Bella Storia, il Futuro! - III CONGRESSO UNIONE DEGLI UNIVERSITARI DI TRENTO - UDU TRENTO

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Bella Storia, il Futuro! - III CONGRESSO UNIONE DEGLI UNIVERSITARI DI TRENTO - UDU TRENTO
Bella
Storia,
il Futuro!
III° CONGRESSO
UNIONE DEGLI
UNIVERSITARI
DI TRENTO

UDU TRENTO
 UNIONE DEGLI UNIVERSITARI
Bella Storia, il Futuro! - III CONGRESSO UNIONE DEGLI UNIVERSITARI DI TRENTO - UDU TRENTO
Ci siamo. Dopo un anno e mezzo dal II Congresso della nostra organizzazione il
mondo è cambiato e siamo cambiati anche noi.
Sì, è vero, nel mondo veloce dei social a 280 caratteri, scrivere un documento di
cinquanta pagine parlando di politica, di idee e visioni può sembrare irrituale, se non
addirittura una scelta autolesionista; ma è proprio in virtù degli strani tempi che ci
troviamo a vivere che questo sforzo diventa necessario.
Questo documento, frutto del lavoro e della riflessione collettiva dell’associazione,
è il nostro modo di riflettere su quello che è successo e su come metterci in gioco
per il futuro. Parleremo di quello che abbiamo fatto, come associazione e nella
rappresentanza. Parleremo di come è cambiata la nostra università e il territorio che la
circonda. Parleremo di diritti, di idee e di battaglie. Parleremo, insomma, di futuro.
Come sempre alla luce del sole, senza nascondere quello che pensiamo e chi siamo.
Come sempre da una sola parte, quella degli studenti.

Bella storia, il futuro!

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Bella Storia, il Futuro! - III CONGRESSO UNIONE DEGLI UNIVERSITARI DI TRENTO - UDU TRENTO
Tesi 1. La politica in un mondo che cambia
Mondo

Dal marzo 2016, data del nostro II Congresso, molti sono stati gli avvenimenti rilevanti
per la scena politica internazionale. Primo fra questi, cronologicamente, è stato il
referendum sulla Brexit, che, con il suo risultato, ha scosso profondamente l’Unione
Europea. Quel processo d’integrazione che fino a pochi anni fa sembrava essere
destinato solo a progredire, ha mostrato di essere reversibile. Più in generale, l’Unione
attraversa una fase complessa, nella quale il tentativo di rafforzarla e renderla più
democraticamente rappresentativa è frustrato dall’insorgere prepotente degli egoismi
nazionali. Questi movimenti nazionalistici, infatti, stanno prendendo piede in tutto il
continente, non solo all’interno del c.d. gruppo di Visengard, come abbiamo potuto
osservare con le elezioni francesi, dove il Front National è stato il secondo partito, o
con quelle tedesche, dove sono entrate per la prima volta in parlamento delle
formazioni neonaziste. I movimenti “populisti” si alimentano della rabbia e del
rancore di coloro che hanno subito la globalizzazione, e che non hanno finora trovato
aiuto nelle “istituzioni”. Costoro, in tutto l’Occidente, hanno dovuto sopportare, da un
lato, che molti posti di lavoro fossero spostati all’estero, e, dall’altro, che il welfare
state e le conquiste sociali della seconda metà del secolo scorso fossero smantellati, il
tutto combinato con le conseguenze della crisi economica più dura dal 1929. Il lento
processo di distruzione dello stato sociale è sì, da un lato, una caratteristica comune
alla maggioranza degli stati sviluppati, i quali, dopo la fine della guerra fredda, non
avendo più timore di un sistema alternativo, si sono dedicati alla liberalizzazione
dell’economia e del mercato, ma, dall’altro, è una diretta conseguenza dell’austerity
imposta dalle istituzioni europee. Questa scelta politica in favore dei dogmi del
neoliberismo, accanto alla simpatetica giurisprudenza di Strasburgo, ha avuto delle
conseguenze rimarchevoli. I partiti progressisti, infatti, si sono trovati davanti ad un
complesso dilemma, dovendo riuscire a trovare il modo di criticare l’UE senza risultare
euroscettici. Stretti in questa morsa le forze della sinistra europea si sono spesso
dimostrate incapaci di proporre un’alternativa seria. Alcuni sono stati parte attiva di
questo processo, cercando di limare gli aspetti più aspri, come l’SPD tedesco
all’interno della famigerata Große Koalition. Altri hanno provato ad opporsi, come
Syriza, con l’altrettanto famoso referendum, ma entrambi hanno ottenuto pochi
risultati. Il ruolo critico è stato quindi assunto dalla destra e dai partiti antisistema in
generale, che hanno approfittato bene dell’impopolarità dell’Unione per accrescere la
propria. Complice di tale crisi dell’Unione Europea è sicuramente il fenomeno
migratorio troppo spesso definito “emergenziale”. Questo sarebbe certamente
governabile da un gruppo di stati così ricco, che deve affrontare numeri
proporzionalmente molto inferiori a quelli di paesi come il Libano o il Kenya. I
provvedimenti assunti dal governo italiano in tal senso, oltre a cercare di dare una
risposta alle domande dell’elettorato, mirano ad assumere credibilità davanti
all’Unione Europea stessa, l’ordinamento sovranazionale che dovrebbe prendere in
carico la gestione dei flussi migratori ma che appare caratterizzata da un
preoccupante immobilismo dovuto alle differenti posizioni dei paesi membri. Proprio
l’Unione Europea, tramite l’agenzia “Frontex”, sostituita nel 2016 da “Agenzia europea
della guardia di frontiera e costiera”, dovrebbe infatti vigilare sulle frontiere, animata
da quello spirito solidaristico e di tutela della dignità umana che emerge dai suoi atti
fondativi e si reifica nella CEDU. Purtroppo, la realtà si è dimostrata profondamente
differente, come dimostra l’aumento delle morti in mare in seguito all’avvio
dell’operazione “Triton”, formalmente coordinata proprio da Frontex, anche se
supportata solo da una parte dei paesi membri, in sostituzione di “Mare Nostrum”,
l’operazione a conduzione italiana di ricerca e salvataggio nelle acque del
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Mediterraneo. L’Italia costituiva infatti il canale privilegiato di accesso al suolo
dell’Unione dopo gli accordi, presi con la Turchia dalla stessa UE nel 2015, per
chiudere la rotta che dal Medioriente conduceva all’Europa e successivamente alla
chiusura delle frontiere ungheresi ad opera di Orban. Tale peculiarità, unita alle
restrizioni imposte da Dublino 3 circa la possibilità di richiedere asilo in paesi UE
diversi da quelli di approdo, hanno condotto ad un sovraccarico del sistema di
accoglienza italiano. Ad oggi anche il Governo italiano sembra aver cambiato rotta sul
tema, una dimostrazione palese di questo processo si può trovare nel recente decreto
Minniti-Orlando, disperato tentativo di dare una risposta securitaria al dilagante
razzismo che infesta l’opinione pubblica. Il decreto mira infatti a restringere i diritti del
richiedente asilo, eliminando un grado di appello nei ricorsi circa le domande di asilo
ed eliminando di fatto l’udienza in cui il richiedente può essere ascoltato dal giudice,
creando pertanto un “Diritto di serie B”, riservato ai migranti. La sostituzione dei CIE
con i CPR e la loro maggiore suddivisione sul territorio nazionale non ne modifica la
natura di strutture di detenzione dalle dubbie condizioni igienico-sanitarie e di tutela
dei diritti umani, come denunciato da una pluralità di associazioni del settore.
L’attenzione del Governo si è poi focalizzata sulla rotta libica; le restrizioni imposte
alle ONG attive nel mediterraneo tramite il codice di comportamento redatto dal
Ministro Minniti, in particolare per quanto riguarda il divieto di recupero in acque
libiche, mira a ridurre il traffico di esseri umani ma mette in serio pericolo la vita di chi
viaggia su imbarcazioni totalmente inadatte a lunghe traversate. Nello stesso solco si
collocano gli accordi stretti recentemente con la Libia, i quali prevedono un
contributo italiano nel rafforzare la guardia costiera libica in cambio di una maggiore
vigilanza delle proprie coste, ma costituiscono in realtà un accordo preso con le
milizie e i gruppi armati libici per ottenere un’immediata riduzione degli sbarchi,
risultato dall’elevato valore politico. La natura spesso controversa e farraginosa delle
milizie libiche e dei loro fini, unite ai comprovati legami che intercorrono tra queste e i
gruppi di trafficanti di esseri umani, rischiano tuttavia di rendere controproducenti tali
accordi, andando ad aumentare l’instabilità del paese nel medio periodo. Ancora una
volta, inoltre, la ricerca di consenso politico viene condotta sulla pelle di coloro che
fuggono dal proprio paese in cerca di opportunità, come dimostrano le condizioni
disumane di detenzione dei migranti nelle carceri libiche, come è stato denunciato da
una pluralità di associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani. Se non si
adottassero solamente politiche di breve respiro, come sembrano essere le intese
stipulate con Turchia e Libia. Intese che, peraltro, non sembrano in grado di garantire
il rispetto dei più basici diritti umani, nonché delle convenzioni internazionali. Quando
trattiamo il tema dell’immigrazione, poi, non possiamo dimenticare il peso decisivo
che ha giocato l’Occidente nella proliferazione dei conflitti nel mondo, e nel Medio
Oriente in particolare. In tal proposito non possiamo che constatare l’ormai sesto
anno di guerra civile in Siria, con il Daesh che sta ormai capitolando, ma con il regime
di Bashar al Assad che sembra sul punto di riacquisire buona parte della propria
egemonia. Anche altre crisi umanitarie ed altri conflitti armati, però, devono
preoccupare, dallo Yemen alla Somalia, passando per l’Afghanistan, il Donbass, e la
Birmania. Tutte situazioni accomunate, purtroppo, dalla sostanziale immobilità della
c.d. comunità internazionale, incapace di agire per porvi rimedio, per non parlare dei
casi in cui è direttamente coinvolta nel conflitto.
Reclama la nostra attenzione anche il terrorismo internazionale. Questo, aldilà delle
facili strumentalizzazioni atte a creare una falsa corrispondenza con il fenomeno
migratorio, attraversa effettivamente una fase storica molto complessa. Il moltiplicarsi
degli attacchi, però, ha avuto una tale risonanza perché ha colpito paesi occidentali,
a noi vicini, mentre gli attentati avvenuti nel resto del mondo hanno continuato a
passare sotto silenzio. Questo fenomeno altro non è, purtroppo, che il risultato del
fallimento della politica d’integrazione. Infatti la maggior parte degli attentatori

