Storia delle relazioni internazionali - Smart Marketing

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Storia delle relazioni internazionali - Smart Marketing
La guerra Russo-Ucraina: cause, scenari e
responsabilità - Intervista al prof. Silvio
Labbate, docente di Storia Contemporanea
all’Università del Salento ed esperto in
Storia delle relazioni internazionali
Con l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, decisa da Vladimir Putin, del 24
febbraio scorso la guerra è tornata nel cuore dell’Europa, portando morte e devastazione,
sconvolgendo equilibri ed alleanze geopolitiche fragili e causando “la crisi di profughi più grave e
veloce in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale”, come ha sottolineato in un tweet l’Alto
Commissario dell’ONU per i rifugiati, Filippo Grandi.

La guerra, mentre ultimo di scrivere quest’intervista (14 marzo alle ore 18:30), imperversa da 19
giorni, e secondo l’agenzia di stampa britannica Reuters fino ad ora ci sono almeno 14.835 morti,
1930 feriti, almeno 2,8 milioni profughi, circa 1736 edifici distrutti e danni materiali per 119
miliardi di dollari.

Numeri crudi ed terribili che fotografano le dimensioni di questa guerra.
L’infodemia, che già avevamo visto all’opera nei primi mesi del 2020, allo scoppio della Pandemia
da Covid19, è tornata più potente e pervasiva che mai: interi telegiornali nazionali dedicano ogni
edizione quasi interamente al conflitto Russo-Ucraino ed i salotti televisivi e i talk più disparati si
occupano esclusivamente della guerra, dove sedicenti “esperti di geopolitica” e simpatizzanti di
Putin hanno scalzato i virologi dai loro scranni mediatici.

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Chiunque, senza formazione specifica in storia o studio alcuno in geopolitica, si è arrogato il diritto
di dover dire la sua sulle ragioni del conflitto, le questioni economiche e le responsabilità
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dell’Occidente, causando un indistinto chiacchiericcio che sovrasta ed inghiotte ogni speranza di
realismo e ricerca della verità.

Noi di Smart Marketing, benché siamo un magazine verticale dedicato alla comunicazione, al
marketing e ai social media, non potevamo come organo di stampa esimerci dall’affrontare la
questione, ma abbiamo cercato di farlo senza urlare e cercando noi per primi di comprendere la
questione.

Per aiutarci a dipanare questa intricata matassa di informazioni, notizie e fake che si rincorrono ed
ammassano abbiamo chiesto aiuto ad un vero esperto: il prof. Silvio Labbate, docente di Storia
Contemporanea all’Università del Salento ed esperto in Storia delle relazioni internazionali, che
avevamo già intervistato nel 2020 in merito agli scenari geopolitici dopo la prima ondata della
pandemia di Covid19.

Sembra che la guerra scoppiata il 24 febbraio scorso fra l’Ucraina e la Russia abbia colto
tutti di sorpresa, invece la crisi fra questi due Paesi risale al 2014 e riguardava lo status
della Crimea e della regione del Donbass e la possibile adesione dell’Ucraina alla NATO.
Come mai l’Unione Europea, la NATO e l’Occidente più in generale hanno sottovalutato le
ripetute minacce di Vladimir Putin?

Prima di rispondere a questa domanda devo specificare che non sono un esperto di questioni russo-
ucraine. Inoltre, da storico baso le mie valutazioni sulla scorta di documentazione che,
evidentemente, ad oggi non è disponibile. A ogni modo, pur rimandando le sentenze definitive ai
posteri, mi pare evidente che la debolezza dell’Occidente abbia giocato un ruolo importante nelle
scelte di Putin. Ormai è da tempo che gli statunitensi stanno portando avanti una politica di
disimpegno in quelle aree considerate meno strategiche; l’abbandono repentino dell’Afghanistan
rappresenta in questo senso l’esempio più eclatante. Ritornando alla triste attualità di questi giorni,
invece, a dire il vero la NATO aveva da tempo ipotizzato un’aggressione di Mosca nel Donbass a
sostegno dei russofili nelle province di Donetsk e Lugansk. Tuttavia la minaccia non è stata
considerata reale e imminente; verrebbe da domandarsi il perché. Io credo che la risposta possa
essere trovata in errori commessi nel passato recente dalla diplomazia americana e occidentale in
genere. Mi vengono in mente le famose armi di distruzione di massa di Saddam Hussein – mai
scovate e molto probabilmente mai esistite – che hanno giustificato l’intervento armato e la
deposizione del dittatore iracheno, scatenando il caos più totale nel paese e l’ascesa dell’IS – o ISIS,
ancora oggi non sconfitto completamente. Ma anche l’intervento in Libia, messo in atto senza una
ponderata analisi sul post-Gheddafi, o la gestione della guerra in Siria che i media nostrani hanno
fatto cadere nell’oblio. Queste situazioni – come tante altre – hanno verosimilmente avuto un peso,
da una parte nel rendere difficile una scelta unanime e preventiva nel campo occidentale, dall’altra
nell’alimentare in Putin la sensazione che la NATO non sarebbe intervenuta.
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Ed a proposito di NATO e Occidente, ci sono responsabilità “estere” sul precipitare della
crisi che ha portato alla guerra?

Quando ci si trova di fronte a un’aggressione del genere, con la violenza di questa portata contro la
popolazione civile inerme, gli ospedali e i corridoi umanitari, non si può parlare di responsabilità
esterne. Lo dico più chiaramente a scanso di equivoci: la Russia di Putin è l’unica responsabile di
questo massacro. Detto questo, possiamo parlare di errori di valutazione del mondo occidentale e
della NATO; si è sottovalutato il secolare senso di insicurezza dei Russi che parte almeno dalla
campagna di Napoleone, passando dall’aggressione nazista della seconda guerra mondiale, la
cosiddetta Operazione Barbarossa. Questi eventi hanno profondamente segnato la storia del popolo
russo, fino alla volontà di creare zone cuscinetto lungo i propri confini. Del resto quale paese
vorrebbe missili nemici lungo i propri confini? Gli stessi Stati Uniti reagirono fortemente nel 1962 a
Cuba quando Mosca stava costruendo una base missilistica sull’isola caraibica. Il vero errore fu fatto
dopo il 1991 con la caduta dell’URSS: la NATO, sorta in funzione antisovietica, non aveva più motivo
di esistere; avrebbe dovuto trasformarsi in qualcosa di diverso e rispettare l’impegno verbale preso
con Gorbaciov di non allargarsi a Est. La stessa richiesta di Eltsin di entrare nell’Alleanza fu fatta
cadere nel vuoto. Al contrario, la NATO ha continuato a esistere e ha accettato le richieste di
adesione liberamente presentate – è importante sottolinearlo – dagli ex paesi dell’URSS. Basta
vedere su una cartina questa evoluzione per rendersi conto che, eccezion fatta per la Bielorussia –
stretta alleata di Mosca – l’Ucraina rappresenti di fatto l’ultimo Stato dell’area non appartenente
all’Organizzazione con sede a Bruxelles. Ed è proprio attraverso la pianeggiante terra ucraina che
sono avvenute le principali invasioni contro la Russia nel passato. Infine, non posso esimermi dal
constatare come la NATO e il mondo occidentale abbiano prima armato – e continuano a farlo – e poi
abbandonato l’Ucraina nel momento del bisogno; certo, un intervento diretto avrebbe scatenato la
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terza guerra mondiale, ma in questo modo si è mandato al massacro il popolo ucraino. Stesso dicasi
per Zelensky che, incitando il popolo a resistere, sta mandando a morire la propria gente. Non sto
dicendo che sia sbagliata la resistenza, ma ora sembra troppo tardi per altre soluzioni, quindi,
sarebbe meglio evitare ulteriore spargimento di sangue. La cosa che si può dire con certezza è che
siamo di fronte al fallimento più completo delle Nazioni Unite e del mondo delle relazioni
internazionali così come lo conosciamo oggi; una riforma dell’ONU non è più rimandabile.

