Citazioni presentate durante le lezioni del Corso di Storia contemporanea - Triennale 2014-15
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Citazioni presentate durante le lezioni del Corso di Storia contemporanea - Triennale 2014-15 Queste sono le citazioni integrali di documenti, brani letterari, memorie, informazioni supplementari che ripercorrono il corso dell’a.a. 2014-15 Tahar Ben Jelloun: il narratore “Il narratore, seduto sulla stuoia con le gambe ripiegate nella posizione del sarto, tirò fuori da una cartella un grande quaderno e lo mostrò all’uditorio. Il segreto è qui, intessuto di sillabe e di immagini. Me lo affidò proprio prima di morire. Mi fece giurare di non aprirlo prima che fossero trascorsi quaranta giorni dalla sua morte, il tempo di morire del tutto, quaranta giorni di lutto per noi e di viaggio nelle tenebre della terra per lui. L'ho aperto la notte del quarantunesimo giorno. Sono stato inondato dal profumo del paradiso, un profumo cosi forte che per poco non ne rimanevo soffocato. Ho letto la prima frase e non ho capito niente. Ho letto il secondo paragrafo e non ho capito niente. Ho letto la prima pagina e ne sono stato illuminato. Lacrime stupefatte colavano incontenibili sulle mie guance. Avevo le mani sudate; il sangue non circolava in modo naturale. In quel momento ho saputo di essere in possesso di un libro raro, il libro del segreto, attraversato d'impeto da una vita breve e intensa, scritto nella notte della lunga prova, conservato sotto grandi pietre e protetto dall'angelo della maledizione. Questo libro, amici, non può essere fatto circolare, né dato a chicchessia. Non può essere letto da spiriti innocenti. La luce che emana abbaglia e acceca gli occhi che vi si posano inavvertitamente, senza essere stati preparati. Questo libro io l'ho letto e decifrato per spiriti di quel genere. Non potrete avervi accesso senza passare attraverso alle mie notti e al mio corpo. Io stesso sono questo libro. Sono diventato il libro del segreto; ho pagato con la vita per leggerlo. Arrivato alla fine, dopo mesi di insonnia, ho sentito che il libro si incarnava in me, perché quello è il mio destino. Per raccontarvi questa storia non avrò nemmeno bisogno di aprire il quaderno, intanto perché ne ho imparato a memoria ogni passo, e poi per prudenza. Tra poco, brava gente, il giorno si lascerà scivolare nelle tenebre; io mi ritroverò solo con il libro e voi soli con l'impazienza. Sbarazzatevi della febbre malsana che accende i vostri sguardi. Siate pazienti, scavate insieme con me la galleria della domanda e sappiate aspettare, non tanto le mie frasi - che sono vuote - quanto il canto che si leverà lentamente dal mare e verrà per iniziarvi sulla strada del libro all'ascolto del tempo e di quanto il tempo sa fare in frantumi. Sappiate anche che il libro ha sette porte, aperte in un muro dello spessore di almeno due metri e alto come almeno tre uomini aitanti e vigorosi. Vi darò io, una dopo l'altra, le chiavi per aprire tutte quelle porte. In verità già possedete quelle chiavi, ma non lo sapete; e se anche lo sapeste, non sareste in grado, di farle girare e ancora meno, sapreste sotto quale pietra tombale sotterrarle. Per ora ne sapete abbastanza. Credo sia meglio che ci lasciamo prima che il tramonto incendi il cielo. Tornate domani, se per caso il libro del segreto non vi abbandona”. Brano tratto da Tahar Ben Jelloun, Creatura di sabbia.
Malika Mokeddem: la donna dai tatuaggi scuri “La donna dai tatuaggi scuri si chiamava Zohra. L'esiliata dal tempo aveva un incomparabile dono di narratrice. La sua voce grave infondeva vita alle parole. Attrici vere, le parole di Zohra duellavano l'una con l'altra nella sua bocca, soggiogavano gli astanti e li trascinavano nella loro scia, verso gli antenati nomadi. Sulla loro sella, si scopriva un mondo in cui la povertà si ammantava sempre di maestà e dignità. Un mondo la cui dismisura non aveva altro fine che va quello di inculcare la modestia. Una modestia di cui il deserto portava il sigillo: la sua nudità, la sua aridità. Dondolano dolcemente il busto avanti e indietro, come per cullare i suoi ricordi, la donna diceva: «Sedetevi, su! Rilassatevi. Gustate un bicchiere di tè alla menta. E soprattutto, mettetevi comodi. Vi porto a fare un viaggio. Io mi sento, ora, la stessa età dei miei racconti. Ho la testa imbottita di parole, pesante d'immagini. Le parole e i ricordi che si trascinano dietro non hanno tutti lo stesso volume, né lo stesso peso. Alcuni si svuotano, si raggrinziscono, si seccano e cadono rapidamente sul piatto dell'oblio. Alleggeriscono la partenza dal passato. Memoria e oblio sono i due piatti di una stessa bilancia. Vivono e si nutrono l'uno a spese dell'altro. Le parole... possono essere pungenti, inacidite, una vertigine, una danza, oppure trilli nelle nostre teste, come il volo di una moltitudine di yu-yu serafini. Talvolta portano voci amate e coccolano il ricordo nel morbido tessuto della loro nenia. Le parole... Alcune fluttuano e scintillano come miriadi di stelle. Altre sono frammenti di sole, abbagliano i nostri pensieri, e allora i nostri cuori si avventurano fuori dai sentieri monotoni. Altre ancora sono violente, come portate senza tregua da un terribile vento di sabbia. Turbinano in noi e ci sferzano la memoria. Oppure, sono un pesante fardello. La morte, come una pressa soffocante, comprime la vita. Vorrei dirvi il peso delle parole. Vorrei sfogarmi prima del grande sonno. Raccontare, è un nobile compito. Devo adempierlo con onore. Bisogna che i nostri figli e i nostri nipoti sappiano dove sono le loro radici, bisogna che se le portino in testa per poterle a loro volta comunicare. La coscienza della loro identità deve irraggiarsi da essi con forza. È cosi che si perpetua il cammino degli uomini, di generazione in generazione. Ma il narratore è anche un artista. Allora, quando il quotidiano è arido e senza fremiti, egli mischia ai racconti una dose di fiaba e di magia. Offre il sogno insieme al bicchiere di tè. In questo qualche foglia di menta, in quello una girandola di luce, una zaffata di profumo soave in più; l’aroma, il sapore e il cielo. Un prestigiatore che soffia sulle Il spiegate dell'evasione”. Brano tratto da Malika Mokeddem, Gente in cammino Gerusalemme secondo Giabra Ibrahim Giabra “Conosci Gerusalemme? Forse eri piccolo quando il mostro sionista ha inghiottito la più bella metà della più bella città del mondo. Gerusalemme è assolutamente la più bella città del mondo. Si dice che fu costruita su sette colline. Non so se le sue colline siano sette, ma io sono salito su tutte le sue colline, e sono sceso da tutti i suoi pendii, tra case di pietra bianca, rosata e rossa, simili a castelli che vanno su e giù insieme alle strade che salgono e scendono, come gemme sparse sull'abito di Dio, gemme che mi ricordano i fiori. Mi ricordo la primavera, mi ricordo lo splendore azzurro, del cielo dopo le piogge primaverili e la primavera a Gerusalemme era proprio la primavera perché la vedevi insediarsi nella città come la nuova scenografia di un regista. Le colline, aride in inverno, diventavano improvvisamente verdi davanti ai tuoi occhi e perfino la tua piccola casa diroccata sulla curva della strada, là dove le pietre sono trascurate dall'epoca ottomana e dove l'albero è morto, sente la primavera. I fiori sono come gli occhi dei bambini, spuntano tra le pietre
