Istruzione 4.0: l'impatto della digitalizzazione sul lavoro dei docenti scolastici in Italia Iside Gjergji
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Istruzione 4.0: l’impatto della digitalizzazione sul lavoro dei docenti scolastici in Italia Iside Gjergji 1 Il grande esperimento: introduzione Il 2020 non sarà ricordato soltanto per la crisi planetaria multilevel di tipo sanitario, economico, sociale e politico, ma anche per il cambio paradigmatico dei modelli di istruzione. L’avanzare del Covid-19, sin dai primi mesi dell’anno, si è tradotto in una progressiva chiusura di scuo- le e istituzioni accademiche in ogni angolo del mondo. La didattica fa- ce-to-face – ossia il modello dominante – è stata repentinamente sostituita da quella online. Frettolosamente definito “emergency remote education” (Williamson et al. 2020:108), per sottolinearne il carattere transitorio, il nuovo modello sembra essere qui per restare. Molti sono i fattori che militano in favore di questa tesi e, alcuni tra questi, non sono né recenti né esclusivamente connessi all’emergenza pandemica: i colossali investi- menti dell’industria digitale nel settore dell’istruzione, l’ampio sostegno istituzionale alla digitalizzazione dei modelli di apprendimento/insegna- mento, la progressiva disgregazione di scuole e università pubbliche, il crescente autoritarismo nell’organizzazione scolastica e accademica, l’e- stensione del ruolo delle aziende private nella loro gestione nonché la precarizzazione lavorativa dei docenti sono tutti fenomeni che risalgono nel tempo e inducono a vedere nel cambiamento in corso la fisionomia di un processo a carattere duraturo. L’emergenza sanitaria rappresenta, semmai, l’occasione per combinare simultaneamente le strategie preesi- stenti, messe in campo da molteplici attori. Come ha affermato l’OCSE in un recente documento – dal titolo Education responses to COVID-19: Embracing digital learning and online collaboration – la diffusione del co- ronavirus costituisce 1. Centre for Social Studies, University of Coimbra. 207
un’opportunità per sviluppare un’istruzione alternativa. La Cina, che è stata colpita per prima dal coronavirus, si trova già in uno stadio avan- zato nel provvedere l’accesso all’apprendimento online a gran parte dei suoi studenti (OECD 2020)2. Jonathan Zimmerman, noto storico dei sistemi educativi, ha sotto- lineato su The Chronicle of Higher Education come il virus rappresenti un’opportunità per compiere un gigantesco esperimento sociale nel cam- po dell’istruzione: il Coronavirus…ha creato le condizioni per realizzare esperimenti senza precedenti. Per la prima volta, interi corpi studenteschi sono sta- ti costretti a seguire tutte le lezioni online. Possiamo così esaminare il loro comportamento in questi corsi e confrontarlo con quello dei corsi in presenza, senza doverci preoccupare dei bias relativi all’autoselezione (Zimmerman 2020). Zimmerman ha poi aggiunto che “se gli studenti mostrassero di avere più vantaggi dall’istruzione online, allora i professori che insegnano in presenza, […], rischierebbero di perdere il posto” (Ibidem). Il rischio di una disoccupazione di massa nel settore dell’istruzione è stato da tempo annunciato in diversi studi sull’impatto sociale dell’inno- vazione digitale (Brynjolfsson e McAfee 2011). Tuttavia, la disoccupazio- ne non appare essere il solo rischio: la posizione contrattuale e salariale, l’orario di lavoro, le condizioni lavorative e i diritti sindacali possono altresì subire scosse devastanti. Nel suo libro AI Superpowers: China, Silicon Valley and the New World Order, Kai-Fu Lee (2018), ex capo di Google China e, attualmente, uno dei capitani globali dell’industria digitale dell’istruzione (edtech), afferma che l’intelligenza artificiale porterà enormi cambiamenti nei modelli for- mativi, a partire dalla trasformazione degli attuali docenti in meri tutor didattici. Come ha specificato lo stesso Lee, in un’intervista del 2018, “the lecturing should be done by the masters”, mentre il resto dei docenti dovrebbe semplicemente accettare la deprofessionalizzazione e svolgere, di conseguenza, mera attività di tutoring o animazione digitale: 2. Tutte le traduzioni nel testo sono dell’autrice. 208
[…] le lezioni dovrebbero essere tenute dai maestri. Ci dovrebbe esse- re un fisico che ha vinto il Nobel ma che è anche un grande insegnante. Tutti dovrebbero imparare da quel docente. Nella nuova forma in cui stiamo investendo in Cina, il rapporto è uno a mille, un docente per mille studenti (EdSurge 2018). Questo articolo intende focalizzarsi sull’impatto che l’istruzione digi- tale può produrre sulle condizioni lavorative degli insegnanti, prendendo in esame la situazione dei docenti scolastici in Italia durante il periodo marzo-giugno 2020, quando l’intera didattica si è svolta online. Lo stu- dio è il risultato della combinazione di diverse metodologie di ricerca: il metodo genealogico3 è stato utilizzato per l’individuazione delle più ri- levanti tendenze di sviluppo nell’industria globale dell’istruzione nonché delle più significative convergenze che l’hanno portata oggi ad assumere un ruolo economico di grande rilievo, mentre le interviste in profondità e i focus-group – strumenti tipici della ricerca sociologica di tipo qualitativo – hanno consentito di osservare da vicino i cambiamenti più significativi nello svolgimento del lavoro dei docenti. Appare utile specificare come l’obiettivo di questo studio non sia la descrizione della fenomenologia del lavoro degli insegnanti nel passaggio dalla didattica tradizionale a quella online. Se il problema scientifico si ponesse in questi termini si correrebbe il rischio di prendere solo atto della situazione e, di conseguenza, di porsi in un’ottica di servizio nei confronti di una realtà già data, fornendo al massimo suggerimenti per migliorare alcuni aspetti marginali. Per evitare questo pericolo è stato necessario combinare due approcci nell’analisi: il primo consiste nel met- tere in discussione la stessa desiderabilità sociale della situazione data e il secondo nel considerare i fatti sociali dentro la complessità dei contesti globali, dove meglio si possono scorgere quei fili invisibili che collegano il battito della farfalla a Pechino o Washington con i monsoni a Roma. 3. Questo metodo consiste essenzialmente “nel non prendere mai un problema come tale, ma nel dare per scontato che i problemi sollevano problemi e, di conseguenza, che si debba considerare la genesi storica dei problemi” (Bourdieu 2013, s.p.). 209
