Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
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SOMMARIO gennaio- EDITORIALE 3 Esodo: cammino in uscita febbraio Luisa Deponti 2021 EMIGRAZIONE 6 Una storia diversa edizione italiana alle frontiere d‘Europa Anno XLVI n. 1 gennaio-febbraio 2021 Intervento del cardinale Francesco Montenegro direzione e spedizione: Missionarie Secolari Scalabriniane INTERVISTA Neckartalstr. 71, 70376 Stuttgart (D) 10 Umanità IninterRotta Tel. +49/711/541055 Con i migranti lungo redazione: M.G. Luise, L. Deponti, G. Civitelli la rotta balcanica M. Guidotti, A. Aprigliano A cura della redazione grafica e realizzazione tecnica: M. Fuchs, M. Bretzel, L. Deponti, 1961-2021 60° DELLE MISSIONARIE M.G. Luise, L. Bortolamai SECOLARI SCALABRINIANE disegni e fotografie: - ISTITUTO SECOLARE - Copertina e p. 3-5, 11, 13, 18, 26, 30, 32: 16 Abbiamo davanti un anno Pixabay; p. 6: Don Francesco Bigatti; p. 6: Jeffey Sciberras_English Wikipedia; speciale per ringraziare! p. 9, 16, 18-19, 20-21, 28-29, 33: archivio Maria Grazia Luise Missionarie Secolari Scalabriniane; p. 8: Annalisa Vandelli/Nexus; p.10, 13-15: Bar bara Beltramello; cartina p. 10-11: Inter- AMICI SULLE STRADE DELL‘ ESODO nazionale; p. 20, 22: Bistum Basel + jump 20 “Live” verbunden productions; p. 23-24: „Cannstatter Inzel“ www.bistum-basel.live Mobile Jugendarbeit; p. 23, 25: www. Anna Fumagalli stadtkirche-bad-cannstatt.de; p. 28: Mi- guel Ahumada; p. 31-32: Lucfier. GIOVANI Per sostenere le 23 Regalare gioia spese di stampa e spedizione Lorella Bortolamai contiamo sul vostro libero contributo annuale a: Missionarie Secolari Scalabriniane SPIRITUALITÀ * c.c.p. n° 23259203 Milano -I- 26 Ospitalità cristiana o conti bancari: A cura della redazione *CH25 8097 6000 0121 7008 9 Raiffeisenbank Solothurn -CH- TESTIMONIANZA Swift-Code: RAIFCH22 *DE30 6009 0100 0548 4000 08 28 Stage tra i migranti Volksbank Stuttgart -D- Thamiris Morgado Antunes BIC: VOBADESS Le Missionarie Secolari DAL VIETNAM Scalabriniane, Istituto Secolare 31 Speranze da proteggere nella Famiglia Scalabriniana, Marianne Buch sono donne consacrate chia mate a condividere l‘esodo dei migranti. Pubblicano questo periodico in quattro 34 PROSSIMAMENTE 2 lingue come strumento di dialogo e di incontro tra le diversità.
i siamo lasciati alle spalle il 2020 e ormai addentrati nel 2021, disseminato di incer- tezze e di timori. Certamente ogni nuovo inizio porta con sé attese e speranze. Che fare, perché non rimangano solo illusioni? In questo anno di pandemia abbiamo vissuto esperienze surreali come se ci trovas- simo in una serie di Netflix o in uno dei peggiori film catastrofici di Hollywood. Ma la realtà ha superato la fantascienza e ha bussato alla nostra porta: malattia, scom- parsa di persone care, disoccupazione, progetti e sogni infranti e, per molti, il venir meno dei beni necessari alla vita. Disperazione e depressione, ma anche coraggio di riprendersi, solidarietà che allevia la miseria e il dolore. Ma si può continuare come prima? La triplice crisi – socio-economica, ecologica e sanitaria – che stiamo attraversando riguarda tutti e tocca l’intera umanità, anche se c’è chi – ingiustizia tra le ingiustizie – sembra cavarsela meglio e anzi riesce ad aumentare i profitti personali. Ci potrem- mo chiedere: non cambia niente o forse siamo arrivati ad un punto di non ritorno? Eppure con questi interrogativi stiamo camminando con un dono inestimabile nelle nostre mani, un antidoto contro la morte. Sì certo, si potrebbe pensare al vaccino contro il COVID-19: un bene importantissimo frutto di ricerca, d’intelligenza e d’im- pegno da parte di tanti uomini e donne. Un bene che deve poter raggiungere tutti, anche i più poveri, se vogliamo cooperare alla trasformazione del nostro mondo. 3
Ma in questo momento della storia occorre qualcosa di più radicale, un salto quali- tativo per l’intera umanità. Specialmente come cristiani abbiamo qualcosa da dire, anzi soprattutto un dono da testimoniare: la vita nuova ricevuta dal battesimo. Non è moralismo o trionfalismo, secondo l’idea: “noi siamo i migliori”. Piuttosto si tratta di ri- conoscere e seguire in noi e nel mondo il dono trasformante, dalla morte alla risurre- zione, di Gesù. Un amore capace di portarci fuori da noi stessi, dal nostro egoismo: un amore che trascende la nostra vita limitata, mentre ci apre la via verso una dimen- sione di eternità divina. Questo amore, che è stato iniettato nelle no- stre vene, ci permette di uscire dai nostri cir- cuiti chiusi, di superare le distanze, di non ave- re paura di cambiare per liberare una nuova creatività, anche rima- nendo per il momento ancora chiusi in casa. Tale amore ci permette di non evadere dall’og- gi, ma di assumerci fino in fondo la responsabi- lità di contribuire ad un mondo nuovo. Proprio nel 2020 Papa Francesco ci ha rega lato l’Enciclica Fratelli tutti: attualizzazione del Vangelo e del Concilio Vaticano II nel nostro momento sto- rico. Egli non ci offre tutte le risposte, ma ci indica il cammino, mentre ci invita alla speranza e al coraggio di avviare dei processi di cambiamento. È la proposta di una rifondazione culturale in cui la fraternità diventa il principio dei rapporti interpersonali e sociali, a livello locale e globale, seguendo il metodo del dialogo e avendo come obbiettivo il bene comune per tutta l’umanità, senza esclusioni. “L’amore, infine, ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matu- ra né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’a- more esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8)” (Fratelli tutti, nr. 95). L’esodo, “cammino in uscita…”, contraddistingue la nostra spiritualità scalabriniana, mentre segnala il movimento essenziale per la vita di ogni persona: dalla nascita fino alla morte, passaggio che ci porta alla piena comunione con Dio. È il percorso essenziale di ogni cristiano che testimonia il proprio battesimo, vivendo come tralcio inserito nella vite, per formare un solo Corpo con Gesù: il quale prolunga in noi la Sua Vita di amore per l’umanità. 4
