Le monde est à nous! DOCUMENTO POLITICO - UDU Trento

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Le monde
est à nous!
DOCUMENTO POLITICO

16 NOVEMBRE 2019 - IV CONGRESSO
DELL’UNIONE DEGLI UNIVERSITARI DI TRENTO
Indice
1. La politica in un mondo che cambia
2. Idee, valori, battaglie
3. L’Unione fa la forza
4. Rappresentare, cambiare, costruire
5. Diritto allo studio
6. Didattica
7. Spazi universitari
8. Mobilità
9. Rapporto con il territorio
10. Uno spazio per gli universitari
11. Rapporto con le altre realtà

Dopo due anni dall’ultimo Congresso, ci ritroviamo qui.

Questo documento, frutto del lavoro e della riflessione collettiva dell’associazione, è il
nostro modo di riflettere sui fatti accaduti intorno a noi e al nostro interno e su come
lavorare per il futuro e il mondo che ci circonda. Parleremo di ciò che abbiamo fatto,
come associazione e nella rappresentanza. Parleremo di come è cambiata la nostra uni-
versità e il territorio che la circonda. Parleremo di diritti, di idee e di battaglie. Parleremo
di come il mondo siamo noi e sta a noi.

Come sempre da una sola parte, quella degli studenti. Le monde est à nous!
Tesi 1
La politica in un mondo che cambia
Mondo
Il risultato del referendum sulla Brexit di due anni fa, all’epoca del nostro III Congresso,
ci aveva scosso particolarmente, perché per la nostra generazione cresciuta con un’Eu-
ropa unita e sempre in espansione, questo scenario significava dover comprendere che
quel processo d’integrazione che fino a pochi anni fa sembrava essere destinato solo a
progredire è in realtà reversibile. A due anni di distanza dal referendum che ha decreta-
to la volontà degli inglesi di uscire dall’Unione, ci troviamo con un nulla di fatto: la data
per l’effettiva uscita è stata posticipata, a causa di governi incapaci di contrattare con
successo con l’Unione. Il tracollo del governo May ha fatto spazio a Boris Johnson, uno
dei tanti personaggi che formano la classe politica populista e nazionalista europea, ma
anche quest’ultimo non sembra in grado di concludere il processo di uscita dall’Unione,
che si trova sempre più in una posizione incerta e delicata.

Più in generale, l’Unione Europea sta attraversando una fase complessa, nella quale il
tentativo di rafforzarla e renderla più democraticamente rappresentativa è frustrato dal-
l’insorgere prepotente degli egoismi nazionali. L’aumento delle richieste di maggiore au-
tonomia amministrativa da parte di vari territori, quali la Catalogna, o nel nostro caso il
referendum sull’autonomia in Veneto e Lombardia, o la richiesta dell’Emilia-Romagna
dimostrano una tendenza all’isolazionismo e il rifiuto di progetti di solidarietà condivisa
che si respira in tutta Europa, e che si ricollega sicuramente anche alle tendenze nazio-
naliste che la percorrono, sia nei singoli Stati, sia a livello sovranazionale. I tentativi di
riforma dell’assetto istituzionale europeo in modo da renderlo più democratico scarseg-
giano e questo alimenta la propaganda dei movimenti populisti e nazionalisti. Questi,
infatti, si sono consolidati come forze politiche potenti in tutto il continente: in Austria la
destra euroscettica e xenofoba di Kurz ha raggiunto grandi risultati, e anche in Italia Me-
loni e soprattutto la Lega di Salvini hanno acquisito potere in diverse regioni italiane,
anche nelle vecchie roccaforti delle sinistre.

I movimenti populisti si alimentano della rabbia e del rancore di coloro che hanno subito
maggiormente gli effetti negativi della globalizzazione, e che non hanno finora trovato
aiuto nelle istituzioni. In particolare, la diffidenza nel processo democratico e nel princi-
pio della rappresentatività parlamentare, unite alla scarsa educazione riguardo le pro-
prie istituzioni, ha fatto emergere il desiderio di cambiamento, incanalato nel falso mito
della “democrazia diretta”. Questo sentimento di odio e risentimento per le istituzioni è
amplificato nei confronti dell’Unione Europea, che manca di piena democraticità e fun-
ziona troppo spesso tramite il lobbismo di gruppi di Paesi più forti nei confronti di quelli
con minore capacità negoziale. Gli Stati infatti hanno più volte tentato di far prevalere i
propri interessi, o ancora peggio, di lasciar prevalere interessi di terzi o privati su quelli
dell’Unione, dimenticandosi degli apparati burocratici e istituzionali europei. Di conse-
guenza, le istituzioni europee vengono viste come grigie burocrazie che lavorano contro
gli interessi e il benessere della popolazione, una popolazione che si sente spesso ab-
bandonata dalle istituzioni. Una consistente porzione di questa popolazione è stata
messa a dura prova dalla crisi economica del 2008, la più dura dopo la Grande Depres-
sione del ‘29: la dislocazione in Paesi più convenienti della produzione, un Welfare state
impoverito e fragile, la temuta privatizzazione di beni comuni, una politica di austerity
imposta dall’Unione Europea.

La scelta politica in favore dei dogmi del neoliberismo, accanto alla simpatetica giuri-
sprudenza di Strasburgo, ha avuto delle conseguenze rimarchevoli. I partiti progressisti,
infatti, si sono trovati davanti ad un complesso dilemma, dovendo riuscire a trovare il
modo di criticare l’UE senza risultare euroscettici. Stretti in questa morsa le forze della
sinistra europea si sono spesso
dimostrate incapaci di proporre un’alternativa seria. Alle recenti elezioni europee, la sini-
stra e quindi in particolare il partito socialista non è riuscita a proporre una alternativa
valida al partito popolare all’interno dello spettro dei partiti non anti-sistema, non aven-
do altra mossa se non allinearvisi.

In generale, l’Unione Europea attuale manca di una visione d’insieme e di un obiettivo
comune condiviso da tutti i paesi europei, che renderebbe possibile un eventuale pro-
getto di Federazione Europea, in cui forse la collaborazione tra Stati risulterebbe più ef-
ficace. La questione si inasprisce ancora di più per la mancanza di risposte condivise a
una serie di problemi, primo fra tutti quello migratorio, troppo spesso definito “emer-
genziale”. L’Unione Europea, alla mercé della decisione dei singoli capi di Stato miopi e
votati a ciò che meglio si può spendere in campagna elettorale, non trova una risposta
condivisa e quindi ogni Stato è lasciato libero di gestire singolarmente l’accoglienza,
spesso negandola o alimentando sentimenti di repulsione nella popolazione. Il fenome-
no sarebbe certamente governabile da un gruppo di Stati così ricco, che deve affrontare
numeri proporzionalmente molto inferiori a quelli di paesi come il Libano o il Kenya.

