Astro, il robot tuttofare per la casa by Amazon

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Astro, il robot tuttofare per la casa by Amazon
Astro, il robot tuttofare per
la casa by Amazon

Si chiama Astro il robot che Amazon ha presentato negli Stati
Uniti e che si appresta ad essere il primo automa domestico
per la famiglia. Costa mille dollari e si potrà acquistare,
nei soli States per adesso, solo su invito, in numero
limitato. Il robot, che ricorda molto il protagonista del
cartone animato della Disney Wall-E, è dotato di una
telecamera periscopica che gli consente di espandere il suo
campo visivo e controllare anche cosa succede oltre la sua
statura, a persone, animali e oggetti. Il suo compito
principale è infatti quello di sorveglianza domestica, essendo
anche supportato dal servizio, in abbonamento, Protect Pro di
Ring, che chiama in automatico i soccorsi in caso di aiuto.

Per il resto, è come avere un dispositivo Alexa che si muove
per casa. Risponde infatti ai comandi vocali, può essere
impostato come sveglia o per ottenere le ultime notizie e le
informazioni sul meteo, oltre alla vasta gamma di funzionalità
tramite le “skill” di Amazon. Vista la presenza di fotocamere
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e un microfono, Astro può fungere anche da terminale per le
videochiamate, sia in ingresso che in uscita, utilizzando le
app di teleconferenza compatibili con Alexa. Un occhio di
riguardo è dato alla privacy: i proprietari possono impostare
aree oltre le quali il robot non può andare e spegnere led,
schermo e microfoni, in certe ore del giorno. Dave Limp, capo
dei dispositivi e dei servizi di Amazon, ha detto: “Siamo
andati oltre gli schermi con Alexa. Sappiamo che i clienti non
volevano solo un dispositivo su ruote ma qualcosa di unico e
personale. Ed è quello che abbiamo realizzato con Astro”.

F.P.L.

Diablo II Resurrected, la
forma definitiva di un grande
classico
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Diablo II è stato un gioco fondamentale per moltissimi
appassionati di videogames. Provando la nuova versione
restaurata, o meglio “Resurrected” (disponibile su Ps4, Ps5,
Xbox One, Xbox Series S|X, Pc Windows e Nintendo Switch),
possiamo senza dubbio dire che il titolo ha ricevuto
un’incredibile ristrutturazione a livello grafico. Tutto
questo modernizza la sua estetica senza mai perdere
quell’atmosfera cupa che tutti gli appassionati hanno imparato
ad amare, ma per il resto, proprio per non snaturare il
titolo, niente è stato toccato. Il gameplay è lo stesso, le
meccaniche (tranne qualche minimo cambiamento) sono anch’esse
rimaste identiche e per chi è cresciuto con titoli
contemporanei potrebbe risultare irrimediabilmente antiquato.
Però siamo certi che anche per le nuove generazioni
interfacciarsi con Diablo II potrebbe essere un curioso
viaggio alla scoperta di come ci si divertiva vent’anni fa.
Anche la trama è rimasta la stessa, ma vi vogliamo raccontare
l’incipit proprio per raccontarlo ai più giovani: la vicenda è
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ambientata subito dopo il primo capitolo, il guerriero
leggendario che ha sconfitto il terrificante Diablo è divenuto
corrotto, diventando lui stesso il Signore del Terrore, anche
grazie all’aiuto degli altri Primi Maligni: Baal e Mephisto.
Spetta al protagonista, come ogni eroe che si rispetti,
eliminare il male e riuscire a liberare Sanctuary dalla
minaccia demoniaca, viaggiando da deserti tenebrosi ad
altopiani gelati, fino a temibili fiumi infuocati.

Da un punto di vista di trama, la vicenda di Diablo II è
quella meglio costruita e pensata, tanto da essere ripresa da
Diablo Immortal e destinata a diventare un punto di
riferimento importante per Diablo IV. Dialoghi e cutscene
sorprendono ancora oggi, immergendo il giocatore in un mondo
dark fantasy ben pensato e dalla qualità, ancora oggi,
estremamente sorprendente. Esaminando più da vicino il titolo,
come già detto, ci si accorge di come l’impianto ludico
originale sia rimasto pressoché lo stesso, ma migliorato sotto
il profilo della praticità in game. Molte meccaniche tediose
sono state eliminate, come la raccolta dell’oro,
l’impossibilità di vedere i bonus generali degli oggetti e
soprattutto lo spazio ridotto del forziere, ora ingrandito per
ospitare riserve condivise tra i propri personaggi. E a
proposito di personaggi, le classi sono rimaste le stesse che
si potevano utilizzare 20 anni fa: Negromante, Druido,
Barbaro, Incantatrice, Assassino, Amazzone e Paladino, ognuno
con tre rami di abilità da sfruttare e quattro diversi
attributi da assegnare (forza, destrezza, vita ed energia).
Anche gli oggetti non hanno subito modifiche, se non qualche
cambio di nome dovuto alla localizzazione, di conseguenza non
sono presenti nuovi contenuti. Una differenza sostanziale
rispetto al terzo capitolo della serie, l’unico che le
generazioni più giovani di giocatori potrebbero aver provato
con mano, risiede nel sistema di controllo, qui pensato per
mouse e tastiera e in un secondo momento adattato ai
controller. Se l’utenza PC gradirà (differentemente da quanto
fece nel 2013 al lancio di Diablo III), quella console
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potrebbe trovarsi un po’ spiazzata, perché, sebbene
l’implementazione del controller si sia dimostrata
soddisfacente, è innegabile che la gestione dell’inventario e
lo scorrimento tra i menu rimangano molto più comodi optando
per l’accoppiata mouse/tastiera, tanto quanto la raccolta
degli oggetti lasciati a terra dai nemici sconfitti. La nostra
esperienza di gioco su Xbox non ne ha risentito in modo
particolare complice la grande comodità del controller della
Serie X/S, ma a un occhio attento potrebbero non sfuggire
piccole spigolosità dovute all’adattamento di un “control
scheme” in origine pensato per computer.