Che cosa sta succedendo e succederà, a guerra finita, all’economia russa, già fortemente
penalizzata dalle sanzioni più numerose ed aspre della storia moderna e dall’isolamento
con cui la stanno punendo i grandi brand e le Big Tech di internet?

Non è facile ipotizzare il dopo. In passato, contro ogni previsione, la Russia è sempre riuscita a
trovare un nuovo equilibrio, sopravvivendo alle sanzioni. Di certo quelle imposte ora sono molto
devastanti per l’economia russa, ma se l’obiettivo è quello di creare le condizioni per far cadere
Putin e generare i presupposti per una successione al potere, temo non sarà così. La leadership
putiniana è saldamente al potere e non penso possa essere minimamente scalfita; ogni scelta è
condivisa con gli altri poteri e incontestabile. Chi si oppone viene internato, non c’è alternativa; a
soffrirne di più, quindi, sarà ancora il popolo russo. Inoltre, sono già in atto tentativi per ovviare al
mercato occidentale che potrebbero far superare – non senza conseguenze, ovvio – le sanzioni
imposte. Il timore è quello della creazione di un polo russo-cinese alternativo all’Occidente. Oltre
alle conseguenze economiche di questa scelta, bisognerebbe valutare anche quelle politiche: in
passato contrapposizioni così forti hanno sempre portato a conflitti bellici. Quindi c’è da augurarsi
che ciò non accada.

Che cosa significa e cosa implica per l’Europa e soprattutto per alcuni Paesi come
Germania ed Italia la dipendenza dal gas e dal petrolio russo?

La dipendenza dalle fonti energetiche russe è aumentata sempre più nel corso degli ultimi decenni;
tuttavia si è sviluppata nel pieno della guerra fredda e non ha mai rappresentato un problema
concreto di condizionamento politico. Oggi se ne parla nel quadro delle sanzioni che si vogliono
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imporre a Mosca, ma non è facile trovare alternative valide immediate. Per quanto concerne l’Italia,
dobbiamo registrare il fallimento di ogni Piano energetico nazionale sorto all’indomani della prima
crisi petrolifera del 1973. A quasi cinquant’anni, quindi, non siamo stati capaci di diversificare
concretamente le nostre fonti. Si riparla di rigassificatori, di raddoppio del tanto contestato TAP, di
far ripartire gli impianti di estrazione del gas naturale abbandonati a sé stessi e addirittura di
nucleare. Tutte queste scelte comportano tempo per essere attuate e non risolverebbero la
dipendenza energetica del nostro paese. L’unica vera soluzione è rappresentata, a mio avviso,
dall’energia alternativa; essa libererebbe davvero l’Italia e l’Europa da ogni dipendenza esterna, con
ovvie ricadute positive sull’ambiente. Perché non dotare, per esempio, ogni edificio governativo – sia
esso una scuola, una prefettura, un ufficio pubblico, ecc. – di impianti fotovoltaici e non investire
concretamente risorse per ricerche sull’accumulo di energia per quei pochissimi giorni in cui la
nostra terra non viene baciata dal sole? È chiaro che sto semplificando il problema, ma è tempo di
scelte del genere e non di investimenti su altre forme di energia fossile.

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In ultimo, cosa pensa dei vari Paesi che stanno cercando di fare da mediatori diplomatici
per risolvere la crisi? Per primo ci ha provato il primo ministro di Israele Naftali Bennett,
poi è toccato al presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, ed adesso pare che sia la
Cina, il principale alleato economico e politico della Russia, a voler fare la sua parte per
risolvere il conflitto. Quali sono secondo lei le reali motivazioni e gli interessi in gioco?

Molti interlocutori si sono affacciati o si affacciano alla crisi per scopi politici interni; in Francia, per
esempio, in aprile ci sono le elezioni presidenziali. La Cina, invece, è stata chiamata in causa dagli
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USA forse proprio per il timore della creazione di quel polo russo-cinese alternativo all’Occidente di
cui parlavo prima. Sinceramente non vedo interlocutori politici realmente imparziali e con una tale
forza contrattuale capace di fermare la guerra. Forse l’unico potrebbe essere Erdoğan, che ha
interessi reali in un conflitto che si svolge di fronte al proprio paese, sul Mar Nero; tuttavia non
dobbiamo dimenticare che la Turchia fa parte della NATO. Anche Israele, a mio avviso, non possiede
le carte giuste. Gli interessi in gioco sono tanti e variano da paese a paese; resta la speranza che le
molte pressioni esercitate riescano a convincere Putin a fermare questo massacro.

  Silvio Labbate (Taranto, 1977), è ricercatore
  presso il Dipartimento di Storia, Società e Studi
  sull’uomo dell’Università del Salento. Ha
  conseguito il dottorato di ricerca in Storia delle
  relazioni internazionali presso l’Università “La
  Sapienza” di Roma. Si è occupato di guerra fredda
  in Medio Oriente, con particolare riferimento alla
  questione dei petroldollari, ai problemi energetici
  nazionali e internazionali, al dialogo euro-arabo e
  alla politica estera dell’Italia agli inizi degli anni
  Ottanta. È autore dei volumi Il governo
  dell’energia. L’Italia dal petrolio al nucleare
  (1945-1975), Illusioni mediterranee: il dialogo euro-arabo e della curatela Al governo del
  cambiamento. L’Italia di Craxi tra rinnovamento e obiettivi mancati; ha scritto saggi per
  diverse riviste internazionali, fra cui «Ventunesimo Secolo», «Nuova Rivista Storica», «Storia e
  problemi contemporanei», «European Review of History», «Journal of European Integration
  History», «Middle Eastern Studies», «The International History Review» e «Meridiana».