L’industria globale dell’istruzione 4.04: tendenze e convergenze Lo spazio del mercato nel settore educativo è enormemente cresciuto negli ultimi decenni e l’industria globale dell’istruzione si è ormai affer- mata come una delle più importanti a livello globale. Negli ultimi dieci anni gli investimenti diretti di capitale in questo settore sono aumentati più rapidamente delle spese per la difesa, almeno per quanto concerne i paesi più industrializzati. Non si tratta di considerare il solo settore priva- to della formazione (ovvero scuole e università private), la cui origine ri- sale nel tempo, ma di mettere in evidenza una nuova e crescente offerta di servizi e merci educative che vengono scambiati nel mercato internaziona- le, anche come conseguenza diretta della diffusione del lifelong learning: servizi di e-learning; servizi di preparazione ai test; servizi di tutoraggio e/o formazione complementare; servizi di certificazione, pacchetti varia- bili di programmi di studio; servizi di edu-marketing, etc. La progressiva sostituzione della scuola con la formazione permanente (van Veert e Kendall 2006) non solo ha consegnato la scuola all’impresa, come affermava anni fa Gilles Deleuze (2000), ma è riuscita a trasformare l’impresa in scuola: Il principio modulatore del “salario secondo merito” non manca di sedurre la stessa Pubblica istruzione: in effetti, così come l’impresa sosti- tuisce la fabbrica, la formazione permanente tende a sostituire la scuola, e il continuo controllo a sostituire l’esame. È il mezzo più sicuro per con- segnare la scuola all’impresa (236). GSV-Advisors ha calcolato che, nel 2015, il valore globale del mercato dell’istruzione ha superato la cifra di 4,9 trilioni di dollari (Verger et al. 2016). Negli Stati Uniti, l’industria dell’istruzione occupa, in termini di fatturato, il secondo posto nell’economia nazionale, subito dopo quella sanitaria. Nel 2018, secondo un report del BMO-Capital Markets (2018) – banca di investimento leader nel settore dell’istruzione – sono stati spesi 4. L’espressione “istruzione 4.0”, spesso usata in modo ambiguo in letteratura, serve qui a indicare i modelli di apprendimento/istruzione – variamente adottati nell’ecosistema dell’istruzione – che interagiscono e/o utilizzano le innovazioni tecnologiche 4.0. Circa il potenziale dei ‘big data’, dell’intelligenza artificiale, del machine learning, dei robot, dell’internet delle cose e dell’automazione nel settore dell’istruzione come parte essenziale di quella che è stata definita Quarta Rivoluzione Industriale (Industria 4.0) si veda in particolare: Schuster et al. (2016). 210
circa 1,52 trilioni di dollari per l’istruzione e si prevede si possa arrivare a 1,65 trilioni entro il 2023. Stando ai dati forniti dalla suddetta banca, in- fatti, alcune società statunitensi specializzate nella didattica online – quali K-12 e Connections Academy (del gruppo Pearson) – hanno registrato un forte incremento del fatturato nel 2020, a causa del passaggio dall’in- segnamento in presenza a quello in remoto durante l’emergenza sanitaria (EdSurge 2020). Si ritiene che, a livello globale, gli attori più affermati nell’industria dell’istruzione siano: 1) le catene di scuole private, quali GEMS, ARK, Bridge International Academies o le Omega Schools (che stanno espel- lendo dal mercato globale le scuole gestite dai religiosi); 2) le grandi multinazionali: Pearson, Microsoft, Apple, Google, Zoom, Youtube, In- tel, Hewlett Packard e Blackboard; 3) le grandi società di consulenza: McKinsey e PriceWaterhouseCoopers; 4) alcune fondazioni, come “Bill and Melinda Gates Foundation” o “Hewlett Foundation”; 5) le piattafor- me dell’istruzione online, come Coursera5 e Udacity. A livello istituzionale, oltre ai governi nazionali e alle istituzioni sovra- nazionali (ONU, UNESCO, OCSE, Unione europea, Banca mondiale, etc.) (Giancola et al. 2019), occorre menzionare il recente Global Educa- tion Coalition dell’UNESCO: una partnership internazionale costituita durante l’emergenza pandemica per aiutare i governi a mobilitare risorse e implementare “soluzioni innovative e adeguate al contesto per fornire didattica a distanza, adottando approcci hi-tech, low-tech e no-tech”, con lo scopo di “mitigare l’immediato dissesto causato da Covid-19” non- ché per “sviluppare sistemi educativi più aperti e flessibili per il futu- ro” (UNESCO 2020). Tra i membri della suddetta coalizione figurano: Google, Microsoft, Facebook, Zoom, OCSE e la Banca Mondiale, tutti impegnati a diffondere e stabilizzare l’istruzione digitale a livello globale. Uno dei fattori chiave nello sviluppo dell’industria globale dell’istru- zione è la tecnologia digitale, la quale negli ultimi quindici anni ha fatto 5. Coursera, la più grande piattaforma online per l’istruzione academica e post-academica, fornisce a 45 milioni di studenti in tutto il mondo l’accesso a contenuti messi a disposizione da università e alcune aziende leader. La piattaforma, che attualmente comprende più di 3.700 corsi di varia durata, più di 400 corsi di specializzazione e 16 tipi di lauree, costituisce oggi uno dei più grandi archivi sulle competenze a livello mondiale, dato che milioni di studenti iscritti ai vari corsi sono sottoposti a continue valutazioni di diverso tipo. Il Coursera Global Skills Index (GSI) costruisce proprio su questi dati l’analisi di 60 paesi e 10 settori industriali in tutto il mondo, per rilevare le tendenze di sviluppo (Perraut 2019, 106). 211
notevoli progressi. In particolare, l’uso dell’intelligenza artificiale (IA) per la produzione ed elaborazione dei dati (big data) in tempo reale è glo- balmente promosso per il miglioramento dell’apprendimento6, poiché – come ha affermato l’UNESCO nel 2017 (UNESCO 2017) – lo rende- rebbe più personalizzato, flessibile, inclusivo e coinvolgente (Williamson 2017). Effettivamente, i numerosi programmi e dispositivi commercializzati nei mercati internazionali sono descritti come strumenti capaci di fornire sofisticati servizi di apprendimento flessibile e personalizzato, con lo sco- po di proporre soluzioni efficaci ai bisogni dei singoli studenti (Selwyn 2019). La multinazionale Pearson, azienda leader nei prodotti digitali applicati all’istruzione, ha fatto importanti investimenti nello sviluppo di programmi di intelligenza artificiale. In un primo momento, tali in- vestimenti erano stati concentrati nella raccolta ed elaborazione dei big data, ma più di recente il focus si è spostato sulla produzione di sistemi di tutoraggio intelligente (Intelligent Tutoring Systems-ITS) che utilizzano le tecniche dell’intelligenza artificiale per simulare il tutoraggio umano personalizzato (one-to-one tutoring), con l’obiettivo di offrire servizi che si adattano alle esigenze cognitive del soggetto fruitore. Il tutto in totale assenza di docenti umani. Come la Pearson afferma nel proprio sito web: Combinando l’intelligenza artificiale con le scienze dell’apprendi- mento – psicologia, neuro-scienze, linguistica, sociologia e antropologia – otteniamo una comprensione di cosa e come le persone imparano. Con l’intelligenza artificiale il modo in cui le persone apprendono inizierà a diventare molto diverso7. AIDA (Aida-calculus tutoring app) è il nome della più importante ap- plicazione per smartphone che fornisce servizi di tutoraggio intelligente commercializzata dalla Pearson8. Sul mercato sono presenti anche altre 6. Il riconoscimento di certe virtù miracolose alla tecnologia digitale nei sistemi di appren- dimento, promossa con una retorica roboante e in assenza di adeguata evidenza scientifica, è stato opportunamente definito “determinismo tecnologico”. Sul punto, cfr. Giancola et al. (2019), Gui (2019) e Selwin, et al. (2016). 7. Si veda il sito web dell’azienda: https://www.pearson.com/news-and-research/the-futu- re-of-education/artificial-intelligence.html. 8. Sulle conseguenze dirette e indirette dell’applicazione AIDA nell’apprendimento degli stu- denti si rinvia a Williamson e Eynon (2020). 212