Se dal punto di vista del gameplay il gioco non necessitava di
grossi stravolgimenti, dal punto di vista grafico il lavoro
svolto dal team di sviluppo è stato davvero imponente.
Vicarious Visions, d’altra parte, ha praticamente rivoltato
come un calzino il gioco originale, dando vita a un Diablo II
completamente nuovo: animazioni riviste, framerate e
risoluzioni sbloccate, nuove texture ed effetti particellari e
persino l’inserimento della global illumination. L’impianto è
stato interamente costruito sopra l’originale del 2000, ciò
significa che è possibile, in qualsiasi momento e con la sola
pressione di un tasto, passare dalla vecchia alla nuova
grafica, potendo rendersi conto immediatamente le strabilianti
differenze tra la nuova versione e quella più datata, oltre
che di dettagli precedentemente occultati che ora vengono
finalmente alla luce. Tutti gli atti mantengono una qualità
generale piuttosto elevata, lasciandoci qualche dubbio solo e
unicamente per qualche particellare legato alle abilità di
Druido e Incantatrice, ma che nel complesso soddisfano e non
influiscono negativamente sul giudizio finale. Di buon livello
anche le musiche magistrali e il doppiaggio rifatto, ma in
alcune parti leggermente inferiore all’originale: alcune voci
ci sono sembrate decontestualizzate rispetto ai personaggi
sullo schermo, ma nulla di grave se si prende in
considerazione l’incredibile lavoro complessivo svolto.
Tirando le somme, Diablo II grazie alla grafica cupa e
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l’atmosfera maledetta e intrisa di sangue riesce ancora a
trasmettere le sensazioni di vent’anni fa. Grazie al lavoro
svolto il mondo di gioco appare dettagliato e nitido, anche se
sulle console è necessario selezionare la modalità
“prestazioni” (invece che quella “qualità”) per giocare a 60
fps. A parte il compromesso tra risoluzione e frame rate, la
qualità visiva complessiva rimane costante. Visto che la
remastered è progettata per funzionare anche su console last
gen, i possessori di PC con specifiche intermedie possono
stare tranquilli sapendo che Diablo 2: Resurrected è ben
ottimizzato e scalabile. Per celebrarne l’uscita,vogliamo
ricordare in conclusione, Cristina Scabbia (cantante del
gruppo Metal Lacuna Coil) e Mark The Hammer (chitarrista di J-
Ax) hanno composto una canzone dedicata proprio a Diablo (qui
sotto potete guardare il video musocale).

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

Maker Faire 2021 si farà in
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presenza a Roma dall’8 al 10
ottobre

Maker Faire Roma 2021, l’evento dedicato agli inventori, alla
tecnologia e all’innovazione, torna in presenza dall’8 al 10
ottobre nella Capitale, al Gazometro, sia in presenza che
online. Non solo maker ma anche robot, imprenditori,
musicisti, ricercatori, innovatori e artisti tornano a
incontrarsi in questo creativo evento, un mix tra una vetrina
delle tecnologie più dirompenti e un potente incubatore di
nuove idee e applicazioni, che si rivolge a tutti, dagli
imprenditori ai bambini. Una delle grandi tematiche di
quest’anno saranno robotica e Intelligenza Artificiale (IA)
anche grazie alla partecipazione dell’Istituto di Robotica e
Macchine Intelligenti (I-Rim) e il Laboratorio nazionale di
Intelligenza Artificiale del Cini e tanti altri enti e
università. Ma, Maker Faire non è solo tecnologie, robot e
stampanti 3D: non mancano infatti le arti e la musica che
propongono qui intersezioni creative e la presenza di artisti
come Donato Piccolo, Clementino e La Rappresentante di lista.

Maker Faire Rome è il luogo dove maker, imprese, scuole,
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università, centri di ricerca, innovatori, artisti e
musicisti, appassionati di ogni età si incontrano per
presentare i propri progetti e condividere le proprie
conoscenze e scoperte. Sono 8 anni che il Maker Faire accoglie
a Roma giovani innovatori e startupper da ogni parte d’Italia.
Quest’anno tra le novità c’è soprattutto l’attenzione alla
sostenibilità e al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda
2030, per cui molti progetti saranno improntati alla
decarbonizzazione. Per l’edizione di ottobre sono previsti 240
stand e tantissimi appuntamenti legati alla Digital
Transformation tra cui conferenze, workshop, webinar, incontri
con innovatori, policy makers ed esperti su svariati ambiti
tecnologici, dal food all’economia circolare, dalla
cybersecurity alla creatività. All’interno dell’evento sono
previsti anche due contest: “Make to Care”, ideato da Sanofi,
per lo sviluppo di soluzioni tecnologiche rivolte alla
disabilità, e “Make circular”, insieme al Consiglio Nazionale
dei Consumatori pre la realizzazione di progetti legati ai
temi dell’economia circolare.

F.P.L.

