STRUMENTI NATUROPATICI PER LA PREVENZIONE DELLE PATOLOGIE STRESS LAVORO-CORRELATO - Master in Medicina Integrativa Indirizzo Naturopatia
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Master in Medicina Integrativa Indirizzo Naturopatia STRUMENTI NATUROPATICI PER LA PREVENZIONE DELLE PATOLOGIE STRESS LAVORO-CORRELATO Relatore Rudy Lanza Candidato Mattia Sandro Bertani Anno Accademico 2016/2017 Pagina 1 di 80
INDICE INTRODUZIONE___________________________________________________Pag. 4 DEFINIZIONE DI STRESS___________________________________Pag. 5 NEUROENDOCRINOLOGIA DELLO STRESS________________Pag. 8 ● FASE AUTONOMA E METABOLICA ● IPOTALAMO E SISTEMA NERVOSO CENTRALE ● STRESS E CATECOLAMINE ● STRESS ED ASSE IPOTALAMO-IPOFISI-CORTICOSURRENE ● STRESS E SISTEMA IMMUNITARIO ● SCHEMA RIASSUNTIVO CONSEGUENZE DELLO STRESS CRONICO_______________Pag. 16 DEFINIZIONE DEL FENOMENO SLC_____________________Pag. 18 SLC E IL REPORT DELL’EU-OSHA_________________________Pag. 21 ● I COSTI INDIVIDUALI ● I COSTI AZIENDALI ● I COSTI SOCIALI ● L’ONERE ECONOMICO DELLE MALATTIE PREVENZIONE DELLE PATOLOGIE STRESS LAVORO- CORRELATO (PSLC)______________________________________Pag. 26 LA NATUROPATIA_________________________________________Pag. 27 AMBIENTE DI LAVORO___________________________________Pag. 29 ● ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE COME FONTE DI STRESS ● INQUINAMENTO INDOOR ● PURIFICAZIONE DELL’ARIA ALIMENTAZIONE__________________________________________Pag. 44 ● EDUCAZIONE ALIMENTARE ● CRONOBIOLOGIA, ORMONI E RITMI CIRCADIANI Pagina 2 di 80
● IL METABOLISMO ENERGETICO E DEI NUTRIENTI ● ALIMENTI ANTISTRESS INTEGRAZIONE ALIMENTARE______________________________________________Pag. 59 ● MAGNESIO ● B COMPLEX, VIT B6 ● TAURINA ● VITAMINA C ● RODIOLA ROSEA TECNICHE PER LA GESTIONE DELLO STRESS___________Pag. 65 ● YOGA ● RILASSAMENTO PROGRESSIVO DI JACOBSON MOVIMENTO ED ESERCIZIO FISICO_____________________Pag. 69 CONSIGLI IN ‘’ PILLOLE’’_________________________________Pag. 71 ● PER I DATORI DI LAVORO ● PER I DIPENDENTI CONCLUSIONI____________________________________________Pag. 76 BIBLIOGRAFIA____________________________________________Pag. 77 Pagina 3 di 80
INTRODUZIONE “… Considerare il problema dello stress sul lavoro e delle patologie ad esso correlate può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme…”. (Accordo Europeo sullo stress sul lavoro, Bruxelles, 8 ottobre 2004). È evidente il ruolo che la ricerca scientifica svolge nel fornire rigorosi contributi sulla specifica tematica dello stress lavoro-correlato (SLC), in funzione dell’elaborazione di strumenti certi ed utili per la valutazione e gestione del rischio anche attraverso l’individuazione e la diffusione di “buone pratiche”. Il presente elaborato ha l’obiettivo di riprendere queste pratiche e ampliarle fornendo indicazioni e consigli a carattere naturalistico e basate sulla evidence-based. Verranno affrontati argomenti quali la riduzione dell’inquinamento indoor, l’educazione alimentare, l’integrazione e le principali tecniche di gestione dello stress, ovvero alcuni degli strumenti che può utilizzare il Naturopata nel suo ruolo di educatore alla salute e alla prevenzione primaria. Pagina 4 di 80
DEFINIZIONE DI STRESS Stress, forma contratta di distress, cioè sensazione d’angoscia è un termine usato per indicare gli effetti di noxae o comunque di stimoli della natura più varia. Dalla classica definizione di Hans Selye (1) il termine stress ha incontrato almeno tre comuni interpretazioni nell’uso corrente. Si utilizza, in primo luogo, il termine per stimolo, per lo più negativo, in grado di rendere il soggetto colpito reattivo. Lo si assume poi come sinonimo dello specifico complesso stimolo-risposta; lo si impiega infine, com’era nelle intenzioni di Selye, come risposta psicofisica aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta ambientale. Con ciò si può assumere che stimoli della più varia natura, sia essa psicosociale, culturale, biologica, fisica o chimica possono produrre lo stesso tipo di risposta. In realtà, sulla base del tipo stesso di “stressor” subito, acuto o cronico, minaccioso o piacevole, il soggetto utilizza l’attivazione di alcune vie, sostanzialmente neuroendocrine, sulla base dell’individualità sua propria, piuttosto che altre. La chiave di lettura comune per interpretare gli effetti dello stress è ancora un’eredità di Selye, ed è da lui stata definita “Sindrome Generale d’Adattamento” (GAS). Con ciò si intende l’insieme delle reazioni biologiche di un organismo sottoposto a stimoli stressanti in virtù delle sue capacità di adattamento volte a mantenere il più possibile identiche le proprie condizioni a prima che lo stimolo fosse applicato. La sindrome generale di adattamento è dunque null’altro che un meccanismo omeostatico in cui possono essere distinte tre successive fasi, cosi riassumibili: 1) reazione d’allarme 2) fase di adattamento o stadio della resistenza 3) fase di esaurimento. Pagina 5 di 80
La prima fase, o reazione d’allarme, comprende tutte quelle reazioni aspecifiche scatenate da uno stress ad azione rapida e violenta al quale l’organismo non è adattato né in termini qualitativi, né quantitativi. La reazione d’allarme può essere a sua volta suddivisa in due momenti tra loro successivi: la fase dello shock, in cui l’organismo subisce passivamente l’azione dell’agente alterativo e quella del contro- shock che corrispondente al momento della mobilitazione delle risposte aspecifiche dell’organismo. La fase di adattamento è così detta perché in essa l’organismo si sta adattando allo stressor. E’ comunque in questo momento che vengono attivate l’insieme delle trazioni sistemiche aspecifiche, determinate da stressors nel tempo protratti, che consentono all’organismo di resistere. La fase di esaurimento corrisponde al periodo durante il quale si esaurisce la capacità di adattamento e l’organismo soccombe agli agenti dannosi; essa può comparire più o meno tardivamente in rapporto all’energia di adattamento dell’organismo ed all’intensità dello stress, come può anche mancare, qualora lo stress si esaurisca in tempo utile. Questo insieme di reazioni cosi semplicemente classificato si è evoluto durante la filogenesi in senso specie-specifico e si è modulato e modificato in senso individuo- specifico. Sulla base delle cosiddette predisposizioni (genetiche, di imprinting, di educazione, di esperienze etc.). Lo stesso evento stressante può produrre due tipi distinti di fenomeni: la risposta di attacco o fuga ovvero la depressione. La prima trova nell’amigdala il centro neuroendocrino di regolazione ed