Una vita alla Commissione

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Una vita alla Commissione
TRIMESTRALE TRANSARDENNESE DEI TRADUTTORI
                                   ITALIANI
                          Numero 15 – Dicembre 2000
                 Servizio di traduzione – Commissione europea
                  http://www.europa.eu.int/comm/translation/bulletins/tracce/index.html

     Editoriale                      Una vita alla Commissione
              Una piovosa giornata primaverile nel lontano 1960 a Bruxelles. Entro per
              la prima volta nella sede della neonata Commissione della Comunità
              economica europea dove mi attende la prova scritta di traduzione. Mi
              ritrovo in un ufficiolo stretto stretto che dà su un cortile interno molto
              squallido, kafkiano e penso: "non potrei mai lavorare in un posto così
              brutto". Ci sono rimasta per più di 40 anni.
In cantina tengo ancora il baule che conteneva le poche cose del mio trasloco da Milano a
Bruxelles. Per lo più libri: le opere dei miei scrittori preferiti negli anni universitari,
Goethe e Heine, un'antologia di poesia universale, l'Orfeo, capolavori della letteratura
russa dell'800. Ho sempre pensato che il baule in cantina fosse il simbolo, carico di
grande forza emotiva, della mia avventura all'estero. "Un giorno - mi dicevo - tornerò alle
m                                            i                                            e
radici e vi rimetterò dentro le mie cose più care. Il soggiorno a Bruxelles è solo
temporaneo".

In questo scorcio d'anno in cui sto preparandomi al grande rientro mi rendo conto che il
baule posso anche buttarlo via. Ed infatti, le cose importanti che dovrei metterci dentro
sono "impalpabili", vivono in me.

Quarant'anni: traccio il bilancio della mia vita. L'amore immenso per i miei due figli che
hanno dato luce e senso alla mia - non facile - esistenza. L'impegno alla Commissione
come traduttrice e - negli ultimi anni - coordinatrice linguistica; la fede incrollabile
nell'ambizioso progetto federalista di Altiero Spinelli. La "svolta cinese" negli anni 80 che
rispondeva ad un ancestrale richiamo verso le civiltà e culture orientali. Ed infine
le relazioni umane, linfa vitale di qualsiasi ambiente di lavoro.

Come mettere tutto questo in un baule? Parto con ben altro bagaglio umano e culturale
che fa oramai parte della mia esperienza umana (l'Erlebnis goethiano) e mi accompagnerà
sempre nel mio cammino verso nuove mete.

Ringrazio la vita per tutto questo e voi, cari lettori e colleghi, per la vostra amicizia.

                                                                                 Maria Grazia Ricci
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             MOSTRE                                La luce del vero
                             La mostra, allestita a Bergamo presso la Galleria d'Arte
                             Moderna e Contemporanea fino al 17 dicembre e intitolata "La
                             luce del vero", presenta opere del Caravaggio, di
                             Rembrandt, di Zurbarán e di Georges de La Tour. Nel caso di
                             Zurbarán e La Tour l’evento va segnalato in modo
                             particolare, visto che si tratta di pittori le cui opere sono poco
                             note al pubblico italiano. Per quanto riguarda il Caravaggio,
                             invece, si ha la possibilità di ammirare la straordinaria
    "Deposizione nel sepolcro", prestito eccezionale del Vaticano. Le numerose incisioni di
    Rembrandt rendono l'insieme ancora più interessante.

    I quattro maestri sono pressoché contemporanei e hanno lasciato la
    loro impronta nel XVII secolo, secolo segnato da crisi profonde,
    eventi che hanno sconvolto la società europea, come il sacco di
    Roma ad opera dei Lanzichenecchi, ma anche momento in cui si
    fa strada lo spirito scientifico che porta allo studio dell'ottica e ad
    esperimenti con la camera oscura. I dipinti e le incisioni esposti ci
    dicono che per l'umanità è un periodo buio, dal quale è possibile
    emergere solo mediante la luce divina, la luce della Grazia. Le
    tenebre sono quasi la garanzia retrospettiva del "Fiat Lux", la
    prova "a contrario" dell'esistenza di Dio. Un esempio perfetto di
    questa impostazione è il "Sacrificio d'Isacco", del Caravaggio, dove la luce divina cade
    dall'alto per illuminare il volto dell'angelo, mentre Giacobbe rimane nell'ombra, poiché
    non ha ancora capito il disegno divino.