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erano immigrati di seconda o terza generazione, persone, giustamente, non più
disposte, come lo erano i loro padri, ad accettare di rimanere ai margini delle
società occidentali, e che, quindi, soffrono un tipo di alienazione diverso e più grave,
sentendosi cittadini come gli altri, ma non essendo realmente trattati come tali.
Questo, combinato con situazioni di disagio individuale, non può che alimentare una
pentola a pressione, della cui esplosione non possiamo dirci sorpresi.
Il Doomsday Clock segna due minuti e mezzo alla mezzanotte. Il valore peggiore
raggiunto dagli anni ’80. Tutto ciò nonostante i progressi fatti negli anni precedenti
per la denuclearizzazione, ed in particolare la firma dell’accordo con l’Iran. Questo si
spiega con l’elezione, l’8 novembre 2016, di Donald J Trump, il conseguente rischio
per la prosecuzione dell’accordo, e l’escalation delle tensioni fra Stati Uniti e Corea del
Nord.

Le elezioni americane sono state fra le più discusse di sempre, e non solo per la figura
sconcertante del neo presidente, ma anche per le interferenze russe. Allo stato attuale
l’indagine sul Russia Gate lascia pochi dubbi sull’influenza esercitata da Putin, anche
se rimane ancora poco chiaro quanto questa sia stata incisiva. Questo ci impedisce
di trarre delle conclusioni definitive sul problema più generale del nuovo ruolo
geopolitico della Russia, che appare evidentemente impegnata nella destabilizzazione
delle democrazie Occidentali, sia attraverso il finanziamento dei partiti antisistema,
sia con la distribuzione di fake news attraverso uno stuolo di hacker al servizio del
Cremlino. E’ un paese in profonda difficoltà economica, dovuta al crollo dei prezzi
delle materie prime ed alle sanzioni internazionali, ed il motivo di queste ingerenze
appare lapalissiano, ma è difficile capire quanto potranno dare i risultati sperati. Le
stesse sanzioni americane, ad esempio, non sono ancora state cancellate dalla nuova
amministrazione. D’altro canto, però, Putin è riuscito ad aumentare drasticamente
il suo peso internazionale attraverso l’intervento in Siria, l’alleanza con la Turchia di
Erdogan, il sostanziale successo nel conflitto ucraino, ed altre operazioni facilitate
dall’impronta isolazionista della nuova politica estera statunitense. L’altra grande
potenza in ascesa sul panorama internazionale è la Cina. Il presidente Xi Jinping ha
accentrato il potere come non succedeva almeno dai tempi di Deng Xiaoping, come
sembra essere stato confermato dal XIX Congresso del PCC, da cui non è emerso un
suo erede. La sua intenzione di rafforzare la posizione geopolitica della Cina è resa
palese dalla prosecuzione di progetti grandiosi come la nuova via della seta, anche
detta OBOR (one belt one road), che potrebbe coinvolgere fino a 65 paesi, per un
costo stimato di svariate centinaia di miliardi investiti per migliorare le infrastrutture
commerciali in giro per il mondo, con l’obiettivo di favorire il commercio delle
merci cinesi. La Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (AIIB), dotata di
circa 100 miliardi di dollari di capitale, dovrebbe favorire lo sviluppo del progetto,
conta 57 stati fondatori, e non troverà più l’ostacolo del TPP a traino statunitense.
Ancora, gli investimenti in Africa ed in Europa mostrano l’intenzione di diversificare
l’economia del paese, la cui crescita comincia a decelerare. Allo stesso tempo,
però, le diseguaglianze economiche interne stanno crescendo vertiginosamente,
l’inquinamento cittadino è diventato insopportabile ed i problemi con le libertà civili
non sono migliorati significativamente. Degna di nota è anche la politica aggressiva
adottata nel Mar Cinese Meridionale, conteso con praticamente tutti i paesi vicini,
dove è giunta persino a costruire isole artificiali per poterne sfruttare le acque
territoriali. Quindi, pur mantenendosi, a differenza del vicino russo, a debita distanza
dalle annose questioni mediorientali, anche la Cina sembra apprestarsi a sfruttare
l’isolazionismo statunitense per aumentare il suo peso geopolitico mondiale, e,
considerando la sua popolazione e la forza della sua economia, è il paese che, più
di altri, si candida a raccogliere lo scettro di potenza leader globale in un futuro
non troppo lontano. Un conflitto che, invece, non costituisce una novità è quello
israelo palestinese, su cui si sono riaccesi i riflettori dopo la decisione di Trump di
spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Questa scelta, oltre a
violare più di una risoluzione dell’ONU, rischia di mettere a repentaglio un processo
di pacificazione già di per sé molto complesso e difficile, e di scatenare un nuovo
conflitto armato fra Hamas e Israele. In ogni caso, aldilà di questi fatti contingenti, la
questione della formazione di uno stato palestinese rimane sospesa da troppo tempo.
La vita nella Striscia di Gaza e nei territori occupati della West Bank è da anni ai limiti
dell’umana sopportazione, gli insediamenti illegali di coloni israeliani continuano ad
aumentare, ed a 50 anni dalla Guerra dei Sei Giorni la disputa non sembra avviarsi ad
una conclusione in tempi ragionevoli.