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100 anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini,
artista versatile ed intellettuale impegnato
che si distinse in svariati ambiti culturali.
Noi vi proponiamo un percorso di scoperta
attraverso tre opere + 1
Poeta, scrittore, traduttore, regista, drammaturgo, intellettuale: tutto questo è stato PPP, ovvero
Pier Paolo Pasolini, che nasceva il 5 marzo del 1922, esattamente 100 anni fa.

Riuscì a distinguersi in svariati ambiti culturali, grazie ad una curiosità e ad una versatilità uniche e,
se come scrittore, poeta e drammaturgo la sua fama fu soprattutto nazionale ed europea, come
regista travalicò i confini, giungendo con i suoi film fino negli Stati Uniti. Ancora oggi, a 47 anni
dalla morte, in America, e non solo, la sua filmografia è spesso al centro di rassegne e corsi
cinematografici universitari.

Pasolini fu un anche un attento e profondo osservatore dei cambiamenti della società italiana dal
secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta; il suo pensiero lucido e mai allineato suscitò
spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici in merito alle
abitudini borghesi, alla nascente società dei consumi, alla televisione ed ai media di massa in
generale, come pure nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti.

Pasolini fu anche un omossessule dichiarato e convinto in un’epoca, ricordiamoci che la Democrazia
Cristiana era al potere, in cui non solo non era alla moda, ma era anche pericoloso.

Definire ed incasellare un intellettuale dissidente, anticonformista e originale come Pier Paolo
Pasolini non è cosa semplice, ma forse basterebbero tre opere, appartenenti a tre media diversi, alla
letteratura, al cinema ed al giornalismo, per cominciare ad approcciarlo e comprenderne la
grandezza e scoprire il suo pensiero.. Stiamo parlando del romanzo “Ragazzi di vita” del 1955, del
film “Il Vangelo secondo Matteo” del 1964 e dei suoi articoli, soprattutto sulle pagine del Corriere
della Sera, del Tempo illustrato e de Il Mondo, raccolti poi nel saggio “Scritti Corsari” del 1975.

Noi di Smart Marketing, vogliamo introdurvi al pensiero di questo grande intellettuale
approfondendo queste tre opere e proponendovi un bonus in più, lo stralcio di un intervento
televisivo, nella trasmissione “Terza B facciamo l’appello” di Enzo Biagi, dove Pasolini parla, fra
le altre cose, proprio della televisione come medium di massa e del suo potere di mercificare ed
alienare gli spettatori, un intervento che sarebbe perfetto anche oggi per parlare del potere dei
social network e del capitalismo della sorveglianza più in generale.
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Ragazzi di vita è il romanzo d’esordio di Pasolini, che
contiene già molti degli elementi del suo pensiero e della sua
poetica; il libro racconta la vita quotidiana di un gruppo, ma
meglio sarebbe dire di una banda, di ragazzi delle borgate
romane. Noi lettori vediamo la miseria ed il degrado estremo
del secondo dopoguerra attraverso gli occhi del protagonista
Riccetto. Gli anni del boom economico stanno per arrivare,
da qualche parte stanno già facendo sentire i loro effetti, ma
la maggior parte della popolazione vive di stenti, espedienti e
piccoli e grandi crimini, i ragazzi di vita di Pasolini sono la
cartina di tornasole di un intero Paese. Vero e proprio
romanzo neorealista, “Ragazzi di vita” finì sotto processo per
“oscenità” e “pornografia” nel 1955 perchè parlava
apertamenete di prostituzione maschile. Il processo finirà poi
con una sentenza di assoluzione con formula piena.

Il Vangelo secondo Matteo è considerato da molti critici e
storici del cinema come il capolavoro di Pasolini. Benché
l’autore fosse dichiaratamente laico, questo film presenta
uno dei ritratti di Gesù più intenso, profondo e potente mai
realizzato. Un film che, benchè avesse ricevuto diverse ed
aspre critiche perché colpevole di aver rappresentato un
Cristo troppo umano, fu, con il tempo, rivalutato e lodato
persino dagli ambienti ecclesiastici che non nutrivano
particolare simpatia per le opere di Pasolini. Girato, come
per altri film del regista, con attori non professionisti, Il
Vangelo secondo Matteo richiese un grande lavoro di
ricerca ed individuazione delle location. Dopo diversi
sopralluoghi, anche in Israele, il regista deciderà di girarlo
nel sud Italia, con il grosso delle riprese fra la Basilicata e la
Puglia. Sarà Matera a diventare la scenografia naturale
perfetta per il film, insieme ad altre scene girate nelle
gravine di Ginosa e nei vicoli di Massafra, in provincia di
Taranto.
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Scritti Corsari è un saggio pubblicato dall’editore Garzanti
nel 1975, che raccoglie gli articoli di Pasolini pubblicati fra il
1973 ed il 1975, principalmente sulle colonne del Corriere
della Sera e delle riviste Tempo illustrato, Il Mondo, Nuova
Generazione e Paese Sera. Si tratta di una raccolta di
interventi sulle trasformazioni sociali, economiche e politiche
della società Italiana. Pasolini indaga con profonda passione e
tagliente lucidità quel mondo di perbenismo e conformismo che
ritiene responsabile del degrado culturale della società
consumistica. Da vero analista controcorrente, egli riesce ad
esprimere tesi politiche di grande attualità, trattando
tematiche sociali alla base dei grandi scontri culturali
dell’epoca, come l’aborto, il divorzio, il potere della Chiesa, la
rivoluzione del ‘68.

Terza B facciamo l’appello era una trasmissione televisiva di Enzo Biagi che raccoglieva intorno
ad un tavolo personaggi della cultura e della politica italiana invitati a parlare degli argomenti più
importanti ed attuali della società italiana. Nel 1971 Pier Paolo Pasolini viene invitato e risponde alle
domande incalzanti di Biagi con una lucidità e acume non comuni, particolarmente significativa per
noi rimane la sua profonda analisi della televisione come medium di massa alienante e mercificante.
La puntata fu censurata e “sospesa” per quasi 4 anni, a causa di alcune faccende giudiziarie che
riguardavano Pasolini, e fu trasmessa solo nel 1975. La versione integrale dell’intervista è
disponibile sulla piattaforma di Rai Play a questo link.

Insomma, Pier Paolo Pasolini, che nasceva a Bologna il 5 marzo del 1922, è stato uno dei più
grandi ed “impegnati” artisti italiani del 20 secolo: il suo pensiero, il suo incessante scandagliare la
società consumistica e piccolo borghese attraverso i media più disparati tratteggiano la figura di un
vero intellettuale, originale, scomodo, controcorrente, che seppe gettare uno sguardo lucido,
profondo e affilato sui tanti vizi e le poche virtù di una nuova classe dirigente, quella dei baby
boomer, che si andava costituendo e che è quella che oggi detiene le posizioni apicali e di potere
nella politica, nell’economia e nella cultura del nostro Paese.