                             Zurbarán affronta il tema del chiaroscuro in modo diverso e
                             nell'oscurità dei suoi quadri si percepisce un mondo denso,
                             corporeo, fatto di un contenuto potenziale, dal quale va emergendo
                             la forma colpita dalla luce, in modo tale da sembrare che la luce
                             stessa scaturisca dalle tenebre. Nell'oscurità che fa da sfondo alla
                             "Madonna bambina dormiente" si distingue una moltitudine di
                             angeli che incorniciano il volto della Vergine, che sembra emanare
                             luce propria. Quanto a Georges de La Tour, anch'egli nei "notturni",
                             che peraltro rappresentano soltanto una parte della sua produzione,
                             introduce un elemento singolare. La fonte dell'illuminazione è del
                             tutto terrena, spesso una candela o una lanterna. L'effetto ottenuto è
    straordinario: la luce è intensa, ma fragile, quasi vacillante e fa temere che da un momen-
    to all'altro le tenebre possano trionfare.

    Nel complesso la mostra risulta ben equilibrata e molto ben
    allestita, anche per la gradevole presentazione delle tele con
    un'illuminazione (!) perfetta. Una passeggiata nelle vie e nelle
    piazze di Bergamo alta non può che completare la giornata, senza
    stonature.
                                                      Clara Breddy
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                                                         BELLA O FEDELE
            CULTURALIA

                                 Storie di traduzioni
                                  Una vita per la traduzione

                              Ai primi di luglio la British Library ha
                              annunciato l'imminente ristampa (la
                              prima in quasi cinquecento anni) della
                              traduzione del Nuovo Testamento che
                              costò la vita a William Tyndale nel
                              1536.

    Tyndale nacque in Inghilterra, vicino alla frontiera con il Galles; la data di nascita varia
    da un biografo all'altro, ma si situa comunque fra il 1484 e il 1494. Laureatosi in
    retorica e lingue classiche ad Oxford e Cambridge, annunciò un giorno ad un chierico
    scandalizzato la propria intenzione di tradurre in inglese la Bibbia: "If God spare my
    life, ere many years I will cause a boy that driveth a plough shall know more of the
    Scripture than you do". In quegli anni un'impresa simile non era soltanto provocatoria,
    ma anche estremamente rischiosa: la conoscenza dei testi sacri era monopolio delle
    autorità ecclesiastiche, e non solo la loro traduzione, ma addirittura il possesso o la
    lettura di una copia in lingua volgare era punibile con la morte.

    Sul trono d'Inghilterra si trovava all'epoca Enrico VIII, che però non aveva ancora
    attuato il famoso "strappo" con Roma. Nel 1524 Tyndale si recò dunque in Germania,
    dove due anni dopo diede alle stampe la prima versione integrale del Nuovo
    Testamento in inglese; costretto a cambiare città per sfuggire alle persecuzioni, visse
    prima a Colonia, poi a Worms. Stabilitosi infine ad Anversa, porto che per la sua
    vicinanza all'Inghilterra gli permetteva facilmente di tenersi in contatto con i suoi
    seguaci, iniziò a lavorare sull'Antico Testamento; in questa città, nel gennaio 1530,
    uscì la sua traduzione del Pentateuco.
    Quella di Tyndale non fu la prima traduzione in inglese di un testo scritturale: era stata
    infatti preceduta di una quarantina d'anni dalla versione della Vulgata di San Gerolamo
    ad opera di John Wycliffe (o Wyclif), filosofo e teologo la cui predicazione aveva
    prefigurato molti temi della Riforma e che, sebbene scomunicato da Gregorio XI, era
    riuscito a sfuggire alla condanna dei tribunali sia civili che ecclesiastici grazie alla
    protezione accordatagli dalla famiglia reale. Il Nuovo Testamento di Tyndale è però
    ben più solido e autorevole: egli scelse infatti di tradurre non più dal latino bensì
    dal greco e dall'ebraico, risalendo così alle fonti anziché accontentarsi della traduzione
    di una traduzione e, a differenza dello stile di Wycliffe, giudicato piuttosto pedestre, il
    suo si distingue per la forza espressiva oltreché per la fedeltà all'originale ("I call to
    God to record....that I never altered one syllable of God's Word against my
    conscience").
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                                                      BELLA O FEDELE
            CULTURALIA