applicazioni, alcune delle quali scaricabili gratuitamente e già utilizzate da diverse università e scuole in tutto il mondo, – come per esempio il Genie (che si trova su Apple Store e Google Play) –, ma si tratta di pro- dotti che si focalizzano prevalentemente sull’analisi e sulla combinazione simultanea dei dati9. Il tutor artificiale della Pearson, così come altri programmi e disposi- tivi, sono esempi che rivelano i giganteschi vantaggi economici dietro la spinta alla digitalizzazione degli attuali modelli di apprendimento/inse- gnamento. La convergenza degli interessi delle imprese tecnologiche con quelli dell’industria dell’istruzione10 costituisce un fattore importante per la diffusione e stabilizzazione della didattica digitale in tutto il mondo. Ciò produce anche un legame stretto tra istruzione e profittabilità. Come hanno illustrato Poritz e Rees (2017), nel loro libro Education is Not an App: The Future of University Teaching in the Internet Age, la digitalizzazio- ne dei sistemi di formazione ha reso oltremodo diffusa la mercificazione di tali sistemi. Di recente, il settore dell’istruzione si è rivelato talmente profittevole da indurre i colossi della tecnologia a trasformarsi in scuole e universi- tà. Tra queste iniziative industriali si possono menzionare: Facebook for Education (https://www.facebook.com/ education); Google for Education (https://edu.google.com) e Microsoft Education (https://www. microsoft. com/it-gb/education) (Mirrlees e Alvi 2019). Risale a poche settimane fa, del resto, l’annuncio della costituzione della Google University, inte- ramente fondata sulla didattica digitale. I diplomati dei corsi online di Google otterrebbero alla fine del percorso il “Google Career Certificate” per una delle seguenti posizioni lavorative: project manager; analista di dati; designer di UX. A differenza delle altre università tradizionali, Go- ogle promette ai suoi ‘laureati’ – oltre al (relativamente) basso costo dei corsi – anche un’assistenza attiva nella ricerca del lavoro dopo la ‘laurea’ (creando appositi protocolli di intesa con Intel, Bank of America, Hulu, 9. Molti di questi sistemi sono ora inclusi nell’espressione “learning analytics”, con la quale si in- tende “la misurazione, la raccolta, l’analisi e il resoconto dei dati sugli studenti e sui loro contesti, per la comprensione e l’ottimizzazione dell’apprendimento e degli ambienti in cui esso si verifica”. Sul punto si visiti il seguente sito web: https://www.solaresearch.org/about/what-is-learning-analytics/. 10. Si pensi, ad esempio, a come la strumentazione digitale tenda a ridurre la presenza dei docenti (umani) nell’offerta didattica, consentendo di conseguenza una notevole riduzione dei costi. 213
Walmart, Best Buy, etc.). Altre aziende, come Apple, Facebook e Micro- soft, si stanno organizzando per seguirne l’esempio. La digitalizzazione dei sistemi educativi – che spazia dalla raccolta ed elaborazione dei big data alla datificazione dei modelli di apprendimento/ insegnamento – è dunque ideata, modellata, finanziata e prodotta dalle imprese private (Bulger 2016). Sono queste a guidare l’intero processo. Anche laddove gli investimenti statali si rivelano consistenti, a guidare il processo sono sempre le aziende private. L’esempio della Cina, paese lea- der nello sviluppo dell’intelligenza artificiale (Mubayi et al. 2017) e anche paese con il maggior numero di scuole e studenti al mondo11, appare in questo senso emblematico, perché rivela come lo sviluppo dell’intelli- genza artificiale sia fortemente condizionato dagli interessi economici e geopolitici dello Stato e, allo stesso tempo, anche dall’integrazione dei modelli di apprendimento/insegnamento con gli interessi dell’industria digitale. Il ruolo centrale assegnato all’intelligenza artificiale nello sviluppo in- dustriale del Paese è ampiamente descritto in tutti i più recenti documenti programmatici dello Stato cinese, sia a livello centrale che periferico (Knox 2020). Tale centralità è espressa non solo con investimenti statali diretti, ma anche con importanti benefici fiscali in favore delle impre- se tecnologiche, in particolare in favore di quelle impegnate nel settore dell’istruzione, le quali negli ultimi anni hanno anche registrato profitti molto alti (Hao 2019). Le tre aziende di spicco, quelle con accesso ai dati di decine di milioni di studenti – New Oriental Group (中国合伙人), Tomorrow Advancing Life (好未) e Squirrel AI (乂学教育) – hanno avviato alcuni ambiziosi esperimenti che si basano sull’uso intensivo dell’intelli- genza artificiale, con l’obiettivo di produrre programmi e dispositivi più sofisticati di quelli realizzati dalla Pearson, capaci di integrare nell’analisi anche dati emotivi e biologici dei soggetti coinvolti12. Colpisce in parti- 11. In Cina vi sono attualmente più di 518 mila scuole e 276 milioni di studenti. Sul punto si veda: Zhang e Zou (2019). 12. Nelle scuole cinesi si stanno già sperimentando diversi sistemi per monitorare i progressi sco- lastici degli studenti attraverso la sorveglianza permanente e la costante raccolta di dati. Uno di questi esperimenti riguarda l’utilizzo di robot posizionati nelle aule e di chip (contenti dati individuali) integrati nell’uniforme di ogni studente. L’obiettivo è quello di raccogliere, integrare e analizzare i dati di riconoscimento facciale e di localizzazione per monitorare l’impegno e l’interazione di ogni singolo studente (Shelton e Xiao 2018). Un altro esperimento, più ambizioso del primo, prevede l’utilizzo di speciali auricolari – solitamente utilizzati negli ospedali per le scansioni cerebrali – al fine 214
