29 APRILE - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa

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UFFICIO STAMPA

29 APRILE
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   29 APRILE 2019

                               LA SICILIA
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29/4/2019                                                                     Stampa Articolo

CRONACA                                                                                                                29/4/2019

Nel Palermitano

Il sindaco ripara la strada gratis e l’ex Provincia lo
denuncia
Polizzi, era interrotta da 13 anni: ditte convinte a lavorare senza compenso. L’accusa: ha creato un
pericolo

Alessandra Ziniti

Un masso caduto nel 2006, una piccola frana nel 2011. E poi quattro sopralluoghi, sette richieste di riapertura in carta bollata,
due tavoli tecnici, una riunione in prefettura e uno studio di fattibilità. Tredici anni. Non sono bastati tredici anni per superare il
muro di burocrazia, inerzia, indifferenza degli Enti locali che avrebbero dovuto rimettere in sesto la piccola ma strategica strada
provinciale nel Parco delle Madonie, ma sono bastati venti giorni, un sindaco battagliero e delle ditte che hanno lavorato gratis
per riaprirla.
Polizzi Generosa, uno dei più bei borghi d’Italia nel cuore della Sicilia. E solo nella terra di Pirandello poteva accadere che il
sindaco che è riuscito a fare, senza alcuna spesa e in pochi giorni, quello che non è stato fatto in tredici anni, si beccasse una
denuncia proprio dagli Enti locali inadempienti. Perché è evidentemente a Giuseppe Lo Verde, 60 anni, vulcanico primo
cittadino di Polizzi, che è rivolta la denuncia della ex provincia, formalmente “contro ignoti” che è stata presentata ai
carabinieri. Per contestare quell’intervento “ tampone” che non eliminerebbe il rischio- frane e il pericolo.
Lui, il sindaco che ha nominato “ ambasciatori” i personaggi illustri originari di Polizzi, dallo stilista Domenico Dolce
all’artista Croce Taravella allo scrittore Alessandro D’Avenia, ma anche il regista Martin Scorsese e il giornalista Michele
Serra, reagisce con veemenza: « Ritengo la denuncia un atto contro la mia persona, un atto contro un sindaco che ha alzato la
voce contro chi avrebbe dovuto riparare la strada e da anni non ha fatto niente. Vogliono zittirmi, vogliono mettermi paura, ma
io non resterò in silenzio. La strada andava riparata e subito. Se qualcuno in questi anni non l’ha fatto oggi non può per nessun
motivo nascondersi dietro una denuncia».
Una storia surreale quella della SP 119, la strada provinciale che, tornante su tornante, si inerpica nel Parco delle Madonie e
collega Polizzi con Piano Battaglia, stazione sciistica d’inverno finalmente con gli impianti tornati a funzionare ma anche
affollata località di villeggiatura in estate, immersa in boschi con specie botaniche protette. Impensabile che una piccola frana
sia riuscita per tredici anni a tagliare fuori Polizzi dall’itinerario che porta a Piano Battaglia. Ma, si sa, i tempi dei finanziamenti
regionali ed europei e della progettazione delle relative opere, soprattutto se affidate alle ormai ex Province, al sud possono
anche essere biblici. E così, nel 2015, quando è stato eletto sindaco con una lista civica, Giuseppe Lo Verde ha deciso di
intestarsi la battaglia per la riapertura della strada: prima in tenda sotto la neve sul bordo della carreggiata, poi incatenato al
Comune.
« La mia non è una battaglia di folklore. Noi siamo partigiani della montagna e vogliamo restare nelle terre dei nostri padri. Il
comprensorio delle Madonie sta subendo lo spopolamento di interi paesi. Qui non abbiamo sanità, non abbiamo trasporti, non
abbiamo strade. La mia è stata ed è una battaglia di civiltà per la Sicilia. Ora mi denunciano ma io ricordo a questi signori che
non hanno mai risposto alle mie sollecitazioni e comunicazioni e chi governa ha il dovere di rispondere al popolo».