                               Storie di traduzioni
                                 Una vita per la traduzione

    Attualmente il testo standard della Bibbia in inglese è rappresentato dall'"Authorized
    Version" di re Giacomo I, uscita nel 1611 quando l'Inghilterra era ormai passata
    definitivamente nel campo della Riforma. Nei paesi protestanti la lettura praticamente
    quotidiana dei testi sacri in lingua nazionale ha rappresentato un fenomeno culturale di
    importanza incalcolabile: spesso, nei secoli passati, l'unico libro presente nelle case era
    la "family Bible", sul cui frontespizio venivano annotati nascite, matrimoni e morti e
    che, in assenza di obbligo scolastico, costituiva la prima fonte di alfabetizzazione
    nonché il principale, se non l'unico, modello linguistico attendibile. È risaputo che
    Shakespeare e l'Authorized Version sono i due grandi filoni lessicali cui ha attinto
    l'inglese moderno; meno noto è il fatto che il lavoro di Tyndale ha costituito la base
    imprescindibile di quest' ultima, definitiva versione, tanto che secondo stime recenti
    esso rappresenterebbe l'83% del testo del "King James New Testament".

    Molte espressioni coniate da Tyndale sono così passate nell'inglese di tutti i giorni:
    "Let there be light", "eat, drink and be merry" e "my brother's keeper" dall'Antico
    Testamento, "the powers that be", "the salt of the Earth", "a law unto themselves",
    "signs of the times", "the spirit is willing, but the flesh is weak" dal Nuovo. Inoltre egli
    rimise in auge termini derivati dall'ebraico che le versioni latine avevano trascurato,
    come "Jehovah", o "Passover", la Pasqua ebraica (da "Pesah"), e creò il neologismo
    "scapegoat". Più controversa, al tempo in cui apparve, fu la traduzione del greco
    "ekklesia" con congregation" anziché "church", sulla scia di Erasmo, di cui Tyndale
    aveva tradotto l'"Enchiridion Militis Christiani" (Manuale del soldato cristiano) e che
    aveva usato in questa accezione il termine "congregatio". Questa scelta terminologica,
    del resto, non era casuale, ma corrispondeva ad una sua ben precisa visione
    dell'organizzazione ecclesiale in cui il potere doveva essere appannaggio non più
    del clero, ma di tutti i credenti - "la stessa visione, cioè, che lo aveva spinto al lavoro
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                                                   BELLA O FEDELE
       CULTURALIA

                           Storie di traduzioni
                             Una vita per la traduzione

                            traduzione nonostante tutti i gravi
                            pericoli che esso comportava: “"... I
                            had perceived by experience, how
                            that it was impossibile to establish
                            the lay people in any truth, except
                            the Scripture were plainly laid befo-
                            re their eyes in their mother tongue,
                            that they might see the process,
                            order, and meaning of the text."

    L'arrivo e la diffusione (entrambi, ovviamente, clandestini) delle traduzioni di
    Tyndale in Inghilterra ebbero un profondo effetto sulla cultura teologica del paese e
    sulla futura espansione della Riforma; non a caso scatenarono successive ondate di
    persecuzioni. Ci si può fare un'idea dello zelo con il quale le autorità si accanivano
    a stanare libri e lettori dal fatto che, sebbene fossero state inviate nel paese migliaia
    di copie, ne sopravvive oggi una sola, più alcuni frammenti di una seconda. Anche
    dopo la rottura con Roma (marzo 1534) che avrebbe dato vita alla chiesa anglicana,
    la lettura della Bibbia in inglese continuò ad essere considerata attività sovversiva.