stesse, intorno al tronco sterile, vecchio e solitario. Per questo la notte suscita in me i ricordi di Gerusalemme, e io mi rattristo, mi arrabbio e piango”. Brano tratto da Giabra Ibrahim Giabra, La nave Gerusalemme secondo Theodor Herzl (1898) “Quando mi ricorderò di te nei tempi a venire, o Jer, non sarà con piacere… i depositi di 2000 anni di disumanità, di intolleranza e di brutture ingombrano le stradine puzzolenti”. Davanti al uro del pianto non ho avuto “nessuna emozione profonda”…”Quanta superstizione e quanto fanatismo da tutte le parti” … “ La città vecchia non la vorrei nemmeno se me la regalassero…” ….Io farei piazza pulita di tutto ciò che è non è sacro, costruirei case per gli operai fuori città, svuoterei e abbatterei queste sporche tane da topi, brucerei tutte le rovine non sacre e sposterei i bazar altrove. Poi, conservando quanto più possibile del vecchio stile architettonico, costruirei attorno ai luoghi sacri una nuova città ariosa, confortevole e adeguatamente provvista di fogne” Da I diari completi di Theodore Herzl Io amo il Mediterraneo perché è il mare della Palestina… “Questo mare azzurro risplende, indifferente, inerme, lo so, perché pensa di congiungere le civiltà del mondo sulle sue rive. Ma esso lambisce anche le nostre coste che lo rendono così lucente e così bello. Io amo il Mediterraneo, e navigo su questo mare, perché è il mare della Palestina, il mare di Giaffa e di Haifa, il mare delle alture occidentali di Gerusalemme e dei suoi villaggi. Se sali sulle alture di Gerusalemme e guardi verso occidente non sai dove finisce la terra e dove comincia il mare e dove i due si incontrano, con il cielo. E tutti e tre si compenetrano, si confondono e si assomigliano. Questo azzurro è l'unica cosa che addolcisce la mia lontananza. È come se io, tramite il mare, fossi di nuovo in contatto con la mia terra, come se tornassi all'Invaso del Sultano, e vedessi che si è allargato e si è esteso ed è straripato, in corsi d'acqua e rapide cascate”. Brano tratto da Giabra Ibrahim Giabra, La nave La creazione di una nuova capitale e lo splendore di Baghdad Lo storico e teologo persiano Al-Tabari descrive la visita del Califfo Mansur al sito della futura città di Baghdad: “… egli arrivò nella zona del ponte e compì l'attraversamento nel luogo che oggi è Qasr al-Salam. Poi recitò la preghiera pomeridiana. Era estate, e nel sito del palazzo vi era allora la chiesa di un sacerdote. Egli trascorse colà la notte, e si ridestò il mattino seguente dopo avere trascorso la notte più dolce e serena di questo mondo. Si alzò in piedi, e tutto quello che vedeva gli dava soddisfazione. Allora disse: «È questo il luogo su cui edificherò. Le merci possono giungere qui attraverso l'Eufrate, il Tigri, ed una rete di canali. Solamente un luogo come questo sostenterà l'esercito e le masse del popolo», Così egli ne tracciò lo schema ed assegnò fondi per la sua costruzione, e posò di sua mano il primo mattone, dicendo «Nel nome di Dio, e sia lode a Lui. La terra è di Dio; Egli consente di ereditarne a colui che Egli vuole tra i Suoi servi, e ciò che ne risulta è per coloro che Lo temono» poi egli disse: «Costruite, e che Dio vi
benedica!». Baghdad era situata in un punto in cui il Tigri e l'Eufrate scorrevano l'uno vicino all'altro, e in cui un sistema di canali aveva dato origine a una ricca campagna che poteva produrre cibo per una grande città ed entrate per il governo; si trovava su strade strategiche che conducevano in Iran e oltre, nonché alla Jazira nel nord dell'Iraq, dove si produceva il grano, ed alla Siria e all'Egitto, dove permanevano forti i gruppi fedeli agli Umayyadi. Trattandosi di una città nuova, i sovrani potevano essere liberi dalle pressioni esercitate dagli abitanti arabi musulmani di Kufa e Bàssora. Conformandosi ad una lunga tradizione, secondo la quale i sovrani del Vicino Oriente si tenevano separati da coloro su cui dominavano, la città venne progettata in modo da esprimere lo splendore e l'inaccessibilità del sovrano. Al centro, sulla riva occidentale deI Tigri, si trovava la «cittadella» formata da palazzo, caserme e sedi dell'amministrazione; i mercati e i quartieri residenziali stavano all'esterno. Nella descrizione che egli fa del ricevimento di un'ambasceria bizantina da parte del Califfo al-Muqtadir nel 917, lo storico di Baghdad, al-Khatib al-Baghdadi (1002-1071), evoca lo splendore della corte e il suo cerimoniale. Dopo essere stati introdotti al cospetto del califfo, vennero condotti, dietro suo ordine, a visitare il palazzo: i saloni, i cortili, i giardini; soldati, eunuchi, ciambellani e paggi; stanze ricolme di tesori, elefanti bardati di broccato di seta blu pavone. Nella Stanza dell'Albero, essi videro un albero, che si erge al centro di una grande vasca circolare piena di acqua limpida. L'albero ha diciotto rami, ed ogni ramo ha parecchie fronde, su cui sono posati uccelli di ogni genere, grandi e piccoli, d'oro e d'argento. La maggior parte dei rami di questo albero sono d'argento, ma ve ne sono alcuni d'oro, e si protendono nell'aria sorreggendo foglie di diversi colori. Le foglie dell'albero si muovono quando soffia il vento, mentre gli uccelli cinguettano e cantano”. Brano tratto da Albert Hourani, Storia dei popoli arabi La Gerusalemme della gente “Tutto quello che il mondo conosce, riguardo a Gerusalemme, è il potere dei suoi simboli. Per esempio, la Cupola della Roccia: chi la vede, pensa di aver visto tutto. La Gerusalemme che il mondo conosce è la capitale delle religioni, della politica, dei conflitti. Al mondo non interessa la nostra Gerusalemme, quella della gente. La Gerusalemme delle case, delle strade lastricate e dei mercati popolari, la Gerusalemme della facoltà araba, delle scuole Rashidiyya e ‘Omariyyah. La Gerusalemme dei facchini e delle guide turistiche che conoscono, di ogni lingua, lo stretto necessario che gli consente di guadagnarsi un pasto quotidiano. Il mercato dell’olio, gli antiquari, i venditori di madreperla e di dolci al sesamo. La biblioteca, il dottore, l’architetto e il sarto di abiti per le spose che hanno una ricca dote. La stazione degli autobus che trabocca ogni giorno di gente venuta dai villaggi vicini a vendere e comprare. La Gerusalemme del formaggio bianco, dell’olio, delle olive e del timo, dei cesti dei fichi, delle collane, della pelletteria e di via Salah al-Din. La suora nostra vicina e il suo vicino. Il muezzin che aveva sempre fretta. I rami di palma in tutte le strade durante la Domenica delle Palme, la Gerusalemme delle piante nelle case, dei viali lastricati e dei vicoli coperti. La Gerusalemme della biancheria stesa ad asciugare. Questa è la città dei nostri cinque sensi, dei nostri corpi e della nostra infanzia. La Gerusalemme in cui camminavamo senza far troppo caso alla sua sacralità, perché vivevamo lì. E lei era noi. Passeggiavamo, oppure camminavamo in fretta con indosso i nostri sandali, oppure con le scarpe nere o marroni. Ci piaceva discutere sul prezzo con il proprietario del negozio, quando compravamo i vestiti nuovi per la festa. Facevamo acquisti durante il Ramadan, quando pretendevamo di osservare il digiuno e, nello stesso tempo, provavamo un piacere segreto e se il nostro corpo di adolescenti sfiorava quello delle ragazze alla vigilia di Pasqua. Condividevamo con loro l’oscurità della chiesa del Santo Sepolcro e, con loro, portavamo i