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Se avesse dovuto aspettare lo sblocco dei finanziamenti regionali ed europei per tre milioni di euro chissà se e quando il
sindaco avrebbe potuto riaprire quella strada. Ha fatto prima a trovare delle ditte che gratuitamente hanno accettato di effettuare
almeno i lavori indispensabili per consentire ai proprietari terrieri di raggiungere le loro proprietà e ne ha dato ufficiale
comunicazione, alla quale — neanche a dirlo — nessuno ha risposto. Ieri, nella sua veste di sindaco della città metropolitana di
Palermo, Leoluca Orlando ha osservato: « A monte di questa vicenda c’è la gravissima situazione finanziaria di tutte le ex
province non più in grado, per colpa dei tagli dello Stato e della Regione, a far fronte all’ordinaria gestione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il personaggio
Primo cittadino
Giuseppe Lo Verde, 60 anni, è dal 2015 primo cittadino di Polizzi Generosa.
È stato eletto alla testa di una lista civica

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POLITICA                                                                                                              29/4/2019

L’inchiesta sul sottosegretario

Una scappatoia per Siri l’idea
dell’autosospensione Conte e la Lega trattano
Il premier rinvia il faccia a faccia con l’indagato, che vuole prima parlare con i magistrati. Il no del
M5S a soluzioni diverse dalle dimissioni

Tommaso Ciriaco,

Pechino
Roma
L’autosospensione del sottosegretario ai Trasporti Armando Siri diventa il possibile escamotage per congelare il caso, nuovo
terreno di scontro Lega- M5S, prima che la situazione precipiti a meno di un mese dalle Europee.
La soluzione tecnicamente non comporta nulla, non è prevista da alcuna legge o regolamento. E poi all’uomo della Lega - sotto
indagine per corruzione con l’accusa di aver incassato 30 mila euro dagli imprenditori Arata - il ministro Danilo Toninelli ha
già revocato le deleghe. Ma è un’ipotesi che sarebbe stata caldeggiata a quanto sembra dal premier Conte, per disinnescare
almeno questa mina in vista del suo rientro oggi in Italia dalla missione in Cina. Contrario il capo del Movimento Di Maio:
troppo poco. Contrario anche Salvini: sarebbe una resa.
Eppure Siri starebbe riflettendo sulla via d’uscita, non l’escluderebbe: in ogni caso – gli è stato detto dovrà decidere prima che i
magistrati lo ascoltino entro il fine settimana. Dopo non avrebbe senso. L’autosospensione gli concederebbe il vantaggio di
restare formalmente al suo posto. Il sottosegretario da giorni ha interrotto qualsiasi rapporto con l’esterno, ha fatto sapere a chi
lo ha sentito di essere « molto provato, scosso » per quanto sta avvenendo e per i continui attacchi dei 5 stelle. Pronto anche a
farsi da parte, con vere dimissioni, ma solo se a chiederlo dovesse essere Salvini, per tutelare il partito. Anche perché quel che
gli interessa, in questa fase, è soprattutto potersi difendere, spiegare ai magistrati la sua « estraneità » rispetto all’accusa. Di
Maio anche ieri da Varsavia è tornato a battere sull’anello debole della catena leghista: « Si metta in panchina, ci aspettiamo un
passo indietro. Se sei alle Infrastrutture non maneggi le cose dell’eolico » . Affondi che lasciano pensare come la scialuppa
dell’autosospensione non sarebbe sufficiente né gradita dal Movimento.
Per Salvini invece le dimissioni non esistono. « Non mi basta certo un pezzo di intercettazione estrapolato da un verbale per
dire che Siri ha delle responsabilità, me lo deve dire un giudice», ha spiegato ieri alla Stampa e la posizione resta quella. In ogni
caso, incalzato dai cronisti in Lombardia a margine dei comizi per le amministrative e prima che si concedesse un pranzo con la
fidanzata Francesca Verdini sull’isola Comacina, il ministro dell’Interno ha negato che il governo rischi sul caso Siri: «Ci vuole
un governo per occuparsi delle tante emergenze, io parlo di vita reale, non mi occupo di altro».
Giuseppe Conte ha lasciato Pechino convinto che occorra prendere tempo per far raffreddare il dossier, divenuto destabilizzante
per gli equilibri gialloverdi. E slitta anche il faccia a faccia col sottosegretario, previsto in un primo tempo per oggi. Salvini, nel
colloquio intercorso tra i due, gli ha chiarito che va atteso almeno l’interrogatorio del leghista prima di articolare una decisione
politica. La speranza di fondo del presidente del Consiglio restano le dimissioni spontanee del sottosegretario. O quanto meno,
appunto, l’autosospensione. « Prudenza » , predica intanto l’avvocato. Vedrà Siri non prima di giovedì. Ed evita il duello diretto

