Istruzione 4.0: l'impatto della digitalizzazione sul lavoro dei docenti scolastici in Italia Iside Gjergji

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Istruzione 4.0: l’impatto della digitalizzazione sul
   lavoro dei docenti scolastici in Italia
   Iside Gjergji 1

   Il grande esperimento: introduzione

    Il 2020 non sarà ricordato soltanto per la crisi planetaria multilevel
di tipo sanitario, economico, sociale e politico, ma anche per il cambio
paradigmatico dei modelli di istruzione. L’avanzare del Covid-19, sin dai
primi mesi dell’anno, si è tradotto in una progressiva chiusura di scuo-
le e istituzioni accademiche in ogni angolo del mondo. La didattica fa-
ce-to-face – ossia il modello dominante – è stata repentinamente sostituita
da quella online. Frettolosamente definito “emergency remote education”
(Williamson et al. 2020:108), per sottolinearne il carattere transitorio,
il nuovo modello sembra essere qui per restare. Molti sono i fattori che
militano in favore di questa tesi e, alcuni tra questi, non sono né recenti
né esclusivamente connessi all’emergenza pandemica: i colossali investi-
menti dell’industria digitale nel settore dell’istruzione, l’ampio sostegno
istituzionale alla digitalizzazione dei modelli di apprendimento/insegna-
mento, la progressiva disgregazione di scuole e università pubbliche, il
crescente autoritarismo nell’organizzazione scolastica e accademica, l’e-
stensione del ruolo delle aziende private nella loro gestione nonché la
precarizzazione lavorativa dei docenti sono tutti fenomeni che risalgono
nel tempo e inducono a vedere nel cambiamento in corso la fisionomia
di un processo a carattere duraturo. L’emergenza sanitaria rappresenta,
semmai, l’occasione per combinare simultaneamente le strategie preesi-
stenti, messe in campo da molteplici attori. Come ha affermato l’OCSE
in un recente documento – dal titolo Education responses to COVID-19:
Embracing digital learning and online collaboration – la diffusione del co-
ronavirus costituisce

   1. Centre for Social Studies, University of Coimbra.

                                            207
un’opportunità per sviluppare un’istruzione alternativa. La Cina, che
   è stata colpita per prima dal coronavirus, si trova già in uno stadio avan-
   zato nel provvedere l’accesso all’apprendimento online a gran parte dei
   suoi studenti (OECD 2020)2.

    Jonathan Zimmerman, noto storico dei sistemi educativi, ha sotto-
lineato su The Chronicle of Higher Education come il virus rappresenti
un’opportunità per compiere un gigantesco esperimento sociale nel cam-
po dell’istruzione:

       il Coronavirus…ha creato le condizioni per realizzare esperimenti
   senza precedenti. Per la prima volta, interi corpi studenteschi sono sta-
   ti costretti a seguire tutte le lezioni online. Possiamo così esaminare il
   loro comportamento in questi corsi e confrontarlo con quello dei corsi
   in presenza, senza doverci preoccupare dei bias relativi all’autoselezione
   (Zimmerman 2020).

    Zimmerman ha poi aggiunto che “se gli studenti mostrassero di avere
più vantaggi dall’istruzione online, allora i professori che insegnano in
presenza, […], rischierebbero di perdere il posto” (Ibidem).
    Il rischio di una disoccupazione di massa nel settore dell’istruzione è
stato da tempo annunciato in diversi studi sull’impatto sociale dell’inno-
vazione digitale (Brynjolfsson e McAfee 2011). Tuttavia, la disoccupazio-
ne non appare essere il solo rischio: la posizione contrattuale e salariale,
l’orario di lavoro, le condizioni lavorative e i diritti sindacali possono
altresì subire scosse devastanti.
    Nel suo libro AI Superpowers: China, Silicon Valley and the New World
Order, Kai-Fu Lee (2018), ex capo di Google China e, attualmente, uno
dei capitani globali dell’industria digitale dell’istruzione (edtech), afferma
che l’intelligenza artificiale porterà enormi cambiamenti nei modelli for-
mativi, a partire dalla trasformazione degli attuali docenti in meri tutor
didattici. Come ha specificato lo stesso Lee, in un’intervista del 2018,
“the lecturing should be done by the masters”, mentre il resto dei docenti
dovrebbe semplicemente accettare la deprofessionalizzazione e svolgere,
di conseguenza, mera attività di tutoring o animazione digitale:

   2. Tutte le traduzioni nel testo sono dell’autrice.

                                                208
[…] le lezioni dovrebbero essere tenute dai maestri. Ci dovrebbe esse-
    re un fisico che ha vinto il Nobel ma che è anche un grande insegnante.
    Tutti dovrebbero imparare da quel docente. Nella nuova forma in cui
    stiamo investendo in Cina, il rapporto è uno a mille, un docente per
    mille studenti (EdSurge 2018).