è caratterizzata dall’attivazione del sistema simpatoadrenergico adrenomidollare. La seconda risposta riconosce nel setto dell’ippocampo il proprio controllo centrale ed è caratterizzata dall’attivazione del sistema ipotalamo-ipofisi-corticosurrene (fig. 1). Particolare importanza riveste il momento cruciale dell’imprinting che può essere definito come il processo in cui un segnale percettivo viene accoppiato ad un meccanismo innato che sollecita e spesso solleciterà un determinato tipo di comportamento (2). La scelta di una delle due vie non sembra dipendere dalla natura dello stimolo, quanto piuttosto dalle modalità con cui lo stimolo stesso viene letto, interpretato e vissuto. Particolarmente importante in quest’ambito è la condizione psicopatologica definita “ansia di stato”, per la quale l’organismo non è più in grado di fronteggiare lo stress cronico. Nell’ansia di stato non si verifica più la caratteristica attivazione (arousal) dei meccanismi di adattamento finalizzati alla neutralizzazione dello stimolo stressante. L’arousal comportamentale rappresenta infatti il tentativo di neutralizzare lo stressor, attraverso l’attivazione del sistema endocrino-vegetativo. Quando lo stimolo stressante è rapidamente allontanato si verifica alla disattivazione dei meccanismi su accennati. Quando invece lo stress è ripetutamente applicato si verifica una cronicizzazione caratterizzata dall’incapacità dell’individuo di adattarsi o di Pagina 6 di 80
neutralizzare la noxa. Sul piano biologico si realizza la sindrome psicosomatica che accompagna la malattia ansiosa. Gli eventi stressanti di carattere fisico, chimico, biologico e psicologico modificano l’equilibrio omeostatico dell’organismo e possono così causare ripercussioni negative per la sua integrità psico-fisica. La sensazione cosciente (e non) dell’arrivo minaccioso di stimoli stressanti è avvertita dalle stazioni percettive periferiche dell’organismo. Questo stimolo può raggiungere i centri encefalici superiori, come nel caso di stress emotivi, ovvero essere convogliato direttamente all’ipotalamo, come ad esempio nel caso di stress da laparatomia o da emorragia acuta. In risposta all’insulto stressante vengono innescati differenti meccanismi di difesa a vari livelli costituiti dal sistema cardiovascolare, dall’apparato muscolare e dalle difese immunitarie nonché da numerosi altri sistemi deputati alla produzione ed al metabolismo di substrati energetici. (Fig.1) Pagina 7 di 80
NEUROENDOCRINOLOGIA DELLO STRESS Fase autonoma e fase metabolica Il primo meccanismo che si instaura in risposta all’evento stressante è definito fase autonoma ed è caratterizzato dall’attivazione della midollare del surrene e della neuroipofisi. In questa fase avviene la liberazione di catecolamine e di vasopressina in proporzione diretta con l’entità dello stimolo. Il meccanismo alla base di questo fenomeno deve essere ricercato nell’attivazione del sistema nervoso simpatico. Con tale risposta rapida viene attivata la midollare del surrene e stimolata la produzione di catecolamine circolanti. Per le sue caratteristiche di risposta rapida, efficace nel giro di secondi, la fase autonoma è stata assimilata alla fase di allarme della sindrome generale di adattamento. Ad essa succede la fase metabolica. Questa può essere valutata cronologicamente nell’ordine dei minuti ed è caratterizzata dalla risposta ormonale anteroipofisaria. E’ durante questo periodo che si assiste alla secrezione di 17OH-corticosteroidi, in risposta allo stimolo della corticotropina (ACTH) ipofisaria. Con esso vengono dismessi in circolo altri frammenti attivi prodotti dal clivaggio della pro- opiomelanocortina (POMC) in risposta all’attivazione del CRF ipotalamico. Solo successivamente vengono stimolati i vettori somatotropi e lattotropi dell’ipofisi anteriore. Il CRF può essere riconosciuto come l’ormone chiave nella risposta integrata allo stress per la sua azione combinata sull’ACTH ipofisario e le sue attività di neuropeptide in varie aree cerebrali. L’iniezione di CRF nel ratto, nel cane, nella scimmia e nell’uomo causa ipotensione e tachicardia attraverso una diminuzione delle resistenze al flusso. Sebbene l’adrenalectomia annulla completamente l’effetto, si dimostra per questo neuropeptide un’attività non solo ipofisaria, ma anche sulla midollare del surrene (3,4,5) . Questa osservazione, assieme all’immunoreattività e bioattività del peptide nei tessuti periferici suggerisce che il CRF è rilasciato localmente a livello tissutale agendo come neurotrasmettitore e/o come ormone paracrino. Il CRF è presente nella midollare del surrene ed i suoi recettori sono accoppiati all’adenilato-ciclasi per stimolare la secrezione di catecolamine (6). L’attività periferica del neurormone ipotalamico permette di ipotizzare, per quell’integrazione centro-periferia comune ad altri sistemi endocrini, un ruolo centrale nella regolazione e modulazione paracrina degli ormoni da stress. Delineato cosi in grandi linee la cinetica della risposta neuroendocrina allo stress Pagina 8 di 80
possiamo analizzare l’attività dei singoli relé ormonali ad essa collegati. Ipotalamo e sistema nervoso centrale La secrezione ormonale in risposta all’evento stressante, che rappresenta il primo evento della fase metabolica, è controllata dal rilascio degli ormoni ipotalamici da parte dei neuroni peptidergici che hanno le loro sinapsi a contatto con le pareti dei vasi superiori del sistema portale ipotalamo-ipofisario. La secrezione dei neurormoni ipotalamici è la risultante di numerosi stimoli (neurotrasmettitori, ormoni periferici, ioni, metaboliti, peptidi). Attraverso questi, l’ipotalamo controlla l’attività dell’intera ipofisi: dal lobo anteriore attraverso i releasing hormones e dal lobo posteriore tramite le fibre nervose dirette. L’ipotalamo si è rivelato come vero e proprio centro di smistamento di segnali che viaggiano secondo un doppio senso di marcia sia verso i centri nervosi superiori sia verso la periferia dell’organismo. In quest’ambito va collocato il riconosciuto duplice ruolo di invio di messaggi da una parte alla ghiandola ipofisaria, controllandone l’attività secretiva ed il ritmo circadiano, e dall’altra alle aree cerebrali responsabili dell’espressione comportamentale quale la corteccia limbica. Le informazioni inviate dai nuclei ipotalamici sono essenzialmente rappresentate da peptidi che, oltre al tropismo ipofisario, svolgono la funzione di neurotrasmettitori e neuromodulatori nelle aree cerebrali responsabili dell’espressione comportamentale. Così, i fattori ipotalamici, liberati in risposta all’applicazione di uno