Consiglio Nazionale dei Geologi
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20 Giu 2019 Speciale Sblocca-cantieri, il focus sulle cause di esclusione: fuori gara chi non paga i subappaltatori Laura Savelli Anche nella legge di conversione del decreto Sblocca-cantieri, non sono mancate modifiche alla disciplina dei requisiti generali contenuta nell'articolo 80 del Codice. I subappaltatori Lalegge n. 55/2019ha fatto retromarcia innanzi tutto sulla soppressione della previsione in base alla quale, prima dell'entrata in vigore del decreto, l'accertata carenza di requisiti generali, in capo ai subappaltatori della terna (nei casi obbligatori di indicazione) causava l'esclusione diretta del concorrente. In sede di conversione, tale modifica non infatti ha ricevuto conferma, e quindi il testo degli incisi finali dei commi 1 e 5 dell'articolo 80 è tornato alla sua edizione originaria, anche se tali norme non saranno comunque destinate a trovare applicazione nell'immediato futuro. Nonostante la loro permanenza all'interno dell'ordinamento, questa regola è stata posta sotto sospensione dall'articolo 1, comma 18, del d.l. n. 32/2019, convertito dalla legge n. 55/2019, che, oltre ad aver congelato - fino al 31 dicembre 2020 - l'obbligo di indicazione della terna nei casi previsti dall'articolo 105, comma 6, del Codice, ha di conseguenza messo in standby, fino alla stessa data, anche l'obbligo speculare per le stazioni appaltanti di effettuare le verifiche dei requisiti generali con riferimento ai subappaltatori. Ma, di cause escludenti legate ai subappaltatori, si parla in maniera innovativa nella lettera c- quater) del comma 5 dell'articolo 80, introdotta proprio dalla legge di conversione del decreto Sblocca-cantieri. In base alla nuova previsione, è stata infatti introdotta la possibilità per la stazione appaltante di estromettere dalla gara un concorrente, qualora abbia commesso un grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con una sentenza passata in giudicato: una norma, che farà di certo discutere, essendo inevitabilmente legata al più diffuso tra gli inadempimenti, vale al dire al mancato pagamento del corrispettivo dovuto ai soggetti affidatari di subappalti, e non offrendo la disposizione - da questo punto di vista - alcun dato di certezza, soprattutto con riferimento all'elemento della gravità dell'inadempimento. L'ambito soggettivo di applicazione La legge di conversione del decreto Sblocca-cantieri ha invece confermato la definizione dell'ambito soggettivo di applicazione dell'articolo 80, con riguardo all'elenco dei soggetti contenuto nel comma 3, allorquando deve essere accertata la sussistenza di precedenti penali e di provvedimenti antimafia. Con riferimento alle società di capitali, si precisa infatti che, alle verifiche del caso, deve essere assoggettato il socio di maggioranza, in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a
quattro, anziché in caso di società con meno di quattro soci; e pertanto, così facendo, si allinea il dato normativo del d.lgs. n. 50/2016 a quello dell'articolo 85, comma 2, lettera c), del Codice antimafia che, nell'indicare i soggetti da verificare in caso di società di capitali, si riferisce appunto al socio di maggioranza, se si tratta di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro. Allo stesso modo, la legge n. 55/2019 conferma nel secondo comma dell'articolo 80 l'ulteriore previsione - seppur non necessaria - contenuta sempre nel d.lgs. n. 159/2011, secondo cui le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva possono richiedere - sulla base dell'articolo 34-bis, commi 6 e 7, del Codice antimafia - l'applicazione del controllo giudiziario. Infine, completa il quadro delle correzioni - nella conversione del decreto Sblocca-cantieri - la precisazione in base alla quale non è possibile procedere all'esclusione di un concorrente dalla gara qualora, pur essendo stata riportata una condanna ad una pena accessoria perpetua, quest'ultima sia stata dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale. Anche in questo caso, dunque, il decreto-legge n. 32/2019, convertito dalla legge n. 55/2019, si è limitato ad allineare l'articolo 80, comma 3, del Codice alle modifiche introdotte recentemente dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3 in materia penale, soprattutto con riferimento alle pene accessorie, di cui si parlerà in maniera più approfondita in seguito. Le irregolarità fiscali e contributive A destare però ancora una volta attenzione, è l'ipotesi escludente delle irregolarità fiscali e contributive dell'impresa che, a seguito del decreto-legge n. 32/2019, aveva inglobato anche le situazioni debitorie delle imprese verso il fisco e gli enti previdenziali, seppur ancora non definitivamente accertate. E, da qui, aveva avuto pertanto origine la nuova formulazione del comma 4 dell'articolo 80 che, in aggiunta alla obbligatorietà dell'esclusione per violazioni definitive, aveva introdotto la facoltà della Pa, previa adeguata dimostrazione, di escludere dalla gara anche l'impresa inottemperante rispetto al pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali, nonostante l'accertamento di tale inadempimento non fosse ancora definitivo. Anche questa previsione non ha però trovato la sua conversione in legge: ragion per cui, ad oggi, è stato di fatto ripristinato lo stato normativo ante decreto Sblocca-cantieri che, da un lato, consente di bypassare le molteplici difficoltà che la disposizione già sembrava presentare nella sua concreta applicazione, ma, dall'altro lato, espone l'Italia al rischio dell'avvio di una procedura di infrazione da parte dell'Europa. Da questo punto di vista, non bisogna infatti dimenticare che la modifica originaria del d.l. n. 32/2019 era derivata dalla necessità del Governo italiano di fornire una risposta ai rilievi che erano stati formulati dalla Commissione europea con la lettera di messa in mora dello scorso 24 gennaio in merito alla non conformità - rispetto alle direttive Ue - anche della disciplina delle irregolarità fiscali e contributive. Nell'occasione, la Commissione aveva infatti osservato che l'articolo 80, comma 4, del Codice era conforme sia all'articolo 38, paragrafo 5, primo comma, della direttiva 2014/23/Ue, sia all'articolo 57, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2014/24/Ue, nella parte iniziale in cui impone di escludere un operatore economico che non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o di contributi previdenziali, se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo. La norma - a giudizio della Commissione - non era tuttavia allineata alla parte successiva delle previsioni comunitarie, laddove si consente invece di escludere anche le imprese che hanno violato gli obblighi di pagamento di imposte o contributi, nonostante che la violazione non sia stata accertata in via definitiva da decisioni giudiziarie ovvero amministrative, e possa essere comunque adeguatamente dimostrata dall'amministrazione.