Fino all’avvento del governo gialloverde, i provvedimenti assunti dal governo italiano mi-
ravano ad assumere credibilità davanti all’Unione Europea stessa, l’ordinamento sovra-
nazionale che dovrebbe prendere in carico la gestione dei flussi migratori e che era in-
vece caratterizzata da un preoccupante immobilismo dovuto alle differenti posizioni dei
paesi membri. Durante il governo gialloverde invece, la questione migratoria è stata
spesso al centro della propaganda antieuropeista e nazionalista della Lega. I rapporti nei
confronti dell’Unione Europea sono cambiati notevolmente: il governo, e in particolare la
componente leghista, ha rifiutato qualsiasi tipo di dialogo con gli altri Stati membri, e ha
invece portato avanti una politica estera basata sulla diffidenza e la spacconeria. La si-
tuazione si è quindi inasprita, e l’eventuale collaborazione con gli altri Stati sfumata, an-
che a causa dell’assenteismo in sede Europea dello stesso Ministro dell’Interno, chiaro
segnale di disinteresse e chiusura verso possibili soluzioni condivise.

La Convenzione di Dublino rimane tuttora in vigore, anche se è ormai indiscusso che sia
un sistema poco efficace. Oltre alla mancata collaborazione con gli altri Stati, il Governo
gialloverde ha inoltre ristretto sempre più il numero di persone beneficiarie di protezio-
ne umanitaria e accoglienza, applicando allo stesso tempo una linea durissima nei con-
fronti delle ONG e negando l’accesso ai porti in più occasioni. Negli ultimi due anni sono
state poste sotto sequestro diverse navi appartenenti a ONG soccorritrici nel Mar Medi-
terraneo, ed è stata portata avanti una campagna mediatica di odio, bullismo e intimi-
dazione nei confronti degli equipaggi: una delle figure più bersagliate è stata Carola
Rackete, capitana della Sea Watch 3, rea di aver attraccato dopo più di due settimane in
mare con a bordo equipaggio e migranti in condizioni psicofisiche estremamente criti-
che, a causa della negata autorizzazione allo sbarco sulle coste italiane.

Lo stesso Ministro ha peraltro introdotto nell’ordinamento italiano due decreti, il Decreto
sicurezza e Decreto sicurezza bis, che hanno indebolito e messo a rischio il sistema di
accoglienza italiano già deumanizzato dalle precedenti disposizioni in merito attuate da
Minniti. In particolare nel primo si è sostanzialmente cancellata la protezione umanitaria,
e si sono saturati i centri CAS che sono stati allo stesso momento anche de-finanziati,
diminuendo esponenzialmente il numero di persone che possono accedere ai centri
SPRAR nei quali i migranti sono di norma seguiti verso una piena integrazione. Nel se-
condo decreto invece si sono introdotte sanzioni molto pesanti sia a livello civile che
penale per le ONG che operano nel Mediterraneo. Ad oggi, nonostante il cambio al ver-
tice e il nuovo governo giallorosso, i decreti sicurezza sono ancora in vigore e i patti per
i finanziamenti alla Libia, che presentano gravi violazioni dei diritti umani, sono stati rin-
novati. Riteniamo che questa situazione sia terribile e chiediamo alla politica di cambia-
re direzione. Negare l’accoglienza è infatti sinonimo di negare un diritto universale e ina-
lienabile dell’essere umano, il fuggire le persecuzioni e il potersi muovere liberamente.
Ancora una volta vediamo come la ricerca di consenso politico venga condotta sulla
pelle di coloro che fuggono dal proprio Paese in cerca di opportunità, come dimostrano
le condizioni disumane di detenzione dei migranti nelle carceri libiche, come è stato de-
nunciato da una pluralità di associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani.

Non possiamo dimenticare il peso decisivo giocato dall’Occidente nella proliferazione
dei conflitti nel mondo, e nel Medio Oriente in particolare. A tal proposito non possiamo
che constatare gli sviluppi della guerra civile in Siria: le forze curde insieme a una parte
siriana sono riuscite a sconfiggere e recuperare i territori precedentemente occupati dal
Daesh. A questo punto, la Turchia ha iniziato a muoversi contro le forze curde per rita-
gliarsi una parte del territorio: davanti all’immobilismo della comunità internazionale
l’esercito turco avanza continuando a perpetrare crimini di guerra, torturando, ucciden-
do e obbligando a fuggire la popolazione curda. L’unico intervento a favore dei curdi è
stato ad oggi da parte della Russia, interessata ad un appoggio strategico in quel terri-
torio, la quale ha creato una zona “neutra” sulla base di negoziati con la Turchia. In real-
tà, l’aggressione turca in Rojava ad oggi continua e la popolazione curda, che ha lottato
per liberare dai gruppi estremisti la propria terra, si trova alla mercé della prepotenza
turca.

Anche altre crisi umanitarie ed altri conflitti armati continuano a preoccuparci, dallo
Yemen alla Somalia, passando per l’Afghanistan e la Birmania, ma anche le nuove ten-
sioni tra Cina e Hong Kong. Tutte situazioni accomunate, purtroppo, dalla sostanziale
immobilità della c.d. comunità internazionale, incapace di proporre soluzioni strutturali.
Reclama la nostra attenzione anche il terrorismo internazionale: mentre due anni fa, in
Occidente, il terrorismo sembrava legato sostanzialmente all’estremismo religioso, con
l’avanzata dell’estrema destra e la sua normalizzazione ci troviamo a dover fare i conti
anche con il terrorismo suprematista e razzista dell’estrema destra. Gli attentati di
Christchurch, dove un suprematista bianco ha aperto il fuoco su due moschee, l’attenta-
to neonazista a Halle in Germania nei confronti di una sinagoga o in Italia l’attentato di
Luca Traini a Macerata nei confronti della popolazione di origine africana sono solo gli
episodi più recenti di una lista che si allunga sempre più. La propaganda dell’odio per-
petrata dalla destra nazionalista è da considerare una parte determinante nella norma-
lizzazione del pensiero razzista e suprematista bianco che, combinato a situazioni di di-
sagio individuale, non può che alimentare una situazione di estrema tensione, pronta ad
esplodere in episodi di violenza e di intolleranza. E’ di fondamentale importanza contra-
stare questa dialettica dell’odio e denunciare la normalizzazione dei messaggi di violen-
za, che oggi connaturano un certo tipo di visione politica e che rischiano di avere gra-
vissimi effetti sull’opinione pubblica nel suo complesso, avvelenandola. Gli esempi non
sono solamente europei: dalle posizioni marcatamente razziste, misogine e omofobe di
Bolsonaro ai continui progetti di muri contro migranti disperati di Trump, la situazione
internazionale non smette di sconfortarci, ma anche di convincerci di come sia impre-
scindibile un’inversione di rotta.

A seguito dell’elezione di Donald Trump a presidente degli USA, infatti, gli attacchi a
sfondo razzista sono aumentati, e il governo americano sembra scandalosamente de-
terminato a non intervenire, indirettamente strizzando l’occhio agli estremismi. Negli ul-
timi due anni la democrazia americana è sembrata indebolirsi, e con essa l’ipotetica
coesione sociale: le elezioni del 2018 hanno visto i Democratici riprendere il controllo
della Camera dei Rappresentanti mentre il Senato resta in mano ai Repubblicani. Per
quanto riguarda la politica estera, Trump sembra voler continuare la sua politica isola-
zionista con decisioni quali il ritiro delle truppe americane dal territorio curdo, che lascia
via libera alla violenza dell’esercito di Erdogan.