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con il ministro dell’Interno che in giornata aveva sottolineato come lui sia un avvocato e non un giudice. « Io ho fatto
l’avvocato e mai il giudice – è la replica al vice - non lo divento adesso». Di Maio invece ha bisogno dello scalpo di Siri.
Giudica troppo « prudente » , appunto, il suo premier. Concede ancora qualche ora, per cavalcare eventualmente il forfait del
leghista.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il premier Conte nella Città Proibita
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte prima di ripartire per Roma, al termine della sua visita in Cina, ha visitato ieri la
Città Proibita, antica sede imperiale nel centro di Pechino
ANTONIO FATIGUSO/ ANSA

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POLITICA                                                                                                            29/4/2019

DOMANDE&RISPOSTE

Dalla mazzetta alle pressioni cosa il leghista deve
spiegare
L’accusa dei pm è aver intascato 30 mila euro per favorire gli interessi del lobbista Franco Arata, in
rapporti con personaggi vicini alla mafia

Maria Elena Vincenzi

•
Come nasce l’inchiesta in cui è coinvolto il sottosegretario Armando Siri?
L’indagine parte a Palermo dove i magistrati della Dda iniziano a indagare sui possibili canali di finanziamento del superboss
Matteo Messina Denaro.
L’obiettivo, inizialmente, era Francesco Isca, chiamato in causa dal pentito Nicolò Nicolosi. Che aveva parlato di un fiume di
denaro usato per investimenti di soldi sporchi ma per la gestione di operazioni particolari, tra le quali anche il favoreggiamento
della latitanza della Primula Rossa di Cosa Nostra. Partendo da lì, il procuratore aggiunto Paolo Guido e il pm Gianluca De
Leo, sono arrivati a Vito Nicastri, già accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e al professore genovese Paolo
Franco Arata, ex parlamentare e consulente della Lega sui temi dell’energia. I due, secondo i magistrati, sono soci in una serie
di affari sulle fonti rinnovabili.
Arata finisce così sotto intercettazione.
• Come mai il fascicolo arriva a Roma?
In alcune conversazioni, l’ex deputato forzista parla di un amico che li avrebbe aiutati con i finanziamenti sul minieolico. In
particolare, il 28 settembre, durante una riunione operativa a Castellammare del Golfo, Arata parla con il figlio Francesco e
Manlio Nicastri (suoi soci in affari) e fa riferimento a un emendamento sponsorizzato da Siri a fronte di una tangente da 30
mila euro. I pm siciliani decidono di trasmettere quel filone ai colleghi della Capitale per competenza.
Di cosa è accusato dunque Siri?
Il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti è indagato per corruzione.
L’accusa si basa su un conversazione avvenuta in macchina tra il professore e il figlio Francesco, che lavora con lui, nella quale
Arata ripete il discorso sulla tangente da 30 mila euro. Il dialogo è lungo, ma per il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e il
sostituto Mario Palazzi è chiaro che il riferimento è al senatore leghista e teorico della flat tax. I magistrati si convincono ad
iscriverlo insieme all’ex onorevole. Conversazioni simili ce ne sono più d’una. Tanto che nel decreto di perquisizione i pm
scrivono che il “ fumus” «è costituito «dal contenuto di alcune conversazioni tra l’indagato Paolo Franco Arata e il figlio
Francesco (alla presenza anche di terzi) nelle quali si fa esplicitamente riferimento alla somma di 30mila euro pattuita a favore
di Armando Siri per la sua attività di sollecitazione dell’approvazione di norme che lo avrebbero favorito». Agli atti, peraltro, ci
sono anche telefonate e incontri tra i due, che però non possono essere contestate a Siri senza l’autorizzazione del Senato.
Ma la mazzetta è stata consegnata?