stimolo stressante, esercitano una serie di effetti collaterali finalizzati alla neutralizzazione dello stimolo medesimo ovvero all’adattamento ad esso. L’osservazione che l’attivazione del sistema nervoso centrale e periferico precede quella del sistema endocrino (cosi che quest’ultima della prima sia effetto) è comunque significativa dell’ipotesi che i circuiti di risposta allo stress nel mammifero debbano essere localizzati al di sopra dell’ipotalamo, probabilmente nell’area settale del sistema limbico o nell’amigdala e che esiste un meccanismo neurale centrale in grado di controllare la risposta allo stress indipendentemente da quei meccanismi responsabili del controllo omeostatico dei livelli ormonali. Stress e catecolamine L’attività catecolaminergica è indotta da stimoli di natura fisica ed emozionale mediati dalla risposta del sistema simpatico. La più antica letteratura psicosomatica suggeriva che l’epinefrina è increta soprattutto durante la reazione di paura, mentre la norepinefrina è la tipica risposta all’ira. Più di recente, si dimostrò che l’adrenalina aumentava in situazioni di imprevedibilità e di attivazione emozionale generale mentre l’aumento di noradrenalina era caratteristico di stress fisici. Benché le funzioni della Pagina 9 di 80
noradrenalina siano primariamente quelle di neurotrasmettitore, con l’immissione nel torrente circolatorio essa è in grado di influenzare altri tessuti. L’adrenalina è in grado di provocare le variazioni fisiologiche necessarie per modulare una generale accelerazione delle funzioni corporee. Teleologismo di questo sistema è il generale miglioramento della funzione cardiaca (frequenza e forza di contrazione), lo shunt ematico verso i distretti di prima necessità, l’aumento della glicogenolisi epatica e muscolare e della lipolisi del tessuto adiposo. Queste risposte preparano l’organismo all’incremento di spesa energetica prevedibile in seguito all’evento stressante promuovendo la mobilizzazione dei substrati necessari per sostenere il metabolismo energetico. Lo studio delle catecolamine plasmatiche è stato favorito dalla disponibilità di micropompe portatili che permettono al ricercatore di accedere alla fisiologia dello stress “naturale”, cioè non indotto. Un esempio di tali stressors è la situazione del conferenziere, situazione di prova che si è dimostrata essere accompagnata da segni evidenti di attivazione autonomica. A tale proposito, comparando questo modello all’esercizio fisico, è stato dimostrato tramite micropompa che lo stress del conferenziere è caratterizzato da un raddoppio dei livelli di epinefrina, mentre durante l’esercizio fisico si assiste ad un incremento di tre volte in termini di noraepinefrina. Gli Autori concludevano che se l’esercizio fisico stimola la risposta di tipo simpatico. lo stress psicologico induce una reattività adrenergica. L’iniezione intracerebroventricolare di CRF nel ratto provoca ipoglicemia ed un incremento di glucagone, adrenalina e noradrenalina, dimostrando che il CRE agisce a livello cerebrale stimolando l’attività simpatica e, attraverso questa, la midollare del surrene (7). Questi dati suggeriscono l’ipotesi che il medesimo peptide sia coinvolto nel generare la risposta autonomica e la risposta endocrina allo stress. In ogni caso la fase autonomica ha lo scopo di adattare l’organismo all’attacco ed alla lotta. A differenza delle specie inferiori però, per l’uomo civilizzato l’attivazione adrenomidollare ha perduto il significato adattativo somatico-muscolare a causa dell’entità degli stressors, non già costituiti da forze naturali per le quali risulta valida la risposta di attacco o di fuga, ma da situazioni conflittuali evocate dalla stessa convivenza umana. Il risultato a lungo andare, non può non essere nocivo. Non a caso la fase autonomica è stata invocata come concausa del processo aterogenetico. (8,9) Stress ed asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, chiamata in causa nella risposta allo stress, è costituito da due stazioni superiori: quella ipotalamica e quella ipofisaria ed una Pagina 10 di 80
stazione periferica corrispondente alla corticale surrenalica. A livello ipotalamico viene secreto il CRF che esercita un’azione stimolante di cui la sintesi e la secrezione dell’ACTH ipofisario e dei peptidi ad esso correlati di più recente identificazione, beta- endorfina, beta-lipotropina e altri peptidi minori di struttura affine. La secrezione di CRF è mediata dal controllo inibitorio noradrenergico encefalico, mentre i sistemi colinergici e serotoninergici promuovono il rilascio del fattore ipotalamico. A livello ipofisario, al di fuori della barriera emato-encefalica, la produzione di ACTH non è solo mediata dal CRF, ma da altri fattori neuroendocrini quali noradrenalina, epinefrina, vasopressina, ossitocina e somatostatina. Studi nell’animale dimostrano che il CRF, iniettato per via intracerebroventricolare, provoca una risposta comportamentale assimilabile a quella assunta come modello di ansia e di depressione (10,11). In base a studi recenti condotti sugli animali a livello delle cellule corticotrope dell’ipofisi anteriore ed intermedia nonché in un gruppo di cellule del nucleo arcuato dell’ipotalamo è stato evidenziato il glicopeptide proopiomelanocortina (POMC) che è il precursore dell’ACTH, delle endorfine e di altri peptidi affini. La POMC subisce una scissione enzimatica specifica a seconda del tessuto in cui è presente, per la quale, nel lobo anteriore dell’ipofisi vengono prodotti essenzialmente ACTH, beta-lipotropina e beta-endorfina mentre la POMC viene scissa in peptidi di minor peso molecolare a livello dell’ipofisi intermedia quali la beta-endorfina, l’alfa-MSH e il CLIP. Infine a livello della corteccia surrenalica sotto lo stimolo dell’ACTH vengono secreti gli ormoni glucocorticoidi principalmente rappresentati dal cortisolo, l’ormone da stress per eccellenza. La beta-endorfina plasmatica è regolata in maniera parallela dagli stessi meccanismi di feed-back che regolano l’ACTH e beta-endorfina. Le endorfine, peptidi oppioidi antagonizzati dagli inibitori delle sostanze morfino-simili, sono anche state studiate per quel che riguarda le molteplici azioni nel controllo di funzioni neurovegetative. A seconda del locus d’azione esplicano funzioni diverse, come la modulazione della termoregolazione, effetti comportamentali quali la regolazione del senso della fame, della sete, del comportamento sessuale. A valle dell’attivazione ipotalamo-ipofisaria l’aspetto più caratteristico, e meglio noto, dell’adattamento dell’organismo allo stress è dunque rappresentato dall’impegno corticosurrenalico. La produzione di ormoni adrenocorticali è il gradino finale della cascata neuroendocrina che inizia con la percezione dello stressor da parte del cervello ed è mediata dal rilascio di CRF prima e di ACTH dopo. Molti risultati sperimentali confermano l’incremento di cortisolo in condizioni stressanti quali interventi chirurgici, l’esposizione al caldo e al freddo, oppure l’”anticipazione dello stress” come l’entrata in ospedale ovvero la visione di film provocatori. Particolare interesse è stato rivolto dai ricercatori per riconoscere le cause delle differenze individuali esistenti Pagina 11 di 80