    Nel 1535 Tyndale, che viveva sempre ad Anversa, venne tradito da una spia cattoli-
    ca, Henry Phillips, arrestato dalle autorità di Carlo V e imprigionato per diciotto
    mesi nella fortezza che allora esisteva a Vilvoorde. A testimonianza della sua vita
    in questo periodo resta una lettera, rinvenuta in archivi belgi nell'Ottocento, in cui
    chiede di poter disporre di una lampada e di indumenti di lana, ma soprattutto di
    una copia della Bibbia in ebraico, di una grammatica e di un dizionario, così da po-
    ter continuare a studiare.

    Nell'agosto 1536 Tyndale fu dichiarato colpevole di eresia e condannato a morte.
    Il 6 ottobre, a Vilvoorde, fu legato al palo del rogo e strangolato; il suo corpo venne
    poi cremato. Le sue ultime parole furono: "Lord, open the king of England's eyes."

                                                                             Cristina Cona

    Fonti: The Life of William Tyndale; "No Tyndale, No Shakespeare"; Translating the Bi-
    ble, tutti in : http://www.hertford.ox.ac.uk/tyndale/index.htm; "Let There Be Light", in :
    http://lcweb.loc.gov/loc/lcib/9707/web/tyndale.html ; William Tyndale: The Father of Our
    English Bible, in : http://wayoflife.org/~dcloud/articles/williamtyndale.htm
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         MOSTRE

         La " scoperta " del Mediterraneo al Grand Palais

    A chi prova di tanto in tanto il bisogno di evadere, sia pure
    virtualmente, dal grigiore del nostro lungo inverno, non possiamo che
    raccomandare di affrettarsi a visitare la mostra " Méditerranée – De
    Courbet à Matisse " aperta fino al 15 gennaio 2001 a Parigi, al Grand
    Palais (tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 10 alle 20, il mercoledì dal-
    le 10 alle 22; consigliabile prenotare: www.rmn.fr).

                               Potremmo vedere compendiato il senso di
                               questa bella esposizione in una piccola tela di
                               Gustave Courbet (Le Bord de mer à Palavas,
                               1854), in cui il pittore raffigura se stesso su
                               una spiaggia, estasiato di fronte all’immensità
                               del mare, cui sembra rendere omaggio con un
                               ampio gesto di saluto.

    Con teatrale intensità, l’immagine esprime tutta
    l’emozione della scoperta di questo nuovo
    orizzonte. Nella seconda metà dell’Ottocento molti
    altri pittori scenderanno a sud, irresistibilmente
    attratti e soggiogati dal fascino del paesaggio della
    costa mediterranea. Chi per pochi giorni, come Vin-
    cent Van Gogh, che dal colore del mare resta però
    fortemente impressionato (" La Méditerranée a une
    couleur comme les maquereaux, c’est-à-dire changeante, on ne sait pas
    toujours si c’est vert ou violet, on ne sait pas toujours si c’est bleu… "),
    chi per viaggi o soggiorni più lunghi o per stabilirvisi
    definitivamente. Completata da qualche anno la costruzione della linea
    ferroviaria Parigi-Lione-Marsiglia-Ventimiglia, i viaggi si fanno più
    agevoli.

                         Nel 1883 Auguste Renoir e Claude Monet
                         intraprendono un primo viaggio da Marsiglia a
                         Genova. La reazione è di sorpresa e di entusiasmo;
                         scrive Renoir: " Tout est superbe. Des horizons dont
                         on n’a aucune idée. Ce soir les montagnes étaient
                         roses ".
7
           MOSTRE

           La " scoperta " del Mediterraneo al Grand Palais

                            Monet, affascinato dai luoghi, decide di
                            soggiornare qualche tempo a Bordighera (" Je
                            suis installé dans un pays féerique. Je ne sais où
                            donner de la tête, tout est superbe et je voudrais
                            tout faire… ") e vi trova l’ispirazione per alcuni
                            dei suoi dipinti più famosi (Palmiers à
                            Bordighera, Villas à Bordighera).