Riscoprire Pier Paolo Pasolini oggi, attraverso le sue poesie, i suoi articoli, i film ed i libri, ci farà
capire da dove veniamo, come ci siamo arrivati e dove “probabilmente” ci porterà la strada che
stiamo percorrendo sempre più velocemente.

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La Copertina d’Artista - Marketing in Love
Un travolgente abbraccio avvolge la coppia protagonista della Copertina d’Artista di Febbraio del
nostro magazine.

Pennellate dense e materiche tratteggiano il corpo di una ragazza dai voluttuosi capelli rossi che è
cinta in vita e da una gamba da un aitante ragazzo biondo. I colori vividi e caldi completano la
sensazione che quella che vediamo è una scena d’amore piena di sensualità. Tutto in quest’opera
trasuda erotismo: le labbra turgide, gli occhi socchiusi, i corpi frementi.

Dalla posa sembrerebbe che la coppia sia intenta in un ballo voluttuoso, ma alcuni elementi stridono
e richiamano la nostra attenzione: il ragazzo ad esempio ha un arco a tracolla, e l’ampio tatuaggio
che gli copre la spalla sembra raffigurare piume e penne di un’ala, sensazione che ci è confermata
anche dallo strano orecchino che indossa, anch’esso fatto con una lunga piuma.
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realizzata da Rosa Cacace.
La coppia ha in sé un che di moderno ed allo stesso tempo antico, quasi ancestrale, e ci trasmette la
sensazione di qualcosa che conosciamo, ma che non riusciamo subito a definire; il titolo dell’opera,
“Amor et Psyche Novam Generationem”, come spesso succede con l’arte contemporanea, ci
aiuta a dipanare il mistero di questa scena.

                Scopri il nuovo numero: “Marketing in love”
    La festa degli innamorati è da sempre capace di catalizzare l’attenzione delle persone; attenzione
    che i brand cavalcano (a volte) sapientemente sfruttando le peculiarità del marketing dell’amore.
       Attraverso il nostro particolare punto di vista approfondiremo il marketing dei sentimenti e
      dell’amore. E chissà quanto, in questo particolare momento storico, ne avvertiamo il bisogno!

Tutti conosciamo la storia di Amore e Psiche, narrata nel libro di Apuleio “Le Metamorfosi”:
Psiche era una ragazza dalla bellezza straordinaria, con la quale insidiò il primato della dea Afrodite,
che per punirla inviò sulla terra suo figlio Amore affinché la facesse innamorare dell’uomo più brutto
e avaro della Terra. Ma nel momento in cui Amore scagliò la sua freccia, per sbaglio colpì il suo
stesso piede e da quell’istante si innamorò perdutamente della ragazza. Da allora e per molte notti
Amore e Psiche bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto, ed
infatti Psiche, che significa anima, è la personificazione dell’anima gemella.

Rosa Cacace, l’artista dietro a quest’opera, ci ricorda, qualora lo avessimo scordato, che l’amore è
l’emozione più forte di tutte ed è quella che fa girare il mondo, ed il suo intervento non poteva
essere più in sintonia con il tema di questo numero di Smart Marketing, che, come sapete, è
“Marketing in Love”.

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1) della serie “L’arte racconta”.

Un tema, quello di questo numero, e quindi anche la Copertina d’Artista, che sono stati concordati
ad inizio mese. Purtroppo per noi il precipitare della crisi russo-ucraina, che ha portato allo scoppio
della guerra il 24 febbraio scorso, benché ampiamente prevedibile, ha colto un po’ tutti di sorpresa;
ma attenzione a pensare che parlare di amore in un momento come questo sia “anacronistico”, mai
come adesso, quando gli esseri umani sembrano smarrire i propri valori, i propri sentimenti, la
propria umanità, si avverte il bisogno “impellente” di Amore e Psiche.

  Rosa Cacace (classe 1973), in arte RosaKa, è un’artista
  tarantina, sviluppa una passione per l’arte già dalla giovane
  età. Diplomata al Liceo Artistico Lisippo di Taranto nel 1992,
  si dedica inizialmente alla realizzazione di copie d’autore su
  richiesta e altri lavori, costantemente alla ricerca di
  un’identità pittorica che la potesse definire. Nonostante la
  sua attività artistica non sia stata costante, la passione per
  l’arte l’ha sempre accompagnata, ed assiduo è stato
  l’impegno negli anni nell’insegnare pittura ai bambini,
  cercando di trasmettere loro l’amore verso la disciplina.

  Dopo una lunga pausa da pennelli e tele, Rosa Cacace si è riavvicinata alla pittura durante il
  periodo di lockdown della pandemia.

  Dal 2020 ad oggi ha realizzato più di 70 opere, tutte basate sullo studio e l’approfondimento di
  storie, leggende, racconti, tragedie, commedie di svariati autori o vicende di personaggi storici
  realmente esistiti, che l’artista ha raggruppate in varie serie, come:

  “Metamorfosi”, dedicate a racconti di miti e leggende legate alla natura, sia nel mondo vegetale
  che in quello animale; “Shakespeare in love”, incentrata sulle opere del grande scrittore inglese;
  “L’Arte racconta”, dedicata all’interpretazione di numerosi libri, racconti, balletti o opere;
  “Identità”, basata sulla personale interpretazione di personalità immaginarie o reali che l’hanno
  colpita; “Miti”, impegnata nella rappresentazione di miti dell’antica Grecia.

  La sua è una pittura che nasce con una forte connotazione cromatica e dagli echi surrealisti e
  simbolici che traspone in opere potenti, passionali ed emozionanti.

  Per informazioni e per contattare l’artista: rosaka73@gmail.com

Ultime mostre
2021

“Gaia-the Origin”, Mads Gallery, Milano;

“Biennale dei Castelli Romani”, Nemi;

Premio Domiziano “100 artisti”, Stadio Domiziano a Piazza Navona, Roma;

“Sfumature armoniche”, Palazzo Colonna, Roma;

“Interazioni narrative” (personale), Galleria Comunale del Castello Aragonese, Taranto.

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Marketing in Love - L’editoriale di
Raffaello Castellano
“Ed alla fine la guerra arrivò.

  Non fu annunciata da un angelo con la sua tromba, ma dalla sirena della contraerea.

  Non arrivò galoppando su quattro cavalli, ma sui cingoli dei carri armati.

  Non cadde nessuna grande stella dal cielo ma solo missili e razzi.

  Non fu un giudizio universale, ma la folle decisione di un dittatore.

  Alla fine la guerra arrivò, con i suo carico di morte, devastazione, fame e pestilenza”.

