Ritorno a scuola, un evento da festeggiare - Maddalena Gissi
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La visione, le idee, le strade Pensieri a voce alta Ritorno a scuola, un evento da festeggiare Maddalena Gissi Mai come quest’anno le nostre scuole hanno bisogno, ma direi anche diritto, di vivere in modo festoso la ripresa delle loro atti- vità. La pandemia purtroppo non può ancora dirsi vinta, ma l’an- damento della campagna vaccinale, superate difficoltà e intoppi di una fase di avvio nella quale non sono mancati i problemi, ac- cresce la speranza che se ne possa ridurre l’impatto, contenen- done le conseguenze più gravi e riconsegnando al Paese, dopo un periodo lunghissimo di sofferenze e restrizioni, una normalità di vita di cui la scuola avverte in particolare la necessità. Sin dall’esplodere dell’epidemia da coronavirus si è capito quali fossero i fattori decisivi su cui fondare un’azione efficace e in prospettiva vincente di resistenza e di contrasto alla diffusione del contagio: le indicazioni sorrette dalle competenze della co- munità scientifica, l’adeguatezza delle scelte compiute nelle sedi di decisione politica e l’autorevolezza di quest’ultime, la respon- sabilità nei comportamenti individuali. Il tutto nella dimensione globale di una pandemia diffusa a livello planetario. Avvertire e vivere più intensamente l’intreccio fra il proprio de- stino individuale e quello della comunità cui si appartiene do- vrebbe essere una delle lezioni più importanti da trarre dal- 2021-2022 Continua a pag. 26 In questo numero •Pensieri a voce alta•La parola di questo mese •Con altro sguardo•Hombre vertical •La poesia dei luoghi•Dibattito•Storia contemporanea •Letture•Un anno con Pinocchio •Rilanci e anticipazioni da Scuola e Formazione
La parola di questo mese Desiderio Raffaele Mantegazza I miei nonni non sapevano né leggere né scrivere. I loro padri nemmeno. Una delle mie zie, pure. I miei genitori non hanno frequentato le elementari e io le superiori. Ciò nonostante ecco che io, Frances K. Nolan, seguirò dei corsi all’università. Capisci, Francie? Frequenti l’università! Oddio mi sento male. Betty Smith, “Un albero cresce a Brooklyn” In una bella scena del film “Viaggi di nozze”, zione è una potente forza liberante, l’ha Claudia Gerini, neo-sposa del “coatto” inter- scritto Paulo Freire in modo definitivo. L’edu- pretato da Carlo Verdone, commenta in que- cazione porta nell’animo dello schiavo quel sto modo il passaggio di una stella cadente: desiderio di libertà che gli mancava, e in que- “ma che tte voi desiderà?”. “Ma che cosa vuoi sto senso il mito della caverna di Platone è la desiderare?”; forse questa è una delle frasi prima vera narrazione pedagogica. Lo schiavo più tristi del film, che mostra la crisi di un che non sa di essere tale viene risvegliato dal gruppo di giovani sempre alla ricerca dell’ec- suo mondo d’ombre e solo allora può in ini- cesso e della stranezza per poi ritrovarsi inca- ziare a desiderare la libertà. L’educazione paci di un reale desiderio. dunque non lascia in pace gli schiavi, vuole Che nella parola “desiderio” sia celata la pa- pungolarli con il desiderio di poter essere li- rola “stelle” (“sidera”) è cosa nota: chissà se beri, e dunque nell’attività educativa c’è an- si tratta di “uscire a riveder le stelle”, ovvero che un elemento di fastidio, di sommovimen- della possibilità di scampare a un pericolo, di to, di risveglio dai sonni dogmatici di qualsiasi fare un passo fuori dall’inferno quotidiano; di tipo. Forse in questo senso il desiderio è an- essere “puri e disposti a salire alle stelle”, che legato alla percezione del dolore, o an- cioè di sentirsi pronti al grande salto verso che solo della mancanza di qualcosa, dell’in- nuove dimensioni, verso un “trasumanare” che compiutezza. Chi si sente arrivato, chi si ac- porti l’essere umano oltre se stesso; oppure se coccola nella sua schiavitù davanti alla parete si tratta di cogliere “l’amor che move il sole e sulla quale vengono proiettate le ombre l’altre stelle”, in una specie di contemplazione (quanta attualità rispetto al mondo degli finale della bellezza dell’Universo. schermi!) smette di desiderare, non percepi- Forse tutte e tre queste dimensioni del desi- sce più lo stimolo a uscire dalla sua situazio- derio devono entrare a far parte dell’attività ne; qui l’educazione è la scossa da torpedine educativa e del pensiero pedagogico. della quale sembra fosse maestro Socrate. Anzitutto il desiderio di liberazione: l’educa- Ma poi c’è anche una dimensione del deside- Pagina 2 SETTEMBRE
rio che è anelito a un grande salto, speranza di raggiungere una dimensione altra; sulla montagna del Purgatorio inizia un altro viag- gio, che porterà alla Utopia, a dimensioni mai viste e mai udite. La purificazione che porta al desiderio consiste nel saziarsi della realtà ma- teriale del mondo capendo però come questa sia solamente un’anticipazione di mondi lon- tanissimi rispetto ai quali possiamo immagi- nare e sognare. “Perché la pace che ho senti- to in certi monasteri/o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa/sono solo l’ombra della luce” (Battiato). Ogni elemento di apprendi- mento non è mai fine a se stesso, è sempre scuola. La mattina a scuola i bambini e i ra- un gradino di una scala che porta al di là di gazzi devono dimenticarsi del mondo (anche ste stesso. Sarebbe un tradimento della scuo- quando lo studiano, se mai arriveremo a capi- la e soprattutto dei ragazzi se ci racchiudessi- re che è indecente che un ragazzo di dician- mo nelle gabbiette delle conoscenze (magari nove anni non studi la storia degli ultimi 50 con il furbo escamotage di chiamarle anni) e in parte anche di se stessi; come av- “competenze”) proponendo una scuola che viene nel teatro, nell’immersione nella natu- funziona come una macchinetta del caffè, ra, nell’amore. pronta a distribuire pezzettini di sapere che È bello che i ragazzi desiderino stare insieme non accennano mai al di là di se stessi. ai loro amici, rivedere gli insegnanti, divertirsi Infine c’è un desiderio che si potrebbe defini- negli intervalli: ma una scuola che faccia loro re mistico, quello nel quale il soggetto e l’og- desiderare Leopardi e le funzioni algebriche è getto del desiderio si fondono. Vicino forse una scuola che riporta il desiderio alle sue alla beatitudine che abbiamo vissuto nel radici culturali. È la nostra cultura che ci porta grembo materno, questo desiderio non è a desiderare, e il desiderio è uno degli atteg- attingibile solamente nelle esperienze religio- giamenti più intelligenti che l’essere umano se: guidare i bambini e i ragazzi a essere possa mettere in campo. Desiderare è un atto tutt’uno con quello che studiano, a fondersi cognitivo ed emotivo allo stesso tempo. E la con la poesia, il teorema matematico, il verbo scuola che incrocia queste due dimensioni è nella lingua straniera, aiutarli a immergersi in una scuola desiderabile, una scuola che è un ciò che studiano per poi riemergerne migliori, diritto di tutte e di tutti esattamente come la cresciuti, felici, è il senso del desiderio nella felicità. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 3
