STRUMENTI NATUROPATICI PER LA PREVENZIONE DELLE PATOLOGIE STRESS LAVORO-CORRELATO - Master in Medicina Integrativa Indirizzo Naturopatia

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STRUMENTI NATUROPATICI PER LA PREVENZIONE DELLE PATOLOGIE STRESS LAVORO-CORRELATO - Master in Medicina Integrativa Indirizzo Naturopatia
Master in Medicina Integrativa

                                   Indirizzo Naturopatia

       STRUMENTI
      NATUROPATICI
   PER LA PREVENZIONE
    DELLE PATOLOGIE
STRESS LAVORO-CORRELATO

Relatore
Rudy Lanza

Candidato
Mattia Sandro Bertani

              Anno Accademico 2016/2017
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INDICE

INTRODUZIONE___________________________________________________Pag. 4

DEFINIZIONE DI STRESS___________________________________Pag. 5

NEUROENDOCRINOLOGIA DELLO STRESS________________Pag. 8

  ●   FASE AUTONOMA E METABOLICA
  ●   IPOTALAMO E SISTEMA NERVOSO CENTRALE
  ●   STRESS E CATECOLAMINE
  ●   STRESS ED ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-CORTICOSURRENE
  ●   STRESS E SISTEMA IMMUNITARIO
  ●   SCHEMA RIASSUNTIVO

CONSEGUENZE DELLO STRESS CRONICO_______________Pag. 16

DEFINIZIONE DEL FENOMENO SLC_____________________Pag. 18

SLC E IL REPORT DELL’EU-OSHA_________________________Pag. 21

  ●   I COSTI INDIVIDUALI
  ●   I COSTI AZIENDALI
  ●   I COSTI SOCIALI
  ●   L’ONERE ECONOMICO DELLE MALATTIE

PREVENZIONE         DELLE     PATOLOGIE        STRESS      LAVORO-
CORRELATO (PSLC)______________________________________Pag. 26

LA NATUROPATIA_________________________________________Pag. 27

AMBIENTE DI LAVORO___________________________________Pag. 29

  ● ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE COME FONTE DI STRESS
  ● INQUINAMENTO INDOOR
  ● PURIFICAZIONE DELL’ARIA

ALIMENTAZIONE__________________________________________Pag. 44

  ● EDUCAZIONE ALIMENTARE
  ● CRONOBIOLOGIA, ORMONI E RITMI CIRCADIANI

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● IL METABOLISMO ENERGETICO E DEI NUTRIENTI
  ● ALIMENTI ANTISTRESS

INTEGRAZIONE
ALIMENTARE______________________________________________Pag. 59

  ●   MAGNESIO
  ●   B COMPLEX, VIT B6
  ●   TAURINA
  ●   VITAMINA C
  ●   RODIOLA ROSEA

TECNICHE PER LA GESTIONE DELLO STRESS___________Pag. 65

  ● YOGA
  ● RILASSAMENTO PROGRESSIVO DI JACOBSON

MOVIMENTO ED ESERCIZIO FISICO_____________________Pag. 69

CONSIGLI IN ‘’ PILLOLE’’_________________________________Pag. 71

  ● PER I DATORI DI LAVORO
  ● PER I DIPENDENTI

CONCLUSIONI____________________________________________Pag. 76

BIBLIOGRAFIA____________________________________________Pag. 77

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INTRODUZIONE

“… Considerare il problema dello stress sul lavoro e delle patologie ad esso correlate
può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di
salute sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i
lavoratori e la società nel suo insieme…”. (Accordo Europeo sullo stress sul lavoro,
Bruxelles, 8 ottobre 2004).

È evidente il ruolo che la ricerca scientifica svolge nel fornire rigorosi contributi sulla
specifica tematica dello stress lavoro-correlato (SLC), in funzione dell’elaborazione di
strumenti certi ed utili per la valutazione e gestione del rischio anche attraverso
l’individuazione e la diffusione di “buone pratiche”.

Il presente elaborato ha l’obiettivo di riprendere queste pratiche e ampliarle fornendo
indicazioni e consigli a carattere naturalistico e basate sulla evidence-based.

Verranno affrontati argomenti quali la riduzione dell’inquinamento indoor, l’educazione
alimentare, l’integrazione e le principali tecniche di gestione dello stress, ovvero alcuni
degli strumenti che può utilizzare il Naturopata nel suo ruolo di educatore alla salute e
alla prevenzione primaria.

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DEFINIZIONE DI STRESS

Stress, forma contratta di distress, cioè sensazione d’angoscia è un termine usato per
indicare gli effetti di noxae o comunque di stimoli della natura più varia. Dalla classica
definizione di Hans Selye (1) il termine stress ha incontrato almeno tre comuni
interpretazioni nell’uso corrente. Si utilizza, in primo luogo, il termine per stimolo, per
lo più negativo, in grado di rendere il soggetto colpito reattivo. Lo si assume poi come
sinonimo dello specifico complesso stimolo-risposta; lo si impiega infine, com’era nelle
intenzioni di Selye, come risposta psicofisica aspecifica dell’organismo ad ogni
richiesta ambientale. Con ciò si può assumere che stimoli della più varia natura, sia
essa psicosociale, culturale, biologica, fisica o chimica possono produrre lo stesso tipo
di risposta. In realtà, sulla base del tipo stesso di “stressor” subito, acuto o cronico,
minaccioso o piacevole, il soggetto utilizza l’attivazione di alcune vie, sostanzialmente
neuroendocrine, sulla base dell’individualità sua propria, piuttosto che altre.

La chiave di lettura comune per interpretare gli effetti dello stress è ancora un’eredità
di Selye, ed è da lui stata definita “Sindrome Generale d’Adattamento” (GAS). Con ciò
si intende l’insieme delle reazioni biologiche di un organismo sottoposto a stimoli
stressanti in virtù delle sue capacità di adattamento volte a mantenere il più possibile
identiche le proprie condizioni a prima che lo stimolo fosse applicato. La sindrome
generale di adattamento è dunque null’altro che un meccanismo omeostatico in cui
possono essere distinte tre successive fasi, cosi riassumibili:

1) reazione d’allarme

2) fase di adattamento o stadio della resistenza

3) fase di esaurimento.

