Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane

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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
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    Sulle strade dell’esodo
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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
SOMMARIO                            gennaio-
    EDITORIALE
3   Esodo: cammino in uscita            febbraio
    Luisa Deponti
                                          2021
    EMIGRAZIONE
6   Una storia diversa                edizione italiana
    alle frontiere d‘Europa           Anno XLVI n. 1
                                      gennaio-febbraio 2021
    Intervento del cardinale
    Francesco Montenegro              direzione e spedizione:
                                      Missionarie Secolari Scalabriniane
   INTERVISTA                         Neckartalstr. 71, 70376 Stuttgart (D)
10 Umanità IninterRotta               Tel. +49/711/541055
    Con i migranti lungo              redazione:
                                      M.G. Luise, L. Deponti, G. Civitelli
    la rotta balcanica                M. Guidotti, A. Aprigliano
    A cura della redazione            grafica e realizzazione tecnica:
                                      M. Fuchs, M. Bretzel, L. Deponti,
    1961-2021 60° DELLE MISSIONARIE   M.G. Luise, L. Bortolamai
    SECOLARI SCALABRINIANE            disegni e fotografie:
    - ISTITUTO SECOLARE -             Copertina e p. 3-5, 11, 13, 18, 26, 30, 32:
16 Abbiamo davanti un anno            Pixabay; p. 6: Don Francesco Bigatti; p.
                                      6: Jeffey Sciberras_English Wikipedia;
    speciale per ringraziare!         p. 9, 16, 18-19, 20-21, 28-29, 33: archivio
    Maria Grazia Luise                Missionarie Secolari Scalabriniane; p. 8:
                                      Annalisa Vandelli/Nexus; p.10, 13-15: Bar­
                                      ba­ra Beltramello; cartina p. 10-11: Inter-
    AMICI SULLE STRADE DELL‘ ESODO    nazionale; p. 20, 22: Bistum Basel + jump
20 “Live” verbunden                   productions; p. 23-24: „Cannstatter Inzel“
    www.bistum-basel.live             Mobile Jugendarbeit; p. 23, 25: www.
    Anna Fumagalli                    stadtkirche-bad-cannstatt.de; p. 28: Mi-
                                      guel Ahumada; p. 31-32: Lucfier.

   GIOVANI                            Per sostenere le
23 Regalare gioia                     spese di stampa e spedizione
    Lorella Bortolamai                contiamo sul vostro
                                      libero contributo annuale a:
                                      Missionarie Secolari Scalabriniane
   SPIRITUALITÀ                       * c.c.p. n° 23259203 Milano -I-
26 Ospitalità cristiana               o conti bancari:
    A cura della redazione            *CH25 8097 6000 0121 7008 9
                                      Raiffeisenbank Solothurn -CH-
   TESTIMONIANZA                      Swift-Code: RAIFCH22
                                      *DE30 6009 0100 0548 4000 08
28 Stage tra i migranti               Volksbank Stuttgart -D-
    Thamiris Morgado Antunes          BIC: VOBADESS
                                      Le Missionarie Secolari
    DAL VIETNAM                       Scalabriniane, Istituto Secolare
31 Speranze da proteggere             nella Famiglia Scalabriniana,
    Marianne Buch                     sono donne consacrate chia­­   mate a
                                      condividere l‘esodo dei mi­granti.
                                      Pubblicano questo periodico in quattro
34 PROSSIMAMENTE
     2
                                      lingue come strumento di dialogo e di
                                      incontro tra le diversità.
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
i siamo lasciati alle spalle il 2020 e ormai addentrati nel 2021, disseminato di incer-
tezze e di timori. Certamente ogni nuovo inizio porta con sé attese e speranze. Che
fare, perché non rimangano solo illusioni?
In questo anno di pandemia abbiamo vissuto esperienze surreali come se ci trovas-
simo in una serie di Netflix o in uno dei peggiori film catastrofici di Hollywood. Ma la
realtà ha superato la fantascienza e ha bussato alla nostra porta: malattia, scom-
parsa di persone care, disoccupazione, progetti e sogni infranti e, per molti, il venir
meno dei beni necessari alla vita. Disperazione e depressione, ma anche coraggio
di riprendersi, solidarietà che allevia la miseria e il dolore. Ma si può continuare
come prima?
La triplice crisi – socio-economica, ecologica e sanitaria – che stiamo attraversando
riguarda tutti e tocca l’intera umanità, anche se c’è chi – ingiustizia tra le ingiustizie
– sembra cavarsela meglio e anzi riesce ad aumentare i profitti personali. Ci potrem-
mo chiedere: non cambia niente o forse siamo arrivati ad un punto di non ritorno?
Eppure con questi interrogativi stiamo camminando con un dono inestimabile nelle
nostre mani, un antidoto contro la morte. Sì certo, si potrebbe pensare al vaccino
contro il COVID-19: un bene importantissimo frutto di ricerca, d’intelligenza e d’im-
pegno da parte di tanti uomini e donne. Un bene che deve poter raggiungere tutti,
anche i più poveri, se vogliamo cooperare alla trasformazione del nostro mondo.
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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
Ma in questo momento della storia occorre qualcosa di più radicale, un salto quali-
tativo per l’intera umanità. Specialmente come cristiani abbiamo qualcosa da dire,
anzi soprattutto un dono da testimoniare: la vita nuova ricevuta dal battesimo. Non è
moralismo o trionfalismo, secondo l’idea: “noi siamo i migliori”. Piuttosto si tratta di ri-
conoscere e seguire in noi e nel mondo il dono trasformante, dalla morte alla risurre-
zione, di Gesù. Un amore capace di portarci fuori da noi stessi, dal nostro egoismo:
un amore che trascende la nostra vita limitata, mentre ci apre la via verso una dimen-
                                                                sione di eternità divina.
                                                                  Questo amore, che è
                                                                  stato iniettato nelle no-
                                                                  stre vene, ci permette
                                                                  di uscire dai nostri cir-
                                                                  cuiti chiusi, di superare
                                                                  le distanze, di non ave-
                                                                  re paura di cambiare
                                                                  per liberare una nuova
                                                                  creatività, anche rima-
                                                                  nendo per il momento
                                                                  ancora chiusi in casa.
                                                                  Tale amore ci permette
                                                                  di non evadere dall’og-
                                                                  gi, ma di assumerci fi­no
                                                                  in fondo la responsabi-
                                                                  lità di contribuire ad un
                                                                  mondo nuovo.
                                                                   Proprio nel 2020 Papa
                                                                   France­sco ci ha re­ga­
                                                                   lato l’Enciclica Fratelli
tutti: attualizzazione del Vangelo e del Concilio Vaticano II nel nostro momento sto-
rico. Egli non ci offre tutte le risposte, ma ci indica il cammino, mentre ci invita alla
speranza e al coraggio di avviare dei processi di cambiamento. È la proposta di una
rifondazione culturale in cui la fraternità diventa il principio dei rapporti interpersonali
e sociali, a livello locale e globale, seguendo il metodo del dialogo e avendo come
obbiettivo il bene comune per tutta l’umanità, senza esclusioni.
    “L’amore, infine, ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matu-
    ra né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’a-
    more esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri,
    in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno
    senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (Mt
    23,8)” (Fratelli tutti, nr. 95).
L’esodo, “cammino in uscita…”, contraddistingue la nostra spiritualità scalabriniana,
mentre segnala il movimento essenziale per la vita di ogni persona: dalla nascita
fino alla morte, passaggio che ci porta alla piena comunione con Dio. È il percorso
essenziale di ogni cristiano che testimonia il proprio battesimo, vivendo come tralcio
inserito nella vite, per formare un solo Corpo con Gesù: il quale prolunga in noi la
Sua Vita di amore per l’umanità.
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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
“Dio si prende cura del nostro venir fuori da noi stessi, offrendoci diverse
   occasioni che ci possono liberare e liberare il mondo intorno a noi. (...) Una
   persona che si allena a consegnare la vita e a far spazio all’altro può ricevere,
   sempre di più e insieme, il dono prezioso della comunione, la vita felice di
   Dio che trasforma il mondo. L’esodo, allora, è e diventa sempre più la chiave
   necessaria della nostra missione” (Adelia Firetti, Esodo: parola del cuore,
   31/12/2020).
I migranti sono un “segno dei tempi” che ci parla di un’uscita necessaria a tutti per
salvare e far crescere la vita, non solo di chi parte costretto da violenze e miserie,
ma anche di chi accoglie o comunque si dilata in un esodo da se stesso per una
visione di giustizia globale per l’umanità: un’uscita verso la vita vera per amore.
Condividendo la vita con i migranti, anche il nostro Istituto di Missionarie Secolari
Scalabriniane ha percorso 60 anni di storia dal primo sì a Dio senza condizioni da
parte di Adelia (25 luglio 1961), con il quale ha avuto inizio un cammino missionario
di progressiva apertura, pur nella nostra piccolezza, a tanti popoli e culture, in campi
di missione e paesi differenti. Ancor di più l’esodo si è tradotto in un cammino di spi-
ritualità, vita affidata allo Spirito, per fare spazio nel quotidiano a passi sempre nuovi
a servizio della pace, frutto della comunione tra le diversità.
Dalle pagine di questo numero di “Sulle strade dell’esodo” emergono parole chiave,
esperienze, proposte raccolte camminando con tanti amici, giovani e migranti, che
ci testimoniano la possibilità di uscire da se stessi, per allargare spazi di fraternità.
Parole come ospitalità, vicinanza, condivisione, sproporzione vissuta con fede, ri-
cerca di nuove strade di annuncio del Vangelo... sono vie necessarie per cambiare
la storia.
Avvenimenti e sogni, piccoli o grandi, che abbiamo raccolto nella certezza che ogni
esodo da noi stessi ci porta ad accoglierci gli uni gli altri, per diventare “fratelli tutti”,
fino a sentire che stiamo camminando come popolo di Dio, tutti figli di un unico Padre.
					                                                                           Luisa
                                                                                            5
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
e l’emergenza sanitaria da una parte contri-
buisce ad isolare, dall’altra suggerisce nuove
possibilità di contatto. Il 4 febbraio scorso si è
potuto così realizzare un webinar che ha collegato relatori e pubblico da varie parti
d’Italia e anche dall’estero. “Mediterraneo e Balcani: frontiera, accoglienza e inclu-
sione” era il tema dell’incontro, che chiamava in causa le politiche internazionali
(frontiera), quelle nazionali (accoglienza) e la compagine sociale (inclusione), sotto-
lineando le reciproche influenze in questi ambiti.
Organizzato da Migrantes Sicilia, in collaborazione con le Migrantes di Agrigento e Go-
rizia, l’incontro a più voci ha messo a tema le zone di arrivo degli immigrati alle frontie-
                                                         re opposte d’Italia: il nord-est e
                                                         l’estremo sud. Diverse le con-
                                                         dizioni (la frontiera balcanica
                                                         si attraversa a piedi in un clima
                                                         invernale proibitivo, mentre nel
                                                         Mediterraneo cen­trale si muo-
                                                         vono barche e canotti), uguale
                                                         la politica di chiusura che ester-
                                                         nalizza le frontiere e opera re-
                                                         spingimenti illegali, anche con
                                                         efferate violenze soprattutto tra
                                                         Croazia e Bosnia. Tutto que-
                                                         sto è stato messo in evidenza
                                                         da relatori di sicura competen-
                                                         za come Nel­lo Scavo, inviato
                                                         speciale di Avvenire, autore di
                                                         coraggio­se inchieste; Gianfran-
                                                         co Schiavone dell’ASGI, Mauri-
                                                         zio Ambrosini, noto sociologo
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Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
dell’Università Statale di Milano e Alessandra Sciurba dell’Università di Palermo. Han-
no completato il quadro le “Voci dai territori”: don Valter Milocco da Gorizia e Mario
Affronti, Direttore Regionale Migrantes dalla Sicilia.
L’incontro è stato aperto dal saluto del card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di
Agrigento, e si è concluso con l’intervento di mons. Antonio Staglianò, Vescovo dele-
gato per le Migrazioni della Conferenza episcopale siciliana, cui si è aggiunta la voce
di mons. Carlo Redaelli, Arcivescovo di Gorizia. Sensibili all’appello proveniente da
questa parte di umanità calpestata nei diritti e nella dignità, hanno ricordato come la
voce autorevole di Papa Francesco - in particolare nell’enciclica “Fratelli tutti” - non
si stanchi di richiamare alla responsabilità collettiva, che ormai deve esercitarsi a
livello mondiale.
Di seguito riportiamo l’intervento del card. Montenegro1.

