3 SETTEMBRE 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 settembre 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 settembre 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 settembre 2018 G.D.S.
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 settembre 2018 G.D.S.
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 settembre 2018 G.D.S.
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 SETTEMBRE 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 SETTEMBRE 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 3 SETTEMBRE 2018 G.D.S.
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POLITICA 3/9/2018 La circolare sugli sgomberi non impone piani di accoglienza Linea dura del Viminale via gli occupanti abusivi anche senza alternative Salvini liquida il sistema Minniti: soltanto i soggetti deboli avranno diritto all’assistenza. La preoccupazione di Pd e Unione inquilini FABIO TONACCI, Roma Con la circolare sugli sgomberi delle occupazioni abusive che, in parte, riscrive quelle firmate dal suo predecessore, il ministro dell’Interno Matteo Salvini coglie tre “obiettivi” in un colpo solo: sollecitare l’indignazione dell’opposizione (“ direttiva folle”) e dell’Unione degli inquilini (“socialmente aberrante”); mostrare ai suoi l’ennesima gestione muscolare di un problema complesso; complicare, non poco, la vita ai sindaci. In Italia non si sa, con precisione, quanti siano gli edifici occupati abusivamente per emergenza abitativa. Federcasa, nel 2016, li stimava in 48.000 unità, tra pubblici e privati. Al Viminale girano cifre che variano a seconda che siano conteggiati, o meno, gli alloggi popolari. Comunque, la fotografia che se ne ricava, grossomodo, è questa: Milano 42 immobili e 4.000 appartamenti popolari e Aler, per circa 5.000 inquilini abusivi; Napoli 80 immobili; Firenze 30 immobili e 1.500 inquilini; Roma 92 immobili, di cui 66 a uso abitativo, e 12.000 occupanti. Proprio Roma, per un cortocircuito tra Campidoglio e Prefettura, nell’agosto scorso fu teatro dell’emergenza degli “ ottocento immigrati di via Curtatone”, sgomberati dal palazzo senza però che fosse stato previsto un piano di sistemazione alternativa per tutti. Per tre giorni, quindi, bivaccarono in piazza Indipendenza e dovette intervenire la polizia. Quel cortocircuito, con la nuova circolare, rischia di riproporsi. Vediamo come. Le cinque pagine inviate a tutti i prefetti dal Capo di gabinetto Matteo Piantedosi ordinano ai Servizi sociali comunali di fare un censimento, « condotto anche in forma speditiva», per identificare gli occupanti abusivi, rilevarne il reddito attraverso l’anagrafe tributaria e la Guardia di finanza, verificare la regolarità dei permessi di soggiorno degli stranieri. Il censimento serve per individuare chi è «in condizioni di fragilità» (principalmente minorenni, anziani, malati, donne incinte) ma anche per scoprire chi fa il furbo. Solo all’esito del monitoraggio, che il Viminale vorrebbe avere entro settembre, scatterà il piano degli sgomberi con la forza. E qui si arriva al punto. Finora valevano le disposizioni dell’ex ministro Minniti, secondo cui, oltre all’ordine pubblico e ai diritti dei proprietari, bisognava tutelare anche gli occupanti, «quando essi possano vantare dei diritti per i quali occorre intervenire con prestazioni assistenziali, o si trovino comunque in condizioni di marginalità sociale». Tradotto nella prassi, significava che prima di cacciare la gente, il Comitato metropolitano a cui sedevano gli enti locali doveva aver trovato una sistemazione alternativa. A tutti, e proprio per evitare altri casi tipo piazza Indipendenza.