“Dio si prende cura del nostro venir fuori da noi stessi, offrendoci diverse occasioni che ci possono liberare e liberare il mondo intorno a noi. (...) Una persona che si allena a consegnare la vita e a far spazio all’altro può ricevere, sempre di più e insieme, il dono prezioso della comunione, la vita felice di Dio che trasforma il mondo. L’esodo, allora, è e diventa sempre più la chiave necessaria della nostra missione” (Adelia Firetti, Esodo: parola del cuore, 31/12/2020). I migranti sono un “segno dei tempi” che ci parla di un’uscita necessaria a tutti per salvare e far crescere la vita, non solo di chi parte costretto da violenze e miserie, ma anche di chi accoglie o comunque si dilata in un esodo da se stesso per una visione di giustizia globale per l’umanità: un’uscita verso la vita vera per amore. Condividendo la vita con i migranti, anche il nostro Istituto di Missionarie Secolari Scalabriniane ha percorso 60 anni di storia dal primo sì a Dio senza condizioni da parte di Adelia (25 luglio 1961), con il quale ha avuto inizio un cammino missionario di progressiva apertura, pur nella nostra piccolezza, a tanti popoli e culture, in campi di missione e paesi differenti. Ancor di più l’esodo si è tradotto in un cammino di spi- ritualità, vita affidata allo Spirito, per fare spazio nel quotidiano a passi sempre nuovi a servizio della pace, frutto della comunione tra le diversità. Dalle pagine di questo numero di “Sulle strade dell’esodo” emergono parole chiave, esperienze, proposte raccolte camminando con tanti amici, giovani e migranti, che ci testimoniano la possibilità di uscire da se stessi, per allargare spazi di fraternità. Parole come ospitalità, vicinanza, condivisione, sproporzione vissuta con fede, ri- cerca di nuove strade di annuncio del Vangelo... sono vie necessarie per cambiare la storia. Avvenimenti e sogni, piccoli o grandi, che abbiamo raccolto nella certezza che ogni esodo da noi stessi ci porta ad accoglierci gli uni gli altri, per diventare “fratelli tutti”, fino a sentire che stiamo camminando come popolo di Dio, tutti figli di un unico Padre. Luisa 5
e l’emergenza sanitaria da una parte contri- buisce ad isolare, dall’altra suggerisce nuove possibilità di contatto. Il 4 febbraio scorso si è potuto così realizzare un webinar che ha collegato relatori e pubblico da varie parti d’Italia e anche dall’estero. “Mediterraneo e Balcani: frontiera, accoglienza e inclu- sione” era il tema dell’incontro, che chiamava in causa le politiche internazionali (frontiera), quelle nazionali (accoglienza) e la compagine sociale (inclusione), sotto- lineando le reciproche influenze in questi ambiti. Organizzato da Migrantes Sicilia, in collaborazione con le Migrantes di Agrigento e Go- rizia, l’incontro a più voci ha messo a tema le zone di arrivo degli immigrati alle frontie- re opposte d’Italia: il nord-est e l’estremo sud. Diverse le con- dizioni (la frontiera balcanica si attraversa a piedi in un clima invernale proibitivo, mentre nel Mediterraneo centrale si muo- vono barche e canotti), uguale la politica di chiusura che ester- nalizza le frontiere e opera re- spingimenti illegali, anche con efferate violenze soprattutto tra Croazia e Bosnia. Tutto que- sto è stato messo in evidenza da relatori di sicura competen- za come Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire, autore di coraggiose inchieste; Gianfran- co Schiavone dell’ASGI, Mauri- zio Ambrosini, noto sociologo 6
dell’Università Statale di Milano e Alessandra Sciurba dell’Università di Palermo. Han- no completato il quadro le “Voci dai territori”: don Valter Milocco da Gorizia e Mario Affronti, Direttore Regionale Migrantes dalla Sicilia. L’incontro è stato aperto dal saluto del card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento, e si è concluso con l’intervento di mons. Antonio Staglianò, Vescovo dele- gato per le Migrazioni della Conferenza episcopale siciliana, cui si è aggiunta la voce di mons. Carlo Redaelli, Arcivescovo di Gorizia. Sensibili all’appello proveniente da questa parte di umanità calpestata nei diritti e nella dignità, hanno ricordato come la voce autorevole di Papa Francesco - in particolare nell’enciclica “Fratelli tutti” - non si stanchi di richiamare alla responsabilità collettiva, che ormai deve esercitarsi a livello mondiale. Di seguito riportiamo l’intervento del card. Montenegro1. «Grazie perché mi avete invitato a prendere parte a questo momento così impor- tante e grazie per l’interesse che avete per un problema che purtroppo sta avendo sempre minore attenzione; un problema che tante volte ci vede spettatori, che inte- ressa solo alcuni e crea qualche emozione in altri: il problema degli immigrati, del quale si ritiene che prima o poi dovrà finire e al quale, comunque vadano le cose, qualcun altro dovrà pensare. Il problema dell’immigrazione invece è un problema che interessa tutti, è una sfida, è una cartina di tornasole che indica quale futuro vivremo come Chiesa e come società. Oggi ci stiamo misurando con una storia diversa, non si tratta soltanto di persone che si spostano da un luogo all’altro per vivere meglio; si stanno muovendo popoli e quando accade questo è la storia che cambia, non si può semplicemente ripetere la storia precedente, c’è bisogno di canoni nuovi. 1 Il testo è stato trascritto dalla registrazione audio e non è stato rivisto dall’autore. 7
Purtroppo l’immigrazione la stiamo vivendo come un fatto di cronaca. Sono notizie che arrivano, sono statistiche e poi ci sono i morti, ma sono loro, pazienza. Possia- mo provare dispiacere per un po’ di tempo, ma poi … così vanno le cose. No, qui c’è da ribellarsi, da indignarsi, perché se la storia vuole cambiare deve cam- biare in meglio e io devo fare la mia parte, devo contribuire con il mio mattone, non importa se piccolo o grande: l’importante è che non manchi il mio apporto perché il nuovo che arriva sia migliore per tutti. Parliamo di Lampedu sa, parliamo dei Balca ni, guardando la cartina geografica sono due luoghi diversi, sembra no due storie diverse, ma in effetti è un’unica storia, scritta su territori differenti ma che trova gli stessi protagonisti. Io guardo Lampedusa come vescovo di Lam- pedusa: per molti è so lo una spiaggia dove arrivano dei disperati, per altri resta un luogo di turismo dove si pos- sono ammirare le bel- lezze del mare e della natura. Guardo Lampedusa: il mare che la circonda è un continente, è un deserto di acqua, un cimitero liquido. Davanti a tanti morti mi devo porre l’interrogativo: io dove sono? Sono solo uno spettatore oppure quanto avviene ha a che fare anche con me? Mi sento responsabile? L’altro giorno il Papa, parlando di un immigrato morto vicino a S. Pietro, ha detto: “Quando muore un uomo simile, non so come possiamo celebrare l’Eucarestia”. Parliamo dell’immigrazione, e ne parliamo perché siamo al sicuro. Quella gente ri- schia, perché vuol vivere una vita diversa, perché vuole riconosciuta la propria di- gnità. Noi ci siamo accorti di come il mondo di ieri fosse un mondo che non poteva più andare: troppi muri, troppe divisioni, troppi potenti, troppi schiavi. Abbiamo detto “cambiamo!”. Abbiamo cominciato ad abbattere i muri, abbiamo parlato di dignità, di rispetto dei valori umani, ma poi abbiamo ripreso le pietre dei vecchi muri e le abbiamo messe l’una sull’altra; abbiamo parlato di dignità e oggi parliamo di schia- vitù. Abbiamo desiderato un mondo diverso ma il nuovo sta diventando peggiore di prima. Se si continua su questa linea, la legge del Far West la vincerà, perché oggi potenti e prepotenti decidono la sorte degli altri. È una storia che non si può fermare: con entusiasmo abbiamo parlato di globaliz- zazione, ci siamo accorti di come le merci e il denaro possano andare in un attimo 8