Infine, l’ultima, e forse più preoccupante delle minacce attuali per l’umanità intera
è rappresentata dal cambiamento climatico. La firma degli Accordi di Parigi, con la
COP 21 del dicembre 2015, è stato un passo fondamentale, anche se per alcuni non
ancora sufficiente, per contenere il riscaldamento climatico sotto la soglia dei 2°
gradi, superata la quale il surriscaldamento del nostro pianeta dovrebbe diventare
irreversibile. Poi, però, le elezioni americane hanno di nuovo avuto un effetto
prorompente, con l’annuncio del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo. Chiaramente,
l’assenza di un impegno per la riduzione dell’inquinamento derivante da un tale
sistema produttivo porrà enormi problemi, che, in parte, però, sono ridimensionati
dalla presa di posizione di alcuni grandi stati, come la California, in favore di uno
sviluppo ecosostenibile. Un’altra considerazione positiva è che la tecnologia c.d.
“verde” si è evoluta molto, ed il suo costo è sceso esponenzialmente. Ciò, si spera,
potrebbe semplicemente mettere fuori mercato fonti di energia altamente inquinanti
come il carbone, nonostante un sistema di incentivi rovesciato.

Italia

Il prossimo Marzo il nostro Paese si vedrà soggetto a quella che si preannuncia essere
una delle tornate elettorali più concitate e incerte dei settantuno anni della sua storia
repubblicana. Le certezze sono sempre minori e le forze politiche in campo sempre
più frammentate, ciò rende la nostra analisi quanto mai complessa e sfaccettata.
E’ sempre più complesso, ormai, riuscire ad individuare degli schieramenti ideologici
ben delineati, ci troviamo di fronte ad una sempre maggiore personalizzazione del
dibattito che viene incentrato spesso più sui singoli leader di partiti e movimenti
piuttosto che sul merito delle questioni. Come il resto d’Europa e non solo, anche
l’Italia si vede protagonista di un’avanzata sempre maggiore del consenso popolare
di demagogie e nuove destre, un’avanzata pericolosa per chiunque come noi, porta
avanti i valori di democrazia e antifascismo: il Movimento 5 Stelle da una parte e la
coalizione della destra (formata da Fratelli d’Italia, dalla Lega a cui recentemente si
aggiunge anche Forza Italia) dall’altra promettono di darsi battaglia nella spartizione
della maggioranza dei seggi parlamentari in un dibattito estremamente povero di
contenuti e a volte antidemocratico. Secondo vari sondaggi di opinione, come sempre
attendibili fino a un certo punto, ma strumento utile a capire l’umore elettorale
del paese, in questo momento sarebbero il Partito Democratico e il Movimento
5 Stelle ad ottenere parimenti il maggior numero di voti con terzo partito la Lega
(non più Lega Nord/Noi con Salvini). In un sistema come il nostro, specialmente
dopo l’approvazione del cosiddetto “Rosatellum 2.0”, tuttavia è estremamente
difficile se non improbabile per un partito riuscire ad avere i numeri per un governo
in solitaria (sono dovute soprattutto a ciò le proteste di M5S alla nuova legge
elettorale) e questo implica un necessario ricorso a coalizioni e accordi ed è qui che
la destra si palesa più forte dal punto di vista elettorale (stando sempre ai sondaggi

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e alle tendenze attuali) con la coalizione Salvini – Berlusconi – Meloni sempre
più legittimata che tiene testa all’attuale lista di governo comprendente PD e AP
(soggetto che non esisterà più ufficialmente dopo la decisione di Angelino Alfano di
non ricandidarsi), a loro volta poco davanti al Movimento 5 Stelle che continua nel
proprio voluto e ribadito isolazionismo politico e una sinistra (Liberi e Uguali, PRC e
centri sociali) elettoralmente molto debole. Ma come si ripercuote tutto ciò in termini
di società e dibattito politico?