Ora non sarà più così. In nome della velocità, il principio viene ribaltato. Per i soggetti vulnerabili, non autonomi e « privi anche del sostegno dei parenti » , si devono attivare i Servizi sociali per interventi «non negoziabili». E solo nella fase successiva, a sgombero avvenuto, i Comuni penseranno a una soluzione che «permetta loro l’inclusione sociale » . Per tutte le altre persone, sarà sufficiente trovare una soluzione provvisoria, un “ parcheggio” di qualche giorno, «il tempo strettamente necessario - recita la circolare - all’individuazione, da parte loro, di un alloggio alternativo » . Quindi devono trovarsi, da soli, la casa che non avevano trovato e per cui avevano deciso di occupare. In ogni caso, si rimanda a dopo l’intervento della polizia «ogni valutazione in merito a tutela delle altre istanze ». La direttiva, che andrà a colpire anche i centri sociali, ha sollevato un polverone. «Questo governo fa la guerra ai poveri e non alle mafie, la circolare è una follia», sostiene il presidente del Pd Matteo Orfini. Al quale ribatte, via twitter, lo stesso Salvini. « Roba da matti! La proprietà privata è sacra. Se affitti il tuo appartamento alla persona sbagliata, non puoi metterci due anni a tornare in casa tua». La direttiva sgomberi è una follia, procedere senza soluzioni alternative significa lasciare famiglie in mezzo alla strada. Il governo considera la povertà una colpa La proprietà privata è sacra e sono troppi gli italiani vittime di occupazioni da parte non di bisognosi, ma di furbi e violenti. Due anni sono troppi per tornare in casa tua! ALESSANDRO CONTALDO
POLITICA 3/9/2018 Il disegno di legge In settimana al Consiglio dei ministri Arriva il Daspo contro i corrotti appalti pubblici vietati per sempre Finora la “squalifica” massima era 5 anni. Con la nuova norma, invece, esclusione perpetua per chi ha condanne a due anni. Il ministro: “ Necessario punire il disvalore di quelle condotte” LIANA MILELLA, ROMA Perpetuo. Per tutti i reati di corruzione. Per tutte le condanne oltre i due anni. Per tutti i reati futuri, non appena sarà approvata la legge Bonafede che trasferisce nel codice penale il Daspo, misura severa che oggi vieta ai tifosi che commettono atti di violenza di entrare allo stadio. Se quella è una “pena” che dura solo cinque anni, il Daspo del Guardasigilli grillino sarà una definitiva spada di Damocle sulla testa dei chi paga mazzette e viola la legge. Fuori per sempre Una volta condannato, l’imprenditore sarà per sempre escluso dagli affari della Pubblica amministrazione, mentre oggi può esserlo soltanto per un periodo massimo di cinque anni. Per lui non varrà neppure l’eventuale riabilitazione. Né avrà effetto un affidamento con esito positivo ai servizi sociali. Non basta: non gli servirà neppure patteggiare la pena, né tantomeno ottenere una sospensione condizionale. Il Daspo sarà sempre lì, a segnare negativamente la carriera di chi ha violato le regole pur di ottenere un appalto. Legge anticorruzione Il Daspo è il “cuore” della legge anticorruzione che il ministro della Giustizia si appresta a portare a uno dei prossimi consigli dei ministri e di cui Repubblica anticipa il contenuto. Daspo, agenti sotto copertura, appropriazione indebita perseguibile d’ufficio e non soltanto su denuncia, un mini pacchetto di norme che il “Greco”, il Gruppo europeo anticorruzione, e l’Ocse, sollecitavano da tempo all’Italia. Ma il fiore all’occhiello, la norma su cui Bonafede ha lavorato tutta l’estate, ascoltando a tappeto il parere di molti esperti, è proprio il Daspo. Una misura che, per l’impatto e le conseguenze fortemente dissuasive e disincentivanti, al ministero di via Arenula viene paragonata alle leggi eccezionali contro Cosa nostra varate nel 1992 dopo le stragi di mafia. La lista dei reati La relazione che accompagna il disegno di legge contiene il lungo elenco di reati per i quali l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il Daspo – due misure che correranno a braccetto – diventeranno la regola. Ecco la lista: malversazione aggravata dal danno patrimoniale grave, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione propria, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione attiva, istigazione alla corruzione, peculato, concussione, abuso d’ufficio