La rilevanza temporale dell'esclusione Confermato dalla legge di conversione n. 55/2019 anche il restyling integrale della disciplina relativa alla durata della interdizione dalle gare, dovuto principalmente, come si è anticipato, alle modifiche introdotte dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3 in materia penale, soprattutto con riferimento alle pene accessorie. Da questo punto di vista, l'articolo 80 del Codice subisce pertanto uno sdoppiamento: da un lato, infatti, il comma 10 viene destinato solo ed esclusivamente alla durata della interdizione dalle pubbliche gare nei casi di sentenze penali di condanna definitiva; dall'altro lato, invece, il nuovo comma 10-bis si rivolge a tutti (o quasi) i restanti motivi di esclusione. Per quanto riguarda le sentenze penali, la nuova previsione tiene innanzi tutto conto del fatto che, con la modifica dell'articolo 317-bis del codice penale intervenuta nello scorso gennaio, è stata introdotta la pena accessoria dell'incapacità in perpetuo di contrattare con la P.a. in caso di condanne per i reati di peculato, concussione, corruzione per l'esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio ed in atti giudiziari, induzione a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, istigazione alla corruzione, traffico di influenze illecite, ed infine peculato, concussione, induzione a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri di Corti internazionali o organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri: ragion per cui, anche la nuova edizione del comma 10 dell'articolo 80 - alla lettera a) - dispone che, in tali casi, il divieto di contrattazione con la P.a. sarà ovviamente perpetuo, a meno che non intervenga l'estinzione della pena, possibile, ai sensi dell'articolo 179, comma 7, del codice penale, solo una volta che sia decorso un termine non inferiore a sette anni dalla intervenuta riabilitazione, e qualora il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Se però, in tali casi, è stata inflitta una pena detentiva non superiore a due anni oppure è stata concessa la circostanza attenuante della particolare tenuità, l'interdizione dalla contrattazione con la P.a. viene ridotta a sette anni - come specifica la lettera b) del comma 10 dell'articolo 80 - a meno che non sia intervenuta la riabilitazione. Infine, per le condanne definitive relative a reati diversi da quelli precedentemente elencati, il periodo di esclusione dalle procedure d'appalto resta di cinque anni, com'era nelle previsioni originarie, confermate adesso dalla lettera c) del comma 10 dell'articolo 80, fatta salva - anche in questi casi - l'ipotesi della intervenuta riabilitazione. In realtà, la disciplina relative alle condanne penali prosegue poi anche nel nuovo comma 10-bis dell'articolo 80, dove viene precisato in via ulteriore che, "nei casi di cui alle lettere b) e c) del comma 10, se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata della esclusione è pari alla durata della pena principale". Chiude infine il cerchio, la fissazione della durata della esclusione, per tutte le altre ipotesi contemplate dal comma 5 dell'articolo 80, che resta pari a tre anni, anche in questo caso come nella versione originaria della norma. Con una differenza: mentre, in passato, il dies a quo del triennio coincideva genericamente con la data dell'accertamento definitivo del fatto ostativo, nella nuova previsione, il periodo interdittivo inizia il suo decorso dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Ma, non è questa l'unica novità, poiché la norma dispone anche che, nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto nella propria valutazione sulla sussistenza del presupposto per l'esclusione dell'operatore economico che l'abbia commesso: il che, lascia intendere che l'amministrazione possa comunque procedere con l'esclusione, a prescindere dalla definitività del fatto ostativo. Infine, resta da segnalare una lacuna normativa rilevabile proprio all'interno del comma 10-bis
che, nel disporre la durata dell'interdizione per le cause diverse dalle condanne definitive, si riferisce solamente alle ipotesi elencate dal comma 5, tralasciando dunque il richiamo anche al comma 4, relativo al caso delle irregolarità fiscali e contributive. P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
20 Giu 2019 Speciale Sblocca-cantieri/2. Regolamento , appalto integrato, subappalto: le «incertezze» del decreto Alessandro Zuccaro (*) Il decreto Sblocca-cantieri prevede numerose modifiche al codice dei contratti pubblici e introduce una nutrita serie di disposizioni parallele che, in via sperimentale, disciplineranno il settore fino al termine del 2020. Le finalità sono chiarite sin dal primo comma: «Rilanciare gli investimenti pubblici e facilitare l'apertura dei cantieri». A dispetto dei propositi, però, la sensazione è che il testo non sia sorretto da una visione organica e metta insieme una serie di disposizioni che tradiscono una certa incoerenza di fondo e che in taluni casi, riguardanti alcuni degli istituti ritenuti più significativi dal Governo stesso, o risultano tra di esse difficilmente coordinabili se non addirittura inconciliabili o comunque non fanno chiarezza rispetto a profili particolarmente dibattuti oggetto di contestazione nell'ambito delle procedure di infrazioni avviate dalla Commissione Europea . In definitiva, pertanto, i profili di incertezza non si riducono ma per certi versi aumentano mettendo a repentaglio gli intenti acceleratori e di ripresa perseguiti. Il presente contributo intende mettere in evidenza le incertezze e le incongruenze che emergono da una prima disamina del testo e che contraddistinguono sia alcune scelte di fondo, come quella di introdurre un regime provvisorio per il 2019 e il 2020 o quella di recuperare la via del regolamento attuativo in luogo delle dibattutissime linee guida Anac, sia alcune soluzioni specifiche varate rispetto a istituti, come l'appalto integrato, il subappalto e i motivi di esclusione che, almeno stando agli annunci, dovrebbero costituire il fulcro della riforma. Il regime sperimentale e le asimmetrie (o dimenticanze) del monitoraggio Una prima incongruenza, forse la più veniale, è senza dubbio di metodo e riguarda il regime sperimentale e provvisorio delle disposizioni introdotte mediante i commi 1-19 del decreto. Il co. 1 prevede che fino al 31 dicembre 2020 non trovi applicazione né l'art. 37, co. 4 del Codice che impone ai comuni non capoluogo di provincia di avvalersi degli strumenti di aggregazione e delle