Tales of Arise, il Jrpg di
Bandai Namco che lascerà il
segno
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Tales of Arise è arrivato finalmente sulle console (nuove e
vecchie) della famiglia Xbox e PlayStation, ma anche su Pc. Il
titolo si pone come il capitolo della svolta per la celebre
saga, che conta oramai tra le sue fila ben sedici capitoli
rilasciati negli scorsi venticinque anni. Una serie che, al
pari di esponenti più celebri in Occidente quali Final Fantasy
e Dragon Quest, è sempre stata considerata dagli appassionati
come un punto fermo per il genere e che nel corso di oltre due
decenni ha sperimentato diversi gameplay, stili e meccaniche
di gioco. “Tales of” ha proposto negli anni produzioni sempre
diverse e in grado di attecchire su tipologie differenti di
giocatori, arrivando a far crescere globalmente la popolarità
del marchio. Tales of Arise però non solo ricopre il ruolo del
“nuovo capitolo”, ma ha l’importante compito di rompere con un
passato fatto di arretratezze tecniche e sperimentazioni poco
convincenti, provando a offrire una formula che riesca a
soddisfare pienamente gli appassionati del genere, modellando
una nuova identità per la serie e attingendo a quanto di buono
è stato realizzato nei capitoli precedenti, ma anche
ispirandosi ad altri “capisaldi” del genere. Andando con
ordine: per quanto riguarda la trama, il titolo di Bandai
Namco offre una storia interessante e assolutamente ricca di
colpi di scena. Dahna era un pacifico pianeta ricco di energia
e panorami mozzafiato. Un vero e proprio paradiso che si
trasformò in un inferno nel giro di una sola notte, quando
l’esercito del pianeta Rena iniziò l’invasione dallo spazio
senza dare la minima possibilità di vittoria a causa della
loro superiorità tecnologia. Dahna venne quindi diviso in
cinque regioni, ognuna comandata da un lord renano, e la
popolazione resa schiava e sfruttata come forza lavoro per
raccogliere l’energia astrale di cui il pianeta era ricco.
Questa situazione è andata avanti per ben 300 anni, tanto che
ormai gli abitanti di Dahna non conoscono altro che schiavitù
e sofferenza, senza ricordare nemmeno la loro storia e le loro
tradizioni, ma non tutte le speranze sono morte. Alcuni – in
attesa di qualcosa o di qualcuno che riesca finalmente a
ridare a Dahna la possibilità di tornare un luogo libero –
tentano ancora una disperata resistenza nonostante la
prospettiva di vittoria sia praticamente nulla. L’occasione si
presenta con Alphen, uno schiavo dal misterioso passato della
regione di Calaglia. Il ragazzo, destinato a diventare il
protagonista di Tales of Arise, infatti, soffre di amnesia e
non ricorda nulla di sé, e viene chiamato Maschera di Ferro a
causa dell’altrettanto misteriosa maschera che gli copre il
volto e che sembra impossibile da rimuovere. Un’altra
particolarità del personaggio è la totale incapacità di
percepire il dolore, una condizione che lo porta a compiere
atti eroici per salvaguardare gli altri schiavi dagli abusi
delle guardie, ma al tempo stesso lo mette costantemente in
pericolo di vita visto che il non sentire alcun dolore non lo
rende comunque immune alle ferite. La terribile routine di
Dahna viene stravolta quando Alphen incontra Shionne, una
bellissima ragazza dai lunghi capelli rosa, che i renani
stavano portando al campo di prigionia. Il ragazzo spinto
dall’istinto riesce a liberarla grazie anche all’intervento
dei Corvi Scarlatti, un gruppo di ribelli di Calaglia guidato
dal carismatico Zephyr. Shionne tuttavia non è una comune
prigioniera, infatti è una renana intenzionata a combattere il
suo stesso popolo e rovesciare i cinque lord. L’odio verso i
renani per i 300 anni di soprusi non rende comunque facile
fidarsi di Shionne, tenuto conto anche che il mistero attorno
a lei è alimentato ulteriormente da una maledizione capace di
generare degli “aculei” elettrici, che provocano spasmi e
dolori a chiunque provi a toccarla. Shionne quindi è fredda e
distaccata non avendo mai avuto letteralmente contatti fisici
con altre persone, almeno fino all’incontro con Alphen, il
quale non sentendo il dolore, riesce a toccare la ragazza
senza conseguenze. Ben presto però si verrà a scoprire che il
motivo per cui Shionne è stata arrestata è il furto del Nucleo
Primario del Fuoco, un oggetto di grande potere posseduto solo
dai lord. Grazie al Nucleo Shionne riesce ad evocare la Spada
Ardente, una lama di fiamme dalla potenza enorme, ma che
nessuno riesce a brandire senza ustionarsi le mani… ed è qui
che nuovamente l’insensibilità al dolore di Alphen lo rende
l’unico in grado di maneggiarla, purché vi sia Shionne al suo
fianco, avendo lei solo la capacità di attivare il potere
della lama, ma soprattutto essendo dotata di arti curative
tali da lenire le ustioni provocate dall’arma sulle braccia di
Alphen. I renani infatti sono gli unici in grado di
canalizzare l’energia astrale per utilizzare le arti magiche,
e l’improbabile coppia formata dalla renana Shionne e il
dahnano Alphen diventa l’unica possibilità per sconfiggere i
cinque lord e liberare il pianeta. Inutile dire che questo è
solo l’incipit narrativo dei primi minuti di gioco, e che
nelle oltre 40/50 ore per arrivare ai titoli di coda,
l’avventura di Tales of Arise si articola in continui colpi di
scena, e offre la presenza di diversi altri personaggi
coprotagonisti che si uniscono al gruppo. Il giovane Law ad
esempio è un esperto di arti marziali che si fida solo dei
suoi pugni, Kisara è una combattente che utilizza un
gigantesco scudo sia per difesa che attacco, Dohalim con il
suo bastone e le sue trappole intralcia i nemici, mentre
Rinwell può lanciare devastanti incantesimi. Ogni personaggio
ha una sua storia e motivazioni per seguire Alphen e Shionne
nel loro viaggio, oltre ad un gameplay e abilità uniche.
Insomma, con questi presupposti Tales of Arise si mostra come
una vera e propria bomba dal punto di vista della trama.

Per quanto riguarda la giocabilità, le battaglie sono il
fulcro dell’esperienza offerta da Tales of Arise, e Bandai
Namco è riuscita a svecchiare il sistema di combattimento
rendendolo molto più action, ma senza rinunciare comunque ad
una componente più strategica da gioco di ruolo. Oltre agli
attacchi base ad ogni tasto principale del pad può essere
associata un’Arte di diverso tipo utilizzabile solo quando la
barra azione è sufficientemente piena. Trovando le giuste
combinazioni fra arti e colpi si possono creare combo
prolungate e aeree devastanti. Alcune Arti inoltre possono
essere modificate tenendo premuto il relativo tasto per
attivare un ulteriore attacco con la Spada Ardente, ma il
prezzo da pagare è la perdita di una parte della salute di
Alphen, per cui si tratta di mosse da utilizzare con
parsimonia o solo quando Shionne è pronta a utilizzare le
magie curative. Eseguendo mosse dopo mosse ininterrottamente,
quando la salute del nemico è bassa si può attivare un
devastante “Attacco Combinato” con un altro membro del party
che nella maggior parte dei casi darà il colpo di grazia al
nemico. Proprio per tale ragione è fondamentale trovare il
giusto tempismo e alternanza tra Arti e attacchi normali, così
facendo la combo nei momenti cruciali sarà sempre più lunga e
devastante e a farne le spese saranno sempre gli antagonisti.
A questo schema di gioco si aggiunge la schivata che, se
eseguita con il giusto tempismo, permette di scattare subito
contro il nemico per eseguire un contrattacco, accentuando
ancora di più l’anima action del titolo. La componente
strategica di Tales of Arise durante i combattimenti si trova
invece negli Attacchi Boost: una volta riempito l’apposito
indicatore infatti si può chiamare in soccorso uno degli
alleati attraverso la pressione della croce direzionale. Il
personaggio selezionato scatenerà così un’abilità unica da
utilizzare in situazioni specifiche che può essere
fondamentale per portare a buon fine uno scontro. Rinwell ad
esempio può neutralizzare il lancio di una magia del nemico e
prevenirne l’uso per alcuni secondi, Dohalim può evocare
piante dal terreno per bloccare i movimenti degli avversari
troppo sfuggenti mentre Law concentrando l’energia nel pugno
può sfondare le difese dei nemici corazzati e così via. Come
già detto gli Attacchi Boost possono cambiare le sorti di una
battaglia se utilizzate al momento giusto, in particolare
negli scontri contro i boss enormi per lasciare esposti i
punti deboli da colpire. Queste abilità possono essere
utilizzate anche nelle fasi esplorative per sbloccare aree
altrimenti inaccessibili. Tornare indietro, spostarsi in
luoghi lontani per superare aree precedentemente inaccessibili
o semplicemente riprendere una quest secondaria rimasta in
sospeso è molto facile in quanto è presente un sistema di
viaggio rapido attivabile dalla mappa di gioco. L’esplorazione
del mondo in Tales of Arise è rimasta sostanzialmente
invariata rispetto ai precedenti capitoli, con aree
all’apparenza aperte ma sostanzialmente dei lunghi corridoi
che non lasciano molto spazio di manovra se non per poche
deviazioni. Il ritmo di gioco è quindi serrato passando in
continuazione da un combattimento all’altro concedendosi
qualche breve pausa per raccogliere magari dei materiali utili
per il crafting. Negli accampamenti e negozi infatti si
possono creare nuove armi, armature e accessori sempre più
potenti, oltre alle ricette per pietanze che offrono vari
bonus passivi per un tempo limitato. Queste azioni si rendono
necessarie anche per sbloccare i Titoli, ovvero i vari “rami”
dell’albero della abilità. Come ogni gioco di ruolo che si
rispetti uccidendo mostri e completando missioni si ottengono
dei punti da spendere per sbloccare nuove caratteristiche
attive e passive, ma la particolarità è che per accedervi è
necessario prima conquistare il relativo Titolo. Le condizioni
per ottenerli sono sempre specificate e la maggior parte si
può conquistare semplicemente proseguendo per la storia, ma
per conquistare il pieno potenziale di un personaggio e la
lista completa delle abilità è necessario dedicarsi anche ad
attività extra.
Dal punto di vista tecnico Tales of Arise si difende
egregiamente, con la versione Xbox Series X che sfoggia una
risoluzione in 4K e 60 fps stabili, mentre su Series S si
mantengono i 60 fps ma con risoluzione a 1440p. Sulle console
della precedente generazione invece ci si deve accontentare
dei 1080p e 30 fps, anche se in un titolo così veloce e
frenetico come Tales of Arise il frame rate dimezzato è un
elemento da tenere in considerazione. Ottimo anche il
doppiaggio sia giapponese che inglese, così come la
localizzazione dei testi in italiano. Stupenda, invece, la
colonna sonora di Motoi Sakuraba che, per la prima volta nella
serie, ha avuto a disposizione un’orchestra sinfonica con cui
dilettarsi per la composizione dei brani presenti nel gioco.
Anche se in alcuni momenti ci è parso che il compositore abbia
voluto utilizzare ogni singolo strumento a sua disposizione,
siamo certi che moltissime delle tracce presenti all’interno
di Tales Of Arise diventeranno delle “fan favorite” in seguito
al primo ascolto. Al livello di difficoltà standard, il gioco
offre un’esperienza estremamente equilibrata, con dei
(prevedibili) picchi di difficoltà solo durante le battaglie
opzionali contro gli Zeugle Giganti; in ogni caso, Tales of
Arise permette un’eccellente personalizzazione del
comportamento degli alleati. In ogni caso, menzione d’onore
anche alla programmazione generale dei compagni di squadra,
che riescono ad agire tempestivamente e in modo intelligente
anche nel caso in cui si lasci loro completa autonomia.
Tirando le somme, possiamo dire che Tales of Arise è un JRPG
in grado di far contenti tanto i fan di vecchia data della
saga, quanto i neofiti: accessibile, esteticamente appagante e
dal ritmo sempre scorrevole, è riuscito a rinfrescare il
sistema di combattimento con un ottimo compromesso tra azione
e strategia, senza però accantonare la componente parametrica.
L’ottimo doppiaggio e la bellissima colonna sonora
accompagnano alla perfezione un’avventura che merita
assolutamente di essere vissuta e, perchè no, rivissuta in
Nuova Partita +, con i bonus offerti dai misteriosi e potenti
Manufatti. Se state cercando un Jrpg bello da vedere, con una
trama coinvolgente e dai contenuti profondi, Tales of Arise è
un titolo da non lasciarsi assolutamente scappare.

