20 AGOSTO 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018 LA SICILIA SEGUE
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018 G.D.S.
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018 G.D.S.
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018 LA SICILIA SEGUE
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 20 AGOSTO 2018 LA SICILIA
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ECONOMIA 20/8/2018 Disastro a Genova Gli scenari Dopo il crollo del ponte Morandi Autostrade, il blitz del governo via la concessione con una legge L’esecutivo pronto a varare una nuova norma per una ristatalizzazione di fatto della rete con il passaggio della gestione all’Anas che però potrebbe non avere le risorse necessarie claudio tito, segue dalla prima roma È questo il piano allo studio del governo che vuole stringere i tempi e soprattutto non intende rinunciare al suo primario obiettivo dopo la tragedia di Genova: sottrarre la gestione della rete autostradale alla società controllata da Atlantia e dalla famiglia Benetton. Per consegnarla ad Anas, la società pubblica che amministra e cura la manutenzione le strade. « La soluzione — ripetono nella squadra governativa — deve essere definitiva oltre che rapida». Sulle scrivanie del presidente del Consiglio Conte e dei due vicepremier, Di Maio e Salvini, infatti da un paio di giorni è comparso un dossier che punta a risolvere il contenzioso con l’azienda di Castellucci attraverso un vero e proprio blitz. È un progetto - ancora in fase di definizione - che ha come presupposto quello di non utilizzare gli strumenti inseriti nella Convenzione ma di incidere sul provvedimento che ha nella sostanza autorizzato la nascita della Convenzione stessa. In realtà sono due le leggi in discussione: la 286 approvata nel 2006 ( poi estesa nel 2008 dal governo Berlusconi) e la proroga licenziata dalle Camere nel novembre del 2014. La maggioranza giallo/ verde, dunque, ritiene di poter agire su quei due testi con una nuova normativa che sostituisce entrambe facendo decadere l’accordo siglato con Autostrade. Al momento sono in corso anche degli approfondimenti sulla tenuta costituzionale di questa procedura. La legittimità costituzionale, infatti, può rappresentare un ostacolo in questa vicenda e in questo senso anche il ricorso ad una decretazione d’urgenza potrebbe creare più di una complicazione. Ma i tecnici dell’esecutivo sono convinti di poter superare anche queste osservazioni. In primo luogo perché si ricorrerebbe ad un provvedimento della stessa "forza" giuridica utilizzata alla fonte. In secondo luogo, si rimarcherebbero alcuni deficit — già evidenziati dalla Corte di Giustizia europea — relativi alla proroga del 2014. Una scelta compiuta con il classico provvedimento " Milleproroghe" e senza un nuovo bando europeo che — secondo Palazzo Chigi — sarebbe stato invece indispensabile. Non solo. La legge farebbe riferimento all’articolo 1453 del codice civile che così recita: « Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto » . Un richiamo che, a giudizio di chi sta predisponendo la pratica, inibirebbe anche la possibilità di appellarsi ad un’altra norma, quella contenuta nell’articolo 176 del codice degli appalti
che peraltro non riguarda l’ipotesi dell’inadempimento dell’appaltatore. La piattaforma ideata dai tecnici della presidenza del Consiglio risponderebbe dunque in primo luogo ad una esigenza che questo esecutivo giudica improrogabile: accogliere immediatamente le istanze di chi li ha votati e di larga parte dell’opinione pubblica. Tempi certi, quindi. E la legge, in questo senso, invertirebbe l’onere della prova in un eventuale e probabile contenzioso con Atlantia. Con una nuova normativa, infatti, tutto sarebbe immediatamente esecutivo e spetterebbe ad Autostrade presentare ricorso e attendere i tempi — presumibilmente lunghi — della giustizia. Nel frattempo la gestione della rete autostradale, come già prevede la legge del 2006, passerebbe completamente nelle mani di un soggetto pubblico: ossia l’Anas. Si arriverebbe, allora, ad una rinazionalizzazione di fatto delle autostrade con l’Anas al posto di quella che un tempo era l’Iri. Uno dei punti ancora in discussione riguarda la richiesta di risarcimento danni. Che il governo, in questo caso, potrebbe rinunciare a presentare. Anche perché il troncone penale dell’inchiesta aperto dopo il crollo del ponte Morandi comunque non si fermerebbe e attribuirebbe in ogni caso la responsabilità della tragedia verificatasi a Genova. Per il governo, inoltre, il subentro dell’Anas costituirebbe una garanzia per quanto riguarda