  Non ho trovato che queste parole per descrivere il mio stato d’animo di questi giorni, è strano che
  proprio io, appassionato di scienza e filosofia, oltre che convinto agnostico, per scrivere questo
  incipit mi sia ispirato ad un passo della celebre Apocalisse di Giovanni.

Come annunciato da un mio articolo del 13 febbraio scorso e con un card di un paio di giorni fa,
questo numero del nostro magazine è dedicato al “Marketing in Love”; attraverso i nostri articoli e
con l’aiuto dei nostri contributor volevamo analizzare la comunicazione, i dati e le cifre della festa
degli innamorati, che sempre di più negli ultimi anni è diventata un appuntamento atteso dai brand e
dalle aziende direttamente interessate dall’evento.

Poi la crisi russo-ucraina, cominciata con la svolta europeista del governo di Kiev del 2014, ha visto
il precipitare degli eventi nelle prime ore del 24 febbraio 2022, quando il presidente russo Putin
ha annunciato un’operazione militare in Ucraina.

Spesso il problema con un mensile online come il nostro è che il macro-argomento di ogni numero
viene sempre deciso nei primissimi giorni del mese e che se un avvenimento come una guerra
scoppia negli ultimi giorni dello stesso non è possibile modificare niente e si rischia di essere
anacronistici, se non proprio indelicati verso quanto sta succedendo nel mondo.

A qualcuno dei nostri affezionati lettori, quindi, l’argomento scelto per questo mese, “Marketing in
Love”, potrà sembrare quanto meno avulso dal contesto che stiamo vivendo e, nella migliore delle
ipotesi, troppo anticonformista, al limite della spocchia.
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Ma credo che mai come ora parlare di marketing delle emozioni,
marketing dell’amore e di sentimenti in generale sia “necessario”.
In questi giorni stiamo assistendo ad una nuova ondata di infodemia; in un paese come il nostro,
dove da sempre i media mainstream sono avari di notizie e servizi dall’estero e poco interessati alla
geopolitica internazionale, se non quando comporta possibili flussi migratori, i nostri palinsesti sono
diventati i nuovi feudi di storici, diplomatici ed esperti di geopolitica che hanno scalzato dai loro
troni mediatici e dal dibattito pubblico in generale tutti gli esperti di virologia e immunologia che
dominavano stabilmente l’infosfera fino a pochi giorni fa.

In questo scenario mediatico, che troppo assomiglia a quanto successo nei primi mesi della
pandemia da Covid19, rischiamo tutti di essere sommersi da questa valanga di informazioni e
opinioni, senza riuscire a prendere la giusta distanza dalla questione per poterla analizzare con
obiettività e lucidità.

                Scopri il nuovo numero: “Marketing in love”
    La festa degli innamorati è da sempre capace di catalizzare l’attenzione delle persone; attenzione
che i brand cavalcano (a volte) sapientemente sfruttando le peculiarità del marketing dell’amore.
      Attraverso il nostro particolare punto di vista approfondiremo il marketing dei sentimenti e
     dell’amore. E chissà quanto, in questo particolare momento storico, ne avvertiamo il bisogno!

Ripetere gli errori del passato è un attimo, come ci dimostra il panico
che ci ha colpito e che risulta evidente nelle file davanti ai distributori di
benzina e ai supermercati.
Parlare di “Marketing in Love”, di comunicazione emozionale, quindi, non è una scelta elitaria e
spocchiosa, ma forse una delle migliori alternative possibili: dovremmo sforzarci, ora più che mai, di
pensare, creare ed analizzare una comunicazione più in sintonia con la parte migliore di noi. Anche
adesso che l’ansia ci assale, adesso che abbiamo paura, dobbiamo sforzarci di immaginare un mondo
migliore. Perché, come ha detto il cardinale Matteo Maria Zuppi: “Il contrario della paura non
è il coraggio, ma l’amore”.

Ma, se giunti alla fine di questo editoriale non vi ho ancora persuasi dell’importanza dell’amore e
delle emozioni nelle nostre vite e ancor di più nel nostro lavoro di marketers, permettetemi di farvi
un esempio di cosa possano fare lo storytelling, la comunicazione ed il marketing quando vengono
applicate a uno spot istituzionale.

Quello che vedete in questo articolo è lo spot delle Forze Armate Ucraine del 2014 (l’anno in cui
inizia la crisi russo-ucraina), ridiventato virale sui social in questi giorni, che attraverso uno
storytelling emozionale e con una messa in scena reale e documentaristica ci dice che: “Nessuno di
noi è nato per la guerra, ma siamo qui per proteggere la nostra libertà”. A dircelo sono i soldati
stessi, che scopriamo essere i nostri fratelli, i nostri amici, i nostri vicini, persone vere, con vere vite,
ma pronte a rischiarle per restare liberi.

Uno spot che è più attuale oggi di quando fu ideato e che ci dimostra l’universalità di certe
tematiche, come l’amore e le emozioni, che non scadono e non invecchiano.

Sono debitore per questo incredibile contenuto che non conoscevo ai post di Fabiano Pagliara e
Marco Silvestri apparsi su LinkedIn il 26 e 27 febbraio e che ringrazio di vero cuore per la
condivisione.

Mai come ora allora restate fedeli alla vostra parte più umana, restate fedeli alle vostre emozioni,
restate fedeli alla vostra idea di amore, perché vi assicuro che vi porterà più lontano, nella vita e nel
lavoro, di qualsiasi nuova idea alla moda abbiate appreso nell’ultimo corso che avete frequentato o
libro che avete letto.

Buona visione e buona lettura, con l’augurio che ciascuno di voi, attraverso il suo lavoro, costruisca
la pace.

                                                                                  Raffaello Castellano
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Romantic Italia: il podcast che esplora le
parole dell’amore attraverso 12 long
playing

È possibile esplorare le varie sfaccettature dell’amore e le sue molteplici
forme ascoltando alcuni brani musicali o alcuni album?
Per Giulia Cavaliere, autrice del libro “Romantic Italia – Di cosa parliamo quando cantiamo
d’amore” (edito da minimum fax) e del podcast da esso tratto, sicuramente sì: le canzoni d’amore,
da sempre figlie dei tempi e del costume, raccontano molto più dell’amore di quello che
comunemente si può immaginare, basta saperle ascoltare e coglierne le varie sfumature.

In questo, Giulia ci porta con lei in un racconto appassionato che parte dal libro per poi farsi voce;
non un vademecum dell’amore ma un ventaglio di possibilità, un racconto alle volte intimo, altre
volte più storico e sociologico, che ci mostra come sia cambiata la società italiana dagli anni ’50 dei
primi Festival di Sanremo, monopolio della canzone d’amore, alla democratizzazione dei sentimenti
dei brani prodotti su Youtube.