colare quanto riferito da Wei Cui, co-fondatore di Squirrel AI, il quale in un recente documento aziendale ha specificato che: la frequenza cardiaca in tempo reale, le onde cerebrali e il riconosci- mento delle espressioni facciali durante l’apprendimento verranno ag- giunti all’analisi complessiva dei dati. Ogni studente sarà dotato di un assistente personale virtuale al fine di fornirgli migliori servizi di appren- dimento (Squirrel AI Learning 2019). Al momento, le applicazioni più diffuse sono quelle che, – come ad esempio la Mo Jing (Magic Mirror System) –, partendo dal riconoscimen- to e analisi del volto e del linguaggio, riescono a tracciare le prestazioni di ogni studente in tempo reale e i loro risultati complessivi. Si tratta di strumenti che si ‘limitano’ all’approccio quantitativo sui dati raccolti per proporre previsioni sul futuro13 (Xu 2018). Occorre inoltre rilevare come l’industria dell’istruzione 4.0 in Cina non abbia affatto un carattere na- zionale14, poiché, come ha sottolineato Knox (2020: 1-2), essa non solo si sviluppa in collaborazione con imprese internazionali e numerose univer- sità occidentali, ma ha anche l’obiettivo di conquistare i mercati interna- zionali. Ciò significa che quanto accade attualmente in Cina è destinato a produrre conseguenze nei sistemi educativi del resto del mondo15. di rilevare e monitorare l’attività cerebrale degli studenti (Jing e Soo 2019). Ognuno di loro indossa un archetto con minuscoli elettrodi per misurare i segnali elettrici del cervello e monitorare il livello di concentrazione. Una luce rossa si accende sull’archetto quando lo studente è concentrato, la quale diventa blu se egli si distrae. Le informazioni raccolte possono essere inviate direttamente e in tempo reale sia ai genitori che all’insegnante. Quest’ultimo riceve, alla fine di ogni lezione, un rapporto che descrive in dettaglio la concentrazione complessiva e le variazioni dei livelli di concentrazione di ogni studente. Ovviamente, l’intelligenza artificiale in questi esperimenti non è programmata né utilizzata per calcolare lo stress subìto dagli studenti a causa della sorveglianza permanente nonché dall’utilizzo continuo dei dispositivi tecnologici durante l’apprendimento a scuola, così come non si cura di misurare la pressione esercitata sugli insegnanti, dato che i rapporti quotidiani sul rendimen- to complessivo degli studenti si trasformano inevitabilmente anche in uno strumento di controllo della qualità del lavoro dei docenti. 13. Come ha spiegato Shoshana Zuboff (2019), l’imperativo della previsione è diventato un fattore cruciale nello sviluppo dell’industria hi-tech, da lei definito “capitalismo della sorveglianza”. 14. Lo si specifica perché è proprio in questi termini che vengono spesso considerati gli eventi o i fatti riguardanti la Cina. 15. In questo senso, appare utile segnalare l’esistenza della piattaforma Dahai, una specie di Uber delle docenze online, che al momento consente agli studenti universitari di fare lezione o fornire tutoraggio online per le matricole. Appare evidente che, in questo modo, si apre la strada all’uberizzazione della docenza a livello globale. 215
Da questa breve panoramica sulle tendenze di sviluppo dell’industria dell’istruzione 4.0, dalla quale emerge il ruolo centrale del mercato e delle aziende edtech, appare evidente che il processo non è student-centered, no- nostante la retorica dominante – compresa quella di tipo istituzionale – associ in modo automatico la digitalizzazione della formazione ai miglio- ramenti nell’apprendimento (Gui 2019). Allo stesso tempo, però, non è neanche teacher-centered. La spinta verso una diffusa digitalizzazione dei modelli di istruzione è alimentata e modellata dalle imprese private. La mercificazione crescente dell’educazione trova un formidabile alleato nella datificazione realizzata dall’intelligenza artificiale. La trasformazione di ogni aspetto della formazione in dati (alfa-numerici) quantificabili e misurabili, quindi commerciabili, si fonda sulla sostanziale equiparazione tra scuola (o università) e didattica, tra formazione e trasmissione di in- formazioni, tra mente e computer. Come spiega Roberto Finelli, l’ideologia contemporanea consiste nel vedere il mondo come un massive information process, all’interno del quale la stessa intelligenza umana viene considerata come una macchina computazionale che pro- cessa informazioni e che, per tale struttura di base, può essere sostituita dall’intelligenza artificiale, come macchine che possono elaborare una enorme quantità di segni (Finelli 2020: 351). Una tecnologia applicata all’istruzione che ponga al centro del suo svi- luppo gli interessi degli studenti non può contemplare, in primis, la sepa- razione tra mente e corpo. Tale separazione è la premessa per il fallimento di qualsiasi modello di apprendimento. Antonio Damasio (2005), nel suo Descartes’Error: Emotion, Reason and the Human Brain, spiega come il corpo costituisca il terreno di riferimento per la mente, e che corpo e mente siano un unico inseparabile organismo: L’idea che la mente derivi dall’intero organismo, inteso come un insieme, potrebbe inizialmente apparire contro-intuitiva. Di recente, il concetto di mente si è spostato dal nulla etereo che occupava nel XVII se- colo alla sua attuale residenza nel o intorno al cervello – un po’ una degra- dazione, ma ancora una stazione dignitosa. Sostenere che la mente stessa dipenda dalle interazioni cervello-corpo, in termini di biologia evolutiva, ontogenesi (sviluppo individuale) e funzionamento può apparire ecces- sivo. Ma vi spiego. Io affermo che la mente nasce dall’attività nei circuiti 216
neurali, e sul punto non vi sono dubbi, ma molti di questi circuiti sono stati modellati nell’evoluzione dai requisiti funzionali dell’organismo, e che si può avere una mente regolare soltanto se questi circuiti contengo- no rappresentazioni di base dell’organismo, e se continuano a monitorare gli stati dell’organismo in azione. […] Il corpo vero e proprio e il cervello partecipano insieme nell’interazione con l’ambiente (Ibidem, s.p.). In linea con Damasio, Finelli afferma – in una prospettiva materiali- stica – che la mente e la conoscenza non si possano concepire in modo separato dal corpo: […] si dà costruzione di conoscenza nell’essere umano solo quando il conoscere è connesso profondamente con il sentire, quale complesso di sentimenti che danno senso e che dirigono il nostro scambio, la nostra agency, rispetto al nostro ambiente biologico e sociale. Significa dire che nell’essere umano c’è una indispensabilità del corpo, fisico ed emoziona- le, nel costruire una conoscenza piena di senso. Significa dire che il cer- vello umano, come il cervello animale, forma l’informazione nel senso di conoscenza, attraverso un modo e dei percorsi che sono completamente diversi dal modo in cui quella stessa informazione verrà poi elaborata e formalizzata nei linguaggi binari del digital computer (Finelli 2020: 352). L’attuale tecnologia digitale applicata all’istruzione è invece imper- niata sulla separazione