Con altro sguardo Non possiamo abituarci all’orrore Daniele Mencarelli La fotografia di Alan con il volto nella sabbia, bagnato dalle onde del mediterraneo, con la sua magliettina rossa, i pantaloncini blu, ci rimase negli occhi per settimane. Una civiltà che permette una simile sciagura non è più una civiltà. Questo dissero, dicemmo, tutti. Talmente forte lo sdegno collettivo, e since- ro, che in molti pensarono che quel sacrificio potesse aprire un nuovo capitolo della Storia. Una nuova era. Dove i bambini, tutti, ma pro- prio tutti, avessero stessi diritti e possibilità. Poi l’umanità riprese la corsa, dimenticò que- Nel settembre del 2015 il mondo gridò di or- gli attimi di commozione, come succede rore. Una fotografia stravolse l’opinione pub- sempre, in preda alla sua smania frenetica. blica, fermò di colpo tutte le questioni inter- Qualche giorno fa, Oscar Camps, il fondatore ne ai singoli Stati, sembrò quasi cancellare della Open Arms, l’organizzazione non gover- qualsiasi forma di ordinaria amministrazione. nativa che si occupa di aiuto ai migranti, ha La fotografia era quella del piccolo Alan Kur- diffuso delle fotografie scattate in Libia. Si di, ritrovato senza vita su una spiaggia dell’E- vedono i corpi di tre bambini. Altre foto ri- geo. La sua famiglia, in fuga dalla Siria, tentò traggono adulti. Tre bambini, di cui uno neo- come altre migliaia di profughi di raggiungere nato. Vittime di un naufragio, uno dei tanti. l’occidente attraverso le tratte clandestine, Dalla foto di Alan Kurdi a queste sono tra- nel loro caso dalla Turchia verso la Grecia. scorsi poco meno di sei anni. Un dato salta Partirono da Bodrum, ma il loro viaggio durò agli occhi, evidente per quanto preoccupan- poco, pochissimo, il gommone sul quale viag- te. Il piccolo siriano, la sua immagine stra- giavano si capovolse per il mare grosso e il ziante, divenne icona di una crisi che riguar- peso eccessivo. Della famiglia Kurdi soprav- dava tutti, perché tutti hanno una coscienza visse solo il padre, mentre la madre e i due e da che mondo è mondo i bambini si pro- figli, Ghalib e Alan, affogarono. teggono. Pagina 4 SETTEMBRE
Perché tutto questo non è successo per quel- wara, in Libia, e si sa, la nostra coscienza ha li ritrovati in Libia? Perché quei tre corpi oggi un confine geografico, e quel confine è bambini non hanno prodotto nulla? Se ne è proprio il Paese nordafricano, tutto ciò che parlato per mezza giornata, poi basta. Qual- accade da lì in poi e affare di altri, ed è sem- siasi spiegazione è a dir poco terribile. La pri- pre lecito. E poi, a guardare bene, quei tre ma cosa che viene in mente è questa: nel bambini erano dalla pelle scura. Ma delle giro di poco meno di sei anni l’opinione pub- spiegazioni possibili interessa il giusto. Anzi blica, tutti noi, ha vissuto una specie di as- niente. suefazione-regressione all’orrore, al punto L’orrore, un tanto al giorno, come una cura da rendere digeribile una foto che ritrae tre omeopatica somministrata ai nostri occhi, ci bambini morti su una spiaggia. Un’altra chia- sta invadendo la coscienza e non ce ne accor- ve di lettura potrebbe essere questa, forse giamo. È la storia. La nostra storia. Quella che ancora più disumana della prima. Le foto fa di ogni sciagura del passato, dai lager ai diffuse da Camps sono state scattate a Zu- roghi, qualcosa che deve ancora avvenire. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 5
Hombre vertical Si sbaglia perché imperfetti, si chiede scusa perché responsabili Emidio Pichelan Già nel 2017 è successo che Angela Merkel, figlia un pastore protestante dell’allora Re- pubblica di Bonn, emigrato nella DDR (la Re- pubblica Popolare dell’Est), scienziata per formazione, chiedesse scusa alla Namibia (Africa meridionale, tra Angola e Sudafrica) per i crimini commessi dai colonizzatori tede- schi contro le popolazioni Herero e Namia tra il 1904 e il 1908. Evidentemente, Angela ave- va studiato responsabilmente la storia del suo Paese, inclusa la poco gloriosa storia co- L’abbiamo incrociata piuttosto spesso in que- loniale. Il 28 maggio scorso il “suo” ministro sti anni Wislawa Szymborska, la poetessa po- degli Esteri Heiko Maas ha annunciato di aver lacca Nobel per la Letteratura. Un nome un raggiunto con la Namibia un accordo econo- po’ ostico per una poetessa umile e saggia mico riparatore (1,3 miliardi di euro). come un’amica della porta accanto. In Anche il nostro Paese ha avuto un passato “Chiedere scusa” sfoglia umilmente un lungo coloniale. Ce lo ha insegnato da molti anni un elenco di ragioni per chiedere venia: dal fatto giornalista-scrittore curioso e impegnato, An- di chiamare fato necessità alla dimenticanza gelo Del Boca. Se n’è andato in questi giorni, dei morti, all’abbattimento di un albero per quasi centenario. Ma al di là di alcuni ambiti dotare il tavolo delle sue quattro gambe, ai ristretti, preferiamo cullarci con una rimozio- limiti sostanziali dell’umana esistenza: ne (ne è esempio convincente il mito autoas- solutorio – caro assai alle destre – di “Italiani “Chiedo scusa a tutti se non so essere brava gente”, non a caso il titolo di un suo ognuno e ognuna. fortunato saggio che smonta la favola con la So che finché vivo niente mi giustifica, pazienza dell’investigatore attento ai fatti e perché io stessa mi sento d’ostacolo. alla ricerca della verità), e con veri e propri Non avermene, lingua, se prendo in prestito orrori. Vergognosi, imperdonabili. parole patetiche Come il deprecabile Museo di Affile (nelle vici- e poi fatico per farle sembrare leggere”. nanze di Roma), dedicato all’impunito gerarca fascista Rodolfo Graziani: un generale e un poli- Pagina 6 SETTEMBRE