Il Partito Democratico sotto la costante guida dell’ex premier Matteo Renzi malgrado
l’apertura tentate da Fassino nei confronti delle formazioni a sinistra del partito
e conseguentemente fallite prosegue sulla linea dell’ex sindaco di Firenze, la sua
leadership rimane salda in quello che ormai è un partito che è riuscito a costruire a
sua immagine e somiglianza anche dopo le batoste del referendum costituzionale che
lo ha portato alle dimissioni da Palazzo Chigi e ancor peggio dall’esito della tornata
elettorale siciliana i cui esiti sono stati catastrofici per qualunque forza progressista
in campo. Le politiche del governo Gentiloni (e quindi del PD post Renzi, almeno
istituzionalmente parlando), dopotutto, non si sono discostate molto da quelle del
governo precedente con una predilezione al riformismo fino a sé stesso e quasi
spasmodico che ne ha caratterizzato l’operato. La riconferma della coalizione con le
forze dei centristi e dei verdiniani rimane sempre più plausibile. La destra inizia quasi
a pregustare il compimento di rinascita elettorale che si avvia alla conclusione e al
coronamento con una percentuale che sarebbe stata impensabile fino a qualche anno
fa: la Lega di Salvini (sempre più a vocazione nazionale con buona pace degli ardenti
spiriti secessionisti della vecchia guardia bossiana) è il terzo partito nei sondaggi
portando avanti politiche populiste ed apertamente xenofobe aprendo le porte a
fazioni quasi reazionarie come quella di Storace e Alemanno (Movimento Nazionale
per Sovranità, già “La Destra”), la Meloni completa la coalizione apportando un
contributo politico non indifferente e radicale riuscendo ad aggregare un consenso
che la vera destra sociale conservatrice non riusciva ad avere da decenni; a tutto ciò
va sommato il fenomeno quasi inverosimile del redivivo Silvio Berlusconi che non
curante di denunce e qualsivoglia legge di impresentabilità (190/2012, meglio nota
come legge Severino) oltre alle più volte attestate prove di suoi coinvolgimenti in
prostituzione minorile, contaminazione di atti pubblici, corruzione, concussione e
favoreggiamenti a cosa nostra continua a ricevere consensi (come dimostrato dalle
elezioni siciliane). I tre partiti sentono di poter vincere pur non avendo ancora scelto
un candidato premier (recente è la provocazione di Matteo Salvini a Berlusconi per
cui il candidato premier sarà colui che riceverà più voti all’interno della coalizione pur
essendo Berlusconi verosimilmente un impresentabile). Il Movimento 5 Stelle sempre
più isolazionista e confuso rispetto alla sua identità politica indicherà Di Maio come
candidato premier al termine delle quantomeno discutibili primarie (accusate di
essere state pilotate in favore del pupillo di Beppe Grillo). Pur riuscendo ad aggregare
moltissimi voti continua a perdere pezzi (tutti coloro che si ritengono contrari alla
“ortodossia” di Grillo) e dalla morte di Casaleggio sembra non avere più alcun comun
denominatore di tipo politico ideale raccattando consensi quando dall’ex elettorato
della destra populista quando dall’ex elettorato della sinistra radicale; l’evidente
incapacità delle amministrazioni locali (su tutte Roma e Livorno) del Movimento di
certo non preannunciano buone cose rispetto alla qualità del ragionamento politico
pentastellato applicato gestione della cosa pubblica. A margine di tutto ciò, a
margine del “gioco dei grandi” (elettoralmente parlando) rimane tutta la sinistra extra
PD: la definizione dei due schieramenti in campo nell’ambito della sinistra e l’addio
di Pisapia al progetto che si pensava avrebbe intrapreso con le forze progressiste
hanno fatto notevolmente evolvere i ragionamenti elettorali rispetto alla prossima
tornata: da un parte c’è “Liberi e Uguali”, area aggregata intorno alla figura di Grasso
(già presidente del senato) da MDP, SI e Possibile mentre dall’altra PRC presenterà
una lista popolare su spinta dell’ex Opg occupato Je so Pazzo di Napoli anche se
concreto è il rischio per queste liste di non ottenere alcun seggio in parlamento visto
che lo sbarramento (fissato al tre per cento per singoli soggetti e al dieci percento
per le coalizioni con almeno un soggetto sopra al tre per cento) attualmente non è
soddisfatto dalla resa di questi soggetti nei sondaggi: una sinistra sempre più divisa al
suo interno e in crisi malgrado i tanti tentativi poco riusciti di unificare un’area politica
duratura che possa riuscire a trovare risposte al populismo e al consenso popolare
sempre più in mano alle destre a loro volta sempre più estreme, la personalizzazione
del dibattito di certo non aiuta e siamo stufi di assistere a continue scissioni e
frammentazioni mentre il Paese va in mano ai populisti sfruttando le divisioni interne
ai progressisti (complice un PD sempre più da Terza Via blairiana che di sinistra).
In una fase complessa come questa a farne le spese sono soprattutto le componenti
sociali, in particolar modo i corpi intermedi che vivono un periodo di flessione del
consenso e della legittimità complice anche gli errori di valutazione durante gli anni
del governo Monti, ma che devono ritrovare vigore per potere sostenere il Paese
in questo contesto così intricato e pericoloso (tentativo apprezzabile dalle piazze
nazionali della CGIL organizzate in seguito alla gigantesca mobilitazione romana
contro il Jobs Act del venticinque Ottobre Duemilaquattordici) opponendosi alla
logica del riformismo a prescindere e contrastando la visione puramente quantitativa
dell’economia della crescita e della ripresa.

In tutto questo una delle sfide maggiori che tutte le forze politiche devono
necessariamente impegnarsi ad affrontare è quello dell’astensionismo: ormai è quasi
un’abitudine che i dati sull’affluenza indichino dati vicini al 50%, una cosa impensabile
anche solo fino a trenta anni fa (periodo in cui le affluenze erano significativamente
più alte) che però indica una tendenza estremamente pericolosa ovvero la sempre
maggiore disaffezione degli elettori nei confronti della classe dirigente della cosa
pubblica e delle sue espressioni elettorali di conseguenza. Nemmeno i partiti populisti
che parlano direttamente alla pancia delle masse stanno riuscendo a fronteggiare
questa “chimera” che rappresenta il primo nemico in assoluto nei confronti della
legittimità del potere costituito democraticamente. La risposta alla crisi del voto non
può essere tuttavia una becera demagogia ma, piuttosto, una rivalutazione delle
politiche sociali che possano incentivare la tenuta democratica del nostro paese.
Insomma per chi, come noi, è schierato dalla parte del progresso sociale, culturale e
dell’idea socialista di mondo i prossimi non saranno di certo tempi facili da affrontare,
ma lo sconforto che potrebbe impadronirsi di chi porta avanti i nostri stessi valori
deve essere scacciato dalla voglia di poter influire su questi processi a partire dal
Sindacato Studentesco, consci che un Paese senza corpi intermedi, e quindi senza
tenuta sociale e di sbocco delle istanze verso le istituzioni (soprattutto in questo
periodo storico) è un Paese destinato al baratro della disuguaglianza sociale.

Trentino

Se Atene piange Sparta non ride. Se la politica internazionale e nazionale sembrano
essere sempre più orientate verso lidi tutt’altro che sicuri, anche il “Trentino felix”
non se la passa meglio. Mentre si entra nell’anno elettorale da più parti l’Autonomia,
tratto costitutivo della subcultura politica trentina, viene messa in discussione. Lo si
è visto nel dibattito seguito alla bocciatura della proposta di riforma elettorale sul
modello tedesco, proprio a causa di un emendamento riguardante il Trentino-Alto
Adige; o dalla polemica nata dopo un intervento del noto direttore del TG La7 Enrico
Mentana. Inoltre anche i tentativi di coinvolgere la cittadinanza Trentina attraverso

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la stesura del Terzo Statuto di Autonomia o l’organizzazione di eventi e conferenze
sul tema si sono rivelati dei flop in termini di partecipazione. Un segnale non certo
confortante. Anche la situazione politica provinciale si sta rivelando sempre più
incerta per via delle scosse telluriche all’interno della coalizione di centro-sinistra-
autonomista che governa la Provincia Autonoma dalla fine della Prima Repubblica.
Il PATT, partito autonomista di centro, che esprime il Presidente della Provincia Ugo
Rossi sta vivendo un momento ambivalente: da una parte infatti sono stati espulsi
dal partito gli esponenti più ostili verso la coalizione, alcuni dei quali volti storici
dell’autonomismo come il consigliere provinciale Walter Kaswalder; dall’altra hanno
fatto però il loro ingresso personaggi come il consigliere provinciale Walter Viola, da
15 anni esponente dell’opposizione di centro-destra e fortemente legato alla lobby
Comunione e Liberazione, che potrebbero spostare l’asse della coalizione fortemente
a destra.