radicale della mente dal corpo nonché sulla quan- tificazione e valorizzazione permanente di ogni attività umana. Si può affermare che al centro della digitalizzazione dell’istruzione si trovino le necessità e strategie (anche geopolitiche) del sistema capitalistico. Del resto, com’è stato ampiamente dimostrato in letteratura (Hessen 2017, Merton 1938, Pollock 1956, Manacorda 1976), alla base dello sviluppo della tecnologia di ogni epoca si trovano sempre le esigenze dei sistemi socio-economici. Ciò significa che anche nella fase attuale – come ha spiegato Renato Panzieri (1961) – “lo sviluppo della tecnologia avviene interamente all’interno di questo sviluppo capitalistico. […] Lo stesso progresso tecnologico si presenta quindi come modo di esistenza del ca- pitale, come suo sviluppo” (54). I fattori socio-economici non rappresentano soltanto il contesto che rende possibile lo sviluppo tecnologico, sono anche elementi inscritti nel codice genetico della tecnologia, il che ne condiziona profondamente 217
l’impiego. Per dirla con Panzieri: “l’uso capitalistico delle macchine non è, per così dire, la semplice distorsione o deviazione da uno sviluppo “og- gettivo” in se stesso razionale, ma esso determina lo sviluppo tecnologico (Ivi: 55). Questo significa che la tecnologia viene al mondo con una mission specifica, la quale non può essere modificata se viene modificato il con- testo in cui è utilizzata. I dispositivi o le applicazioni digitali applicati all’istruzione, ideati e programmati per quantificare ed estrarre profitto attraverso la commercializzazione dei servizi, delle merci educative o dei big data, tenderanno sempre alla realizzazione di tali obiettivi, quale che ne sia l’utilizzo complementare che si possa fare, poiché nella loro memo- ria strutturale sono codificate risposte e soluzioni stabilite dagli organismi che li producono, cioè le imprese capitalistiche. Per questa ragione, il rapporto tra sistema educativo e tecnologia orientata al profitto appare irrimediabilmente compromesso: se il proposito del sistema educativo è quello di formare dei soggetti capaci di sviluppare al meglio la loro conoscenza e le loro capacità, quello della tecnologia digitale è di estrarre profitto (Ekbia e Nardi 2017; Fuchs 2016) e, contemporaneamente, di esercitare il controllo su gran parte dei soggetti-fruitori. In particolare, la tecnologia capitalistica ha come obiettivo specifico il controllo della forza-lavoro: nel caso specifico si tratta della forza-lavoro dei docenti, ma non di meno quella degli studenti-futuri-lavoratori, perché come ha spiegato il fondatore della sociologia della scienza, Robert K. Merton (2000b), la tecnologia è impiegata “non solo per la produzione dei beni, ma anche per il controllo dei lavoratori. Infatti, essa è stata ripetutamente definita come un’arma per sottomettere i lavoratori alle condizioni di lavoro stabilite dagli imprenditori” (1080)16. La finalità di controllo nella tecnologia digitale applicata all’istru- zione si realizza, prima di tutto, attraverso lo svuotamento dei conte- nuti creativi dei soggetti utilizzatori. Il linguaggio delle applicazioni e dei vari programmi digitali non ha contorni smussati e flessibili; la sua natura ottusamente dichiarativa, fondata sul radicale disconoscimento delle sfumature, dell’ambiguità e, in definitiva, della creatività dei siste- 16. Le imprese stanno potenziando il sistema di controllo nel lavoro da remoto, giungendo a costruire programmi digitali – definiti anche “sentinelle digitali” – capaci di penetrare nella vita privata dei lavoratori, contabilizzando il tempo trascorso su internet, nell’utilizzo delle applicazioni e nella geolocalizzazione (Betti 2020). 218
mi comportamentali degli esseri umani, finisce per produrre un impatto fortemente prescrittivo su questi ultimi, confinandoli in un contesto in cui si alternano all’infinito soltanto 1 e 0. Così come le prime macchine non hanno liberato l’operaio dal lavoro17, così ora i dispositivi digitali applicati ai sistemi educativi non liberano la creatività degli studenti, al contrario la spezzano, ostacolando di conseguenza il loro libero sviluppo psico-fisico18. Non si tratta, com’è ovvio, di assumere un superficiale approccio lud- dista nei confronti della tecnologia applicata ai sistemi educativi (Landri e Viteritti 2016), ma di porre in rilievo il fatto che la tecnologia non è mai neutra. È essenzialmente un derivato del sistema di produzione, contiene un ‘virus’ nella sua natura epistemica, ossia la logica mercantile e di disci- plinamento della forza-lavoro (ivi compresa la forza-lavoro-futura, che è rappresentata dagli studenti di oggi). Va anche detto che la digitalizzazione dei sistemi educativi in diversi paesi si è finora realizzata in modo diseguale e discontinuo. Se la Cina e gli Stati Uniti sono l’avanguardia dell’intero processo, ovvero sono luoghi nei quali è più facile scorgere la fisionomia del futuro sistema educativo, altrove la situazione appare più velata e contraddittoria. Il caso italiano rientra pienamente in quest’ultima categoria. Per individuare i segni che il processo globale di digitalizzazione dell’istruzione sta imprimendo al sistema educativo italiano e al lavoro dei docenti si deve tenere conto di molteplici fattori. Nel seguente paragrafo saranno tratteggiati alcuni tra i più importanti. 17. “La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l’operaio, ma toglie contenuto al suo lavoro” (Marx 1968, 467). 18. Non appare irrilevante in questa riflessione segnalare come la Global Tech Elite impedisca ai propri figli l’accesso ai dispositivi tecnologici. Nella Waldorf School, per esempio, dove studiano i figli dei capi della Silicon Valley, è assolutamente vietato l’ingresso degli schermi digitali a scuola. Le ragioni di questa radicale scelta no-tech sono spiegate nel sito web della scuola. Ecco alcuni passaggi: “L’intrattenimento elettronico nella nostra società, che è diffusa dai media, influenza lo sviluppo emotivo e fisico dei bambini e degli adolescenti, riducendo la loro capacità di creare una connessione significativa con gli altri e con il mondo che li circonda. La ricerca sul cervello ci dice che l’esposizio- ne ai media può portare a cambiamenti nella rete neuronale del cervello. […] Gli educatori Waldorf ritengono che sia molto più importante per gli studenti interagire tra loro e con i loro insegnanti e lavorare con materiali reali piuttosto che interfacciarsi con i media elettronici o la tecnologia. Esplo- rando il mondo delle idee, partecipando alle arti, alla musica, al movimento e alle attività pratiche, i bambini sviluppano corpi sani e robusti, cervelli equilibrati e ben integrati, fiducia nelle loro abilità pratiche e forti capacità funzionali”. 219
