Fase 3: torna musica in discoteca ma no balli
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Fase 3: torna musica in discoteca ma no balli Da oggi in Campania possono tornare ad accendersi gli impianti audio delle discoteche, dove ci si potra’ intrattenere per bere qualcosa al bar e al ristorante, ma resta escluso il ballo, anche all’aperto. Riattivati anche i corsi di lingue, di laboratori e di altre attivita’ formative o ricreative, purche’ siano svolti presso gli enti autorizzati a farlo. Le sale gioco, bingo e scommesse devono attendere il 15 giugno per riaprire. In particolare, nelle sale scommesse, e’ vietato assistere “alle competizioni sportive e/o alle comunicazioni sui monitor”, ma sara’ possibile farlo “esternamente ai locali, a condizione che si evitino assembramenti”. Dopo averle anticipate nella consueta diretta social del venerdi’, il ‘governatore’ campano, Vincenzo De Luca, mette nero su bianco, nell’ordinanza numero 56, le nuove misure anti- contagio per diverse attivita’. Tra le premesse del provvedimento, i risultati incoraggianti degli ultimi sette giorni circa i nuovi positivi: in media due al giorno, che confermano “la curva epidemica via via decrescente”. L’uso delle mascherine nella regione resta obbligatorio fino al 21 giugno, mentre e’ “raccomandato” all’aperto dopo quella data. Sempre da lunedi’ prossimo e’ consentito lo svolgimento delle attivita’ di cinema, teatri e spettacoli dal vivo. Dal 1 luglio, poi, possono svolgersi le attivita’ congressuali, rispettando tutte le misure di sicurezza. La task force regionale da’ mandato alle aziende sanitarie di regolamentare l’accesso nei reparti di familiari, accompagnatori e visitatori che potranno assistere da vicino i degenti, fermo restando il divieto di assembramento. Intanto, dal prossimo martedi’, le Asl dovranno effettuare, in raccordo con l’Unita’ di crisi, controlli a campione della temperatura corporea dei viaggiatori e dovranno praticare test diagnostici in caso di temperatura superiore a 37,5 ovvero in presenza di sintomi,
anche lievi, compatibili con il virus Covid-19. Tenta truffa in banca, arrestato 64enne di Caserta Gli agenti della Polizia di Stato dell’Ufficio Prevenzione Generale – Sezione Volanti, hanno tratto in arresto un uomo, F.C. di 64 anni, pregiudicato originario della provincia di Caserta, per una tentata truffa ai danni di una filiale di un istituto di credito, nella zona orientale a Salerno. L’uomo si era presentato allo sportello bancario per effettuare un prelievo di mille euro, attirando i sospetti dell’impiegata addetta in merito ai documenti esibiti per effettuare l’operazione. Infatti, la provenienza da altro luogo della Campania, riportata sul documento di identità, appariva all’operatrice abbastanza strana per l’importo richiesto e, dopo ulteriori verifiche in banca dati dell’istituto, sorgevano fondati sospetti che l’uomo stesse esibendo documenti falsi. Pertanto, veniva richiesto l’intervento della volante della Polizia di Stato che si portava prontamente sul posto e sottoponeva a controllo l’uomo. Dagli accertamenti effettuati, gli agenti appuravano che la carta d’identità e la tessera sanitaria esibite risultavano essere state contraffatte e che l’uomo stesse usando false generalità per completare il raggiro ed ottenere la somma richiesta. Inoltre, ascoltando anche altri addetti della banca in merito all’episodio, emergeva che la stessa persona il giorno prima, 10 giugno, era riuscito con la medesima tecnica a trarre in inganno un altro operatore della stessa filiale, facendosi consegnare la somma di mille euro. Dal quadro inequivocabile emerso, gli agenti accompagnavano l’uomo negli uffici della Questura per le formalità di rito e successivamente lo traevano in arresto in flagranza per tentata truffa, sostituzione di persona ed uso di falsi documenti, conducendolo al proprio domicilio in regime di arresti