i livelli occupazionali: nella sostanza tutti i dipendenti di Autostrade per l’Italia dovrebbero avere l’assicurazione di conservare il posto di lavoro. I problemi semmai possono essere altri. Il primo riguarda la capacità dell’Anas e dello Stato di effettuare gli investimenti miliardari già fissati dal gruppo Atlantia. Difficilmente le casse dell’Ente per le strade potranno farsi carico di quegli impegni e tanto meno le risorse a disposizione del Tesoro. Non a caso, uno dei profili collegati ma laterali della vicenda portano alla valutazione di una quotazione di Anas o di una fusione con un’altra società quotata per reperire sul mercato i fondi necessari. L’altro aspetto è reputazionale. Quale sarà l’effetto di una scelta del genere sugli investitori internazionali? E che fine farà l’operazione in corso per acquisire la spagnola Abertis? Ma l’esigenza di chiudere il caso genovese con un intervento che dia soddisfazione all’opinione pubblica e segni il vero momento di cesura con il passato prevale su qualsiasi altra preoccupazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CRONACA 20/8/2018 Il ponte malato Tiranti indeboliti, tutti sapevano "Forza ridotta del 20 per cento" Le carte svelate dall’Espresso. Ma Autostrade garantì: fino al 50 non c’è pericolo marco lignana marco preve, genova Il potere di sostegno degli stralli, le grandi braccia in calcestruzzo che sorreggevano il pilone crollato di Ponte Morandi, era ridotto del 20 per cento. Ma per Autostrade non c’era motivo di allarmarsi. Perché secondo un tecnico responsabile del calcolo di struttura, il ponte avrebbe potuto restare in sicurezza fino a una riduzione del potere di sostegno ( tecnicamente definita « riduzione dell’area d’area totale » ) pari al 50 per cento. È la verità scritta non su un report accademico, o su una rivista scientifica. Ma sull’ormai famoso progetto di rafforzamento degli stralli delle pile 9, quella crollata, e 10, redatto da Autostrade per l’Italia, che lo scorso maggio aveva aperto un bando da 20 milioni a procedura ristretta per iniziare i lavori di " retrofitting" a settembre. Un documento che conferma ancora una volta come Autostrade sapesse del deterioramento degli stralli. Ma che mette nero su bianco, anche, l’enorme sottovalutazione della capacità di tenuta del ponte. Sul progetto, come ricostruito da Fabrizio Gatti per L’Espresso, a febbraio di quest’anno una commissione del Provveditorato per le opere pubbliche di Genova aveva espresso il suo parere obbligatorio. Entrambi, sia il progetto di Autostrade che il parere del Provveditorato, erano ovviamente noti al ministero delle Infrastrutture e alla Direzione generale per la vigilanza delle concessioni autostradali. Tutti, insomma, sapevano. Chi è il provveditore che firma il parere non vincolante? L’architetto Roberto Ferrazza, che oggi è presidente della commissione del ministero che sta indagando su ragioni e colpe del crollo, e che ieri è andato fra le macerie del viadotto. E chi figura tra i relatori? Il professor Antonio Brencich, il " grande accusatore" di Ponte Morandi, anche lui membro della commissione ministeriale. Entrambi firmano il verbale in cui dichiarano che il progetto di Autostrade «appare ben redatto e completo in ogni dettaglio. Lo stesso risulta studiato in metodologicamente ineccepibile » . Sia Brencich che Ferrazza, però, muovono delle critiche. Brencich, in particolare, è netto: « Si rilevano alcuni aspetti discutibili per quanto riguarda la stima della resistenza del calcestruzzo ». Contesta i metodi utilizzati, i margini di errore altissimi, le tecniche utilizzate ormai abbandonate dal contesto scientifico. Ma in attesa di partire con il progetto, Autostrade può tirare dritto visto che specifica che «il ponte è in sicurezza fino ad una riduzione dell’area totale dei cavi del 50 per cento». L’architetto Ferrazza, raggiunto al telefono ha spiegato che «a fine dicembre 2017 la nostra Direzione generale per la vigilanza ci manda una richiesta del ministero di esaminare un progetto, come sempre avviene quando si tratta di