tico fascista che conquistava e sottometteva bocca di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Papa ricorrendo alle armi chimiche proibite dalle Francesco. convenzioni internazionali (su questo preciso L’ignoranza sui nostri trascorsi coloniali non è punto Del Boca sostenne, vittoriosamente, più tollerabile; lo sono ancor meno i tanti ten- un’aspra diatriba con Indro Montanelli, che alle tativi di rimuovere e/o ignorare e/o giustifica- guerre coloniali aveva preso parte da soldato), re le pagine degli errori e degli orrori, con la alle stragi di civili (di abissini, nel 1937), alla co- conseguenza – inevitabile – di rimanere im- struzione di campi di concentramento (dove si prigionati nelle scorie e negli ingombri del moriva per fame e sfinimento), alle fucilazioni passato. Schiavi di paure esorcizzabili solo di massa (il massacro dei preti e dei diaconi con le armi della conoscenza e del perdono. copti di Debra Libanós: 449 vittime secondo i “Il perdono libera l’anima”, diceva Nelson resoconti ufficiali, tra le 1.500 e le 2.000 secon- Mandela, superesperto in materia di ingiusti- do gli studi degli anni Novanta). E, infine, pro- zia-perdono, “rimuove la paura. È per questo prio per non farsi mancare niente, prendendo che il perdono è un’arma potente”. Gli faceva parte attiva nel rastrellamento (tedesco) dei eco Bob Marley, molto di più di un semplice 1.269 ebrei del ghetto romano (16 ottobre ’43). chitarrista e cantautore, un altro che cono- Persino la teocratica Chiesa Romana ha senti- sceva bene la tragicità della spirale ingiusti- to il bisogno, negli ultimi decenni, di chiedere zia/vendetta: “si sbaglia perché imperfetti, e scusa per i suoi errori. Ripetutamente. Per si chiede scusa perché si è responsabili”. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 7
La poesia dei luoghi L’ogliastro millenario di Cùglieri Gianni Gasparini Gli spaventosi incendi e le devastazioni che so, in una posizione che dà risalto ecceziona- hanno infierito a fine luglio scorso in Sarde- le ai suoi venti metri di altezza e ai dieci- gna, bruciando case e distruggendo ventimila undici di circonferenza. ettari di bosco e di macchia mediterranea, È una vera apparizione. Quando gli arrivi vici- sono stati particolarmente impressionanti no e poi davanti, e quando ne compi lenta- nella zona di Cùglieri e nei paesi circostanti, mente il giro attorno, è come se questo albe- in provincia di Oristano, a poca distanza dal ro, che era scampato chissà come alle vicissi- mare: qui le immagini apparse sui giornali tudini e ai tagli che hanno interessato tutti gli mostravano fiamme altissime e fumi scuri altri suoi consimili coetanei, ti dicesse di os- che facevano da sfondo servarne il portamento, di sinistro a case e strade. cogliere la bellezza del In questa catastrofe locale, tronco rugoso e dei rami dove fortunatamente non contorti, di osservare le ci sono state vittime uma- foglie che si riproducono ne, sono morti molti ani- da innumerevoli stagioni, mali allevati nella campa- di gustare l’ombra che ti gna e sono andati in cene- offre. L’ogliastro ti sfida a re innumerevoli esseri ve- sfiorare il mistero del tem- getali, del bosco e di quella po che esso ti testimonia e macchia che qui riveste quasi ti getta in faccia. Tem- armoniosamente le sponde po dell’albero – dei vegeta- del mare di Sardegna. Ho li, della natura – e tempo pensato in modo particola- dell’uomo, di quella che re a un albero più che millenario che sono viene chiamata storia e incede un secolo dopo andato a conoscere pochi anni fa nella cam- l’altro, attraverso decine di generazioni. pagna di Cùglieri, quello di Sa Tanca Manna. Ho avuto modo negli anni di andare a cono- Dalla strada che unisce Alghero a Oristano si scere gli olivastri monumentali e gli alberi più segue un’indicazione, ci si inoltra nella cam- antichi della Sardegna. Ricordo tra gli altri i pagna coltivata soprattutto ad ulivi, ci si fer- secolari ogliastri e carrubi che sono raccolti ma a un certo punto e si lascia la macchina, gradevolmente in una sorta di piccolo parco proseguendo a piedi su un sentiero silenzioso al cui centro sta l’antica chiesa di Santa Ma- che si apre tra i coltivi. Ed ecco apparire l’al- ria Navarrese, in Ogliastra; e gli antichissimi bero, lui, l’olivastro di ben più di mille anni ogliastri di Luras in Gallura, che occorre an- che si erge completamente isolato e maesto- dare a cercare all’interno di un bosco, quasi Pagina 8 SETTEMBRE
nascosti e protetti da molti alberi più giovani. Cùglieri è bruciato nella catastrofe, è caduto Ma quando ho visto l’ogliastro antico di Sa come moltissimi altri vegetali toccati dalla Tanca Manna ho subito pensato che fosse il furia del fuoco: non c’è stata nessuna consi- più straordinario tra tutti quelli che avevo già derazione per la sua età vetusta, per la sua ammirato, che anzi rappresentasse una delle rara bellezza. creature vegetali più meravigliose tra quelle Penso che anche per la morte di un albero, che avevo avuto modo di visitare negli am- pur mantenendo le debite proporzioni ri- bienti più diversi del nostro paese. spetto alla vita dell’uomo, si possa provare Mi accorgo che sto parlando di questo albero sofferenza e persino dolore. Forse, perché la come se fosse vivo, come se ancora domi- scomparsa di un monumento della natura nasse con la sua umile e fiera autorevolezza come un essere vegetale millenario ci fa toc- la campagna che precede coste dirupate e care con mano la realtà dell’impermanenza non molto accessibili come quelle di Porto di tutto ciò che ci circonda, della caducità Alabe, anch’esse raggiunte dalle fiamme nel- delle cose del mondo in cui abbiamo avuto la la catena di incendi di cui non è da escludere ventura di trascorrere il nostro viaggio, anche l’origine dolosa. di quelle più antiche e resistenti all’usura del Anche l’albero antico della campagna di tempo. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 9
Dibattito Questo importante e solido contributo di Marco Gatto evidenzia la necessità di utilizzare questo tempo per una riflessione a tutto campo sui destini della scuola toccando nodi cruciali e delicatissimi come quello dell’Autonomia e di più ampie questioni sociali e politiche. Il dito dell’autore è puntato contro il rischio di una “ideologia pratico-competitiva che pone l’accento più sul saper operare che sul saper ragionare, distinguere, pensare”. Duro e senza sfumature o possibilità di appello è il giudizio su un processo che “vuole la scuola non come fabbrica di cittadini consapevoli, ma come perfetti ingranaggi di un mondo dominato dalla tecnica e dalla competizione”. Di qui il richiamo al recupero di quella radice umanistica che è identità e consegna preziosa della nostra tradizione educativa. L’analisi e il discorso di Marco Gatto sollecitano un dibattito ampio e sereno che, superando possibili rigide derive e contrapposizioni semplificatorie e ideologiche, colga e cerchi di sciogliere i nodi operativi, curricolari e didattici di un progetto di scuola all’altezza delle sfide complesse di questa difficile età di transizione. Per questo invitiamo tanti altri amici ad arricchire e sviluppare questo dibattito partecipandovi direttamente. Umanesimo Marco Gatto Ci siamo lasciati alle spalle un anno scolastico dalistico – si è passati all’evidente nesso che complesso e difficile. Ne sta per iniziare un stringe il sistema educativo, con i suoi meriti altro che pone sfide e interrogativi. Mai come e le sue falle, alle questioni sociali nel loro in questo momento si rende necessaria una complesso: il problema scolastico è anche