aggravato dal vantaggio o dal danno di rilevante gravità, traffico di influenze illecite. Una lista ben più pesante rispetto alla short list prevista oggi per l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Sotto e sopra i due anni I giuristi di via Arenula spiegano che “per ambedue le pene accessorie (Daspo e interdizione) viene previsto il divieto di contrattare per il periodo di cinque anni nel caso in cui la pena inflitta non superi i due anni; in perpetuo nel caso in cui sia superiore”. Perché mantenere comunque il tetto dei due anni? “L’esigenza di garantire intrinseca razionalità al sistema sanzionatorio e di evitare automatismi che violino i canoni di proporzionalità e adeguatezza e la finalità rieducativa della pena suggeriscono di mantenere il tetto dei due anni pur a fronte del prolungamento della durata a cinque anni”. Giustificata invece la misura perpetua per chi è condannato oltre i due anni “per l’intrinseco disvalore delle condotte a tutela del buon andamento e del prestigio della pubblica amministrazione”. Riabilitazione ininfluente A “salvare” l’imprenditore corrotto dal Daspo non basterà neppure una eventuale riabilitazione concessa dal giudice e neppure il fatto di aver scontato con esito positivo la pena con l’affidamento ai servizi sociali. (Il caso più noto è quello di Silvio Berlusconi, il cui reato però, la frode fiscale, non è compreso nella lista di Bonafede). Anche in questo caso Daspo e interdizione proseguiranno il loro “cammino” e rappresenteranno un ostacolo insormontabile e definitivo rispetto alla possibilità di ottenere ancora commesse o contratti dalla pubblica amministrazione. Inutile anche patteggiare Annunciano da Via Arenula anche “l’esclusione di automatismi fra sospensione condizionale della pena o applicazione della pena concordata”. Quindi anche chi sceglierà la procedura del patteggiamento o avrà ottenuto la sospensione condizionale della pena non potrà sfuggire al Daspo permanente. In più il disegno di legge Bonafede spezza gli automatismi consentiti finora dalla legge che avevano legato le mani ai giudici, i quali torneranno invece pienamente “padroni” della gestione di entrambi gli istituti. © RIPRODUZIONE RISERVATA DONATO FASANO/ ANSA
ECONOMIA 3/9/2018 La legge di Bilancio Manovra, sul deficit Lega e M5S sfidano Tria "Appena sotto il 3%" Salvini e Di Maio chiederanno di arrivare a sfiorare il tetto Ue e così si complica il negoziato con la commissione di Bruxelles Annalisa Cuzzocrea, Roma L’assalto alla fortezza del ministero dell’Economia comincerà questa settimana. E si preannuncia deciso. I falchi leghisti sono stati richiamati all’ordine: nessuno parli prima del vertice di domattina con Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti. «Un’importante riunione di coordinamento», così viene definita, in cui il segretario del Carroccio tirerà le fila di quanto studiato per lui in questi mesi dal viceministro di Tria, ancora senza deleghe, Massimo Garavaglia, e dallo stesso sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Se i leghisti, secondo fonti M5S, sono davvero rassegnati a non poter avere la flat tax al 15 per cento così come l’avevano promessa, è il momento di definire gli obiettivi minimi. E di capire quanto possono spingersi sulla richiesta di sforamento dei vincoli europei. «Sfioreremo il 3 per cento senza però superarlo, come solo i grandi artisti sanno fare » , ha detto a sera tarda Salvini ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo. Sposando così un’impostazione che era