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La prima fase, o reazione d’allarme, comprende tutte quelle reazioni aspecifiche
scatenate da uno stress ad azione rapida e violenta al quale l’organismo non è
adattato né in termini qualitativi, né quantitativi. La reazione d’allarme può essere a
sua volta suddivisa in due momenti tra loro successivi: la fase dello shock, in cui
l’organismo subisce passivamente l’azione dell’agente alterativo e quella del contro-
shock che corrispondente al momento della mobilitazione delle risposte aspecifiche
dell’organismo. La fase di adattamento è così detta perché in essa l’organismo si sta
adattando allo stressor. E’ comunque in questo momento che vengono attivate
l’insieme delle trazioni sistemiche aspecifiche, determinate da stressors nel tempo
protratti, che consentono all’organismo di resistere. La fase di esaurimento
corrisponde al periodo durante il quale si esaurisce la capacità di adattamento e
l’organismo soccombe agli agenti dannosi; essa può comparire più o meno
tardivamente in rapporto all’energia di adattamento dell’organismo ed all’intensità
dello stress, come può anche mancare, qualora lo stress si esaurisca in tempo utile.
Questo insieme di reazioni cosi semplicemente classificato si è evoluto durante la
filogenesi in senso specie-specifico e si è modulato e modificato in senso individuo-
specifico. Sulla base delle cosiddette predisposizioni (genetiche, di imprinting, di
educazione, di esperienze etc.). Lo stesso evento stressante può produrre due tipi
distinti di fenomeni: la risposta di attacco o fuga ovvero la depressione. La prima trova
nell’amigdala      il     centro    neuroendocrino     di   regolazione      ed    è    caratterizzata
dall’attivazione del sistema simpatoadrenergico adrenomidollare. La seconda risposta
riconosce nel setto dell’ippocampo il proprio controllo centrale ed è caratterizzata
dall’attivazione        del   sistema    ipotalamo-ipofisi-corticosurrene    (fig.     1).   Particolare
importanza riveste il momento cruciale dell’imprinting che può essere definito come il
processo in cui un segnale percettivo viene accoppiato ad un meccanismo innato che
sollecita e spesso solleciterà un determinato tipo di comportamento (2). La scelta di
una delle due vie non sembra dipendere dalla natura dello stimolo, quanto piuttosto
dalle modalità con cui lo stimolo stesso viene letto, interpretato e vissuto.
Particolarmente importante in quest’ambito è la condizione psicopatologica definita
“ansia di stato”, per la quale l’organismo non è più in grado di fronteggiare lo stress
cronico. Nell’ansia di stato non si verifica più la caratteristica attivazione (arousal) dei
meccanismi di adattamento finalizzati alla neutralizzazione dello stimolo stressante.
L’arousal comportamentale rappresenta infatti il tentativo di neutralizzare lo stressor,
attraverso   l’attivazione         del   sistema   endocrino-vegetativo.      Quando         lo   stimolo
stressante è rapidamente allontanato si verifica alla disattivazione dei meccanismi su
accennati. Quando invece lo stress è ripetutamente applicato si verifica una
cronicizzazione         caratterizzata    dall’incapacità   dell’individuo    di     adattarsi     o   di
                                                                                        Pagina 6 di 80
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neutralizzare la noxa. Sul piano biologico si realizza la sindrome psicosomatica che
accompagna la malattia ansiosa. Gli eventi stressanti di carattere fisico, chimico,
biologico e psicologico modificano l’equilibrio omeostatico dell’organismo e possono
così causare ripercussioni negative per la sua integrità psico-fisica. La sensazione
cosciente (e non) dell’arrivo minaccioso di stimoli stressanti è avvertita dalle stazioni
percettive periferiche dell’organismo. Questo stimolo può raggiungere i centri
encefalici superiori, come nel caso di stress emotivi, ovvero essere convogliato
direttamente all’ipotalamo, come ad esempio nel caso di stress da laparatomia o da
emorragia acuta. In risposta all’insulto stressante vengono innescati differenti
meccanismi di difesa a vari livelli costituiti dal sistema cardiovascolare, dall’apparato
muscolare e dalle difese immunitarie nonché da numerosi altri sistemi deputati alla
produzione ed al metabolismo di substrati energetici.

(Fig.1)

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NEUROENDOCRINOLOGIA DELLO STRESS

Fase autonoma e fase metabolica

Il primo meccanismo che si instaura in risposta all’evento stressante è definito fase
autonoma ed è caratterizzato dall’attivazione della midollare del surrene e della
neuroipofisi. In questa fase avviene la liberazione di catecolamine e di vasopressina in
proporzione diretta con l’entità dello stimolo. Il meccanismo alla base di questo
fenomeno deve essere ricercato nell’attivazione del sistema nervoso simpatico. Con
tale risposta rapida viene attivata la midollare del surrene e stimolata la produzione di
catecolamine circolanti. Per le sue caratteristiche di risposta rapida, efficace nel giro di
secondi, la fase autonoma è stata assimilata alla fase di allarme della sindrome
generale di adattamento. Ad essa succede la fase metabolica. Questa può essere
valutata cronologicamente nell’ordine dei minuti ed è caratterizzata dalla risposta
ormonale anteroipofisaria. E’ durante questo periodo che si assiste alla secrezione di
17OH-corticosteroidi, in risposta allo stimolo della corticotropina (ACTH) ipofisaria. Con
esso vengono dismessi in circolo altri frammenti attivi prodotti dal clivaggio della pro-
opiomelanocortina (POMC) in risposta all’attivazione del CRF ipotalamico. Solo
successivamente vengono stimolati i vettori somatotropi e lattotropi dell’ipofisi
anteriore.

Il CRF può essere riconosciuto come l’ormone chiave nella risposta integrata allo stress
per la sua azione combinata sull’ACTH ipofisario e le sue attività di neuropeptide in
varie aree cerebrali. L’iniezione di CRF nel ratto, nel cane, nella scimmia e nell’uomo
causa ipotensione e tachicardia attraverso una diminuzione delle resistenze al flusso.
Sebbene l’adrenalectomia annulla completamente l’effetto, si dimostra per questo
neuropeptide un’attività non solo ipofisaria, ma anche sulla midollare del surrene
(3,4,5) . Questa osservazione, assieme all’immunoreattività e bioattività del peptide
nei tessuti periferici suggerisce che il CRF è rilasciato localmente a livello tissutale
agendo come neurotrasmettitore e/o come ormone paracrino. Il CRF è presente nella
midollare del surrene ed i suoi recettori sono accoppiati all’adenilato-ciclasi per
stimolare la secrezione di catecolamine (6). L’attività periferica del neurormone
ipotalamico permette di ipotizzare, per quell’integrazione centro-periferia comune ad
altri sistemi endocrini, un ruolo centrale nella regolazione e modulazione paracrina
degli ormoni da stress.

Delineato cosi in grandi linee la cinetica della risposta neuroendocrina allo stress
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possiamo analizzare l’attività dei singoli relé ormonali ad essa collegati.