Sulla scena internazionale, oggi si stagliano con maggior prepotenza due potenze con-
correnti della supremazia Americana: Russia e Cina. Per quanto riguarda la Russia, par-
liamo di infatti un paese in profonda difficoltà economica, dovuta al crollo dei prezzi
delle materie prime ed alle sanzioni internazionali. La linea politica sposta quindi l’atten-
zione verso l’esterno attraverso l’intervento in Siria, l’alleanza con la Turchia di Erdogan,
il sostanziale successo nel conflitto ucraino, ed altre operazioni volte ad aumentare il
proprio peso politico internazionale. La situazione nel paese è molto grave per quanto
riguarda i diritti civili e la stessa tutela dei diritti umani fondamentali: la diffusione di po-
sizioni ultracattoliche conservatrici, omobitransfobiche e profondamente sessiste, porta
tutt’ora alla repressione, alla tortura e alla detenzione illegale centinaia di persone.

L’altra grande potenza in ascesa sul panorama internazionale è la Cina. Il presidente Xi
Jinping ha accentrato il potere come non succedeva almeno dai tempi di Deng Xiao-
ping, come sembra essere stato confermato dal XIX Congresso del PCC, da cui non è
emerso un suo erede. La sua intenzione di rafforzare la posizione geopolitica della Cina
è resa palese dalla prosecuzione di progetti grandiosi come la nuova via della seta, an-
che detta OBOR (one belt one road), che potrebbe coinvolgere fino a 65 paesi, per un
costo stimato di svariate centinaia di miliardi investiti per migliorare le infrastrutture
commerciali in giro per il mondo, con l’obiettivo di favorire il commercio delle merci ci-
nesi. Ancora, gli investimenti in Africa ed in Europa mostrano l’intenzione di diversificare
l’economia del paese, la cui crescita comincia a decelerare. Allo stesso tempo, però, le
diseguaglianze economiche interne crescono vertiginosamente, l’inquinamento cittadi-
no è diventato insopportabile ed i problemi con le libertà civili non sono migliorati signi-
ficativamente. Riguardo i diritti civili, vogliamo ricordare le incessanti manifestazioni
-con casi violenti- che vedono da giugno protagonista la città di Hong Kong, le proteste
nate in opposizione alla legge di estradizione in Cina -ormai ritirata- proseguono ancora
oggi per la rivendicazione e il mantenimento delle proprie libertà democratiche, la cui
invocazione dell’intervento statunitense apre interessanti riflessioni di politica interna-
zionale. Non siamo tuttavia a richiamare ai vecchi schemi della guerra fredda, la prima
comunista e la seconda capitalista, poiché ora le dinamiche sono completamente cam-
biate: considerare la Cina un paese comunista e ricondurre il tutto a dinamiche bipolari è
anacronistico. Tuttavia, questo sembra portare i manifestanti di Hong Kong ad appiattir-
si verso destra, opposta rispetto allo status quo. Degna di nota è anche la politica ag-
gressiva adottata nel Mar Cinese Meridionale, conteso con praticamente tutti i paesi vi-
cini, dove è giunta persino a costruire isole artificiali per poterne sfruttare le acque terri-
toriali. Quindi, pur mantenendosi, a differenza del vicino russo, a debita distanza dalle
annose questioni mediorientali, anche la Cina sta iniziando a sfruttare l’isolazionismo
statunitense per aumentare il suo peso geopolitico mondiale, e, considerando la sua po-
polazione e la forza della sua economia, è il paese che, più di altri, si candida a racco-
gliere lo scettro di potenza leader globale in un futuro non troppo lontano.

Un conflitto che, invece, non costituisce una novità è quello israelo-palestinese, su cui si
sono riaccesi i riflettori dopo la decisione di Trump di spostare l’ambasciata statunitense
da Tel Aviv a Gerusalemme. Questa scelta, oltre a violare più di una risoluzione dell’ONU,
rischia di mettere a repentaglio un processo di pacificazione già di per sé molto com-
plesso e difficile, e di scatenare un nuovo conflitto armato fra Hamas e Israele. In ogni
caso, aldilà di questi fatti contingenti, la questione della formazione di uno stato palesti-
nese rimane sospesa da troppo tempo. La vita nella Striscia di Gaza e nei territori occu-
pati della West Bank è da anni ai limiti dell’umana sopportazione, gli insediamenti illegali
di coloni israeliani continuano ad aumentare, ed a 50 anni dalla Guerra dei Sei Giorni la
disputa non sembra avviarsi ad una conclusione in tempi ragionevoli.

Infine, negli ultimi due anni si sono riaccese le tensioni in vari paesi del Sudamerica. In
questo periodo sono in corso diverse proteste che incendiano le strade della capitali
Sudamericane contro i governi di Maduro in Venezuela, Pinera in Cile, e Morales in Boli-
via. Le situazioni dei singoli paesi sono differenziate, ma sicuramente la povertà creata
da politiche spesso troppo marcatamente liberiste, da una corruzione dilagante e con
l’assenza di un welfare che possa effettivamente innalzare la qualità di vita dei cittadini
fanno da filo conduttore. é fondamentale che i governi prendano atto della sofferenza
della popolazione e che cerchino di cambiare la struttura di economie fragili, malate e
che non fanno altro che aumentare la forbice tra i ricchi, sempre più ricchi, e i poveri,
sempre più poveri.
Italia
Le elezioni dello scorso 4 marzo 2018 sono state un punto di svolta nella storia politica
italiana: da una parte abbiamo visto l’avanzata del populismo del Movimento 5Stelle,
che ha letteralmente conquistato il Meridione, dall’altra la prepotenza della coalizione di
centro-destra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia), poi esautorata dalla figura del leader
dell’ex partito nordista Matteo Salvini. Abbiamo visto, ancora una volta, l’affluenza de-
crescere rispetto alle scorse elezioni politiche, a causa di una sfiducia generalizzata e
spesso contraria rispetto alla classe dirigente e al sistema politico italiano. Il Movimento
5Stelle è riuscito a portare alle urne persone che non votavano da anni, proponendosi
come forza antisistema su cui costruire una nuova era nella politica: il leader Luigi di
Maio ha addirittura affermato la nascita della Terza Repubblica. Eppure le speranze ripo-
ste nel Movimento da parte degli ex elettori di sinistra sono state mal riposte: le politi-
che del nuovo governo “giallo-verde”, guidato da Giuseppe Conte come Presidente del
Consiglio, sono state inglobate dalle richieste della destra, precisamente della Lega. E’
stato infatti quel partito, fondato sul capro espiatorio delle politiche renziane e dell’im-
migrazione, a dettare l’agenda dell’azione di governo: lo spauracchio dell’Unione Euro-
pea, la criminalizzazione della solidarietà e dei diritti umani con i due decreti sicurezza, il
totale sfregio delle istituzioni pubbliche, il personalismo deleterio. Nonostante il vano
tentativo dei grillini di accontentare l’elettorato portando a casa misure come quota 100
e reddito di cittadinanza, hanno finito per scontentarlo: per quanto avessero originaria-
mente una vaga origine sociale, si sono tradotte in mero assistenzialismo, peraltro mal-
riuscito. L’unica linea politica evidente del governo è stata la continuità con il governo
Gentiloni precedente sulla tematica dell’immigrazione: esternalizzazione delle frontiere,
attacco alle ONG, appello ad un fantomatico decoro contro il degrado delle città; il tutto
affiancato da una campagna di fango sull’Unione Europea, accusata di aver lasciato il
nostro Paese solo nell’affrontare il “problema” migratorio. E quando si è trattato di vota-
re la riforma di Dublino III per cambiare i criteri, per aiutare i Paesi maggiormente coin-
volti nel fenomeno, si è scelto di continuare la retorica vittimista senza permettere all’U-
nione di contribuire. Forza Italia nel panorama di governo è stata letteralmente mangia-
ta, trasformandosi da un partito liberale di punta del centrodestra italiano ad un partito
inesistente e ininfluente. Fratelli d’Italia ha cercato di seguire la propria strada, passando
dall’ininfluenza politica del 2013 ad oltre il 6% alle europee del 2019: guardiamo con
preoccupazione la crescita di questo partito sovranista, i cui militanti sfiorano la destra
estrema. La cosiddetta sinistra è rimasta inerme in questa fase: in Italia non esiste più
una forza di sinistra degna di essere chiamata tale. Manca una formazione politica a li-
vello generazionale, manca la stessa visione politica: l’identificazione sociale, tanto cara
alla sinistra, è divenuta pressoché inutile. L’operaio non vota a sinistra: vota la Lega. Le
forze politiche che si definiscono di sinistra in Italia mancano di ideali e di programmati-
cità: la politica è diventata un hobby dei borghesi annoiati, seguendo una retorica dele-
teria di sterile opposizione priva di un programma serio e costruttivo. Verso i giovani, né
la sinistra né le forze al governo hanno teso una mano: persino il Ministro dell’Istruzione
Bussetti ha sostanzialmente ignorato l’organo di massima rappresentanza universitaria,
il CNSU; di fronte alla continua fuga di cervelli e alla disoccupazione giovanile che sale,
hanno chiuso gli occhi.