bianchi ceri che la illuminavano. Questa è la Gerusalemme ordinaria. La città dei piccoli istanti che abbiamo immediatamente dimenticato perché non avevamo bisogno di ricordarli, perché erano così normali, come l’acqua è l’acqua e la luce è la luce. Tuttavia appena ci è sfuggita dalle mani, è salita in cielo ed è diventata un simbolo”. Mourid Barghuti, Ho visto Ramallah Costantin François de Chassebeuf, detto Volney “… progettai dunque di compiere un viaggio. Restava da deciderne la scena; la volevo nuova, o almeno brillante. Il mio paese e gli Stati vicini mi sembravano troppo conosciuti, o troppo facili da conoscere; l'America nascente e i selvaggi mi tentavano; altre considerazioni mi indussero infine a scegliere l'Asia; soprattutto la Siria e l'Egitto. In quelle regioni - mi dicevo - ha avuto origine la maggior parte delle idee che ci governano; da quelle terre si sono diffuse le concezioni religiose che tanto fortemente hanno influito sulla nostra morale pubblica e privata, sulle nostre leggi, su tutta la nostra legislazione sociale. Sarà dunque interessante conoscere i luoghi in cui tali idee sono sorte, gli usi e i costumi su cui si fondavano, lo spirito e il carattere dei popoli che le hanno consacrate. Sarà interessante vedere fino a che punto quello spirito, quei costumi, quelle usanze si siano alterati o conservati; esaminare quali possano essere state le influenze del clima, gli effetti del governo, le cause di certe abitudini: in una parola, giudicare dalla situazione attuale la situazione di un tempo”. Brano tratto da C.F. de Chassebeuf, Voyage en Egypte et en Syrie, pendant le années 1783, 1784 et 1785, Parmentier Libraire, Paris 1825 La spedizione napoleonica…… commenti vari… Testimonianza dello storico Jabarti: “Se qualche musulmano veniva da loro allo scopo di esaminarli, essi non gli impedivano di penetrare nei loro luoghi più cari… e se trovavano in lui qualche brama o desiderio di conoscenza essi gli mostravano la loro amicizia e amore per lui, e gli facevano vedere ogni genere di disegni e cartine, e animali e uccelli e piante, e storie degli antichi e delle nazioni e racconti dei profeti […]. Io mi recai spesso da loro, ed essi mi mostrarono tutto ciò”. Brano tratto da A.Hourani, Storia dei popoli arabi, Mondadori, Milano 1998 Dichiarazione di Jean-Baptiste-Joseph Fourier, segretario dell'Institut d’Egypte: “Posto tra Africa e Asia, facilmente raggiungibile dall'Europa, l'Egitto occupa il centro dell'antico continente. Questa terra evoca solo ricordi grandiosi; è la patria delle arti e conserva innumerevoli monumenti; i templi più importanti e i palazzi un tempo abitati dai sovrani esistono tuttora, nonostante il fatto che i meno antichi tra questi edifici furono terminati prima della guerra di Troia, Omero, Licurgo, Salone, Pitagora e Platone, tutti si recarono in Egitto per studiare le scienze, la teologia, le leggi. Alessandro vi fondò una città opulenta, che a lungo ha mantenuto la propria supremazia commerciale, e che ha visto Pompeo, Cesare, Marco Antonio e Augusta decidere tra loro il fato di Roma e quello del mondo intero. Si può dunque dire che sia proprio di questo paese attrarre l'attenzione dei principi illustri, che governano il destino delle nazioni. Nessuna nazione, né in Occidente né in Asia, ha mai raggiunto una potenza considerevole senza volgersi di
conseguenza verso l’Egitto, considerandolo in un certo senso una preda a lei naturalmente destinata!”. Brano tratto da Description de l’Egypte, Préface historique, in E.W. Said, Orientalismo. L'immagine europea dell'Oriente, Feltrinelli, Milano 2001 Victor Hugo, Lui: Au Nil je le retrouve encore L'Égypte resplendit des feux de son aurore; Son astre impérial se lève à l’orient. Vainqueur, enthousiaste, éclatant de prestiges, prodige, il étonna la terre des prodiges … Les vieux scheiks vénéraient l'émir jeune et prudent; Le peuple redoutait ses armes inouïes sublime il apparut aux tribus éblouies comme un Mahomet d'occident. Brano tratto da E.Said, L’Orientalismo…cit Chateaubriand: il dispotismo Il malgoverno come pretesto per l’intervento: “Gerusalemme è lasciata a un governatore pressoché indipendente, a un mufti e a un qadi che possono fare impunemente tutto il male che loro aggrada, salvo fare poi i conti con il pascià. Si sa che il governatore, il giudice e tutti quelli che a loro piace delegare hanno il diritto di togliere agli uomini la proprietà e la vita. La sola cosa che si capisce in questo paese è che si potranno ricevere 300 colpi di bastone e che verrà tagliata la testa. Un atto di ingiustizia che una ingiustizia più grande. Se si spoglia un contadino, bisognerà anche spogliare il vicino; perché per ottenere dal pascià l’impunità per il primo, bisogna averne un secondo per soddisfare la cupidigia del padrone. […] Si potrebbe credere che il pascià nel giro nel suo pascialato porti un rimedio a questi mali e ascolti le lamentele: lo stesso pascià è il più grande flagello, e gli abitanti di Gerusalemme temono il suo arrivo come quello di un nemico: fuggono nelle montagne, chiudono i loro negozi, fingono di essere morenti sui loro giacigli, si nascondono nei sotterranei fino a che il flagello sia passato”. […] Il pascià dopo aver sottratto tutto quello che ha potuto a Gerusalemme, parte per continuare il suo giro. Ma per non pagare le guardie della città, e sotto pretesto della carovana della Mecca, porta con se tutti i suoi soldati. Il governatore resta solo con una mezza dozzina di sbirri che non sarebbero sufficienti alla polizia della città, e a maggior ragione al paese. L’anno passato, fu lui stesso obbligato a nascondersi a casa sua per sfuggire alle bande di ladri che oltrepassavano la notte le mura della città e che favoriti da un compare all’interno, incominciarono a saccheggiare Gerusalemme. […] Appena il pascià se ne andò, un’altra disgrazia cominciò. I villaggi in rovina e senza la protezione dei soldati, si sollevarono; si attaccarono gli uni agli altri per soddisfare le vendette ereditarie, dei partiti dei capi, e infine per evitarer di essere spogliati. Non si può più passare sui sentieri senza pagare un pedaggio e senza trattare. L’agricoltura muore: i contadini vedono la notte estirpare le vigne e tagliare gli olivi da parte del loro nemico. La miseria aumenta con le sue devastazioni. L’anno successivo il pascià ritorna: esige gli stessi tributi in un paese dove gli uomini sono diminuiti, e la miseria aumentata. Bisogna allora che raddoppi l’oppressione, che stermini interi villaggi. Poco a poco il deserto si estende, la desolazione della Giudea aumenta: non si vedono più che villaggi e villaggi alla porta dei quali sono immensi cimiteri, dove i morti sono ben più numerosi dei vivi: ogni anno vede estinguersi una famiglia, e nel giro di qualche anno non resta più che un cimitero le cui pietre sepolcrali si confondono con le rocce”. R. Chateaubriand, L’itinearario da Parigi a Gerusalemme, 1811