da un posto all’altro del mondo, ma non abbiamo tenuto conto che anche gli uomini possono spostarsi. È proprio la globalizzazione che porta all’immigrazione e questa globalizzazione - che si regge sul profitto, sull’avere - crea nuovi schiavi e nuovi poveri. È un mondo che il Signore non avrebbe voluto così, ecco perché ci mette in mano il Vangelo. È un mondo dove troppa gente fa la fame, vive in una maniera degna di animali men- tre pochissimi (pochissimi!) hanno in mano la maggior parte dei beni e ne possono approfittare. Mi ha fatto male sentire che in questo periodo di pandemia, dove tante persone stanno morendo per problemi di salute, dove molti hanno perso il lavoro, altri, i più ricchi, hanno visto aumentare la loro ricchezza. Sono vescovo di Lampedusa e questo nome è un nome contrastante, in greco signi- fica “scoglio”, in latino significa “lampada”. E di fatto Lampedusa, che rappresenta un po’ tutte le “Lampeduse” del mondo, è uno scoglio perché molti vanno ad urtare e là c’è la morte, altri vedono quella luce e sperano. Che strano: il punto più a sud dell’Europa diventa il nord per quella gente. Noi scappiamo, perché nessuno vor- rebbe vivere in quelle isole, loro vengono, perché sperano di poter vivere grazie a quelle isole. E allora è necessario un cambiamento di cultura, è necessario prendere posizione. L’amore se non si indigna, non è amore. Non possiamo soltanto mormorare che le cose così non vanno. Abbiamo un “portavoce” – mi permetto di chiamarlo così – che con coraggio parla quotidianamente di questa realtà: il Papa. Parla della cultura dello scarto, ma parla anche di una cultura della solidarietà. Nessun paese può affrontare da solo questa grande sfida, come da soli non riusciremo a cambiare il mondo, ma mettendo insieme idee e azioni, rimboccandoci le maniche… potremo riuscire a cambiare qualcosa. Dice un proverbio africano che anche la nu- vola più nera ha i bordi luminosi. In questa realtà scura di morte, di violenza, di soffe- renza, dobbiamo creare quei bordi luminosi perché il mondo finalmente diventi casa per tutti e non solo per alcuni; perché questa im- migrazione possa diventare spostamento di gente che viene accolta per creare insieme realtà nuove. Dobbiamo smetterla di pensare che la no- stra è l’unica cultura, dobbiamo accettare che ci siano tante culture che, messe insie- me, potranno davvero essere una novità per il mondo». Intervento del card. Francesco Montenegro 9
artina Cociglio, laureata in Giurisprudenza e con un percorso di studi anche in Relazioni Internazionali, vive a Torino. Da pochi mesi ha iniziato a lavorare a Savona presso lo Sportello Immigrazione della Prefettura della città, grazie a un Bando europeo relativo alle tematiche migratorie e ai diritti dei migranti che ha coinvolto giovani interessati a collaborare e a offrire la loro competen- za e sensibilità in tale ambito. Martina ha partecipato a diversi incontri e campi formativi organizzati dai Mis- sionari Scalabriniani con i migranti nel Sud Italia e altrove. Tra questi ultimi, nell’estate 2019, ha preso parte all’iniziativa “Umanità IninterRotta”: un viaggio lungo la rotta balca- nica che, da anni, è crocevia di drammatici esodi migratori. Da allora, insieme ad altri giovani e ad alcune associazioni, continua a seguire quanto accade lungo questa tribolata ‘frontiera’ europea, offrendo il suo contribu- to per far conoscere, con un altro sguardo, i drammi e le speranze di tanti rifugiati in cam- mino. Per questo le abbiamo chiesto di rispon- dere ad alcune domande per avvicinarci a questa frontiera, lasciandoci condurre dal suo sguardo: Il mio sguardo sulla rotta balcanica è quello di una ragazza di 25 anni che due anni fa ha fatto un’esperienza di volontariato nel campo 10
profughi di Bogovadja, paesino sperduto della Serbia, e l’anno dopo, insieme a un gruppo di giovani, si è messa in viaggio tra i confini spinati per imparare le parole, attraverso l’incontro, che testimoniano le fatiche di quella rotta. Il senso di coinvol- gimento e responsabilità che porta, nel proprio piccolo, ad attivarsi per un pezzo di puzzle di giustizia si genera, per me è così, a partire dalla vicinanza. Vedo, sen- to, tocco, ascolto e quindi tutto si smuove, con i tempi di elaborazione che il pensiero necessita prima di trasformarsi in passo. Ma, anche se talvolta non so da che parte cominciare, se qualcosa mi sta a cuore, provo ad avvicinarmi per far sì che quella prossimità sia generativa, nel senso che ispiri idee e progetti che vanno in un sen- so che sento “buono”. In Italia quando si parla di migrazioni pen- siamo tutti al Mediterraneo, ai barconi, ai migranti provenienti dall’Africa, ma tu fai parte di un gruppo di giovani che nel 2019 ha voluto puntare l’attenzione sul movimen- to di migranti che tenta di entrare in Euro- pa attraverso i Balcani. Nell’estate del 2015 si erano accesi i fari su quella sponda, che ha premuto con forza sui confini del nord Europa, ma poi le luci si sono spente ed è come se i migranti fossero spariti. Voi inve- ce non vi siete dimenticati… Solo nell’ultimo mese la stampa si è fatta dav- vero, anche se non è mai abbastanza quando si tratta di vite sospese e violate, portavoce di quanto accade ai migranti che da Afghanistan, Siria, Iran, Iraq, Pakistan si mettono in moto attraversando Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia, Italia. La rotta balcanica è l’an- tica via del traffico di droga dall’Afghanistan ai mercati di Londra e negli anni è divenuta il principale corridoio via terra per i migranti in cerca di futuro in Unione Europea. Se per scongiurare gli arrivi dal Mediterraneo si stringono accordi di dubbia natura con Libia, Tunisia, Niger e si contribuisce a poten- ziare il lavoro della Guardia Costiera Libica, che invece di operare soccorso in mare riporta le persone nei lager libici limitando fortemente le operazioni di salvataggio in mare delle ONG, “l’escamotage” lungo la rotta balcanica è il respingimento fisico da parte della polizia di confine. Illegale perché non accompagnato da provvedimento scritto motivato e dunque non impugnabile 11