centrali di committenza ivi previsti, né il successivo art. 77, co. 3, che prescrive l'obbligo di avvalersi esclusivamente dei commissari iscritti all'Albo istituito presso l'Anac; né l'art. 59, co. 1 che sancisce il divieto di procedere all'affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione di lavori pubblici («appalto integrato»). I successivi commi introducono una serie di disposizioni parallele al Codice che senza entrare a farne parte trovano applicazione soltanto per il 2019 e il 2020, ossia nel periodo corrispondente alla sospensione prevista per gli istituti appena considerati ovvero fino alla data di entrata in vigore del nuovo regolamento attuativo. In definitiva pertanto, alcune disposizioni del codice dei contratti pubblici vengono congelate, mentre ne vengono introdotte altre che non entrano a far parte del codice e che varranno soltanto per il 2019 e il 2020. Nell'uno come nell'altro caso si tratta di un regime provvisorio: il primo gruppo di norme viene
sottoposto a un regime di sospensione; il secondo, invece, immediatamente valido ed efficace nasce per così dire con una data di scadenza già nota. In questo scenario, il co 2. dell'art. 1 del Decreto attribuisce al Governo il compito di presentare una relazione alle Camere entro il 30 novembre 2020 «al fine di consentire al Parlamento di valutare l'opportunità del mantenimento o meno della sospensione stessa». Formulata in questi termini, e collocata al comma 2, subito dopo la sospensione di cui al comma 1 e prima delle disposizioni provvisorie introdotte dal comma 3 in poi, la norma sembra limitare il monitoraggio e la relazione del Governo al solo primo gruppo di norme, l'unico da considerarsi sospeso. Sarebbe stato più coerente e opportuno includere nel monitoraggio anche il secondo gruppo di norme che incide, anch'esso in modo provvisorio, su istituti centrali nel panorama della disciplina vigente. L'incongruenza è evidente e con un po' di buon senso potrà essere superata dal Governo estendendo la propria attività di analisi anche al secondo gruppo di norme. L'accorgimento, peraltro, appare doveroso, giacché, come esposto nel prosieguo, vi sono norme appartenenti al primo gruppo che contrastano con quelle incluse nel secondo, rendendo di fatti impraticabile la sospensione prevista per il divieto di appalto integrato di cui all'art. 59, co. 1 del Codice. Il ritorno al regolamento attuativo: sopravvivenza delle Linee guida? Una seconda incongruenza di fondo riguarda il ritorno a un regolamento (apparentemente unico) attuativo del Codice, che comprenda e superi le misure attuative (linee guida e decreti ministeriali) già adottate dalla sua entrata in vigore ad oggi. Sommando tra di esse le numerose disposizioni che intervengono sul punto emerge che il regolamento attuativo non andrà a sostituire tutte le linee guida e i decreti attuativi del Codice. Le modifiche apportate, ad esempio, non incidono sull'art. 83, co. 13 del Codice stesso e non intaccano pertanto l'efficacia delle linee guida ivi previste in tema di grave illecito professionale (le linee guida n. 6) che continueranno a costituire il punto di riferimento in materia. Lo stesso discorso vale per l'art. 181 del Codice e per le linee guida (n. 9) sui sistemi di monitoraggio da applicare in caso di partenariati pubblico-privati. Anche questa disposizione, infatti, non è intaccata dalle modifiche previste dal Decreto e anche in tal caso le linee guida Anac continueranno a esercitare la propria funzione di riferimento. Il regolamento andrà a sostituire "soltanto" le linee guida e i decreti attuativi vigenti rispetto ai temi specificamente riassunti nel nuovo co. 27-octies dell'art. 216 del Codice e cioè in materia di a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento; b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto; c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie; e) direzione dei lavori e dell'esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di conformità; h) affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; i) lavori riguardanti i beni culturali". Lo stesso co. 27-octies prevede poi che nelle more dell'entrata in vigore del regolamento, le linee guida e i decreti attuativi riguardanti le tematiche appena elencate restino in vigore «in quanto compatibili [..] e non oggetto delle [..] procedure di infrazione» avviate dalla Commissione Europea. Inoltre, durante il medesimo periodo di transizione, il Ministero delle infrastrutture e l'Anac conserveranno l'onere di modificare i provvedimenti attuativi di propria competenza «ai soli fini dell'archiviazione delle citate procedure di infrazione». La disposizione transitoria è stata introdotta in sede di conversione con il chiaro intento di porre
rimedio ai limiti della soluzione precedentemente prevista nel testo adottato dal Governo. Inizialmente, infatti, il decreto stabiliva che le linee guida e i decreti ministeriali attuativi destinati a esser sostituiti dal regolamento attuativo sarebbero rimasti in vigore o efficaci «fino alla data di entrata in vigore del regolamento». L'Anac, tuttavia, aveva segnalato il rischio che la norma così formulata finisse per cristallizzare i contenuti delle linee guida in essere senza consentirle di apportare le modifiche necessarie a garantire il necessario coordinamento rispetto alle modifiche apportate al quadro normativo di rango primario . Ciononostante, la formulazione prevista in sede di conversione non risolve il problema. Il co. 27- octies, infatti, autorizza sì l'Anac e il Ministero delle infrastrutture a modificare i provvedimenti di loro competenza destinati a esser sostituiti dal regolamento, ma «ai soli fini dell'archiviazione delle citate procedure di infrazione». Permane il rischio, dunque, che parte delle linee guida e dei decreti ministeriali attuativi restino di fatto inapplicabili nelle more dell'adozione del regolamento. In aggiunta, in netta contrapposizione con l'idea di superare il regime delle linee guida, il decreto stesso demanda all'Anac il compito di adottarne di nuove in materia fin ora sottratte alla propria competenza. L'art. 2, co. 6 del decreto, infatti, nel modificare la disciplina prevista dall'art. 110 del Codice in tema di crisi di impresa, demanda all'Anac il compito di definire i "requisiti aggiuntivi" che l'impresa in concordato deve possedere per partecipare a gare d'appalto, ovviando all'obbligo di avvalimento altrimenti previsto . La competenza, peraltro, oltre a contrastare con i propositi di semplificazioni perseguiti, non appare