La digitalizzazione della scuola italiana: dalla lavagna elettronica alla didattica digitale integrata La digitalizzazione della scuola in Italia non si è realizzata in modo au- tarchico, ma come parte integrante del processo globale di digitalizzazio- ne dei sistemi educativi e, al contempo, anche come risposta alle esigenze specifiche del sistema di produzione del Paese. In sintesi, il fenomeno ha combinato – come s’è detto sopra: in modo diseguale e contraddit- torio – le caratteristiche salienti di queste due spinte. Se, da un lato, la spinta globale alla digitalizzazione della scuola ha trovato una forte eco nelle politiche pubbliche, nella retorica istituzionale nonché nel diffu- so convincimento di alcuni attori importanti (Gui 2019), basato sulla credenza che l’innovazione digitale migliori l’apprendimento19, dall’altro lato l’andamento complessivo appare anche il riflesso dell’altalenante e lento processo di digitalizzazione del sistema produttivo italiano, noto- riamente in ritardo rispetto ad altri paesi industrializzati e con un parco macchine obsoleto, principalmente a causa delle ridotte dimensioni delle sue aziende (Graziani 1998). Come si afferma in un recente rapporto della Confindustria, l’Italia “anche se in ritardo rispetto agli altri prin- cipali paesi europei, si è dotata finalmente dal 2016 di una strategia di medio-lungo periodo in linea con le best practice internazionali” (Centro Studi di Confindustria 2019)20. Il ritardo accumulato dal sistema produttivo italiano va letto anche come assenza di urgenza da parte di questo di avere una forza-lavoro con alte competenze digitali. Per rendere gli studenti employable21 (oc- cupabili), ossia lavoratori pronti per essere impiegati nella produzione, si è sostanzialmente puntato sulla diffusione degli internship (tirocini)22, i quali sono stati resi obbligatori per tutti gli studenti della scuola secon- 19. Esistono diverse formulazioni di “competenze digitali” in letteratura, tuttavia in questo lavoro si ritiene opportuno adottare quella estensiva utilizzata dal Consiglio europeo (2018.C189.019): “l’in- teresse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza e spirito critico”. Per una ricognizio- ne generale delle concezioni di “competenze digitali” si veda: Iordache et al. (2017). 20. Matteo Gaddi (2019), che nel suo recente libro “Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati?” ha illustrato, tra l’altro, le tappe e i percorsi del “Piano Industria 4.0” del Governo italiano, afferma che “nel 2015, il Governo italiano ha espresso per la prima volta la sua posizione in tema di Industria 4.0 attraverso l’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, durante un’audizione parlamentare presso la Camera dei Deputati” (15). 21. Sul concetto di “employability” si vedano: Cuzzocrea (2015) e Chertkovskaya et al. (2013). 22. Sul punto si rinvia a Gjergji e Cillo (2021). 220
daria di secondo grado, licei compresi, a seguito dell’approvazione della cosiddetta “riforma della buona scuola” nel 2015 (Pinna e Pitzalis 2020). Il percorso delle politiche pubbliche sulla digitalizzazione della scuola, come segnalano diversi studiosi, fu avviato con la Strategia di Lisbona nel 2000, vale a dire 20 anni fa. A partire da questo momento – scrivono Gui e Gerosa – “la digitalizzazione della scuola ha assunto una connotazione economico-culturale più ampia ed è divenuta un tassello centrale dello sforzo di innovazione della società europea” (Gui e Gerosa 2019, 483). Dal Piano Nazionale di Formazione degli Insegnanti sulle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione del 2002, al Piano Nazionale Scuola Digitale del 2007 e 2015, passando per i Quadri Strategici Nazio- nali, i Piani Operativi Nazionali e i cicli di programmazione dei Fondi strutturali (dal 2000 al 2020), i governi italiani hanno investito somme ingenti nell’implementazione del programma di digitalizzazione per rag- giungere gli obiettivi stabiliti sia nella Strategia di Lisbona 2000 che nella strategia Europe 2020. Marco Gui (2019), infatti, riferisce che: il decennio 2007-2017 ha visto un’allocazione di fondi in tecnologie digitali e relativa formazione per la scuola italiana di circa 1 miliardo e mezzo di euro. Per capire l’entità di questa cifra (circa 150 milioni all’an- no), si pensi che essa supera il fondo per la premialità di tutti i docenti della scuola (130 milioni di euro nel 2019) o rappresenta il triplo dei fondi che compensano i docenti con “funzioni strumentali” (53 milioni). Tra le spese “extra” del sistema scolastico, quindi, la voce digitale ha un peso molto importante (s.p.). In una prima fase, gli investimenti hanno avuto come obiettivo l’equi- paggiamento delle scuole con lavagne elettroniche e luminose (LIM), per passare, dal 2015 in poi, a potenziare la connettività e costruire nelle aule ambienti digitali dove gli studenti possano agevolmente utilizzare i propri dispositivi (Bring Your Own Device-BYOD23). I tre obiettivi dichiarati di queste politiche, come hanno spiegato Giusti e colleghi (2015), sono: 1) il miglioramento dell’apprendimento; 2) il potenziamento delle com- petenze digitali; 3) la lotta alla dispersione scolastica e l’inclusione degli studenti problematici. 23. Per un approccio critico nei confronti del movimento “Bring Your Own Device” si veda: Alirezabeigi et al. (2020). 221
Dalle ricerche finora effettuate, tuttavia, si evince che la digitalizza- zione della scuola italiana “ha portato pochi benefici a livello sistemico” (Gui e Gerosa 2019, 486), ovvero che, pur avendo aiutato gli studenti a familiarizzare con il mondo digitale, non ha raggiunto gli obiettivi pre- fissi. Questo trend non è solo italiano, poiché anche a livello internazio- nale si registrano gli stessi sostanziali fallimenti. Bulman e Fairlie (2016) hanno evidenziato come la digitalizzazione scolastica a livello mondiale abbia portato a un maggiore uso del computer nelle scuole, ma pochi studi trovano effetti positivi sui risultati educativi. […] I risultati suggeriscono che le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione non generano be- nefici in termini di apprendimento (250-251). Con la chiusura totale delle scuole in Italia, dal 3 marzo fino a giugno 2020, e il repentino passaggio dalla didattica in presenza a quella online, si è avuta un’ulteriore prova di questo trend: tutti i docenti intervistati nell’ambito del presente studio hanno affermato di aver riscontrato un effetto regressivo della didattica online sulle competenze degli studenti, soprattutto con riferimento agli studenti più giovani. Ciononostante, il lockdown generalizzato delle scuole, da marzo a giugno, ha prodotto una fortissima spinta verso una strutturale digita- lizzazione dei modelli di istruzione, al punto da considerarsi ormai un elemento stabile nel panorama educativo e non solo una soluzione di tipo emergenziale. Ciò emerge parzialmente nel decreto ministeriale del 26 giugno 2020, dal titolo “Adozione del documento per la pianificazio- ne delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le istituzioni del Sistema nazionale di istruzione per l’anno scolastico 2020/2021”. Nel de- creto, infatti, non solo la didattica a distanza (DaD) non viene archiviata come esperienza, ma si introduce la didattica digitale integrata (DDI), che combina in modo flessibile la didattica in presenza con quella online. Che la DDI sia un modello che si vorrebbe adottare in modo stabile lo si evince da diversi elementi: dalla speciale attenzione alla formazione tecnologica del personale docente e amministrativo nel prossimo futuro e, soprattutto, dalla previsione di protocolli o accordi tecnico-finanziari con le aziende tecnologiche per il rafforzamento della connettività con le 222