Anche il Partito Democratico del Trentino, il più a sinistra tra i partiti della coalizione
rappresentati in Consiglio Provinciale, sta vivendo una fase di incertezza. Dapprima
ha subito una scissione a sinistra verso la formazione Possibile di Pippo Civati,
successivamente il consigliere comunale Vanni Scalfi, già candidato nel 2013 come
Segretario del partito con il 30% dei voti, ha abbandonato il partito per seguire la
formazione Campo Progressista dell’ex Sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Il PD
nonostante alle ultime elezioni sia risultato il partito più votato nella provincia,
ha faticato durante la legislatura ad imporre la propria agenda. L’UPT, partito
popolare di centro, sembra invece non trovare una propria collocazione all’interno
della coalizione, schiacciato tra PD e PATT e messo in ombra nella sua vocazione
di partito civico e cattolico da i nuovi arrivati, l’aggregazione di sindaci “civici” del
Sindaco di Rovereto Francesco Valduga, che nonostante sia riuscito a strappare la
seconda città del trentino dalle mani della coalizione di centro-sinistra-autonomista
nel 2015 cerca ora un ruolo centrale nel panorama provinciale strizzando l’occhio
alla stessa. A meno di un anno dalle elezioni non è nemmeno chiaro chi sarà il futuro
candidato Presidente, con un Ugo Rossi che preme per la riconferma e gli alleati
che timidamente ipotizzano una sostituzione al vertice. La situazione probabilmente
andrà a delinearsi più chiaramente dopo le elezioni politiche con il forte rischio che la
sconfitta del centrosinistra a livello nazionale possa portare ad un’ implosione anche
a livello provinciale e che il PD venga marginalizzato a favore di una nuova coalizione
di centro tendente a destra. Queste incertezze sulla situazione della coalizione e il suo
progressivo spostamento a destra su spinta del PATT si ripercuotono chiaramente
sulle politiche attuate a livello provinciale e cittadino. La centralità dell’Università
come investimento per il territorio viene continuamente messa in discussione, per uno
dei fattori che in realtà ne segnalano il successo: la presenza maggioritaria di studenti
che provengono da fuori provincia. Dopo aver con l’Accordo di Milano ottenuto dallo
Stato la discussa delega all’Università la Provincia sembra ora aver cambiato idea: non
tanto però sulla possibilità di avere le competenze legislative sull’Università, quanto
sulla quella che lo Stato torni a contribuire al suo finanziamento.
Tesi 2. Idee, valori, battaglie
Socialismo

    “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
     che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
           sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
                             all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
                                            Articolo 3 comma II della Costituzione italiana

La “rivoluzione promessa” di Calamandrei. La Repubblica sociale, inclusiva, equa,
solidale, plurale e democratica a cui anche oggi abbiamo il dovere di aspirare. Questo
è il tipo di progresso socioculturale per cui ognuno dei volontari dell’UDU Trento si
impegna duramente. Perché crediamo che dedicare il nostro tempo, le nostre forze
per aiutare gli altri sia la scelta giusta. Perché crediamo che l’accesso all’istruzione
senza questi ostacoli sia il primo modo in cui possiamo favorire la partecipazione
di tutti allo sviluppo della società. Perché crediamo che il diritto allo studio sia, per
l’appunto, un diritto, e che quindi vadano garantiti a tutti i mezzi per esercitarlo.
Perché crediamo che il riscatto del nostro paese, della nostra democrazia, ed in
generale della nostra umanità non possa che partire da un impegno quotidiano di
noi giovani, specialmente noi universitari, che abbiamo il privilegio di un’istruzione
superiore, che dovremmo mettere al servizio di tutti, non solo della nostra vita
professionale. Perché se non ci proviamo noi, chi lo potrà fare, chi potrà cambiare
veramente qualcosa? Perché, se anche raggiungere una reale parità di mezzi può
essere impossibile, operare per avvicinarsi a questo obiettivo utopico dev’essere un
chiodo fisso. Perché ogni volta che un ragazzo rinuncia a studiare perché non ha i
mezzi per farlo, o perché, erroneamente, crede che non gli serva, la società intera
perde qualcosa. Perché non ci possiamo arrendere all’idea che, se i nostri nonni ed
i nostri padri hanno fallito, anche noi faremo la stessa fine. Perché creare una vera
no-tax area, perché innalzare la soglia ISEE per le borse di studio, perché ottenere
delle agevolazioni per i trasporti sono tutte battaglie atte ad implementare il diritto
allo studio. Perché organizzare iniziative culturali come “Non schiavi ma esseri umani:
il Caporalato” o “Periferie, esempi di rinascita” è una maniera di attirare l’attenzione
su situazioni di disagio, con la speranza di sensibilizzare i nostri coetanei e la
cittadinanza tutta sulla necessità di intervenire, e ripensare insieme l’intero sistema.
Perché le guerre rispondono agli interessi di pochi, e mettono in pericolo tutti. Perché
i migranti sono persone, con dei corpi, dei pensieri, delle necessità, delle passioni, dei
desideri, dei sogni, come i nostri. Perché il fascismo è la negazione di tutto questo,
perché la nostra è una Costituzione antifascista, nata dalla Resistenza, perché la
diversità non deve farci sentire minacciati, ma arricchirci. Perché la mafia è un cancro,
e solo uno stato sociale e veramente inclusivo, non solo repressivo, può sconfiggerla.
Perché i diritti sociali perdono valore senza i diritti civili, ed i diritti civili perdono
valore senza i diritti sociali. Perché senza parità di genere non c’è vera eguaglianza,
perché non possiamo accettare che una donna sia pagata meno di un uomo solo in
quanto donna, perché non è possibile che le donne vengano ridotte ad un corpo,
un oggetto, da cui trarre profitto. Perché la legalizzazione è anche una lotta sociale.
Perché i cambiamenti climatici colpiscono le persone più vulnerabili, distruggono le
loro case, le loro vite. Perché se loro non riescono a reagire abbiamo il dovere di farlo
per loro. Perché, in fondo, anche noi crediamo di poter essere vivi e felici, solo se lo
sono anche gli altri.