Ipotalamo e sistema nervoso centrale

La secrezione ormonale in risposta all’evento stressante, che rappresenta il primo
evento della fase metabolica, è controllata dal rilascio degli ormoni ipotalamici da
parte dei neuroni peptidergici che hanno le loro sinapsi a contatto con le pareti dei
vasi superiori del sistema portale ipotalamo-ipofisario. La secrezione dei neurormoni
ipotalamici è la risultante di numerosi stimoli (neurotrasmettitori, ormoni periferici,
ioni, metaboliti, peptidi). Attraverso questi, l’ipotalamo controlla l’attività dell’intera
ipofisi: dal lobo anteriore attraverso i releasing hormones e dal lobo posteriore tramite
le fibre nervose dirette. L’ipotalamo si è rivelato come vero e proprio centro di
smistamento di segnali che viaggiano secondo un doppio senso di marcia sia verso i
centri nervosi superiori sia verso la periferia dell’organismo. In quest’ambito va
collocato il riconosciuto duplice ruolo di invio di messaggi da una parte alla ghiandola
ipofisaria, controllandone l’attività secretiva ed il ritmo circadiano, e dall’altra alle aree
cerebrali responsabili dell’espressione comportamentale quale la corteccia limbica. Le
informazioni inviate dai nuclei ipotalamici sono essenzialmente rappresentate da
peptidi che, oltre al tropismo ipofisario, svolgono la funzione di neurotrasmettitori e
neuromodulatori nelle aree cerebrali responsabili dell’espressione comportamentale.
Così, i fattori ipotalamici, liberati in risposta all’applicazione di uno stimolo stressante,
esercitano una serie di effetti collaterali finalizzati alla neutralizzazione dello stimolo
medesimo ovvero all’adattamento ad esso. L’osservazione che l’attivazione del
sistema nervoso centrale e periferico precede quella del sistema endocrino (cosi che
quest’ultima della prima sia effetto) è comunque significativa dell’ipotesi che i circuiti
di risposta allo stress nel mammifero debbano essere localizzati al di sopra
dell’ipotalamo, probabilmente nell’area settale del sistema limbico o nell’amigdala e
che esiste un meccanismo neurale centrale in grado di controllare la risposta allo
stress indipendentemente da quei meccanismi responsabili del controllo omeostatico
dei livelli ormonali.

Stress e catecolamine

L’attività catecolaminergica è indotta da stimoli di natura fisica ed emozionale mediati
dalla risposta del sistema simpatico. La più antica letteratura psicosomatica suggeriva
che l’epinefrina è increta soprattutto durante la reazione di paura, mentre la
norepinefrina è la tipica risposta all’ira. Più di recente, si dimostrò che l’adrenalina
aumentava in situazioni di imprevedibilità e di attivazione emozionale generale mentre
l’aumento di noradrenalina era caratteristico di stress fisici. Benché le funzioni della
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noradrenalina siano primariamente quelle di neurotrasmettitore, con l’immissione nel
torrente circolatorio essa è in grado di influenzare altri tessuti. L’adrenalina è in grado
di provocare le variazioni fisiologiche necessarie per modulare una generale
accelerazione delle funzioni corporee. Teleologismo di questo sistema è il generale
miglioramento della funzione cardiaca (frequenza e forza di contrazione), lo shunt
ematico verso i distretti di prima necessità, l’aumento della glicogenolisi epatica e
muscolare e della lipolisi del tessuto adiposo. Queste risposte preparano l’organismo
all’incremento di spesa energetica prevedibile in seguito all’evento stressante
promuovendo la mobilizzazione dei substrati necessari per sostenere il metabolismo
energetico.

Lo studio delle catecolamine plasmatiche è stato favorito dalla disponibilità di
micropompe portatili che permettono al ricercatore di accedere alla fisiologia dello
stress “naturale”, cioè non indotto. Un esempio di tali stressors è la situazione del
conferenziere, situazione di prova che si è dimostrata essere accompagnata da segni
evidenti di attivazione autonomica. A tale proposito, comparando questo modello
all’esercizio fisico, è stato dimostrato tramite micropompa che lo stress del
conferenziere è caratterizzato da un raddoppio dei livelli di epinefrina, mentre durante
l’esercizio fisico si assiste ad un incremento di tre volte in termini di noraepinefrina. Gli
Autori concludevano che se l’esercizio fisico stimola la risposta di tipo simpatico. lo
stress     psicologico     induce      una      reattività     adrenergica.      L’iniezione
intracerebroventricolare di CRF nel ratto provoca ipoglicemia ed un incremento di
glucagone, adrenalina e noradrenalina, dimostrando che il CRE agisce a livello
cerebrale stimolando l’attività simpatica e, attraverso questa, la midollare del surrene
(7). Questi dati suggeriscono l’ipotesi che il medesimo peptide sia coinvolto nel
generare la risposta autonomica e la risposta endocrina allo stress. In ogni caso la fase
autonomica ha lo scopo di adattare l’organismo all’attacco ed alla lotta. A differenza
delle specie inferiori però, per l’uomo civilizzato l’attivazione adrenomidollare ha
perduto il significato adattativo somatico-muscolare a causa dell’entità degli stressors,
non già costituiti da forze naturali per le quali risulta valida la risposta di attacco o di
fuga, ma da situazioni conflittuali evocate dalla stessa convivenza umana. Il risultato a
lungo andare, non può non essere nocivo. Non a caso la fase autonomica è stata
invocata come concausa del processo aterogenetico. (8,9)

Stress ed asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, chiamata in causa nella risposta allo stress, è
costituito da due stazioni superiori: quella ipotalamica e quella ipofisaria ed una