domiciliari a disposizione dell’Autorità Giudiziaria in attesa dell’udienza di convalida. Falsa dichiarazione fiscale, sequestro della Guardia di Finanza a un imprenditore di Battipaglia La Guardia di Finanza di Salerno, su disposizione della locale Procura della Repubblica, ha eseguito un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti di un imprenditore di Battipaglia, per il reato di dichiarazione fiscale fraudolenta. Il provvedimento, emesso dal GIP del Tribunale di Salerno, scaturisce da un controllo dei Finanzieri della Tenenza di Battipaglia nei confronti di un agricoltore, dedito alla produzione e commercializzazione di agrumi, il quale, avvalendosi della qualifica di imprenditore agricolo, in tre anni ha omesso di dichiarare al Fisco ricavi per oltre 1,4 milioni di euro. Sosteneva infatti di essere a tutti gli effetti un semplice contadino, in quanto dichiarava di coltivare i terreni nella disponibilità per poi rivendere i soli prodotti raccolti nei suoi campi. In questo modo, beneficiava delle agevolazioni fiscali del regime speciale dell’agricoltura, che consente la determinazione del reddito sulla base della rendita catastale, in maniera forfettaria, in questo caso pari a poche centinaia di euro all’anno. I militari, partendo dalle ingenti quantità di agrumi commercializzati (oltre 5.000 quintali nel triennio dal 2015 al 2017), a fronte dell’unico terreno effettivamente destinato a questa coltivazione (con una superficie di appena 1,7 ettari), hanno ricostruito che la gran parte della frutta
veniva invece acquistata da altri agricoltori. Addirittura, nel caso dei cedri, venivano venduti senza avere piantato neanche un albero. Le incongruenze rilevate hanno portato le Fiamme Gialle salernitane a riqualificare l’attività dell’imprenditore, rideterminando in maniera analitica il reddito imponibile e facendo emergere un’evasione fiscale di circa 600.000 euro. Per garantire il pagamento del debito nei confronti dell’Erario, sono stati così posti sotto sequestro liquidità e titoli nella disponibilità dell’indagato per un valore complessivo di pari importo. Evade dai domiciliari, arrestato 53enne per estorsione Un uomo di 53enne, salernitano, è stato arrestato dai Carabinieri per evasione dai domiciliari ed estorsione. Il fatto è accaduto domenica scorsa. L’uomo era sottoposto agli arresti domiciliari a Pellezzano in una abitazione assieme alla madre. Primario sospeso, i legali contestano i fatti: “Erano
atti medici” “Il nostro assistito si protesta innocente e totalmente estraneo ai fatti. Egli contesta la ricostruzione svolta dalla denunciante e rivendica che tutti gli atti da lui compiuti erano finalizzati esclusivamente a ragioni di natura medica”. Lo dichiarano Federico Conte e Laura Toriello, legali del medico destinatario ieri di una misura di sospensione dell’esercizio della professione emessa dal Gip del Tribunale di Salerno. “Riteniamo necessari tempestivi approfondimenti investigativi – dichiarano i due avvocati – per fare totale chiarezza, e in modo rapido, sulla denuncia di una paziente. Nessun abuso, nessuna violenza si sono compiuti ai danni della signora, ma solo regolari manovre di natura diagnostica, nell’ambito di una visita medica. Sconcerta che si calpesti in modo così brutale la reputazione e l’onorabilità di uno stimato professionista, che viene catapultato in una vicenda dal duro impatto professionale ed esistenziale sulla base di accuse generiche e non dimostrate. Per questo ci rivolgeremo subito al Tribunale del Riesame“ Sindrome della capanna: non solo è possibile ma anche comprensibile di Giulio Corrivetti Un senso di smarrimento mi pervade all’idea di riappropriarsimi della libertà di movimento, all’idea di uscire e di tornare alla mia vita di prima. Dottore, perché? Per spiegarcelo, questo senso di smarrimento dobbiamo