davanti a un giudice. Illega- le perché rivolto a persone La rotta dei Balcani che hanno diritto di asilo. Il- Non era inaspettato l’arrivo dell’inverno e della neve nei Bal- legale perché procura ferite cani, ma nonostante questo per il terzo anno consecutivo in nel corpo: torture, stupri e Bosnia migliaia di migranti sono senza un alloggio, perché violenze sistematiche a co- non ci sono abbastanza posti nei campi ufficiali. L’incendio sto di proteggere la fortezza ha distrutto il campo di Lipa nello stesso giorno in cui ne era Europa. stata annunciata la chiusura dall’Organizzazione internazio Penso a quella grata di fer- nale per le migrazioni (Oim) che lo gestiva, perché il campo ro coperta di pezzi di cartone era ritenuto inadeguato a ospitare delle persone. Senza ac- a riparare dalla pioggia quei qua, senza fognature e senza elettricità. corpi zuppi accovacciati die- Ma nonostante questo i migranti non sono stati trasferiti in tro, in attesa di poter entrare altre strutture: chi voleva allontanarsi dopo il rogo è stato nel campo di Bira, a Bihać, fermato dalla polizia e rimandato indietro, perché le auto- cittadina di confine per chi rità locali hanno deciso che i profughi debbano rimanere tenta il GAME, l’attraversa- fuori dalla città di Bihać. Nel 2020 in Bosnia-Erzegovina sono mento del le frontiere, sulle transitate 16mila persone: più di diecimila sono rimaste montagne tra Bosnia e Cro- bloccate nel paese sia per l’ulteriore chiusura delle frontiere azia. A fine settembre 2020 dovuta alla crisi sanitaria sia per i respingimenti operati dai il campo è stato chiuso con paesi confinanti, di queste solo 6.300 sono registrate nei decisione unilaterale del campi ufficiali. Cantone di Una Sana, non Dopo il rogo di Lipa, la situazione è ulteriormente peggiora- con sultando il Governo di ta. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazio- Sarajevo che non si assume ni, l’8 gennaio circa settecento persone sono state sistemate abbastanza la responsabili- in alcune tende riscaldate allestite in pochi giorni dall’eserci- tà. Per quanto disumana ex to vicino al vecchio campo, mentre più di 350 persone sono fabbrica di frigoriferi, era una state costrette a rimanere in ripari di fortuna dentro Lipa op- struttura che stava in piedi, pure in baracche di legno sparse nel bosco. Si aggiungono ad ma troppo poco isolata per altre 2.500 persone che nel cantone di Una Sana vivono al di essere un luogo dove “ac- fuori del sistema di accoglienza, in palazzi abbandonati e in cogliere” migranti. Divisioni baraccopoli nella foresta. Dopo l’incendio, i profughi di Lipa nelle divisioni, una Bosnia hanno recuperato quello che hanno potuto: con dei teloni di ancora frammentata, ferite plastica hanno coperto una parte dei letti a castello, hanno mai riparate dopo la guerra. trasformato in dormitori perfino i container che erano desti- La vigilia di Natale il campo nati ai bagni e alle docce. di tende di Lipa, a 30 km da Bihać, si incendia e il rosso Per approfondire: del fuoco contrasta con il https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camil- bianco della neve che gela li/2021/01/12/bosnia-croazia-lipa-neve-migranti tutto. Nudi. Raccontaci della vostra esperienza, di Umanità IninterRotta: chi siete? Com’è nata l’iniziativa? Cosa fate? Umanità IninterRotta è un progetto di giovani nell’ambito dell’animazione mis- sionaria scalabriniana. Abbiamo voluto metterci in cammino dal confine tur- co-siriano, a Gaziantep, fino a Trieste, in solidarietà ai migranti lungo la rotta. 12
L’ingiustizia è a monte, è nel colore del passaporto, nella divisione tra donne e uomini di serie A e donne e uomini di serie B. La paura era quella di non tro- vare lo stile giusto per stare davvero a fianco. Noi che avevamo la possibilità di attraversare quei confini invalicabili senza paura, come potevamo davvero essere vicini a chi nella notte, con i piedi piagati e feriti, scova sentieri per andare al di là? Mentre ci ponevamo queste domande ci impegnavamo per costruire un percorso che ci vedesse il più possibile entrare in contatto con le persone, soprattutto tramite le associazioni e gli attivisti che da anni vivono l’ingiustizia della negazione dei diritti umani e del diritto di asilo per i migranti, spendendosi per un po’ di bene che cambia il mondo. Attraverso di loro abbia- mo conosciuto. In punta di piedi, fermandoci quando sentivamo che andare oltre sarebbe stato troppo e osando quando osservavamo lo stupore di chi era felice che qualcuno fosse lì solo per ascoltare e assorbire tutto quanto a testimonianza. Ed è stato incredibile quanto la promessa di raccontare che abbiamo fatto a molti ci si è appiccicata addosso, diventando la nostra piccola “missione” una volta tornati a casa. “Tante più luci si accendono, tanto più il buio scompare” ci dice Zehida, maestra di scuola elementare bosniaca, dal sorriso dolce e dalla forza così determinata al bene. Lo scorso 5 novembre esperti delle Nazioni Unite hanno chiesto al governo bosniaco di indagare sul- la campagna diffamatoria e sulle minacce di morte nei confronti di questa donna che da anni si pone a difesa dei diritti dei migranti. Criminalizzazione della solidarietà. 13
Solidarietà che potrebbe essere semplice e trasparente come quella che chiunque si rechi nella piazza della stazione di Trieste vede: i volontari, come Lorena e Gianandrea, con il freddo e con il caldo, si piegano sui piedi distrutti da quindici giorni di cammino nei boschi di chi è riuscito a sfuggire alla polizia croata, slovena, italiana. Cosa c’entra l’Italia? Non sono migranti che puntano verso Austria e Germa- nia o ancora più a nord? I respingimenti non sono al confine con la Croazia? Le violazioni del diritto di asilo non riguardano solo gli altri. Anche l’Italia, in- fatti, riammette informalmente i richiedenti asilo sulla base dell’Accordo bila- terale tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia del 3 settembre 1996, accordo di dubbia legittimità nell’ordinamento italiano e in ogni caso inapplicabile nei confronti di richiedenti asilo e rifugiati verso cui è d’obbligo rispettare il diritto internazionale, europeo e interno. Ep- pure, solo nel 2020 sono state respinte illegalmente dall’Italia alla Slovenia 1301 persone provenienti dalla rotta balcanica. Del 18 gennaio è un’ordinanza del Tribunale di Roma che, finalmente, sanci- sce l’illegittimità della riammissione dall’Italia alla Slovenia di un richiedente asilo pakistano che, a catena, era poi stato respinto verso la Croazia e la Bo- snia. Il Tribunale ne ordina l’ingresso in Italia. Che sia una sentenza che entri nelle stanze del Viminale e risuoni come ordine inviolabile: i migranti richie- denti asilo provenienti dalla rotta balcanica non devono essere respinti, punto. E alla fine del viaggio? C’è stato un seguito? A Trieste, un anno e mezzo fa, arriviamo rotti. L’umanità si rompe tra quei con- fini e non c’è un finale felice né dobbiamo per forza trovarlo. Ci sono però gli occhi pieni di speranza, nonostante tutto, delle persone che abbiamo incon- trato. C’è una rete di associazioni, attivisti, organizzazioni, chiamata RiVolti ai Balcani, che, proprio dopo il nostro viaggio, è nata ed è stata come una chia- mata per noi. Nell’impegno per un obiettivo comune ha senso stare uniti, me- scolare le sensibilità e le competenze, qualcosa ne viene sempre fuori perché insieme si grida più forte. Nella piazza della stazione di Trieste io e Simone 14