nell’esposizione al medesimo stressor in termini di attivazione adrenocorticale. Si è così dimostrato che l’incremento di cortisolo è caratteristico della novità, mentre può non verificarsi nella ripetizione dello stress. Queste considerazioni aprono la discussione relativamente alla verifica della risposta corticosurrenale nell’esposizione cronica all’evento stressante. L’attivazione di un asse endocrino può comunque, a lungo termine, portare alla sregolazione dei fini meccanismi di feedback che possono poi manifestarsi in patologie psicosomatiche, anche se è fuor di dubbio che fattori genetici o ambientali intervengono in maniera determinante. Dopo esercizio fisico i livelli plasmatici di cortisolo, di 18-idrossi-desossicorticosterone (18-OH-DOC), dell’aldosterone e del deidroepiandrosterone solfato (DEAS) risultano elevati rispetto alle condizioni basali. In particolare, l’aumento dell’increzione di cortisolo si verifica in corso di un’ampia varietà di situazioni, tutte comunque interpretabili come stressanti, quali il freddo, il caldo, il dolore, i traumi fisici, gli interventi chirurgici, la gravidanza ed il parto, le situazioni ad alta componente ansiosa (classicamente, negli studenti il giorno dell’esame) (12). Gli effetti della risposta glucocorticoide allo stress sono ben noti riguardo al metabolismo intermedio, il cortisolo aumenta la produzione di glucosio da materiale biochimico non carboidratico (gluconeogenesi). Tale effetto si manifesta in antagonismo con l’insulina decelerando la quota epatica della gluconeogenesi ed aumentandone la capacità biosintetica attraverso il catabolismo proteico, specialmente a livello del muscolo scheletrico. Ciò che ne risulta è un aumento dell’utilizzo delle riserve lipidiche. La finalità adattativa della fase metabolica è evidente: promuovere la disponibilità di sostanze ad attività energetica necessaria alla risposta fisica ancora una volta di attacco o di fuga. Infatti, la ben nota fragilità dell’organismo soggetto ad insufficienza corticosurrenalica nell’adattarsi allo stress testimonia l’importanza del cortisolo e degli ormoni ad esso correlati. Molte delle più importanti azioni biologiche e farmacologiche dei glucocorticoidi sostengono l’ipotesi che il ruolo dell’attività surrenalica nello stress sia essenzialmente quello di sopprimere le normali reazioni di difesa. Il significato dell’azione immunodepressiva del cortisolo e degli steroidi ad esso correlati deve essere quindi individuato non nella protezione dell’individuo nei confronti dello stress in quanto tale, ma contro le normali reazioni di difesa dell’organismo che lo stress medesimo scatena. Riassumendo quanto ci è noto circa l’asse CRF-ACTH-cortisolo possiamo individuare in esso una stretta correlazione con l’efficacia della reazione di difesa o di attacco; la stessa produzione di ACTH è stata messa in relazione con la facoltà di consolidare con la memoria l’esperienza e di resistere all’estinzione della risposta. Oltre al feed-back negativo nei confronti del CRF, i glicocorticoidi svolgono altre attività per così dire Pagina 12 di 80
“comportamentali” a livello cerebrale. Gli ormoni cortisolici aumentano il metabolismo di catecolamine e serotonina, diminuiscono il trasporto di GABA e facilitano l’estinzione della risposta di evitamento, probabilmente mediata dalla via serotoninergica. L’attività glucocorticoide a livello del sistema limbico è stata poi coinvolta nella regolazione del ritmo sonno-veglia ed ulteriori esperienze ne hanno confermato lo sconvolgimento in condizioni di stress. Stress e sistema immunitario Negli ultimi anni sulle strette connessioni esistenti tra sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario ne è nata una nuova branca delle scienze neuroendocrinologiche: la Psiconeuroimmunologia. Già da molto tempo ci si è resi conto in laboratorio che la suscettibilità alle malattie aumentava in proporzione con lo stress subito. Si è quindi potuto postulare che l’insulto stressante agisce sui fattori cellulari ed umorali dell’immunità, deprimendoli, nel caso dello stress acuto e forse potenziandoli quando la ripetizione dello stress provochi l’adattamento ad esso. Lo stress è in grado di alterare i livelli di anticorpi circolanti, di sopprimere la risposta dei linfociti ai fattori mitogeni ed antigenici e di stimolare subpopolazioni di linfociti aberranti. Queste osservazioni suggeriscono che le conseguenze dello stress sulle funzioni neurochimiche, ormonali ed immunologiche non sono probabilmente indipendenti le une dalle altre, e che i cambiamenti neurochimici indotti dallo stress possono essere in grado di promuovere l’attività di molti fattori ormonali e neurotrasmettitori periferici che a loro volta possono direttamente influenzare la funzione immunitaria; d’altra parte molti di questi circuiti di immunomodulazione restano per lo meno da chiarire, mentre altri sono stati ben identificati e caratterizzati. In tal senso, è stato dimostrato che l’aumento di serotonina a livello centrale deprime l’immunorisposta emolitica dei linfociti T nel topo e che lesioni dell’ipotalamo inferiore sopprimono la funzione immunitaria. Gli stessi linfociti T producono un peptide strutturalmente e funzionalmente assimilabile all’ACTH capace di stimolare la produzione di corticosterone nel topo ipofisectomizzato (13). L’ACTH ipofisario è poi in grado di sopprimere la produzione di anticorpi e di interferone da parte di cellule spleniche di topo che possiedono recettori ad alta e bassa affinità per lo stesso ormone (14). Nell’uomo, il lutto è in grado di deprimere la risposta immunitaria, cosi come lo stress dell’esame universitario. Il meccanismo psico- immunodepressivo meglio documentato è quello che collega l’ipotalamo al timo attraverso l’ipofisi ed il corticosurrene. Ma non mancano evidenze circa la presenza di fibre nervose afferenti al sistema linfatico e di recettori sui linfociti identici per il Pagina 13 di 80