il riflessione a tutto campo sui destini della problema di un Paese a più velocità; è anche scuola. Una riflessione che vada oltre l’assillo il problema di una disgregazione sociale che tecnocratico dell’ultimo decennio e che ripri- si fa più deleteria nelle aree povere e depres- stini un alfabeto di pensieri capace di insiste- se, nelle periferie come negli spazi più segna- re sui valori, sui compiti, sulle speranze della ti da un profondo disagio; è anche il proble- scuola pubblica. ma di infrastrutture e servizi che non si limi- Il punto di partenza è, senza dubbio, la gran- tano agli edifici deputati alla formazione, ma de contraddizione scoperchiata dalla crisi sa- coinvolgono il sistema dei trasporti, degli nitaria. All’illusione dell’autonomia – favorita ospedali, dei luoghi di aggregazione. La scuo- dall’idea che la scuola possa rappresentare la è, insomma, il punto di incontro e di sintesi un organismo a sé, dotato di logiche proprie, di un conflitto più vasto e generale. Il ripre- magari legate a interessi locali e specifici, sentarsi di questa verità lapalissiana rappre- nonché orientate a un protagonismo azien- senta un’opportunità da cogliere. Pagina 10 SETTEMBRE
Il segno reale delle contraddizioni sociali, verso le quali sarà opportuno formulare nuo- ve strategie di resistenza, coincide con l’ab- bandono scolastico. L’alto tasso di dispersio- ne è una ferita da rimarginare ed è la cartina al tornasole della frammentazione sociale che colpisce il Paese. La pandemia ha chiara- mente esasperato le disuguaglianze, che pu- re preesistevano ai dilemmi della didattica a distanza e del gap tecnologico. Ha mostrato il volto classista del sistema pedagogico, che si avvia ad essere sempre più strutturale. L’attenzione per gli ultimi troverebbe fonda- di costruzione di una consapevolezza insieme mento, del resto, in una scuola realmente individuale e comunitaria, ma l’occasione per aperta alla società. La trasformazione di que- forgiare individui pronti a entrare, senza anti- st’ultima in un luogo di competizione e di corpi, nella macchina infernale della preca- sedimentazione pervasiva delle differenze rietà, dello sfruttamento, del mercato occu- sociali ha ostacolato e continua a ostacolare, pazionale. Come ha mostrato recentemente al contrario, qualsivoglia intervento di natura Lucia Donat Cattin, in uno scritto contenuto egualitaria. Sicché la scuola rischia di diven- nel bel numero sulla scuola che la rivista tare, ancor più in un contesto di generale “L’ospite ingrato” ha recentemente licenzia- aggressività, un luogo in cui gli ultimi restano to, in un contesto simile, «dove l’autonomia tali e un’istituzione in cui gli attori sociali – lasciata alle singole scuole, lungi dall’essere docenti e studenti – si ritrovano a lavorare l’istanza democratizzante nata negli anni per mezzo di predeterminate scelte pro- Settanta, altro non è che l’autonomia di ap- gettuali. Non solo: il discorso sugli ultimi, os- plicare un modello preconfezionato, declina- sia il discorso sui valori di una società che to secondo le esigenze del mondo imprendi- dovrebbe pensarsi coesa e solidale, diventa toriale, globalizzato, dove la libertà di inse- mera retorica umanistica da accantonare, a gnamento è sempre più un’illusione, è evi- beneficio di un’ideologia pratico-competitiva dente che non è facile trovare spazi di azione che pone l’accento più sul saper operare che possibili». Anche perché, ricorda ancora l’au- sul saper ragionare, distinguere, pensare. trice, siamo di fronte a una sedimentazione La didattica fondata sulle competenze, del valoriale di lungo periodo, fondata in larga resto, ha rappresentato e continua a rappre- misura su un modello didattico sentare il veicolo di un sentire epocale che «performante», nell’alveo del quale si sono all’apprendimento sostituisce l’abilità, al sa- formate generazioni di insegnanti, spinte ad pere basilare e indifferenziato lo specialismo aderirvi per necessità(1). concretamente indirizzato verso la risoluzio- Una probabile arma critica è dunque rappre- ne particolare di un problema. La natura sentata dalla possibilità di vedere nella scuola strumentale ed efficientista di questo ap- il contenitore di un conflitto ideologico che proccio è talmente evidente che sembra oggi può essere ancora alimentato. A patto di es- largamente accettata senza grandi criticità. sere netti nel dire che la scuola sia oggi anzi- Dietro la narrazione di una scuola capace di tutto una fabbrica antropologica, ossia la se- dialogare con il mondo del lavoro si cela, in- de di una costruzione egemonica di pensiero, somma, una ristrutturazione consapevole del il luogo in cui si predeterminano individualità. sistema educativo: non più il lungo percorso Lo scontro è ancora una volta tra l’orizzonte 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 11
dominante della tecnocrazia – un apparato evidenza. Rientra cioè in quel quadro più ge- che si esprime attraverso una normatività nerale di particolarizzazione dell’esperienza operativa fatta di parole-sintomo come individuale che descrive un mondo non solo “competenza”, “abilità”, “saper-fare” – e l’o- de-socializzato, ma fondato sulla presunta rizzonte residuale dell’umanesimo democra- autonomia del singolo: autonomia che non è tico. Non si tratta di agitare concetti-feticcio. conquista di uno spazio definito e coinciden- È evidente che la dimensione scolastica sia te con la propria realizzazione individuale, invasa da logiche in larga parte aliene dall’e- ma disponibilità perenne a riorientarsi co- dificazione consapevole di un sapere disinte- stantemente in quella dimensione flessibile e ressato, ma è pur vero che la classe resta il cangiante, e per questo labirintica, che oggi luogo possibile di un incontro differente con caratterizza il mondo del lavoro. Per dirla in il mondo e con la realtà, mediato da una figu- breve, è necessario costruire soggettività di- ra, l’insegnante, che è oggi costretta a cerca- sposte al nomadismo per incontrare i favori re vie di fuga alternative, nuove e feconde dell’organizzazione produttiva del mondo possibilità di relazione, malgrado l’invasiva neoliberale. E la scuola, a sua volta predetermi- sensazione di operare in solitudine e in con- nata da questo quadro valoriale, deve poter trotendenza. Un lavoro complesso e difficile, assolvere la funzione – paradossale – di agen- quest’ultimo, anzitutto perché non ricono- zia formativa di individualità disorientate. sciuto socialmente (per non parlare dei pro- Cosa vuol dire, allora, possibile recupero di blemi che impone la continua precarizzazio- un’istanza umanistica? Se la critica alle pul- ne del personale). Eppure, rafforzare un di- sioni autonomistiche e particolaristiche della scorso resistenziale sembra oggi uno dei po- nostra società e alla