GIUDIZIO GLOBAKLE:

Grafica: 8.5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 9
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

Surface, Microsoft svela la
nuova lineup con Windows 11
Microsoft ha svelato la più grande estensione della gamma di
dispositivi Microsoft Surface di sempre, tutti progettati con
il nuovo sistema operativo Windows 11, disponibile a partire
dal prossimo 5 ottobre. Nel corso dell’evoluzione dei
dispositivi Surface è stato possibile assistere a una completa
sinergia tra hardware e software: per questo motivo, le new
entry della gamma Surface sono state ideate per portare
l’esperienza e l’innovazione di Windows a un nuovo incredibile
livello.

La nuova lineup include:

· Una rinnovata interpretazione del concetto di laptop
attraverso il nuovo Surface Laptop Studio.

· New entry nella famiglia dei 2-in-1 firmati Surface con
Surface Pro 8, il nuovo Surface Go 3 (disponibile sul mercato
italiano dal prossimo 5 ottobre), novità per il Surface Pro X,
senza dimenticare l’estensione dell’apprezzato Surface Pro 7+
anche per un’utenza consumer, a partire dal 5 ottobre.
· Il nuovo Surface Duo 2, disponibile per un’utenza business.

· L’arrivo di una serie esclusiva di accessori, tra cui la
nuova Surface Slim Pen 2

La prima new entry della gamma è Surface Laptop Studio,
disponibile sia per un’utenza consumer che business, il
dispositivo Surface più potente mai progettato all’interno
della linea. Studiato appositamente per sviluppatori,
professionisti, creativi, gamer e designer, Surface Laptop
Studio offre la potenza di un PC desktop, la praticità di un
laptop e un vero e proprio studio creativo, il tutto in un
unico device. Il nuovo Laptop Studio vanta, infatti, una nuova
Dynamic Woven Hinge ultra resistente, che permette la
transizione dalla modalità Laptop, alla modalità Stage, sino
ad arrivare alla modalità Studio. Sono stati inoltre
annunciati tre nuovi 2-in-1 firmati Microsoft Surface, ideali
per gli utenti che non desiderano rinunciare alla versatilità
e alla praticità. Il primo è il Surface Pro 8 che, grazie al
processore Intel Core di 11esima generazione e due porte
Thunderbolt, diventa il 2-in-1 più potente della famiglia
Surface. Il secondo è Surface Go 3, il Surface touchscreen 2-
in-1 più versatile della gamma, che vanta lo stesso design e
form factor di Surface Go, più potente che mail, grazie a
processori Intel Core più veloci e un’autonomia in grado di
coprire un’intera giornata di lavoro. La versatilità tablet-
to-laptop rende questo dispositivo ideale per le attività
quotidiane, i compiti e il gioco. Infine, il Surface Pro X è
ora disponibile nella versione Wi-Fi only. Il device, già
presente sul mercato, è perfetto per gli utenti che cercano
flessibilità e velocità in un unico dispositivo. Surface Pro
8, Go 3 e Pro X saranno disponibili sia nella versione
consumer, sia per un’utenza business. Dopo il successo della
versione for Business, il Surface Pro 7+ arriva il prossimo 5
ottobre anche per il canale consumer, ed è il device ideale
per chi è alla ricerca di un design classico e dotato dei più
recenti processori. Surface Pro 7+ possiede inoltre una
maggiore estensione della batteria, SSD rimovibile e LTE.
Svelato inoltre l’atteso Surface Duo 2, disponibile per
un’utenza business. Rispetto al modello precedente, Surface
Duo 2 vanta un design rinnovato e alcune novità, per garantire
all’utente      il    massimo    della     produttività      e
dell’intrattenimento a portata di mano. Il nuovo Surface Duo 2
è, infatti, dotato di schermi più grandi, una maggiore durata
della batteria, una fotocamera dinamica a tripla lente e
supporto 5G. Dall’integrazione con Microsoft 365 e Microsoft
Teams, Duo 2 consente innumerevoli abbinamenti di app e
capacità multitasking senza pari. Infine, Microsoft ha
annunciato nuovi accessori PC pensati appositamente per i
nuovi arrivati della famiglia Surface, e non solo. Tra questi,
la nuova Surface Slim Pen 2, con un design sottile e facile da
impugnare, in grado di offrire un’esperienza di scrittura su
schermo del tutto naturale; il nuovo Ocean Plastic Mouse, un
accessorio eco-friendly, costituito in parte da plastica
riciclata proveniente dagli oceani e dalle spiagge; le nuove
Cuffie Microsoft Modern USB-C, certificate per Microsoft
Teams, dotate di funzionalità audio e voce di alta qualità.