progetti sotto la soglia dei 50 milioni di euro. Creai una apposita commissione con, fra gli altri, il professore Brencich, che già si era espresso molto chiaramente sul viadotto Polcevera. Nella nostra relazione al ministero esprimemmo anche delle prescrizioni. Sulla mia posizione sono tranquillo, in ogni caso domani (oggi per chi legge, ndr) parlerò con il ministero. Sono anche disposto a farmi da parte. Forse con un po’ più di fortuna si sarebbe potuto evitare questa tragedia. Non ritengo però che ci sia stato non solo alcun dolo ma neppure omissioni o ritardi da parte delle varie amministrazioni coinvolte. In ogni caso svolgerò il mio compito come presidente della commissione privo di qualsiasi condizionamento». Oltre a Ferrazza e Brencich, nella commissione ministeriale figurano anche i nomi degli ingegneri Bruno Santoro e Michele Franzese. Che però sono anche dirigenti tecnici della stessa Direzione generale per la vigilanza delle concessioni autostradali del Mit. Sono stati scelti nella commissione ispettiva proprio loro perché non si sono mai occupati di Ponte Morandi, ma adesso avranno un compito imbarazzante: la commissione fra i suoi compiti deve occuparsi dell’efficacia dei controlli della Direzione della vigilanza. I cui dirigenti saranno convocati nelle prossime ore a Genova, per essere sentiti dalla commissione ispettiva. Così, gli ingegneri Santoro e Franzese sentiranno i loro stretti colleghi della Direzione della vigilanza su Ponte Morandi. D’altra parte che il ponte fosse sofferente, oltre ad averlo detto la stessa società Autostrade, il professor Brencich e diversi studi, tra cui quello del 2017 del Politecnico di Milano, era stato lo stesso ingegner Morandi. Nel 1979, racconta la Verità, scriveva in una relazione: «Penso che prima o poi, e forse già tra pochi anni, sarà necessario ricorrere a un trattamento per la rimozione di ogni traccia di ruggine sui rinforzi esposti», perché «la struttura viene aggredita dai venti marini » , dall’ « alta salinità » , dai «fumi dei camini» del vecchio stabilimento Ilva. © RIPRODUZIONE RISERVATA VIGILI DEL FUOCO/ AP Il documento Sopra, il verbale redatto lo scorso febbraio dal Provveditorato delle opere pubbliche di Genova sul degrado dei tiranti del ponte
POLITICA 20/8/2018 La ricerca I soldi ai partiti I segreti delle fondazioni politiche Solo il 3% rivela i finanziatori Non ci sono regole che impongano di rendere trasparente il rapporto con lobby e imprese La maggior parte dei think tank e delle associazioni non pubblica sul web nemmeno il bilancio ANTONIO FRASCHILLA Chi finanzia i partiti in Italia, oggi? Quali sono le aziende e gli imprenditori che sostengono Lega, Pd, 5 stelle, Forza Italia e gli altri? Lo scontro sui soldi dati alla politica dai Benetton tra il ministro Luigi Di Maio, che accusa il Pd di averli ricevuti in cambio di favori alla società Autostrade, e l’ex segretario dei dem Matteo Renzi che replica indignato, rimette al centro del dibattito queste semplici domande. Alle quali dare una risposta oggi è di fatto impossibile perché nessun partito, M5S compreso, rende noti gli elenchi dei finanziatori. Tutti invocano il rispetto della privacy di chi vuole sostenere una causa politica. Così, nei bilanci dei partiti, non ve n’è traccia e nella giungla delle fondazioni che fanno riferimento al politico di turno men che meno: secondo un dossier di Openpolis, su 102 fondazioni politiche, solo sei pubblicano nei loro siti un elenco di finanziatori, ovvero il 2,97%. Tra queste la Open di Matteo Renzi. Ma tutto avviene su base volontaria e senza alcun obbligo. Chi vuole sapere se i Benetton o altre grandi aziende o imprenditori abbiano finanziato un partito, rimarrà nella maggior parte dei casi senza risposta. La verità è che è stato abolito il finanziamento pubblico, prevedendo solo la possibilità di ottenere contribuzioni dal 2 per mille delle dichiarazioni dei redditi, ma non sono state previste regole per definire in maniera chiara e trasparente il rapporto tra imprese e lobby da un lato e partiti e politici dall’altro. Il risultato è un Far West. I bilanci dei partiti svuotati Spulciando gli ultimi magri bilanci ufficiali di Lega, Pd, Forza Italia e dell’associazione Rousseau per i 5 stelle, non si trova nulla. I dem mettono alla voce "contribuzioni da persone giuridiche" 185 mila euro nel 2017 e 545 mila euro nel 2016. Ma chi sono i finanziatori non si sa. La Lega iscrive a bilancio appena mille euro di "contributi da persone giuridiche" e un milione di euro da "persone fisiche" mettendo in elenco, di fatto, tutti i parlamentari che versano il contributo al partito. Forza Italia nell’ultimo bilancio approvato mette in entrata 320 mila euro di contributi ricevuti da imprenditori e società. E nella nota integrativa compare un piccolo elenco di aziende: tra queste, con un contributo che varia dai 10 ai 20 mila euro, la Italcanditi spa di Pedrengo, la L3sas di Arezzo, che si occupa di assicurazioni, la Sanambiente service di Roma e la Ecofast sistema srl, azienda di pulizie e disinfestazioni. Per il resto nulla: anzi, compaiono una decina di donazioni da 50 mila euro ma i nomi sono omissati.