Volney: il dispotismo in Turchia “Giudicate dunque quali possono essere gli effetti di un simile regime, giudicate gli abusi di un potere illimitato in mano a potenti che non conoscono né la sofferenza, né la pietà, a parvenus avidi di godere e fieri di comandare e a subalterni bramosi di far carriera; e giudicate, di conseguenza, se certi scrittori speculativi abbiano avuto ragione di affermare che il dispotismo in Turchia non è quel gran male che si pensa, in quando essendo accentrato nella persona del sovrano, non deve pesare che sui grandi che lo circondano! Probabilmente, come dicono i turchi, la sciabola del sultano non si abbassa fino alla polvere, ma questa sciabola egli la depone nelle mani del visir, che l’affida al pascià, il quale la passa al mutassallim, all’aga, e così via fino all’ultimo suddito; in tal modo quella sciabola può raggiungere tutti e decapitare anche le teste più umili Volney, Viaggio in Egitto e i Siria, Longanesi, Milano 1974, p.412 L’abito della donna egiziana È abitudine della donna egiziana “indossare un paio di pantaloni molto grandi e sborsati, di broccato o di satin, o spesso di seta color ciliegia brillante. I pantaloni sono allacciati sopra al ginocchio e scendono a sbuffo fino a terra e hanno l’aspetto quasi di una sottana rigonfia. Sopra ai pantaloni porta una camicia di seta d’organza, trasparente, dalle maniche lunghe le quali, come l’orlo del collo, sono ricamate in oro e seta a vivaci colori. L’orlo conferisce alla camicia la foggia di una specie di tunica appoggiata su pantaloni con un effetto grazioso. Sopra indossa un abito lungo di seta, aperto davanti e sui lati. L’usanza impone che questo abito sia, seppur di poco, più lungo della donna che l’indossa, così che le tre strisce in cui è diviso possano toccare appena il terreno quando la donna calza un paio di alti zoccoli di legno che si usano per il bagno, ma che risuonano spesso in tutta la casa. Le strisce degli zoccoli che fasciano il piede sono molto elaborate e talora sono ornate di diamanti. L’abito ha maniche piuttosto strette e abbastanza lunghe da raggiungere terra. Non attorno alla vita, ma appoggiato sui fianchi ha un ampio scialle di cashemere e la grazia dell’insieme dipende dal modo in cui esso viene portato. D’inverno sopra questi capi di vestiario indossa un abito lungo di panno o di velluto, oppure di lana d’angora” Brano tratto da A Brilli, Il viaggio in oriente, Il Mulino, Bologna 2009 Il beduino secondo gli occidentali Diversi sono i sentimenti che il beduino suscita nei viaggiatori occidentali, diversi e spesso contradditori. Ecco alcuni esempi. Disprezzo - Mandelville (1670-1773) “gli arabi detti beduini sono malvagi, sleali, di natura maledetta” - Jacques de Villamont (1560-1625) denunciava le loro deplorevoli abitudini: “prendono tante donne quante ne vogliono senza ripudiarne nessuna, annotava proprio sul cammino di Gerusalemme”; e come se questo non fosse di per sé sufficiente a screditarli aggiungeva: “gli uni davanti agli altri commettono sodomia con gli uomini e con le bestie”. - “Capre dall’aspetto siriano” era uno degli epiteti usati da Twain
- “Orde di ladri”, li aveva invece definiti Bunel - “arabi selvaggi” o ancora “fanatici selvaggi”, e “predatori beduini” erano infine definiti nei rapporti dei consoli Spesso le dichiarazioni erano contraddittorie: mentre nel XIX sec. Baldensperger sottolineava la loro abitudine alla poligamia e la rivalità tra le mogli, Landrieux, affermava che “non hanno che una donna”, e, aggiungeva, “si dice che la rispettino”. Marc Twain “Eccoli infine i figli del deserto liberi e selvaggi che, in groppa ai loro splendidi sauri arabi, sfrecciano come il vento nella piana, quelli di cui tanto si era letto e che tanto avevamo desiderato di vedere […] straccioni ambulanti. Una pura millanteria”. “Sauri arabi, ossuti e scheletrici come un ictiosauro in un museo, gibbosi e spigolosi come dromedari: […] vedere dal vivo un vero figlio del deserto significa spogliarlo per sempre di ogni romanticismo, vederne il prode destriero è esserne presi dal desiderio caritatevole di strappare via i finimenti per lasciare che cada a terra in pezzi”. “Potrei poi accennare qui al fatto che durante tutta la nostra escursione non si vide un beduino che fosse uno, il che dimostra che non avevamo bisogno di una guardia araba più di quanto abbisognassimo di un paio di stivaletti di cuoio verniciato o di un paio di candidi guanti di capretto. I beduini che con tanta ferocia avevano attaccato le altre comitive in realtà erano stati riuniti da nessun altro se non dalle guardie arabe delle comitive stesse, che da Gerusalemme li avevano convocati a ricoprire l’incarico di beduini a tempo. Alla fine della battaglia, tutti assieme si riunirono sotto gli occhi dei pellegrini, pranzarono, si divisero il bakshish estorto nel momento del pericolo e infine scortarono in città la compagnia a cavallo. Questa fastidiosa guardia araba è una istituzione di mutuo profitto creata di concerto dagli sceicchi e dai beduini: così si dice, e non v’è dubbio che in ciò ci sia molto di vero”. Curzon: “Non aveva mai immaginato che nulla di così simile ad un animale selvaggio potesse esistere in forma umana”, Gerico. “Un gentleman inglese, con cilindro, tight e fazzoletto nero e stivali, con guanti e una piccola canna in mano, era uno stile di persona talmente diverso da un arabo beduino che io potevo con difficoltà concepire la possibilità che si trattasse solo di specie diverse dello stesso animale”. Beduino è anche l’altro che ciascuno nasconde in sé. E incarna l’idea di libertà Il “terzo stadio dell’evoluzione umana” li aveva ad esempio definiti Rousseau, quello stadio in cui l’individuo assomiglia “à l’homme de nature”, nomade ma già sulla strada della socializzazione; e molti avevano proseguito il discorso, facendo dei popoli nomadi il contro-modello sul quale proiettare tutti i valori associati alla spontaneità naturale in opposizione ad un’Europa ormai imprigionata nelle proprie abitudini e convenzioni. La tradizione del dualismo psicologico di Diderot, che enfatizzava l’immagine ambivalente del beduino, facendo del nomadismo la “metafora dell’uomo come essere instabile”, incarnando nel beduino quell’altro che ciascuno nasconde dentro di sé. Nella maggior parte dei casi comunque il beduino era considerato parte di quell’Oriente immobile, rimasto invariato dai tempi biblici, a cominciare dalla lingua che parla: “La lingua dei beduini ha subito pochi cambiamenti negli ultimi tremila anni, e i loro costumi sono rimasti gli stessi”, spiega nel 1901 il reverendo John Zeller. Per lui i beduini erano “interessanti poiché Abramo era un nomade come loro, e così gli Israeliti nel deserto e per alcuni tempi dopo la conquista di Cana”. E come gli antichi patriarchi, i beduini erano combattenti e poeti, e nelle loro poesie come nelle loro gesta, riflettevano la grandezza e l’asprezza desolata e selvaggia del deserto, “col fuoco della passione e la profondità dei sentimenti”.