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I magistrati parlano di «promessa e/o dazione» perché, ai fini dell’articolo 318 del codice penale che viene contestato al
leghista, che il denaro sia stato consegnato o solo promesso non fa differenza.
I rapporti tra Arata e Siri hanno condizionato anche il contratto di governo?
Sì, nelle carte siciliane ci sono elementi a sostegno della tesi che i due si siano dati molto da fare per inserire, nel contratto,
anche un passaggio sul biometano. Gli inquirenti sanno che sul tema il professore chiese e ottenne l’aiuto del futuro
sottosegretario. L’operazione andò a buon fine, tanto che Arata esultava al telefono.
Una volta al ministero Siri aveva continuato a favorire l’amico?
Innanzitutto va detto che il consigliere di Salvini aveva brigato parecchio per far avere a Siri un buon posto nel governo.
Lo voleva ministro, ma è riuscito ad ottenere l’attuale incarico. E da quel posto il senatore aveva fatto molte pressioni per far
inserire gli emendamenti a favore dell’eolico in almeno tre occasioni: nel Decreto Rinnovabili, nella legge di Bilancio e nel
decreto Semplificazioni. Non ci è mai riuscito. Il giorno delle perquisizioni, giovedì 18 aprile, sono stati sentiti il
sottosegretario allo Sviluppo Economico, Davide Crippa, il capo di gabinetto del ministro Di Maio, Vito Cozzoli e la sua vice:
tutti e tre hanno confermato di avere a più riprese subito pressioni da Siri sul tema dell’eolico.
Il sottosegretario
Armando Siri, genovese, 47 anni, è stato eletto senatore con la Lega nel 2018. È sottosegretario ai Trasporti. Sotto indagine con
l’accusa di corruzione

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POLITICA                                                                                                             29/4/2019

Il governo tra amministrative e nuova agenda

In Sicilia Salvini cerca il sorpasso sui 5S Di Maio
apre un altro fronte: la sanità
I grillini lanciano 5 leggi da approvare nel 2019: “ La Lega non vuole lo stop alle nomine politiche
nella Salute”