ligando a quelli del sistema neuroendocrino. In quest’ottica, il sistema immunitario è stato definito una “ghiandola endocrina diffusa” (15). Il cortisolo, ultimo effettore della risposta allo stress dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene possiede attività non solo genericamente antinfiammatoria, ma specificamente immunodepressiva (16). Le strette correlazioni tra sistema immunitario e corticosurrene sono dimostrate dal fatto che le linfochine stimolano il surrene attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo- ipofisi-corticosurrene (17). E verosimile quindi che la maggior suscettibilità non solo alle infezioni, ma anche alle malattie autoimmuni e forse ai tumori dei soggetti stressati possa riconoscere nello stress un comune cofattore patogenetico. La relazione tra il sistema neuroendocrino e quello immunitario è dunque dimostrata. I due sistemi hanno simili proprietà e probabilmente comuni funzioni mediate attraverso gli stessi recettori da peptidi circolanti nel sangue periferico. Pagina 14 di 80
Schema riassuntivo Riassumendo, gli stressors attivano (fase di allarme della reazione di stress) l’asse HPA con rilascio di catecolamine (Epinefrina, Norepinefrina, Dopamina). Noxae inducono la produzione di CRH dall'ipotalamo e dai linfociti. Il CRH, a sua volta, può stimolare il rilascio dall'ipofisi e di IL-1 dai macrofagi. IL-1, a sua volta, può determinare un aumento di produzione del CRH dall'ipotalamo e del ACTH dall'ipofisi o dai linfociti B (attivazione dell'asse HPA nella fase di resistenza della reazione di stress). I glucocorticoidi (cortisolo), prodotti dalle surrenali, sollecitate dal ACTH, e il sistema nervoso parasimpatico "spengono" tutto (fase di esaurimento della reazione di stress). - Aumento del metabolismo (frequenza cardiaca, pressione arteriosa, sudorazione, respirazione) e della concentrazione di zucchero e grassi nel sangue - Contrazione dei muscoli scheletrici - Confluenza del sangue dalle aree periferiche e dagli organi secondari verso cuore, polmoni, muscoli scheletrici - Riduzione delle secrezioni e motilità gastroenteriche - Innalzamento della soglia del dolore (produzione di betaendorfine) - Diminuzione dell’attività del sistema immunitario Pagina 15 di 80
CONSEGUENZE DELLO STRESS CRONICO Gli studiosi del “Canadian Institute of Stress”, dopo aver eseguito un’analisi statistica su persone con sintomi tipici del distress a cui furono poste delle domande tratte da un questionario chiamato “Stress Inventory System”, hanno definito cinque fasi del distress cronico: 1. Stanchezza cronica (fisica o mentale) Questa prima fase può cominciare con la necessità quotidiana di un forte sforzo ad alzarsi dal letto oltre che di una bevanda eccitante (caffè o tè) per svegliarsi. Poi si continua a cercare aiuto nella caffeina durante la giornata. Nel pomeriggio o verso sera comincia a prevalere una certa stanchezza e quando si rientra a casa, non si desidera altro che sdraiarsi. A questo punto si può cedere all’abitudine serale di bere alcolici per rilassarsi, riuscendo solo a stordirsi. Infatti, di notte si dorme poco o si dorme ma non si riposa. Di giorno in giorno, le crisi di stanchezza diventano più lunghe ed estenuanti, finché una mattina ci si accorge di non avere neppure la forza di alzarsi dal letto. 2. Problemi interpersonali, autoisolamento Con la seconda fase del distress hanno inizio i problemi nei rapporti con gli altri: si diventa sospettosi e ostili verso tutti, pronti alla lite. La capacità di autocontrollo diminuisce ogni giorno, mentre aumenta la facilità di adirarsi per motivi trascurabili o immaginari. Peggiorando le relazioni interpersonali, si perdono le possibilità di gratificazione e conforto legate ai buoni rapporti col prossimo. Si tende così a ridurre gradualmente gli incontri con le altre persone trascurando sia le amicizie più care sia i familiari. La tendenza a rinchiudersi in se stessi e all’isolamento dalla vita sociale cresce rapidamente, insieme con la stanchezza. 3. Turbe emotive Nella terza fase del distress diventa quasi costante l’irritabilità della fase precedente, ma l’aggressività è meno rivolta verso gli altri perché viene interiorizzata, coinvolgendo l’intero organismo. Si è quindi insicuri, confusi, incapaci di attuare scelte o prendere decisioni. I rapporti sociali continuano a deteriorare finché l’incapacità di controllare le proprie emozioni diventa un problema grave e preoccupante. L’instabilità emotiva condiziona fortemente Pagina 16 di 80
l’efficienza nel lavoro provocando, secondo le variazioni d’umore, risultati alterni. 4. Dolori cronici La quarta fase è quella dei dolori fisici tramite i quali l’organismo suona il campanello d’allarme, denunciando con forza la necessità di uscire da una lunga fase di resistenza da stress e dal conseguente stato di ansietà cronica. Il primo sintomo fisico è la rigidità muscolare, specialmente nelle aree del collo, delle spalle, della parte inferiore della schiena e di tutto il viso. 5. Patologie da stress In questa ultima fase del distress si esce dal lungo periodo di resistenza per entrare nella variante cronica dell’esaurimento. I danni invisibili accumulati per lungo tempo nell’organismo si manifestano con malattie specifiche, in gran parte favorite dal progressivo indebolimento del sistema immunitario: raffreddori, influenze, ulcere, coliti, asma, ipertensione, vari difetti cardiovascolari ecc. Pagina 17 di 80
DEFINIZIONE E L’INQUADRAMENTO DEL FENOMENO SLC Tralasciando le questioni più controverse relative alla differenza, da un lato, tra il concetto specifico di rischio da SLC e la categoria dei rischi psico-sociali e, dall’altro, tra il primo e il concetto più ampio di stress (a), è opportuno partire dalla definizione di SLC 30. Le indicazioni dettate dal Ministero, contrariamente allo spirito del testo europeo, che puntualizza le peculiarità delle due dimensioni (stress e SLC), si limitano a riprendere la definizione europea di stress (art. 3, comma 1) e a riferirla allo SLC, descrivendolo quale “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale (…) conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”, precisando, tuttavia, che tale squilibrio in àmbito lavorativo è causato da “fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro” (b). Sul piano definitorio il documento non va oltre, rendendo così opportuno riferirsi all’accordo interconfederale del 2008, di recepimento dell’accordo europeo, per inquadrare meglio questa tipologia di rischio. Qui, dopo aver premesso che lo stress può interessare ogni ambiente lavorativo e ogni lavoratore, a prescindere dalle dimensioni aziendali, dal settore di attività o dalla