Napoleone e il governatore di Acri … In piedi sulla sommità dei bastioni, Ahmed, il pascià che comanda la città osserva con un sorriso beffardo quest’esercito che si prepara a sfidarlo. Nel suo cuore, non c’è apprensione. Non il minimo timore. È che questo vecchio schiavo di Ali bey ne ha viste ben altre. Stabilitosi a Saint-Jean-d’Acre da 14 anni, ha fatto di questa città la prima della costa. Vi ha fatto scavare strade, costruire moschee e fontane, piantare aranceti ed erigere un acquedotto che passa per essere una delle meraviglie della regione. Niente e nessuno gli porterà via Akka. Invece di spaventarlo, le notizie che gli sono giunte sul massacro di Jaffa non hanno fatto che attizzare in lui un certo interesse per il generale francese; come un sentimento complice. Da troppo tempo lo si accusava, lui Ahmed, di essere un personaggio crudele, di provare un piacere sadico davanti alla sofferenza. Nemici, sudditi, servitori, reclusi nel suo harem, nulla è al riparo dalle sue fantasie sanguinarie. Non gli si aveva forse affibbiato il soprannome di el-Djezzar – il macellaio? Ecco perché, informato degli eventi di Jaffa, si era accontentato di sorridere a suo agio, contento di sapere che questo generale che si apprestava a dargli battaglia avrebbe potuto essere suo gemello. E anche perché, quando Abuonaparte gli aveva fato pervenire una proposta di negoziato, non aveva provato il minimo scrupolo a far tranciare la testa del messaggero e a rispedirla al suo capo”. G.Sinoué, L’egyptienne I Parigini e la cultura occidentale secondo Rifa'a al-Tahtawi “I Parigini si distinguono nel popolo del cristianesimo per l'acutezza del loro intelletto, per la precisione della loro comprensione, e l'immersione della loro mente in materie profonde... essi non sono prigionieri della tradizione, ma amano sempre sapere l'origine delle cose e le prove di esse. Anche la gente comune sa leggere e scrivere, e si addentra come gli altri in argomenti importanti, ogni uomo secondo la propria capacità... Fa parte della natura dei Francesi l'essere curiosi ed entusiasti di tutto ciò che è nuovo, e l'amare il mutamento e l'alterazione nelle cose, in particolare negli abiti... Il cambiamento e il capriccio fanno parte della loro natura; essi cambieranno immediatamente dalla gioia alla tristezza, o dalla serietà allo scherzo o viceversa, così che in un giorno un uomo farà ogni genere di cose contraddittorie. Ma tutto ciò si ritrova nelle piccole questioni; nelle grandi cose, le loro opinioni politiche non cambiano; ogni uomo rimane nelle sue convinzioni ed opinioni... Essi sono più prossimi all'avarizia che alla generosità... Essi negano i miracoli, e credono che non sia possibile infrangere le leggi della natura, e che le religioni siano giunte per dirigere l'uomo verso le opere buone ... ma tra le loro turpi credenze vi è questa, che l'intelletto e la virtù dei loro saggi siano più grandi dell'intelligenza dei profeti”. Brano tratto da Albert Hourani, Storia dei popoli arabi, cit. Torino secondo Mohammad Bayram V, nobile viaggiatore tunisino Mohammad Bayram V, viaggiatore tunisino, in Italia e a Torino nel 1875: “In questa città [Torino] c’è un grande fiume, e a vederlo, fuori città, è incantevole. Nelle vicinanze, su una delle sue sponde, c’è un grande parco pubblico e una collina dove ci sono ristoranti c’è un grande parco pubblico e una collina dove ci sono sale ristoranti, caffè e il castello del re, che è molto bello, grande e spazioso, elegante nelle sue decorazioni in oro e in altri colori. Dentro ci sono i mobili e tutto quanto è necessario. Questa città era la capitale del regno sardo, che poi ha conquistato tutta l’Italia che di recente si è riunita sotto il suo re.