annalisa cuzzocrea emanuele lauria

È rimasto fino a tardi, dopo la partita del Milan, ad attendere i primi risultati del voto siciliano. Con l’obiettivo, già stamattina,
di rintuzzare anche grazie ai dati elettorali dell’isola - che spesso anticipa dinamiche nazionali - gli attacchi dei 5 Stelle. Matteo
Salvini non ne può più delle punzecchiature di Di Maio: « Se tutti - ha detto il vicepremier a Cantù - avessero l’atteggiamento
della Lega con poche polemiche, pochi attacchi e pochi insulti e tanti fatti sarebbe certamente meglio » . Negli ultimi giorni,
proprio mentre il segretario del Carroccio faceva il pieno di fans nelle piazze di quella che un tempo chiamava “terronia”, il
capo politico di M5S si è prodotto in un crescendo di critiche al suo alleato-rivale: dal caso Siri alla mancata presenza alle
celebrazioni antifasciste, fino alla richiesta di riferire in commissione Antimafia sui legami fra la Lega e i clan dell’agro
pontino. Quindi la messa in mora ufficiale di ieri: la sfida, lanciata dal blog delle Stelle, a fare cinque leggi entro l’anno.
Nell’ordine: taglio degli stipendi dei parlamentari, conflitto di interessi, acqua pubblica, riforma delle nomine nella Sanità e
salario minimo garantito. « Su queste proposte la Lega è con noi?», domanda il capo politico dei 5 Stelle. Argomenti scomodi
per Salvini e i suoi: basti pensare alle regole sul conflitto di interessi, accompagnate con un esplicito riferimento di Di Maio al
sottosegretario indagato Armando Siri ( « Se ti occupi di trasporti non armeggi con l’eolico » ). O all’acqua pubblica, un tema
che certo non è nel core business politico dei leghisti. Ma è sul salario minimo e soprattutto sulle nuove norme che escludono il
controllo dei partiti dalle nomine ai vertici di ospedali e aziende sanitarie che M5S vuole dare subito battaglia. A partire dalla
prossima conferenza dei capigruppo. Anche perché i 5 Stelle, in commissione Sanità alla Camera, hanno percepito nettamente
che a fare resistenza contro queste norme sono i governatori della Lega. « Basta pensare agli interessi dei presidenti di Regione,
occupiamoci dei diritti dei malati che usufruicono dei nostri servizi sanitari», ha detto più volte Di Maio.
Di fronte a tutto ciò, Salvini oppone un consenso popolare in robusta crescita, testimoniato dai bagni di folla siciliani. E attende
dalle urne - che si sono chiuse ieri a tarda ora - quello che il deputato leghista Alessandro Pagano definisce « un primo segnale
concreto di quello che alle Europee sarà un sicuro boom » . L’attenzione di Salvini è puntata soprattutto sui centri nei quali il
Carroccio ha scelto di andare da solo con un proprio candidato appunto per misurarsi. Su sfide simboliche come quella di
Caltanissetta, città del leader siciliano di M5S Giancarlo Cancelleri ( e anche l’unica piazza dove Di Maio è andato a
comiziare). Oppure quella di Mazara, che ha dato i natali al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La Lega in queste zone
parte dal 5 per cento delle Politiche 2018, i 5 Stelle dal 47 per cento. Salvini, insomma, ha tutto da guadagnare. E dopo i derby
siciliani è pronto a una nuova prova di forza nel governo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA I risultati
Comune per comune, lo spoglio e tutti i risultati del voto in Sicilia saranno in diretta sul sito di Repubblica
Salvini ieri a Cantù con la fidanzata Francesca Verdini

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POLITICA                                                                                                              29/4/2019

Il retroscena
Lo stallo dell’istituto di via Nazionale

Bankitalia rischia la paralisi Solo 10 giorni per le
nomine ma nel governo è ancora lite
Claudio Tito