    Ma alla luce e ai colori del Mediterraneo, al
    fascino dei paesaggi e delle atmosfere del
    Midi sono molti a soggiacere: da Cézanne a
    Signac, da Matisse a Bonnard, a Derain, a
    Munch (di cui si può vedere un
    sorprendente Paysage à Nice), a Picasso.

                            La mostra del Grand Palais, organizzata per
                            temi (" Rivages ", " Rochers ", "A travers les
                            arbres ", ecc.), raccoglie, accanto a celebri
                            capolavori, opere di autori meno noti, ma talora
                            di singolare fascino, come Un cimetière en
                            Provence di Frédéric Montenard o Les Îles d’or
                            di Henri-Edouard Cross. Solo italiano Telemaco
                            Signorini, di cui sono esposte due stupende
                            " marine ", Viareggio e Riomaggiore.

                              Si è detto, per riassumere         le   ragioni
    dell’attrazione esercitata da questo " paradiso dei
    pittori ", che i paesaggi della costa mediterranea,
    in fondo, erano (e purtroppo, dobbiamo
    aggiungere, in gran parte non sono più) un
    quadro, un quadro vivente che aspettava solo i
    pittori.
                                       Alda Muratore
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    Note terminologiche

                                  I SENSI DELLA LEGGE

        L'espressione "ai sensi della legge" mi provoca un marcato malessere ogni
        volta che l'incontro. So benissimo che è una formula più che consacrata
        dall'uso, ma non sarebbe giusto farle imboccare una volta per tutte il
        cammino dell'oblio per svecchiare un pò la lingua? Tanto più che vi sono
        alternative più chiare, eleganti e gagliarde.

        Effettivamente, se è ovvio che la legge debba (almeno in teoria) avere un
        senso, non è affatto evidente che gliene si debbano riconoscere un numero
        imprecisato. Sembra si voglia prevedere l'ipotesi che, in guisa di esangue
        damigella di anni ormai lontani, possa perderli afflosciandosi con languida
        eleganza su quello che in quei tempi veniva chiamato un canapé, suscitan-
        do negli astanti il riflesso pavloviano d'invocare il ricorso ai sali odorosi, to-
        sto apportati con provvida sollecitudine dalla fedele fantesca.

        Scherzi a parte, non mi pare si possa considerare l'espressione in quanto
        tale un termine tecnico. Occorre quindi esaminare il contesto d'impiego. In
        tale ambito l'uso in questione della parola senso sembra costituire un caso a
        sé stante, che si colloca in una nicchia tutta sua, priva d'agganci con
        l'italiano corrente, così da rappresentare apparentemente un unicum. Per
        quanto mi riguarda non sono riuscito a trovare l'origine della locuzione; in
        particolare non ho trovato conferme al mio sospetto che esso ci giunga
        d'oltralpe, complici varie generazioni di anonimi travets
        dell'amministrazione sabauda, dato che in francese si fa solo un impiego
        moderato di au sens de. L'unico uso in qualche modo affine si riscontra
        nell'espressione "[voglia gradire/le esprimo/béccate mo'] i sensi della mia
        più [devota dedizione/alta stima/abietta servilità/totale indifferenza]",
        decisamente esiziale, ovvero nella sua consorella a mala pena più dignitosa
        "una persona di alti/nobili sensi", nelle quali "sensi" sta chiaramente per il
        più corretto "sentimenti". Entrambi gli usi sembrano comunque emanare
        u                                      n                                    a
        soffocante puzza di naftalina, quale si sprigiona quando si tirano fuori
        dall'armadio i vestiti ancora buoni, ma non più usati perché passati di moda
        o di misura.