piattaforme di didattica online nonché per l’abbassamento dei suoi costi (Biondi 2020). Oltre al decreto, a rafforzare e rendere visibile la tendenza vi sono le intese tra sindacati confederali e Governo24 in materia di contratto collettivo nazionale integrativo (CCNI), concernente le modalità e i cri- teri delle prestazioni lavorative nella modalità a distanza. Al di là delle molteplici criticità che emergono da queste intese25, ciò che spicca è la spinta verso l’adozione della DDI come modello permanente. Nella Nota ministeriale n. 1934 del 26 ottobre 2020 – la quale da un punto di vista formale, va detto, ha il valore di una mera circolare, ovvero di un atto amministrativo senza alcun valore giuridico26 – è ulteriormente ribadita la necessità di attivare la DDI su scala nazionale, anche in assenza della formalizzazione del contratto integrativo. Due docenti intervistati hanno infatti raccontato come, nonostante la loro scuola non sia attualmente chiusa27, i dirigenti scolastici abbiano ugualmente attivato la DDI per alcuni singoli studenti, anche in assenza di provvedimenti di quarantena/ isolamento nei loro confronti. L’azionamento della DDI, dunque, già non necessita più delle ragioni pandemiche per essere giustificato. Dai risultati di una recente ricerca condotta in Italia – da Carlo Gio- vannella, Marcello Passarelli e Donatella Persico (2020) – sulla didattica a distanza durante il lockdown della primavera 2020, emerge che l’88% dei docenti scolastici sia riuscito a fare video-lezioni in sincrono. Al 92% di questi sono bastate meno di due settimane per adattarsi alla modalità di insegnamento online. Inoltre, l’86% dei docenti scolastici ha usato un laptop per svolgere la didattica a distanza, alternando talvolta il tablet (35%) o lo smartphone (12%). Tra i 336 docenti coinvolti nei questiona- ri, circa il 44% ha potuto utilizzare la banda larga o ultralarga fissa nella connessione, mentre il 36% si è dovuto accontentare dell’Adsl o altro (connessione cellulare o satellitare). Quanto alla relazione docente-stu- 24. CISL e Anief sono le prime organizzazioni sindacali che hanno siglato l’accordo con il governo. Anche la CGIL ha partecipato alle discussioni e approva l’intesa, ma è attualmente in attesa del voto della base per formalizzare la propria adesione. 25. Come, ad esempio, le previsioni fumose sui diritti dei docenti, le garanzie astratte (come quelle relative alla sicurezza sul posto di lavoro), le mancate integrazioni salariali in merito ai consumi individuali (di dispositivi, connettività, etc.). 26. Sul valore delle circolari nell’organizzazione della vita sociale e lavorativa si veda: Gjergji (2020); Gjergji (2015). 27. I docenti in questione sono stati intervistati nel mese di novembre 2020. 223
dente, il medesimo studio riferisce che soltanto una limitata percentuale dei docenti lamenta di aver perso i contatti con gli studenti, giungendo a quantificare la dispersione scolastica tra il 6% e il 10% a livello nazionale, ossia tra i 400mila e i 670mila studenti. Da questo primo studio emerge un dato rilevante, di cui occorre tene- re conto nell’analisi complessiva della digitalizzazione della scuola in Ita- lia: il più forte ostacolo alla sua diffusione strutturale è oggi rappresentato dai limiti infrastrutturali della rete a banda larga e ultralarga nel Paese. Tali limiti costruiscono un digital divide geografico – il quale si aggiunge ad altri tipi di digital divide (derivanti dalle condizioni socio-economiche dei soggetti) – che riflette le disuguaglianze territoriali nello sviluppo. Altro dato utile, da tenere in considerazione nell’analisi delle tenden- ze complessive della DDI, è quello relativo alle competenze digitali di docenti e studenti; stando alla ricerca citata, nonostante sottoposti a un repentino stress test, sia i docenti che gli studenti hanno dato prova di ave- re adeguate competenze tecnico-digitali per affrontare la didattica online. Bring Your Own Class Home: spazio, tempo, ritmo e relazioni nel- la didattica digitale Il presente studio si è avvalso complessivamente di tredici interviste in profondità e di due focus-group (con la partecipazione di quattro do- centi per ogni incontro), nonché di numerose conversazioni informali con docenti e genitori. Gli intervistati sono tutti docenti di scuole secon- darie di primo e secondo grado, ad eccezione di uno che insegna in una scuola primaria. Le loro attività sono svolte in diverse zone geografiche del Paese, dal nord al sud (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Puglia). Il genere prevalente nel campione selezionato è quello femminile; gli intervistati uomini sono soltanto due. Questa ridotta rap- presentanza maschile rispecchia la composizione di genere delle cattedre in Italia: le insegnanti, di ruolo o supplenti, erano circa 700 mila nel 2017, vale a dire quasi l’82% degli 855.734 docenti di ogni ordine e grado di scuola. L’età degli intervistati varia da 34 a 55 anni. Le interviste e i focus-group sono stati condotti sia durante il lockdown della prima- vera 2020 sia durante i mesi della ripresa scolastica (settembre, ottobre 224