La Banca d’Italia rischia la paralisi. Lega e M5S ora litigano anche sulle nomine per il direttorio di Via Nazionale.
Risultato: anche martedì prossimo il Consiglio dei ministri potrebbe non emettere i pareri necessari per ratificare le indicazioni
del Governatore Ignazio Visco. Un nuovo attacco a Palazzo Koch. Ma anche, e soprattutto, un ennesimo scontro tra leghisti e
grillini che prende le mosse dalla battaglia in corso sul nuovo ragioniere generale dello Stato. Che dovrà prendere il posto di
Daniele Franco in scadenza il prossimo 20 maggio e destinato ad assumere l’incarico di vicedirettore generale di Bankitalia.
Tutto si svolge lungo una sottilissima lama di rasoio.
Perché se il governo non rilascia i suoi pareri motivati sui tre nuovi membri del direttorio entro il 9 maggio, lo stesso direttorio
non avrà il numero legale. Sostanzialmente paralizzando l’intera attività della Banca d’Italia. Un impatto terrificante. Anche
rispetto al ruolo che viene svolto nella Bce. E soprattutto un colpo drammatico alla credibilità internazionale dell’Istituto.
Una situazione che sta mettendo sotto pressione la Banca e i suoi vertici. «Il presidente Mattarella se ne interesserà», ha
rassicurato Visco solo martedì scorso dinanzi ai membri del suo Consiglio Superiore. Una frase volta a stemperare gli animi, in
particolare di alcuni dei 13 membri del Consiglio pronti a muovere una severa e pubblica reprimenda nei confronti del governo.
Si sarebbe trattato di una ulteriore fibrillazione istituzionale bloccata in extremis. In questi cinque giorni, però, poco si è mosso.
Perché l’insofferenza della maggioranza gialloverde nei confronti di Via Nazionale si sta ora intersecando con le continue liti
tra Salvini e Di Maio. Nella fattispecie sul nuovo ragioniere generale dello Stato.
Con Franco destinato al direttorio di Visco, si è infatti aperto un braccio di ferro su chi - come Tria e Conte - è deciso a
sostenere una soluzione interna al Tesoro, ossia Biagio Mazzotta. E chi - ossia la Lega - vuole un personaggio esterno, come il
segretario generale della Giunta regionale lombarda Antonello Turturiello. Una guerra di potere per una casella che da qui ai
prossimi mesi, in particolare quando si tratterà di scrivere la legge di Bilancio, sarà determinante. In questo intricato risiko di
nomine, quindi, chi rischia di farne le spese è la banca centrale. Che da ormai quattro mesi attende il parere del governo - non
vincolante nel merito, ma necessario per completare la procedura - per la conferma di Luigi Signorini e da più di un mese per
gli ingressi di Daniele Franco, Alessandra Perrazzelli e la promozione di Fabio Panetta alla direzione generale. Ma quello che
sta allarmando è la possibilità che tutto resti bloccato oltre il 10 maggio. A quel punto i membri del direttorio rimarrebbero solo
due (Visco e Panetta) su cinque. E come recita l’articolo 23 dello Statuto interno è «necessaria la presenza di tre membri»
affinché il Direttorio possa assumere qualsiasi decisione.
Senza contare che si immobilizzerebbe anche l’attività dell’Ivass (l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni) che per legge è
presieduto dal direttore generale della Banca d’Italia. Al momento dunque l’accordo nella compagine governativa non è stato
ancora raggiunto. E domani - 30 aprile il consiglio dei ministri appare destinato a rinviare la questione. Anche se un ultimo
tentativo è in corso. Sollecitato dal capo dello Stato Sergio Mattarella e anche dal presidente del consiglio. Ossia di procedere

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29/4/2019                                                                     Stampa Articolo

con una soluzione parziale. Consegnare il parere per i soli Panetta e Franco evitando almeno la paralisi del Direttorio, e far
slittare invece gli altri due nomi. Soprattutto quello di Perrazzelli che viene considerata dalla coalizione grillo-leghista troppo
vicina al centrosinistra.
Ma anche per sostituire questi nomi c’è un passaggio che deve essere consumato. Il Governatore per riconvocare il Consiglio
Superiore della Banca d’Italia al fine di sostituire le candidature ha bisogno comunque dei pareri motivati del governo. Una
vera e propria situazione di stallo. In cui tutto sembra fatto per misurare solo i rapporti di forza. Quelli tra Lega e M5S. E quelli
tra esecutivo e Governatore che tra un mese terrà la sua relazione annuale. I cui contenuti sono attesi da Palazzo Chigi con una
certa apprensione. Il resto, a cominciare dalla situazione concreta dei nostri conti pubblici, rimane in un lontano sfondo.
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Rassegna stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA del 29 aprile 2019
                                    Estratto da “LA REPUBBLICA”

                   Le giravolte dei paladini delle Province
   Non c'è solo Salvini a volere la resurrezione integrale. Da Forza Italia a Fdi e al Pd, chi rincorre il ritorno al passato