innanzitutto capire a fondo che periodo abbiamo vissuto. Quanto resterà in noi di questo fenomeno che ci ha attraversati, interrotti come un’onda progressiva, allargandosi a tutto il pianeta ed a tutto il genere umano? Quante paure saranno rimosse da alcuni di noi e quante limitazioni, invece, rimarranno nonostante il riemergere alla libertà ed alla vita? Siamo stati coinvolti tutti in una condizione insolita, imprevedibile ed assolutamente unica, che la storia non ricorda. Siamo tutti stati sospesi nel vuoto e nell’attesa che il pericolo si allontanasse. Non c’è memoria, in coloro che hanno vissuto le ultime due guerre mondiali, di una restrizione ed dell’isolamento come siamo stati costretti a vivere in questi ultimi tre mesi: una perdita delle relazioni, un impedimento a piangere insieme la perdita dei nostri cari, lo sconvolgimento del contesto sociale. Anche proteggersi dalle bombe era, in guerra, una azione collettiva. A noi è toccata una perdita delle relazioni, totale ed a lungo nel tempo. L’attuale sospensione dal mondo, indotta dall’emergenza COVID-19, più di quanto sia accaduto nei periodi di guerra, ha privato noi tutti del contatto umano. L’uomo è apparso il maggior pericolo e la potenziale minaccia per l’altro. Il paesaggio lunare assunto dalle strade e dai contesti urbani rimarranno nei nostri occhi a lungo. Si stima che in questi mesi successivi alla pandemia, circa 300.000 persone in più chiederanno aiuto alle strutture deputate alla tutela ad alla cura del disagio psichico. E così, abbiamo potuto riscontrare nelle immagini televisive, nelle strade dei centri urbani e nei racconti delle persone due opposti comportamenti reattivi alla lunga fase di deprivazione e di riduzione dell’esistenza determinata dalla epidemia da SARS- Cov2. Da un lato abbiamo assistito all’immediato affollamento dei luoghi del maggiore riconoscimento sociale: la movida, le piazze, il centro vitale delle nostre città, dall’altro il desiderio di allungare il periodo di protezione nella tana, di chiusura nella nicchia ecologica costituitasi nelle nostre case. Quelle case divenute, a forza o a ragione, dei mondi vividi di rituali protettivi e di rassicuranti, intime
abitudini, Niente di più rassicurante e di più terapeutico del perimetro solido del contenitore domestico. la sindrome della capanna da un lato, e la movida dall’altro, sono due aspetti reattivi alla lunga immersione nell’atmosfera del rischio e del pericolo. L’effetto esplosivo del pericolo vissuto e del rumore delle nostre angosce più profonde. Oggi le scene della movida sono l’immagine più disinvolta, con il suo prorompente desiderio di libertà e di normalità, e rappresentano la rimozione e la negazione del rischio e delle paure percepite durante il distanziamento indotto dal coronavirus, mentre il bisogno di sopravvivere nel silenzio e nella lentezza dei ritmi domestici, rappresenta la espressione della vulnerabilità e della estensione fobica della paura, quando essa prescinde la reale sussistenza di un pericolo.E questa ultima condizione, altrimenti definita come “la sindrome della capanna”, ci riguarda un po’ di più e merita un maggiore approfondimento, in quanto espone maggiormente alla sofferenza e può determinare maggiori limitazioni e danni a chi ne sta manifestando oggi i vissuti ed i comportamenti di difesa. Questa definizione appare già all’inizio del secolo scorso e la provavano i cercatori d’oro che negli Stati Uniti trascorrevano interi mesi in una capanna e, sperimentavano il rifiuto di tornare poi alla civiltà e la sfiducia nel prossimo, stress