«Grazie perché mi avete invitato a prendere parte a questo momento così impor-
tante e grazie per l’interesse che avete per un problema che purtroppo sta avendo
sempre minore attenzione; un problema che tante volte ci vede spettatori, che inte-
ressa solo alcuni e crea qualche emozione in altri: il problema degli immigrati, del
quale si ritiene che prima o poi dovrà finire e al quale, comunque vadano le cose,
qualcun altro dovrà pensare. Il problema dell’immigrazione invece è un problema
che interessa tutti, è una sfida, è una cartina di tornasole che indica quale futuro
vivremo come Chiesa e come società.
Oggi ci stiamo misurando con una storia diversa, non si tratta soltanto di persone
che si spostano da un luogo all’altro per vivere meglio; si stanno muovendo popoli e
quando accade questo è la storia che cambia, non si può semplicemente ripetere la
storia precedente, c’è bisogno di canoni nuovi.

1 Il testo è stato trascritto dalla registrazione audio e non è stato rivisto dall’autore.

                                                                                             7
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Purtroppo l’immigrazione la stiamo vivendo come un fatto di cronaca. Sono notizie
che arrivano, sono statistiche e poi ci sono i morti, ma sono loro, pazienza. Possia-
mo provare dispiacere per un po’ di tempo, ma poi … così vanno le cose.
No, qui c’è da ribellarsi, da indignarsi, perché se la storia vuole cambiare deve cam-
biare in meglio e io devo fare la mia parte, devo contribuire con il mio mattone, non
importa se piccolo o grande: l’importante è che non manchi il mio apporto perché il
nuovo che arriva sia migliore per tutti.
                                                                Parliamo di Lampedu­
                                                                sa, parliamo dei Bal­ca­
                                                                ni, guardando la car­­ti­na
                                                                geografica so­no due
                                                                luo­ghi diversi, sem­bra­
                                                                no due storie diverse,
                                                                ma in effetti è un’unica
                                                                storia, scritta su territori
                                                                differenti ma che trova
                                                                gli stessi protagonisti.
                                                               Io guardo Lampedusa
                                                               come vescovo di Lam-
                                                               pedusa: per molti è so­
                                                               lo una spiaggia dove
                                                               arrivano dei disperati,
                                                               per altri resta un luogo
                                                               di turismo dove si pos-
                                                               sono ammirare le bel-
                                                               lezze del mare e della
natura. Guardo Lampedusa: il mare che la circonda è un continente, è un deserto di
acqua, un cimitero liquido. Davanti a tanti morti mi devo porre l’interrogativo: io dove
sono? Sono solo uno spettatore oppure quanto avviene ha a che fare anche con me?
Mi sento responsabile?
L’altro giorno il Papa, parlando di un immigrato morto vicino a S. Pietro, ha detto:
“Quando muore un uomo simile, non so come possiamo celebrare l’Eucarestia”.
Parliamo dell’immigrazione, e ne parliamo perché siamo al sicuro. Quella gente ri-
schia, perché vuol vivere una vita diversa, perché vuole riconosciuta la propria di-
gnità. Noi ci siamo accorti di come il mondo di ieri fosse un mondo che non poteva
più andare: troppi muri, troppe divisioni, troppi potenti, troppi schiavi. Abbiamo detto
“cambiamo!”. Abbiamo cominciato ad abbattere i muri, abbiamo parlato di dignità,
di rispetto dei valori umani, ma poi abbiamo ripreso le pietre dei vecchi muri e le
abbiamo messe l’una sull’altra; abbiamo parlato di dignità e oggi parliamo di schia-
vitù. Abbiamo desiderato un mondo diverso ma il nuovo sta diventando peggiore di
prima. Se si continua su questa linea, la legge del Far West la vincerà, perché oggi
potenti e prepotenti decidono la sorte degli altri.
È una storia che non si può fermare: con entusiasmo abbiamo parlato di globaliz-
zazione, ci siamo accorti di come le merci e il denaro possano andare in un attimo