sua tendenza a segmen- chi strumenti a disposizione per dimostrare il tare ulteriormente lo spazio sociale, dando possibile rovesciamento di ordine, per demi- vita a nuovi e pericolosi identitarismi, è reale stificare, cioè, quel processo che vuole la e condivisa, se cioè dalla scuola può partire scuola non come fabbrica di cittadini consa- un discorso di costruttiva contestazione, a pevoli, ma come perfetti ingranaggi di un quale compito è chiamata quella minoranza mondo dominato dalla tecnica e dalla com- – chiamiamola così – che ancora si sforza di petizione. insistere su un’idea di sapere democratico, Qui il discorso incontra una riflessione più inclusivo, non individualistico? La scuola può generale, che dev’essere, pur velocemente, offrire oggi una risposta antropologica alter- lambita. Da almeno un trentennio, nel nostro nativa, nonostante il comprensibile sconforto Paese ma probabilmente in tutto l’Occidente, che qualunque insegnante si porta dietro gli istituti di formazione sembrano indirizzati nella quotidianità della sua azione educativa. da sicure scelte governative verso una can- Ma come? È necessario, forse, ricostruire un cellazione della loro radice umanistica. Tra il discorso di consapevolezza critica, cioè “sapere” e il “fare” – due poli che andrebbe- diffondere il più possibile l’idea che sia indi- ro mantenuti in perenne reciprocità – è ve- spensabile non arrendersi alla deriva efficien- nuto a prodursi uno iato ideologico. Il fare tista. Ciò significa, almeno per me, ritorno a non si è identificato più con la realizzazione un’idea di pedagogia generalizzata che trova effettiva di un percorso di emancipazione in- nella classe, intesa come comunità e micro- dividuale, ma come mero momento di appli- cosmo sociale, la sede di una costruzione cazione di una serie ristretta di conoscenze, alternativa di senso. È un lavoro sottile, per- del tutto disarticolate da un possibile quadro ché alle logiche più generali che predetermi- più generale. Questa profonda scissione ha nano mansioni e compiti, che pure ogni inse- risultanti antropologiche e sociali di grande gnante è necessariamente chiamato a osser- Pagina 12 SETTEMBRE
vare, privilegia l’intromissione benefica di farsi veicolo di un’antropologia diversa da un’istanza civile che penetra nella didattica, quella svuotata e appiattita dei nostri tempi, nella relazione con gli altri, nel sapere che purché riparta dalla centralità della mediazio- viene trasmesso. La scuola non può perdere ne e della relazione. Riempire di concretezza questa tensione ideale, e nello stesso tempo queste parole significa, in fondo, svolgere pratica, verso l’unità del sapere, alla quale si l’umanesimo, porre al centro l’uomo nell’infi- lega, ovviamente, una resistenza a quei parti- nità dei suoi caratteri e delle sue determina- colarismi che generano competizione. zioni; lo strumento di tale svolgimento è il Un simile orientamento si identifica, insom- sapere come luogo ideale di incontro e di ma, col valore eminentemente umanistico proliferazione di significati, che al contrario dell’esperienza educativa. Di fronte al micro- risulterebbero sviliti dal nozionismo autorefe- cosmo della classe, l’insegnante è chiamato a renziale e dal diktat dell’efficienza a tutti i un ruolo di mediazione costante. Non può costi. sfuggire che questa idea – Romano Luperini Come riassumere pertanto l’invito a un rinno- parlava circa vent’anni fa, e giustamente, di vato umanesimo scolastico? In un’epoca che professore come intellettuale – oggi sia ag- fa della superficie e dell’immaterialità una sor- gredita da una più generale offensiva rivolta ta di norma inaggirabile, il sapere ha bisogno al concetto stesso di mediazione. Mediare di farsi sostanza: non però nel verso di una sua significa giustificare il confronto, riempire di immediata e facile applicabilità – come una contenuti il già dato, problematizzare le que- certa retorica funzionalistica ha cercato di sug- stioni. Nello stesso tempo, significa rendersi gerire, con esiti purtroppo effettivi –, ma nel parziale, quasi scomparire e mimetizzarsi verso di un recupero, nel campo pedagogico, nell’edificazione di un discorso collettivo. È della relazione umana e sociale e del confron- forse la scuola oggi uno dei pochi luoghi in to che nasce dalla trasmissione di idee, conte- cui questa possibilità sembra potersi ancora nuti, storie. Del resto, una scuola libera e aper- dare, purché tali presupposti umanistici ridi- ta presuppone l’inclusione di tutto ciò che ap- ventino patrimonio ideale condiviso. La paro- partiene alla dimensione umana. Non sarebbe la “umanesimo”, è vero, può rivelarsi polise- il caso di evidenziare ulteriormente il valore mica e ambigua, ma ha il vantaggio di assu- alternativo di una siffatta pedagogia generaliz- mere come radice inestirpabile la condizione zata, se non avessimo la sensazione, ahimè umana, e dunque sociale, dell’agire: è l’idea sempre più concreta, di una democrazia clau- di comunità che essa evoca e suggerisce a dicante e forse mai come oggi serva di logiche costituire una meta politica. La scuola può disumanizzanti. — (1) Valutare per competenze. Il lungo declino della scuola pubblica, in “L’ospite ingrato”, n. 9, 2021, pp. 108 -109. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 13
Storia contemporanea 1941 L’anno della svolta Paolo Acanfora Nella storia ci sono, ovviamente, date (giorni, razziali. Realizzati i primi due, la guerra mesi, anni) che segnano il corso degli eventi scoppiata nel 1939 con l’invasione della più di altre. Possono essere avvenimenti im- Polonia avrebbe dovuto condurre al com- provvisi – si pensi all’attacco giapponese alla pimento del terzo ed ultimo obiettivo. base militare statunitense di Pearl Harbour Questa era la posta in gioco. del 7 dicembre 1941, che tanto peso ha an- Quando nel giugno del 1940 la Francia venne cora oggi nell’immaginario collettivo – oppu- invasa, solo la Gran Bretagna rimase in piedi a re lunghi processi che arrivano a maturazione combattere la Germania. Nel giro di poco tem- (tanto per fare un esempio, la proclamazione po gran parte dell’Europa continentale fu sotto del Regno d’Italia del 17 marzo 1861). Sono il controllo delle autorità naziste. Il 1941 fu eventi che consideriamo spartiacque, turning l’anno in cui tutto inevitabilmente cambiò. point per dirla con un linguaggio oggi interna- Cambiarono i protagonisti, gli equilibri, le stra- zionale. Il 1941 è senz’altro uno di questi. tegie della guerra. Non fu, in senso stretto, Non solo per l’attacco a Pearl Harbour. l’anno della svolta delle operazioni militari. A Il contesto storico di cui parliamo è la secon- dirla chiaramente, le forze naziste continuaro- da guerra mondiale, originata dalla sfida che no a lungo a controllare e dominare gran parte il nazismo