Un racconto sicuramente personale, ma allo stesso tempo universale, in cui l’amore si esprime più
attraverso dei concept album che in canzoni sparse e che ci mostra alcuni artisti da una prospettiva
diversa e nuova, regalandoci quelle riflessioni e quei collegamenti che spesso non abbiamo fatto e
che sicuramente ci sono utili, non solo per conoscere la storia della canzone italiana, ma anche per
comprendere l’amore in tutte le sue forme.

Un’analisi calata nel contesto culturale italiano e che racconta di piccole e grandi rivoluzioni che
scossero la nostra nazione, facendoci scoprire anche il lato meno romantico dell’amore, ma
sicuramente più libero e più spregiudicato.

               Scopri il nuovo numero: “Marketing in love”
   La festa degli innamorati è da sempre capace di catalizzare l’attenzione delle persone; attenzione
   che i brand cavalcano (a volte) sapientemente sfruttando le peculiarità del marketing dell’amore.
      Attraverso il nostro particolare punto di vista approfondiremo il marketing dei sentimenti e
     dell’amore. E chissà quanto, in questo particolare momento storico, ne avvertiamo il bisogno!

Nelle puntate del podcast vengono trattati grandissimi artisti, come Antonello Venditti, Claudio
Baglioni, Anna Oxa, Lucio Battisti, Vasco Rossi, I Baustelle, Fabrizio De André, insieme ad
alcuni long playing che hanno fatto il loro successo, canzoni ed album sicuramente conosciuti, che
però vengono analizzati e proposti da un altro punto di vista, fortemente contestualizzato nel periodo
in cui furono composti; insieme a questi, non mancano aneddoti e brani meno famosi analizzati con
grande maestria.

Ascoltando il podcast, ci si cala completamente nei personaggi e nell’Italia di un tempo ma si
comprende anche tantissime cose su sé stessi, in un viaggio parallelo tra riflessioni intimiste e
sociologiche; succede quando si parla d’amore senza pregiudizi, accostandosi all’ascolto con la
voglia di imparare qualcosa in più, che sia dell’Italia, della musica o di sé stessi, poco importa se il
viaggio inesplorato porta a cantar d’amore.

In fondo, è l’amore il territorio più ampio ed insondato per l’autrice, ed ogni artista lo declina e
racconta a suo modo, così come ogni ascoltatore ne trae le sue riflessioni più profonde; del resto non
esiste nulla più efficace della musica e della poesia per esprimere l’amore, e se ci si fa caso non
esiste un aspetto amoroso che non sia stato ampliamente trattato con una canzone, dalla passione
travolgente all’amore più platonico, dall’affermazione della propria sessualità al pudore del più
tenero innamoramento.

Per ascoltare questo podcast non bisogna essere obbligatoriamente innamorati, ma bisogna
sicuramente aver voglia di innamorarsi, soprattutto della musica, bisogna guardare agli autori,
accennati in precedenza, senza preconcetti, lasciandosi guidare dal racconto; solo così si riuscirà a
coglierne l’aspetto innovativo e più laterale dell’argomento, e se poi tutto questo sarà d’aiuto al
vostro rapporto amoroso, a trovare l’anima gemella oppure a digerire una separazione, ben venga;
nel caso contrario, ci resterà il più grande degli amori: la musica.

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“Il Truffatore di Tinder” tra finzione e
bisogni emotivi
“Il Truffatore di Tinder” (titolo originale “The Tinder Swindler”) è l’avvincente documentario
Netflix, uscito il 2 febbraio scorso, che racconta la storia di un uomo che, fingendosi figlio di un
ricco magnate dei diamanti, ha estorto a numerose donne milioni di dollari. L’israeliano Simon
Leviev, nato Shimon Hayut, è il protagonista di questa vicenda che, attraverso la app di incontri
Tinder, conosceva le sue vittime e le abbindolava già dal primo appuntamento, mostrando loro il suo
folle stile di vita fatto di aerei privati, vacanze in luoghi meravigliosi, auto, vestiti e cene
costosissime.

Dopo un primo periodo di romanticismo a sei stelle, iniziava improvvisamente a raccontare di
minacce ricevute dai nemici della sua famiglia che lo ricattavano mettendo in pericolo la sua vita,
per questo chiedeva grosse somme di denaro alle povere vittime che, per paura e per amor suo, gli
inviavano prontamente e con questi soldi lui continuava a fare la sua vita da super ricco in giro per il
mondo. Scoperta la truffa queste donne hanno unito le forze per smascherarlo e vendicarsi di lui,
non dopo aver perso moltissimi soldi.
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tagonista del documentario di Netflix “Il truffatore di Tinder”.

Guardando questo documentario viene da chiedersi come avremmo agito noi al posto di quelle
donne, ci saremmo cascati anche noi o non ci saremmo fidati sin da subito? E’ per questo motivo che
ho cercato di comprendere meglio i comportamenti delle malcapitate, colpevoli solo di voler trovare
l’amore. Per capire i loro comportamenti ho deciso di porre delle domande allo dott. Armando De
Vincentiis, psicoterapeuta e collaboratore del nostro magazine, così da svelare i meccanismi
psicologici che passano nella mente di una persona vittima di una truffa, non solo economica, ma
anche emotiva.

Dott. De Vincentiis qual è il bisogno che spinge una persona a cercare ossessivamente
l’anima gemella su app e social network?

“Partiamo dalla premessa che una persona che cerca ossessivamente l’anima gemella su app e social
è una persona che la cerca a prescindere, ma è una persona che ha scarse competenze relazionali e
nel momento in cui non è in grado, o crede di non essere in grado, di entrare in una relazione
significativa o di cominciare ad intraprendere una dinamica di conoscenza dal vivo, allora preferisce
le app o i social, per il semplice fatto che ha una sorta di corazza; si sente più sicuro perché non ci
mette subito la faccia, non è costretto a mettere in atto delle competenze che probabilmente non ha
o non sa mettere in atto, quindi mette una sorta di scudo così mal che vada restano soltanto parole
dette sui social”;
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ocumentario “Il truffatore di Tinder” con alcune delle vittime di Simon Leviev.

Oltre al puro divertimento fisico/sessuale le ragioni possono essere anche profondamente
emotive?

“Ci sono implicazioni emotive come le scarse competenze relazionali già citate, oppure il motivo è
che non si ha una rete sociale e ci si sente costretti a mettere in atto azioni di ricerca all’interno
della rete virtuale; ci possono essere delle dinamiche emotive come la paura di una relazione, la
paura di intraprendere un percorso dal vivo e questo spinge a rimanere nel virtuale, come una sorta
di difesa emotiva”;

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   La festa degli innamorati è da sempre capace di catalizzare l’attenzione delle persone; attenzione
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Cosa spinge una persona ad ostinarsi a credere che l’altra persona, talvolta ancora
sconosciuta, sia totalmente sincera e leale, anche quando, come in questa storia del
documentario, la realtà è palesemente diversa?