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stazione periferica corrispondente alla corticale surrenalica. A livello ipotalamico viene
secreto il CRF che esercita un’azione stimolante di cui la sintesi e la secrezione
dell’ACTH ipofisario e dei peptidi ad esso correlati di più recente identificazione, beta-
endorfina, beta-lipotropina e altri peptidi minori di struttura affine. La secrezione di
CRF è mediata dal controllo inibitorio noradrenergico encefalico, mentre i sistemi
colinergici e serotoninergici promuovono il rilascio del fattore ipotalamico. A livello
ipofisario, al di fuori della barriera emato-encefalica, la produzione di ACTH non è solo
mediata dal CRF, ma da altri fattori neuroendocrini quali noradrenalina, epinefrina,
vasopressina, ossitocina e somatostatina. Studi nell’animale dimostrano che il CRF,
iniettato per via intracerebroventricolare, provoca una risposta comportamentale
assimilabile a quella assunta come modello di ansia e di depressione (10,11). In base a
studi recenti condotti sugli animali a livello delle cellule corticotrope dell’ipofisi
anteriore ed intermedia nonché in un gruppo di cellule del nucleo arcuato
dell’ipotalamo è stato evidenziato il glicopeptide proopiomelanocortina (POMC) che è il
precursore dell’ACTH, delle endorfine e di altri peptidi affini. La POMC subisce una
scissione enzimatica specifica a seconda del tessuto in cui è presente, per la quale, nel
lobo anteriore dell’ipofisi vengono prodotti essenzialmente ACTH, beta-lipotropina e
beta-endorfina mentre la POMC viene scissa in peptidi di minor peso molecolare a
livello dell’ipofisi intermedia quali la beta-endorfina, l’alfa-MSH e il CLIP. Infine a livello
della corteccia surrenalica sotto lo stimolo dell’ACTH vengono secreti gli ormoni
glucocorticoidi principalmente rappresentati dal cortisolo, l’ormone da stress per
eccellenza. La beta-endorfina plasmatica è regolata in maniera parallela dagli stessi
meccanismi di feed-back che regolano l’ACTH e beta-endorfina. Le endorfine, peptidi
oppioidi antagonizzati dagli inibitori delle sostanze morfino-simili, sono anche state
studiate per quel che riguarda le molteplici azioni nel controllo di funzioni
neurovegetative. A seconda del locus d’azione esplicano funzioni diverse, come la
modulazione della termoregolazione, effetti comportamentali quali la regolazione del
senso della fame, della sete, del comportamento sessuale. A valle dell’attivazione
ipotalamo-ipofisaria l’aspetto più caratteristico, e meglio noto, dell’adattamento
dell’organismo allo stress è dunque rappresentato dall’impegno corticosurrenalico. La
produzione di ormoni adrenocorticali è il gradino finale della cascata neuroendocrina
che inizia con la percezione dello stressor da parte del cervello ed è mediata dal
rilascio di CRF prima e di ACTH dopo. Molti risultati sperimentali confermano
l’incremento    di    cortisolo   in   condizioni     stressanti   quali    interventi     chirurgici,
l’esposizione al caldo e al freddo, oppure l’”anticipazione dello stress” come l’entrata
in ospedale ovvero la visione di film provocatori. Particolare interesse è stato rivolto
dai   ricercatori    per   riconoscere   le   cause    delle   differenze    individuali    esistenti
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nell’esposizione al medesimo stressor in termini di attivazione adrenocorticale. Si è
così dimostrato che l’incremento di cortisolo è caratteristico della novità, mentre può
non verificarsi nella ripetizione dello stress. Queste considerazioni aprono la
discussione relativamente alla verifica della risposta corticosurrenale nell’esposizione
cronica all’evento stressante. L’attivazione di un asse endocrino può comunque, a
lungo termine, portare alla sregolazione dei fini meccanismi di feedback che possono
poi manifestarsi in patologie psicosomatiche, anche se è fuor di dubbio che fattori
genetici o ambientali intervengono in maniera determinante. Dopo esercizio fisico i
livelli   plasmatici        di    cortisolo,     di   18-idrossi-desossicorticosterone    (18-OH-DOC),
dell’aldosterone e del deidroepiandrosterone solfato (DEAS) risultano elevati rispetto
alle condizioni basali. In particolare, l’aumento dell’increzione di cortisolo si verifica in
corso di un’ampia varietà di situazioni, tutte comunque interpretabili come stressanti,
quali il freddo, il caldo, il dolore, i traumi fisici, gli interventi chirurgici, la gravidanza ed
il parto, le situazioni ad alta componente ansiosa (classicamente, negli studenti il
giorno dell’esame) (12). Gli effetti della risposta glucocorticoide allo stress sono ben
noti riguardo al metabolismo intermedio, il cortisolo aumenta la produzione di glucosio
da materiale biochimico non carboidratico (gluconeogenesi). Tale effetto si manifesta
in antagonismo con l’insulina decelerando la quota epatica della gluconeogenesi ed
aumentandone           la        capacità      biosintetica   attraverso   il   catabolismo    proteico,
specialmente a livello del muscolo scheletrico. Ciò che ne risulta è un aumento
dell’utilizzo delle riserve lipidiche. La finalità adattativa della fase metabolica è
evidente: promuovere la disponibilità di sostanze ad attività energetica necessaria alla
risposta fisica ancora una volta di attacco o di fuga. Infatti, la ben nota fragilità
dell’organismo soggetto ad insufficienza corticosurrenalica nell’adattarsi allo stress
testimonia l’importanza del cortisolo e degli ormoni ad esso correlati. Molte delle più
importanti azioni biologiche e farmacologiche dei glucocorticoidi sostengono l’ipotesi
che il ruolo dell’attività surrenalica nello stress sia essenzialmente quello di
sopprimere le normali reazioni di difesa. Il significato dell’azione immunodepressiva
del cortisolo e degli steroidi ad esso correlati deve essere quindi individuato non nella
protezione dell’individuo nei confronti dello stress in quanto tale, ma contro le normali
reazioni di difesa dell’organismo che lo stress medesimo scatena.

Riassumendo quanto ci è noto circa l’asse CRF-ACTH-cortisolo possiamo individuare in
esso una stretta correlazione con l’efficacia della reazione di difesa o di attacco; la
stessa produzione di ACTH è stata messa in relazione con la facoltà di consolidare con
la memoria l’esperienza e di resistere all’estinzione della risposta. Oltre al feed-back
negativo nei confronti del CRF, i glicocorticoidi svolgono altre attività per così dire

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“comportamentali” a livello cerebrale. Gli ormoni cortisolici aumentano il metabolismo
di catecolamine e serotonina, diminuiscono il trasporto di GABA e facilitano
l’estinzione   della   risposta   di   evitamento,   probabilmente   mediata    dalla   via
serotoninergica. L’attività glucocorticoide a livello del sistema limbico è stata poi
coinvolta nella regolazione del ritmo sonno-veglia ed ulteriori esperienze ne hanno
confermato lo sconvolgimento in condizioni di stress.

Stress e sistema immunitario

Negli ultimi anni sulle strette connessioni esistenti tra sistema nervoso, sistema
endocrino e sistema immunitario ne è nata una nuova branca delle scienze
neuroendocrinologiche: la Psiconeuroimmunologia.

Già da molto tempo ci si è resi conto in laboratorio che la suscettibilità alle malattie
aumentava in proporzione con lo stress subito. Si è quindi potuto postulare che
l’insulto stressante agisce sui fattori cellulari ed umorali dell’immunità, deprimendoli,
nel caso dello stress acuto e forse potenziandoli quando la ripetizione dello stress
provochi l’adattamento ad esso. Lo stress è in grado di alterare i livelli di anticorpi
circolanti, di sopprimere la risposta dei linfociti ai fattori mitogeni ed antigenici e di
stimolare subpopolazioni di linfociti aberranti. Queste osservazioni suggeriscono che le
conseguenze dello stress sulle funzioni neurochimiche, ormonali ed immunologiche
non sono probabilmente indipendenti le une dalle altre, e che i cambiamenti
neurochimici indotti dallo stress possono essere in grado di promuovere l’attività di
molti fattori ormonali e neurotrasmettitori periferici che a loro volta possono
direttamente influenzare la funzione immunitaria; d’altra parte molti di questi circuiti
di immunomodulazione restano per lo meno da chiarire, mentre altri sono stati ben
identificati e caratterizzati. In tal senso, è stato dimostrato che l’aumento di serotonina
a livello centrale deprime l’immunorisposta emolitica dei linfociti T nel topo e che
lesioni dell’ipotalamo inferiore sopprimono la funzione immunitaria. Gli stessi linfociti T
producono un peptide strutturalmente e funzionalmente assimilabile all’ACTH capace
di stimolare la produzione di corticosterone nel topo ipofisectomizzato (13). L’ACTH
ipofisario è poi in grado di sopprimere la produzione di anticorpi e di interferone da
parte di cellule spleniche di topo che possiedono recettori ad alta e bassa affinità per
lo stesso ormone (14). Nell’uomo, il lutto è in grado di deprimere la risposta
immunitaria, cosi come lo stress dell’esame universitario. Il meccanismo psico-
immunodepressivo meglio documentato è quello che collega l’ipotalamo al timo
attraverso l’ipofisi ed il corticosurrene. Ma non mancano evidenze circa la presenza di
fibre nervose afferenti al sistema linfatico e di recettori sui linfociti identici per il