tipologia contrattuale, si precisa che non si tratta di una malattia, ma di una condizione di “prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute” (artt. 1, comma 2, e 3, comma 3). Il testo individua anche alcuni indici sintomatici dell’esistenza di problemi di stress nell’àmbito del contesto aziendale (alto tasso di assenteismo o elevata rotazione del personale; conflitti interpersonali o lamentele frequenti da parte dei lavoratori), distinguendoli poi in quattro classi principali di fattori: l’inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro; le condizioni lavorative e ambientali; la scarsa comunicazione; i fattori soggettivi (art. 4, comma 1 e 2) (c). ___________________________ a. Su questi aspetti cfr. C. FRASCHERI, op. cit., p. 312 e gli autori ivi richiamati. b. Sulla definizione di stress lavoro-correlato, cfr. l’analisi di M. PERUZZI, op.cit. c. Cfr. F. ALACEVICH, Il circolo virtuoso della qualità, in Igiene e sicurezza del lavoro, 2010, 5, p. 272 ss. (e la bibliografia ivi richiamata), che analizza gli effetti dello stress sulle persone (“costi” individuali), sulle prestazioni aziendali e sulla collettività (“costi” sociali). Pagina 18 di 80
La soggettività del fenomeno stress, da non considerare sempre e comunque quale fonte di disagio e di sofferenza, ma quale “potenziale agente patogeno letto e vissuto dalle soggettività degli individui” (d), si riflette anche sui suoi indici rivelatori che, quindi, non producono sempre e automaticamente stress ‘’negativo’’, ma soltanto se il soggetto esposto percepisca e valuti la situazione come una minaccia per la propria salute (e). Ulteriori indicazioni sono fornite dall’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro che, definendo lo stress legato al lavoro quale “sintomo di un problema organizzativo, non di una debolezza individuale” (f) e, quindi, quale “stato psicologico che è parte e rispecchia un processo più ampio di interazione tra la persona e l’ambiente di lavoro” (g), evidenzia la correlazione tra stress e organizzazione lavorativa, nel senso che un malfunzionamento del processo produttivo o di qualche componente dovuto a squilibri eccessivi dell’organizzazione, oltre a provocare problemi di salute, può produrre l’aumento dell’assenteismo e il rischio di riduzione della produttività e della competitività delle aziende (h). La relazione tra stress e organizzazione lavorativa è stata al centro della Strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006, che ha propugnato una concezione globale del benessere (fisico, morale e sociale) sul luogo di lavoro, che considera la salute psico-fisica dei lavoratori quale elemento fondante della più complessiva strategia verso un lavoro di qualità, anche alla luce delle trasformazioni nella società, nelle forme di occupazione e nei rischi (i). ___________________________ d. V. MAJER, Valutare e gestire le fonti di rischio psicosociale e di stress lavoro-correlato, in Igiene e sicurezza del lavoro, 2010, 5, p. 283. e. Sul punto, cfr. P. FRASCA, Stress. Obbligo di valutazione: problema od opportunità per aziende e lavoratori?, in Ambiente e sicurezza, 2009, 8, p. 20. Sulla lettura soggettiva e oggettiva dello stress cfr. ancora V. MAJER, op. cit., p. 283. f. Cfr. le note dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Consigli pratici destinati ai lavoratori su come affrontare lo stress legato all’attività lavorativa e le sue cause, in Facts, 2002, n. 31, consultabili in http://osha.europa.eu. g. Cfr. Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Ricerca sullo stress, cit., p. 13. Nello stesso documento, l’Agenzia individua le principali aree chiave a rischio di stress all’interno di un’organizzazione, i c.d. fattori di rischio stressogeni connessi ad aspetti tecnici-strutturali, di natura relazionale, nonché alla gestione di risorse umane e li riconduce a due macroaree: il contesto lavorativo (cultura organizzativa, ruolo nell’organizzazione; sviluppo di carriera; autonomia decisionale/controllo; relazioni interpersonali sul lavoro; livello decisionale; interfaccia famiglia/lavoro) e i contenuti del lavoro (ambiente di lavoro e attrezzature; progettazione dei compiti; carico/ritmi di lavoro; programmazione del lavoro). h. Secondo P. FRASCA, op. cit., p. 22, “lo stress lavorativo costituisce un rischio trasversale e comune a ogni organizzazione, che riguarda, potenzialmente, tutte le professioni”. i. Commissione delle Comunità Europee, Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006, Bruxelles, 11 marzo 2002, COM(2002) 118 def. In seguito, tale approccio è stato sviluppato nel Libro bianco della Commissione europea per la salute (Commissione delle Comunità Europee, Libro Bianco. Un impegno comune per la salute: approccio strategico dell’UE per il periodo 2008-2013, Bruxelles, 23 ottobre 2007, COM(2007) 630 def.), che ha proposto il potenziamento di una cultura della salute, quale valore assoluto e trasversale, finalizzata al raggiungimento di maggiori livelli di benessere, produttività e prosperità economica. Pagina 19 di 80
Si sviluppa così il concetto di salute dell’organizzazione, nel senso che il benessere di quest’ultima, il cui presupposto è la centralità della persona, lungi dal ridursi a un mero obbligo di legge, diventa un’esigenza primaria dell’impresa, strettamente correlata con la strategia aziendale. Secondo la filosofia ispiratrice degli accordi europeo e interconfederale, una politica di prevenzione basata anche sulla valutazione dello SLC e mirata al benessere organizzativo, puntando al buon funzionamento di una struttura lavorativa, porta benefici in una duplice direzione: ✓ per le aziende, in termini sia economici, di aumento della produttività, della competitività e dell’efficienza/efficacia, sia sociali, con il miglioramento del clima aziendale e della qualità della vita lavorativa e con la riduzione della percentuale degli infortuni, delle malattie professionali e dell’assenteismo; ✓ per i lavoratori, con un innalzamento dell’autostima e della motivazione e, quindi, della realizzazione personale, e con una riduzione dei problemi di salute (l). Nell’insorgenza dello SLC assumono rilevanza proprio le strategie organizzative, produttive e gestionali delle risorse umane adottate dai datori di lavoro ma anche la capacità del personale stesso a gestire lo stress e in tal merito diversi, ma ancora poco esaustivi, sono i corsi diretti a tal proposito. ___________________________ l. P. LAMBERTUCCI, op. cit., p. 352, sottolinea come l’accordo europeo segni il passaggio da strumenti di tutela risarcitoria, individuati a livello giurisprudenziale, a forme di tutela preventiva, che, coinvolgendo la politica gestionale del datore di lavoro, richiedono un approccio multidisciplinare, “al fine di favorire il c.d. benessere organizzativo, funzionale, peraltro, alla più adeguata valorizzazione della performance lavorativa”. Pagina 20 di 80