“Una persona è spinta dal bisogno di credere che dall’altra parte ci sia una persona sincera e quindi
non fa altro che proiettare delle aspettative; mi aspetto che una persona sia sincera perché ho
bisogno che la persona lo sia e proietto la mia fantasia; nei miei desideri la persona che incontrerò,
oltre ad essere bella e simpatica, sarà sincera perché io stesso ho deciso di mettere in atto la
sincerità e voglio essere leale perché sono spinto da questo bisogno che mi spinge a credere che
anche l’altro sarà leale; questa è una costruzione, una proiezione mentale”;

Quanto è pericoloso affidare ad una foto vista in fretta la responsabilità della nostra
felicità?

“Può essere pericoloso perché possono venir meno le nostre aspettative; la maggior parte delle foto
sui social sono filtrate e non rispecchiano sempre la realtà, quindi, si rimane fortemente delusi
perché tutto ciò che vediamo è una sorta di forzatura, in molte occasioni sono dei veri e propri bluff,
delle truffe, non penali ma emotive; l’altro ti mostra come è anche se nella realtà non è davvero così
ed il pericolo sta nella profonda delusione, non soltanto nell’aspetto fisico, ma anche di non trovare
in questa immagine quelle caratteristiche psicologiche di onestà ed altruismo che io ho costruito
nella mente e proiettato all’esterno, nel bisogno forte che queste si verifichino”.

Simon Leviev, dopo un periodo di carcere, è attualmente libero e si difende con queste parole “Ero
solo un ragazzo single che voleva incontrare ragazze su Tinder…non sono state truffate né
minacciate…mi sento male solo per quello che è capitato a me, per le cose che non ho fatto”.

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     marketing e della comuni-
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Le innovazioni del cinema: tra passato e
futuro
Pochi giorni fa, in uno degli articoli precedenti, abbiamo iniziato a trattare quelle innovazioni
epocali, che hanno portato il cinema ad evolversi e a sopravvivere allo scorrere impetuoso del
tempo. Tra queste, importanza apicale ha certamente l’avvento del colore, destinato, come è ovvio
che sia, a fare epoca.

L’apporto del colore all’arte cinematografica, ha fin da subito, infatti, attirato a sè numerosi
esperimenti, tanti di essi con scarso successo. Nel periodo in cui le ricerche furono più intense, cioè
fra il 1928 e il 1948, furono proposti più di mille procedimenti diversi. Fino a quando ebbero inizio le
prime esperienze concrete per ottenere immagini colorate per sintesi additiva o sottrattiva a partire
da due o tre colori primari, fu tentata con successo la colorazione a mano dei singoli fotogrammi dei
film. Tecnica, che per intenderci, venne utilizzata ad esempio per le pellicole di Stan Laurel e Oliver
Hardy. Val la pena qui, elencare brevemente, gli esperimenti più significativi, che hanno portato
all’avvento del colore nel cinema mondiale. Il colore nasce a braccetto con i primi esperimenti di
immagini in movimento. Risalgono già al 1892 questi primissimi tentativi, ad opera di Charles-
Émile Reynaud, che fu il primo ad utilizzare il colore per le sue Pantomime luminose, proiettate al
Museo Grévin di Parigi. Immagine per immagine, egli dipinse a mano e applicò le sue tinture a
pastello direttamente sulla pellicola Eastman di 70 mm di larghezza, che fece di lui il primo
realizzatore di disegni animati a colori.

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otogramma realizzato con due diverse tecnologie cromatiche: eastmancolor e
technicolor.

Due anni dopo, nel 1894, uno dei film prodotti da Thomas Edison e realizzati da Laurie Dickson
venne colorato anch’esso a mano, stavolta con la tintura di anilina, fotogramma per fotogramma, da
Antonia Dickson, la sorella del primo realizzatore di films. È la Serpentine Dance (in italiano La
Danza della Farfalla) un film molto breve della durata di una ventina di secondi, dove la danzatrice
Annabelle Moore compie delle giravolte con effetti deformanti alla maniera di Loïe Fuller. L’effetto è
completamente riuscito, e affascina ancora oggi. Questa è la prima apparizione del colore applicato
a una ripresa fotografica animata originariamente in bianco e nero.

La ricerca del colore è stata dunque, sempre una prerogativa per chi ha lavorato nel cinema, fin dai
suoi primi vagiti, considerando che, già nel bianco e nero, il ruolo della luce assume una importanza
rilevante. Nell’immagine in b. e n. le variazioni tonali sono provocate dall’azione combinata della
luce con la scenografia e i costumi. La luce, dando per scontato nel nostro discorso che nulla è
totalmente scindibile dal tutto, ha le funzioni determinanti di formare la scala dei grigi e di separare
gli oggetti fra loro e dal fondo. Sul piano estetico, invece, dà volume e plasticità agli oggetti, divide
lo spazio, scandisce il tempo (il giorno e la notte). La mancanza di colore è compensata da
chiaroscuri, flou, aloni, silhouette, ombre, raggi obliqui, riflessi, sfondi luminosi. Sullo schermo,
figure e oggetti in controluce, tende e persiane che vengono aperte per svelare l’ambiente o le facce,
candele e lampade che scavano nel buio, ombre che si avvicinano, diventano presto dei modi di
espressione e di visione, e, in altre parole, mezzo di narrazione. La luce, quindi, è portatrice di
senso, veicolo privilegiato di emozioni: dunque il suo uso dipende dal tipo di rappresentazione. Il
cinema comico sembra richiedere una scala di grigi non troppo contrastata, ossia luci diffuse, adatte
ai campi medi e ai totali, in modo che siano sempre visibili i movimenti e la mimica dei personaggi
dentro l’ambiente, e sia sempre ‘chiara’ la situazione. I grigi sono dosati anche in funzione
psicologica: il chiarore è di per sé tranquillizzante, e l’oscurità, quando c’è, piuttosto che a generare
ansia serve a far nascere le gag e gli equivoci.

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a alla tecnologia del Technicolor.

Addirittura negli anni ’20, nasce negli Stati Uniti d’America, dopo migliaia di tentativi, di
perfezionamenti e di messe a punto, il Technicolor, che rimane tra il 1922 e il 1952 il procedimento
di cinematografia a colori più utilizzato. Negli anni ’50 poi, verrà affiancato e superato, ma non
soppiantato mai completamente, dall’Eastmancolor. Questa tecnica cinematografica resta a
tutt’oggi, il procedimento più utilizzato del mondo per conferire colore alle pellicole. In rapporto al
Technicolor, il procedimento Eastmancolor rappresentò una valida alternativa economica allo stadio
delle riprese.