Alle elezioni europee di quest’anno abbiamo tristemente constatato un risultato preve-
dibile: l’avanzata della Lega, il suicidio politico dei 5stelle, l’inutilità di un Partito Demo-
cratico sordo alle esigenze del Paese e chiuso nei propri palazzi anche dopo il cambio di
segreteria con Zingaretti. La sinistra ha perso le roccaforti rosse. Alle europee l’affluenza
è stata nettamente inferiore rispetto alle politiche, con una maggiore affluenza però da
parte dei giovani, le cui preferenze di voto sono per lo più europeiste-ambientaliste-libe-
rali.

Con la crisi di governo estiva è successo qualcosa di imprevedibile: Salvini, pensando di
poter ormai monopolizzare l’azione politica eliminando i volubili colleghi grillini, ha so-
stanzialmente fatto cadere il governo nella speranza di andare ad elezioni immediate e
stravincere eludendo così anche il faro mediatico puntato sui legami della Lega con Mo-
sca. Fortunatamente ha sbagliato i suoi calcoli: si è evitato il voto in un momento così
delicato, per la formazione di un nuovo governo, presieduto da Partito Democratico-
Movimento 5Stelle-Liberi e Uguali. Un governo a cui manca la propria base: un pro-
gramma politico comune, una visione comune. Sostanzialmente, si tratta di un governo-
tramite di costruzione della campagna elettorale per le prossime elezioni. Inoltre, recen-
temente, nella prospettiva delle elezioni, Matteo Renzi ha fondato il proprio partito per-
sonale Italia Viva, svelando la vera identità liberista e di destra che non ha mai affermato
pubblicamente negli anni nel Partito Democratico. I renziani del PD sono quindi confluiti
nel nuovo partito e verosimilmente lo faranno anche gli esponenti di Forza Italia proprio
per il fatto che quest’ultima sia diventata la stampella della Lega e abbia perso la pro-
pria anima neoliberale.

Ci auguriamo che la sinistra torni ad animare i cuori e le menti delle persone, accomuna-
ti da una visione comune: un ideale che lotti contro le diseguaglianze sociali, per la cul-
tura, per il lavoro.

Trentino
Se l’Italia piange, il Trentino non ride. La politica internazionale e nazionale sembrano
essere sempre più orientate verso la legittimazione di retoriche, atti e fatti di estrema
destra, anche il “Trentino felix”, l’avamposto autonomista, cede alle narrazioni nazionali-
ste. L’Autonomia, tratto costitutivo della subcultura politica trentina, è stata infatti defi-
nitivamente messa in discussione. Lo si era visto già dal dibattito seguito alla polemica
nata dopo un intervento del noto direttore del TG La7 Enrico Mentana, dal flop dei ten-
tativi di coinvolgere la cittadinanza Trentina attraverso la stesura del Terzo Statuto di
Autonomia o l’organizzazione di eventi e conferenze sul tema e da molti altri segnali
non confortanti. Inquietanti presagi minimizzati, o peggio ignorati, che si sono concre-
tizzati nella grave disfatta elettorale di tutti i membri della ex-coalizione di centro-sini-
stra autonomista che governava la Provincia Autonoma dalla fine della Prima Repubbli-
ca.

Nel 2013 la coalizione, che si trovava al governo della Provincia al momento delle elezio-
ni, sostenuta dal Partito Democratico, dal Partito Autonomista Trentino Tirolese, Unione
per il Trentino, i Verdi, Italia dei Valori, Union Autonomista Ladina e Riformisti per l’Au-
tonomia, aveva ottenuto un risultato plebiscitario, e il candidato Ugo Rossi, figura di
punta del PATT, era stato eletto Presidente con oltre 140mila voti, corrispondenti al
58,12% delle preferenze. Verso la fine della legislatura, nel 2018, si era presentata la pos-
sibilità di una candidatura bis per Ugo Rossi, ma il Partito Democratico ha bocciato
l’ipotesi, fornendo così le ragioni politiche per la definitiva rottura dell’alleanza con il
PATT. Il 6 settembre 2018, il PD assieme a UPT e Futura 2018, lista civica di centro-sini-
stra, hanno optato per la candidatura di Giorgio Tonini, già senatore eletto in Trentino e
Presidente della Commissione bilancio del Senato.

Diversamente rispetto alle elezioni provinciali del 2013, il centro-destra si è presentato
unito. Come nella scorsa tornata, la Lega ha deciso di candidare per il ruolo di Presiden-
te Maurizio Fugatti, rilevante esponente del partito e sottosegretario al Ministero della
Salute. A sostegno di Fugatti hanno corso anche Forza Italia, Fratelli d’Italia, Progetto
Trentino, Agire per il Trentino, Unione di Centro-Centro Popolare, Civica Trentina, Asso-
ciazione Fassa e Autonomisti Popolari.

All’alba del 21 ottobre 2018, si sospettava di una sconfitta per il centro-sinistra, sia per
via della rottura con il PATT sia per la rinnovata forza della propaganda e delle parole
d’ordine della destra: “più sicurezza”, “combattiamo il degrado”, “prima i trentini”. Tutta-
via, nessuno avrebbe mai potuto prevedere una simile rovina per l’amministrazione
uscente. Il successo del centro-destra è stato netto: oltre 120mila voti per Maurizio Fu-
gatti, nuovo Presidente della Provincia Autonoma, che con la Lega ha eletto ben 13 con-
siglieri, conquistando una schiacciante maggioranza di 21 scranni su 35 totali.

