione della dottrina. Infatti, dopo appena tre mesi, Heine passò ad esprimersi entu- siasticamente, a parlare di heilige Gefühl e di neue Religion. Affinità e differenze di Heine rispetto ad Hegel o al sansimonismo risultano particolarmente evidenti considerando l’atteggiamento di questi ultimi nei confronti dell’ideologia critica dell’Illuminismo. Enfantin, ad esempio, criticò la forma espressiva del Persiflage e la frivolezza in genere, vedendo addirittura nel ricorso di Heine a Spinoza una componente deprecabile di quell’ideologia, un fermento filosofico rivoluzionario. Lukács osserva che non bisogna attenersi esclusivamente ai testi heiniani dove si fa esplicita menzione di Hegel. L’intera concezione della storia (il modo di vedere i Greci e il Cristianesimo, il
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO significato storico del Rinascimento, della Riforma, della rivoluzione francese, Napoleone) e l’intera teoria dell’arte heiniana (antagonismo tra antichità e mo- dernità, concezione del Romanticismo) si sono definite attraverso Hegel. Nel caso di Heine il tentativo di superare l’aderenza alla tradizione il- luministica che si manifesta nella polemica contro clero e nobiltà passa attraverso il confronto con l’idealismo in uno sforzo di tener conto delle mutate condizioni storiche della Restaurazione rispetto a quelle della Francia prerivoluzionaria. Un punto di contatto con Hegel consiste nella volontà di risanare la frattura tra Illuminismo e Restaurazione. Per Heine la necessità di un ritorno a Spinoza non nasce solo dal riconoscimento dell’esemplare unione tra filosofia e politica nelle sue opere – come per gli hegeliani di sinistra che dovevano servirsene per fondare la Philosophie der Tat – il ricorso del poeta a questo filosofo deriva invece dalla singolare compresenza nel suo pensiero di aufklärerische Ideologiekritik, panteismo (non materialismo) ed edonismo. Lo spinozismo è importante per la sua capacità di arrivare a chiedere cambiamenti sociali e nuove istituzioni a favore «della classe più povera e più numerosa». Heine concorda anche con le interpretazioni di Hegel e Feuerbach che scagionano il panteismo spinoziano dall’accusa di ateismo. Feuerbach, rifiutando il concetto ide- alistico di sensualità come semplice recettività, si avvicina più di tutti gli altri hegeliani di sinistra all’idea heiniana del sensualismo come polemica contro ogni genere di pensiero senza presupposti empirici, che non tiene conto della imprescindibile esperienza nel mondo. Naturalmente quello che Hengst definisce il «materialismo antropologico» di Feuerbach non coincide con il concetto di sensualismo proprio di Heine; questo riferi- mento consente, però, di accostare la Zeitkritik heiniana alla tradizione filosofica tedesca più che a Saint-Simon e alla sua scuola. Heine si serve di questa tradizione per condannare il deismo come «negatore dei sensi» (negazione, questa, che appare all’origine dell’estremo malessere della società occidentale a lui contemporanea) e proclamare un programma di «riabilitazione della materia». L’essersi avvicinato al socialismo utopistico francese, la “conversione” all’“emancipazione della carne” di Saint-Simon e Enfantin, rese più aderente alla sensualità della sua poesia la comprensione del mondo teorica. La religione naturale dei Germani, il “sensualismo” della rivolta dei con- tadini e degli anabattisti di Münster, la rivoluzione “di pensiero” di Kant e Fichte gettavano luce su una parte della storia tedesca niente affatto estranea alla realtà rivoluzionaria francese. Heine è destinato a rimanere sospeso ai limiti di un pensiero che si può definire, allo stesso tempo, prehegeliano e posthegeliano, anticipando la sorte della Philosophie der Tat degli anni Quaranta.