neppure coerente con il ruolo dell'Anac stessa, incidendo su una materia che afferisce più specificamente alla disciplina delle procedure concorsuali, di competenza del giudice delegato. Nel lungo periodo, poi, il grado di complessità e i margini di incertezza non sembrano destinati a diminuire. Anche quando sarà pienamente in vigore, infatti, il regime previsto dal Decreto non porterà a una semplificazione, bensì a un ulteriore stratificazione della disciplina attuativa. Il regolamento, infatti, non costituirà l'unico provvedimento attuativo, ma si affiancherà alle linee guida e ai decreti previgenti non intaccati dalla riforma, nonché alle ulteriori linee guida che lo stesso decreto demanda all'Anac. Il divieto di appalto integrato e una sospensione rimasta in sospeso A destare perplessità è anche l'architettura sostanziale proposta a soluzioni specifiche. È il caso, già segnalato dai primi commenti, della sospensione del divieto di appalto integrato che, nei termini in cui è formulata, appare francamente inattuabile e destinata, ed è un paradosso, a rimaner essa sì sospesa e inattuata fino a un intervento chiarificatore del Legislatore. Le ragioni, però, vanno ben al di là dell'infelice formulazione letterale delle norme e tradiscono ancora una volta l'assenza di una visione organica capace di mettere a sistema e coordinare adeguatamente le modifiche introdotte. Il regime previsto, infatti, sospende soltanto il quarto periodo del co. 1 dell'art. 59 del codice, ossia la disposizione che sancisce il divieto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione dei lavori, ma non si premura di coordinare tale sospensione con il terzo periodo del medesimo co. 1 e con il successivo co. 1 bis dello stesso art. 59. Tali previsioni, non colpite dalla sospensione, sanciscono che gli appalti di lavori siano affidati ponendo a base di gara il progetto esecutivo e che tale regola possa esser derogata nei soli casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo delle opere sia nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo dei lavori. Da una parte, quindi, viene sospeso il divieto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione dei lavori, lasciando presagire la possibilità di ricorrere allo strumento dell'appalto integrato, dall'altro, però, restano pienamente efficaci le norme che sanciscono l'obbligo di porre
a base di gara un progetto esecutivo e che pertanto precludono la possibilità stessa di ricorrere a una forma integrata di appalto. Fin qui quanto già rilevato dai primi commenti. Il tutto, però, è reso ancor più contraddittorio dal mancato coordinamento tra la pretesa sospensione del divieto di appalto integrato e quanto previsto dall'art. 1, co. 6 del Decreto stesso. Tale disposizione, nel testo varato dal Parlamento, prevede che, durante lo stesso periodo di sospensione del divieto di appalto integrato, sia possibile affidare ed eseguire i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla base di un progetto definitivo, ma solo se i lavori non comportino il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti. Almeno per gli affidamenti che non comportino questo tipo di lavori, pertanto, le soluzioni a disposizione sembrano chiare: le stazioni appaltanti potranno porre a base di gara il solo progetto definitivo e o procedere con appalto integrato, rimettendo al privato la progettazione esecutiva o prescindere totalmente da quest'ultimo livello di progettazione. Al contempo, però, la stessa norma esclude espressamente che sia possibile limitarsi al progetto definitivo per gli interventi di manutenzione straordinaria che prevedano il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti. Per questo tipo di lavori, pertanto, proprio nel periodo in cui dovrebbe esser sospeso il divieto di ricorrere all'appalto integrato, sarà o almeno dovrebbe esser necessario ottemperare a un'indicazione di segno opposto. Detto altrimenti, sarà necessario porre a base di gara un progetto esecutivo. Ma se una necessità simile è valida per i lavori di ristrutturazione straordinaria che prevedano il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali di opere o di impianti a maggior ragione dovrà, o quanto meno dovrebbe, ritenersi valida anche per i lavori di realizzazione di nuove opere che, per definizione, implicano l'esecuzione di opere e impianti strutturali. Tirando le fila, quindi, non vi sono molti margini per ritenere effettiva la sospensione del divieto di ricorrere all'appalto integrato che, per quanto si è detto appare un'opzione allo stato non percorribile. I limiti storici del subappalto. Parola alla Corte? Nello scenario fino ora considerato un cenno a parte va alle modifiche introdotte in tema di subappalto. Le modifiche, disciplinate dall'art. 1, co. 18 del Decreto, rientrano nel set di norme che senza entrar a far parte del codice e senza abrogare le disposizioni diverse ivi contenute prevedono un regime provvisorio per così dire parallelo valido fino al 31 dicembre 2020. Almeno in astratto, peraltro, si tratta di disposizioni che, come si è detto, non ricadono tra quelle che il Governo dovrà monitorare ai fini della relazione da presentare alle Camere entro la fine del novembre 2020. Nello specifico, le misure provvisorie previste innalzano, sino al 31 dicembre 2020, la quota subappaltabile di lavori, servizi e forniture fino al 40% dell'importo complessivo del contratto e congelano, per il medesimo periodo di tempo, sia l'obbligo di indicazione della terna di cui al co. 6 dell'art. 105 e del terzo periodo del co. 2 dell'art. 174, sia le verifiche in sede di gara sulla sussistenza in capo al subappaltatore dei motivi di esclusione di cui all'art. 80. Ai fini dell'ammissione in gara e della successiva aggiudicazione, pertanto, non sarà più necessario, almeno fino alla fine del 2020, indicare i nominativi dei subappaltatori né procedere alle summenzionate verifiche che avranno luogo esclusivamente in fase di esecuzione. La modifica, seppur provvisoria, sarà salutata con favore dagli operatori di settore. Tuttavia, l'aver eliminato l'onere di indicazione della terna, mantenendo al contempo il limite della quota subappaltabile, innalzato al 40%, non risolve e anzi per certi versi incrementa i profili di incertezza già emersi nell'ambito della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea. In questi termini infatti la norma prevede un limite percentuale astratto oltre il quale il ricorso al subappalto sarebbe precluso, finendo così per contrastare con il noto orientamento della Corte di giustizia, richiamato dalla Commissione nella nota di apertura della procedura infrazione inviata all'Italia il 14 gennaio 2019, a mente del quale «una clausola [..] che impone per l'appunto
limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell'appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe [..] risulta incompatibile» con il quadro normativo di rango europeo. Vero è che la pronuncia si basa sulla precedente Direttiva 2004/18/CE, ma vero è pure che le disposizioni ivi contemplate non divergono da quelle attuali. In sostanza, l'unica via per minimizzare il rischio di contestazioni in sede europea sarebbe stata probabilmente quella di sganciare il limite al subappalto dalla previsione di una quota percentuale astratta per circostanziarlo, invece, sulla base della natura tecnica delle prestazioni ritenute essenziali, gravando il privato dell'onere di indicare gli eventuali subappaltatori e quindi di dimostrare le loro capacità tecnico professionale e, prima ancora, l'assenza di motivi di esclusione ex art. 80 del Codice. Si tratta, tuttavia, di un argomento da sempre dibattuto che investe una soluzione per così dire storica del nostro ordinamento e che, nonostante il precedente giurisprudenziale richiamato dalla Commissione, non ha ancora trovato compiuta definizione neppure a livello europeo. Sicché, appare fisiologico, e per certi versi maggiormente opportuno, che nel dialogo tra i diversi ordinamenti, la questione venga risolta dalla stessa Corte di Giustizia a meno di una improbabile liberalizzazione in via normativa dell'istituto in questione. (*) Pedersoli Studio Legale P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
20 Giu 2019 Speciale Sblocca-cantieri/3. Dall'esercizio provvisorio ai concordati: e anticipate le novità sulle crisi d'impresa Luca Leone e Paola Conio La legge di conversione del decreto "Sblocca cantieri" conferma in toto – come del resto era prevedibile – l'anticipazione delle disposizioni di alcune delle norme della riforma organica delle procedure di gestione delle situazioni di crisi e d'insolvenza, adottata con D.Lgs. 14/2019 del 14 febbraio 2019. Le modifiche apportate da quest'ultimo provvedimento al Codice dei Contratti pubblici, necessarie per chiarire le disposizioni dello stesso e coordinarle con la nuova Legge sulla crisi di impresa, sarebbero difatti entrate in vigore soltanto 18 mesi dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, quindi il 15 agosto 2020. La legge di conversione (L. 55/2019), inoltre, interviene in modo più incisivo di quanto non avesse fatto il D.L. 32/2019 sull'art. 186-bis della legge fallimentare per eliminare alcune incongruenze che erano state segnalate all'indomani dell'entrata in vigore dello sblocca-cantieri. Quindi, intervenendo sull'art. 110 del Codice contratti e sull'art. 104 e 186-bis della Legge Fallimentare lo sblocca-cantieri, nella formulazione scaturente dalla legge di conversione, consente di applicare anticipatamente le disposizioni correttive della riforma organica della normativa sulla crisi di impresa e di risolvere le difficoltà interpretative e di coordinamento tra la legge fallimentare e il codice contratti. Le nuove norme introdotte dallo sblocca-cantieri, così come convertito dalla L. 55/2019, verranno, poi, automaticamente sostituite da quelle del Codice della crisi di impresa e d'insolvenza al momento dell'entrata in vigore di quest'ultimo provvedimento. Le imprese fallite in regime di esercizio provvisorio Con l'anticipazione delle disposizioni del D.Lgs 14/2019 viene fortemente ridimensionata la possibilità delle imprese in stato di fallimento, il cui curatore sia stato autorizzato all'esercizio provvisorio, di continuare ad operare nel settore dei contratti pubblici. Difatti, se da un lato viene confermata la possibilità – ove evidentemente la stessa risulti funzionale a garantire gli obiettivi della procedura liquidatoria – che il curatore autorizzato all'esercizio provvisorio continui, con l'autorizzazione del giudice delegato, ad eseguire i contratti pubblici che l'impresa fallita aveva già stipulato prima del fallimento, viene cancellata la possibilità, fortemente criticata, di consentire al curatore anche la partecipazione a nuove procedure di gara. L'art. 104 della legge fallimentare, dedicato appunto all'esercizio provvisorio dell'impresa fallita, viene modificato dallo sblocca cantieri – con disposizione confermata in sede di conversione – inserendo al settimo comma, laddove si specifica che durante l'esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l'esecuzione o scioglierli, l'opportuna precisazione secondo cui resta comunque salvo quanto previsto al comma 3 dell'art. 110 del Codice Contratti, ovvero il fatto che, per la prosecuzione di
contratti pubblici da parte del curatore autorizzato all'esercizio provvisorio, è comunque necessaria l'autorizzazione del giudice delegato. Le imprese che hanno presentato domanda di concordato "in bianco" Il comma 4 dell'art. 110, così come riformulato dallo "sbocca cantieri" prevede che l'art. 186-bis, ovvero la disposizione della legge fallimentare sul concordato con continuità aziendale che disciplina la possibilità di partecipazione alle gare successivamente al deposito del ricorso da parte dell'impresa, si applichi anche all'ipotesi di domanda di concordato "in bianco". La legge di conversione, pur lasciando la disposizione inalterata, ha opportunamente inserito espressamente quell'"anche" che nel decreto-legge era rimasto nella penna dell'estensore, aprendo potenzialmente la strada al dubbio che la previsione modificata fosse dedicata "solo" alle imprese che avessero presentato domanda di concordato in bianco. Quindi, è ora espressamente chiarito dalla norma che l'operatore economico che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva possa partecipare alle gare per l'affidamento dei contratti pubblici purché autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato, o in alternativa dal tribunale. In questo caso, tuttavia, sarà sempre necessario avvalersi dei requisiti di un altro soggetto, Anche se la disposizione su questo specifico punto non è esplicita, il riferimento dovrebbe essere all'ipotesi dell'avvalimento c.d. "rinforzato" ai sensi del successivo comma 6 del medesimo art. 110, di cui si dirà in appresso e non al normale avvalimento di cui all'art. 89 del codice. Si rammenta che, per quanto concerne l'ipotesi di partecipazione alla gara delle imprese che avessero presentato domanda di concordato "in bianco, in assenza di disposizioni