Il Partito Democratico del Trentino, il più a sinistra tra i partiti del Consiglio Provinciale
uscente, dopo aver vissuto una fase di radicale incertezza e aver faticato durante la pre-
cedente legislatura ad imporre la propria agenda, ha perso più di quindicimila voti, ve-
nendo quasi doppiato dalla Lega in termini di voti assoluti, ma non è stato l’unico a subi-
re una decisa flessione. Il PATT, forza autonomista di centro che pur esprimeva il Presi-
dente uscente, ha perso quasi diecimila preferenze, risultato forse frutto dell’ambivalen-
za di una linea politica ondeggiante tra la fedeltà e l’ostilità all’ex-coalizione. L’Unione
per il Trentino, che sino al 2012 aveva mantenuto la Presidenza della Provincia Autono-
ma, è stata gambizzata dalla tornata elettorale, dove ha bruciato i due terzi dei voti ot-
tenuti nel 2013. Unica nota positiva è stata l’affermazione di Futura, che con diciasset-
temila voti ha parzialmente recuperato i delusi dell’elettorato trentino di centro-sinistra.
La situazione che si delinea dopo le elezioni politiche è la concretizzazione della pro-
fonda crisi della coalizione di centro-sinistra a livello nazionale, che ha portato ad un’im-
plosione anche a livello provinciale. In Consiglio Provinciale il PD è stato marginalizzato
a favore di una nuova coalizione di destra, e ciò si ripercuote chiaramente sulle politiche
attuate a livello provinciale e cittadino. La centralità dell’Università come investimento
per il territorio è stata continuamente messa in discussione, per uno dei fattori che in
realtà ne segnalano il successo: la presenza maggioritaria di studenti che provengono
da fuori Provincia. Dopo aver con l’Accordo di Milano ottenuto dallo Stato la discussa
delega all’Università, l’amministrazione provinciale sembra ora aver cambiato idea, com-
plice l’inversione di rotta delle elezioni politiche, e non nasconde di desiderare che lo
Stato torni a contribuire al suo finanziamento.

La nuova Giunta leghista non si è fatta di certo attendere e ha immediatamente messo
in atto la sua linea, frutto di una visione ultra-conservatrice del Trentino, dell’Italia e del
mondo. La sospensione e il successivo ridimensionamento dei corsi per l’educazione di
genere, lo smantellamento del sistema provinciale di accoglienza diffusa, il secco rifiuto
di un milione di euro di fondi europei per l’integrazione, i continui attacchi al fondamen-
tale principio di cooperazione, soprattutto internazionale, che ha da sempre animato
l’autonomia trentina, sono solo alcune delle misure varate da un’amministrazione rea-
zionaria, che non ha nemmeno nascosto un certo gusto per l’autoritarismo. Il Presidente
Fugatti, dopo aver dato l’ordine di sgomberare con la forza bruta la sede della Provincia,
dimostrando un inquietante odio nei confronti di un dissenso pure civile, in luglio ha ten-
tato di appropriarsi della Presidenza dell’Opera Universitaria con due proposte di
emendamento, servendosi anche della violenza delle parole e delle azioni del fido allea-
to Claudio Cia di Agire per il Trentino. L’insuccesso della destra unita è derivato dalle
forti denunce, sia nostre che di tutta la sinistra trentina, che dall’abilità politica del Ret-
tore Paolo Collini: l’emendamento leghista è stato ritirato, quello analogo di Cia è stato
bocciato e alla conduzione del Consiglio di Amministrazione è stata nominata la Prof.ssa
Laura Frigotto. Malgrado ciò, la nomina in Consiglio di Amministrazione di un leghista in
quota studentesca, Stefano Osele, non può che suscitare in noi forte preoccupazione, e
non è affatto scontato che il tentativo di sottrarre al Rettore e all’Università ogni con-
trollo sull’Opera Universitaria non si ripeta.

Sopra le imminenti elezioni comunali, che si terranno nel maggio 2020, si stagliano om-
bre inquietanti. L’incertezza è totale, e nessuna forza politica ha ancora presentato la
benché minima parvenza di un programma elettorale. Non v’è alcuna indicazione su
possibili nomi per le candidature: né dalla destra, che probabilmente correrà con una
lista unitaria, né tantomeno dall’ex-coalizione di centro-sinistra autonomista, su cui in-
combono i timori di una possibile Caporetto. In assenza di chiari rapporti di forza e di
una qualsivoglia visione di città, dovremo forse essere addirittura noi studenti, così
spesso accusati di contribuire al cosiddetto “degrado” cittadino, a fornire linfa vitale a
una Trento sempre più confusa, ribaltando finalmente la negatività della narrazione che
ha per lungo tempo contraddistinto la comunità studentesca.
Tesi 2. Idee, valori, battaglie
Socialismo
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.”
                                            Articolo 3 comma II della Costituzione Italiana

La “rivoluzione promessa” di Calamandrei. La Repubblica sociale, inclusiva, equa, solida-
le, plurale e democratica a cui anche oggi abbiamo il dovere di aspirare. Questo è il tipo
di progresso socioculturale per cui ognuno dei volontari dell’UDU Trento si impegna du-
ramente. Perché crediamo che dedicare il nostro tempo, le nostre forze per aiutare gli
altri sia la scelta giusta. Perché crediamo che l’accesso all’istruzione senza questi osta-
coli sia il primo modo in cui possiamo favorire la partecipazione di tutti allo sviluppo
della società. Perché crediamo che il diritto allo studio sia, per l’appunto, un diritto, e
che quindi vadano garantiti a tutti i mezzi per esercitarlo. Perché crediamo che il riscat-
to del nostro paese, della nostra democrazia, ed in generale della nostra umanità non
possa che partire da un impegno quotidiano di noi giovani, specialmente noi universita-
ri, che abbiamo il privilegio di un’istruzione superiore, che dovremmo mettere al servizio
di tutti, non solo della nostra vita professionale. Perché se non ci proviamo noi, chi lo
potrà fare, chi potrà cambiare veramente qualcosa? Perché, se anche raggiungere una
reale parità di mezzi può essere impossibile, operare per avvicinarsi a questo obiettivo
utopico dev’essere un chiodo fisso. Perché ogni volta che un ragazzo rinuncia a studiare
perché non ha i mezzi per farlo, o perché, erroneamente, crede che non gli serva, la so-
cietà intera perde qualcosa. Perché non ci possiamo arrendere all’idea che, se i nostri
nonni ed i nostri padri hanno fallito, anche noi faremo la stessa fine. Perché creare una
vera no-tax area, perché innalzare la soglia ISEE per le borse di studio, perché ottenere
delle agevolazioni per i trasporti sono tutte battaglie atte ad implementare il diritto allo
studio. Perché organizzare iniziative culturali come “La solidarietà non è un crimine” o
“Lo spazio è per tutti?” è una maniera di attirare l’attenzione su situazioni di disagio, con
la speranza di sensibilizzare i nostri coetanei e la cittadinanza tutta sulla necessità di in-
tervenire, e ripensare insieme l’intero sistema. Perché le guerre rispondono agli interessi
di pochi, e mettono in pericolo tutti. Perché i migranti sono persone, con dei corpi, dei
pensieri, delle necessità, delle passioni, dei desideri, dei sogni, come i nostri. Perché il
fascismo è la negazione di tutto questo, perché la nostra è una Costituzione antifascista,
nata dalla Resistenza, perché la diversità non deve farci sentire minacciati, ma arricchir-
ci. Perché la mafia è un cancro, e solo uno stato sociale e veramente inclusivo, non solo
repressivo, può sconfiggerla. Perché i diritti sociali perdono valore senza i diritti civili, ed
i diritti civili perdono valore senza i diritti sociali. Perché senza parità di genere non c’è
vera eguaglianza, perché non possiamo accettare che una donna sia pagata meno di un
uomo solo in quanto donna, perché non è possibile che le donne vengano ridotte ad un
corpo, un oggetto, da cui trarre profitto. Perché la legalizzazione è anche una lotta so-
ciale. Perché i cambiamenti climatici colpiscono le persone più vulnerabili, distruggono
le loro case, le loro vite. Perché se loro non riescono a reagire abbiamo il dovere di farlo
per loro. Perché, in fondo, anche noi crediamo di poter essere vivi e felici, solo se lo
sono anche gli altri.