PAOLA FERRUTA La sua Weltanschauung è una sintesi particolare [si parla degli anni Trenta] di Hegel, Goethe e Saint-Simon, la cui tendenza principale è diretta, a dire il vero, contro il carattere di fuga dal mondo reale propria di tutte le religioni, ma che porta in sé tratti religiosi; forse questa ideologia ha in lui cominciato a radicalizzarsi attorno al , sotto l’influsso di Feuerbach e Marx, nella forma di un aperto ateismo; essa non può comunque essere definita materialistica in senso stretto. L’asse religiosità-ateismo si ripresenta nella Aufklärung tedesca a prop- osito della tensione dialettica tra radicalismo e teologia, analoga a quella riscontrata da Löwith nella sua analisi del messianismo marxiano. Anche Reinhart Koselleck riconduce una corrente del linguaggio politico della Aufklärung alla sua origine religiosa, poiché esso rimane essenzialmente «impregnato di teologia», considerazione che aiuta a comprendere «la radicalità della Spätaufklärung tedesca dei Giovani Hegeliani». Ciò non toglie che il significato e l’importanza della conoscenza delle teorie sansimoniane da parte di Heine non sia stato sempre riconosciuto, pur avendo cominciato ad emergere dopo la notevole ricerca di E. M. Butler. L’ormai classica biografia di Adolf Strodtmann volle giustificare, più di cento anni fa, l’attrazione per la Francia con gli aneliti rivoluzionari del poeta, risvegliati dai moti del luglio parigino, senza prendere in consid- erazione l’influsso esercitato da movimenti intellettuali contemporanei a Heine. Da allora la critica anche più recente ha continuato a sottovalutare l’importanza del pensiero protosocialista e il ruolo fondamentale svolto nella vita di Heine, non avendo forse presente il significato della dot- trina sansimoniana, completamente nuova per quell’epoca. Sternberger segue il percorso tracciato dalla Aufhebung der Sunde che, partendo dalle intuizioni di Fourier, poi sviluppate da Enfantin, riprese da Heine, porterà alla Umwertung aller Werte di cui parla Nietzsche culminando nell’analisi della personalità umana di Sigmund Freud. La volontà di «farsi prete» espressa da Heine nella prefazione ai Reisebilder (datata maggio ) era ciò che aveva impressionato favorevolmente Enfantin, indispettito dalle opinioni politico-religiose espresse dal poeta in De l’Allemagne. Egli la interpretò (cogliendo acutamente un’effettiva trasformazione nella Weltanschauung heiniana), come un segno di uno sviluppo o di uno spostamento da posizioni lib- eral-rivoluzionarie verso un punto di vista vicino ai sansimoniani, anche se nato dalla revisione del cosiddetto Priesterbegriff. Se il compito della figura del Priester fosse stato solo di risanare la Zerrissenheit dell’uomo moderno e ricondurlo all’armonia di una condizione di libertà senza anarchia e di stabilità senza egoismo, al superamento del «dualismo morale», all’emancipazione sessuale, Heine potrebbe essere considerato
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO un sostenitore di questa idea. Ma l’esperienza vissuta nella capitale franc- ese, a contatto con la realtà dei movimenti culturali che in seno ad essa prendevano vita e si trasformavano, dovette mutare anche il rapporto che Heine aveva inizialmente instaurato con i rappresentanti del pensi- ero sansimoniano ed il suo modo di porsi nei confronti dei suoi ultimi sviluppi. In un discorso con Heinrich Laube del maggio , Heine si espresse in modo chiaro: «Il fatto è che […] la gente non aveva alcun gusto: le arti stavano per loro solo sullo sfondo, noi poeti saremmo andati a picco nel loro Stato». Dolf Sternberger ipotizza un’evoluzione in senso restrittivo per quanto riguarda il ruolo dell’artista nella società, maturato in seno al movimento sansimoniano: nel Deuxième Année dell’Exposition l’artista venne ridotto ad essere «la parola del prete». Non è certo che Heine abbia letto il secondo volume dell’Exposition, ma