ed ansia. Anche i guardiani dei fari, sovente, manifestavano questi sintomi riprendendo la loro normale vita in famiglia e nelle loro abitazioni. Oggi gli psicologi hanno descritto questo quadro per descrivere ciò che molti stanno vivendo nella ripresa dall’isolamento per l’epidemia. “Non ho, poi, tanta voglia di uscire…”, “…resto a casa ancora un pò, …d’altronde chi mi obbliga a riprendere il mio vecchio ritmo..” ovvero frasi del tipo “comincio ad aver paura sulla soglia di casa…. torno indietro e mi svesto di nuovo…. tanto non è necessario che esca” eccetera eccetera. Sono tantissime le testimonianze che sentiamo emblematiche di comportamenti di evitamento sociale o di vere e proprie estensione delle paure “al di là del COVID” Questa condizione rappresenta una costruzione reattiva, di tipo fobico, a dei
rischi che in maniera sproporzionata vengono vissuti come enormi, pericolosi, incontrollabili”. Ciò che è certo è che i disagi psichici della Fase 2 e della Fase 3 di ripresa da questa terribile epidemia già emergono prepotenti sia in coloro che sono stati costretti a vivere in isolamento per malattia o convalescenza, sia in chi ha una subito una situazione di solitudine relazionale e, non in ultimo, nei tanti operatori sanitari che sono stati esposti a massacranti ed eroiche situazioni di stress e di “lavoro di trincea”. “E’ mai possibile che oggi che ci viene permesso tu non abbia più voglia di uscire?”. Certo, non solo è possibile, ma comprensibile e, tanto tanto, evidente. In realtà, per molti può rappresentare il semplice desiderio di una vita dai ritmi meno frenetici e più a misura d’uomo. Sì, per molti si presenta semplicemente così, con il desiderio di non modificare lo status quo e di restarsene tranquilli e protetti in casa.Ma per tanti altri la “Sindrome della capanna” si manifesta con ansia, malinconia, demotivazione e demoralizzazione, fino a veri e proipri comportamenti da stress al tentativo di uscire e di rimettersi in moto, alla prospettiva di riattivare la propria vita in una prospettiva più dinamica e rumorosa. Questa sindrome è generalmente associata alla paura di abbandonare il perimetro dei propri confini sicuri e, addirittura alle difese fobiche immaginate dalla possibile esposizione al virus. Certamente l’epidemia ha rappresentato il fattore di scatenamento, ma, in molte delle persone che ne soffrono, l’evento traumatico ha svolto semplicemente il ruolo di effetto scatenante e di fattore di slatentizzazione di precedenti paure e di fobie che si erano contenute in un equilibrio sottile, ma funzionale ad una vita regolare.La paura all’idea di uscire nuovamente in strada, l’ansia di dover riprendere i nostri impegni al di fuori delle pareti domestiche, la sensazione che in casa abbiamo tutto quello che ci serve e che, a questo punto, non cambi nulla allungare la quarantena di qualche settimana è una quasi naturale conseguenza del fatto di aver trascorso tante settimane isolati. Il nostro cervello si è adattato a quella
sicurezza che troviamo solo tra le quattro pareti domestiche. Consideriamo anche il fatto che il Coronavirus non è scomparso e che Il rischio di contagio è ancora presente ed è comprensibile che la paura di ammalarsi aumenti l’insicurezza e il timore di uscire. La sindrome della capanna è definita in inglese, Cabin Fever ed era stata descritta già all’inizio del ventesimo secolo. Essa, generalmente è destinata ad attenuarsi gradualmente fino a scomparire in maniera spontanea. In una piccola percentuale di casi può diventare un sistema stabile di funzionamento intriso di paure e di ritiri dal mondo da diventare un danno ed una vera sindrome comportamentale di difesa. Però, una riflessione dettata da questi casi appare opportuna: i ritmi frenetici della vita