Prezzi e disponibilità

· Surface Go 3, nella versione consumer, sarà disponibile
nella colorazione Platino sul Microsoft Store e presso i
principali retailer fisici e online a partire dal 5 ottobre al
prezzo di 449,00 €. Il pre-order è disponibile sul Microsoft
Store che offre il 5% di sconto dedicato a studenti, genitori,
insegnanti sul nuovo dispositivo. Sempre sullo store di
Microsoft è possibile preordinare anche la versione business,
nella colorazione Platino e nella variante wifi.

· Surface Pro 7+ nella versione consumer         sarà   invece
disponibile a partire dal 5 ottobre.

· Surface Laptop Studio, Surface Pro 8, Surface Pro X con
Windows 11 preinstallato saranno, invece, disponibili a
partire da gennaio 2022. Attesi per l’inizio del prossimo anno
anche le versioni for business.

· Surface Duo 2 sarà disponibile per i clienti aziendali e per
il settore della formazione il 15 novembre.

· Accessori: maggiori informazioni su Surface Slim Pen,
Surface Adaptive Kit, Ocean Plastic Mouse e Microsoft Modern
USB-C Headset saranno disponibili sempre sul Microsoft Store.

F.P.L.

NBA 2K22, un gran canestro
sul parquet della next-gen

NBA 2K22, l’acclamato simulatore di basket sviluppato da
Visual Concepts, è arrivato come di consueto ed è pronto a
regalare ore e ore d’incredibile sport simulato sulle console
next-gen di casa Microsoft e Sony. Nella nostra analisi del
titolo metteremo in evidenza come come il team di sviluppo per
quest’anno abbia deciso di concentrarsi da una parte sulla
creazione di nuovi e potenzialmente interessanti modi di
giocare, e dall’altra nel sistemare i diversi punti deboli
emersi al debutto su quella che, ad un anno di distanza, viene
ancora considerata la nuova generazione di console. E’
principalmente a livello di gameplay che si notano subito le
prime grandi novità rispetto a quei piccoli incidenti di
percorso avvenuti l’anno scorso. NBA 2K22 ha apportato alcune
importanti modifiche all’azione in campo che contribuiscono a
renderlo un gioco più realistico del solito, in particolare il
modo in cui gestisce la perdita di resistenza e di forza
fisica durante il dribbling. In 2K21 era facile correre contro
un difensore sul perimetro, evitare l’intervento di un Curry
qualsiasi (si fa per dire) e colpire dalla zona dei tre punti
senza sudare. Contro la CPU questa tattica era quasi
indifendibile, specialmente in MyTeam dove le carte giocatore
sono state rapidamente rese ridicolmente potenti. In NBA 2K22
è ancora possibile impiegare tattiche del genere, ma la
perdita di energia dovuta a sprint e dribbling è decisamente
molto più realistica. Man mano che il giocatore diventa più
stanco il suo misuratore di tiro si riduce, rendendo più
difficile centrare il canestro. Questo porta a un gioco che
inizialmente sembra più lento rispetto ad NBA 2K21, ma se si
gioca cercando soprattutto il controllo della palla senza
tener premuto il tasto dedicato allo scatto, si ha più tempo
per mandare la palla a canestro grazie ad un meter di tiro più
grande. Potrebbe non sembrare un cambiamento importante
all’inizio, ma porta ad utilizzare uno stile di gioco molto
più aderente alla realtà rispetto a quanto si sia visto la
scorsa stagione. Non potendo quindi più utilizzare lo scatto
in maniera indiscriminata, si è portati a giocare ad un basket
di squadra con il pick and roll che diventa presto una fra le
mosse più utilizzate sul parquet, soprattutto nelle modalità
non on line. Imparare come e quando usare le abilità di
palleggio e la velocità per superare i difensori su un pick
farà la differenza. Oppure si può usare il pick and roll per
forzare un cambio e andare a lavorare contro il difensore più
piccolo; si tratta di tattiche un po’ troppo devastanti a
volte, anche se vengono ampiamente contrastate dai
miglioramenti implementati sul versante delle tattiche
difensive. Inoltre, Visual Concepts ha completamente
riprogrammato i sistemi di contestazione dei tiri e di blocco.
Come per il pick and roll, si può iniziare ad avere la
sensazione di avere troppa potenza; tuttavia, l’attacco è
molto più propenso a drenare i jumper aperti, il che significa
che non si può semplicemente cedere o fare affidamento su una
contestazione tardiva. Anche le situazioni legate alle palle
rubate sono state migliorate con nuove animazioni basate sul
punteggio totale assegnato alla capacità del giocatore di
rubare palla, il tutto assolutamente fedele a quanto avviene
nella realtà. Si assiste, inoltre, ad una decisa riduzione dei
fastidiosi episodi di “bump steals” (il furto della palla da
parte dei giocatori gestiti dall’IA) anche se permangono
alcuni difetti nelle animazioni, soprattutto nella modalità
“The City” quando si assiste ancora ad una spiacevole
compenetrazione di poligoni. Un gameplay migliorato non
significa molto però se non si hanno delle modalità di gioco
in grado di sfruttarlo pienamente e, da questo punto di vista,
l’offerta di Visual Concepts è particolarmente ampia e i fan
della serie saranno certamente molto lieti del lavoro svolto.