DI SERGIO RIZZO

Duro a morire, il vizietto della poltrona. Non c’è partito, né politico, che non abbia dichiarato guerra (sempre a
parole, naturalmente), alle brutte abitudini. Salvo poi, ogni qualvolta se ne presenta l’occasione, farsi cogliere
dalla solita provvidenziale amnesia. Lo spettacolo che sta andando in scena sulle Province ne è la dimostrazione
più recente e lampante. Matteo Salvini vuole la loro resurrezione integrale, con tanto di elezione diretta del
presidente e dei consiglieri: nonché il ripristino delle antiche prerogative e dei vecchi e consunti rituali del
potere locale. Il che, a ben vedere, non può sorprendere particolarmente. Insieme ai Comuni, le Province sono
state le palestre nelle quali la Lega Nord si è esercitata ad amministrare e gestire il potere.

Far rifiorire quegli enti che sarebbero dovuti scomparire già mezzo secolo fa contestualmente alla nascita delle
Regioni (su cui per la verità ci sarebbe molto da dire e da eccepire) per Salvini e i suoi è una specie di deja vu.
Per l’ideologia è un ritorno al passato, alle radici del celodurismo che ha preservato la propria purezza pur nella
virata sovranista. Più prosaicamente, altro non è che l’atto finale del processo che in trent’anni ha trasformato il
Carroccio, oggi il partito più vecchio del panorama politico, nell’autentico erede della Democrazia cristiana
quanto a metodi clientelari e spregiudicati nella costruzione del consenso e nelle relazioni lobbistiche.

Nessuna sorpresa, dunque, che sia proprio la Lega Nord a rivendicare il ritorno al sistema del suffragio
universale nelle Province. Immediatamente dopo la vittoria del No al referendum del 4 dicembre 2016 i leghisti
erano partiti alla carica chiedendo di spazzare via la riforma voluta dall’ex ministro Graziano Delrio, con cui gli
enti provinciali erano stati declassati ad agenzie tecniche le cui principali competenze sarebbero state devolute
ai Comuni e alle Regioni. Come non può certo stupire che a contrastare il proposito di Salvini sia il Movimento
5 stelle, che è sempre stato favorevole all’abolizione delle Province e sta vivendo una fase di complicata
competizione con l’alleato leghista che minaccia di fare il pieno alle elezioni europee anche a spese dei grillini.
Ciò che lascia interdetti è piuttosto il coro suadente che accompagna il tentativo dell’impresa leghista, la cui
testa d’ariete è una proposta di legge del senatore Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio a palazzo
Madama incappato recentemente in una fastidiosa disavventura: la condanna in primo grado a un anno e otto
mesi per peculato insieme a una cinquantina di imputati nel processo sulle spese pazze dei gruppi politici della
Regione Lombardia, fra cui Nicole Minetti e Renzo Bossi.

Del coro fa parte Forza Italia, la cui capogruppo Anna Maria Bernini ha presentato una proposta di legge simile
a quella di Romeo, e che fa il paio con il disegno di legge di un altro intemerato forzista, l’onorevole Galeazzo
Bignami. Ma ecco, sul pulpito, comparire anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, con una proposta di legge
per il ritorno senza se e senza ma al suffragio universale firmata da Antonio Iannone. Niente, però, lascia basiti
come la scoperta che la tentazione della controriforma ha fatto strada perfino nel partito democratico, il partito
di Delrio che si era battuto strenuamente per la riforma, e aveva sostenuto il referendum dove accanto alla
modifica del Senato, alla revisione del potere delle Regioni e all’abolizione del Cnel, c’era anche la
cancellazione definitiva delle Province dalla Costituzione. La proposta di legge targata Pd per riesumare il
suffragio universale a livello provinciale è stata presentata il 16 luglio 2018 dal senatore Bruno Astorre, ex
consigliere regionale del Lazio.
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