senza dubbio questa concezione della funzione ancillare dell’arte rispetto alla religione sarebbe stata incompatibile con il suo modo di concepire il ruolo dell’artista nella società. Wolfgang Preisendanz ha dedicato un lungo articolo al tema dell’importanza della Autotelie e della Autonomie dell’arte nelle concezioni estetiche heiniane, che in nessun modo possono essere ac- comunate a quelle di un Sozialpoet . Questa precisazione non esclude la possibilità di considerare Heine uno dei primi engagierten Dichter della storia letteraria europea. Hegelismo e sansimonismo tendono ad essere separati come due mondi a sé stanti, alternative che si escludono a vicenda. In realtà il rapporto fra di loro non può essere enunciato in termini puramente concettuali, ma implica un intreccio complesso di relazioni personali e letture reciproche. Nel necrologio per la morte del filosofo nel , Gans afferma che i sansimoniani «conobbero, studiarono, utilizzarono» Hegel. Un discepolo di Saint-Simon, Gustave d’Eichthal (che entrò più tardi in rapporto con Bazard, il principale redattore della “dottrina”) venne ricevuto dal filosofo nel , proprio quando venivano tenute le lezioni sulla filosofia del diritto che contenevano quegli attacchi al capitalismo e al liberismo che costituiscono il trait d’union fra la teoria sociale hegeliana e il sansimonismo. A quell’epoca alcuni autori, in modi diversi, attribuiv- ano ad Hegel un contributo allo sviluppo delle dottrine sansimoniane. Si trattava di Schelling, Pierre Leroux (tanto stimato da Heine) e Rosenk- ranz. Tra i discepoli del filosofo berlinese, Gans, Carové, Rosenkranz ed altri approfondirono la conoscenza del movimento francese. Domenico Losurdo sottolinea non solo un’analogia tra Hegel e Saint-Simon, ma anche l’influenza diretta delle letture sansimoniane nel corso delle lezioni sulla filosofia del diritto, dove il Catechisme des industriels viene preso esplicitamente come termine di riferimento per un’autentica requisitoria
PAOLA FERRUTA a carico dell’Inghilterra. Anche negli Englische Fragmente di Heine () l’Inghilterra mos- tra il suo volto di “macchinario senz’anima: un paese in cui il dominio borghese si è innestato su quello feudale senza soluzione di continuità”. La critica all’“egoismo” inglese ricorda espressamente i sansimoniani. Infatti «un unico filo conduttore sembra collegare il giudizio sull’Inghilterra di Saint-Simon, Hegel, Heine [che riconduce] agli ambienti della “sinistra” europea». Esistono prove di una possibile lettura dei Frammenti inglesi da parte del filosofo berlinese: notevole importanza ha anche la conoscenza personale fra Heine e il maestro, maturata frequentando entrambi il noto salotto di Rahel Varnhagen von Ense. Ciò dovette senz’altro influenzare la mentalità dello studente, ancora in formazione. Certo è che «Heine non è mai stato un hegeliano senza alcuna remora»; se, da una parte, Heine rifiuta di accettare in blocco le idee del filosofo, dall’altra non perviene ad un autentico superamento delle posizioni idealistiche. Benché la modificazione della filosofia hegeliana porti all’attesa di una prossima rivoluzione, altre concezioni del filosofo rimangono centrali nella visione del poeta, legata “sentimentalmente” all’istituzione monarchica. L’influsso delle lezioni berlinesi resterà molto forte per tutta la vita. Come nel caso di Hinrichs e Gans, il rapporto con l’istituzione mo- narchica si rivela nuovamente emblematico per distinguere la posizione di Heine da quella del giovane Marx. Ciò che li divide è l’istintivo bisogno di Heine di conservare questa istituzione legata alla persona singola, per Marx giustificata solo dall’arbitrio. La critica della filosofia del diritto hegeliana era rivolta infatti allo Stato impersonato dal monarca. Jean Pierre Lefebvre sostiene che l’ammirazione di Heine per la monarchia costituzionale si rifà in parte alla concezione dello