coordinate, chiare e puntuali nel previgente quadro normativo, gli orientamenti giurisprudenziali in merito avevano fatto registrare posizioni non univoche. Ad esempio, il Tribunale di Roma (Decr., 20/10/2017) aveva ritenuto che l'autorizzazione a partecipare a procedure di affidamento di appalti pubblici, ai sensi dell'art. 186 bis, comma 4, l. fall., non potesse essere concessa all'impresa che abbia proposto la sola domanda di concordato preventivo con ricorso cd. in bianco, trovando applicazione, l'anzidetta disposizione, nel caso di deposito di domanda di concordato corredata da proposta, piano e documentazione di rito e nel periodo intercorrente tra il deposito medesimo e la ammissione alla procedura della proponente. Di contro, il Tribunale di Bolzano (09/01/2018), aveva affermato che qualora il ricorso in bianco fosse accompagnato da un'adeguata disclosure sulle linee guida del piano sarebbe stata possibile la partecipazione a nuove procedure di affidamento, previa autorizzazione del Tribunale, acquisito il parere favorevole del Commissario giudiziale se nominato sulla convenienza per il ceto creditorio della partecipazione alla procedura pubblica. Il Tar Piemonte (sent. n. 260/2019 del 7 marzo 2019) aveva affermato che le ragioni del soggetto che ha solo formulato istanza di concordato in bianco vengono prese in considerazione dalla sola legge fallimentare nella unilaterale prospettiva della procedura concordataria, alle cui esigenze non deve necessariamente piegarsi la procedura di evidenza pubblica per l'affidamento dei contratti. Il Consiglio di Stato, dal canto suo, per ben due volte ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea la questione della compatibilità con il diritto eurounitario dell'esclusione dalla procedura di gara pubblica dell'impresa che abbia presentato domanda di concordato in bianco considerando come "procedimento in corso" la mera istanza e quale causa di esclusione dalla procedura d'appalto pubblico la confessione del debitore di trovarsi in stato di insolvenza insita nella presentazione dell'istanza di concordato preventivo "in bianco" (CDS Ordinanza n. 686/2018 e 2737/2015). Le incertezze vengono risolte dalle nuove disposizioni. Il concordato preventivo c.d. "liquidatorio" Con l'anticipazione delle norme del D.Lgs. 14/2019 sembrerebbe assistersi allo scolorimento della differenza tra concordato liquidatorio e concordato con continuità aziendale ai fini delle
procedure di evidenza pubblica per l'affidamento di contratti. Prima dello sblocca cantieri, ai sensi del combinato disposto della legge fallimentare (in particolare l'art. 186-bis) e del Codice contratti, le disposizioni che consentivano la partecipazione alle gare di appalto in deroga alle previsioni dell'art. 80 comma 5 del D.Lgs. 50/2016 erano sempre specificamente riferite all'ipotesi del concordato con continuità aziendale, mentre in relazione al concordato con cessione dei beni o c.d. liquidatorio era contemplata unicamente la possibilità delle imprese che vi erano state ammesse di proseguire nell'esecuzione dei contratti già stipulati, previa autorizzazione del giudice delegato. Con le modifiche dello sblocca cantieri, confermate dalla legge di conversione, non sembrerebbe invece più sussistere alcuna differenza tra le due tipologie di concordato in relazione alle procedure di gara pubblica. Difatti, da un lato, con la modifica al comma 4 dell'art. 186-bis, viene previsto che la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici da parte di imprese che hanno depositato "la domanda di cui all'art. 161 L.F." ovvero la domanda di ammissione al concordato preventivo non necessariamente con continuità aziendale, deve essere autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato; dall'altro, il comma 5 dell'art. 110 del codice contratti viene modificato prevedendo che "l'impresa ammessa al concordato preventivo" tout-court [anziché "l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale"] non necessita dell'avvalimento di requisiti di altro soggetto. Infine, anche all'art. 80 comma 5 lett. b) (non modificata dalla legge di conversione se non per una mera precisazione lessicale) scompare il riferimento alla continuità aziendale e resta solo quello al concordato preventivo in generale. In effetti, anche dalla riforma della materia fallimentare non viene più esclusa l'ipotesi di partecipazione a nuove gare delle imprese in concordato liquidatorio, atteso che le disposizioni riformate fanno riferimento all'impresa al "concordato" e non più alla finalità della continuità aziendale, benché quest'ultima costituisca l'ipotesi che il legislatore della riforma vorrebbe divenisse prevalente , rispetto a quella meramente liquidatoria, possibile con il nuovo D.Lgs. 14/2019 solo nel caso si garantisca l'apporto di nuova finanza. L'avvalimento "rinforzato" L'avvalimento rinforzato si differenzia dall'istituto di derivazione comunitaria normato dall'art. 89 del Codice Contratti in quanto l'ausiliario deve in questo caso essere dotato di tutti i requisiti richiesti per la partecipazione alla procedura e deve obbligarsi a subentrare all'impresa ausiliata in caso di default di quest'ultima dopo la stipulazione del contratto o in corso di esecuzione delle prestazioni. La disposizione del sesto comma dell'art. 110 del Codice (già comma 5), dedicata al c.d. "avvalimento rinforzato", viene modificata nel tentativo di superare le molte perplessità che erano state sollevate con riferimento al vecchio testo. Al di fuori dei casi di avvalimento rinforzato "obbligatorio" (partecipazione alla gara di impresa che ha presentato domanda di concordato in bianco nel periodo antecedente il deposito del decreto di ammissione, come previsto ai sensi del comma 4 del nuovo art. 110), continua ad essere demandata ad ANAC dal nuovo comma sesto dell'art. 110 la scelta di subordinare all'individuazione dell'ausiliario la possibilità di partecipazione alle gare per le imprese che già si trovino in regime di concordato e che, dunque, secondo la previsione del precedente comma 5 non necessiterebbero di norma dell'avvalimento. Tale necessità sarà, difatti, legata alla mancanza di requisiti aggiuntivi che l'Anac stessa dovrà individuare con proprie linee guida. Scompaiono, dunque, i riferimenti alla consultazione, da parte dell'Anac, del giudice delegato e al caso dell'impresa non più in regola con i pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali, certamente sganciando la valutazione dell'Anac dai casi concreti e collegandola a fattispecie astratte.