C’è anche una grande biblioteca, e quando vi sono entrato ho capito la grande differenza fra gli abitanti di questo paese e gli abitanti di Napoli. Nella seconda città, quando sono entrato in biblioteca, non vi ho trovato che poche persone in tutto, mentre qui, quando sono entrato in biblioteca, l’ho trovata colma di un centinaio di uomini e qualche donna, ognuno intento alla lettura di un libro, e non si sentiva alcun rumore, soltanto bisbigli per non disturbare. C’è chi legge, chi copia e chi riflette, con il libro fra le mani. Ho saputo che gli abitanti di questa città sono più istruiti e che il sapere vi è più diffuso. I libri della biblioteca sono più numerosi di quanti ne abbia visti in precedenza e ci sono anche copie del Corano in eleganti calligrafie persiane, dorate ed estremamente raffinate, che sono riposte in teche con la facciata e il coperchio in vetro, chiuse a chiave per proteggerle, e nessuno può aprirle tranne l’addetto, una volta accertato a chi debba mostrarle. [Quelle teche] mi sono state aperte e ne sono stato onorato”. Brano tratto da A.Medici, Città italiane sulla via della Mecca, Harmattan Lo spirito delle crociate. Testimonianze “Una reputazione terribile aveva preceduto questi guerrieri vestiti di corazze. Circolavano voci spaventose di atti di cannibalismo ad Antiochia, e i barbari cristiani provenienti dall’Europa erano diventati noti per la loro spietatezza e per il loro fanatismo religioso”. K.Armstrong, Gerusalemme. Storia di una città tra ebraismo, cristianesimo e islam, Mondadori, Milano 1999 Per tre giorni i crociati massacrarono sistematicamente circa trentamila abitanti di Gerusalemme: “Uccisero tutti i saraceni e i turchi che trovarono…. Uccisero tutti, uomini e donne” Brano tratto da De Gesta Francorum et aliorum Hierosolimitanorum ("Le Gesta dei Franchi e degli altri pellegrini a Gerusalemme"), cronaca in latino della prima crociata, di autore anonimo “Chiunque fosse entrato per primo in una casa, ricco o povero che fosse, non era sfidato da nessun altro guerriero franco. Egli avrebbe occupato e posseduto la casa o il palazzo e qualunque cosa vi avesse trovato come se fosse stato suo” Brano tratto da Fulcherio di Chartres, Historia Hierosolymitana, cappellano dell’esercito Le strade erano inondate di sangue … “Si vedevano mucchi di teste, di mani di piedi… Se dirò la verità, essa supererà la vostra capacità di credervi. E quindi vi basti questo: nel tempio e nel portico di Salomone si cavalcava nel sangue fino alle ginocchia e alle briglie. Senza dubbio, fu una punizione divina giusta e splendida il fatto che questo luogo fosse riempito del sangue dei non credenti, poiché per tanto tempo aveva sofferto dei loro atti blasfemi…. Questo giorno, io dico, sarà famoso per tutte le età future, in quanto ha trasformato le nostre fatiche e le nostre sofferenze in gioia ed esultanza: questo giorno, io dico, rappresenta la giustificazione di tutta la cristianità, l’umiliazione del paganesimo, la rinascita della fede. Questo è il giorno voluto dal Signore, rallegriamoci quindi in gioia e siamo contenti, in quanto in questo giorno il Signore si è rivelato al suo popolo e lo ha benedetto”. Raimondo di Aguilers, testimone oculare, citato da K. Armstrong, Gerusalemme, cit. L’Illuminismo ebraico secondo Salomon Maimon Dalla autobiografia intellettuale di Salomon Maimon, ebreo polacco. Anno 1793
“Gli argomenti di cui tratta il Talmud, con l’eccezione di quelli relativi alla giurisprudenza, sono aridi e per lo più incomprensibili a un ragazzo –le norme del sacrificio, della purificazione, delle carni proibite, dei banchetti e così via. Per esempio: quanti peli bianchi può avere una vacca rossa restando tale? Quale genere di scabbia richiede questa o quella purificazione? Di sabato è consentito uccidere un pidocchio o una pulce? Si confrontino queste gloriose dispute, che vengono ammannite ai giovani costringendoli a scervellarsi fino alla nausea, con la storia, nella quale gli eventi naturali sono illustrati in forma istruttiva e gradevole, e con la conoscenza della struttura del mondo, mediante la quale il nostro sguardo sulla natura si amplia e l’universo tutto è ridotto a sistema ben ordinato: certamente la mia preferenza apparirà giustificata”. Come il giornale ‘La Croix’ parlava degli Ebrei anche prima del caso Dreyfus “Gli Ebrei sono il nemico, questo è il grido cristiano dal Golgota ai giorni nostri” Padre Bailly, da ‘La Croix’ agosto 1889, p. 79 “C’è l’Ebreo che ha condannato il Cristo, che ha gridato: ‘Che il sangue del giusto ricada su di noi e sui nostri figli’, che ha inventato il Talmud e cresciuto i suoi nelle tradizioni talmudiche. Di questo Ebreo troverete dappertutto la mano, nelle casse dello Stato come in quelle delle famiglie. Per lui rubare ad un cristiano è cosa buona, e guai al cristiano che ricorre ai suoi servigi... Ingegnoso, intelligente, si insinua dappertutto e dappertutto fomenta l’odio per il Cristo; possiede tutto l’oro del mondo e, con l’aiuto di esso, con la franca massoneria della quale è l’anima, con la stampa che finanzia, ha scombussolato le societá cristiane e perseguito con accanimento la Chiesa ed il Papa. Questo Ebreo... è il nemico” Padre Picard, da ‘La Croix’, 10 maggio 1884, p. 79-80 “Non é forse tempo, ci diceva di recente un ufficiale generale, che i Francesi stiano tra loro, vivendo in pace e che gli Ebrei vengano espulsi? Un uomo di cuore ci scrive: non sarebbe forse necessario fare una petizione che firmerebbero tutti i Francesi che vogliono sbarazzarsi del giogo che li opprime e chiedere al parlamento: 1) che gli Ebrei, non potendo avere due nazionalitá, riprendano in Francia la status di stranieri; 2) che gli stranieri che turbano la pace del paese, che agitano le diverse classi di cittadini le une contro le altre, seminando odio e divisione, siano espulsi dalla Francia. Il mezzo piú razionale sembra essere il referendum. Si vedrá piú in lá se la Francia vorrá essere ebrea e si lascierá governare da Israele, o se vorrá ridiventare padrona di sé stessa” Padre Bailly, da ‘La Croix’, 23 otobre 1890 “Oggigiorno, la giustizia [...] ha dei dati precisi su ogni genere di operazione della ‘giuderia’ [...] in ogni affare spregevole ella puó dire: ‘Vi sono tali Ebrei’. Dunque nulla di piú facile che operare una buona pulizia.” ‘La Croix’, 8 dicembre 1894 Estratti di “La Croix” et les juifs, Pierre Sorlin, edizioni Grasset 1967
Il futuro stato ebraico secondo Theodor Herzl Il progetto “Tutto il progetto, nella sua forma fondamentale, è infinitamente semplice e tale occorre che sia, se deve essere capito da tutti. Ci venga data la sovranità su di un pezzo della superficie terrestre sufficiente a soddisfare i nostri giusti bisogni, tutto il resto ce lo procureremo da soli. Il sorgere di un nuovo stato sovrano non è niente di ridicolo o di impossibile. Lo abbiamo già constatato con i nostri occhi in tempi recenti, per popolazioni in cui non prevale il ceto medio come da noi, ma che sono invece più povere, meno istruite e perciò più deboli. I governi dei paesi dove dilaga l'antisemitismo sono vivamente interessati a concederci la sovranità. Per realizzare questo compito, semplice in linea di principio, ma complicato nell'esecuzione, vengono creati due grossi organismi: la Society of Jews e la Jewish Company. Ciò che la Society of Jews ha elaborato sul piano scientifico e politico viene poi concretamente realizzato dalla Jewish Company. La Jewish Company si occupa di liquidare tutti gli interessi patrimoniali degli ebrei che si dispongono a partire, ed organizza nel nuovo paese le strutture necessarie allo sviluppo dell’economia”. Palestina o Argentina? “È da preferire la Palestina o l'Argentina? La Society prenderà ciò che le verrà dato, tenendo conto della pubblica opinione del popolo ebraico. La Society verificherà entrambe le cose. L'Argentina è uno dei paesi più ricchi di risorse naturali della terra, dotata di enormi distese, scarsa popolazione e clima temperato. La repubblica argentina sarebbe molto interessata a cederci una parte del suo territorio. L'attuale infiltrazione ebraica ha prodotto solo irritazione; bisognerebbe informare l'Argentina