stato hegeliana, ma anche al mito sempre vivo della rivoluzione del , della quale vedeva la vittoria definitiva nella rivoluzione di luglio, non intesa come salita al potere della borghesia trionfante, ma come attuazione dell’idea di rivoluzione. Ugo Rubini vede in questa sorta di attaccamento alla figura del sovrano la testimonianza di alcuni tratti dell’ottimismo tipicamente russoiano, che altri smentirebbero o metterebbero in dubbio a causa del legame osservato più volte tra Rousseau e l’estremismo giacobino, assolutamente inviso al nostro poeta. Malgrado ciò, gli influssi di questo pensatore sui radicali e rivoluzionari interessati ai problemi dell’arte si fanno sentire, come dovette osservare lo stesso Engels nel suo Anti-Duhring del , in cui si meravigliava di come Rousseau avesse per certi aspetti anticipato Marx, benché il pensatore ginevrino ritenesse inevitabile una rivoluzione
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO causata dagli antagonismi di classe pur senza auspicarla, preferendo i modi di una lenta evoluzione, consentiti da una riacquisita padronanza del destino da parte dell’uomo, nel quale nutriva fiducia. Heine coglie senza troppe difficoltà il «tratto giacobino nel socialismo europeo» e comprende come il comunismo francese durante la monarchia di luglio sia Kind des Republikanismus, individuando un atteggiamento ascetico-egualitario che da Rousseau, passando attraverso Robespierre, arriva ai repubblicani alla Börne, per poi confluire nel grande amalgama del comunismo nascente. Come il «serio, rousseauiano Saint-Just odiò lo spiritoso, fanfarone Desmoulins», così «il casto, incorruttibile (era la reincarnazione di Rousseau) Robespierre detestò il sensuale, corrotto Danton»; Heine in questo modo continua ad opporre il «Rousseauischen Rigorismus» alla «Voltairesche légèreté». La sua simpatia per il più tipico esponente dell’età dei lumi lo tiene saldamente ancorato a quell’epoca, troppo distante per altri pensatori nati dopo di lui, ad esempio lo stesso Marx. Anche il giovane Marx, appena giunto a Parigi, non può fare a meno di constatare l’impostazione babouvista del comunismo francese e, come Heine, ne critica aspramente la rozzezza. Höhn sottolinea quanto intensamente il poeta si fosse interessato all’hegelismo di sinistra nel corso degli anni Quaranta (nella sua biblio- teca si trovavano libri di Feuerbach, Hegel, Rosenkranz). L’influsso della sinistra hegeliana su Heine lascia tracce evidenti nel biennio - ed ha a che fare principalmente con l’immagine del maestro, lo Hegelbild. Ciò emerge nei Briefe über Deutschland, frammenti frutto di riflessioni successive al viaggio ad Amburgo del , pubblicati soltanto nel . La messa a punto di questo nuovo ritratto del maestro è vicina agli scritti di Bauer, che negavano l’interpretazione panteistica della Identitätslehre hegeliana in Strauss e intendevano dare agli insegnamenti del maestro una valenza schiettamente ateista, leggendo l’intera filosofia hegeliana come istigazione alla rivolta. Partendo dai presupposti tracciati da David McLellan, Reeves individua la strada verso il futuro in una nota della dissertazione del del giovane Marx, nella quale egli menziona il problema dello Hegel “esoterico”, nascosto dietro la facciata “essoterica”. Il ritratto di Hegel come rivoluzionario nascosto è contenuto infatti nel testo pubblicato da Bauer nel novembre del , Die Posaune des jungsten Gerichts über Hegel den Atheisten und Antichristen, sebbene Auguste Cornu abbia indicato in Heine la fonte di ispirazione per il Doktorklub. Già nel il nostro autore aveva saputo individuare i germi rivoluzionari insiti nell’idealismo tedesco, profetando, come in altre occasioni, il futuro rivolgimento politico in Germania. Nel primo frammento, infatti, Heine stesso ricorda di essere stato il primo a dare un’interpretazione in senso rivoluzionario della filosofia hegeliana.