8
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
da un posto all’altro del mondo, ma non abbiamo tenuto conto che anche gli uomini
possono spostarsi.
È proprio la globalizzazione che porta all’immigrazione e questa globalizzazione -
che si regge sul profitto, sull’avere - crea nuovi schiavi e nuovi poveri. È un mondo
che il Signore non avrebbe voluto così, ecco perché ci mette in mano il Vangelo. È
un mondo dove troppa gente fa la fame, vive in una maniera degna di animali men-
tre pochissimi (pochissimi!) hanno in mano la maggior parte dei beni e ne possono
approfittare. Mi ha fatto male sentire che in questo periodo di pandemia, dove tante
persone stanno morendo per problemi di salute, dove molti hanno perso il lavoro,
altri, i più ricchi, hanno visto aumentare la loro ricchezza.
Sono vescovo di Lampedusa e questo nome è un nome contrastante, in greco signi-
fica “scoglio”, in latino significa “lampada”. E di fatto Lampedusa, che rappresenta
un po’ tutte le “Lampeduse” del mondo, è uno scoglio perché molti vanno ad urtare
e là c’è la morte, altri vedono quella luce e sperano. Che strano: il punto più a sud
dell’Europa diventa il nord per quella gente. Noi scappiamo, perché nessuno vor-
rebbe vivere in quelle isole, loro vengono, perché sperano di poter vivere grazie a
quelle isole.
E allora è necessario un cambiamento di cultura, è necessario prendere posizione.
L’amore se non si indigna, non è amore. Non possiamo soltanto mormorare che le
cose così non vanno. Abbiamo un “portavoce” – mi permetto di chiamarlo così – che
con coraggio parla quotidianamente di questa realtà: il Papa. Parla della cultura
dello scarto, ma parla anche di una cultura della solidarietà.
Nessun paese può affrontare da solo questa
grande sfida, come da soli non riusciremo a
cambiare il mondo, ma mettendo insieme
idee e azioni, rimboccandoci le maniche…
potremo riuscire a cambiare qualcosa.
Dice un proverbio africano che anche la nu-
vola più nera ha i bordi luminosi. In questa
realtà scura di morte, di violenza, di soffe-
renza, dobbiamo creare quei bordi luminosi
perché il mondo finalmente diventi casa per
tutti e non solo per alcuni; perché questa im-
migrazione possa diventare spostamento di
gente che viene accolta per creare insieme
realtà nuove.
Dobbiamo smetterla di pensare che la no-
stra è l’unica cultura, dobbiamo accettare
che ci siano tante culture che, messe insie-
me, potranno davvero essere una novità per
il mondo».

   Intervento del
     card. Francesco Montenegro
                                                                                    9
Sulle strade dell'esodo - Missionarie Secolari Scalabriniane
artina Cociglio, laureata in Giurisprudenza e con un percorso di studi anche
     in Relazioni Internazionali, vive a Torino. Da pochi mesi ha iniziato a lavorare
     a Savona presso lo Sportello Immigrazione della Prefettura della città, grazie
     a un Bando europeo relativo alle tematiche migratorie e ai diritti dei migranti
     che ha coinvolto giovani interessati a collaborare e a offrire la loro competen-
     za e sensibilità in tale ambito.
     Martina ha partecipato a diversi incontri e campi formativi organizzati dai Mis-
                                        sionari Scalabriniani con i migranti nel Sud
                                        Italia e altrove. Tra questi ultimi, nell’estate
                                        2019, ha preso parte all’iniziativa “Umanità
                                        IninterRotta”: un viaggio lungo la rotta balca-
                                        nica che, da anni, è crocevia di drammatici
                                        esodi migratori. Da allora, insieme ad altri
                                        giovani e ad alcune associazioni, continua a
                                        seguire quanto accade lungo questa tribolata
                                        ‘frontiera’ europea, offrendo il suo contribu-
                                        to per far conoscere, con un altro sguardo, i
                                        drammi e le speranze di tanti rifugiati in cam-
                                        mino.
                                       Per questo le abbiamo chiesto di rispon-
                                       dere ad alcune domande per avvicinarci a
                                       questa frontiera, lasciandoci condurre dal
                                       suo sguardo:

                                       Il mio sguardo sulla rotta balcanica è quello
                                       di una ragazza di 25 anni che due anni fa ha
                                       fatto un’esperienza di volontariato nel campo
10
profughi di Bogovadja, paesino sperduto
                                     della Serbia, e l’anno dopo, insieme a un
                                     gruppo di giovani, si è messa in viaggio
                                     tra i confini spinati per imparare le parole,
                                     attraverso l’incontro, che testimoniano le
                                     fatiche di quella rotta. Il senso di coinvol-
                                     gimento e responsabilità che porta, nel
                                     proprio piccolo, ad attivarsi per un pezzo
                                     di puzzle di giustizia si genera, per me è
                                     così, a partire dalla vicinanza. Vedo, sen-
                                     to, tocco, ascolto e quindi tutto si smuove,
                                     con i tempi di elaborazione che il pensiero
                                     necessita prima di trasformarsi in passo.
                                     Ma, anche se talvolta non so da che parte
                                     cominciare, se qualcosa mi sta a cuore,
                                     provo ad avvicinarmi per far sì che quella
                                     prossimità sia generativa, nel senso che
                                     ispiri idee e progetti che vanno in un sen-
                                     so che sento “buono”.