Durante gli anni ’50 i film, che prima venivano girati in Technicolor, vengono ripresi in
Eastmancolor. Dopo le riprese, una volta completato il montaggio, si utilizzano i negativi
Eastmancolor con ben quattro matrici per stampare le copie dei film sotto il procedimento
tricromico del Technicolor, con un vantaggio: col negativo Eastmancolor può essere calibrato più
efficacemente il livello cromatico di ciascuno dei colori primari. L’Eastmancolor è infatti il
procedimento che conferisce il colore più reale alla pellicola cinematografica, con colori nè troppo
carichi, nè troppo sbiaditi, praticamente corrispondenti alla realtà visiva, già negli anni ’50 e
perfezionatosi negli anni successivi.

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   La festa degli innamorati è da sempre capace di catalizzare l’attenzione delle persone; attenzione
   che i brand cavalcano (a volte) sapientemente sfruttando le peculiarità del marketing dell’amore.
Attraverso il nostro particolare punto di vista approfondiremo il marketing dei sentimenti e
     dell’amore. E chissà quanto, in questo particolare momento storico, ne avvertiamo il bisogno!

Anche in Italia si iniziò a sperimentare riprese a colori sin dal secondo dopoguerra, con esiti
contrastanti. Non venne utilizzato fin da subito il più sicuro Eastmancolor, ma si optò per una
tecnologia tutta italiana e per un procedimento più economico, già scoperto nel campo della
fotografia negli anni ’20, e adattato al cinema a partire dal 1952: il Ferraniacolor. Questo sistema
tutto italiano di conferimento del colore all’immagine in movimento, venne sviluppato dalla Ferrania
Technologies che aveva la sua sede a Cairo Montenotte, in provincia di Savona. Il Ferraniacolor,
utilizzato solo in Italia, ha l’onore di inaugurare la stagione del colore nel cinema italiano, con la
pellicola Totò a colori, del 1952. Siccome il Ferraniacolor conferiva alle pellicole un colore troppo
sgargiante e acceso, quasi da risultare irreale, o in alcuni casi assumeva colori instabili, come
accaduto per il film Gran varietà, del 1954, con Renato Rascel, Vittorio De Sica e Alberto Sordi;
venne presto soppiantata dall’Eastmancolor, che aveva maggiore duttilità, un costo non eccessivo e
soprattutto dei colori più corrispondenti alla realtà. Con l’utilizzazione nel film Pane, amore e…, del
1955, con Sophia Loren e Vittorio De Sica, l’Eastmancolor convinse i produttori che quello sarebbe
stato il procedimento in grado di affermare il colore nel cinema italiano, con risultati più che
eccellenti.

A fine anni ’50 il colore arrivò ad affiancare il bianco e nero, senza dubbio, ma quest’ultimo
continuava ad affascinare le platee, dal b. e n. seducente de La dolce vita, a quello noir de I soliti
ignoti. Dunque gli anni ’60, vivono di una sorta di divisione del campo cinematografico in pellicole in
bianco e nero e pellicole a colori, ma sembrava chiaro a tutti, che il futuro, prima o poi, sarebbe
stato solo ed esclusivamente a colori, e il bianco e nero sarebbe purtroppo destinato ad estinguersi.

Dopo quella del colore, le ultime grandi rivoluzioni tecniche, toccano gli effetti speciali e il
passaggio dalla pellicola al digitale. Una di quelle epocali è il Chroma Key, più semplicemente
detto Green Screen. E’ una tecnica usata in ambito televisivo e cinematografico per creare effetti
speciali, si usa per ambientare soggetti e oggetti su sfondi “virtuali”, aggiunti separatamente e
successivamente. Tale tecnica, letteralmente chiave cromatica, permette di miscelare due (o più)
sorgenti video, sfruttando un particolare colore di sfondo. Tale colore viene eliminato (in gergo
“bucato”) ottenendo un’immagine scontornata, combinabile con altri sfondi o immagini. L’uso
classico in televisione è nelle trasmissioni delle previsioni meteo, dove il presentatore agisce davanti
ad un fondale verde sostituito al mixer dalle cartine e dalle animazioni (nuvole, frecce…). I colori
usati come fondo per tale tecnica sono il blu (blue screen) e molto più spesso il verde Pantone 354
(green screen) particolarmente efficace con le telecamere digitali.
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di applicazione del chroma key.

I requisiti essenziale sono che: l’illuminazione sia omogenea sui soggetti, ma soprattutto sul fondo;
l’illuminazione del fondo e del soggetto siano separate; le ombre del soggetto non finiscano sulla
porzione di colore chiave presente nell’inquadratura. Per evitare il fastidioso effetto di
“sfilacciatura” del contorno è utile una sorgente di controluce sul soggetto. La tecnica è molto usata
al cinema per: ricreare ambientazioni, effetti quale il volo. Per non svelare l’effetto è necessario che
la sorgente video principale e quella di sfondo non abbiano movimenti di macchina, o essi siano
perfettamente sincronizzati. Per questo oggi il semplice chroma key si è evoluto in effetti più
sofisticati come il set virtuale, in cui l’interazione tra elemento ripreso in studio (su green screen) e
elemento aggiunto in post produzione (un set virtuale per l’appunto) si fondono in maniera realistica,
permettendo anche movimenti di camera perfettamente sincroni.

Questa rivoluzione negli effetti speciali, si lega alla definitiva affermazione del digitale, che
sovrasta e definitivamente accantona, dal 2014 in poi, la vecchia pellicola cinematografica. Non è
altro, che la storia che si ripete: il sonoro che soppianta il muto; il colore che si afferma sul bianco e
nero. Il digitale, come ovvia conseguenza del progresso, ha dei vantaggi sostanziali rispetto alla
pellicola, tra cui brevemente: la minore o nulla usura dettata dal tempo e dall’utilizzo; una certa
facilitazione del lavoro di produzione, permettendo l’inserimento all’interno del set di più
telecamere, capaci di restituire nuovi angoli di inquadratura; nonché un minor costo complessivo
rispetto alla pellicola e un minor spreco di tempo.

In conclusione, la storia del cinema è ricca di rivoluzioni tecniche. Ce ne sono state altre,
certamente. Noi qui abbiamo nominato quelle riconosciute universalmente epocali, perché in grado
di influenzare i professionisti del settore, cambiando per sempre la storia del cinema. SI badi bene,
evoluzioni tecnologiche, che toccano caratteristiche di ambito tecnico e non di linguaggio
cinematografico, quest’ultimo dettato da stili e tendenze autoriali, nonché dai mutabili gusti del
pubblico.

  “Le innovazioni del cinema: tra passato e futuro – Parte 2°: Dal cinema a colori
  all’avvento del digitale”, è la seconda parte di un articolo che è iniziato nel numero di
  Gennaio 2022 di Smart Marketing , che potete leggere a questo link.
Puoi anche leggere