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Guerre e Migrazioni

La questione migratoria si configura come la principale sfida che l’umanità e
l’Occidente dovranno affrontare in questo secolo. Nell’approcciarsi all’analisi del
fenomeno risulta sicuramente necessario distaccarsi dalla retorica emergenziale
che spesso avvelena il dibattito pubblico sul tema. I flussi migratori verso i paesi
occidentali infatti non hanno carattere di emergenza, ma costituiscono una delle
strutturali conseguenze della depauperazione dei territori di origine dei flussi. In
passato infatti, tramite i meccanismi del colonialismo e successivamente della
globalizzazione, abbiamo assistito all’assoggettamento delle economie nazionali
di molti paesi alle necessità del capitalismo occidentale, che ha condotto molti
degli stati periferici a situazioni economiche e politiche di instabilità ed incertezza.
L’Occidente non può permettersi di negare questa responsabilità storica, alzando
muri alle frontiere e cercando di custodire gelosamente il proprio status quo, già
duramente aggredito dalla crisi economica e finanziaria sviluppatasi a partire dal
2008. Lo scivolamento di status della classe media è infatti uno dei fattori alla
base delle posizioni più intransigenti in tema di immigrazione, la percezione di una
riduzione delle opportunità e di un generale senso di ingiustizia sociale, generato
probabilmente dall’arretramento del welfare state, portano infatti a considerare gli
immigrati come competitor nella lotta per risorse scarse, il cui ingresso nel nostro
paese deve essere limitato per tutelare la popolazione autoctona. Nonostante
i dati ministeriali smentiscano una riduzione delle opportunità lavorative come
conseguenza dei flussi migratori, esso rimane uno stereotipo fortemente radicato
nella narrazione pubblica, costellata di luoghi comuni scarsamente correlati con la
realtà, insieme a convinzioni quali la natura “parassitaria” di coloro che usufruiscono
del sistema di accoglienza italiano o la diretta correlazione tra fenomeno migratorio
e questioni legate alla sicurezza, sia per quanto riguarda la microcriminalità sia in
relazione al terrorismo di matrice religiosa. La deformazione del dibattito pubblico sul
tema, trova sicuramente una delle sue principali cause nella propaganda di partiti e
formazioni politiche populiste e xenofobe che diffondono notizie false e manipolate,
giocando sull’attrattività emotiva del tema, con il preciso scopo di condizionare il
dibattito, sdoganando e legittimando posizioni profondamente razziste. Il fenomeno
assume però dimensioni realmente preoccupanti nel momento in cui la manipolazione
delle news non è più appannaggio di organi di stampa apertamente schierati e
con un pubblico numericamente limitato, ma diventa il modus operandi di media
generalisti con un bacino di pubblico estremamente numeroso. Lo sdoganamento
di tali posizioni ha giocato a favore delle formazioni di destra che hanno fatto
della questione migratoria il proprio cavallo di battaglia, guadagnando consenso e
costringendo le formazioni di centro-sinistra ad inseguire gli avversari in una spirale di
logiche securitarie e restrittive dal punto di vista dell’accoglienza. Non serve andare
lontano per trovare episodi di intolleranza e razzismo, diversi sono infatti gli episodi
di aggressioni, ronde ed attacchi a strutture destinate ad accogliere rifugiati, avvenuti
in territorio trentino negli ultimi anni. Come UDU Trento riteniamo indispensabile
un cambio di rotta nelle politiche nazionali ed europee; un approccio differente che
metta al primo posto la tutela di tutti gli uomini e le donne che ogni giorno sono
costrette a lasciare la propria terra e i propri affetti per fuggire da guerre, carestie e
mancanza di opportunità. Crediamo che l’impegno del Governo italiano debba essere
indirizzato ad accogliere queste persone, garantendo loro la possibilità di costruirsi
un futuro migliore tramite apposite strategie atte a costruire canali legali di accesso
al territorio Italiano e a fornire ai migranti giunti nel nostro paese gli strumenti
e i mezzi necessari ad integrarsi nel tessuto sociale ed economico nazionale,
partendo dall’insegnamento della lingua italiana e giungendo a corsi di formazione
e avviamento al mercato del lavoro, oggi più che mai strumento necessario per
raggiungere la piena integrazione e condurre una vita dignitosa.
L’impegno necessario ad affrontare il fenomeno migratorio non può tuttavia essere
limitato al nostro paese, ma deve essere preso in carico da tutta l’Unione Europea,
garantendo i fondi e gli strumenti necessari a mettere in atto strategie concrete
ed efficaci, ma soprattutto imponendosi su quei paesi che, violando i principi
fondamentali dell’Unione, portano avanti politiche nazionali di chiusura delle
frontiere, come dimostra il caso austriaco e la militarizzazione del Brennero, rotta
principale verso il Nord Europa. Riteniamo che l’Unione Europea debba impegnarsi
a far rispettare il principio della libera circolazione, riformando le normative
sulla richiesta di asilo e permettendo ai migranti di raggiungere la propria meta
all’interno dell’Unione, qualunque essa sia. Purtroppo, i segnali per il futuro non sono
incoraggianti, come dimostra la tardiva calendarizzazione della legge sullo “Ius Soli”,
che ne rimanda di fatto la decisione alla prossima legislatura, o ancora la mancata
opportunità di abrogare la “Bossi-Fini” ed eliminare di fatto il reato di clandestinità.
Nonostante ciò continueremo a batterci per mantenere viva l’attenzione su queste
tematiche, collaborando con enti ed associazioni che si occupano di assistenza ai
migranti, organizzando conferenze e dibattiti sul tema, come già fatto negli anni
scorsi con “Migranti – una sfida europea” o “Caporalato”, continuando a portare
avanti i valori dell’antirazzismo e dell’accoglienza. Perché oggi la battaglia da
combattere è culturale, contro coloro che professano ideali nazionalistici, intrisi di
razzismo, figli di un passato oscuro e che non possono e non devono trovare spazio
nella società odierna. Il confronto, l’accoglienza, il dialogo e l’interscambio culturale
costituiscono gli strumenti necessari a gestire il fenomeno migratorio, mentre le
frontiere chiuse, i muri e gli accordi che mantengono questo dramma umanitario
lontano dai nostri occhi sono un’arma che viene utilizzata su chi non ha voce. Allora è
compito nostro accorrere in soccorso di queste persone, prive di qualsiasi mezzo per
organizzare il loro malessere in una rivendicazione di diritti inalienabili, e far si che le
loro istanze diventino le nostre, per una battaglia di civiltà necessaria in un periodo
che passerà alla storia come la più grande violazione dei diritti umani dopo gli orrori
del secondo conflitto mondiale.