In Italia quando si parla di migrazioni pen-
siamo tutti al Mediterraneo, ai barconi, ai
migranti provenienti dall’Africa, ma tu fai
parte di un gruppo di giovani che nel 2019
ha voluto puntare l’attenzione sul movimen-
to di migranti che tenta di entrare in Euro-
pa attraverso i Balcani. Nell’estate del 2015
si erano accesi i fari su quella sponda, che
ha premuto con forza sui confini del nord
Europa, ma poi le luci si sono spente ed è
come se i migranti fossero spariti. Voi inve-
ce non vi siete dimenticati…

Solo nell’ultimo mese la stampa si è fatta dav-
vero, anche se non è mai abbastanza quando
si tratta di vite sospese e violate, portavoce di
quanto accade ai migranti che da Afghanistan,
Siria, Iran, Iraq, Pakistan si mettono in moto attraversando Turchia, Grecia,
Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia, Italia. La rotta balcanica è l’an-
tica via del traffico di droga dall’Afghanistan ai mercati di Londra e negli anni
è divenuta il principale corridoio via terra per i migranti in cerca di futuro in
Unione Europea. Se per scongiurare gli arrivi dal Mediterraneo si stringono
accordi di dubbia natura con Libia, Tunisia, Niger e si contribuisce a poten-
ziare il lavoro della Guardia Costiera Libica, che invece di operare soccorso
in mare riporta le persone nei lager libici limitando fortemente le operazioni
di salvataggio in mare delle ONG, “l’escamotage” lungo la rotta balcanica è
il respingimento fisico da parte della polizia di confine. Illegale perché non
accompagnato da provvedimento scritto motivato e dunque non impugnabile
                                                                                     11
davanti a un giudice. Illega-
     le perché rivolto a persone                             La rotta dei Balcani
     che hanno diritto di asilo. Il-    Non era inaspettato l’arrivo dell’inverno e della neve nei Bal-
     legale perché procura ferite       cani, ma nonostante questo per il terzo anno consecutivo in
     nel corpo: torture, stupri e       Bosnia migliaia di migranti sono senza un alloggio, perché
     violenze sistematiche a co-        non ci sono abbastanza posti nei campi ufficiali. L’incendio
     sto di proteggere la fortezza      ha distrutto il campo di Lipa nello stesso giorno in cui ne era
     Europa.                            stata annunciata la chiusura dall’Organizzazione internazio­
     Penso a quella grata di fer-       nale per le migrazioni (Oim) che lo gestiva, perché il campo
     ro coperta di pezzi di cartone     era ritenuto inadeguato a ospitare delle persone. Senza ac-
     a riparare dalla piog­gia quei     qua, senza fognature e senza elettricità.
     corpi zuppi accovacciati die-      Ma nonostante questo i migranti non sono stati trasferiti in
     tro, in attesa di poter entrare    altre strutture: chi voleva allontanarsi dopo il rogo è stato
     nel campo di Bira, a Bihać,        fermato dalla polizia e rimandato indietro, perché le auto-
     cittadina di confine per chi       rità locali hanno deciso che i profughi debbano rimanere
     tenta il GAME, l’attraversa-       fuo­ri dalla città di Bihać. Nel 2020 in Bosnia-Erzegovina sono
     mento del­  le frontiere, sulle    transitate 16mila persone: più di diecimila sono rimaste
     montagne tra Bo­snia e Cro-        bloccate nel paese sia per l’ulteriore chiusura delle frontiere
     azia. A fine settembre 2020        dovuta alla crisi sanitaria sia per i respingimenti operati dai
     il campo è stato chiuso con        paesi confinanti, di queste solo 6.300 sono registrate nei
     decisione unilaterale del          campi ufficiali.
     Can­­tone di Una Sana, non
                                        Dopo il rogo di Lipa, la situazione è ulteriormente peggiora-
     con­ sultando il Governo di
                                        ta. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazio-
     Sara­jevo che non si assume
                                        ni, l’8 gennaio circa settecento persone sono state sistemate
     ab­ba­stanza la responsabili-
                                        in alcune tende riscaldate allestite in pochi giorni dall’eserci-
     tà. Per quanto disumana ex
                                        to vicino al vecchio campo, mentre più di 350 persone sono
     fabbrica di frigoriferi, era una
                                        state costrette a rimanere in ripari di fortuna dentro Lipa op-
     struttura che stava in piedi,
                                        pure in baracche di legno sparse nel bosco. Si aggiungono ad
     ma troppo poco isolata per
                                        altre 2.500 persone che nel cantone di Una Sana vivono al di
     essere un luogo dove “ac-
                                        fuori del sistema di accoglienza, in palazzi abbandonati e in
     cogliere” migranti. Divisioni
                                        baraccopoli nella foresta. Dopo l’incendio, i profughi di Lipa
     nelle divisioni, una Bosnia
                                        hanno recuperato quello che hanno potuto: con dei teloni di
     ancora frammentata, ferite
                                        plastica hanno coperto una parte dei letti a castello, hanno
     mai riparate dopo la guerra.
                                        trasformato in dormitori perfino i container che erano desti-
     La vigilia di Natale il campo
                                        nati ai bagni e alle docce.
     di tende di Lipa, a 30 km da
     Bihać, si incendia e il rosso      Per approfondire:
     del fuoco contrasta con il         https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camil-
     bianco della neve che gela         li/2021/01/12/bosnia-croazia-lipa-neve-migranti
     tutto. Nudi.

     Raccontaci della vostra esperienza, di Umanità IninterRotta: chi siete?
     Com’è nata l’iniziativa? Cosa fate?

     Umanità IninterRotta è un progetto di giovani nell’ambito dell’animazione mis-
     sionaria scalabriniana. Abbiamo voluto metterci in cammino dal confine tur-
     co-siriano, a Gaziantep, fino a Trieste, in solidarietà ai migranti lungo la rotta.

12
L’ingiustizia è a monte, è nel colore del passaporto, nella divisione tra donne
e uomini di serie A e donne e uomini di serie B. La paura era quella di non tro-
vare lo stile giusto per stare davvero a fianco. Noi che avevamo la possibilità
di attraversare quei confini invalicabili senza paura, come potevamo davvero
essere vicini a chi nella notte, con i piedi piagati e feriti, scova sentieri per
andare al di là? Mentre ci ponevamo queste domande ci impegnavamo per
costruire un percorso che ci vedesse il più possibile entrare in contatto con le
persone, soprattutto tramite le associazioni e gli attivisti che da anni vivono
l’ingiustizia della negazione dei diritti umani e del diritto di asilo per i migranti,
spendendosi per un po’ di bene che cambia il mondo. Attraverso di loro abbia-
mo conosciuto. In punta di piedi, fermandoci
quando sentivamo che andare oltre sarebbe
stato troppo e osando quando osservavamo
lo stupore di chi era felice che qualcuno fosse
lì solo per ascoltare e assorbire tutto quanto a
testimonianza. Ed è stato incredibile quanto la
promessa di raccontare che abbiamo fatto a
molti ci si è appiccicata addosso, diventando
la nostra piccola “missione” una volta tornati
a casa.

“Tante più luci si accendono, tanto più il buio
scompare” ci dice Zehida, maestra di scuola
elementare bosniaca, dal sorriso dolce e dalla
forza così determinata al bene. Lo scorso 5
novembre esperti delle Nazioni Unite hanno
chiesto al governo bosniaco di indagare sul-
la campagna diffamatoria e sulle minacce di
morte nei confronti di questa donna che da
anni si pone a difesa dei diritti dei migranti.
Criminalizzazione della solidarietà.
                                                                                         13
Solidarietà che potrebbe essere semplice e trasparente come quella che
     chiunque si rechi nella piazza della stazione di Trieste vede: i volontari, come
     Lorena e Gianandrea, con il freddo e con il caldo, si piegano sui piedi distrutti
     da quindici giorni di cammino nei boschi di chi è riuscito a sfuggire alla polizia
     croata, slovena, italiana.
     Cosa c’entra l’Italia? Non sono migranti che puntano verso Austria e Germa-
     nia o ancora più a nord? I respingimenti non sono al confine con la Croazia?