sulla sostanziale differenza della nuova immigrazione ebraica. La Palestina è la nostra patria storica, che ci resterà sempre nel cuore. Questo nome da solo sarebbe un segnale di adunata straordinariamente toccante per il nostro popolo. Se Sua Maestà il Sultano ci concedesse la Palestina, ci potremmo impegnare, per sdebitarci, a risistemare le finanze della Turchia. In favore dell'Europa costruiremmo là una parte del vallo per difenderci dall'Asia, costituendo così un avamposto della cultura contro la barbarie. Come stato neutrale resteremmo in rapporto con tutta l'Europa, che dovrebbe garantire la nostra esistenza. Per i luoghi santi della cristianità si potrebbe trovare una forma di diritto internazionale, per garantirne la extraterritorialità. Costituiremmo la guardia d'onore intorno ai luoghi santi e ci renderemmo garanti, a prezzo dalla nostra stessa vita, dell'adempimento di questo dovere. Questa guardia d'onore sarebbe il grande simbolo per la soluzione della questione ebraica dopo diciotto secoli di sofferenza”. Brano tratto da T. Herzl, Lo stato ebraico, Il Melangolo, Genova 1992 Herzl e la questione ebraica “La questione ebraica continua ad esistere. Sarebbe follia negarlo. Esiste ovunque viva un certo numero di ebrei. Dove non esiste ancor, arriverà con la migrazione degli ebrei. Noi ci trasferiamo, naturalmente, nei luoghi in cui non siamo perseguitati; ma assai presto, la nostra presenza genera persecuzione. Ciò è vero in ogni paese, e rimarrà vero anche nei paesi più civili – la Francia non fa eccezione – finché la questione ebraica non trovi una soluzione politica”. Articolo pubblicato sul settimanale londinese “The Jewish Chronicle”
Herzl, ebrei uniti loro malgrado “Siamo un unico popolo: i nostri nemici hanno fatto di noi una unità loro malgrado, come spesso avviene nella storia. La sofferenza ci tiene assieme e, uniti, scopriamo la nostra forza. Sì, siamo sufficientemente forti da formare uno stato; e uno stato modello”. Articolo pubblicato sul settimanale londinese “The Jewish Chronicle” Leib Levin: “Meglio l’America” Judah Leib Levin, ebreo, poeta e socialista proveniente dalla Prussia orientale, nel 1881 scrisse: “In Terra Santa il nostro sogno sarebbe stato bel lungi dal realizzarsi, saremmo diventati gli schiavi del sultano e del pascià. Come qui, avremmo portato un pesante fardello nel bel mezzo di un selvaggio popolo del deserto, animati dalla remota speranza che forse, se fossimo aumentati bastevolmente di numero, dopo molti anni, saremmo potuti diventare un altro piccolo principato finalmente in grado di realizzare, in una estrema utopia, il proprio destino. In America, però, il nostro sogno è più prossimo a realizzarsi e la speranza di raggiungere l’indipendenza e di condurre la nostra vita conformemente alle nostre credenze e alle nostre inclinazioni non sarebbero rinviate alle calende greche. L’eloquenza della bibbia, lo spettacolo miserevole dell’orbata figlia di Sion, le emozioni suscitate dalle nostre antiche memorie, parlano all’unisono a favore della terra d’Israele. La vita agiata raccomanda, invece, l’America. Voi sapete, cari fratelli, che molti bramano la Terra Santa, ma io so che un numero ancora maggiore s’incanalerà per l’America”. Una terra senza un popolo per un popolo senza terra I sionisti propagavano nel mondo l’idea di “una terra senza un popolo per un popolo senza terra”, uno slogan coniato da Israel Zangwill, un famoso scrittore anglo-ebraico, ritenuto uno dei primi organizzatori del movimento sionista in Inghilterra. Nel 1914 sarebbe stato Charles Weizmann, che sarebbe stato il primo presidente dello stato di Israele a sostenere che “nella sua fase iniziale, il Sionismo venne concepito dai suoi pionieri come un movimento completamente dipendente da fattori meccanici: c'è un paese a cui capita di chiamarsi Palestina, una terra senza un popolo, e dall'altra, c’è il popolo ebraico , che non ha una terra. Che altro è necessario, allora, se non inserire la gemma nell'anello, per unire questo popolo a questo paese? I proprietari del paese (i Turchi) devono, pertanto, essere persuasi e convinti che questo matrimonio è vantaggioso, non solo per il popolo ebraico e per il paese, ma anche per loro stessi”. Nel 1930 lo stesso Waeizmann avrebbe scritto: “nessun uomo politico può ignorare il fatto che la Transgiordania è legalmente parte della Palestina… che in razza, lingua e cultura il suo popolo è indistinguibile dagli arabi della Palestina occidentale; che è separato dalla Palestina occidentale solo da una stretta striscia; che questa era stata pensata come una riserva araba, e che sarebbe stato facile per i senza terra arabi o per i contadini delle aree più congestionate di emigrare in Transgiordania così come migrare da una parte della Palestina occidentale ad un’altra”. Nur Masala, Expulsion of the Palestinians. The concept of “transfer” in Zionist Political Thought, 1882-1848, Institute for Palestine Studies, 1992
McMahon -Hussein Correspondence 1915-1916 Letters passed between Sir Henry McMahon, British High Commissioner in Cairo, and Sherif Hussein of Mecca from July 1915 to March 1916. Hussein offered Arab help in the war against the Turks if Britain would support the principle of an independent Arab state. 7he most important letter is that of 24 October 1915, from McMahon to Hussein: I regret that you should have received from my last letter the impression that I regarded the question of limits and boundaries with coldness and hesitation; such was not the case, but it appeared to me that the time had not yet come when that question could be discussed in a conclusive manner. 1 have realized, however, from your last letter that you regard this question as one of vital and urgent importance. 1 have, therefore, lost no time in informing the Government of Great Britain of the contents of your letter, and it is with great pleasure that I communicate to you on their behalf the following statement, which 1 am confident you will receive with satisfaction. The two districts of Mersina and Alexandretta and portions of Syria lying to the west of the districts of Damascus, Homs, Hama and Aleppo cannot be said to be purely Arab, and should be excluded from the limits demanded. With the above modification, and without prejudice to, our existing treaties with Arab chiefs, we accept those limits. As for those regions lying within those frontiers wherein Great Britain is free to, act without detriment to the interest of her ally, France, 1 am empowered in the name of the Government of Great Britain to give the following assurances and make the following reply to your letter: 1. Subject to the above modifications, Great Britain is prepared to recognize and support the independence of the Arabs in all the regions within the limits demanded by the Sherif of Mecca. 2. Great Britain will guarantee the Holy Places against all external aggression and will recognize their inviolability. 3. When the situation admits, Great Britain will give to the Arabs her advice and will assist them to establish what may appear to be the most suitable forms of government in those various territories. 4. On the other hand, it is understood that the Arabs have decided to seek the advice and guidance of Great Britain only, and that such European advisers and officials as may be required for the formation of a sound form of administration will be British. 5. With regard to the vilayets of Baghdad and Basra, the Arabs will recognize that the established position and interests of Great Britain necessitate special administrative arrangements in order to secure these territories from foreign aggression, to promote the welfare of the local populations and to safeguard our mutual economic interests. I am convinced that this declaration will assure you beyond all possible doubt of the sympathy of Great Britain towards the aspirations of her friends the Arabs and will result in a firm and lasting alliance, the immediate results of which will be the expulsion of the Turks from the Arab countries and the freeing, f the Arab peoples form the Turkish yoke, which for so many years has pressed heavily upon them [...].