già arrivata dai 5 stelle, dopo che le continue sparate delle ultime settimane avevano procurato allarme sui mercati e un’asta di titoli di Stato con rendimenti quasi raddoppiati. Oltre all’outlook negativo dell’agenzia di rating Fitch. Perché anche se Luigi Di Maio, alla festa del Fatto, dice di non voler dare retta ai numeri, ma a « sorrisi e felicità » delle persone che incontra, il leader M5S sa bene di non potersi permettere una tempesta d’autunno sui mercati nel momento in cui cercherà di portare a casa la misura simbolo del Movimento: il reddito di cittadinanza. Che — ha confermato ancora ieri — «arriverà nel 2019» e avrà le coperture nella prossima manovra. « Ho l’impressione che l’Europa voglia far giocare ai mercati il ruolo del poliziotto cattivo», dice il presidente leghista della commissione Finanze del Senato, l’economista Alberto Bagnai, invitato anche lui al vertice di domani. « Ascolterò e darò il mio parere, se richiesto. Quello che noto è che certi funzionari europei brandiscono i mercati come una minaccia. Non lo sono: hanno solo raccolto dei denari e vogliono farli fruttare » . L’impostazione della Lega è che il Paese ha bisogno di crescere anche per evitare tempeste finanziarie. E che per farlo va sostenuta la spesa a costo di violare i vincoli di bilancio. «Sono un pessimista di natura — continua Bagnai — ma non credo che in Europa ci sia la volontà di aggredire l’Italia, che leader come Macron o Merkel possano permetterselo. Segnalo che noi siamo in surplus estero, la Francia in deficit estero: eppure loro hanno già annunciato che arriveranno al 3 per cento, noi ci siamo impegnati sul 2». L’idea leghista è quella di spingersi più avanti possibile sul deficit per poter consegnare al
proprio elettorato qualcosa di più degli sgravi fiscali per le partite Iva e la riduzione delle tasse sul "marginale" delle imprese, « che poi era la vecchia legge Tremonti — ricorda una fonte di governo — e non è che abbia portato nulla in termini di Pil » . Salvini può mostrare indifferenza davanti alle lamentele di Confindustria, ma non può non sentire le richieste delle piccole e medie imprese del Nord, che già dal Def si aspettano i primi segnali di inversione di rotta. Il braccio di ferro con i 5 stelle, che pure ieri rassicuravano sugli impegni presi sulla flat tax, sarà su questo. Che sia già in atto, è confermato dalle parole di ieri di Alessandro Di Battista. che dallo Yucatan ha sfidato la Lega sottolineando, ancora una volta, quanto sia distante dal M5S. © RIPRODUZIONE RISERVATA TONY GENTILE/ REUTERS
POLITICA 3/9/2018 La storia Quell’inchiesta sui 49 milioni spariti spesi (anche) per la famiglia Bossi GIUSEPPE FILETTO, Due sentenze e ora il tentativo di recuperare i fondi GENOVA Se si potesse riavvolgere il nastro della storia, i leghisti della prima ora fermerebbero il tempo al 14 febbraio 2010, giorno della morte del parlamentare Maurizio Balocchi, sottosegretario nei governi Berlusconi. Balocchi, ligure di adozione, gestiva il patrimonio del Carroccio e nel 2009, quando si aggravò la sua malattia, fu affiancato dall’autista e portaborse, il genovese Francesco Belsito. Che dopo la sua scomparsa diventerà tesoriere incontrollato del partito, l’uomo più potente del Carroccio, persino sottosegretario. È in Liguria viene architettata la truffa allo Stato: rendicontazioni fasulle per rimborsi elettorali "indebiti" nel triennio 2008-2010, e quasi 49 milioni che da Camera e Senato finiscono alla Lega. Tra fine 2011 e inizio 2012 le inchieste giudiziarie illuminano l’utilizzo disinvolto del denaro del partito: il tesoriere fa partire bonifici verso i conti offshore di Cipro, le banche in Norvegia, ricicla i fondi in lingotti d’oro e diamanti in Tanzania. Il terremoto giudiziario arriva il 23 gennaio 2012, quando un militante della Lega presenta un esposto alla Procura di Milano. Il 4 aprile 2012 la Guardia di Finanza sequestra