     Le violazioni del diritto di asilo non riguardano solo gli altri. Anche l’Italia, in-
     fatti, riammette informalmente i richiedenti asilo sulla base dell’Accordo bila-
     terale tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica di
     Slovenia del 3 settembre 1996, accordo di dubbia legittimità nell’ordinamento
     italiano e in ogni caso inapplicabile nei confronti di richiedenti asilo e rifugiati
     verso cui è d’obbligo rispettare il diritto internazionale, europeo e interno. Ep-
     pure, solo nel 2020 sono state respinte illegalmente dall’Italia alla Slovenia
     1301 persone provenienti dalla rotta balcanica.

     Del 18 gennaio è un’ordinanza del Tribunale di Roma che, finalmente, sanci-
     sce l’illegittimità della riammissione dall’Italia alla Slovenia di un richiedente
     asilo pakistano che, a catena, era poi stato respinto verso la Croazia e la Bo-
     snia. Il Tribunale ne ordina l’ingresso in Italia. Che sia una sentenza che entri
     nelle stanze del Viminale e risuoni come ordine inviolabile: i migranti richie-
     denti asilo provenienti dalla rotta balcanica non devono essere respinti, punto.
     E alla fine del viaggio? C’è stato un seguito?

     A Trieste, un anno e mezzo fa, arriviamo rotti. L’umanità si rompe tra quei con-
     fini e non c’è un finale felice né dobbiamo per forza trovarlo. Ci sono però gli
     occhi pieni di speranza, nonostante tutto, delle persone che abbiamo incon-
     trato. C’è una rete di associazioni, attivisti, organizzazioni, chiamata RiVolti ai
     Balcani, che, proprio dopo il nostro viaggio, è nata ed è stata come una chia-
     mata per noi. Nell’impegno per un obiettivo comune ha senso stare uniti, me-
     scolare le sensibilità e le competenze, qualcosa ne viene sempre fuori perché
     insieme si grida più forte. Nella piazza della stazione di Trieste io e Simone

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ci avviciniamo a due uomini che in un angolo mangiano un pezzo di pollo. Le
scarpe distrutte parlano. Vien voglia di accarezzare il loro dolore. Prestiamo
loro un telefono per dire a casa che sono arrivati. Capiamo solo le lacrime. Un
amico arrivato qualche tempo prima verrà a prenderli e li aiuterà a comprare
un biglietto per raggiungere un cugino in Francia. L’Italia non è la destinazio-
ne, almeno non per tutti. Ad accomunarli, però, al di là della direzione del tre-
no che prenderanno, c’è il nuovo GAME che dovranno affrontare: quello delle
procedure di asilo, della ricerca di una casa, di un lavoro, dello studio della
lingua. Ma questo a chi ha affrontato guerra, fame, botte, freddo non fa paura.
Almeno non ancora. Adesso sono arrivati. Inshallah, grazie a Dio.

Durante questo anno di pandemia avete sospeso il progetto o vi siete
riorganizzati in altro modo?

Se da una parte il periodo di emergenza sanitaria ci ha tolto la possibilità di
continuare a organizzare testimonianze dal vivo, dall’altra ci ha permesso di
reinventarci e di dare spazio a qualcosa che forse non avremmo avuto la
creatività di pensare: un libro che racconta Umanità IninterRotta contenente
gli appunti del nostro viaggio, le riflessioni tra i confini, le testimonianze dei
migranti e dei volontari impegnati sulla rotta, nonché le fotografie scattate in
punta di piedi (https://www.seipersei.com/products/Umanit%C3%A0-ininter-
rotta-by-ASCS).

Rappresenta un po’ il nostro modo di innalzare una bandiera per il dolore e le
speranze delle persone che abbiamo incontrato. Sogniamo un cielo pieno di
bandiere e un vento che inverta la rotta nella direzione del rispetto dei diritti.

                                                  A cura della redazione

                                                                                     15
l 25 luglio 2021 la nostra comunità di Missionarie Secolari Sca-
     labriniane compirà 60 anni di vita. La nostra storia è iniziata dal sì
     incondizionato a Dio di Adelia Firetti, pronunciato personalmente
     nella chiesetta dello Spirito Santo a Solothurn (Svizzera) il 25 luglio
     1961, senza avere davanti una strada già fatta. Non poteva immagi-
     nare, infatti, che sarebbe sorto nel tempo un nuovo Istituto Secolare,
     che la Chiesa avrebbe approvato nella Pasqua 1990.
     Ora con profonda gratitudine possiamo riconoscere la presenza
     provvidenziale dello Spirito Santo che ha dato inizio e continuità a
                   questa nostra storia. Essa poteva finire mille volte ed
                   invece ha potuto trovare il suo percorso con i migranti
                   e tanti amici sulle strade dell’esodo che Dio ci ha fatto incontrare e
                   che ha unito, in modi diversi, al nostro cammino.
                     Un primo sguardo storico ci porta alla gratitudine per diversi Mis-
                     sionari Scalabriniani1 - tra i quali siamo particolarmente grate a
                     p. Ga­­briele Bortolamai cs, che ha accompagnato con il suo discer-
                     nimento di fede la nostra storia fin dagli inizi, sostenendo nel cam-
                     mino il dono di una nostra consacrazione secolare scalabriniana.

     1 Ricordiamo con speciale gratitudine: p. Cesare Zanconato, p. Luigi Tacconi, p. Giacomo
     Tolfo, p. Velasio de Paolis, p. Giovanni Battista Sacchetti, p. Antonio Perotti, p. Mario
     Francesconi e p. Gra­ziano Tassello.
16
Essa trovava ispirazione nella stessa spiritualità di incarnazione del beato G.B.
Scalabrini, oltre che nella sua luminosa visione profetica riguardante il mondo
delle migrazioni. Il Superiore Generale p. Giulivo Tessarolo, il 4 luglio del 1966,
confermava la nostra appartenenza alla Famiglia Scalabriniana nella diversità
della nostra consacrazione secolare.
Ritornando alla storia, riconosciamo con profonda gratitudine il sostegno della
Diocesi di Basilea, con i suoi Vescovi e Vicari Generali che ci hanno dato fi-
ducia, insieme a preziosi consigli per il nostro cammino2. In seguito all’invio delle
nostre Costituzioni a Roma da parte del Vescovo Otto Wüst, la Congregazione
per la Vita Consacrata riconosceva, il 25 marzo 1990, come dono autentico3 e
stabile4 per la Chiesa e per il mondo il nostro carisma di Missionarie Secolari
Scalabriniane.
Non per ultimo, rimane costante il nostro grazie per gli stessi migranti che ci
accolgono come compagne di viaggio, insieme agli innumerevoli “amici sulle
strade dell’esodo”: persone di ogni età, nazionalità e condizione sociale i quali,
incontrandosi in uno scambio di conoscenza reciproca e stima, desiderano per-
correre passi significativi verso una possibile fraternità universale oltre le frontie-
re. Si tratta di un cammino di formazione alla “cattolicità” con i suoi appuntamenti
che culminano nelle Feste internazionali, come la Scalabrini-Fest di Primavera
nella nostra Sede a Solothurn e la Scalabrini-Fest dei Frutti a Stoccarda presso il
Centro di Spiritualità.