                                                                           Pagina 13 di 80
ligando a quelli del sistema neuroendocrino. In quest’ottica, il sistema immunitario è
stato definito una “ghiandola endocrina diffusa” (15). Il cortisolo, ultimo effettore della
risposta allo stress dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene possiede attività non solo
genericamente antinfiammatoria, ma specificamente immunodepressiva (16).                   Le
strette correlazioni tra sistema immunitario e corticosurrene sono dimostrate dal fatto
che le linfochine stimolano il surrene attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo-
ipofisi-corticosurrene (17). E verosimile quindi che la maggior suscettibilità non solo
alle infezioni, ma anche alle malattie autoimmuni e forse ai tumori dei soggetti
stressati possa riconoscere nello stress un comune cofattore patogenetico. La
relazione tra il sistema neuroendocrino e quello immunitario è dunque dimostrata. I
due sistemi hanno simili proprietà e probabilmente comuni funzioni mediate
attraverso gli stessi recettori da peptidi circolanti nel sangue periferico.

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Schema riassuntivo
Riassumendo, gli stressors attivano (fase di allarme della reazione di stress) l’asse
HPA con rilascio di catecolamine (Epinefrina, Norepinefrina, Dopamina).

Noxae inducono la produzione di CRH dall'ipotalamo e dai linfociti. Il CRH, a sua
volta, può stimolare il rilascio dall'ipofisi e di IL-1 dai macrofagi. IL-1, a sua volta, può
determinare un aumento di produzione del CRH dall'ipotalamo e del ACTH dall'ipofisi
o dai linfociti B (attivazione dell'asse HPA nella fase di resistenza della reazione di
stress). I glucocorticoidi (cortisolo), prodotti dalle surrenali, sollecitate dal ACTH, e il
sistema nervoso parasimpatico "spengono" tutto (fase di esaurimento della reazione
di stress).

  -   Aumento     del    metabolismo      (frequenza     cardiaca,    pressione    arteriosa,
      sudorazione, respirazione) e della concentrazione di zucchero e grassi nel
      sangue
  -   Contrazione dei muscoli scheletrici
  -   Confluenza del sangue dalle aree periferiche e dagli organi secondari verso
      cuore, polmoni, muscoli scheletrici
  -   Riduzione delle secrezioni e motilità gastroenteriche
  -   Innalzamento della soglia del dolore (produzione di betaendorfine)
  -   Diminuzione dell’attività del sistema immunitario
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CONSEGUENZE DELLO STRESS CRONICO
Gli studiosi del “Canadian Institute of Stress”, dopo aver eseguito un’analisi statistica
su persone con sintomi tipici del distress a cui furono poste delle domande tratte da
un questionario chiamato “Stress Inventory System”, hanno definito cinque fasi del
distress cronico:

   1. Stanchezza cronica (fisica o mentale)
       Questa prima fase può cominciare con la necessità quotidiana di un forte sforzo
       ad alzarsi dal letto oltre che di una bevanda eccitante (caffè o tè) per svegliarsi.
       Poi si continua a cercare aiuto nella caffeina durante la giornata. Nel
       pomeriggio o verso sera comincia a prevalere una certa stanchezza e quando si
       rientra a casa, non si desidera altro che sdraiarsi. A questo punto si può cedere
       all’abitudine serale di bere alcolici per rilassarsi, riuscendo solo a stordirsi.
       Infatti, di notte si dorme poco o si dorme ma non si riposa. Di giorno in giorno,
       le crisi di stanchezza diventano più lunghe ed estenuanti, finché una mattina ci
       si accorge di non avere neppure la forza di alzarsi dal letto.

   2. Problemi interpersonali, autoisolamento
       Con la seconda fase del distress hanno inizio i problemi nei rapporti con gli altri:
       si diventa sospettosi e ostili verso tutti, pronti alla lite. La capacità di
       autocontrollo diminuisce ogni giorno, mentre aumenta la facilità di adirarsi per
       motivi trascurabili o immaginari. Peggiorando le relazioni interpersonali, si
       perdono le possibilità di gratificazione e conforto legate ai buoni rapporti col
       prossimo. Si tende così a ridurre gradualmente gli incontri con le altre persone
       trascurando sia le amicizie più care sia i familiari. La tendenza a rinchiudersi in
       se stessi e all’isolamento dalla vita sociale cresce rapidamente, insieme con la
       stanchezza.

   3. Turbe emotive
       Nella terza fase del distress diventa quasi costante l’irritabilità della fase
       precedente, ma l’aggressività è meno rivolta verso gli altri perché viene
       interiorizzata, coinvolgendo l’intero organismo. Si è quindi insicuri, confusi,
       incapaci di attuare scelte o prendere decisioni. I rapporti sociali continuano a
       deteriorare finché l’incapacità di controllare le proprie emozioni diventa un
       problema grave e preoccupante. L’instabilità emotiva condiziona fortemente

                                                                           Pagina 16 di 80
l’efficienza nel lavoro provocando, secondo le variazioni d’umore, risultati
  alterni.

4. Dolori cronici
  La quarta fase è quella dei dolori fisici tramite i quali l’organismo suona il
  campanello d’allarme, denunciando con forza la necessità di uscire da una
  lunga fase di resistenza da stress e dal conseguente stato di ansietà cronica. Il
  primo sintomo fisico è la rigidità muscolare, specialmente nelle aree del collo,
  delle spalle, della parte inferiore della schiena e di tutto il viso.

5. Patologie da stress
  In questa ultima fase del distress si esce dal lungo periodo di resistenza per
  entrare nella variante cronica dell’esaurimento. I danni invisibili accumulati per
  lungo tempo nell’organismo si manifestano con malattie specifiche, in gran
  parte      favorite   dal   progressivo   indebolimento     del   sistema   immunitario:
  raffreddori,     influenze,    ulcere,    coliti,   asma,   ipertensione,   vari   difetti
  cardiovascolari ecc.

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DEFINIZIONE E L’INQUADRAMENTO DEL FENOMENO
SLC
Tralasciando le questioni più controverse relative alla differenza, da un lato, tra il
concetto specifico di rischio da SLC e la categoria dei rischi psico-sociali e, dall’altro,
tra il primo e il concetto più ampio di stress (a), è opportuno partire dalla definizione di
SLC 30. Le indicazioni dettate dal Ministero, contrariamente allo spirito del testo
europeo, che puntualizza le peculiarità delle due dimensioni (stress e SLC), si limitano
a riprendere la definizione europea di stress (art. 3, comma 1) e a riferirla allo SLC,
descrivendolo quale “condizione che può essere accompagnata da disturbi o
disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale (…) conseguenza del fatto che taluni
individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative
riposte in loro”, precisando, tuttavia, che tale squilibrio in àmbito lavorativo è causato
da “fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro” (b).