nella cassaforte degli uffici di Montecitorio del Carroccio una cartellina rossa con scritto "The family". Dentro c’è la prova che più di mezzo milione di euro del partito era stato usato per le spese della famiglia Bossi con il benestare del Senatùr. In quella cartellina ci sono la laurea in gestione aziendale del "Trota", Renzo, figlio di Umberto, pagata 77mila euro all’Università di Tirana, l’acquisto di una Audi A6 da 48mila euro; ancora, 158mila euro pagati per le multe prese con un Suv Bmw X5 dell’altro figlio, Riccardo, per le rate del leasing (35 mila) e per l’università, ma stavolta appena 3.300 investiti solo nelle prime due rate di iscrizione all’ateneo dell’Insubria. Ci sono 14.400 euro per l’affitto di casa e le bollette, ottomila in alimenti per la ex moglie e perfino 439,50 euro spesi dal veterinario per il cane. A Bossi le casse delle Lega hanno versato oltre 208 mila per l’assistenza dopo la malattia, più un assegno da 48.500 euro intestato direttamente a lui. Questo capitolo è giunto alla prima tappa il 10 luglio 2017 a Milano con la condanna in primo grado per appropriazione indebita a Bossi, al figlio Renzo e a Belsito. I magistrati, però già nel 2015 avevano trasferito una parte di inchiesta a Genova: dalla Banca Aletti del capoluogo ligure sarebbero partiti i bonifici sui conti esteri, buona parte dei 49 milioni di euro. E due settimane dopo la prima condanna, a Genova arriva l’altra: Bossi, Belsito e gli ex revisori dei conti Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci sono giudicati colpevoli della maxi truffa e condannati (oltre al carcere) a risarcire in solido Camera e Senato: compresa la Lega come partito. Da quel momento inizia la caccia ai soldi e il
Tribunale di Genova, su richiesta del pm Paola Calleri, autorizza il sequestro cautelativo. La Polizia Tributaria però scopre che nelle casse e nei conti bancari di Via Bellerio vi sono poco più di 3 milioni. La magistratura cerca altre strade per aggredire i soldi entrati nei conti della Lega dopo il triennio 2008-2010. Lo scorso 28 dicembre un colpo di scena: Aldovisi, chiamato anche lui a risarcire lo Stato, presenta un esposto in Procura, sostiene che durante la gestione Maroni-Salvini le casse di Via Bellerio avevano 40 milioni di euro e che in da allora sono state compiute operazioni finanziarie per spostare denaro e metterlo al riparo dai guai giudiziari. L’ex revisore dei conti presenta documenti che raccontano come nel 2006 dieci milioni di euro sarebbero transitati dalla Sparkasse di Bolzano verso il Lussemburgo. Viene aperta un’altra inchiesta per riciclaggio. Sul sequestro delle somme, tra un ricorso e l’altro al Tribunale del Riesame – sia da parte della Procura di Genova, sia da parte degli avvocati della Lega Nord – la Cassazione a luglio si è pronunciata "in punto di diritto" ed ha autorizzato il sequestro di somme che in futuro entreranno sui conti leghisti, fino a raggiungere i mancanti 46 milioni. La Suprema Corte, però, ha detto che nel merito dovrà sentenziare il Riesame. Dopodomani si decide. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CRONACA 3/9/2018 Il caso Parla Vittorio Demicheli " Vaccini necessari" Anche l’esperto del ministero boccia i grillini L’epidemiologo che guida la commissione nazionale dice no all’autocertificazione MICHELE BOCCI No all’emendamento Taverna al decreto Milleproroghe che permetterebbe anche ai non vaccinati di entrare al nido e alla materna. Sì all’obbligo per il vaccino anti morbillo, parotite e rosolia. Anche all’università. Il tecnico scelto dalla ministra alla Salute Giulia Grillo per occuparsi del tema più spinoso di questi suoi primi mesi di gestione della sanità è contrario a quanto proposto dai parlamentari M5S e per certi versi va oltre il tanto vituperato (dalla maggioranza) decreto Lorenzin. Di certo è distantissimo dalle posizioni no-vax. Vittorio Demicheli presiede la Commissione