2 Ringraziamo tutti i Vescovi e i Vicari Generali della Diocesi di Basilea, che ci hanno
accolto e sostenuto fino ad oggi; in modo speciale siamo grate al Vescovo Anton Hänggi
e al suo Vicario Generale mons. Alois Rudolf von Rohr, che hanno seguito il processo
delle nostre Costituzioni insieme al padre francescano p. Alcuin Stillard, esperto in diritto
canonico.
3 Il 14 maggio 1967, giorno di Pentecoste, abbiamo ricevuto la prima approvazione da
parte della Diocesi di Basilea - ad experimentum - e il 25 marzo 1990 l’approvazione delle
nostre Costituzioni da parte della Congregazione romana per gli Istituti di Vita Consacrata:
un passo decisivo per l’erezione nella Chiesa del nostro Istituto Secolare da parte del
Vescovo di Basilea Otto Wüst, avvenuta nella Pasqua del 1990.
4 Il 24 settembre 2018, durante l’incontro degli Istituti Secolari in Svizzera, il card. João
Braz de Aviz Prefetto della Congregazione romana per gli Istituti di Vita Consacrata,
parlando con la Missionaria Béatrice Panaro, affermava con determinatezza: “Se il vostro
Istituto Secolare è stato approvato dalla Chiesa è un dono di Dio e come tale non finirà”.

                                                                                                17
a nostra vocazione di Missionarie Secolari Scalabriniane ci porta a cammi-
     nare in una totale consacrazione a Dio nell’ordinarietà di una vita migrante. La
                               sequela di Gesù povero, vergine, obbediente, attra-
                               verso i voti, ci coinvolge nel mondo variegato delle
                               migrazioni, come sale e lievito del Vangelo. L’eso-
                               do, vissuto nella fede, assomiglia alle doglie di un
                               parto. Esso ci apre, infatti, ad una grande speranza
                               di vita nuova verso una futura umanità la quale, im-
                               parando a convivere tra le differenze, può indicare
                               la via della pace.
                                Infatti la realtà trasformante della Pasqua di Gesù –
                                dalla morte alla vita –, nel favorire un esodo positivo
                                da noi stessi, può riempire di senso anche l’eso-
                                do dalla propria terra, per emigrare verso una vita
                                sempre più aperta a nuove relazioni tra le diversità,
                                nella reciproca appartenenza. Infatti, secondo la vi-
                                sione del beato G.B.Scalabrini, la provvidenza che
                                guida gli umani destini, anche attraverso catastrofi
     verso la meta ultima, potrà riunire in Dio tutti i popoli in un solo popolo e tutte
     le famiglie in una sola famiglia.
     Camminando insieme, anche solo uno sguardo nuovo di stima verso chi ci è
     straniero può allargare il cuore a relazioni fraterne che spesso nelle stesse

18
vicende quotidiane ci sorprendono. Il dono di vivere nell’esodo, infatti, apre
uno spazio illimitato allo Spirito Santo, verso passi nuovi di umanizzazione,
per cui non ci si può più definire confrontandoci da fuori, secondo i parametri
della nostra cultura e mentalità. Chi può definire una persona nel passo? Si-
curamente, ogni esodo ci porta oltre noi stessi ad accoglierci gli uni gli altri, in
ogni diversità, per diventare “fratelli tutti”, fino a realizzarci come popolo di Dio
che cammina verso la terra promessa.
Un processo da promuovere non nonostante, ma attraverso le stesse diffe-
renze culturali, di mentalità e di religione.
Su strada ci può venire incontro inaspettato un ulteriore dono, frutto dell’e-
sodo e della comunione fraterna che si estende, fino a ritrovare tra gli stessi
migranti non solo dei compagni di viaggio, ma speciali collaboratori, anche
a loro insaputa, di una missione che si allarga. E questo tra i migranti più
svantaggiati, che vivono per esempio soli nelle baracche, o tra i carcerati,
incontrati con gruppi di giovani durante l’anno.
I migranti, spesso considerati “gli ultimi”, possono risvegliare negli stessi gio-
vani il desiderio di dare la vita per amore, su ogni strada e vocazione, allo
scopo di contribuire ad un mondo migliore. Nello stesso tempo, i giovani rap-
presentano per i migranti più svantaggiati la speranza di un futuro nuovo: un
mondo abitato da una più autentica umanità, aperta alla giustizia sociale e
all’accoglienza, nel dono della stima reciproca e dell’amicizia.

                                                               Maria Grazia

                                                                                        19
ll’inizio di novembre ci ha sorpreso la telefonata di Markus Thürig, vicario generale
della diocesi di Basilea: insieme al Vescovo Felix Gmür e al Vescovo ausiliare Denis
Theurillat stavano riflettendo sulla possibilità di trasmettere in streaming le dieci cele-
brazioni eucaristiche del Tempo di Avvento e di Natale in un luogo significativo ed ave-
vano pensato alla chiesa di St. Joseph presso l’IBZ-Scalabrini di Solothurn. In questo
modo le celebrazioni avrebbero potuto portare l’attenzione sulla diversità delle lingue e
culture, sulla realtà dei migranti e rifugiati, sull’universalità della Chiesa.

   20
È incominciata così l’avventura della...
diretta! Soprattutto, da quel momento, si è
aperto un “laboratorio” di collaborazione a
tanti livelli: tra noi Missionarie a Solothurn
giorno per giorno e con il vicario genera-
le, coordinatore del progetto, disponibile
in ogni momento ad ogni domanda; con
diverse Missionarie al di qua e al di là
dell’oceano per la preparazione dei filmati
con cui, all’inizio di ogni celebrazione, si
apriva una finestra su tante realtà vicine
e lontane, e dei link per la streamingpage;
nelle riunioni con i diversi collaboratori
dei vescovi; con l’organista, la soprano
e i musicisti che si sono succeduti nelle
celebrazioni; con il mondo dei media e i suoi criteri; con il team tutto giovane della tele-
visione regionale jump-tv incaricata della produzione; e – last but not least – con tanti
amici che abbiamo contattato per proporre la partecipazione alle celebrazioni… online
ma anche in presenza!
In effetti, ad ogni celebrazione avevamo la possibilità di invitare, nel rispetto delle di-
sposizioni anti-covid, dodici-quindici persone, in modo tale che di volta in volta la diver-
sità delle lingue e provenienze potesse allargare gli orizzonti e diventare, insieme alla
presenza del vescovo, un segno capace di rafforzare in ciascuno la consapevolezza di
appartenere ad una grande famiglia. Così proprio al termine di un anno in cui abbiamo
dovuto rinunciare alla Scalabrini-Fest sia a Solothurn che a Stoccarda, queste celebra-
zioni sono diventate come una… Scalabrini-Fest a tappe!
Come in una staffetta… si sono passati il testimone diversi amici svizzeri insieme ad
amici che ora pure
vivono nella regione
di Solothurn ma pro-
venienti da altri paesi
del mondo: Togo ed
Eri­trea; Iraq, Vietnam
e Sri Lanka; Guate-
mala ed Ecuador; e
ancora: Portogallo,
Italia, Bosnia, Polo-
nia e Ungheria. Ogni
volta era l’Eucarestia
al centro, con la sua
forza trasformante,
ca­­pace di valorizzare
ogni diversità per la
crescita della comu-
nione. E questo pro-
prio in un tempo se-
gnato dalla distanza.
                                                                                      21
Tra gli amici che hanno seguito tutte le celebrazioni in
                                 streaming anche Cinzia e Ursil dal Lussemburgo, con i
                                 loro tre bambini. Ci hanno scritto: “Questa possibilità ci è
                                 arrivata proprio come una bella notizia! La partecipazione
                                 a queste celebrazioni ci ha dato la possibilità di approfon-
                                 dire la nostra fede e di riflettere di nuovo, in questo tempo
                                 della pandemia, sul senso della vita, sentendoci collegati
                                 con tutti coloro che, attraversando tante difficoltà, sono
                                 alla ricerca di una nuova patria. Durante le loro omelie il
                                 Vescovo Felix e il Vescovo ausiliare Denis hanno più vol-
                                 te parlato della nostra fragilità e di come solo insieme e
appoggiandoci all’amore di Dio possiamo superare ogni prova. L’alternarsi delle lingue
e i sottotitoli con le traduzioni delle letture e di alcuni canti rendeva evidente l’interna-
zionalità della famiglia cui apparteniamo”.
Ci sono amici, però, che hanno partecipato in presenza non solo ad una celebrazione…
ma a tutte: sono i giovani componenti del team della televisione! Per loro – ci hanno det-
to – una Messa, un tabernacolo, i diversi momenti della celebrazione erano… una terra
sconosciuta. Ci ha colpito fin dal primo momento, da parte di tutti e specialmente dei
due responsabili, fratello e sorella, l’ascolto, il rispetto e l’entusiasmo con cui lavoravano.
Nella riunione conclusiva di revisione hanno comunicato l’esperienza di due speciali par-
tecipanti in streaming: i loro genitori, di famiglia protestante, hanno seguito con attenzio-
                                                          ne la Messa della prima domenica di
                                                          Avvento e, dopo quella, anche tutte le
                                                          altre, dall’inizio alla fine!
                                                       A conclusione dell’ultima celebra-
                                                       zione, domenica 10 gennaio, il Ve-
                                                       scovo Felix – dopo aver ringraziato
                                                       tutti coloro che hanno reso possibile
                                                       questo progetto – ha pregato con le
                                                       parole di Papa Francesco. È la pre-
                                                       ghiera con cui si conclude l’enciclica
                                                       “Fratelli tutti”: Dio nostro, Trinità d’a-
                                                       more, dalla potente comunione della
                                                       tua intimità divina effondi in mezzo a
                                                       noi il fiume dell’amore fraterno. […]
                                                       Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua
                                                       bellezza riflessa in tutti i popoli del-
                                                       la terra, per scoprire che tutti sono
                                                       importanti, che tutti sono necessari,
                                                       che sono volti differenti della stessa
                                                       umanità amata da Dio. Sono paro-
                                                       le che sintetizzano l’esperienza che
                                                       abbiamo potuto fare e che la rilan-
                                                       ciano avanti, un già e un non ancora
                                                       in cui ciascuno di noi può dare un
                                                       contributo insostituibile.
                                                                                   Anna F.
   22
gni giorno possiamo raccogliere
tanti segni per ringraziare lo Spirito
Santo che agisce senza far rumore in ciascu-
no, in tutti coloro che diventano collaboratori del piano di Dio, che lo
sappiano o no, per una nuova fratellanza. In particolare nello scorso periodo
di Natale un fatto ci ha permesso di vedere incarnata la parola del Vangelo
“Quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me!” (cfr.
Mt 25,40).