Sul piano definitorio il documento non va oltre, rendendo così opportuno riferirsi
all’accordo interconfederale del 2008, di recepimento dell’accordo europeo, per
inquadrare meglio questa tipologia di rischio. Qui, dopo aver premesso che lo stress
può interessare ogni ambiente lavorativo e ogni lavoratore, a prescindere dalle
dimensioni aziendali, dal settore di attività o dalla tipologia contrattuale, si precisa che
non si tratta di una malattia, ma di una condizione di “prolungata tensione che può
ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute” (artt. 1,
comma 2, e 3, comma 3). Il testo individua anche alcuni indici sintomatici
dell’esistenza di problemi di stress nell’àmbito del contesto aziendale (alto tasso di
assenteismo o elevata rotazione del personale; conflitti interpersonali o lamentele
frequenti da parte dei lavoratori), distinguendoli poi in quattro classi principali di
fattori: l’inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro; le
condizioni lavorative e ambientali; la scarsa comunicazione; i fattori soggettivi (art. 4,
comma 1 e 2) (c).

 ___________________________

a. Su questi aspetti cfr. C. FRASCHERI, op. cit., p. 312 e gli autori ivi richiamati.

b. Sulla definizione di stress lavoro-correlato, cfr. l’analisi di M. PERUZZI, op.cit.

c. Cfr. F. ALACEVICH, Il circolo virtuoso della qualità, in Igiene e sicurezza del lavoro, 2010, 5, p. 272 ss. (e la bibliografia
ivi richiamata), che analizza gli effetti dello stress sulle persone (“costi” individuali), sulle prestazioni aziendali e sulla
collettività (“costi” sociali).

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La soggettività del fenomeno stress, da non considerare sempre e comunque quale
fonte di disagio e di sofferenza, ma quale “potenziale agente patogeno letto e vissuto
dalle soggettività degli individui” (d), si riflette anche sui suoi indici rivelatori che,
quindi, non producono sempre e automaticamente stress ‘’negativo’’, ma soltanto se il
soggetto esposto percepisca e valuti la situazione come una minaccia per la propria
salute (e).

Ulteriori indicazioni sono fornite dall’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul
lavoro che, definendo lo stress legato al lavoro quale “sintomo di un problema
organizzativo, non di una debolezza individuale” (f) e, quindi, quale “stato psicologico
che è parte e rispecchia un processo più ampio di interazione tra la persona e
l’ambiente di lavoro” (g), evidenzia la correlazione tra stress e organizzazione
lavorativa, nel senso che un malfunzionamento del processo produttivo o di qualche
componente dovuto a squilibri eccessivi dell’organizzazione, oltre a provocare
problemi di salute, può produrre l’aumento dell’assenteismo e il rischio di riduzione
della produttività e della competitività delle aziende (h). La relazione tra stress e
organizzazione lavorativa è stata al centro della Strategia comunitaria per la salute e
la sicurezza 2002-2006, che ha propugnato una concezione globale del benessere
(fisico, morale e sociale) sul luogo di lavoro, che considera la salute psico-fisica dei
lavoratori quale elemento fondante della più complessiva strategia verso un lavoro di
qualità, anche alla luce delle trasformazioni nella società, nelle forme di occupazione e
nei rischi (i).

___________________________
d. V. MAJER, Valutare e gestire le fonti di rischio psicosociale e di stress lavoro-correlato, in Igiene e sicurezza del
lavoro, 2010, 5, p. 283.

e. Sul punto, cfr. P. FRASCA, Stress. Obbligo di valutazione: problema od opportunità per aziende e lavoratori?, in
Ambiente e sicurezza, 2009, 8, p. 20. Sulla lettura soggettiva e oggettiva dello stress cfr. ancora V. MAJER, op. cit., p.
283.

f. Cfr. le note dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Consigli pratici destinati ai lavoratori su come
affrontare lo stress legato all’attività lavorativa e le sue cause, in Facts, 2002, n. 31, consultabili in
http://osha.europa.eu.

g. Cfr. Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Ricerca sullo stress, cit., p. 13. Nello stesso documento,
l’Agenzia individua le principali aree chiave a rischio di stress all’interno di un’organizzazione, i c.d. fattori di rischio
stressogeni connessi ad aspetti tecnici-strutturali, di natura relazionale, nonché alla gestione di risorse umane e li
riconduce a due macroaree: il contesto lavorativo (cultura organizzativa, ruolo nell’organizzazione; sviluppo di carriera;
autonomia decisionale/controllo; relazioni interpersonali sul lavoro; livello decisionale; interfaccia famiglia/lavoro) e i
contenuti del lavoro (ambiente di lavoro e attrezzature; progettazione dei compiti; carico/ritmi di lavoro;
programmazione del lavoro).

h. Secondo P. FRASCA, op. cit., p. 22, “lo stress lavorativo costituisce un rischio trasversale e comune a ogni
organizzazione, che riguarda, potenzialmente, tutte le professioni”.

i. Commissione delle Comunità Europee, Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia
comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006, Bruxelles, 11 marzo 2002, COM(2002) 118 def. In seguito, tale
approccio è stato sviluppato nel Libro bianco della Commissione europea per la salute (Commissione delle Comunità
Europee, Libro Bianco. Un impegno comune per la salute: approccio strategico dell’UE per il periodo 2008-2013,
Bruxelles, 23 ottobre 2007, COM(2007) 630 def.), che ha proposto il potenziamento di una cultura della salute, quale
valore assoluto e trasversale, finalizzata al raggiungimento di maggiori livelli di benessere, produttività e prosperità
economica.
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Si sviluppa così il concetto di salute dell’organizzazione, nel senso che il benessere di
quest’ultima, il cui presupposto è la centralità della persona, lungi dal ridursi a un
mero obbligo di legge, diventa un’esigenza primaria dell’impresa, strettamente
correlata con la strategia aziendale.

Secondo la filosofia ispiratrice degli accordi europeo e interconfederale, una politica di
prevenzione basata anche sulla valutazione dello SLC e mirata al benessere
organizzativo, puntando al buon funzionamento di una struttura lavorativa, porta
benefici in una duplice direzione:

    ✓ per le aziende, in termini sia economici, di aumento della produttività, della
         competitività e dell’efficienza/efficacia, sia sociali, con il miglioramento del
         clima aziendale e della qualità della vita lavorativa e con la riduzione della
         percentuale degli infortuni, delle malattie professionali e dell’assenteismo;

    ✓ per i lavoratori, con un innalzamento dell’autostima e della motivazione                                            e,
         quindi, della realizzazione personale, e con una riduzione dei problemi di salute
         (l).