ci avviciniamo a due uomini che in un angolo mangiano un pezzo di pollo. Le scarpe distrutte parlano. Vien voglia di accarezzare il loro dolore. Prestiamo loro un telefono per dire a casa che sono arrivati. Capiamo solo le lacrime. Un amico arrivato qualche tempo prima verrà a prenderli e li aiuterà a comprare un biglietto per raggiungere un cugino in Francia. L’Italia non è la destinazio- ne, almeno non per tutti. Ad accomunarli, però, al di là della direzione del tre- no che prenderanno, c’è il nuovo GAME che dovranno affrontare: quello delle procedure di asilo, della ricerca di una casa, di un lavoro, dello studio della lingua. Ma questo a chi ha affrontato guerra, fame, botte, freddo non fa paura. Almeno non ancora. Adesso sono arrivati. Inshallah, grazie a Dio. Durante questo anno di pandemia avete sospeso il progetto o vi siete riorganizzati in altro modo? Se da una parte il periodo di emergenza sanitaria ci ha tolto la possibilità di continuare a organizzare testimonianze dal vivo, dall’altra ci ha permesso di reinventarci e di dare spazio a qualcosa che forse non avremmo avuto la creatività di pensare: un libro che racconta Umanità IninterRotta contenente gli appunti del nostro viaggio, le riflessioni tra i confini, le testimonianze dei migranti e dei volontari impegnati sulla rotta, nonché le fotografie scattate in punta di piedi (https://www.seipersei.com/products/Umanit%C3%A0-ininter- rotta-by-ASCS). Rappresenta un po’ il nostro modo di innalzare una bandiera per il dolore e le speranze delle persone che abbiamo incontrato. Sogniamo un cielo pieno di bandiere e un vento che inverta la rotta nella direzione del rispetto dei diritti. A cura della redazione 15
l 25 luglio 2021 la nostra comunità di Missionarie Secolari Sca- labriniane compirà 60 anni di vita. La nostra storia è iniziata dal sì incondizionato a Dio di Adelia Firetti, pronunciato personalmente nella chiesetta dello Spirito Santo a Solothurn (Svizzera) il 25 luglio 1961, senza avere davanti una strada già fatta. Non poteva immagi- nare, infatti, che sarebbe sorto nel tempo un nuovo Istituto Secolare, che la Chiesa avrebbe approvato nella Pasqua 1990. Ora con profonda gratitudine possiamo riconoscere la presenza provvidenziale dello Spirito Santo che ha dato inizio e continuità a questa nostra storia. Essa poteva finire mille volte ed invece ha potuto trovare il suo percorso con i migranti e tanti amici sulle strade dell’esodo che Dio ci ha fatto incontrare e che ha unito, in modi diversi, al nostro cammino. Un primo sguardo storico ci porta alla gratitudine per diversi Mis- sionari Scalabriniani1 - tra i quali siamo particolarmente grate a p. Gabriele Bortolamai cs, che ha accompagnato con il suo discer- nimento di fede la nostra storia fin dagli inizi, sostenendo nel cam- mino il dono di una nostra consacrazione secolare scalabriniana. 1 Ricordiamo con speciale gratitudine: p. Cesare Zanconato, p. Luigi Tacconi, p. Giacomo Tolfo, p. Velasio de Paolis, p. Giovanni Battista Sacchetti, p. Antonio Perotti, p. Mario Francesconi e p. Graziano Tassello. 16
Essa trovava ispirazione nella stessa spiritualità di incarnazione del beato G.B. Scalabrini, oltre che nella sua luminosa visione profetica riguardante il mondo delle migrazioni. Il Superiore Generale p. Giulivo Tessarolo, il 4 luglio del 1966, confermava la nostra appartenenza alla Famiglia Scalabriniana nella diversità della nostra consacrazione secolare. Ritornando alla storia, riconosciamo con profonda gratitudine il sostegno della Diocesi di Basilea, con i suoi Vescovi e Vicari Generali che ci hanno dato fi- ducia, insieme a preziosi consigli per il nostro cammino2. In seguito all’invio delle nostre Costituzioni a Roma da parte del Vescovo Otto Wüst, la Congregazione per la Vita Consacrata riconosceva, il 25 marzo 1990, come dono autentico3 e stabile4 per la Chiesa e per il mondo il nostro carisma di Missionarie Secolari Scalabriniane. Non per ultimo, rimane costante il nostro grazie per gli stessi migranti che ci accolgono come compagne di viaggio, insieme agli innumerevoli “amici sulle strade dell’esodo”: persone di ogni età, nazionalità e condizione sociale i quali, incontrandosi in uno scambio di conoscenza reciproca e stima, desiderano per- correre passi significativi verso una possibile fraternità universale oltre le frontie- re. Si tratta di un cammino di formazione alla “cattolicità” con i suoi appuntamenti che culminano nelle Feste internazionali, come la Scalabrini-Fest di Primavera nella nostra Sede a Solothurn e la Scalabrini-Fest dei Frutti a Stoccarda presso il Centro di Spiritualità. 2 Ringraziamo tutti i Vescovi e i Vicari Generali della Diocesi di Basilea, che ci hanno accolto e sostenuto fino ad oggi; in modo speciale siamo grate al Vescovo Anton Hänggi e al suo Vicario Generale mons. Alois Rudolf von Rohr, che hanno seguito il processo delle nostre Costituzioni insieme al padre francescano p. Alcuin Stillard, esperto in diritto canonico. 3 Il 14 maggio 1967, giorno di Pentecoste, abbiamo ricevuto la prima approvazione da parte della Diocesi di Basilea - ad experimentum - e il 25 marzo 1990 l’approvazione delle nostre Costituzioni da parte della Congregazione romana per gli Istituti di Vita Consacrata: un passo decisivo per l’erezione nella Chiesa del nostro Istituto Secolare da parte del Vescovo di Basilea Otto Wüst, avvenuta nella Pasqua del 1990. 4 Il 24 settembre 2018, durante l’incontro degli Istituti Secolari in Svizzera, il card. João Braz de Aviz Prefetto della Congregazione romana per gli Istituti di Vita Consacrata, parlando con la Missionaria Béatrice Panaro, affermava con determinatezza: “Se il vostro Istituto Secolare è stato approvato dalla Chiesa è un dono di Dio e come tale non finirà”. 17