La legge di conversione dello sblocca-cantieri interviene, poi, opportunamente anche sul quinto comma dell'art. 186-bis della legge fallimentare, che il testo originario del decreto-legge aveva lasciato, invece, inalterata, con la conseguente necessità di operare un non facile coordinamento interpretativo con il novellato art. 110. Difatti, prima della legge di conversione, l'avvalimento rinforzato continuava ad essere, previsto dalla lettera b del comma 5 dell'art. 186-bis, il quale statuiva che l'ammissione al concordato preventivo non avrebbe impedito la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, ove l'impresa avesse presentato in gara: a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto. Il mancato intervento sulla lettera b) del comma 5 dell'art. 186-bis comportava la necessità di coordinare interpretativamente la disposizione, da un lato, con la previsione del nuovo comma 5 dell'art. 110 del Codice che stabilisce che l'impresa ammessa al concordato preventivo non necessiti dei requisiti di altro soggetto e, dall'altro, con la disposizione del riformulato comma 4 dell'art. 186-bis, che già lo sblocca cantieri aveva modificato prevedendo che successivamente al deposito della domanda di ammissione al concordato, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici dovesse essere autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove gia' nominato. Si sarebbe dovuto concludere, pertanto, che l'ammissione alle procedure di gara dell'impresa già in concordato potesse, invece, avvenire a prescindere dall'autorizzazione ove fosse stata presentata la documentazione prevista dal sopra citato comma 5 dell'art. 186-bis e fornito l'avvalimento rinforzato. Con la legge di conversione la necessità dello sforzo di coordinamento interpretativo viene meno in quanto la lettera b) del comma quinto è stata abrogata. Posizione dell'impresa in concordato all'interno del raggruppamento Come noto, un tema particolarmente dibattuto è stato finora quello della possibilità per l'impresa in concordato preventivo con continuità aziendale di rivestire o meno all'interno del raggruppamento il ruolo di mandataria. Il comma 6 dell'art. 186-bis della legge fallimentare lo esclude espressamente stabilendo che l'impresa in concordato possa concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria. Tuttavia, essendo la previsione ora citata antecedente all'approvazione del Codice contratti e del relativo correttivo, i quali non solo non facevano minimamente riferimento alla posizione che tali imprese avrebbero potuto rivestire nei raggruppamenti ma, addirittura consentivano all'impresa fallita assoggettata al regime di esercizio provvisorio di partecipare alle gare senza limitazione alcuna e, quindi, anche come mandataria, taluni commentatori avevano ritenuto che la citata disposizione della legge fallimentare fosse stata implicitamente abrogata dalla norma speciale per le procedure di gara pubblica costituita appunto dall'art. 110 del codice.
Tale orientamento era sposato anche dall'Anac nella citata proposta di Linee guida, argomentando nell'Air che, da un lato, una diversa interpretazione avrebbe determinato una ingiustificabile ed illogica disparità di trattamento tra l'impresa fallita in regime di esercizio provvisorio e l'impresa ammessa al concordato e, dall'altro, che il silenzio del legislatore del codice contratti avrebbe dovuto essere interpretato alla stregua del criterio "ubi lex voluit dixit, ubi nolit tacuit" ovvero, se la norma non ha detto nulla a riguardo vuol dire che non intendeva precludere l'assunzione di tale ruolo. L'orientamento era anche seguito da parte della giurisprudenza (es. Tar Toscana Firenze, sent. n. 491/2019 del 3 aprile 2019). Altri giudici, tuttavia, avevano mostrato di non condividere tale impostazione e avevano invece ribadito che l'assunzione del ruolo di mandataria del raggruppamento – anche ove vi fosse stata l'autorizzazione del giudice – era preclusa dalla normativa vigente (e segnatamente da non abrogato comma 6 dell'art. 186-bis L.F.) e pertanto il raggruppamento che concorresse con un'impresa in concordato in posizione di mandataria andava comunque escluso (cfr. ad es. TAR Piemonte sent. n. 260/2019 del 7 marzo 2019). Con lo sblocca cantieri e la successiva legge di conversione vengono, invece, fugati i dubbi, sia perché è stata eliminata la possibilità per il curatore dell'impresa fallita in esercizio provvisorio di partecipare in qualsiasi forma alle gare, sia perché il comma 6 dell'art. 186-bis non è stato abrogato, come sarebbe stato logico attendersi se il legislatore avesse voluto rendere palese la teorizzata abrogazione implicita, sia perché l'art. 80 comma 5 lett. b) è stato modificato facendo salvo non solo quanto previsto dall'art. 110 del codice ma anche dall'art. 186-bis. Quindi, la partecipazione dell'impresa in concordato in posizione di mandataria è esclusa. Peraltro anche l'art. 95 del D.Lgs. 14/2019 in materia di crisi di impresa conferma l'impossibilità di assumere tale posizione. Unica pecca della legge di conversione è quella di non aver coerentemente modificato il comma sesto in questione nella parte in cui fa riferimento alla lettera b) del comma 5 del medesimo art. 186-bis (per intendersi, quella relativa all'avvalimento rinforzato di cui si è detto al precedente paragrafo) per precisare che, nel caso di raggruppamento, l'avvalimento rinforzato avrebbe potuto essere fornito anche da altra impresa appartenente allo stesso. Data l'abrogazione della citata lettera b) del comma quinto, l'ultimo periodo del comma sesto dovrebbe intendersi anch'esso abrogato per implicito. P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
19 Giu 2019 Speciale Sblocca-cantieri/4. Decreto vs codice appalti: il nuovo testo a fronte Laura Savelli Per meglio comprendere le modifiche del codice appalti - prima e dopo lo sblocca-cantieri - è stato redatto questo vademecum che mette a confronto tutti gli articoli del codice dei contratti che sono stati modificati dal Dl 18 aprile 2019 n.32. Tutti gli articoli hanno il testo a fronte - prima e dopo le modifiche - con evidenziate le parti che sono state "corrette". Nel testo inoltre c'è la versione del codice prima delle correzioni, quella del codice durante il periodo di interregno del Dl 32/2019 (19 aprile-17 giugno 2019) e quella del codice corretto in via definitiva daltesto del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale dopo la conversione del Parlamento. Sono state inoltre rese evidenti anche le parti abrogate. VAI AL DOCUMENTO P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