Iniziamo dalle aggiunte più corpose. I ragazzi di Visual
Concepts hanno deciso di pensare in grande, per NBA 2K22. Come
di consueto la modalità “La Mia Carriera” rappresenta il
piatto più succoso dell’offerta ludica, nonostante quest’anno
sia affiancata da dei contorni tutt’altro che trascurabili. Al
contrario degli episodi passati, in questo nuovo titolo il
percorso verso la celebrità del proprio alter ego virtuale
viene calato senza grossi preamboli all’interno dello spazio
“social free roaming” che, per le edizioni next-gen (ovvero
PS5 e Xbox Series X), assume le sembianze di una metropoli
fatta e finita. Il progetto è davvero molto ambizioso e,
infatti, come spesso accade alle scommesse dalla posta troppo
alta non tutto, agli sviluppatori, è riuscito come
probabilmente speravano, ma nel complesso il risultato finale
è senza dubbio di altissimo livello. I Visual Concepts hanno
indubbiamente lavorato per migliorare il format che debuttò
nel corso del primo periodo di vita della nuova generazione di
console. E, per certi versi, ci sono riusciti. Per molti
altri, invece, hanno fatto il passo più lungo della gamba. La
Città non è altro che un pantagruelico calderone ribollente di
attività, in cui ognuno può plasmare il destino del proprio
cestista digitale, quest’ultimo creato a partire dal consueto,
sconfinato editor, a cui ormai i giocatori sono abituati da
anni abituati. Quest’anno, infatti, le novità che accompagnano
MP (questo il nome del giovane esordiente per il 2022) non
mancano. Partendo dall’assunto secondo il quale ogni giocatore
NBA che si rispetti è anche un “brand”, gli sviluppatori hanno
parcellizzato la modalità principe del pacchetto in decine di
attività diverse: abbigliamento, musica, allenamenti, social,
sponsorship, il tutto declinato in un sistema di missioni del
tutto inedito per il genere. In questo senso, gironzolando per
la città sembra di trovarsi all’interno di una specie di
sandbox in cui è possibile perdere il proprio tempo con una
valanga di cose extra da fare come far shopping, giocare in
uno dei tanti campetti sparsi qua e là, oppure a completare
missioni principali, sfide secondarie, eventi settimanali e
stagionali. Qualsiasi cosa, all’interno dello spazio condiviso
può fornire ricompense, estetiche o in esperienza, con cui
arricchire la vostra collezione. Inoltre, qualsiasi cosa
facciate vi porta a guadagnare punti MVP, i quali servono
sostanzialmente come un indicatore della popolarità
all’interno della cerchia metropolitana. Insomma, il focus non
sembra essere più sul “semplice” gioco del basket, perlomeno
nella modalità La Mia Carriera. La palla a spicchi e le
opportunità di perseguire diverse strade come la G League, il
College o direttamente il draft della NBA ci sono sembrate
relegate alla funzione di mero orpello, rispetto alla priorità
che è quella di diventare il giocatore più popolare di sempre.
Non a caso il protagonista parte già come YouTuber da strada
con il pallino della fama… insomma, non ci si trova dinanzi a
una grande storia di riscatto sportivo. Visual Concepts e 2K,
così facendo però, sono riusciti a centrare l’obbiettivo:
ossia quello di dare in pasto ai giocatori sempre affamati di
contenuti inediti modi per passare il tempo. Questa virata
verso un’esperienza ludica da GDR open world, potrebbe essere
la dimensione ideale per rinnovare e svecchiare la serie e
offrire un titolo ancora più longevo e appassionante. Detto
ciò però c’è da dire che un’impostazione del genere va a
snaturare un po’ l’essenza e il significato della Carriera.
Infatti è molto facile perdersi e non seguire il filo degli
eventi, prediligendo semplicemente il farming dei sempre
onnipresenti VC points. Questo nuovo spazio metropolitano
“open world”, ad ogni modo, soffre moltissimo anche sotto un
altro punto di vista: quello tecnico. L’enorme mole processi,
giocatori e attività da gestire fa singhiozzare persino la
Xbox Series X. Lag, stuttering e pop up sono purtroppo
onnipresenti quando si gira per la città. Insomma, spostarsi
spesso diventa un’agonia. I Visual Concepts, inoltre, hanno
dimostrato di non aver estrapolato le migliori caratteristiche
del genere a cui si sono voluti ispirare, presentando una
creatura ancora troppo ambiziosa e troppo grezza. In ogni caso
lo sforzo è encomiabile e fa ben sperare per le edizioni
future.

Fra le varie modalità di gioco di NBA 2K22 è presente anche
“The W”, ossia una sorta di carriera dedicata alle giocatrici
della WNBA, il campionato femminile della NBA. Niente città,
poca narrativa, tanto campo, allenamenti e microgestione della
propria giocatrice. Anche sul parquet VC ha lavorato bene e si
“sente” che si sta giocando ad un gioco diverso rispetto a
quello dei colleghi uomini. Tutto, a partire dalle animazioni
del palleggio al tiro, è diverso e bisogna reimparare a stare
in campo, facendo girare di più la palla e apprezzando in
questo modo questa variante della pallacanestro sicuramente
meno spinta dal punto di vista fisico, ma non per questa meno
vera. Anzi, il fatto che sia una modalità molto più asciutta
rispetta a myPlayer consente di respirare molta più
pallacanestro in The W rispetto che nella Città, dove, tra
sponsor, rap, vestiti, capricci, litigi e cavolate varie si
perde un po’ di vista il lato sportivo e affascinante dello
sport in favore di quello commerciale. Un’altra modalità che è
tornata invece pressoché invariata è myTeam, per semplificare
una sorta di FUT, ma di NBA 2K22. Si tratta di una modalità
che mescola il Fantasy Basketball con il gameplay di NBA 2K.
Si parte sbustando un serie di pacchetti utile a formare un
quintetto sensato, più le relative riserve. Queste saranno più
o meno forti in base alla fortuna del giocatore, ma potranno
essere potenziate con nuovi distintivi in grado di migliorare
alcune loro statistiche, così da colmare alcune lacune o
rendere inarrestabili i punti di forza. Anche in questo caso i
soldi, quelli veri, possono velocizzare la creazione di team
formidabili e composti da carte rarissime e potentissime, ma,
a differenza del mioGiocatore, qui ci sono molte più
possibilità per poter giocare liberamente in modo da
accumulare risorse con le quali colmare più facilmente il gap
con i giocatori paganti. La necessità, anche in questo caso,
di monetizzare è visibile nella modalità Draft. Qui un
giocatore compone in maniera casuale il proprio team e può
continuare a utilizzarlo fino a quando non accumula 3
sconfitte. La modalità perfetta per chi cerca un qualcosa di
leggero e veloce, che non necessiti necessariamente ore di
grinding spinto. Peccato che il numero di ticket per accedervi
gratuitamente sia limitato e i nuovi biglietti vadano
comprati. Questa continua presenza di microtranzazioni ed
elementi di questo genere rischia di far passare in secondo
piano il fatto che, alla fine dei conti, ci troviamo di fronte
a uno dei migliori giochi di basket di sempre. Le modalità
sono tante e adatte a tutti i gusti, da coloro che amano il
basket da strada a quelli che vogliono provare le emozioni di
essere un General Manager di una franchigia NBA. Ci sono le
squadre della WNBA, le squadre classiche e tutta una serie di
contenuti che si modificano e aggiornano quasi in tempo reale
in base alla stagione in corso. Per quello che concerne
l’aspetto visivo, da un punto di vista puramente grafico,
sulle console di nuova generazione ci troviamo davanti ad uno
spettacolo che rasenta il fotorealismo. Soprattutto nelle fasi
precedenti alla partita vera e propria, l’impostazione
televisiva di riprese e menu ci regala l’illusione di essere
sintonizzati per sbaglio su ESPN. Durante i match si palesa
ancora, di tanto in tanto, l’eccessiva pesantezza con cui
alcuni atleti si trascinano sul campo, ma complice il già
citato maggior ritmo d’azione, anche questo è un difetto
archiviato. I 4K e i 60 fps sono sempre garantiti anche se,
durante le fasi d’esplorazione della città, come già detto, i
cali di frame-rate conditi da qualche fastidioso bug come
compenetrazioni di poligoni ecc… macchiano l’esperienza
complessiva di gioco. Tirando le somme, con NBA 2K22 i ragazzi
di Visual Concepts e 2K hanno riscritto pesantemente alcune
delle dinamiche di gioco più importanti, portando su schermo
un prodotto più bilanciato, equilibrato e che riesce a parlare
veramente a tutte le tipologie di giocatori. Tra queste
spiccano senza dubbio la difesa e il sistema di tiro, ora più
chiare e soprattutto più accessibili e meno frustranti. A ciò
si aggiunge il solito, strabordante, numero di modalità di
gioco, quest’anno arricchite ulteriormente da tantissime
chicche in grado di incrementare a dismisura la giocabilità
sia in modalità offline che online, in primis MyTeam e
MyCareer. Quest’ultima rappresenta il punto più alto della
produzione made in 2K grazie ad un palese miglioramento del
comparto tecnico; allo stesso tempo, però, contiene anche
l’unico vero elemento negativo del gioco, ossia quella
componente pay-to-win che inevitabilmente richiama
l’attenzione del giocatore. In definitiva, se siete
appassionati di basket quest’anno andate a colpo sicuro,
quindi non pensateci su due volte e date fiducia a questo
incredibile se pur non perfetto NBA 2K22 e siamo certi che non
ve ne pentirete. Se invece siete curiosi di scoprire il mondo
di gioco offerto dalla saga oppure vi avvicinate per la prima
volta a un videogame del genere, quest’ultima edizione della
saga 2K saprà farvi tuffare nell’incredibile mondo del basket
contemporaneo e vi regalerà molte ore di sano divertimento sia
da soli che online.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