Da undici anni a Bad Cannstatt, la zona di Stoccarda dove viviamo, in occa-
sione del Natale si ripete un gesto di solidarietà intitolato “Gioia del Natale:
scegli una cartolina, esaudisci il desiderio, regala gioia”, nato dalla collabora-
zione tra la chiesa cattolica e quella evangelica. Ad animare l’iniziativa sono
diverse realtà, come Caritas diocesana e anche noi missionarie.
Ogni soggetto organizzatore appende ad un albero di Natale, posto davanti
alla chiesa protestante nella via principale del quartiere, dei biglietti con la
proposta di un regalo di Natale per una persona in difficoltà economiche e
chi passa di lì può scegliere uno di questi cartelli e ritornare con il dono per la
persona indicata.

                                                                                         23
Per il 2020, a motivo del Covid,
                                                      invece di invitare ad acquistare
                                                      i doni, si è pensato di proporre
                                                      ai donatori di offrire buoni spe-
                                                      sa per generi alimentari, dro-
                                                      gheria o per l’abbigliamento,
                                                      per permettere ad ognuno di
                                                      comprare questi articoli diretta-
                                                      mente nel negozio assegnato,
                                                      in base al va­lore dell’importo.
                                                      Riflettendo su quali persone
                                                      proporre per ricevere il rega-
                                                      lo, noi missionarie abbiamo
                                                      pen­sato a vari studenti inter-
                                                      nazionali che si trovano qui a
                                                      Stoccarda e che, a motivo del-
                                                      la pandemia, non hanno potuto
                                                      raggiungere le loro famiglie per
                                                      le feste. Proprio a causa della
                                                      situazione sanitaria, molti han-
                                                      no perso il lavoro con il quale si
                                                      mantenevano agli studi e ades-
                                                      so si trovano in una situazione
                                                      di disagio e di precarietà.
                                                      Avevamo pensato che, viste le
                                                      difficoltà economiche che mol-

     ti at­­traversano attualmente, que­st’an­no i
     donatori non sarebbero stati numerosi; e,
     invece, la generosità è stata sorprendente
     e le persone coinvolte sono state quasi di
     più dell’anno passato.
     Ci piace pensare che magari, proprio a
     motivo dei disagi economici vissuti, tan-
     ti di più siano stati capaci di mettersi nei
     panni degli altri. In questo modo hanno
     fatto sentire agli studenti stranieri di avere
     anche qui una famiglia, persone che vo-
     gliono mettersi in cammino con loro.
     Ma la sorpresa non è stata solo questa: il
     fatto di dover provvedere semplicemente
     ad un buono spesa non ha fermato la cre-
     atività, e ciascuno ha accompagnato il suo
     gesto con una cartolina di augurio persona-
     le per le feste e dolci natalizi, con un pacco
     regalo contenente qualcosa di buono da
     mangiare o qualcosa di carino da indossa-
     re, o anche un cesto regalo con alimentari
     assortiti. C’è stato persino chi ha pensato
     di regalare ingredienti per una ricetta tipica
     del paese di origine dello studente.
24
Le persone che offrono il do­
no in genere rimangono a­no­
nime e quello che scrivono
nei bigliettini sono desideri
e auguri di buone feste per
gli studenti, incoraggiamen-
ti ad andare avanti senza
arrender­si in questa situazio-
ne, qua­­si come se si cono-
scessero.
È come se ognuno aves­­­­se
cer­­cato di creare un clima di familiarità, qualcuno addirittura scrivendo nella
lingua di provenienza dello studente perché originario dello stesso paese o
cercando nei dizionari online. In effetti una ragazza del Salvador, quando ha
ricevuto il regalo, ci ha detto di essersi proprio sentita come se avesse una
famiglia anche qui e ne era molto grata, mentre una studentessa musulmana
del Bangladesh era molto sorpresa che persone sconosciute avessero potuto
fare un gesto del genere per lei.
Non tutti coloro che desideravano donare sono riusciti ad acquistare un buono
spesa prima di Natale… E allora hanno messo dei soldi in una busta e l’hanno
consegnata.
Via via che i regali arrivavano, abbiamo cercato di raggiungere il più possibile
gli studenti per consegnare personalmente il dono: è stato come fotografare
la sorpresa dipinta sui loro volti e registrare le loro reazioni… Qualcuno ha
espresso il desiderio di fare altrettanto per un altro studente e così è stato:
una studentessa indiana, che avrebbe voluto ricambiare il dono, non sapendo
chi fosse il donatore, ha deciso di fare un regalo ad un compagno. Un’altra ci
ha detto: “Perché proprio a me? Io non ho bisogno perché la mia famiglia mi
aiuta, posso dare questo a qualcuno che ha più bisogno di me?”.
Il dono suscita il dono, ci mette su strada insieme a tanti che vivono la stessa
situazione in modi diversi e, senza che lo immaginiamo, può persino risolle-
vare chi si trova prostrato dalla solitudine forzata, diventata ormai disagio, e
aiutarlo a rialzare lo sguardo per tornare a sorridere, come è successo a due
giovani africani.
Un’altra studentessa indiana, di religione indù, quando ha visto il regalo per lei
ha raccontato che da quando è arrivata in Germania ha ricevuto molto aiuto e
che, quando ha trovato le porte chiuse da una parte, si sono aperte dall’altra,
perché c’era sempre una mano amica.
E poi c’è chi, nel dono, è riuscito a leggere una speranza più grande: una
famiglia di studenti del Ghana, con due figli piccoli, si è meravigliata di tanta
generosità e il marito ci ha comunicato che questo gesto l’ha portato a pensa-
re che, se ci sentissimo di più fratelli tra di noi, senza fare distinzioni di cultura
o nazione e condividessimo quello che abbiamo, forse nel mondo nessuno
morirebbe di fame.
Uno studente messicano ha visto, in questo segno, la presenza di Dio che
supera le frontiere geografiche e spinge a gesti di solidarietà e ci abbraccia
come famiglia umana facendo di ognuno di noi una persona: “Una carezza
di Dio che vede i nostri bisogni e che, se apriamo le mani, ci porta a ricevere
gratuitamente da Lui attraverso gli altri”.