Antifascismo, Resistenza e Democrazia

Questo periodo storico è protagonista di una crisi valoriale che mette a dura prova i
cardini della nostra società civile, la Resistenza ha assunto carattere di valore puro ma
lontano dal vissuto odierno e la Democrazia priva ormai del suo carattere innovativo
stenta a far ricordare la monumentalità delle sue fondamenta e così della forza palese
dei suoi ideali, rispetto dell’Altro, tutela delle libertà fondamentali e difesa di deboli e
emarginati. A Cent’anni dal primo conflitto mondiale un astioso movimento continua
ad avanzare trovando terreno fertile nelle ferite economiche e sociali, con una
spavalderia inconcepibile anche solo cinquant’anni fa. I vessilli nazisti e confederati
sfilati a Charlottesville ad Agosto, i Sessantamila ultranazionalisti riversati nelle piazze
di Varsavia lo scorso Novembre, la passiva tolleranza dei governi di fronte a tali
manifestazioni, comprovano una tendenza globale di ricaduta delle sicurezze e delle
difese democratiche davanti all’ incontrollato proliferare di partiti populisti che se si
presentano nominalmente distanti dagli estremismi ne danno meno prova nei fatti.
Nazionalmente l’Italia perde ogni virtuosismo, la campagna di cancellazione della
memoria storica e di affrancamento dal fascismo storico per legittimare cori di odio,
supremazia, disprezzo per le minoranze e per i diritti altrui procede senza resistenze
per mano delle compagini della destra italiana più o meno velatamente neo-fasciste
come Lega Nord, Casapound, Forza Nuova assieme ai movimenti giovanili di stampo
equivalente come Blocco Studentesco e Lotta Studentesca. Stiamo parlando di

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cinquecento ragazzi che fuori dalle scuole, primo presidio nella tutela dei diritti,
manifestano contro le minoranze rom e sinte, di bandiere neonaziste appese negli
spazi nati in difesa della giustizia e delle vittime, parliamo dell’irruzione di una
quindicina di naziskin rigettanti cieche opposizioni alle manifestazioni di solidarietà
umana nate nei confronti dei migranti. E se pensiamo che siano eventi lontani da noi
basta voltare l’angolo per ricrederci. Le ronde squadriste in Piazza Dante, i diversi
pestaggi a danni di studenti fra cui il caso del liceo Prati per mano di esponenti di
Blocco Studentesco, ci devono far ragionare sulla diffusione capillare, violenta e
infettiva che non lascia intoccata la nostra città.Tali fenomeni nella loro esistenza non
consistono in ogni modo nel carattere più sconsolante del quadro odierno il quale è
costituito piuttosto dal processo di normalizzazione dei discorsi d’odio e violenza. La
quotidianità nella sua ripetizione potrebbe rendere l’orrore abitudine, ma è compito
della memoria e della coscienza di ciò che è giusto opporvisi, rispondendo alle ormai
scontate accuse di buonismo o di sentimentalismo politicamente corretto ricordando
che la bontà nella nostra società è un dovere, che l’accoglienza, l’impegno al vivere
comune, il rispetto reciproco e il riconoscimento del valore umano dell’individuo sono
imprescindibili in qualunque discorso che pretende di definirsi democratico. Questa
normalizzazione è frutto di un mutamento dei tempi che in un linguaggio di ideali ha
dimenticato di riattualizzarli, confinando determinati termini al lustro e alla polvere di
una teca, invece di darvi nuove contestualizzazioni così da ricordarne il profondo
significato che va ben oltre la loro collocazione storica. Il 25 Aprile oltre al suo valore
di dedica alla memoria storica è testimone dell’ “omni tempore” valore di uomini,
come scrisse Camus, convinti che fosse meglio morire con la giustizia nel cuore che
trionfare con l’ingiustizia, ai quali il sacrificio e l’onore hanno permesso di vincere
facendo a sé vincere anche la giustizia. È il racconto di un rifiuto totale, ostinato e
quasi cieco di un ordine che voleva mettere gli uomini in ginocchio, di un rifiuto che
vede il germe della rivolta nel rivedersi nelle sofferenze dell’altro, nel riconoscersi
fratelli in una comune condizione umana che non conosce razza, religione o cultura.
Questo ci insegna la Resistenza, la non indifferenza l’empatia la solidarietà, concetti
vicini alla quotidianità che non devono essere ricordati ma tramandati nel processo di
socializzazione di ciascun individuo. La mancata trasmissione intergenerazionale
come sottolineato da Luzzatto è infatti una delle principali cause della crisi
dell’antifascismo, l’educazione provvista da scuola, famiglia, società e volendo, dalle
comunità religiose, pecca frequentemente di un chiaro primario riferimento al valore
culturale dell’antifascismo che conseguentemente ha visto erodersi il suo ruolo di
determinante politico e identitario. È fondamentale dunque impegnarsi nella
diffusione dei loro significati complessivi, affiancando alle astrazioni e idealizzazioni la
vitalità di una ricontestualizzazione dei contenuti che permetta di riconoscere queste
categorie anche nelle più fumose dinamiche odierne, perché come disse Primo Levi
“Ogni tempo ha il suo Fascismo” ma veste panni diversi e non sempre così manifesti.
Parallelamente a questa azione la nostra società civile dovrebbe rendersi definitiva e
risoluta nella chiusura di qualunque forma di dialogo con esponenti di tutte le realtà
portatrici di messaggi d’odio, razzismo e superiorità etnica a qualunque livello,
privandole di una legittimazione che non meritano e rispondendo a chi si appella a
una fantomatica libertà d’espressione che le libertà danno voce ai diritti fintantoché si
permane in un contesto democratico. Inevitabilmente questo bando andrà a favorire
nel dibattito le componenti di sinistra, le quali vivono un evidente momento di
debolezza, figlio della problematicità del proporre soluzioni immediate e della
difficoltà a rimanere coeso durante la volenterosa e seria analisi di macro problemi
nella loro moltitudine di strade percorribili. Problema che diversamente non affligge le
destre fasciste, gusci vuoti privi di qualunque elaborazione che risuonano grazie a
slogan che di alto hanno solo il volume e ad appelli alle debolezze degli individui al
fine di rivoltarli meschinamente fra loro, il tutto volendo nascondersi dietro ideali di
decoro. Qui si apre la vera sfida per noi e per la sinistra. Non ha senso negare
ottusamente le debolezze della nostra famiglia politica e della Democrazia
appellandoci ai loro ideali in una sorta di fanatismo messianico, ma proprio nel
costruttivo riconoscimento delle loro imperfezioni impegnarci a portare ogni volta il
peso di scelte che , frutto di solidarietà, sacrificio e rispetto per l’altro si scontrano
con criteri di giudizio funzionali rispondendo però sempre al criterio di giustizia
umana. La difesa è individuale ma la giustizia è comune e costituzionale, infatti la
violenza antifascista non può essere più legittimata di qualunque violenza mentre la
vera risposta di un paese che ha a cuore la sanzione di chi ne attacca le fondamenta è
il ricorso ad un’applicazione intransigente della legge Scelba (n. 645/1952), la quale
sanziona chiunque “promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di
un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e
perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure
chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure
le sue finalità antidemocratiche”. Dunque, “Antifascismo, Resistenza e Democrazia” si
riconfermano oggi più che mai come i valori portanti, non solo della gioventù ma di
tutti. Noi, come Unione degli Universitari di Trento continueremo ad impegnarci per
creare spazi per lo sviluppo critico delle idee, mettendo risolutamente al bando quelle
xenofobe e razziste proprie del fascismo, attivandoci nella difesa quotidiana dei valori
antifascisti e di tutte quelle realtà o di singoli esponenti che ne fanno parte. Per
questo motivo riteniamo fondamentale preservare l’ambiente universitario e
scolastico dalla contaminazione del neo-fascismo anche attraverso la collaborazione
con altre associazioni come l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani)
partecipando e valorizzando il ricordo e la commemorazione degli eventi che hanno
segnato la storia della resistenza. Attraverso eventi e manifestazioni, continueremo a
difendere la conservazione della memoria colletiva contro il revisionismo storico.
Questo è quello in cui crediamo e questo è quello a cui la nostra organizzazione si
ispira, siamo parti del tutto e tutto è parte di noi ricordando che “siamo tutti uguali
nell’essere diversi”. Per rimarcare la grande forza della conoscenza e della
salvaguardia dei popoli, soprattutto da chi questi popoli vuole dividerli, ricordiamo la
citazione di un nostro compagno: “Voi studenti del mondo non dimenticate mai che
dietro ogni tecnica c’è qualcuno che la impugna, e che questo qualcuno è una società,
e che con questa società o si sta a favore o si sta contro; che nel mondo ci sono quelli
che pensano che lo sfruttamento è buono e quelli che pensano che lo sfruttamento è
cattivo e bisogna eliminarlo. La conoscenza si può usare per addomesticare i popoli e
la si può usare al servizio dei popoli per liberarli” Ernesto Guevara de la Serna