nazionale vaccini e quindi disegna le politiche in questo settore con la ministra. Martedì sarà ascoltato dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera proprio sull’emendamento al Milleproroghe proposto dagli esponenti del partito di Giulia Grillo. Cosa dirà ai parlamentari? «Intanto che se anche passasse l’emendamento, le conseguenze sulla salute pubblica non sarebbero disastrose. L’allontanamento da scuola non è fondamentale. I bambini immunodepressi dopo un trapianto, ad esempio, rischiano di prendere tante malattie non coperte da vaccino. L’importante comunque è fare bene le classi. Parlo però dal punto di vista scientifico, da quello pratico la situazione è diversa». In che senso? «Fui convocato anche durante la preparazione del decreto Lorenzin. Martedì spiegherò agli onorevoli che come non condividevo la superficialità con cui un anno fa la legge sui vaccini obbligatori è stata fatta per "necessità ed urgenza", allo stesso tempo ritengo che non sia il caso di fare di nuovo lo stesso errore, cioè cambiare tutto con un altro decreto. I servizi vaccinali sono stressati dal legge sull’obbligo, adesso un contrordine bloccherebbe la macchina. Finché non viene fatta una nuova legge organica, per favore lascino in piedi quello che abbiamo». I dati dicono che con il decreto Lorenzin sono aumentate le coperture. «Ci sono stati risultati significativi, ma non c’era bisogno di legiferare con urgenza. Avremmo raggiunto gli stessi obiettivi con una politica diversa. E comunque la "bomba atomica" dell’obbligo non ha fatto migliorare abbastanza le Regioni in difficoltà con le coperture. L’importante adesso è togliere alla strumentalizzazione politica questo tema, che è tecnico. I politici si occupino di altro».
Lei è contrario all’obbligo vaccinale? «In certe situazioni può servire, anche se bisogna sempre lavorare sul convincimento delle persone più che sulle imposizioni. Si sta studiando una legge che prevede l’obbligo solo per certe aree geografiche e determinate malattie, se le coperture sono basse. L’importante è che questo non diventi una categoria morale, come è stato inteso nel decreto Lorenzin, ma semplicemente uno strumento». Per il quadrivalente (anti morbillo, parotite, rosolia e varicella) le coperture sono ancora basse. Proprio per quello è nato il decreto Lorenzin. Lei Cosa farebbe? «Terrei l’obbligo. In questo momento va mantenuto per il quadrivalente, anche se sulla varicella ho ancora qualche dubbio sul da farsi. Comunque, almeno per morbillo, parotite e rosolia credo che ci dovremmo avvalere anche del divieto di entrare a scuola. E magari alzare anche l’età dei giovani coinvolti nella campagna vaccinale. Anche con un intervento di urgenza, indipendente dai tempi nei quali sarà approvata la nuova legge. Sul morbillo ci vuole una "manovra", per estendere la copertura ai giovani adulti. Ad esempio si potrebbe pensare di richiedere come necessaria questa vaccinazione a chi si iscrive all’Università». Non era contrario alle decisioni prese d’urgenza? «Ma questa non sarebbe una legge, penso a un atto di intesa con le Regioni e magari ad un’ordinanza, ad esempio per vaccinare operatori sanitari e scolastici e coinvolgere appunto i giovani adulti». E l’esavalente (anti polio, tetano, pertosse, epatite B, emofilo B e difterite)? «Per la polio non è necessario che l’obbligo sia generalizzato a tutto il Paese. Il pericolo è presente solo in certe aree, dove le coperture sono basse. Penso alla provincia di Bolzano». All’audizione alla Camera è stato invitato, oltre ai rappresentati di società scientifiche e istituzioni, anche un pediatra considerato vicino alle posizioni no-vax, Eugenio Serravalle. Come mai? «Non lo so, anche a me è sembrato strano. Sarà stato qualche membro della commissione a fare questa scelta». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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