Anche chi si fa portatore dello slogan della trasparenza, il M5S, in realtà non pubblica un solo nome in virtù del rispetto della privacy che prevede, senza il consenso esplicito dell’interessato, il divieto di rendere noto il nome del finanziatore. Lo scorso giugno sul blog dei 5 stelle è stato annunciato che, attraverso l’associazione Rousseau, il movimento ha ricevuto donazioni per circa 350 mila euro: «Ed ecco l’elenco dei finanziatori – si legge nel spot non c’è nessuna norma che obbliga l’associazione Rousseau a farlo, noi lo facciamo perché non abbiamo nulla da nascondere e perché la trasparenza per noi viene prima di tutto». Ma l’elenco è composto solo dalle iniziali dei donatori. Insomma, chi finanzia i 5 stelle? Nessuno, se non loro, può saperlo. La giungla delle fondazioni Abolito il finanziamento pubblico, da tempo ormai i capicorrente hanno deciso di finanziarsi in proprio attraverso la creazione di fondazioni. Semplici associazioni che non hanno alcun obbligo di pubblicazione dei bilanci. Secondo un approfondito studio di Openpolis, oggi in Italia sono attive 101 fondazioni riconducibili ad esponenti politici (fino al 1999 ne esistevano solo 22): la gran parte del centrosinistra e del centrodestra, ma c’è anche il Movimento 5 stelle con l’associazione Gianroberto Casaleggio e il Think thank group. Secondo Openpolis solo sei di queste associazioni pubblicano, con uno stringato bilancio, anche un elenco dei soci e dei finanziatori: si tratta dell’Aspen, della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, della Fondazione sviluppo sostenibile, dell’Italia decide di Luciano Violante, della Symbola di Ermete Realacci e della Open di Renzi, che pubblica un lungo elenco di finanziatori dal 2014 al 2018 nel quale compare il re della chimica scomparso nel 2015, Guido Ghisolfi, il finanziere Davide Serra, ma anche l’Aiop, la potente lobby delle cliniche private. Ma tutto è lasciato alla libera iniziativa del presidente della fondazione di turno e senza alcun controllo esterno. I finanziamenti ai parlamentari Non va meglio per il singolo politico. Gli eletti alla Camera o al Senato devono dichiarare nello stato patrimoniale anche quanto hanno speso in campagna elettorale e chi li ha finanziati. Nessuno sostiene di aver ricevuto contributi elettorali elevati: Di Maio nel 2013 dichiarava appena 2.700 euro, Maria Elena Boschi zero. Tutti gli eletti in Parlamento e nei consigli regionali devono inoltre consegnare in Corte d’appello una dichiarazione sui finanziamenti ricevuti e sulle spese sostenute in campagna elettorale. In Sicilia nemmeno questo: lì da oltre dieci anni l’Assemblea regionale non recepisce la norma nazionale, e i magistrati della Corte d’appello hanno le mani legate. In realtà, comunque, da Milano a Palermo, oggi i finanziamenti alla politica sono a dir poco oscuri. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CRONACA 20/8/2018 Il caso Migranti bloccati, avviso alla Ue "Ci aiuti o li riportiamo in Libia" Quarto giorno di impasse per i 170 soccorsi dalla nave Diciotti al largo di Lampedusa Salvini lancia un ultimatum. E Moavero scrive alla Commissione europea: intervenite Alessandra Ziniti, Roma Sanno che nessuno potrà dare mai l’ordine di girare la prua e riportare quella gente in Libia. Semplicemente perché è contrario ai trattati internazionali che l’Italia ha firmato. E sanno anche che l’Europa, ieri formalmente investita della questione dalla Farnesina, troverà anche questa volta una soluzione condivisa. Ma a bordo la tensione è alta. Ieri, al quarto giorno di permanenza in rada, sotto il sole di agosto, il maestrale sferzante e i temporali improvvisi, il medico arrivato da Lampedusa ha deciso di far scendere a terra sei persone, donne e minorenni, disidratati e provati dalla traversata e dalla imprevista permanenza in alto mare. Gli altri 171 restano a bordo della Diciotti " ostaggio" dell’ennesimo braccio di ferro tra Salvini, Malta e l’Europa e adesso persino della minaccia ufficiale