Antimafia e Cultura della Legalità

Stiamo vivendo una fase in cui l’illegalità trova terreno fertile ovunque e gli ultimi
scandali di Mafia Capitale e del Mose ce lo dimostrano perfettamente. Sono infatti
un chiaro segnale di come il fenomeno mafioso non esista più solo al Sud, ma si sia
ormai da tempo spostato in tutto il resto della penisola e stia spaziando in vari ambiti.
La lotta alle mafie diventa dunque tematica centrale e dobbiamo interrogarci su
come portarla avanti in modo efficace e duraturo. Un primo approccio alla lotta che
noi, come associazione studentesca, abbiamo è quello di promuovere la memoria
storica nelle scuole e nelle università, coinvolgendo poi la cittadinanza tutta. Giornata
centrale è quella del 21 Marzo, Giornata nazionale della memoria e dell’impegno
in ricordo delle vittime delle mafie, data a cui partecipiamo ogni anno con Libera
per ricordare ,con la lettura dei nomi, chi è stato ucciso da organizzazioni mafiose.
Non è possibile però pensare di limitarsi a questa scadenza: proprio all’interno
dell’università, luogo di formazione e di cultura, ci impegniamo a proporre eventi

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e conferenze su questi temi per sensibilizzare la comunità studentesca in primis.
Nell’anno passato abbiamo già sottolineato l’importanza del tema organizzando, in
collaborazione con il nostro Ateneo, l’Opera Universitaria e il Presidio Universitario
Libera “Celestino Fava”, due conferenze: la prima sul tema “Periferie ed esempi di
rinascita” ponendo particolare attenzione alla realtà periferica della città di Scampia
e portando la testimonianza e l’esperienza di chi ha vissuto direttamente in quegli
ambienti ed è riuscito a crearsi un futuro diverso facendo così rinascere la periferia
stessa; la seconda invece dedicandoci al tema del caporalato per sensibilizzare
gli studenti sul tema (data l’indifferenza e la poca informazione su quest’ambito)
per far luce sul fenomeno e per capire insieme come questo viene arginato dopo
l’approvazione della legge sul caporalato (legge 199/2016). Su questa linea ci
impegnamo di promuovere altre numerose iniziative culturali (anche in collaborazione
con e altre realtà associazionistiche che si occupano di questi temi) per sensibilizzare
e formare la comunità studentesca e non solo su tutte le sfaccettature dei fenomeni
mafiosi, sul lavoro dell’antimafia e sui valori che essa porta avanti.
Citando Nino Caponnetto, “La mafia teme la scuola più della giustizia, l’istruzione
toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa.”, riteniamo che sia fondamentale
promuovere la cultura della legalità all’interno dei luoghi di formazione, di ribadire
il ruolo dell’istruzione, di tramandare la memoria storica in quanto una volta venuti
a conoscenza di cosa è stato fatto e di cosa è possibile fare per quanto riguarda la
lotta alle mafie, si fa acquisire una consapevolezza maggiore del valore della legalità e
si educa a comportamenti e azioni anti-mafiosi. La lotta al fenomeno mafioso, infatti,
non è resa soltanto dallo stato e dalle sue forze repressive e di giustizia ma, crediamo,
da ogni singolo cittadino che si mobilita con il proprio impegno etico-morale. Per
attuare un’efficace lotta a favore della legalità non bastano le forze repressive dello
stato. Una volta messa in atto la repressione, quando questa funziona c’è un forte
sentimento di giustizia che lega tutti quanti ma quando la fiamma si affievolisce, il
fenomeno mafioso ritorna ad infiltrarsi nella società stessa. Questo processo, però,
capita soltanto nelle realtà dove le persone hanno un’esperienza culturale che li porta
e vedere la mafia come la parte cattiva, la parte da combattere e da eliminare. Ci sono
infatti zone nel nostro territorio nazionale dove la gente è cresciuta con l’idea che il
ruolo di antagonista sia svolto dallo Stato, mentre le organizzazioni criminali agiscono
come un sistema di welfare,, fornendo servizi, lavoro, opportunità. In questi contesti la
percezione delle retate o degli arresti è negativa, non vengono visti infatti come una
liberazione, come un nuovo inizio senza criminalità, ma come una privazione di lavoro,
di opportunità, di servizi, di soldi, come un semplice arresto di familiari ,fomentando
quindi l’odio, assente di un successivo intervento statale che ripristini i servizi che
la criminalità organizzata forniva. Dato che questo fenomeno non è solo criminale
ma abbraccia la società, la politica, l’economia, bisogna intervenire in maniera
globale non solo con le forze dell’ordine ma soprattutto con l’antimafia sociale, con
la confisca dei beni e la restituzione di questi alla società affidandoli a cooperative
selezionate. Per avere un risultato definitivo c’è bisogno di integrare all’azione dello
Stato la mobilitazione collettiva e duratura che includa la società tutta, l’investimento
educativo e culturale. Due interventi distinti, ma ugualmente necessari.
Per questo come UDU ci impegniamo sia a livello nazionale che a livello territoriale,
a promuovere iniziative in collaborazione con l’associazione Libera e i Campi della
Legalità Arci per dare un contributo concreto alla lotta contro le mafie, per avere dei
momenti di formazione e per essere testimoni di esperienze e realtà positive. I campi
sono infatti un’importante occasione non solo di formazione, ma anche di scambio
intergenerazionale e interculturale dove vengono abbattuti i muri delle disuguaglianze
sociali ed economiche e si partecipa così ad un momento di aggregazione, di
sensibilizzazione e di crescita personale nei principi della legalità e non solo.
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