        Per guardare al futuro rinunciando a formule avulse dal contesto linguistico
        generale     giudicherei   quindi preferibile l'impiego     delle seguenti
        alternative:
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    Note terminologiche

                                I SENSI DELLA LEGGE

      - a termini di - mai ai termini di ! - quando si vuole fare riferimento alle
       precise parole utilizzate per formulare una disposizione (ingl. within the
       meaning);
      - in forza di per esprimere l'esistenza di un legame causale stretto ed
       immediato tra una disposizione ed un determinato atto;
      - in applicazione di per dare particolare risalto all'elemento prescrittivo
       delle disposizioni (ingl. pursuant to, quale utilizzato dalla Commissione
       nel titolo e talvolta nel corpo di strumenti giuridici in cui si concreta
       u         n          '        a          z        i       o          n         e
       specifica di un'istituzione comunitaria);
      - a norma di quando il legame causale, ammesso che ci sia, è più fluido e/o
       indeterminato ovvero quando si parla di una generica rispondenza a
       prescrizioni di legge (si può utilizzare in alcuni casi per tradurre il francese
       conformément e l'inglese under, che equivale a pursuant to e tende ormai a
       sostituirlo, fatto salvo però il caso di cui sopra);
      - in ottemperanza a/osservanza di /ossequio a quando più che al legame
       causale si vuole dar risalto alla rispondenza ai dettami della legge (anche
       questo può servire per tradurre conformément e talvolta anche under/
       pursuant to).

      L'Enciclopedia Europea - Grande dizionario della lingua italiana moderna
      della Garzanti, arrivato recentemente nella nostra biblioteca, alla voce
      senso recita: "14. Burocr. Disposto di norme giuridiche o di contratti;
      scopo che attraverso esse, così come sono enunciate e commesse,
      l'estensore intende raggiungere; clausola contrattuale. - A senso di, ai sensi
      di, ai sensi e per gli effetti di: per indicare un riferimento preciso. Ai sensi
      di legge: in osservanza al disposto legislativo in merito. Verbali del
      Consiglio d'Amministrazione FIAT: Ai sensi di recenti disposizioni
      emanate dal ministero delle finanze, occorre provvedere alla iscrizione
      delle azioni Fiat nel listino delle borse di Roma e di Napoli."

      Come si vede, 1. si riconduce questo uso di senso ad un contesto
      burocratico isolato; 2. viene proposta la forma a senso di, che risulta tutto
      sommato più giustificabile (e sarebbe quindi semmai da preferire) per l'uso
      del singolare e la costruzione identica a quella di a termini di; 3. l'uso della
      locuzione viene limitato ai casi in cui significa in forza ovvero in
      osservanza di, cosicché l'uso a tappeto che se ne fa in certa prosa
      ministeriale non va preso ad esempio in quanto potrebbe considerarsi
      erroneo in alcuni casi e genera comunque maggiori possibilità di confusio-
      ne.

                                                             Cristiano Gambari
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     Note terminologiche

                                      STATO DELL'ARTE

 Nell'originale francese di alcuni documenti, in genere riguardanti tematiche connesse alla
 proprietà industriale, si trova l'espressione "état de la technique". Mi sembra si possa
 argomentare che la traduzione "stato della tecnica", per quanto non intrinsecamente
 erronea, sia solo a prima vista più calzante e risulti in realtà da sconsigliare.

 Cominciamo con un attacco proditorio sui lati osservando che "état de la technique"
 equivale per i colleghi inglesi a "state of the art". Si tratta quindi di stabilire se anche nella
 nostra lingua non sia preferibile parlare di stato dell'arte, un'espressione a proposito della
 quale v'è luogo di rilevare che:

 ♦ in primo luogo, è ormai ampiamente invalsa nell'uso (il che ha senz'altro la sua
    importanza, ma non è di per sé determinante);
 ♦ per quanto innegabilmente mutuata dall'inglese, nella sua struttura essa è solo
   apparentemente un anglicismo in quanto rispetta le radici profonde e, ciò che più
   conta, le valenze semantiche della nostra lingua.