moderna, quella prima del Coronavirus, e che probabilmente riprenderemo da qui a breve tutti, il turbinio di emozioni e di attività senza sosta, che spesso ci ha allontanato dal tempo vissuto per sé stessi e per il proprio ozio creativo, ci hanno profondamente mutato, adattandoci ad una identità innaturale e distorta. Tutti a ripetere “Non ho tempo… .adesso vado di fretta….la prossima volta”. La mancanza di tempo è stato il leitmotiv dei nostrri alibi. Poi la pandemia ci ha bloccati nella paura e, come per incanto, abbiamo scoperto (almeno alcuni) una dimensione preziosa, a lungo ignorata: la lentezza. Con il lockdown abbiamo ritrovato il piacere di ritmi più umani. Proprio questo può spiegare che, quando finalmente la condizione di restrizione sociale è finita, l’idea di ricominciare con la vita di prima non appare più come un bisogno primario. Nostalgia della lentezza e del silenzio, consapevolezza delle diverse possibilità di vite alternative. Vista così, la sindrome della capanna può apparire come una sana opportunità di cambiamento, piuttosto che come una malattia da curare.Ciononostante, come comportarci in questi casi, e soprattutto come si devono comportare i familiari: è fondamentale darsi tempo e non drammatizzare. In fondo, nella maggior parte dei casi la “Sindrome della Capanna” è una manifestazione psicologica passeggera. Essa descrive una reazione psicologica, emotiva, normale. Pertanto, è
prioritario non alimentare ansie e paure aggiuntive di riflesso. Si rinasce alla vita a piccoli passi prendendosi tutto il tempo necessario, magari iniziando ad arrivare al portone, anche senza uscire, inizialmente, e poi, con la dovuta calma, ed accompagnati, iniziare a muovere i primi passi intorno al perimetro di casa.Non ci spaventiamo, mi raccomando, per tutti, forse, speriamo, quanto ci è accaduto potrà rappresentare l’alba di una nuove e diversa normalità. Il tenore Daniele Lettieri ricomincia dal San Carlo Nell’opera inaugurale del 4 dicembre, Bohème, sarà il giocattolaio Parpignol, ma giugno lo vedrà a Parma per il festival Verdiano, nei panni di Borsa. Di OLGA CHIEFFI Cos’è la gioia? Da dove deriva? In primo luogo dalla sua perdita. L’uomo segnato da una mancanza, in questo periodo tutti, siamo stati sospinti da una speranza, ad un continuo operare, al laboratorio della creazione, allo studio. Così è stato anche per il tenore Daniele Lettieri, splendida e giovane voce, di scuola salernitana, con tanta voglia di crescere, che proprio nella stagione, in cui aveva in carnet diversi ruoli e impegni, ha vissuto la zona rossa del Vallo di Diano, nella sua Sala Consilina. Giornate, da “arresti domiciliari” che gli hanno fatto ricordare il suo ultimo spettacolo operistico la “Lucrezia Borgia”, allestimento del Donizetti Opera Festival di Bergamo che ha replicato al Teatro Valli di Reggio Emilia e avrebbe dovuto replicare al Municipale di Piacenza e al Teatro Alighieri di Ravenna ma è
stato impossibile continuare la tournée, il concerto in Russia, il dispiacere per non aver potuto calcare le tavole del palcoscenico del massimo partenopeo ne’ “L’amour des trois oranges”. Ma questa lunga e claustrofobica quarantena, lo ha portato a studiare, con maggiore concentrazione e dedizione di quanto mai avesse fatto prima, sempre con la valigia pronta per cercare di concretizzare sempre a più alti livelli, questo inizio pur brillante di carriera, che ha avuto anche la “benedizione” di Josè Carreras. Non solo l’approfondimento del dettaglio e della caratterizzazione di ogni pur “minore” personaggio ma anche la riscoperta della natura, della cultura della coltivazione, che Daniele associa alle quattro fasi del ciclo umano. Ed ecco la giusta ricostruzione etimologica della parola gioia, joie, che è in connessione con