Nell’insorgenza dello SLC assumono rilevanza proprio le strategie organizzative,
produttive e gestionali delle risorse umane adottate dai datori di lavoro ma anche la
capacità del personale stesso a gestire lo stress e in tal merito diversi, ma ancora poco
esaustivi, sono i corsi diretti a tal proposito.

___________________________
l. P. LAMBERTUCCI, op. cit., p. 352, sottolinea come l’accordo europeo segni il passaggio da strumenti di tutela
risarcitoria, individuati a livello giurisprudenziale, a forme di tutela preventiva, che, coinvolgendo la politica gestionale
del datore di lavoro, richiedono un approccio multidisciplinare, “al fine di favorire il c.d. benessere organizzativo,
funzionale, peraltro, alla più adeguata valorizzazione della performance lavorativa”.

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SLC E IL REPORT DELL’EU-OSHA
Molti studi e ricerche effettuati negli ultimi anni hanno messo in evidenza come le
caratteristiche dell’ambiente di lavoro influenzino il livello di stress e i problemi di
salute dei lavoratori (Sparks et al., 1997; Sverke et al., 2002; Stansfeld-Candy, 2006).

La Commissione europea nel 2010 ha pubblicato il report “Health and safety at work in
Europe (1999–2007): a statistical portrait”, dal quale risulta che tra i lavoratori che
presentano problemi di salute legati all’attività lavorativa, il 14% riferisce che stress,
depressione e ansia sono i principali.

I datori di lavoro sono consapevoli di questo problema, infatti l’“European Survey of
Enterprises on New and Emerging Risks” (ESENER; EU-OSHA, 2010) ha evidenziato che
il 79% dei manager europei sono preoccupati per il problema dello stress nei loro
luoghi di lavoro, però, nello stesso tempo, meno del 30% delle aziende in Europa
hanno messo in atto azioni per gestire lo stress.

I costi individuali

L’EU-OSHA ha recentemente pubblicato il report “Calculating the cost of work-related
stress and psychosocial risks”, una revisione della letteratura scientifica che analizza e
confronta i risultati di studi europei, canadesi, australiani e statunitensi riguardanti
l’onere finanziario dello stress lavoro-correlato e dei rischi psicosociali sul luogo di
lavoro a livello di costi per la società, per le imprese e per l’individuo. Le informazioni
contenute nel report si basano sui dati pubblicati nella letteratura scientifica (banche
dati scientifiche nazionali e internazionali), letteratura grigia (motori di ricerca sul web)
e informazioni provenienti da organizzazioni, quali, ad esempio, Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL), World Health Organization (WHO) e Istituzioni nazionali
per la salute e sicurezza sul lavoro presenti nei vari Paesi.

Il report, nella prima parte, presenta i risultati di una revisione della letteratura
incentrata sugli studi condotti in vari Paesi europei, Australia, Canada e Stati Uniti sui
costi per la società e per le organizzazioni legati allo stress e ai rischi psicosociali. Gli
studi presi in considerazione indicano che l’onere finanziario legato allo stress e ai
rischi psicosociali è elevato. I costi non gravano solo sulle aziende sotto forma di
assenteismo e calo della produttività, ma anche sui singoli lavoratori in termini di
danno alla salute e alla qualità della vita: quindi tutta l’economia nazionale e la società
ne pagano il prezzo.

È probabile che i costi riportati in realtà siano sottostimati in quanto i costi per

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l’individuo, per le aziende e per la società possono essere quantificati in molte
maniere diverse (ad esempio costi di assistenza sanitaria, di mancata produttività, di
assenteismo, ecc.) e la maggior parte degli studi riportati nel report ha preso in
considerazione solo alcune delle voci di costo possibili.

I costi dei rischi psicosociali e dello stress per i lavoratori sono duplici: da una parte il
lavoratore subisce danni alla propria salute fisica e mentale e deve farsi carico delle
spese conseguenti; contestualmente, deve farsi carico dei costi relativi alla perdita o
riduzione di reddito causati dalle assenze per malattia, permessi per invalidità (in
alcuni Paesi europei non sono pagati), mancato lavoro, pensione anticipata. Si pensi
che, i dati della ricerca “Austrian Employee Health Monitor” svolta nel 2009, ha
evidenziato che in Austria il 42% dei colletti bianchi è andato in pensione anticipata
per disordini psicofisici correlati al lavoro.

Ramaciotti e Perriard (2003) hanno stimato il costo dello stress in Svizzera partendo
dai costi a livello individuale. Le informazioni sono state raccolte attraverso interviste
telefoniche e a domicilio, e sono stati raccolti dati riguardo le assenze dal lavoro, il
ricorso ai servizi medici ambulatoriali, i ricoveri, il costo dei farmaci prescritti e di
automedicazione e il costo di eventuali fisioterapie. Ai partecipanti è stato chiesto
anche di valutare il loro livello di stress, e anche se lo studio riguardava lo stress ‘in
generale’, solo il 4,6% del campione attribuiva il proprio stress solo a fattori di stress
non-lavorativi. I partecipanti, in base alle risposte fornite, sono stati poi suddivisi in tre
gruppi: “spesso-molto spesso” stressati, “qualche volta” stressati e “mai” stressati. Il
costo dello stress per l’individuo è stato poi ottenuto sottraendo il costo medio delle
spese sanitarie di coloro che erano “mai” stressati (461,68 franchi svizzeri) da quello
degli intervistati del gruppo “a volte” stressati (967,75 franchi svizzeri) e del gruppo
“spesso-molto spesso” stressati (1.315,33 franchi svizzeri). Da questo si è calcolato
che lo stress comporta in Svizzera un costo medio annuo di 648,60 franchi svizzeri
(circa 62.435,29 euro) per persona.

In uno studio condotto negli Stati Uniti (Manning et al., 1996) per stimare i costi dello
stress lavoro-correlato a livello individuale, sono state calcolate le spese sanitarie dei
lavoratori ad un tempo zero e a distanza di un anno. Sono state poi registrate le
variazioni dell’organizzazione del lavoro intervenute nei dodici mesi presi in
considerazione. Lo stress lavoro-correlato ha portato ad un aumento delle spese
sanitarie individuali calcolate dopo i 12 mesi del 16%. Analogamente, uno studio di
Ganster et al. (2001) condotto tra il personale infermieristico ha evidenziato un
aumento delle spese sanitarie individuali direttamente correlato a fattori lavorativi
quali l’aumento del carico di lavoro, l’aumento delle ore di assistenza diretta ai
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pazienti, la diminuzione della possibilità di gestire autonomamente il proprio lavoro.
Inoltre l’aumento delle spese sanitarie individuali era anche associato all’aumento dei
livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) nel sangue.