e novembre), periodo in cui, in alcune regioni d’Italia, si è nuovamente sperimentata la didattica digitale (DaD o DDI). I focus-group e buona parte delle interviste si sono svolti online (at- traverso l’utilizzo delle piattaforme digitali: Zoom, Skype, Google Meet) ad eccezione di quattro casi in cui le interviste sono state condotte tele- fonicamente28. Alcuni intervistati, stimolati dalle domande poste durante le interviste, hanno in seguito inviato spontaneamente dei racconti (mes- saggi vocali) o delle riflessioni scritte (tramite e-mail), al fine d’integra- re le loro precedenti risposte. Naturalmente, queste loro considerazioni sono entrate a far parte del materiale di studio29. Le problematiche relative alla sfera lavorativa dei docenti emerse du- rante la fase empirica della ricerca sono numerose, alcune delle quali re- steranno fuori da questo scritto per ragioni di spazio. Lo stress psico-fisi- co, gli orari prolungati, l’intensificazione dei ritmi lavorativi, le difficoltà incontrate nel divenire docenti-lavoranti a domicilio e la conseguente ac- cresciuta complessità delle relazioni sociali sono tra gli aspetti più critici dell’esperienza accumulata nella didattica online. La parola “disagio” è quella maggiormente ripetuta, soprattutto in relazione alla mediazione dello schermo digitale nel rapporto con gli stu- denti: “È pesante fare lezione davanti a uno schermo. Tutto si riduce a dei quadranti. Che cos’è un ragazzino chiuso in un quadrante?” [Int. 4]. Lo schermo è visto come un filtro limitante, un diaframma che riduce o elimina del tutto la trasmissibilità del flusso emozionale della conoscenza. Il che si trasforma in una costante frustrazione nel lavoro dei docenti, essendo questo principalmente fondato sulle relazioni. Ciononostante, va sottolineato il fatto che tutti gli intervistati e i par- tecipanti ai focus-group hanno dichiarato di considerare utile la didattica digitale durante l’emergenza sanitaria, sia perché pensano che si tratti di una modalità di protezione della loro salute sia perché ritengono sia un “sacrificio necessario per restare vicini ai ragazzi” [Int. 4]. Paradossalmen- 28. Questa modalità di ricerca empirica, che si ritiene abbia reso difficoltoso il rapporto tra l’intervistatrice e gli intervistati (almeno per quanto riguarda la necessità di creare, il più possibile, un clima di reciproca fiducia nel contesto dell’intervista), si è imposta a causa dell’obbligo della distanza sociale a seguito della diffusione del coronavirus nel Paese. 29. Al fine di conservare l’anonimato delle intervistate e degli intervistati, la loro identità sarà indicata soltanto con il numero dell’intervista, essendo queste catalogate in tal modo nell’archivio della ricerca. 225
te, quindi, l’utilità dello schermo digitale è riconosciuta proprio nella dimensione emotiva della loro attività: “È meglio di niente” [Int. 9]. Il giudizio tende però a cambiare radicalmente quando si tratta di valutare l’impatto della DaD o DDI nell’apprendimento. Ancor più ne- gativa diventa la loro valutazione dei modelli digitali di apprendimento/ insegnamento se sollecitati a esprimersi in merito all’ipotesi di renderli stabili nella didattica: “Sarebbe la fine della scuola” [Int. 2]; “Il fatto è che la scuola non è solo didattica” [Int. 13]. Un altro dato forte che emerge dalle interviste è la sensazione di com- pleto abbandono e isolamento dei docenti, che non si riferisce alle sole recenti fasi di lockdown. In generale, i docenti si sentono come “una barca senza remi nell’oceano” [Int. 7]. Diversi intervistati hanno eviden- ziato l’assenza di luoghi di riflessione collettiva e politica sui destini della scuola. Inoltre, non sembrano riconoscere nelle istituzioni, nei partiti e sindacati degli attori sociali attenti alle questioni dell’istruzione: Al di là della retorica giaculatoria sulla scuola, i fatti dimostrano che sono anni che tagliano i fondi. La storia recente della scuola, dalla Gelmi- ni fino a Renzi, passando per Monti, è lastricata di tagli. È ovvio che poi, quando arriva la pandemia, la prima cosa che si fa è chiudere la scuola perché mancano spazi, strutture e mezzi per continuare. La DaD – biso- gna riconoscerlo – è l’esito di anni di tagli e destrutturazione complessiva della scuola, è la risposta più facile per continuare a distruggerla [Int. 1]. Non sono mancati i paragoni tra il progressivo smantellamento della sanità e la disgregazione della scuola pubblica in Italia negli ultimi tre decenni: Il coronavirus ha reso visibili i problemi strutturali della sanità in Italia. La distruzione della sanità pubblica ci ha reso vulnerabili davanti al virus e, alla fine, sacrificabili alle logiche economiche, perché è chiaro che, se non hai una sanità che funziona, si pone sempre il dilemma am- letico: vivere o lavorare? […] Paradossalmente, ti dico che quasi quasi vorrei che si presentasse un equivalente del virus, o qualcosa di simile, anche per la scuola, qualcosa che faccia vedere a tutti il danno che stiamo facendo a questi ragazzi, perché il danno è invisibile ora che sono a scuo- la, ma si vedrà dopo, quando diventeranno adulti [Int. 9]. 226
Tutte le interviste realizzate si sono rivelate una miniera di idee e con- siderazioni sulla “scuola ideale”, sul rapporto tra docenti e studenti non- ché sulle conseguenze che la digitalizzazione genera all’interno dell’eco- sistema educativo. Nel presente studio, tuttavia, come già detto, il focus principale sarà sull’impatto che la didattica online produce sulle condi- zioni lavorative dei docenti scolastici. Verticalizzazione dell’organizzazione scolastica e crescente autoritarismo Già prima che il DPCM del 4 marzo 2020 fosse emanato – provve- dimento con il quale è stato imposto il lockdown nazionale, ad eccezione della cosiddetta ‘produzione essenziale’ – la didattica a distanza risultava già attivata in alcune scuole, dietro esplicita richiesta dei dirigenti sco- lastici, in totale assenza di regole o protocolli. Il suddetto DPCM30 ha soltanto ratificato le azioni dei dirigenti scolastici, prevedendo semplice- mente quanto segue: “Per la durata della sospensione delle attività didat- tiche i dirigenti scolastici attivano modalità di didattica a distanza”. La generica espressione utilizzata nel DPCM – “modalità di didattica a distanza” – ha assegnato alla discrezionalità decisionale dei dirigenti scolastici le azioni concrete da realizzare: per la nuova articolazione degli orari e dei programmi didattici; per la scelta delle piattaforme digitali da utilizzare; per la gestione complessiva dell’organizzazione scolastica, ivi compresi i collegi dei docenti, le riunioni, etc. La centralità della figura del dirigente nell’organizzazione della vita scolastica non è però un feno- meno realizzato con l’avvio della DaD. Le riforme degli ultimi anni, ben riparate dietro la retorica dell’autonomia scolastica, avevano già introdot- to nella scuola un’organizzazione di tipo dirigista e manageriale, la quale sta conoscendo un ulteriore rafforzamento con l’avvio della DaD/DDI: La scuola a distanza ha riguardato anche le riunioni nella scuola, che sono passate a distanza, come per esempio il collegio dei docenti. Que- sto passaggio li ha resi ancor più vacui e in mano a chi li dirige, che per legge è il dirigente scolastico, il quale, ancor più di prima fa il bello e il cattivo tempo. Cioè il collegio docenti si è ridotto a un simulacro di tipo 30. Va ribadito che, anche in questo caso, si tratta di un atto normativo di rango secondario e non di un provvedimento legislativo. 227
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