SLC E IL REPORT DELL’EU-OSHA Molti studi e ricerche effettuati negli ultimi anni hanno messo in evidenza come le caratteristiche dell’ambiente di lavoro influenzino il livello di stress e i problemi di salute dei lavoratori (Sparks et al., 1997; Sverke et al., 2002; Stansfeld-Candy, 2006). La Commissione europea nel 2010 ha pubblicato il report “Health and safety at work in Europe (1999–2007): a statistical portrait”, dal quale risulta che tra i lavoratori che presentano problemi di salute legati all’attività lavorativa, il 14% riferisce che stress, depressione e ansia sono i principali. I datori di lavoro sono consapevoli di questo problema, infatti l’“European Survey of Enterprises on New and Emerging Risks” (ESENER; EU-OSHA, 2010) ha evidenziato che il 79% dei manager europei sono preoccupati per il problema dello stress nei loro luoghi di lavoro, però, nello stesso tempo, meno del 30% delle aziende in Europa hanno messo in atto azioni per gestire lo stress. I costi individuali L’EU-OSHA ha recentemente pubblicato il report “Calculating the cost of work-related stress and psychosocial risks”, una revisione della letteratura scientifica che analizza e confronta i risultati di studi europei, canadesi, australiani e statunitensi riguardanti l’onere finanziario dello stress lavoro-correlato e dei rischi psicosociali sul luogo di lavoro a livello di costi per la società, per le imprese e per l’individuo. Le informazioni contenute nel report si basano sui dati pubblicati nella letteratura scientifica (banche dati scientifiche nazionali e internazionali), letteratura grigia (motori di ricerca sul web) e informazioni provenienti da organizzazioni, quali, ad esempio, Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), World Health Organization (WHO) e Istituzioni nazionali per la salute e sicurezza sul lavoro presenti nei vari Paesi. Il report, nella prima parte, presenta i risultati di una revisione della letteratura incentrata sugli studi condotti in vari Paesi europei, Australia, Canada e Stati Uniti sui costi per la società e per le organizzazioni legati allo stress e ai rischi psicosociali. Gli studi presi in considerazione indicano che l’onere finanziario legato allo stress e ai rischi psicosociali è elevato. I costi non gravano solo sulle aziende sotto forma di assenteismo e calo della produttività, ma anche sui singoli lavoratori in termini di danno alla salute e alla qualità della vita: quindi tutta l’economia nazionale e la società ne pagano il prezzo. È probabile che i costi riportati in realtà siano sottostimati in quanto i costi per Pagina 21 di 80
l’individuo, per le aziende e per la società possono essere quantificati in molte maniere diverse (ad esempio costi di assistenza sanitaria, di mancata produttività, di assenteismo, ecc.) e la maggior parte degli studi riportati nel report ha preso in considerazione solo alcune delle voci di costo possibili. I costi dei rischi psicosociali e dello stress per i lavoratori sono duplici: da una parte il lavoratore subisce danni alla propria salute fisica e mentale e deve farsi carico delle spese conseguenti; contestualmente, deve farsi carico dei costi relativi alla perdita o riduzione di reddito causati dalle assenze per malattia, permessi per invalidità (in alcuni Paesi europei non sono pagati), mancato lavoro, pensione anticipata. Si pensi che, i dati della ricerca “Austrian Employee Health Monitor” svolta nel 2009, ha evidenziato che in Austria il 42% dei colletti bianchi è andato in pensione anticipata per disordini psicofisici correlati al lavoro. Ramaciotti e Perriard (2003) hanno stimato il costo dello stress in Svizzera partendo dai costi a livello individuale. Le informazioni sono state raccolte attraverso interviste telefoniche e a domicilio, e sono stati raccolti dati riguardo le assenze dal lavoro, il ricorso ai servizi medici ambulatoriali, i ricoveri, il costo dei farmaci prescritti e di automedicazione e il costo di eventuali fisioterapie. Ai partecipanti è stato chiesto anche di valutare il loro livello di stress, e anche se lo studio riguardava lo stress ‘in generale’, solo il 4,6% del campione attribuiva il proprio stress solo a fattori di stress non-lavorativi. I partecipanti, in base alle risposte fornite, sono stati poi suddivisi in tre gruppi: “spesso-molto spesso” stressati, “qualche volta” stressati e “mai” stressati. Il costo dello stress per l’individuo è stato poi ottenuto sottraendo il costo medio delle spese sanitarie di coloro che erano “mai” stressati (461,68 franchi svizzeri) da quello degli intervistati del gruppo “a volte” stressati (967,75 franchi svizzeri) e del gruppo “spesso-molto spesso” stressati (1.315,33 franchi svizzeri). Da questo si è calcolato che lo stress comporta in Svizzera un costo medio annuo di 648,60 franchi svizzeri (circa 62.435,29 euro) per persona. In uno studio condotto negli Stati Uniti (Manning et al., 1996) per stimare i costi dello stress lavoro-correlato a livello individuale, sono state calcolate le spese sanitarie dei lavoratori ad un tempo zero e a distanza di un anno. Sono state poi registrate le variazioni dell’organizzazione del lavoro intervenute nei dodici mesi presi in considerazione. Lo stress lavoro-correlato ha portato ad un aumento delle spese sanitarie individuali calcolate dopo i 12 mesi del 16%. Analogamente, uno studio di Ganster et al. (2001) condotto tra il personale infermieristico ha evidenziato un aumento delle spese sanitarie individuali direttamente correlato a fattori lavorativi quali l’aumento del carico di lavoro, l’aumento delle ore di assistenza diretta ai Pagina 22 di 80