 La seconda affermazione va chiarita. Effettivamente in italiano per vecchia tradizione ed
 affinità col latino il termine arte ha un significato più ampio che il francese art: nel Medio
 Evo le arti di arti e mestieri comprendevano infatti anche molte delle tecniche di una
 realtà economica preindustriale, come testimoniano l'esistenza e l'uso nella nostra lingua
 di parole come artiere, artefice, artefatto (soprattutto qua sostantivo) ed artificio in
 alcune sue accezioni (ad esempio artifici d'illuminazione - ingl. light effects, fr. jeux de
 lumières), alle quali corrispondono in francese termini che non contengono la radice art,
 ed artificiere, per la quale esiste artificier. L'unico legame vestigiale del francese con il
 latino si può forse osservare nel termine beaux arts, nel cui ambito sembra manifestarsi la
 necessità di specificare di quali arti si tratti; il cambiamento di genere però la dice di per
 sé lunga sull'allontanamento dalle radici latine, senza voler entrare nel merito delle accuse
 di maschilismo linguistico mosse da alcuni alla lingua d'oltralpe in rapporto alla scelta dei
 generi. Del resto nel campo degli appalti in italiano si parla correntemente di opere d'arte
 per indicare le opere d'ingegneria civile (ouvrages).

 Se invece che a Vinci Leonardo fosse nato a Vincennes forse anche i francesi vedrebbero
 le cose diversamente; sic stantibus rebus però la distinzione tra technique ed art sarà
 magari giusta, quando non addirittura doverosa, in francese (lingua la cui natura
 cartesiana ed esagonale comporta forse spigoli e rigidità di cui altre lingue riescono a fare
 brillantemente a meno), ma ciò non costituisce un valido motivo per recepirla in italiano.
 Utilizzando stato della tecnica per voler essere più precisi si rischia infatti piuttosto di
 generare confusione, inducendo chi legge a presumere che si tratti di qualcosa di diverso
 dallo stato dell'arte ormai consolidato nella prassi.
                                                                          Cristiano Gambari
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     CIBERSPAZIO
                                  CIBERSFIZIO

 Se obbligassimo mille persone a provare ciascuna tutti i giorni, a pranzo e a cena, una
 ricetta apparsa su Internet, molto probabilmente dopo dieci anni sarebbero ancora tutte a
 tavola. Il numero di siti gastronomici è infatti sterminato e continua oltretutto ad
 aumentare a ritmo pressoché quotidiano: inutile pretendere di offrire una panoramica
 esauriente, si può tutt'al più formulare qualche suggerimento per chi ha voglia di
 preparare qualcosa di nuovo, soprattutto in vista del fine anno.

 Cominciamo dai siti italiani, fonti inesauribili di idee anche per chi si è portato quassù il
 ricettario della mamma. C'è innanzitutto l'immancabile Gambero Rosso (www.
 gamberorosso.it) con i suoi numerosissimi suggerimenti, compresa la rubrica di
 gastronomia stagionale "Dodici mesi nel piatto". Un altro sito pregevole (a prescindere
 dal gioco di parole) è www.cookkiaio.com, dove si trovano (fra l'altro) un glossario e
 r               i             c                e               t              t             e
 classificate non solo per portate, ma anche per ingredienti (si possono ad esempio cercare
 piatti che contengano solo certi ingredienti e non altri, o da preparare a seconda di quello
 che è rimasto nel frigo). Per trovare altri ricettari ben forniti si possono consultare www.
 mangiarebene.com, www.eateathurrah.com, www.cucinait.com e www.cucina.italynet.
 com. Mi sia infine consentito di spezzare una lancia a favore della gastronomia della mia
 regione: venticinque ricette, in italiano e piemontese, si trovano su www.edera-rg.com/
 Valsangone/Cucina/Piem_ricette.htm; ben più ricco è il repertorio del sito www.cucina.
 piemonte.net, con le "Ricette di Pierre" che però - attenzione - non sono certo tutte
 piemontesi (per dire, mia nonna lo tzaziki non l'ha mai fatto). Per la preparazione di una
 "virtual bagna cauda" si cerchi sul sito www.regione.piemonte.it/agri/ita/piemontedoc/
 index.htm.