tedesco ha lanciato alle democra- dell’Europa. Tuttavia, erano entrati in scena zie, ai regimi liberali, all’Europa, al mondo. nuovi protagonisti che si riveleranno decisivi Arrivato ai vertici della moribonda Weimar al non solo per le sorti belliche ma per tutta la principio del 1933 e divenuto “cancelliere e seconda metà del Novecento. Se dovessimo Fuhrer del Reich” (titolo, non dimentichiamo- sintetizzare l’importanza del 1941 potremmo lo, consacrato da un plebiscito popolare che far riferimento a tre cruciali momenti. Due di riscosse il 90% dei consensi), Hitler aveva questi riguardano, banalmente, l’ingresso in progressivamente mirato ai suoi tre fonda- guerra di Unione Sovietica e Stati Uniti. mentali obiettivi: rivedere alla radice il si- Nel primo caso, l’antefatto da richiamare è stema di Versailles (ossia, l’assetto interna- naturalmente il cosiddetto patto Ribbentrop- zionale uscito dal tavolo di pace dopo la I Molotov. In preparazione dell’invasione della guerra mondiale); riportare dentro i confini Polonia (e quindi dell’avvio della guerra), la del Reich tutti i territori abitati da tedeschi Germania aveva stipulato un patto di non (Austria compresa); consentire al popolo aggressione con i sovietici. Questo patto pre- ariano di conquistare il giusto spazio vitale vedeva un accordo segreto di spartizione dei (Lebensraum) al fine di costruire un ordine territori polacchi (non dimentichiamo che la internazionale su basi gerarchicamente Polonia era stata ricostruita nel 1919, dopo Pagina 14 SETTEMBRE
ben 123 anni, da regioni liberate dal crollo gli schieramenti. Nel caso statunitense, però, dell’Impero austro-ungarico, da quello tede- la logica fu diversa. L’atteggiamento dell’am- sco e da quello zarista russo, in seguito alla ministrazione Roosevelt, sin dall’inizio, non rivoluzione comunista del 1917). In questo fu semplicemente neutrale – non, almeno, modo Hitler si copriva il fianco orientale e nel senso di una neutralità intesa come equi- Stalin poteva riguadagnare ampie zone per- distanza tra i fronti combattenti. Anzi, gli Usa si dute prima con la pace di Brest-Litovsk del presentarono come “l’arsenale delle democra- 1918 (per porre fine alla partecipazione russa zie”, come una potenza di sostegno allo sforzo alla prima guerra mondiale) e poi con la suc- franco-britannico di resistenza al nazifascismo. cessiva guerra russo-polacca. La situazione I finanziamenti e gli aiuti furono cospicui, in cambiò nel giugno del 1941 con l’avvio dell’o- questa direzione (anche forzando non poco la perazione Barbarossa. Infastidito da alcuni mano sul piano legislativo). E veniamo qui al atteggiamenti sovietici e convinto di poter terzo punto, se vogliamo meno ovvio, che ci recuperare grandi risorse per poter far fronte aiuta a qualificare il 1941 come un anno di alla sfida con la Gran Bretagna, Hitler decise svolta. Ancor prima dell’ingresso in guerra che era venuto il momento di denunciare il (avvenuto a dicembre), gli Stati Uniti avevano patto di non aggressione ed invadere l’Urss. La definito, sin dal gennaio, uno strumento im- tempistica era un dato decisivo. Fondamentale portante che avrebbe rappresentato una sor- era infatti concludere le operazioni prima ta di bussola ideale, di cartina di tornasole dell’arrivo dell’insostenibile inverno russo. L’in- per le potenze firmatarie: la Carta atlantica. vasione dei suoi territori portò il gigante sovie- Si riprendeva in essa lo “spirito” dell’ideali- tico a pieno titolo dentro la guerra. smo wilsoniano del primo dopoguerra, con la Nel secondo caso, il teatro di riferimento non riaffermazione dei principi dell’autodetermi- fu l’Europa ma il Pacifico. In questa regione il nazione dei popoli, della cooperazione per la conflitto più rilevante era quello tra Stati Uni- sicurezza internazionale, della libertà di com- ti e Giappone. Dopo la svolta militarista degli mercio e delle cosiddette libertà “dalla paura anni Trenta, il Giappone aveva avviato una e dal bisogno”. Era su queste basi che si im- politica aggressiva che la portava ad espan- maginava di definire il nuovo sistema inter- dere la propria egemonia su un’area di note- nazionale postbellico. La Carta fu firmata ini- vole interesse strategico per la politica estera zialmente da Roosevelt e Churchill e, succes- statunitense. La tensione tra le due potenze sivamente, da Stalin. Nel momento in cui la aveva portato a politiche di boicottaggio guerra prese le forme di una contrapposizio- commerciale e ad una competizione sempre ne politico-ideologica tra fascismo e antifa- più palese e combattiva. L’attacco improvviso scismo, la Carta atlantica rappresentò (in li- a Pearl Harbour era, dunque, il frutto di ten- nea teorica) il comune riferimento dell’anti- sioni di lungo corso e una risposta militare fascismo. Un’alleanza, con tutta evidenza, alla guerra commerciale già in atto. Dato il assai fragile e con molte contraddizioni ma patto d’acciaio che legava la potenza asiatica che, tuttavia, restò in piedi sino alla fine delle con la Germania nazista e l’Itala fascista, operazioni militari e, in vari contesti nazionali l’attacco nipponico contro gli Stati Uniti com- (Italia, Francia, Belgio), alle primissime fasi portò l’ingresso in guerra degli Usa anche sul della ricostruzione. I principi espressi nella fronte europeo. Carta diventarono poi (anche qui, non senza Invero, la questione non era così meccanica. contraddizioni) il riferimento di un nuovo L’Unione sovietica, ad esempio, continuò fino atlantismo, quello della Guerra fredda, non a poche settimane prima della fine della più segnato dalla comune matrice dell’antifa- guerra a non combattere contro il Giappone, scismo ma da quella (nuova e antica allo creando, quindi, una sorta di asimmetria ne- stesso tempo) dell’anticomunismo. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 15