da parte del ministro dell’Interno di un respingimento verso la Libia. « O l’Europa decide seriamente di aiutare l’Italia in concreto, a partire ad esempio dai 180 migranti a bordo della nave Diciotti, oppure saremo costretti a fare quello che stroncherà definitivamente il business degli scafisti. E cioè riaccompagnare in un porto libico le persone recuperate in mare » . Minaccia notificata da Salvini all’Europa via Facebook nelle stesse ore in cui il ministro degli Esteri Moavero Milanesi ha chiesto alla Commissione europea di trovare una soluzione condivisa per permettere l’approdo della Diciotti. Approdo che, per la verità, nessuno può negare e neanche ha formalmente negato. I porti italiani non sono mai stati chiusi (per farlo ci vorrebbe un decreto motivato del ministro delle Infrastrutture) né possono esserlo per una nave militare. Dunque, volendo forzare la mano, la Diciotti potrebbe tranquillamente entrare nel porto di Lampedusa. Ma, già in difficoltà per l’irritazione del Viminale per il soccorso in zona Sar maltese e senza il benestare del ministro da cui funzionalmente dipende, dal Comando generale della Guardia costiera l’ordine che arriva alla Diciotti è quello di rimanere in attesa di indicazioni. Che anche ieri non sono arrivate. Lasciando i militari a bordo a gestire una situazione difficile in una nave non attrezzata per ospitare 177 persone e con un’autonomia che non dovrebbe superare le prossime 24 ore. « Una situazione surreale e contro ogni legge del nostro Paese. Ci rivolgiamo con rispetto al Presidente della Repubblica perché nelle prossime ore si faccia promotore di un’iniziativa nei confronti dell’esecutivo che esiga il rispetto della Costituzione e dei Trattati internazionali che l’Italia ha sottoscritto », l’appello rivolto dal parlamentare di Leu Nicola Fratoianni a Mattarella che già a luglio era intervenuto per sbloccare un’analoga situazione e consentire l’approdo a
Trapani della Diciotti. E a Mattarella è rivolta anche una lettera aperta firmata da esponenti delle opposizioni e della società civile. Una soluzione, con tutta probabilità, verrà trovata tra oggi e domani se il lavoro della Farnesina avrà buon esito. Già nei giorni scorsi, l’Europa aveva espresso la disponibilità a dare il suo sostegno all’Italia anche in questa vicenda. Se solo qualcuno lo avesse formamente chiesto. Salvini invece, irritato di non essere stato informato del soccorso operato dalle motovedette italiane in zona Sar maltese, ha deciso di alzare da subito il livello dello scontro: con la Guardia costiera, con Malta, con quella che ha definito "l’Europa che non esiste". Respinta al mittente dal governo de La Valletta la richiesta di far approdare la Diciotti a Malta, Salvini si è subito rifiutato di indicare alla nave della Guardia costiera un porto italiano. Riproponendo la stessa paradossale situazione di un mese fa, nel silenzio del premier Conte e del ministro Toninelli che non hanno ritenuto di intervenire neanche a difesa dell’operato della Guardia costiera italiana duramente accusata da Malta di aver operato una " intercettazione ingiustificata", una " interferenza" nelle operazioni in zona Sar maltese, e persino di aver detto il falso comunicando che il barcone soccorso era in difficoltà e stava imbarcando acqua. Perché, secondo Malta, che per tutto il giorno di ferragosto aveva monitorato quel barcone in viaggio verso l’Italia, i migranti non erano in pericolo nè volevano essere salvati. Solo ieri mattina, dopo quattro giorni di silenzio, e sempre su Facebook, il ministro Toninelli ha abbozzato una difesa d’ufficio della Guardia costiera, attaccando Malta. « Diciotti dimostra che l’Italia non si tira mai indietro quando si tratta di salvare vite umane. Il comportamento di Malta è ancora una volta inqualificabile e meritevole di sanzioni, L’Ue si faccia avanti e apra i propri porti alla solidarietà». © RIPRODUZIONE RISERVATA ORIETTA SCARDINO/ ANSA
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