gaudium, e che viene da getheo (gioisco), e si compone in ogni caso del ghe della terra e del theo di brillare, ma anche potrebbe essere il theo del muoversi di corsa, e se consideriamo che la radice della terra è anche quella del verbo conoscere, imparare, comprendiamo che a Daniele Lettieri, la quarantena è servita per acquisire gioia. La notizia è certo di qualche giorno fa, ovvero dell’annuncio del nuovo cartellone del teatro San Carlo, che il 4 dicembre inaugurerà con La Bohème. Daniele inizierà lì da Parpignol quello strano ed estroso personaggio del giocattolaio che, nel corso dell’opera, con un carro pieno di giochi, idee, divertimenti, irrompe in piazza, scatenando i bambini e le bambine che vogliono assolutamente avere qualcosa da lui, ovvero da quel portatore del gioco laddove il gioco non c’era. Il gioco, il ludus della musica e del teatro è stato, ed è, in forse, anche a Parma dove, però, si è decisi a voler celebrare il ventennale del Festival verdiano, con una anteprima en plein air del Rigoletto, seppure in forma ridotta, con repliche fino a metà, in cui Daniele Lettieri interpreterà il ruolo di Borsa, il braccio destro del Duca di Mantova, che ordisce il rapimento di Gilda. La cosa più irraggiungibile nel momento della quarantena, lo spettacolo dal vivo, assente, fantasma di un periodo senza gioia, ci balza, finalmente, meno esangue davanti assumendo ora per
Daniele Lettieri, il suo senso positivo di inizio fecondo e di “resto” , di stare di esserci, con tenacia, nelle più prestigiose produzioni, augurandogli di alzare sempre più l’altezza dell’asticella. Abusi su una paziente, nei guai primario di Radiologia del Ruggi La Squadra Mobile della Questura di Salerno, unitamente alla Sezione di PG in sede – Aliquota Polizia di Stato, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, questa mattina ha dato esecuzione all’Ordinanza Applicativa di Misura della sospensione dell’esercizio della professione medica, con interdizione di tutte le attività ad esso inerenti, per la durata di un anno, emessa dal GIP del Tribunale di Salerno, nei confronti di medico, primario f.f. dell’U.O.C. di Radiologia presso l’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno. L’indagine scaturita da un’attività avviata in seguito alla denuncia di una donna, ha permesso di ricostruire le dinamiche con le quali l’indagato, il medico Mattia Carbone 1971, aveva costretto la stessa a subire atti sessuale. Gli approfondimenti investigativi effettuati infatti, hanno consentito di acclarare che l’odierno indagato, abusando della sua qualità di medico, nel corso di una visita medica in un ambulatorio del citato Ospedale, poneva la vittima, una donna quarantenne in una condizione di soggezione psicologica costringendola a subire atti sessuali, facendo passare subdolamente tali manovre, per atto medico.
Il prefetto Russo sospende Di Martino dalla carica di sindaco Il prefetto Russo sospende dalla carica di sindaco di Praiano Giovanni Di Martino, ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 2012 n. 235 (c.d. legge Severino). Verificata quindi “la sussistenza della causa di sospensione dalla carica di sindaco del sig. Giovanni Di Martino – che riveste anche la carica di Presidente della Conferenza dei Sindaci della Costa d’Amalfi- nei cui confronti il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno ha applicato in data 8 giugno scorso la misura cautelare del divieto di dimora. Il provvedimento è stato notificato al Consiglio Comunale, ai fini della conseguente presa d’atto. Le funzioni del primo cittadino restano in capo al vicesindaco. Il blitz all’alba incastra Ciro Persico, ecco tutti i nomi Sono 38 gli indagati (16 in carcere e 22 agli arresti domiciliari), gravemente indiziati, a vario titolo, di “Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti”, “Detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti”, “Detenzione e Porto abusivo di arma da guerra”, “Lesioni”, “Danneggiamento seguito da incendio” ed “Estorsione”. L’indagine era scattata nel 2017 ed è stata condotta con metodi tradizionali con il supporto di attività