                                                                    Lorella
                                                                                         25
ospitalità: “Per l’Antico e il Nuovo Testamento e per la Chiesa delle origini
essa era fondamentale e oggi, di fronte alle conseguenze della globalizzazione,
riveste una grande importanza nei flussi migratori a livello globale”, così afferma
il teologo card. Walter Kasper nel libro: “La gioia del cristiano”1, del quale qui di
seguito presentiamo alcune citazioni tratte dal capitolo: “Ospitalità cristiana”.

Dopo aver presentato brevemente il significato dell’ospitalità nel mondo antico e nel
Vecchio Testamento, il card. Kasper scrive: “Il Nuovo Testamento, riguardo alla sua
valutazione dell’ospitalità, si colloca in questa grande e lunga tradizione e al tempo
stesso la oltrepassa2. L’ospitalità è parte integrante del comandamento dell’amore del
prossimo, che è inscindibilmente legato al comandamento dell’amore di Dio (Mt 22,36-
39 par.).
Per Gesù, nel grande discorso sul giudizio finale (Mt 25,31-46), l’ospitalità non è solo
questione di compassione, ma possiede una dimensione assolutamente mistica. Nel
senzatetto straniero che cerca un alloggio incontriamo Gesù stesso; lo straniero è una
personificazione di Gesù. «Ero straniero e mi avete accolto», dice Gesù a persone
che si ritenevano giuste e chiedevano che cosa significa: «Tutto quello che avete fatto
a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). L’incontro
con lo straniero è un’opportunità di incontro con Cristo. Si può assolutamente parlare
di una profezia straniera dello straniero e parlare di una spiritualità non degli occhi
chiusi, ma degli occhi aperti, che riconosce nel bisogno dell’altro Cristo (J.B. Metz)3.

1 Card. Walter Kasper, La gioia del cristiano, Editrice Queriniana, Brescia, 2018.
2 RAC 8 (1972), 1103-1120.
3 Card. Walter Kasper, La gioia del cristiano, 138-141, Amicizia con Dio come cuore della
spiritualità.
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Peccare contro il comandamento dell’accoglienza dello stra-
niero significa chiudere la porta del cielo e cadere nell’inferno
(Mt 25,46)”.
L’autore ricorda i ripetuti inviti all’accoglienza presenti nel
Nuovo Testamento e l’importanza che l’ospitalità ebbe per
l’attività missionaria della chiesa primitiva: “Le testimonianze
della Chiesa delle origini in materia di ospitalità per gli stranieri
sono impressionanti sia come numero sia come contenuto4”.
Tra queste troviamo gli scritti di diversi Padri della Chiesa,
ad esempio “Agostino: «Lo straniero che noi accogliamo è
il nostro compagno di viaggio, perché tutti sulla terra siamo
solo forestieri. È un autentico cristiano chi riconosce di essere
forestiero nella propria casa e nella propria patria» (Sermo
111,4). (…)
Ospitalità è una parola chiave della Bibbia e della tradizione
più antica di quello che si chiama Occidente cristiano. Perciò
chi predica l’inimicizia e la chiusura verso gli stranieri per salvare l’Occidente cristiano
non sa ciò che dice e di che cosa parla; in realtà si trasforma in becchino dell’Occiden-
te. La cultura dell’accoglienza, per la quale si impegnano mol-
ti cristiani cattolici, evangelici e ortodossi, è espressione della
vera tradizione e cultura dell’Occidente. Nessuno ha bisogno a
posteriori di screditarla come ingenua. Oggi, in tutto il mondo
molti milioni di persone sono costrette a emigrare. Questa è
per i cristiani una sfida che devono affrontare e al tempo stesso
un dono per incontrare nuovamente in questa situazione Dio e
Gesù Cristo, che noi troppo spesso abbiamo dimenticato.
Le affermazioni della Bibbia e della tradizione della Chiesa val-
gono anche oggi per i cristiani e per la Chiesa. Essi devono la-
sciarsi ispirare, a partire da questa loro convinzione, anche nel-
la loro pratica politica e introdurla, facendone propaganda, nella
vita sociale. Tuttavia, realisticamente, devono vedere che non
si può introdurre pari pari la convinzione della fede cristiana in
una società pluralistica e in uno stato secolare. Il compito dello
stato secolare è quello di trovare nella sua propria e autonoma
responsabilità, ispirato dalla visione cristiana, in modo ocula-
to ed equilibrato, soluzioni degne dell’uomo che siano giuste e
convenienti, accettabili e sopportabili per tutte le parti. In una situazione globalizzata,
nella quale la migrazione di milioni di persone fa parte dei “segni del tempo”, non
può esistere una soluzione globale a breve termine; noi possiamo fare solo ciò che è
possibile per noi oggi nella nostra situazione. Ma dovremmo essere consapevoli che il
giudizio davanti al tribunale di Dio, sull’Europa e su noi cristiani europei di oggi dipen-
derà dall’adozione o dal rifiuto di soluzioni cristianamente ispirate degne dell’uomo”.

						                                                      A cura della redazione

4 Ricco materiale in RAC 8 (1972), 1107-1120.
                                                                                        27
lla fine del 2020, dopo aver vissuto a Stoccarda in Germania parte della mia
     formazione iniziale con le Missionarie Secolari Scalabriniane, è arrivato il mo-
     mento di un nuovo stage missionario, un periodo di esperienza pratica. Sono
     stata inviata per questo in Brasile, il mio paese di origine, con la proposta di ope-
     rare nell’ambito della mia area professionale, in un
     servizio di consulenza giuridica a migranti e rifugiati.

     Appena arrivata in Brasile, in ottobre, quando le at-
     tività venivano riaperte dopo il confinamento, ho co-
     minciato a lavorare alla Missione Paz dei Missionari
     Scalabriniani, prima di tutto affiancando nella con-
     sulenza legale l’avvocata, che mi ha accolta molto
     amichevolmente, per poi iniziare, poco alla volta, ad
     assistere io stessa i migranti che richiedono il nostro
     servizio giuridico.1
     Non si tratta di un lavoro prevedibile, le richieste
     sono varie ed il ritmo è intenso, ma le persone sono
     uniche, anche quando il problema che pongono ma-
     gari è lo stesso.

     1 Il settore giuridico fornisce assistenza concreta partendo
     dal contesto del migrante, dandogli informazioni complete
     e fondate, affinché abbia una piena comprensione della
     sua situazione e, così, possa conoscere i suoi diritti e
     sapere come esercitarli.

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