 Piemontese d'adozione è l'egiziano Chef Kumalé, che dirige un'associazione gastronomica
 denominata (scusate, ci risiamo con i giochi di parole) The Couscous Clan, è consulente
 dello Slow Food e tiene una rubrica di ricette sulla Stampa. Il suo sito www.kumale.net
 propone ricette del mondo intero, suddivise per aree geografiche; una ricerca analoga si
 può effettuare anche su www.abm.fr/pratique/cuisine.html (FR/EN) e - limitandosi
 stavolta alle cucine europee - sul sito anglofono www.ibmpcug.co.uk/~owls/
 european_cuisines_text.html.

 Cucina francese: piatti, consigli, collegamenti su www.gourmetseeker.com/cuisine e
 www.oncook.com; una quantità davvero enorme di ricette su www.chez.com/ric/recettes.
 htm. In cucina come in tante altre cose sono comunque i siti anglofoni a fare la parte del
 leone, anche perché questi ultimi vent'anni hanno visto un boom senza precedenti
 dell'interesse per la gastronomia in paesi come la Gran Bretagna, dove ormai i grandi
 chef sono personaggi di primo piano, chiacchierati e stizzosi quanto le stelle del cin-
 ema,
CIBERSPAZIO
                                     CIBERSFIZIO

e i reparti "Cookery Books" delle librerie non sono costituiti da scaffali, ma da stanze
intere. Un sito particolarmente raffinato è www.foodoo.com, dove alcuni di questi grandi
chef presentano le loro ricette; abbastanza simile, con numerosi collegamenti e ricerche
interattive, www.simplyfood.com. Diversi siti nordamericani, sia pure con un taglio più
sbrigativo (fra gli ingredienti: "1 cup frozen french fries"), sono comunque interessanti se
non altro per la varietà e il numero di piatti presentati e l'impostazione molto pratica:
www.allrecipes.com, www.epicurious.com, www.ichef.com, e soprattutto il canadese
www.inquisitivecook.com, che nell'utilissima rubrica "You Asked Us" risponde ad ogni
sorta di quesiti, dal modo migliore di arrostire le castagne a quanto tempo si possono
lasciare in frigo le uova sode. Per i vegetariani, infine, il sito www.veg.org/veg (EN)
contiene indirizzi (soprattutto americani) e collegamenti oltre a numerose ricette.

Al di là di queste indicazioni pratiche, chi voglia saperne di più sulle iniziative
attualmente in corso per difendere i prodotti tradizionali e il patrimonio gastronomico
proprio di ciascun paese consulterà il sito della Slowfood (www.slowfood.it).
Quest'organizzazione, che da tempo si batte per il diritto ad un cibo sano e di qualità, ha
ormai ampiamente travalicato i confini nazionali e si sta imponendo come lobby a livello
anche europeo ed internazionale.
                                                                           Cristina Cona

                                        SOMMARIO                                               PAG.

EDITORIALE:                       Una vita alla Commissione (Maria Grazia Ricci)               1
MOSTRE:                           La luce del vero (Clara Breddy)                              2
CULTURALIA:                       Bella o fedele:
                                  Una vita per la traduzione (Cristina Cona)                   3
MOSTRE:                           La « scoperta » del Mediterraneo al Grand Palais
                                  (Alda Muratore)                                              6
NOTE TERMINOLOGICHE:              I sensi della legge (Cristiano Gambari)                      8
                                  Stato dell’arte (Cristiano Gambari)                          10
CIBERSPAZIO:                      Cibersfizio (Cristina Cona)                           11

Comitato di redazione: C. Breddy, C. Cona, R. Gallus, G. Gigante, D. Murillo, F. Nassi, M. G. Ricci
Collaboratori:         C. Gambari , Alda Muratore,
Grafica:               A. A. Beaufay-D’Amico (Anna Angela Beaufay D'Amico@cec.eu.int)
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