iPhone 13, Apple svela i
nuovi   modelli dei  suoi
smartphone
iPhone 13 è finalmente realtà, ma cosa hanno da offrire
realmente i nuovi smartphone della Mela morsicata? Andiamo a
scoprirlo insieme. Martedì 14 settembre Apple ha presentato i
nuovi iPhone 13 e iPhone 13 Pro, nel corso di un evento
trasmesso in streaming e organizzato all’Apple Park, il campus
da poco costruito dalla società a Cupertino in California. Al
primo sguardo, i nuovi iPhone 13 e 13 mini sono praticamente
indistinguibili dagli iPhone 12 e 12 mini presentati l’anno
scorso: le uniche differenze estetiche sono il fatto che il
cosiddetto “notch”, cioè la tacca scura che si trova nella
parte superiore dello schermo e che contiene la fotocamera
frontale e i sensori per il riconoscimento facciale, è più
piccolo (di circa il 20 per cento) e che la disposizione delle
due fotocamere posteriori è cambiata: prima erano una sopra
l’altra, adesso sono leggermente sfalsate, in diagonale. Dal
punto di vista delle caratteristiche, ci sono alcune novità
più sostanziose. Gli schermi di iPhone 13 e iPhone 13 mini,
rispettivamente da 6,1 e da 5,4 pollici, secondo Apple sono
più luminosi all’aperto del 28 per cento rispetto alla
versione precedente ma, al contrario delle aspettative di
alcuni esperti, non godono della tecnologia ProMotion, che
rende la visualizzazione più fluida aumentando la frequenza di
aggiornamento dello schermo. I nuovi iPhone sono inoltre
equipaggiati con l’ultimo processore prodotto da Apple, che si
chiama A15 Bionic. Al contrario di quanto faceva negli anni
precedenti, Apple non ha paragonato le performance del nuovo
processore con quelle della generazione precedente (A14
Bionic), ma si è limitata a dire che A15 Bionic è fino al 50
per cento più veloce della concorrenza nella capacità di
calcolo e fino al 30 per cento più veloce nella grafica.

I processori di Apple, anche grazie all’integrazione tra
hardware e software, sono comunque considerati unanimemente i
migliori sul mercato, e tutti gli anni si mostrano nei test
come notevolmente più potenti di quelli della concorrenza. Due
novità che faranno piacere ai clienti riguardano la batteria,
la cui durata secondo Apple è migliorata rispetto al modello
precedente (fino a due ore e mezza in più per iPhone 13 e fino
a un’ora e mezza in più per iPhone 13 mini) e la memoria: il
modello più economico di iPhone 13 non parte più da 64
gigabyte di memoria (considerati ormai da anni come un po’
pochi anche per le esigenze comuni) ma da 128 giga. Come tutti
gli anni, Apple ha insistito molto sulle nuove performance
delle fotocamere dei suoi iPhone, che sono sempre due: una con
obiettivo grandangolare, che potrà catturare il 47 per cento
di luce in più e avrà un nuovo sistema di stabilizzazione per
evitare le foto mosse, e una con obiettivo “ultra
grandangolo”. Apple ha presentato anche una nuova funzione
chiamata “modalità Cinema”, che consente di registrare filmati
che abbiano gli sfondi sfocati simili a quelli di un film, e
che riconoscono automaticamente i volti di chi è inquadrato. I
nuovi iPhone 13 e 13 mini saranno disponibili a partire dal 24
settembre. I prezzi di iPhone 13 partono da 939 euro, mentre
quelli di iPhone 13 mini da 839 euro. Anche i nuovi modelli
Pro e Pro Max degli iPhone 13 (con schermi rispettivamente da
6,1 e 6,7 pollici) sono esteticamente quasi indistinguibili da
quelli vecchi, eccezion fatta per il “notch” più piccolo e
alcuni nuovi colori. Tra le differenze più importanti a
livello di caratteristiche ci sono lo schermo, che utilizza la
tecnologia ProMotion e ha una frequenza di aggiornamento
massima di 120 Hz, che rende le animazioni e i video più
fluidi, un miglioramento della durata della batteria (un’ora e
mezza in più per iPhone 13 Pro e due ore e mezza in più per
iPhone 13 Pro Max) e il nuovo processore A15 Bionic, che nella
versione installata sugli iPhone Pro è un filo più potente
anche di quello installato sugli iPhone “normali”. Sono
migliorate anche le fotocamere. Apple si è concentrata in
particolare su quella ultra grandangolare, che dovrebbe essere
più luminosa e avere un autofocus migliore. Anche la
fotocamera grandangolare ha una migliore apertura, che le
consente di catturare più luce. Sono state aggiunte inoltre
nuove modalità fotografiche, come la fotografia macro. I nuovi
iPhone 13 Pro e 13 Pro Max saranno disponibili a partire dal
24 settembre. I prezzi di iPhone 13 Pro partono da 1.189 euro,
mentre quelli di iPhone 13 Pro Max da 1.289 euro.

F.P.L.