pazienti, la diminuzione della possibilità di gestire autonomamente il proprio lavoro. Inoltre l’aumento delle spese sanitarie individuali era anche associato all’aumento dei livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) nel sangue. I costi aziendali Le aziende pagano ingenti costi diretti ed indiretti dovuti ai rischi psicosociali e allo stress lavoro-correlato. Tali costi sono dovuti principalmente all’assenteismo, al calo della produttività, al calo delle prestazioni dei lavoratori, all’incremento del turn-over e al presentismo del personale (la permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro anche se in condizioni psicofisiche non buone). Questi costi sono diversi da settore a settore e spesso non semplici da quantificare. Nel rapporto vengono presentati i dati relativi ai costi per settore in alcuni Paesi. Tra i settori che risentono di più dei costi dello stress troviamo: la sanità (425 milioni di sterline – circa 590 milioni di euro – perse nel 2009 nel Regno Unito), la scuola (19 milioni di sterline – più di 26 milioni di euro – perse nel 2004 nel Regno Unito), l’edile (160 milioni di euro persi nel 2012 in Germania) e la pubblica amministrazione (2,3 miliardi di euro persi per ridotta produttività in Germania nel 2012). Il Sainsbury Centre for Mental Health (2007) ha stimato che il costo complessivo per i datori di lavoro britannici dovuto al problema dello stress, dell’ansia e della depressione è pari a 1.035 sterline per dipendente all’anno (1.220 euro). Di questo totale, il 32,4% è dovuto all’assenteismo, il 58,4% al presentismo e il 9,2% al turnover del personale. Nel 2001, Hoel et al. hanno stimato che il 30% delle assenze per malattia è direttamente causato dallo stress. Applicando a questa percentuale i dati della Confederation of British Industry, che stima il costo delle assenze per malattia di 438 sterline per dipendente all’anno o di 56 sterline per dipendente al giorno, Hoel et al. hanno calcolato un costo medio per le aziende delle assenze per malattia correlate allo stress pari a 131 sterline per dipendente all’anno (tali costi stimati non prendono in considerazione la perdita di produttività e i costi legati alla sostituzione del personale). I costi sociali I costi sociali derivanti dallo stress lavoro-correlato e dai rischi psicosociali sono quelli sostenuti dai sistemi sanitari e assicurativi pubblici. Nel 2002 la Commissione europea identificò che lo stress lavoro-correlato aveva un costo sociale di 20 miliardi di euro all’anno. Sulla base delle statistiche 2008/09, la Safe Work Australia (2012) ha stimato che lo Pagina 23 di 80
stress lavoro-correlato costa alla società australiana 5,3 miliardi di dollari australiani (4,3 miliardi di euro) all’anno. Questa cifra comprende i costi derivanti dalla riduzione della produttività e le spese mediche. In Canada, il costo annuale per la società (che comprende il costo delle cure mediche, i costi dei servizi sociali e altre spese) dovuto alla stress lavoro-correlato e alle malattie ad esso correlate è stato stimato di 2,75 miliardi di dollari canadesi, prendendo in considerazione la più bassa stima del fenomeno stress lavoro-correlato, e di 8,25 miliardi di dollari canadesi prendendo in considerazione la più alta stima del fenomeno (Shain, 2008). L’onere economico delle malattie Nella seconda parte del report vengono invece presentati i risultati di studi riguardanti l’onere economico delle malattie che, secondo le evidenze scientifiche, sono più frequentemente collegate a situazioni di stress e alla presenza di fattori di rischio psicosociali nell’ambiente di lavoro: depressione, malattie cardiovascolari, disturbi muscoloscheletrici e diabete. Nel recente progetto finanziato dall’UE svolto da Matrix (2013), il costo per l’Europa della depressione legata al lavoro è stato stimato in 617 miliardi di euro l’anno. Questo totale è composto dai costi per i datori di lavoro derivanti da assenteismo e presentismo (272 miliardi di euro), perdita di produttività (242 miliardi di euro), costi sanitari (63 miliardi di euro) e costi di assistenza sociale rappresentati dai pagamenti delle prestazioni per invalidità (39 miliardi di euro). Al di fuori dell’Europa, Greenberg et al. (2003) hanno calcolato che nel 2000 il costo della depressione negli Stati Uniti è stato di 83,1 miliardi dollari americani. Questa cifra comprende le spese mediche (26,1 miliardi di dollari americani), i costi correlati alle morti per suicidio (5,4 miliardi di dollari americani) e i costi legati all’attività lavorativa (51,5 miliardi dollari americani). In base alle stime riportate dallo studio di Nichols et al. (2012) i costi per le malattie cardiovascolari in Europa nel 2009 ammontavano a 196 miliardi di euro l’anno che potevano essere così suddivisi: 54% costi delle spese sanitarie, 24% costi per la perdita di produttività, 22% costi per l’assistenza delle persone con gravi cardiopatie. Dai dati sui costi dell’assistenza sanitaria per le malattie cardiovascolari negli Stati membri dell’UE riportati nel report, risulta che in Italia tali costi ammontano a 14.488.331 euro (10% della spesa sanitaria del Paese), ma sono Lituania, Estonia e Polonia gli Stati in cui le patologie cardiovascolari gravano maggiormente sulla spesa sanitaria (17%). Lussemburgo e Danimarca invece sono i Paesi europei in cui tale Pagina 24 di 80
costo è minore (rispettivamente 4% e 5% della spesa sanitaria). L’ampia gamma di malattie e disturbi muscoloscheletrici rende difficile stimare il loro costo con precisione. Alcuni autori hanno tentano di quantificare il costo delle malattie muscoloscheletriche nel loro insieme, altri si sono concentrati su specifiche malattie/disturbi muscoloscheletrici quali il mal di schiena o l’artrite (Parsons et al., 2011). A livello europeo, si stima che circa il 2% del PIL viene speso per i costi diretti delle malattie muscoloscheletriche che affliggono la popolazione lavorativa europea, con il mal di schiena che comporta un costo di oltre 12 miliardi di euro all’anno (Bevan et al., 2009) e l’artrite reumatoide che comporta un costo di 45 miliardi di euro all’anno (Lundkvist et al., 2008). Quanto al diabete, uno studio di Kanavos et al. (2012) riporta che nel 2010 i costi in 5 nazioni europee prese a riferimento (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito) ammontavano a 90 miliardi di euro (per l’Italia 7,9 miliardi di euro). I dati provenienti dagli Stati Uniti indicano che il costo del diabete negli Stati Uniti (Herman, 2013) è passato da 174 miliardi di dollari nel 2007 a 245 miliardi di dollari nel 2012, con un incremento del 41%. Tale costo complessivo del 2012 era costituito da 176 miliardi di dollari per le spese mediche dirette e da 69 miliardi di dollari correlati con la perdita di produttività. In Australia, i costi imputabili al diabete di tipo I e al diabete di tipo II solo sono stati calcolati in 6 miliardi di dollari australiani e 570 milioni di dollari australiani rispettivamente (Colagiuri et al., 2003, 2009). In Canada, i modelli economici hanno stimato un costo del diabete di 6,3 miliardi di dollari canadesi nel 2000, e prevedono che entro il 2020 il costo annuo aumenterà a 16,9 miliardi dollari canadesi (Canadian Diabetes Association, 2009).(18) Pagina 25 di 80
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