Letture “Da cielo in terra…” Come salvarsi la vita Leonarda Tola Francesco Fioretti (1960 Lanciano, Abruzzo) pre come una placenta virtuale”. Sullo sfon- ha pubblicato nel 2013 un giallo su Dante (Il do, l’esperienza familiare del professore alle libro segreto di Dante, Newton Compton), prese con un matrimonio che pur conoscen- sorprendendo se stesso e l’editore per il do crisi e fallimenti trova un esito di pacifica- grande successo e le 20 ristampe del libro. zione e ricomposizione interiore dei conflitti. L’autore vanta studi danteschi, approfonditi, Ma il libro non è solo né propriamente que- dopo la laurea in Lettere a Firenze, presso sto impianto narrativo: ad intervalli nella sto- l’Università di Eichstatt in Germania, all’origi- ria, è inserito un ciclo di dodici Lezioni sul te- ne dei suoi molti saggi critici e dell’ultimo ma: “La via dantesca alla felicità”; si intuisce romanzo “Non di solo amore. La via dantesca l’ascolto degli allievi per i quali il prof. Deaglio alla felicità” (Piemme 2021). del romanzo (che deve tutto, mente e cuore, Bisogna dire innanzitutto che il libro riguarda al Francesco Fioretti studioso) insegue Dante in senso stretto la scuola. con una domanda: “Che cos’è la felicità?”. Il È la storia di Stefano Deaglio, professore di professore comincia la sua prima Lezione con italiano e latino in una scuola di provincia la storia della parola felicità: otto pagine di (Lombardia o Marche?): la trama tocca etimologie e intriganti rimandi tra le lingue l’attualità della scuola che mentre evoca l’e- (latino e greco soprattutto) che spalancano terno ritorno dei suoi riti impatta e si conta- squarci di comprensione e mai si fermano mina con un presente sconvolto da novità alla sola evidenza terminologica. stranianti. Lockdown, didattica a distanza e “Prima di tutto dunque le parole. Per Dante maturità 2020 comprese. sono importantissime. Ce ne accorgiamo già Il libro è strutturato in due percorsi distinti: leggendo l’Inferno. Il linguaggio che usano i 15 capitoli, dopo uno introduttivo numero 0, dannati parlando col personaggio-poeta è differenziati anche nel corsivo, raccontano la spesso una spia rilevante della loro condizio- scuola e le relazioni che vi si intrecciano; ne. Le deformazioni che infliggono alla loro alunni con nome e cognome e le disastrose sintassi sono, in molti casi, tutt’uno con la biografie degli adolescenti più disastrati. La colpa e la pena… Il Paradiso invece è, prima scuola dentro e al centro, per esplicita am- di tutto, un paradiso linguistico”. missione del protagonista: “Non sono mai Il prof Deaglio (alias Fioretti) spiega, versi alla riuscito a sgusciare fuori dall’habitat scolasti- mano, che “il linguaggio dei beati è espressio- co in cui sono nato e che mi accoglie da sem- ne del loro grado di espiazione e di beatitudi- Pagina 16 SETTEMBRE
ne” perché “la felicità e l’infelicità sono stero divino e alla sua bellezza che vince ogni (anche) questione di lessico e di sintassi”. comprensione umana e che “solo il suo crea- “E l’amore? Se si tratta di Dante non si può tore può godere appieno”. fare a meno di toccare questo tema”. Preva- Respingendo come assurda e inverificabile lenti e trascinanti le Lezioni incentrate sull’a- l’ipotesi che “l’universo nel quale ci troviamo more con le citazioni dalla Commedia (ma ad esistere sia un’accozzaglia casuale di ma- anche il Convivio) in cui le parole amor ama- teria scaturita per sbaglio da un rigurgito to-amar (Inferno Canto V di Francesca) fiori- quantistico del Niente,” Dante (e noi) ce la scono e sono reiterate. vediamo con Dio: “parola di tre lettere il cui È osservato a trecentosessanta gradi l’univer- significato è di troppa ampia latitudine se- so conoscitivo dantesco che include filosofia mantica per essere afferrato da qualsivoglia e teologia con le diramazioni del sapere pos- mente umana”. sibili tra Duecento e Trecento. Il richiamo “Volgiti e ascolta;/ché non pur nei miei occhi implicito nella parola amore è alla felicità è paradiso” ordina Beatrice a Dante: non solo agognata o negata perché l’altro nome e non tutto negli occhi dell’amata. Ogni amo- dell’amore (affezione, bene, inclinazione, re è “riflesso di una verità universale, traccia predilezione) è (dovrebbe sempre essere) di un’energia e di una bel- felicità. Così come l’altro nome dell’odio lezza trascendenti”. (disprezzo, rancore, ostilità, indifferenza) è Il libro di Fioretti è di quelli infelicità. che si leggono più di una Il prof. Deaglio nelle sue 12 Lezioni accompa- volta: la prima per arrivare gna il testo poetico con ineccepibili versioni sino alla fine, le altre per in una prosa limpida che fuga tutte le ombre imparare e insegnare, Le- interpretative. Fino alla dodicesima: “L’amor zione dopo Lezione, che che muove il sole”. Uno straordinario e atte- studiare Dante e ogni buo- so finale, un crescendo di consapevolezza na letteratura “salva la vi- nell’accostamento di Dante (e nostro) al mi- ta”. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 17
Un anno con Pinocchio Il dono di Pinocchio Gianni Gasparini Il dono è una delle vita a un essere che misteriosamente verrà al categorie-chiave del- mondo per opera sua; e dono dell’arte al la vita personale e di mondo attraverso un poeta quale sarà Pinoc- quella sociale, ben chio. diversa dalla logica Prima ancora di coinvolgere Pinocchio, prota- del tornaconto utili- gonista del racconto, il dono permea i senti- taristico che si è menti e i comportamenti esteriori dei com- imposta nelle visio- primari: non solo Geppetto, con la sua affe- ni economiche e da zione fedele al figlio ribelle o dimentico del quelle del potere, padre, ma la Fata, che lungo tutto il racconto che sono dominanti si adopera per fare di Pinocchio, secondo nelle prospettive politologiche. l’ardente desiderio del burattino, un ragazzo Senza aderire alla logica interpretativa del in carne ed ossa. E poi vi sono altre figure dono è impossibile – credo – arrivare al noc- che, diversamente da quelle di segno negati- ciolo delle Avventure di Pinocchio. Molti si vo, esprimono al protagonista il loro dono sono fermati a leggere in modo utilitaristico disinteressato: come il Colombo che traspor- le trame di questa fiaba archetipica che – ta in groppa per mille chilometri il burattino giunti verso la fine del nostro racconto paral- fino al mare dove Geppetto si è imbarcato lelo di un altro Pinocchio articolato in dodici alla ricerca del figlio (Cap. XXIII), o il Tonno puntate – ci pare davvero straordinaria per la che salva Pinocchio e Geppetto esausti e li sua capacità di attraversare indenne il tem- porta a riva, e ancora il Grillo-parlante che po, i luoghi e le culture differenti. Insomma, cede al burattino e a suo padre giunti a terra per dirla alla maniera di Giorgio Manganelli, la propria dignitosa capanna (Cap. XXXVI). in questo racconto bisogna cercare di legge- In alcuni punti del racconto collodiano molti re tra le parole, o almeno tra le righe. hanno voluto leggere in modo esplicito la lo- Secondo le interpretazioni correnti, Gep- gica del do ut des, che in effetti la stessa nar- petto sarebbe un povero falegname che in razione richiama, come nell’episodio del cane una modesta prospettiva di sopravvivenza si mastino Alidoro, il quale in un primo tempo fabbrica un burattino semplicemente per bu- viene salvato in mare da Pinocchio mentre scarsi “un tozzo di pane e un bicchier di vi- sta affogando e poi a sua volta soccorre il bu- no” (Cap. II). In realtà Geppetto con il suo rattino che sta per essere fritto in padella dal gesto creativo e fondativo, che come abbia- Pescatore verde. Congedandosi, Alidoro dice mo visto in precedenza rappresenta una co- “Tu m’hai fatto un gran servizio: e in questo struzione e una “poesia” (poiein), entra pie- mondo quel che è fatto è reso” (Cap. XXVIII). namente nella logica del dono. Dono della In realtà, Collodi aveva scritto poco prima Pagina 18 SETTEMBRE