PAOLA FERRUTA In alcuni passi di Heine si possono riscontrare interessanti analogie con il testo di Marx pubblicato a Parigi nel marzo sui Deutsch- Französische Jahrbucher (sui quali apparve la satira politica heiniana più spregiudicata), Einleitung zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Secondo il poeta: La distruzione della fede nel cielo ha un’importanza non semplicemente morale, ma anche politica: le masse non sopportano più con pazienza cristiana la loro miseria terrena, vogliono invece la felicità su questa terra. Questa considerazione può essere messa a confronto con la rivendicazione espressa da Marx negli Annali di un wirckliches Glück e la critica des illusorischen Glücks del popolo. Ciò che il poeta non ha espresso nella satira poetica del Wintermärchen del viene certamente a galla nei Briefe über Deutschland: Ma non soltanto i razionalisti protestanti, perfino i deisti in Germania hanno risentito i colpi della filosofia quando essa ha diretto tutte le sue catapulte contro il concetto di Dio, come appunto ho mostrato nel mio libro De l’Allemagne. Inoltre, a proposito di Hegel: Solo più tardi compresi tali frasi. Così come solo più tardi compresi perché nella filosofia della storia aveva affermato che il cristianesimo era già un progresso, in quanto insegnava un dio che era morto, mentre gli dei pagani non avevano nulla a che fare con la morte. Quale progresso dunque, quando il dio non sarà esistito affatto! […] Il comunismo è quindi una conseguenza naturale di tale mutata concezione del mondo, e infatti si va diffondendo in tutta la Germania. Ed è un fenomeno altrettanto naturale che i proletari nella loro lotta contro l’ordine vigente abbiano come guide gli spiriti più progrediti, i filosofi della grande scuola; sono costoro che, passando dalla dottrina all’azione, fine ultimo di ogni pensare, formulano il programma. Che cosa dice questo programma? Da molto tempo io l’ho sognato ed espresso con le parole: “Noi non vogliamo essere né sanculotti, né borghesi frugali, né presidenti a buon mercato: noi fondiamo una democrazia di dei ugualmente splendidi, ugualmente sacri, ugualmente beati”. È proprio in questo periodo, intanto, che Marx si esprime favorevolmente nei confronti del comunismo. Marx non aderì al comunismo prima della pubblicazione dei Deutsch-französische Jahrbücher. Secondo McLellan, un terminus ante quem è costituito dai Manoscritti economico-filosofici, redatti nell’estate del ; da quel momento in poi il passo è compiuto e lo si può verificare leggendo il carteggio tra Marx ed Engels. Jean Pierre Lefebvre aggiunge che in questo periodo Marx si ac- costa alla lettura di «Say, Smith, Ricardo, James Mill ecc. Questa terza fonte del marxismo, di cui parla Lenin, rimase estranea ad Heine». La diversità che allontanerà Marx da Heine sarà prettamente filosofica:
HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO «questi non intese la portata antihegeliana della critica alla predicazione speculativa» come «non intese il valore né le implicazioni filosofiche del “rovesciamento” – come allora si diceva – della dialettica hegeliana», benché avesse analizzato profondamente le implicazioni politiche (necessità di passare dalla dottrina all’azione) ed ateis- tiche della posizione di hegelismo radicale (che tale per lui rimaneva la posizione di Feuerbach e dei comunisti) del -, e partecipasse dell’avversione di Marx (ecco un altro chiaro elemento d’influenza culturale di questi sul poeta) per i fanatici monaci dell’ateismo […] come, ad esempio San Bruno Bauer. Harich, ad esempio, si esprime in modo deciso, quasi dogmatico; Heine rimase per lui fermo al punto che divide i Giovani hegeliani dal socialismo scientifico e non assimilò il contenuto della “svolta” critico- rivoluzionaria che ebbe luogo in Marx nel a Parigi quasi davanti ai suoi occhi. L’interpretazione restrittiva delle convinzioni politico-eco- nomiche dell’artista fornita da Harich e da Lukács viene però criticata da Krüger. Il problema dell’adesione al comunismo (o perlomeno il fascino che l’idea comunista rivestì per Heine in quegli anni) è analizzato da Leo Kreutzer in un saggio fondamentale per questo aspetto della posizione politica heiniana; il suo interesse viene a coincidere con la rottura che il partito nascente aveva saputo attuare