Aliens Fireteam Elite, gli
“Xeno” escono ancora dalle
pareti

Aliens Fireteam Elite, disponibile su Pc e sulle console della
famiglia Xbox e PlayStation, è un frenetico sparatutto che
catapulta i giocatori nei luoghi più noti della saga
cinematografica. La storia alla base di Aliens Fireteam Elite
è quanto di più semplice e lineare si possa concepire, un mero
pretesto per lanciare il giocatore e la sua squadra di fuoco
nelle furiose battaglie contro lo Sciame, ma in fondo non c’è
niente di meglio che una storia che funga da pretesto per un
bel massacro di Xenomorfi in vecchio stile. Il titolo è
ambientato nel 2202, appena vent’anni dopo gli eventi narrati
in Aliens: Scontro Finale, a bordo della nave d’assalto
spaziale Endeavor, la punta di diamante dell’esercito
Coloniale. I soldati sono stati svegliati dal crio-sonno per
rispondere alla chiamata di aiuto di un certo dottor Tim
Hoenikker, apparentemente bloccato in una stazione di
raffineria orbitale e in balia di un cospicuo numero di
Xenomorfi. Il dottore sembra essere in possesso di
informazioni vitali per il comando dei Marine, tra cui le
prove di un ipotetico coinvolgimento della Weyland-Yutani in
alcuni fumosi esperimenti che avrebbero dato vita a una nuova
specie di alieni, ancora più feroci e implacabili di quelli
visti in passato. Quale migliore occasione per un po’ di
caccia agli insetti? Inizia qui l’epopea del team di Marine
Coloniali protagonisti di Aliens Fireteam Elite, una missione
disperata, viaggio pericoloso e pieno di insidie alle prese
con l’orda più inesorabile mai pensata dal cinema
hollywoodiano. Ma veniamo al dunque: una volta avviato il
gioco e dopo aver creato il proprio alter-ego attraverso
l’editor e aver scelto la sua classe di appartenenza tra le
quattro disponibili (cinque se si conta quella sbloccabile una
volta conclusa la campagna), è tutto pronto per iniziare
l’avventura che si suddivide in 4 capitoli suddivisi a loro
volta in tre sottomissioni. La nave UAS Endeavor, già citata
qualche riga più in alto, funge da hub social per radunarsi
con i propri compagni, organizzare l’inventario e preparare le
missioni prima di scendere sul campo di battaglia. In questo
ambiente ci sono anche molti NPC pronti ad approfondire la
lore con un sistema di dialoghi a scelta multipla ma nulla di
realmente interessante ai fini della narrazione (se non
qualche piccolo, nostalgico riferimento a quanto visto nelle
pellicole cinematografiche). Una volta radunato il team e
selezionata la missione, si potrà scegliere come impostare la
difficoltà e alcuni modificatori di difficoltà (che sono sotto
forma di card) i quali influiranno sull’andamento delle
partite andando, ad esempio, a dimezzare i danni in uscita
oppure a restringere la capienza dei caricatori. In cambio,
dopo aver concluso la quest, si potrà ricevere un cospicuo
quantitativo di punti esperienza, utili a ottenere nuove armi,
accessori e abilità per la nostra classe preferita.

La struttura ludica di Aliens: Fireteam Elite non inventa
nulla di nuovo ma sfrutta alcune delle formule più usate negli
ultimi anni negli shooter coop. Già dalle prime battute è
evidente come Cold Iron si sia ispirata pesantemente alle
meccaniche di Gears of War e Left 4 Dead per realizzare questo
progetto: c’è l’immancabile sistema di coperture che sulla
carta che garantisce un certo grado di protezione contro
alcuni avversari capaci di attaccare a distanza, ma c’è la
possibilità anche di curare se stessi e i compagni attraverso
alcuni utili medikit. Presente anche la possibilità di
schierare armamenti difensivi come torrette, mine, droni, ma
anche letali munizioni elettriche e al napalm. In Aliens:
Fireteam Elite tutto può salire di livello: le classi, le armi
e le varie abilità. E’ possibile personalizzare le bocche da
fuoco sia a livello visivo sia per quanto riguarda gli
accessori, tra mirini, caricatori estesi ed altre componenti.
Inoltre un sistema di perk consente di modificare il
funzionamento delle abilità e l’efficacia del soldato sul
campo. Risulta interessante come i potenziamenti vadano
gestiti alla stregua di oggetti in un inventario dalle caselle
limitate. Ci sono comunque a disposizione opzioni per tutti i
gusti, con una buona scalabilità e configurabilità di audio e
video. C’è pure un buon supporto dal punto di vista
dell’accessibilità che tiene da conto daltonismo ed altre
problematiche con alcune opzioni dedicate. La giocabilità poi
può essere modificata per creare un’esperienza più o meno
arcade con la possibilità di visualizzare o meno indicatori di
vita o di uccisione e con l’opportunità di attivare delle
sagome che individuano in maniera più efficace i nemici
presenti sullo schermo. Aliens Fireteam Elite può essere
affrontato da soli o in compagnia. Ovviamente con due amici al
proprio fianco l’esperienza risulta molto più appagante e
divertente: è vero che gli altri componenti della squadra in
caso si giocasse in solitaria sono rimpiazzati da bot
sintetici, ma bisogna sottolineare come l’intelligenza
artificiale non sia esattamente allo stato dell’arte,
soprattutto se si sceglie una difficoltà alta. Usando un
medico ad esempio si può notare come gli alleati artificiali
tendano a non entrare nell’area curativa, inoltre c’è una
tendenza dei nostri androidi ad avanzare velocemente verso
situazioni che li espongono a rischi mortali. Ovviamente poi
l’utilizzo di una squadra umana permette il coordinamento
strategico delle abilità che caratterizzano le varie classi.
Già la presenza in duo di un demolitore e di un medico
permette di gestire la situazione piuttosto egregiamente. Nel
caso si decida di giocare in singolo però è bene sapere che in
alcuni punti, anche al livello di difficoltà più facile, ci
sono ad attendere un grado di sfida a nostro parere molto
elevato che, anche a causa della mancanza di checkpoint,
potrebbe costringere, specialmente i giocatori meno esperti, a
ripetere la missione più volte. Come già detto in precedenza
la campagna si divide in quattro atti, ciascuno dei quali è
composto da tre capitoli, di cui inizialmente solo il primo è
selezionabile. Le creature nemiche provengono prevalentemente
dall’universo canonico di Alien, ma in parte anche da quello
del prequel, per un bestiario che arriva alle venti unità. La
struttura dei livelli si ripropone identica a sé stessa dal
primo all’ultimo minuto della campagna: atri, piazzali o
saloni più o meno ampi sono le arene in cui si consumano le
carneficine di xenomorfi. Sono collegati da corridoi pressoché
vuoti che si vorrà percorrere il prima possibile, anche
sorvolando sul fatto che, nascosti qua e là, ci sono dei
collezionabili. Questo perché ci si accorge subito che
l’esplorazione è sterile: i vicoli apparentemente interessanti
conducono a sentieri bloccati da rocce, mentre le porte che si
affacciano sui corridoi sono tutte chiuse. C’è una sola
direzione obbligata, peraltro indicata da un cursore, e non
sono contemplate variazioni sul tema. Le ambientazioni sono
ispirate dalla saga cinematografica, in particolare da Scontro
Finale, ma non manca fortunatamente qualche colpo di scena e
alcune location che faranno la gioia degli appassionati della
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