Guerre e migrazioni
La questione migratoria è indubbiamente la principale sfida che l'umanità e l’Occidente
stanno affrontando in questo secolo. Il dibattito pubblico sul tema è spesso segnato da
una retorica emergenziale, che non corrisponde per nulla allo stato reale delle cose. I
flussi migratori verso i paesi occidentali, infatti, non hanno carattere di emergenza: è di-
ventata un’emergenza nel momento in cui le politiche migratorie hanno trattato questo
fenomeno come tale, senza assolutamente affrontare la questione in modo strutturale e
sorde nel constatare concretamente che i flussi migratori in Europa sono irrisori rispetto
al fenomeno globale. Le migrazioni costituiscono una delle strutturali conseguenze della
depauperazione dei territori di origine dei flussi: bisogna quindi badare alle cause. In
passato infatti, tramite i meccanismi del colonialismo e successivamente della globaliz-
zazione, abbiamo assistito all’assoggettamento delle economie nazionali di molti paesi
alle necessità del capitalismo occidentale, che ha condotto alcuni stati periferici a situa-
zioni economiche e politiche di instabilità ed incertezza. L’Occidente non può permet-
tersi di negare questa responsabilità storica, alzando muri alle frontiere e cercando di
custodire gelosamente il proprio status quo, già duramente aggredito dalla crisi econo-
mica e finanziaria sviluppatasi a partire dal 2008. Lo scivolamento di status della classe
media è infatti uno dei fattori alla base delle posizioni più intransigenti in tema di immi-
grazione. La percezione di una riduzione delle opportunità e di un generale senso di in-
giustizia sociale, generato probabilmente dall’arretramento del welfare state, portano a
considerare gli immigrati come competitor nella lotta per risorse scarse, il cui ingresso
nel nostro paese deve essere limitato per tutelare la popolazione autoctona. Nonostante
i dati ministeriali smentiscano una riduzione delle opportunità lavorative come conse-
guenza dei flussi migratori, esso rimane uno stereotipo fortemente radicato nella narra-
zione pubblica, costellata di luoghi comuni scarsamente correlati con la realtà, insieme a
convinzioni quali la natura “parassitaria” di coloro che usufruiscono del sistema di acco-
glienza italiano o la diretta correlazione tra fenomeno migratorio e questioni legate alla
sicurezza, sia per quanto riguarda la microcriminalità sia in relazione al terrorismo di
matrice religiosa. La deformazione del dibattito pubblico sul tema, trova sicuramente
una delle sue principali cause nella propaganda di partiti e formazioni politiche populi-
ste e xenofobe che diffondono notizie false e manipolate, giocando sull’attrattività emo-
tiva del tema, con il preciso scopo di condizionare il dibattito, sdoganando e legittiman-
do posizioni profondamente razziste. L’argomento è stato uno dei temi caldi alle scorse
elezioni europee, ma da dopo le elezioni avvenute a maggio non se ne è più discusso
nella sede del Parlamento europeo e si cerca di evitarlo. Il fenomeno assume però di-
mensioni realmente preoccupanti nel momento in cui la manipolazione delle news non è
più appannaggio di organi di stampa apertamente schierati e con un pubblico numeri-
camente limitato, ma diventa il modus operandi di media generalisti con un bacino di
pubblico estremamente numeroso. Lo sdoganamento di tali posizioni ha giocato a favo-
re delle formazioni di destra che hanno fatto della questione migratoria il proprio cavallo
di battaglia, guadagnando consenso e costringendo le formazioni di centro-sinistra ad
inseguire gli avversari in una spirale di logiche securitarie e restrittive dal punto di vista
dell’accoglienza. Non serve andare lontano per trovare episodi di intolleranza e razzi-
smo, diversi sono infatti gli episodi di aggressioni, ronde ed attacchi a strutture destina-
te ad accogliere rifugiati, avvenuti in territorio trentino negli ultimi anni, si pensi, per
esempio, al rifiuto da parte della giunta provinciale leghista dei fondi europei destinati
all’accoglienza, al taglio ai progetti per i corsi di italiano e agli abbonamenti ai trasporti
per i richiedenti asilo o al recente caso di caporalato che ha visto sfruttati più di 200
migranti africani anche in Trentino. Riteniamo indispensabile un cambio di rotta nelle
politiche nazionali ed europee; un approccio differente che metta al primo posto la tute-
la di tutti gli uomini e le donne che ogni giorno sono costrette a lasciare la propria terra
e i propri affetti per fuggire da guerre, carestie e mancanza di opportunità. Crediamo
che l’impegno del Governo italiano debba essere indirizzato ad accogliere queste per-
sone, garantendo loro la possibilità di costruirsi un futuro migliore tramite apposite stra-
tegie atte a costruire canali legali di accesso al territorio Italiano e a fornire ai migranti
giunti nel nostro paese gli strumenti e i mezzi necessari ad integrarsi nel tessuto sociale
ed economico nazionale, partendo dall’insegnamento della lingua italiana e giungendo a
corsi di formazione e avviamento al mercato del lavoro, oggi più che mai strumento ne-
cessario per raggiungere la piena integrazione e condurre una vita dignitosa. L’impegno
necessario ad affrontare il fenomeno migratorio non può tuttavia essere limitato al no-
stro paese, ma deve essere preso in carico da tutta l’Unione Europea, garantendo i fondi
e gli strumenti necessari a mettere in atto strategie concrete ed efficaci, ma soprattutto
imponendosi su quei paesi che, violando i principi fondamentali dell’Unione, portano
avanti politiche nazionali di chiusura delle frontiere, come dimostra il caso austriaco e la
militarizzazione del Brennero, rotta principale verso il Nord Europa. Riteniamo che
l’Unione Europea debba impegnarsi a far rispettare il principio della libera circolazione,
riformando le normative sulla richiesta di asilo e permettendo ai migranti di raggiungere
la propria meta all’interno dell’Unione, qualunque essa sia. Riteniamo che l’Unione Euro-
pea debba promuovere una legislazione seria del fenomeno, prima fra tutte una riforma
coraggiosa del regolamento Dublino III. Purtroppo, i segnali per il futuro non sono inco-
raggianti, come dimostrano il decreto sicurezza e il decreto sicurezza bis, fortemente
voluti dall’ex ministro Salvini e approvati dal governo gialloverde, che, oltre ad abolire la
protezione umanitaria e ad aver aumentato il tempo di trattenimento nei centri per il
rimpatrio, ha ridotto di molto le funzioni dello Sprar (diventato Siproimi), infatti i piccoli
centri che ospitano i migranti, sotto l’egida dei Comuni, non potranno più accogliere i
richiedenti asilo ma soltanto minori non accompagnati e chi ha già ricevuto la protezio-
ne internazionale. Nonostante ciò continueremo a batterci per mantenere viva l’atten-
zione su queste tematiche, collaborando con enti ed associazioni che si occupano di as-
sistenza ai migranti, organizzando conferenze e dibattiti sul tema, come già fatto con
“La solidarietà non è un crimine”. Nella città di Trento abbiamo supportato l’ASD Intrec-
ciante fin dalla sua nascita, si tratta di una squadra di richiedenti asilo nata per promuo-
vere l’integrazione attraverso lo sport. Tra le innovazioni che questa realtà sta portando
a livello locale c’è quella dell’organizzazione di un terzo tempo alla fine di ogni partita
per coinvolgere la squadra avversaria e la comunità. Avendo un pubblico più ampio di
altre realtà che operano sul territorio, sicuramente non possiamo e non vogliamo sot-
trarci dal supportare associazioni come il Centro Astalli nel realizzare alcuni progetti e
cercare di promuoverli noi stessi, come avvenuto con la Raccolta beni per senzatetto. La
nostra università si propone spesso come un esempio virtuoso in questo campo, por-
tando avanti diverse iniziative, come il Progetto SuXr, gestito dall’Ufficio Equità e Diver-
sità, per sensibilizzare tutti gli studenti sul tema dell’accoglienza e coinvolgerli in attività
di volontariato in aiuto a richiedenti asilo e rifugiati. A questi fini ha stilato il progetto
richiedenti asilo per garantire a 5 studenti ogni anno l’inserimento universitario presso
l'Università di Trento, una borsa di studio e il posto alloggio per un periodo pari per lo
meno ad un ciclo triennale del percorso di studi universitari e dal 2018 ha attivato il pro-
getto “Adotta uno studente”, che attraverso delle raccolte fondi permette a studenti
usciti dal sistema di accoglienza di ricevere una borsa di studio mensile. Inoltre aderisce
al Manifesto dell’Università inclusiva redatto dalla sezione italiana dell'UNHCR e al net-
work Scholars at Risk, che nello scorso semestre ha contribuito all’inaugurazione del
primo ciclo di seminari di advocacy a sostegno di Amaya, una studentessa dell’universi-
tà Autonoma del Nicaragua, arrestata a causa della sua partecipazione a un movimento
di protesta nazionale. Oltre a pubblicizzare e incoraggiare queste iniziative da parte del-
l’università, dobbiamo impegnarci perché diventino di maggiore portata e coinvolgano
tutti, continuando a portare avanti i valori dell’antirazzismo e dell’accoglienza. Perché
oggi la battaglia da combattere è culturale, contro coloro che professano ideali naziona-
listici, intrisi di razzismo, figli di un passato oscuro e che non possono e non devono tro-
vare spazio nella società odierna. Il confronto, l’accoglienza, il dialogo e l’interscambio
culturale costituiscono gli strumenti necessari a gestire il fenomeno migratorio, mentre
le frontiere chiuse, i muri e gli accordi che mantengono questo dramma umanitario lon-
tano dai nostri occhi sono un’arma che viene utilizzata su chi non ha voce. Allora è
compito nostro accorrere in soccorso di queste persone, prive di qualsiasi mezzo per
organizzare il loro malessere in una rivendicazione di diritti inalienabili, e far si che le
loro istanze diventino le nostre, per una battaglia di civiltà necessaria in un periodo che
passerà alla storia come la più grande violazione dei diritti umani dopo gli orrori del se-
condo conflitto mondiale.