Da Sir Henry McMahon, Alto Commissario del governo inglese al Cairo, a Sherif Hussein de La Mecca 24 ottobre 1915 Mi dispiace che abbiate ricevuto dalla mia ultima lettera l'impressione che io abbia considerato la questione dei confini con freddezza ed esitazione; non è cosi. Ma mi sembra che non sia ancora venuto il tempo in cui questa questione possa essere discussa in modo definitivo. Mi sono reso conto tuttavia, dalla vostra ultima lettera che voi considerate questa questione fra quelle urgenti e di vitale importanza. Perciò non ho perso tempo e ho informato il governo inglese dei contenuti della vostra lettera ed è con grande piacere che posso comunicarle le seguenti decisioni, che, sono sicuro, voi riceverete con soddisfazione. I due distretti di Mersina e Alessandretta e la parte di Siria che giace a Ovest del distretto di Damasco, Homs, Hama e Aleppo non può essere definito esclusivamente arabo, e dovrebbe quindi essere escluso dai confini richiesti. Con le modificazioni sopraindicate, e senza pregiudicare gli accordi esistenti con i capi arabi, noi accettiamo questi confini. Per quanto riguarda quelle regioni che si estendono all'interno di quelle frontiere in cui la gran Bretagna è libera di agire senza danneggiare gli interessi del suo alleato, la Francia, io sono autorizzato in nome del Governo inglese di darvi le seguenti assicurazioni e di fare le seguenti repliche alla vostra lettera. 1. Con le modificazioni sopraindicate, la Gran Bretagna è disposta a riconoscere e a sostenere l'indipendenza degli Arabi in tutte le regioni all'interno dei confini richiesti dallo Sherif de La Mecca 2. La Gran Bretagna garantirà i Luoghi Santi contro le aggressioni esterne riconoscerà la loro inviolabilità - 3. Quando la situazione lo consentirà, la Gran Bretagna darà agli Arabi-i suoi consigli e li assisterà nell'instaurare quelle forme di governo che appariranno essere la più adatta in ciascuno dei diversi territori. 4. D'altro lato, è sottinteso che gli Arabi hanno deciso di cercare i consigli e la guida soltanto della Gran Bretagna, e che nel caso si volessero richiede e istruttori e ufficiali europei per la formazione di una equilibrata forma amministrativa, questi saranno inglesi 5. Per quanto riguarda le wilaya di Baghdad e di Bassora, gli Arabi, riconosceranno che le posizioni fissate e gli interessi dell'Inghilterra rendono necessarie soluzioni amministrative specifiche per rendere sicuri questi territori dalle aggressioni straniere, per promuovere il benessere della popolazione locale e per salvaguardare i reciproci interessi economici. Sono persuaso che questa dichiarazione vi rassicurerà al di là di ogni possibile dubbio sulla comprensione della Gran Bretagna rispetto alle aspirazione dei suoi fratelli arabi e produrrà una solida e durevole alleanza, il cui risultato immediato sarà l'espulsione .dei turchi dai paesi arabi e la liberazione dei popoli arabi dal giogo turco che per troppi anni li ha pesantemente schiacciati [...] Art. 22 dell’Atto costitutivo della Società Nazioni “Per quanto riguarda colonie e territori che, in seguito all’ultima guerra, hanno cessato di essere sottoposti alla sovranità di Stati che in precedenza li governavano, e che non sono in grado di far fronte da soli alle difficili condizioni del mondo moderno, si può applicare il principio che il benessere e lo sviluppo di tali popoli dia luogo a un sacro impegno di civilizzazione e che le garanzie per la realizzazione di tale impegno siano contenute in una patto. Il metodo migliore per realizzare praticamente questo principio sarà deciso dalle nazioni avanzate che, per risorse, esperienza e posizione geografica, possono assolvere nel modo migliore a questa responsabilità”.
Per quanto riguardava in particolare le ex-province arabe della parte asiatica dell’impero ottomano: “Alcune comunità già appartenenti all’impero turco hanno raggiunto un certo livello di sviluppo, talché la loro esistenza in quanto stati indipendenti può essere riconosciuta in via provvisoria e subordinatamente all’assistenza di una potenza mandataria finché non siano in grado di reggersi in maniera autonoma. Le preferenze delle comunità devono essere un principio da prendersi in considerazione in fase di scelta della potenza mandataria”. Raccomandazioni finali della Commissione King-Crane Nel marzo del 1919 il Presidente Wilson diede incarico agli americani Henry King e Charles Crane di compiere un’inchiesta nei Paesi arabi staccati dalla Turchia. I due commissari giunsero a Giaffa il 10 giugno, visitarono la regione, tornarono a Parigi nell’agosto e il 28 agosto 1919 presentarono la loro relazione al segretario della Delegazione statunitense per la Conferenza di pace. La relazione fu tenuta segreta fino al 1922. 1. I commissari incominciarono il loro studio sul sionismo con l’animo predisposto in suo favore, ma gli attuali eventi in Palestina, uniti con la forza dei principi generali proclamati dagli alleati e accettate dai Siriani, li hanno spinti a fare la raccomandazione qui esposta. 2. I membri della Commissione furono abbondantemente forniti di materiale relativo al programma sionista della commissione sionista di Palestina; udirono in colloqui molte cose riguardanti le colonie sioniste e le loro aspirazioni e videro personalmente una parte di quanto è stato compiuto. Trovarono molto da approvare nelle aspirazioni e nei piani dei sionisti, apprezzarono caldamente la dedizione di molti colonizzatori e il loro successo nel sormontare con metodi moderni tanti ostacoli naturali. 3. La Commissione riconobbe pure che ai Sionisti è stato dato dagli Alleati definitivo incoraggiamento con la spesso citata Dichiarazione Balfour e con la sua approvazione da parte degli altri rappresentanti degli Alleati. Se tuttavia si aderisce strettamente ai termini della Dichiarazione Balfour - cioè di favorire “lo stabilimento in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico”, “essere chiaramente inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non giudaiche esistenti in Palestina” – non si può dubitare che il programma sionista estremista debba venire di molto modificato. Poiché lo stabilire una sede nazionale per il popolo ebraico non equivale a trasformare la Palestina in uno stato ebraico; né la creazione di un simile stato ebraico può essere compiuta senza gravissima offesa ai diritti civili e religiosi delle comunità non giudaiche esistenti in Palestina durante i colloqui dei membri della Commissione con rappresentanti ebrei venne fuori ripetutamente che i sionisti miravano praticamente ad una completa spogliazione degli attuali abitanti non ebrei in Palestina, mediante varie forme di acquisti. Si deve osservare pure che il sentimento contrario al programma sionista non è limitato alla éalestina, ma è molto largamente condiviso dalle popolazioni di tutta la Siria, come i nostri colloqui hanno chiaramente assodato, più del 72% -1350 in tutto- di tutte le richieste dell’intera Siria era diretto contro il programma sionista. Due sole richieste – quelle per una Siria unita e per l’indipendenza - sono state più largamente sostenute. Questo generale sentimento fu regolarmente espresso dal Congresso Generale Siriano nella settima, ottava e decima risoluzione della sua dichiarazione. La Conferenza di Pace non dovrebbe chiudere gli occhi di fronte al fatto che il sentimento antisionista è inteso in Siria e Palestina e non può essere deriso alla leggera. Nessuno degli ufficiali britannici, consultati da commissari, credeva che il programma sionista potesse essere eseguito altrimenti che con la forza delle armi. Gli ufficiali generalmente pensavano che una forza non inferiore ai 50.000 soldati sarebbe stata necessaria, anche soltanto per iniziare il programma. Quiesto di per sé mostra all’evidenza come le
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