una frase rivelatrice, annotando che Pinoc- lavoro da animali, da asini – per ottenere co- chio, avendo un cuore eccellente, “si mosse me paga un bicchiere di latte al giorno da de- a compassione”: è dunque la compassione, stinare a Geppetto vecchio e malaticcio. Pro- la misericordia il vero movente del gesto con prio in questo frangente Pinocchio riconosce cui Pinocchio, abilissimo nuotatore, salva il nel ciuchino morente ch’egli ha sostituito al cane che lo inseguiva ed era ormai in procin- bindolo il vecchio amico Lucignolo. Solo Pi- to di affogare. E la compassione umana è nocchio riesce a interpretare la lingua asinina quasi sempre la premessa del dono aperto, e a portare un ultimo conforto al grande ami- disinteressato e gioioso che una persona co che non ha avuto come lui una Fata a pro- compirà verso un altro essere. teggerlo e a consentirgli una strada di uscita Un altro caso di apparente do ut des è quello dalla condizione degradata in cui entrambi del Tonno, quando Pinocchio uscito dal ven- erano caduti nel Paese dei Balocchi. tre del mostro marino sta nuotando con il L’ultimo dono di Pinocchio è il più completo e padre a lui aggrappato e sta per soccombere. il più emozionante. Il burattino sta andando Il pesce in pochissimo tempo trasporta i due al mercato per comprarsi un vestitino nuovo a riva e salutando il burattino gli dice di aver con i suoi quaranta soldi di rame risparmiati: imparato da lui la via di fuga dal mostro, incontra la Lumaca, l’antica cameriera della quella che lo ha portato a liberarsi; quindi, il Fata che gli racconta la storia incredibile che Tonno afferma di sdebitarsi nei confronti di la sua padrona, caduta in miseria, giace “in Pinocchio. È interessante osservare che il un letto di spedale”. Pinocchio ci crede burattino che sta per annegare si rivolge al (credulone, o uomo di fede e fiducia nell’al- Tonno in toni commoventi, invocando sem- tro?), senza pensarci un attimo consegna plicemente un gesto di aiuto e cioè di miseri- tutti i suoi soldi alla Lumaca per la Fata e le cordia: “Tonno mio, ... Ti prego per l’amore dà appuntamento tra qualche giorno, quan- che porti ai Tonnini tuoi figliuoli: aiutaci, o do con il lavoro svolto di sera a fabbricare siamo perduti” (Cap. XXXVI). cesti di giunco potrà dare un altro contributo Ma è con Pinocchio che il dono rifulge, per in denaro alla sua antica quasi-mamma. Ecco così dire, nel racconto collodiano. Richiamo il dono nella sua espressione più pura: impre- qui gli episodi a mio giudizio più significativi. visto e in grado di sovvertire progetti a lungo Uno è quello della battaglia dei libri tra gli accarezzati, totale, senza riserve, creativo, scolari in riva al mare, quando Eugenio viene responsabile nei confronti del futuro. A que- ferito e rimane a terra inanimato: mentre sto dono corrisponderà, non come un do ut tutti scappano, solo Pinocchio si ferma a soc- des ma piuttosto nella logica di un altro do- correre amorevolmente il compagno e a mo- no, quello della Fata: essa apparirà in sogno a tivo di questo viene ingiustamente arrestato Pinocchio e opererà l’agognata metamorfosi dai carabinieri (Cap. XXVII). E poi, è nel finale, del burattino in un ragazzino perbene e ben nel lungo capitolo XXXVI, che possiamo vede- vestito, perdipiù con un borsellino ben forni- re all’opera l’autentica capacità di dono di to di monete d’oro. Pinocchio: essa si esprime anzitutto nel lavo- E qui, come sappiamo, finisce la storia di Pi- rare duramente e fedelmente al bindolo – un nocchio, burattino-bambino. 2 0 20 / 20 2 1 Pagina 19
Rilanci e anticipazioni da Scuola e Formazione In un momento in cui il “problema scuola” è tornato ad essere materia di vasto interesse pubblico, anche in conseguenza della situazione emergenziale e di difficoltà provocata da una pandemia che ha pesato profondamente sul lavoro educativo e sui suoi risultati, ma più ancora per le prospettive di intervento e innovazione che potranno essere sostenute dal programma europeo Next Generation EU, è importante che la voce, l’esperienza e le competenze della comunità di pratica costituita dagli insegnanti e da tutto il personale scolastico vengano correttamente colte e valorizzate. Una necessità che non è nuova ma che troppo spesso— per non dire quasi sempre—è stata elusa dalla politica. Anche per questo ci sembra utile riproporre un bell’articolo della professoressa Maria Antonietta Vito che abbiamo pubblicato in Scuola e Formazione del giugno 2016. La parola agli insegnanti Maria Antonietta Vito Non vi è dubbio che la società italiana abbia di chiusura, verso ipotesi di cambiamento sen- un bisogno vitale di «buona scuola» e al- tite come estranee, in quanto calate dall’alto, e trettanto indiscutibile è che questa, per pren- talvolta inutili o dannose. der vita, debba appoggiarsi a una seria volon- Una sfiducia che non investe solo la classe tà riformatrice da parte delle istituzioni com- politica e gli organi dirigenti, ma la stessa petenti. Va però fatta una considerazione, funzione docente, produce negli insegnanti scevra da qualsiasi polemica politica o rifiuto una sorta di ripiegamento su se stessi, entro aprioristico: un cambiamento in profondità un orizzonte che diviene sempre più angu- nel mondo scolastico, una radicale revisione sto, tra pesantezze burocratiche, crisi di le- del modo di insegnare, non sarà possibile se gittimità del proprio ruolo, conflittualità con non grazie a un coinvolgimento diretto, le famiglie, spesso ipercritiche tutrici dell’in- un’assunzione del problema, da parte di chi teresse esclusivo dei figli. Ai docenti più mo- in prima persona opera nella scuola. tivati, che si sentono coinvolti in prima per Questa sarà anche un’affermazione ovvia ma, sona nel processo di formazione, resta il dato di fatto, nella storia della scuola italiana un pro- vitale della loro esperienza, il rapporto con tagonismo vero dei docenti, non solo didattico, gli alunni, fatto di trasmissione di conoscenze ma progettuale, capace di indicare linee d’o- ma anche d’attenzione, empatia, ascolto, rientamento e suggerire strategie complessive, sostegno alle fragilità di cui ciascuno di loro è non si è quasi mai realizzato, se non in qualche portatore. isola felice di sperimentazione ben riuscita. E forse proprio da questo nucleo relazionale, Questa subalternità, che genera sentimenti di rimasto integro, occorre partire per riflettere marginalità, finora aggravati dal precariato, insieme, non dall’alto, ma dal basso e dall’in- favorisce atteggiamenti di scetticismo, se non terno, su quali siano le vere esigenze, quali i Pagina 20 SETTEMBRE
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