rispetto alla tradizione di tipo rus- soiano (questo accostamento era già stato evidenziato da Emmerich), che comportava un incontro tra la «grande scuola filosofica» hegeliana e il movimento del proletariato. Kreutzer tiene a distinguere rapporti con il comunismo e rapporti con Marx, i quali furono profondi e quasi sempre cordiali. Dolf Oehler si è spinto ancora più avanti, ironizzando sulla cecità generale della critica heiniana, incapace di comprendere il gioco retorico del poeta nello schermirsi di fronte ai comunisti, in realtà stimati. È stato il primo a notare che per Heine ciò che poteva essere «qualitativamente nuovo» all’interno del comunismo è concepito come un fenomeno «quasi esclusivamente tedesco», malgrado Lämke ritorni al concetto di Vermittlung, di matrice hegeliana, mediazione tra filosofia tedesca e francese, tra terra e cielo, tra «intelligenza borghese» e prole- tariato, attraverso la quale è possibile pervenire alla rivoluzione sociale auspicata da Heine, affinché «il verbo diventi carne». Negli ultimi anni l’attenzione degli studiosi non si è fermata sulla questione con il medesimo interesse; in generale l’ipotesi della diffidenza di natura estetica del poeta ha avuto più sostenitori. Il contributo degli studi francesi all’analisi dei movimenti rivoluzion- ari consente un maggiore approfondimento del rapporto di Heine con il comunismo dell’epoca, soffermandosi sulla loro autocritica interna a
PAOLA FERRUTA partire dal -, basata sul rifiuto della «rozzezza iconoclasta» e sulla consapevolezza dell’importanza dell’uguaglianza sociale. Le riflessioni heiniane si sviluppano sulla scia delle istanze democratico-rivoluzionarie neobabouviste, prolungamento ideale del riavvicinamento in atto tra le correnti babouviste e robespierriste. Nigel Reeves ha riassunto i principali punti di contatto tra Heine, Marx e gli hegeliani di sinistra, che a volte coincidono con quelli indi- viduati da altri nel confronto con gli hegeliani più moderati. Un’idea chiave è sottesa alle considerazioni sulle rivoluzioni politiche: il pensiero sempre precede l’azione, portandola già in nuce dentro di sé. Questo presupposto viene continuamente riproposto negli scritti heiniani, nel modo più suggestivo nella Fiaba Invernale del . «Il pensiero precede l’atto come il fulmine il tuono». Heine crede che il vero fine al quale la filosofia deve tendere sia la realizzazione pratica. Anche e soprattutto per questo ammira Lutero: «Era infatti un mistico sognante e un uomo pratico al contempo. I suoi pensieri non avevano solo ali, ma anche mani; parlava e agiva». Heine accusa spesso la Chiesa cattolica di avere separato il mondo pratico da quello spirituale; i primi Cristiani sbagliarono a porre l’accento sullo spirito, inteso come essenza del Cristianesimo, una overemphasis, come afferma Nigel Reeves, sulla Idee che non può arrivare ad una earthly fruition, con implicazioni catastrofiche. Sia la filosofia che la religione dovrebbero riuscire a concretarsi nella Praxis. Questo ci riporta ad un’idea comune a Marx e ai Giovani hegeliani. Nel alla base della Einleitung zur Kritik der Hegelschen Rech- tsphilosophie c’è la convinzione che la mente sia la forza portante nelle vicende umane: Marx continua ad essere un hegeliano di sinistra, come al momento della pubblicazione dell’articolo Der Kommunismus und die Augsburger Allgemeine Zeitung (ottobre ). Più tardi Marx negherà la grande importanza ora ascritta alle idee. La critica alla religione formulata da Heine precede di qualche anno quella degli altri hegeliani di sinistra: grande importanza assume l’immagine della cristianità intera vista come massa di oppiomani, nel saggio del su Ludwig Börne: Per uomini ai quali la terra non offre più nulla fu inventato il cielo […]. Mira- colo di questa invenzione! Miracolo di una religione che versa nel calice amaro dell’umanità sofferente alcune dolci, soporifere gocce, oppio della mente, alcune gocce d’amore, speranza, fede! Sternberger ritiene possibile che questa immagine sia legata ad alcune reminiscenze delle lezioni sulla filosofia della storia tenute da Hegel cui Heine assistette nel , quando cioè il grande filosofo descrisse l’intera vita spirituale degli Indiani come fuga in un mondo irreale, che d’altra
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