20 Giu 2019 Gravi illeciti professionali, la Corte Ue insiste sui poteri discrezionali della Pa Giuseppe Latour L’esclusione dalle gare, operata sulla base del curriculum delle imprese, va configurata come un potere discrezionale della pubblica amministrazione. E non può essere agganciata in nessun caso ad automatismi, come la pronuncia di una sentenza di condanna. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ieri (causa C-41/18) ha esaminato uno dei passaggi più contestati della storia dell’ultimo Codice appalti (Dlgs 50/2016): l’articolo 80, comma 5 lettera c). Un passaggio, peraltro, analizzato da una larghissima giurisprudenza italiana, sia dei Tar che del Consiglio di Stato, e integralmente riscritto di recente dal decreto semplificazioni (Dl 135/2018). I giudici lussemburghesi, va sottolineato, hanno esaminato la versione precedente del testo, dichiarandone il contrasto con i principi comunitari. Ma sono giunti a conclusioni che, comunque, sono destinate ad avere un impatto fortissimo sull’applicazione futura di queste regole. La norma sui gravi illeciti professionali è di derivazione comunitaria: nasce da una direttiva (2014/24/Ue, articolo 57, paragrafo 4) che punta a dare alle stazioni appaltanti la possibilità di escludere da una gara operatori economici che, nella loro storia professionale, si siano dimostrati inaffidabili in diversi modi. La vecchia versione dell’articolo 80, secondo il giudice del rinvio (il Tar Campania), avrebbe azzerato il potere discrezionale della Pa, agganciando in modo automatico l’esclusione a situazioni come la risoluzione di un contratto contestata in giudizio. Anche se l’ultima versione della norma è stata in parte corretta, la sentenza di ieri raggiunge conclusioni comunque molto rilevanti: soprattutto le linee guida n. 6 dell’Anac hanno, infatti, già provato a tipizzare le situazioni che possono portare all’esclusione delle imprese (anche se l’Anac - va sottolineato anche questo - ha sempre parlato di potere discrezionale pieno della Pa). Ora la Corte di Giustizia Ue traccia una linea netta e afferma chiaramente un principio, opposto a quello della tipizzazione: la possibilità di escludere un’impresa per gravi illeciti è un potere discrezionale della Pa e non può essere paralizzato dalle prerogative di soggetti terzi. Ad esempio, la semplice decisione di contestare in giudizio a un’impresa carenze di esecuzione di un appalto non può portare obbligatoriamente all’esclusione automatica. È la Pa che indice la sua gara ad essere completamente padrona della selezione dei suoi offerenti, senza vincoli esterni. «Questa decisione - spiega Edoardo Bianchi, vicepresidente Ance con delega alle opere pubbliche - conferma, ancora una volta, che questa norma è nata male, per effetto delle richieste che ci sono arrivate dall’Europa, e ha creato una marea di problemi applicativi». L’interpretazione della Corte Ue, per Bianchi, procede su questa china: «Affermare la piena discrezionalità è negativo per le imprese, perché non dà certezze, ma anche per le pubbliche amministrazioni, perché nessuna Pa si prenderà adesso la responsabilità di avviare un’esclusione, esponendosi a un ricorso e al blocco immediato dell’appalto». Il meccanismo
potrebbe essere sostenibile per gli uffici legali delle Pa più strutturate ma, di certo, non per i piccoli Comuni. L’articolo 80, quindi, nonostante le indicazioni che arrivano dall’Europa, dovrebbe essere oggetto di altre correzioni. Per l’Ance, «serve una tipizzazione, anche non esaustiva, dei casi che possono portare all’esclusione. E bisogna circoscrivere le situazioni che possono essere considerate rilevanti, almeno al livello delle sentenze di primo grado». Non è possibile, cioè, escludere un operatore che sia soltanto indagato. La riforma continua sui gravi illeciti professionali non sembra, insomma, destinata ad arrestarsi dopo questa pronuncia. P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
20 Giu 2019 Incentivi al recupero, eco e sismabonus in 5 anni: ora si può anche cedere a terzi Saverio Fossati Corretto dal Parlamento il Dl Crescita su ecobonus e sismabonus a detrazione rapida: i 5 anni invece dei soliti dieci venivano resi possibili con la versione iniziale del Dl 34/2019, che prevedeva però che il cessionario potesse utilizzare il credito solo in compensazione. L’effetto, segnalato da molti, sarebbe stato un vantaggio solo per le imprese grandi, che a fronte di un acquisto del credito a prezzo pieno (non scontato) avrebbero potuto però elaborare offerte più interessanti per i condomìni, che le imprese medio-piccole, non disponendo di una tale capienza d’imposta, non avrebbero potuto contrastare. Nella nuova versione della norma è stato ora aggiunto, all’articolo 14, comma 3.1 del Dl 63/2013, il periodo che dice: «Il fornitore che ha effettuato gli interventi ha a sua volta facoltà di cedere il credito d’imposta ai propri fornitori di beni e servizi, con esclusione della possibilità di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi. Rimane in ogni caso esclusa la cessione ad istituti di credito e ad intermediari finanziari». Stessa modifica è stata fatta all’articolo 16, comma 1-octies, del Dl 63/2013, che riguarda il sismabonus. In concreto, quindi, chi ha diritto alle detrazioni (cioè il contribuente) può optare per uno sconto sulla fattura «di pari ammontare» da parte del «fornitore che ha effettuato gli interventi». Quest’ultimo, a sua volta, ottiene un credito d’imposta da utilizzare in compensazione, in cinque quote annue uguali (secondo il meccanismo di cui al Dlgs 241/97) e senza l’applicazione dei limiti previsti dalle leggi 388/2000 e 244/2007. È quindi una possibilità in più rispetto a quella (con detrazione in 10 anni) prevista prima del Dl 34/2019, che comunque rimane in vigore. Il “prezzo” della cessione è predefinito: lo sconto deve essere pari alla detrazione, quindi, per un lavoro di 100mila euro con detrazione del 65% il committente-contribuente avrà subito uno sconto di 65mila euro e il «fornitore» potrà compensare le imposte a suo carico con un credito d’imposta di 13mila euro all’anno per cinque anni. Non si contratta, quindi, l’importo dello sconto sulla fattura come invece si può contrattare il prezzo di acquisto del credito fiscale se si sceglie l’altra possibilità (quella dei 10 anni) rimasta in vigore. Il «fornitore» (termine che andrà definito) potrà anche sceglie re, anziché compensare il credito con le imposte a suo carico, di cederlo ai «propri fornitori» (ma non a banche e intermediari finanziari) che però non potranno più cederlo. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione le Entrate emaneranno un provvedimento di attuazione. P.I. 00777910159 - Copyright Il Sole 24 Ore - All rights reserved
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