Antifascismo, Resistenza, Democrazia
Questo periodo storico è protagonista di una crisi valoriale che mette a dura prova i
cardini della nostra società civile, la Resistenza ha assunto carattere di valore puro ma
lontano dal vissuto odierno e la Democrazia priva ormai del suo carattere innovativo
stenta a far ricordare la monumentalità delle sue fondamenta e così della forza palese
dei suoi ideali, rispetto dell’altro, tutela delle libertà fondamentali e difesa di deboli e
emarginati. A Cent’anni dalla fine del primo conflitto mondiale un astioso movimento
continua ad avanzare trovando terreno fertile nelle ferite economiche e sociali, con una
spavalderia inconcepibile anche solo cinquant’anni fa. Le bandiere naziste sugli spalti
del Bentegodi, in Italia, e in Europa i cinquantamila ultranazionalisti riversati nelle piazze
di Varsavia a Novembre e la “caccia al musulmano” per le strade dell’ex Germania Est, la
passiva tolleranza dei governi di fronte a tali manifestazioni, comprovano una tendenza
globale di ricaduta delle sicurezze e delle difese democratiche davanti all’ incontrollato
proliferare di partiti populisti che anche nei casi in cui si presentano nominalmente di-
stanti dagli estremismi ne danno meno prova nei fatti. L’Italia perde ogni virtuosismo, la
campagna di cancellazione della memoria storica e di affrancamento dal fascismo stori-
co per legittimare aggressioni di odio, supremazia, disprezzo per le minoranze e per i
diritti altrui procede senza resistenze per mano delle compagini della destra italiana più
o meno velatamente neo-fasciste come Lega Nord, Casapound, Forza Nuova assieme ai
movimenti giovanili di stampo equivalente come Blocco Studentesco e Lotta Studente-
sca. Stiamo parlando di cinquecento ragazzi che fuori dalle scuole, primo presidio nella
tutela dei diritti, manifestano contro le minoranze rom e sinti, di bandiere neofasciste
appese negli spazi nati in difesa della giustizia e della democrazia, parliamo dell’irruzio-
ne di una quindicina di naziskin rigettanti cieche opposizioni alle manifestazioni di soli-
darietà umana nate nei confronti dei migranti e delle minacce allo storico Francesco Fi-
lippi, colpevole di aver sbugiardato il loro mito, e gli insulti antisemiti a Liliana Segre o a
Gad Lerner. E se pensiamo che siano eventi lontani da noi basta voltare l’angolo per ri-
crederci. Le ronde squadriste in Piazza Dante, i pestaggi a danni di studenti fra cui il
caso del liceo Prati per mano di esponenti di Blocco Studentesco e gli accoltellamenti
da parte delle teste rasate di Casapound ci devono far ragionare sulla diffusione capilla-
re, violenta e infettiva che non lascia intoccata la nostra città.Tali fenomeni nella loro esi-
stenza non consistono in ogni modo nel carattere più sconsolante del quadro odierno il
quale è costituito piuttosto dal processo di normalizzazione dei discorsi d’odio e violen-
za. La quotidianità nella sua ripetizione potrebbe rendere l’orrore abitudine, ma è com-
pito della memoria e della coscienza di ciò che è giusto opporvisi, rispondendo alle or-
mai scontate accuse di buonismo o di sentimentalismo politicamente corretto ricordan-
do che la bontà nella nostra società è un dovere, che l’accoglienza, l’impegno al vivere
comune, il rispetto reciproco e il riconoscimento del valore umano dell’individuo sono
imprescindibili in qualunque discorso che pretende di definirsi democratico. Questa
normalizzazione è frutto di un mutamento dei tempi che in un linguaggio di ideali ha
dimenticato di riattualizzarli, confinando determinati termini al lustro e alla polvere di
una teca, invece di darvi nuove contestualizzazioni così da ricordarne il profondo signifi-
cato che va ben oltre la loro collocazione storica. Il 25 Aprile oltre al suo valore di dedi-
ca alla memoria storica è testimone dell’ “omni tempore” valore di uomini, come scrisse
Camus, convinti che fosse meglio morire con la giustizia nel cuore che trionfare con l’in-
giustizia, ai quali il sacrificio e l’onore hanno permesso di vincere facendo a sé vincere
anche la giustizia. È il racconto di un rifiuto totale, ostinato e quasi cieco di un ordine
che voleva mettere gli uomini in ginocchio, di un rifiuto che vede il germe della rivolta
nel rivedersi nelle sofferenze dell’altro, nel riconoscersi fratelli in una comune condizione
umana che non conosce etnia, religione o cultura. Questo ci insegna la Resistenza, la
non indifferenza l’empatia la solidarietà, concetti vicini alla quotidianità che non devono
essere ricordati ma tramandati nel processo di socializzazione di ciascun individuo. La
mancata trasmissione intergenerazionale come sottolineato da Luzzatto è infatti una
delle principali cause della crisi dell’antifascismo, l’educazione provvista da scuola, fami-
glia, società e volendo, dalle comunità religiose, pecca frequentemente di un chiaro pri-
mario riferimento al valore culturale dell’antifascismo che conseguentemente ha visto
erodersi il suo ruolo di determinante politico e identitario. È fondamentale dunque im-
pegnarsi nella diffusione dei loro significati complessivi, e non limitarsi a festeggiare per