I costi aziendali

Le aziende pagano ingenti costi diretti ed indiretti dovuti ai rischi psicosociali e allo
stress lavoro-correlato. Tali costi sono dovuti principalmente all’assenteismo, al calo
della produttività, al calo delle prestazioni dei lavoratori, all’incremento del turn-over e
al presentismo del personale (la permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro anche
se in condizioni psicofisiche non buone). Questi costi sono diversi da settore a settore
e spesso non semplici da quantificare. Nel rapporto vengono presentati i dati relativi ai
costi per settore in alcuni Paesi. Tra i settori che risentono di più dei costi dello stress
troviamo: la sanità (425 milioni di sterline – circa 590 milioni di euro – perse nel 2009
nel Regno Unito), la scuola (19 milioni di sterline – più di 26 milioni di euro – perse nel
2004 nel Regno Unito), l’edile (160 milioni di euro persi nel 2012 in Germania) e la
pubblica amministrazione (2,3 miliardi di euro persi per ridotta produttività in
Germania nel 2012).

Il Sainsbury Centre for Mental Health (2007) ha stimato che il costo complessivo per i
datori di lavoro britannici dovuto al problema dello stress, dell’ansia e della
depressione è pari a 1.035 sterline per dipendente all’anno (1.220 euro). Di questo
totale, il 32,4% è dovuto all’assenteismo, il 58,4% al presentismo e il 9,2% al turnover
del personale. Nel 2001, Hoel et al. hanno stimato che il 30% delle assenze per
malattia è direttamente causato dallo stress. Applicando a questa percentuale i dati
della Confederation of British Industry, che stima il costo delle assenze per malattia di
438 sterline per dipendente all’anno o di 56 sterline per dipendente al giorno, Hoel et
al. hanno calcolato un costo medio per le aziende delle assenze per malattia correlate
allo stress pari a 131 sterline per dipendente all’anno (tali costi stimati non prendono
in considerazione la perdita di produttività e i costi legati alla sostituzione del
personale).

I costi sociali

I costi sociali derivanti dallo stress lavoro-correlato e dai rischi psicosociali sono quelli
sostenuti dai sistemi sanitari e assicurativi pubblici. Nel 2002 la Commissione europea
identificò che lo stress lavoro-correlato aveva un costo sociale di 20 miliardi di euro
all’anno.

Sulla base delle statistiche 2008/09, la Safe Work Australia (2012) ha stimato che lo
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stress lavoro-correlato costa alla società australiana 5,3 miliardi di dollari australiani
(4,3 miliardi di euro) all’anno. Questa cifra comprende i costi derivanti dalla riduzione
della produttività e le spese mediche.

In Canada, il costo annuale per la società (che comprende il costo delle cure mediche,
i costi dei servizi sociali e altre spese) dovuto alla stress lavoro-correlato e alle
malattie ad esso correlate è stato stimato di 2,75 miliardi di dollari canadesi,
prendendo in considerazione la più bassa stima del fenomeno stress lavoro-correlato,
e di 8,25 miliardi di dollari canadesi prendendo in considerazione la più alta stima del
fenomeno (Shain, 2008).

L’onere economico delle malattie

Nella seconda parte del report vengono invece presentati i risultati di studi riguardanti
l’onere economico delle malattie che, secondo le evidenze scientifiche, sono più
frequentemente collegate a situazioni di stress e alla presenza di fattori di rischio
psicosociali nell’ambiente di lavoro: depressione, malattie cardiovascolari, disturbi
muscoloscheletrici e diabete.

Nel recente progetto finanziato dall’UE svolto da Matrix (2013), il costo per l’Europa
della depressione legata al lavoro è stato stimato in 617 miliardi di euro l’anno. Questo
totale è composto dai costi per i datori di lavoro derivanti da assenteismo e
presentismo (272 miliardi di euro), perdita di produttività (242 miliardi di euro), costi
sanitari (63 miliardi di euro) e costi di assistenza sociale rappresentati dai pagamenti
delle prestazioni per invalidità (39 miliardi di euro). Al di fuori dell’Europa, Greenberg
et al. (2003) hanno calcolato che nel 2000 il costo della depressione negli Stati Uniti è
stato di 83,1 miliardi dollari americani. Questa cifra comprende le spese mediche (26,1
miliardi di dollari americani), i costi correlati alle morti per suicidio (5,4 miliardi di
dollari americani) e i costi legati all’attività lavorativa (51,5 miliardi dollari americani).

In base alle stime riportate dallo studio di Nichols et al. (2012) i costi per le malattie
cardiovascolari in Europa nel 2009 ammontavano a 196 miliardi di euro l’anno che
potevano essere così suddivisi: 54% costi delle spese sanitarie, 24% costi per la
perdita di produttività, 22% costi per l’assistenza delle persone con gravi cardiopatie.
Dai dati sui costi dell’assistenza sanitaria per le malattie cardiovascolari negli Stati
membri dell’UE riportati nel report, risulta che in Italia tali costi ammontano a
14.488.331 euro (10% della spesa sanitaria del Paese), ma sono Lituania, Estonia e
Polonia gli Stati in cui le patologie cardiovascolari gravano maggiormente sulla spesa
sanitaria (17%). Lussemburgo e Danimarca invece sono i Paesi europei in cui tale

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costo è minore (rispettivamente 4% e 5% della spesa sanitaria).

L’ampia gamma di malattie e disturbi muscoloscheletrici rende difficile stimare il loro
costo con precisione. Alcuni autori hanno tentano di quantificare il costo delle malattie
muscoloscheletriche nel loro insieme, altri si sono concentrati su specifiche
malattie/disturbi muscoloscheletrici quali il mal di schiena o l’artrite (Parsons et al.,
2011). A livello europeo, si stima che circa il 2% del PIL viene speso per i costi diretti
delle malattie muscoloscheletriche che affliggono la popolazione lavorativa europea,
con il mal di schiena che comporta un costo di oltre 12 miliardi di euro all’anno (Bevan
et al., 2009) e l’artrite reumatoide che comporta un costo di 45 miliardi di euro
all’anno (Lundkvist et al., 2008).

Quanto al diabete, uno studio di Kanavos et al. (2012) riporta che nel 2010 i costi in 5
nazioni europee prese a riferimento (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito)
ammontavano a 90 miliardi di euro (per l’Italia 7,9 miliardi di euro).

I dati provenienti dagli Stati Uniti indicano che il costo del diabete negli Stati Uniti
(Herman, 2013) è passato da 174 miliardi di dollari nel 2007 a 245 miliardi di dollari
nel 2012, con un incremento del 41%. Tale costo complessivo del 2012 era costituito
da 176 miliardi di dollari per le spese mediche dirette e da 69 miliardi di dollari
correlati con la perdita di produttività. In Australia, i costi imputabili al diabete di tipo I
e al diabete di tipo II solo sono stati calcolati in 6 miliardi di dollari australiani e 570
milioni di dollari australiani rispettivamente (Colagiuri et al., 2003, 2009). In Canada, i
modelli economici hanno stimato un costo del diabete di 6,3 miliardi di dollari canadesi
nel 2000, e prevedono che entro il 2020 il costo annuo aumenterà a 16,9 miliardi
dollari canadesi (Canadian Diabetes Association, 2009).(18)

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