a nostra vocazione di Missionarie Secolari Scalabriniane ci porta a cammi- nare in una totale consacrazione a Dio nell’ordinarietà di una vita migrante. La sequela di Gesù povero, vergine, obbediente, attra- verso i voti, ci coinvolge nel mondo variegato delle migrazioni, come sale e lievito del Vangelo. L’eso- do, vissuto nella fede, assomiglia alle doglie di un parto. Esso ci apre, infatti, ad una grande speranza di vita nuova verso una futura umanità la quale, im- parando a convivere tra le differenze, può indicare la via della pace. Infatti la realtà trasformante della Pasqua di Gesù – dalla morte alla vita –, nel favorire un esodo positivo da noi stessi, può riempire di senso anche l’eso- do dalla propria terra, per emigrare verso una vita sempre più aperta a nuove relazioni tra le diversità, nella reciproca appartenenza. Infatti, secondo la vi- sione del beato G.B.Scalabrini, la provvidenza che guida gli umani destini, anche attraverso catastrofi verso la meta ultima, potrà riunire in Dio tutti i popoli in un solo popolo e tutte le famiglie in una sola famiglia. Camminando insieme, anche solo uno sguardo nuovo di stima verso chi ci è straniero può allargare il cuore a relazioni fraterne che spesso nelle stesse 18
vicende quotidiane ci sorprendono. Il dono di vivere nell’esodo, infatti, apre uno spazio illimitato allo Spirito Santo, verso passi nuovi di umanizzazione, per cui non ci si può più definire confrontandoci da fuori, secondo i parametri della nostra cultura e mentalità. Chi può definire una persona nel passo? Si- curamente, ogni esodo ci porta oltre noi stessi ad accoglierci gli uni gli altri, in ogni diversità, per diventare “fratelli tutti”, fino a realizzarci come popolo di Dio che cammina verso la terra promessa. Un processo da promuovere non nonostante, ma attraverso le stesse diffe- renze culturali, di mentalità e di religione. Su strada ci può venire incontro inaspettato un ulteriore dono, frutto dell’e- sodo e della comunione fraterna che si estende, fino a ritrovare tra gli stessi migranti non solo dei compagni di viaggio, ma speciali collaboratori, anche a loro insaputa, di una missione che si allarga. E questo tra i migranti più svantaggiati, che vivono per esempio soli nelle baracche, o tra i carcerati, incontrati con gruppi di giovani durante l’anno. I migranti, spesso considerati “gli ultimi”, possono risvegliare negli stessi gio- vani il desiderio di dare la vita per amore, su ogni strada e vocazione, allo scopo di contribuire ad un mondo migliore. Nello stesso tempo, i giovani rap- presentano per i migranti più svantaggiati la speranza di un futuro nuovo: un mondo abitato da una più autentica umanità, aperta alla giustizia sociale e all’accoglienza, nel dono della stima reciproca e dell’amicizia. Maria Grazia 19
ll’inizio di novembre ci ha sorpreso la telefonata di Markus Thürig, vicario generale della diocesi di Basilea: insieme al Vescovo Felix Gmür e al Vescovo ausiliare Denis Theurillat stavano riflettendo sulla possibilità di trasmettere in streaming le dieci cele- brazioni eucaristiche del Tempo di Avvento e di Natale in un luogo significativo ed ave- vano pensato alla chiesa di St. Joseph presso l’IBZ-Scalabrini di Solothurn. In questo modo le celebrazioni avrebbero potuto portare l’attenzione sulla diversità delle lingue e culture, sulla realtà dei migranti e rifugiati, sull’universalità della Chiesa. 20
È incominciata così l’avventura della... diretta! Soprattutto, da quel momento, si è aperto un “laboratorio” di collaborazione a tanti livelli: tra noi Missionarie a Solothurn giorno per giorno e con il vicario genera- le, coordinatore del progetto, disponibile in ogni momento ad ogni domanda; con diverse Missionarie al di qua e al di là dell’oceano per la preparazione dei filmati con cui, all’inizio di ogni celebrazione, si apriva una finestra su tante realtà vicine e lontane, e dei link per la streamingpage; nelle riunioni con i diversi collaboratori dei vescovi; con l’organista, la soprano e i musicisti che si sono succeduti nelle celebrazioni; con il mondo dei media e i suoi criteri; con il team tutto giovane della tele- visione regionale jump-tv incaricata della produzione; e – last but not least – con tanti amici che abbiamo contattato per proporre la partecipazione alle celebrazioni… online ma anche in presenza! In effetti, ad ogni celebrazione avevamo la possibilità di invitare, nel rispetto delle di- sposizioni anti-covid, dodici-quindici persone, in modo tale che di volta in volta la diver- sità delle lingue e provenienze potesse allargare gli orizzonti e diventare, insieme alla presenza del vescovo, un segno capace di rafforzare in ciascuno la consapevolezza di appartenere ad una grande famiglia. Così proprio al termine di un anno in cui abbiamo dovuto rinunciare alla Scalabrini-Fest sia a Solothurn che a Stoccarda, queste celebra- zioni sono diventate come una… Scalabrini-Fest a tappe! Come in una staffetta… si sono passati il testimone diversi amici svizzeri insieme ad amici che ora pure vivono nella regione di Solothurn ma pro- venienti da altri paesi del mondo: Togo ed Eritrea; Iraq, Vietnam e Sri Lanka; Guate- mala ed Ecuador; e ancora: Portogallo, Italia, Bosnia, Polo- nia e Ungheria. Ogni volta era l’Eucarestia al centro, con la sua forza trasformante, capace di valorizzare ogni diversità per la crescita della comu- nione. E questo pro- prio in un tempo se- gnato dalla distanza. 21
Tra gli amici che hanno seguito tutte le celebrazioni in streaming anche Cinzia e Ursil dal Lussemburgo, con i loro tre bambini. Ci hanno scritto: “Questa possibilità ci è arrivata proprio come una bella notizia! La partecipazione a queste celebrazioni ci ha dato la possibilità di approfon- dire la nostra fede e di riflettere di nuovo, in questo tempo della pandemia, sul senso della vita, sentendoci collegati con tutti coloro che, attraversando tante difficoltà, sono alla ricerca di una nuova patria. Durante le loro omelie il Vescovo Felix e il Vescovo ausiliare Denis hanno più vol- te parlato della nostra fragilità e di come solo insieme e appoggiandoci all’amore di Dio possiamo superare ogni prova. L’alternarsi delle lingue e i sottotitoli con le traduzioni delle letture e di alcuni canti rendeva evidente l’interna- zionalità della famiglia cui apparteniamo”. Ci sono amici, però, che hanno partecipato in presenza non solo ad una celebrazione… ma a tutte: sono i giovani componenti del team della televisione! Per loro – ci hanno det- to – una Messa, un tabernacolo, i diversi momenti della celebrazione erano… una terra sconosciuta. Ci ha colpito fin dal primo momento, da parte di tutti e specialmente dei due responsabili, fratello e sorella, l’ascolto, il rispetto e l’entusiasmo con cui lavoravano. Nella riunione conclusiva di revisione hanno comunicato l’esperienza di due speciali par- tecipanti in streaming: i loro genitori, di famiglia protestante, hanno seguito con attenzio- ne la Messa della prima domenica di Avvento e, dopo quella, anche tutte le altre, dall’inizio alla fine! A conclusione dell’ultima celebra- zione, domenica 10 gennaio, il Ve- scovo Felix – dopo aver ringraziato tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto – ha pregato con le parole di Papa Francesco. È la pre- ghiera con cui si conclude l’enciclica “Fratelli tutti”: Dio nostro, Trinità d’a- more, dalla potente comunione della tua intimità divina effondi in mezzo a noi il fiume dell’amore fraterno. […] Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza riflessa in tutti i popoli del- la terra, per scoprire che tutti sono importanti, che tutti sono necessari, che sono volti differenti della stessa umanità amata da Dio. Sono paro- le che sintetizzano l’esperienza che abbiamo potuto fare e che la rilan- ciano avanti, un già e un non ancora in cui ciascuno di noi può dare un contributo insostituibile. Anna F. 22
gni giorno possiamo raccogliere tanti segni per ringraziare lo Spirito Santo che agisce senza far rumore in ciascu- no, in tutti coloro che diventano collaboratori del piano di Dio, che lo sappiano o no, per una nuova fratellanza. In particolare nello scorso periodo di Natale un fatto ci ha permesso di vedere incarnata la parola del Vangelo “Quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me!” (cfr. Mt 25,40). Da undici anni a Bad Cannstatt, la zona di Stoccarda dove viviamo, in occa- sione del Natale si ripete un gesto di solidarietà intitolato “Gioia del Natale: scegli una cartolina, esaudisci il desiderio, regala gioia”, nato dalla collabora- zione tra la chiesa cattolica e quella evangelica. Ad animare l’iniziativa sono diverse realtà, come Caritas diocesana e anche noi missionarie. Ogni soggetto organizzatore appende ad un albero di Natale, posto davanti alla chiesa protestante nella via principale del quartiere, dei biglietti con la proposta di un regalo di Natale per una persona in difficoltà economiche e chi passa di lì può scegliere uno di questi cartelli e ritornare con il dono per la persona indicata. 23
Per il 2020, a motivo del Covid, invece di invitare ad acquistare i doni, si è pensato di proporre ai donatori di offrire buoni spe- sa per generi alimentari, dro- gheria o per l’abbigliamento, per permettere ad ognuno di comprare questi articoli diretta- mente nel negozio assegnato, in base al valore dell’importo. Riflettendo su quali persone proporre per ricevere il rega- lo, noi missionarie abbiamo pensato a vari studenti inter- nazionali che si trovano qui a Stoccarda e che, a motivo del- la pandemia, non hanno potuto raggiungere le loro famiglie per le feste. Proprio a causa della situazione sanitaria, molti han- no perso il lavoro con il quale si mantenevano agli studi e ades- so si trovano in una situazione di disagio e di precarietà. Avevamo pensato che, viste le difficoltà economiche che mol- ti attraversano attualmente, quest’anno i donatori non sarebbero stati numerosi; e, invece, la generosità è stata sorprendente e le persone coinvolte sono state quasi di più dell’anno passato. Ci piace pensare che magari, proprio a motivo dei disagi economici vissuti, tan- ti di più siano stati capaci di mettersi nei panni degli altri. In questo modo hanno fatto sentire agli studenti stranieri di avere anche qui una famiglia, persone che vo- gliono mettersi in cammino con loro. Ma la sorpresa non è stata solo questa: il fatto di dover provvedere semplicemente ad un buono spesa non ha fermato la cre- atività, e ciascuno ha accompagnato il suo gesto con una cartolina di augurio persona- le per le feste e dolci natalizi, con un pacco regalo contenente qualcosa di buono da mangiare o qualcosa di carino da indossa- re, o anche un cesto regalo con alimentari assortiti. C’è stato persino chi ha pensato di regalare ingredienti per una ricetta tipica del paese di origine dello studente. 24
Le persone che offrono il do no in genere rimangono ano nime e quello che scrivono nei bigliettini sono desideri e auguri di buone feste per gli studenti, incoraggiamen- ti ad andare avanti senza arrendersi in questa situazio- ne, quasi come se si cono- scessero. È come se ognuno avesse cercato di creare un clima di familiarità, qualcuno addirittura scrivendo nella lingua di provenienza dello studente perché originario dello stesso paese o cercando nei dizionari online. In effetti una ragazza del Salvador, quando ha ricevuto il regalo, ci ha detto di essersi proprio sentita come se avesse una famiglia anche qui e ne era molto grata, mentre una studentessa musulmana del Bangladesh era molto sorpresa che persone sconosciute avessero potuto fare un gesto del genere per lei. Non tutti coloro che desideravano donare sono riusciti ad acquistare un buono spesa prima di Natale… E allora hanno messo dei soldi in una busta e l’hanno consegnata. Via via che i regali arrivavano, abbiamo cercato di raggiungere il più possibile gli studenti per consegnare personalmente il dono: è stato come fotografare la sorpresa dipinta sui loro volti e registrare le loro reazioni… Qualcuno ha espresso il desiderio di fare altrettanto per un altro studente e così è stato: una studentessa indiana, che avrebbe voluto ricambiare il dono, non sapendo chi fosse il donatore, ha deciso di fare un regalo ad un compagno. Un’altra ci ha detto: “Perché proprio a me? Io non ho bisogno perché la mia famiglia mi aiuta, posso dare questo a qualcuno che ha più bisogno di me?”. Il dono suscita il dono, ci mette su strada insieme a tanti che vivono la stessa situazione in modi diversi e, senza che lo immaginiamo, può persino risolle- vare chi si trova prostrato dalla solitudine forzata, diventata ormai disagio, e aiutarlo a rialzare lo sguardo per tornare a sorridere, come è successo a due giovani africani. Un’altra studentessa indiana, di religione indù, quando ha visto il regalo per lei ha raccontato che da quando è arrivata in Germania ha ricevuto molto aiuto e che, quando ha trovato le porte chiuse da una parte, si sono aperte dall’altra, perché c’era sempre una mano amica. E poi c’è chi, nel dono, è riuscito a leggere una speranza più grande: una famiglia di studenti del Ghana, con due figli piccoli, si è meravigliata di tanta generosità e il marito ci ha comunicato che questo gesto l’ha portato a pensa- re che, se ci sentissimo di più fratelli tra di noi, senza fare distinzioni di cultura o nazione e condividessimo quello che abbiamo, forse nel mondo nessuno morirebbe di fame. Uno studente messicano ha visto, in questo segno, la presenza di Dio che supera le frontiere geografiche e spinge a gesti di solidarietà e ci abbraccia come famiglia umana facendo di ognuno di noi una persona: “Una carezza di Dio che vede i nostri bisogni e che, se apriamo le mani, ci porta a ricevere gratuitamente da Lui attraverso gli altri”. Lorella 25