il ban ricevuto da pagine e profili neo fascisti sui social, affiancando alle astrazioni e
idealizzazioni la vitalità di una ricontestualizzazione dei contenuti che permetta di rico-
noscere queste categorie anche nelle più fumose dinamiche odierne, perché come disse
Primo Levi “Ogni tempo ha il suo Fascismo” ma veste panni diversi e non sempre così
manifesti. Parallelamente a questa azione la nostra società civile dovrebbe rendersi de-
finitiva e risoluta nella chiusura di qualunque forma di dialogo con esponenti di tutte le
realtà portatrici di messaggi d’odio, razzismo e superiorità etnica a qualunque livello,
privandole di una legittimazione che non meritano e rispondendo a chi si appella a una
fantomatica libertà d’espressione che le libertà danno voce ai diritti fintantoché si per-
mane in un contesto democratico. Inevitabilmente questa situazione andrà a favorire nel
dibattito le componenti di sinistra, le quali vivono un evidente momento di debolezza,
figlio della problematicità del proporre soluzioni immediate e della difficoltà a rimanere
coeso durante la seria analisi di macro problemi nella loro moltitudine di strade percor-
ribili. Problema che diversamente non affligge le destre fasciste, gusci vuoti privi di qua-
lunque elaborazione che risuonano grazie a slogan che di alto hanno solo il volume e ad
appelli alle debolezze degli individui al fine di rivoltarli meschinamente fra loro, il tutto
volendo nascondersi dietro ideali di decoro. Qui si apre la vera sfida per noi e per la sini-
stra. Non ha senso negare ottusamente le debolezze della nostra famiglia politica e della
Democrazia appellandoci ai loro ideali in una sorta di fanatismo messianico, ma proprio
nel costruttivo riconoscimento delle loro imperfezioni impegnarci a portare ogni volta il
peso di scelte che, frutto di solidarietà, sacrificio e rispetto per l’altro si scontrano con
criteri di giudizio funzionali rispondendo però sempre al criterio di giustizia umana. La
difesa è individuale ma la giustizia è comune e costituzionale, infatti la violenza antifa-
scista non può essere più legittimata di qualunque violenza mentre la vera risposta di un
paese che ha a cuore la sanzione di chi ne attacca le fondamenta è il ricorso ad un’ap-
plicazione intransigente della legge Scelba (n. 645/1952), la quale sanziona chiunque
“promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un
movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorga-
nizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponen-
ti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. Dunque,
“Antifascismo, Resistenza e Democrazia” si riconfermano oggi più che mai come i valori
portanti, non solo della gioventù ma di tutti. Noi, come Unione degli Universitari di Tren-
to, continueremo ad impegnarci per creare spazi per lo sviluppo critico delle idee, met-
tendo risolutamente al bando quelle xenofobe e razziste proprie del fascismo, attivan-
doci nella difesa quotidiana dei valori antifascisti e di tutte quelle realtà o di singoli
esponenti che ne fanno parte nella vita di tutti i giorni e nell’Università tramite un lavoro
che vada a toccare tutte le sfumature sociali, economiche e culturali che rendono fertile
il terreno per la ricomparsa di estremismi sconfitti dalla storia della Repubblica. Per que-
sto motivo riteniamo fondamentale preservare l’ambiente universitario e scolastico dalla
contaminazione del neo-fascismo anche attraverso la collaborazione con altre associa-
zioni come l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) partecipando e valoriz-
zando il ricordo e la commemorazione degli eventi che hanno segnato la storia della re-
sistenza, come per esempio la campagna “Mai più fascismi” sottoscritta da ANPI, UDU,
CGIL e la gran parte del tessuto sociale attivo. Attraverso eventi e manifestazioni, conti-
nueremo a difendere la conservazione della memoria collettiva contro il revisionismo
storico. Questo è quello in cui crediamo e questo è quello a cui la nostra organizzazione
si ispira, siamo parti del tutto e tutto è parte di noi ricordando che “siamo tutti uguali
nell’essere diversi”. Per rimarcare la grande forza della conoscenza e della salvaguardia
dei popoli, soprattutto da chi questi popoli vuole dividerli, ricordiamo la citazione di un
nostro compagno:
“Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno.”
                                                                            Enrico Berlinguer

Antimafia
Stiamo vivendo una fase in cui l’illegalità trova terreno fertile ovunque e gli ultimi scan-
dali di Adige Bitumi e delle cooperative infiltrate dalle cosche ce lo dimostrano perfet-
tamente. Sono infatti un chiaro segnale di come il fenomeno mafioso non esista più solo
al Sud, ma si sia ormai da tempo spostato in tutto il resto della penisola e stia spaziando
in vari ambiti. La lotta alle mafie diventa dunque tematica centrale e dobbiamo interro-
garci su come portarla avanti in modo efficace e duraturo. Un primo approccio alla lotta
che noi, come associazione studentesca, abbiamo è quello di promuovere la memoria
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