tecniche e mirati servizi di osservazione, controllo e pedinamento, resi ancor più difficili dal contesto urbanistico dell’area d’intervento (in particolare, del centro storico della città e nella zona orientale nell’area denominata Villaggio dei Puffi). L’organizzazione ruotava attorno alla figura di Ciro Persico. Questi, originariamente legato al Clan d’Agostino con ruolo di rilievo, è non a caso definito il “boss del centro storico” di Salerno, poiché, in seguito all’arresto dei vertici del clan, ha continuato a mantenere il controllo dello spaccio nel cuore della città, rappresentando l’autorevole figura di riferimento necessaria al gruppo criminale investigato per imporre nuovamente un cartello nelle piazze di spaccio del capoluogo e non solo. Ciro Persico è il padre di Vincenzo (conosciuto anche come “coca-cola”), ucciso a Montecorvino Rovella nel 2014 sempre per questioni legate a contrasti per il controllo dello spaccio di stupefacenti. Il nome dell’operazione ruota proprio intorno al Persico poiché, nel corso di una intercettazione telefonica, uno dei sodali asseriva come il suo principale obiettivo non fosse l’affermazione economica, bensì il prestigio, l’ascendente, e, quindi, il riconoscimento unanime di capo indiscusso dell’organizzazione, come confermato dai suoi gregari, i quali, in una circostanza, per formalizzare l’ingresso di alcuni di essi nel suo gruppo, vollero donargli un fucile a canne mozze, sequestrato però dai Carabinieri poco prima della consegna. Nel corso dell’attività investigativa, che ha rivelato un fatturato illecito giornaliero di € 4.000 circa, sono stati arrestati 11 indagati in flagranza di reato e sequestrati complessivamente 70 Kg circa di stupefacente, nonché 4 pistole ed 1 fucile. Salerno 09 giugno 2020. Gli arrestati 1. Persico Ciro cl. 1960, pluripregiudicato; 2. Iannone Luigi cl. 1989, pregiudicato; 3. Caracciolo Gennaro cl. 1981, pregiudicato; 4. Cerrito Patrizio cl. 1989, pregiudicato; 5.
Galasso Federico cl. 1995, pregiudicato; 6. Siniscalchi Eugenio cl. 1991, pregiudicato; 7. Persico Antonio cl. 1963; 8. Iavarone Raffaele cl. 1982, pregiudicato; 9. Noschese Antonio cl. 1944, pregiudicato; 10. Natella Mauro 1992, cl. pregiudicato; 11. Fruncillo Alfonso cl. 1987, pregiudicato; 12. Amato Salvatore cl. 1994, pregiudicato; 13. Sica Michele cl. 1994, pregiudicato; 14. Frasca Roberto cl. 1991, pregiudicato; 15. Grimaldi Fabio cl. 1985, pregiudicato; 16. De Sio Maurizio cl. 1990, pregiudicato. Ai domiciliari 7. Calonico Matteo cl. 1976, pregiudicato; 18. Rispoli Gerardo cl. 1985, pregiudicato; 19. Pumpo Vittorio cl. 1966, pregiudicato; 20. Vinciguerra Salvatore cl. 1976, pregiudicato; 21. Ventre Ugo cl. 1964; 22. Vassallo Antonio cl. 1959, pregiudicato; 23. Molinaro Alessio cl. 1998; 24. Casaburi Fabio cl. 1998; 25. Spisso Angelo cl. 1973, pregiudicato; 26. Galluzzo Serena cl. 1996; 27. Landi Maria Rosaria cl. 1983; 28. Avallone Luca cl. 1975, pregiudicato; 29. Sasso Franco cl. 1963, pregiudicato; 30. Maisto Stefano cl. 1988, pregiudicato; 31. Vicinanza Bruno cl. 1992, pregiudicato; 32. Ragosta Salvatore cl. 1986, pregiudicato; 33. Mariano Vittorio cl. 1971, pregiudicato; 34. Mainolfi Luigi cl. 1987, pregiudicato; 35. Nuvoli Francesco cl. 1983, pregiudicato; 36. De Sio Mariano cl. 1998, pregiudicato; 37. De Sio Fabio cl. 1997, pregiudicato; 38. Attanasio Raffaella cl. 1996
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