ospitalità: “Per l’Antico e il Nuovo Testamento e per la Chiesa delle origini essa era fondamentale e oggi, di fronte alle conseguenze della globalizzazione, riveste una grande importanza nei flussi migratori a livello globale”, così afferma il teologo card. Walter Kasper nel libro: “La gioia del cristiano”1, del quale qui di seguito presentiamo alcune citazioni tratte dal capitolo: “Ospitalità cristiana”. Dopo aver presentato brevemente il significato dell’ospitalità nel mondo antico e nel Vecchio Testamento, il card. Kasper scrive: “Il Nuovo Testamento, riguardo alla sua valutazione dell’ospitalità, si colloca in questa grande e lunga tradizione e al tempo stesso la oltrepassa2. L’ospitalità è parte integrante del comandamento dell’amore del prossimo, che è inscindibilmente legato al comandamento dell’amore di Dio (Mt 22,36- 39 par.). Per Gesù, nel grande discorso sul giudizio finale (Mt 25,31-46), l’ospitalità non è solo questione di compassione, ma possiede una dimensione assolutamente mistica. Nel senzatetto straniero che cerca un alloggio incontriamo Gesù stesso; lo straniero è una personificazione di Gesù. «Ero straniero e mi avete accolto», dice Gesù a persone che si ritenevano giuste e chiedevano che cosa significa: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). L’incontro con lo straniero è un’opportunità di incontro con Cristo. Si può assolutamente parlare di una profezia straniera dello straniero e parlare di una spiritualità non degli occhi chiusi, ma degli occhi aperti, che riconosce nel bisogno dell’altro Cristo (J.B. Metz)3. 1 Card. Walter Kasper, La gioia del cristiano, Editrice Queriniana, Brescia, 2018. 2 RAC 8 (1972), 1103-1120. 3 Card. Walter Kasper, La gioia del cristiano, 138-141, Amicizia con Dio come cuore della spiritualità. 26
Peccare contro il comandamento dell’accoglienza dello stra- niero significa chiudere la porta del cielo e cadere nell’inferno (Mt 25,46)”. L’autore ricorda i ripetuti inviti all’accoglienza presenti nel Nuovo Testamento e l’importanza che l’ospitalità ebbe per l’attività missionaria della chiesa primitiva: “Le testimonianze della Chiesa delle origini in materia di ospitalità per gli stranieri sono impressionanti sia come numero sia come contenuto4”. Tra queste troviamo gli scritti di diversi Padri della Chiesa, ad esempio “Agostino: «Lo straniero che noi accogliamo è il nostro compagno di viaggio, perché tutti sulla terra siamo solo forestieri. È un autentico cristiano chi riconosce di essere forestiero nella propria casa e nella propria patria» (Sermo 111,4). (…) Ospitalità è una parola chiave della Bibbia e della tradizione più antica di quello che si chiama Occidente cristiano. Perciò chi predica l’inimicizia e la chiusura verso gli stranieri per salvare l’Occidente cristiano non sa ciò che dice e di che cosa parla; in realtà si trasforma in becchino dell’Occiden- te. La cultura dell’accoglienza, per la quale si impegnano mol- ti cristiani cattolici, evangelici e ortodossi, è espressione della vera tradizione e cultura dell’Occidente. Nessuno ha bisogno a posteriori di screditarla come ingenua. Oggi, in tutto il mondo molti milioni di persone sono costrette a emigrare. Questa è per i cristiani una sfida che devono affrontare e al tempo stesso un dono per incontrare nuovamente in questa situazione Dio e Gesù Cristo, che noi troppo spesso abbiamo dimenticato. Le affermazioni della Bibbia e della tradizione della Chiesa val- gono anche oggi per i cristiani e per la Chiesa. Essi devono la- sciarsi ispirare, a partire da questa loro convinzione, anche nel- la loro pratica politica e introdurla, facendone propaganda, nella vita sociale. Tuttavia, realisticamente, devono vedere che non si può introdurre pari pari la convinzione della fede cristiana in una società pluralistica e in uno stato secolare. Il compito dello stato secolare è quello di trovare nella sua propria e autonoma responsabilità, ispirato dalla visione cristiana, in modo ocula- to ed equilibrato, soluzioni degne dell’uomo che siano giuste e convenienti, accettabili e sopportabili per tutte le parti. In una situazione globalizzata, nella quale la migrazione di milioni di persone fa parte dei “segni del tempo”, non può esistere una soluzione globale a breve termine; noi possiamo fare solo ciò che è possibile per noi oggi nella nostra situazione. Ma dovremmo essere consapevoli che il giudizio davanti al tribunale di Dio, sull’Europa e su noi cristiani europei di oggi dipen- derà dall’adozione o dal rifiuto di soluzioni cristianamente ispirate degne dell’uomo”. A cura della redazione 4 Ricco materiale in RAC 8 (1972), 1107-1120. 27
lla fine del 2020, dopo aver vissuto a Stoccarda in Germania parte della mia formazione iniziale con le Missionarie Secolari Scalabriniane, è arrivato il mo- mento di un nuovo stage missionario, un periodo di esperienza pratica. Sono stata inviata per questo in Brasile, il mio paese di origine, con la proposta di ope- rare nell’ambito della mia area professionale, in un servizio di consulenza giuridica a migranti e rifugiati. Appena arrivata in Brasile, in ottobre, quando le at- tività venivano riaperte dopo il confinamento, ho co- minciato a lavorare alla Missione Paz dei Missionari Scalabriniani, prima di tutto affiancando nella con- sulenza legale l’avvocata, che mi ha accolta molto amichevolmente, per poi iniziare, poco alla volta, ad assistere io stessa i migranti che richiedono il nostro servizio giuridico.1 Non si tratta di un lavoro prevedibile, le richieste sono varie ed il ritmo è intenso, ma le persone sono uniche, anche quando il problema che pongono ma- gari è lo stesso. 1 Il settore giuridico fornisce assistenza concreta partendo dal contesto del migrante, dandogli informazioni complete e fondate, affinché abbia una piena comprensione della sua situazione e, così, possa conoscere i suoi diritti e sapere come esercitarli. 28
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