    Questo articolo intende focalizzarsi sull’impatto che l’istruzione digi-
tale può produrre sulle condizioni lavorative degli insegnanti, prendendo
in esame la situazione dei docenti scolastici in Italia durante il periodo
marzo-giugno 2020, quando l’intera didattica si è svolta online. Lo stu-
dio è il risultato della combinazione di diverse metodologie di ricerca: il
metodo genealogico3 è stato utilizzato per l’individuazione delle più ri-
levanti tendenze di sviluppo nell’industria globale dell’istruzione nonché
delle più significative convergenze che l’hanno portata oggi ad assumere
un ruolo economico di grande rilievo, mentre le interviste in profondità e
i focus-group – strumenti tipici della ricerca sociologica di tipo qualitativo
– hanno consentito di osservare da vicino i cambiamenti più significativi
nello svolgimento del lavoro dei docenti.
    Appare utile specificare come l’obiettivo di questo studio non sia la
descrizione della fenomenologia del lavoro degli insegnanti nel passaggio
dalla didattica tradizionale a quella online. Se il problema scientifico si
ponesse in questi termini si correrebbe il rischio di prendere solo atto
della situazione e, di conseguenza, di porsi in un’ottica di servizio nei
confronti di una realtà già data, fornendo al massimo suggerimenti per
migliorare alcuni aspetti marginali. Per evitare questo pericolo è stato
necessario combinare due approcci nell’analisi: il primo consiste nel met-
tere in discussione la stessa desiderabilità sociale della situazione data e il
secondo nel considerare i fatti sociali dentro la complessità dei contesti
globali, dove meglio si possono scorgere quei fili invisibili che collegano
il battito della farfalla a Pechino o Washington con i monsoni a Roma.

     3. Questo metodo consiste essenzialmente “nel non prendere mai un problema come tale, ma
nel dare per scontato che i problemi sollevano problemi e, di conseguenza, che si debba considerare
la genesi storica dei problemi” (Bourdieu 2013, s.p.).

                                              209
L’industria globale dell’istruzione 4.04: tendenze e convergenze

    Lo spazio del mercato nel settore educativo è enormemente cresciuto
negli ultimi decenni e l’industria globale dell’istruzione si è ormai affer-
mata come una delle più importanti a livello globale. Negli ultimi dieci
anni gli investimenti diretti di capitale in questo settore sono aumentati
più rapidamente delle spese per la difesa, almeno per quanto concerne i
paesi più industrializzati. Non si tratta di considerare il solo settore priva-
to della formazione (ovvero scuole e università private), la cui origine ri-
sale nel tempo, ma di mettere in evidenza una nuova e crescente offerta di
servizi e merci educative che vengono scambiati nel mercato internaziona-
le, anche come conseguenza diretta della diffusione del lifelong learning:
servizi di e-learning; servizi di preparazione ai test; servizi di tutoraggio
e/o formazione complementare; servizi di certificazione, pacchetti varia-
bili di programmi di studio; servizi di edu-marketing, etc.
    La progressiva sostituzione della scuola con la formazione permanente
(van Veert e Kendall 2006) non solo ha consegnato la scuola all’impresa,
come affermava anni fa Gilles Deleuze (2000), ma è riuscita a trasformare
l’impresa in scuola:

        Il principio modulatore del “salario secondo merito” non manca di
    sedurre la stessa Pubblica istruzione: in effetti, così come l’impresa sosti-
    tuisce la fabbrica, la formazione permanente tende a sostituire la scuola, e
    il continuo controllo a sostituire l’esame. È il mezzo più sicuro per con-
    segnare la scuola all’impresa (236).

    GSV-Advisors ha calcolato che, nel 2015, il valore globale del mercato
dell’istruzione ha superato la cifra di 4,9 trilioni di dollari (Verger et al.
2016). Negli Stati Uniti, l’industria dell’istruzione occupa, in termini di
fatturato, il secondo posto nell’economia nazionale, subito dopo quella
sanitaria. Nel 2018, secondo un report del BMO-Capital Markets (2018)
– banca di investimento leader nel settore dell’istruzione – sono stati spesi

      4. L’espressione “istruzione 4.0”, spesso usata in modo ambiguo in letteratura, serve qui a
indicare i modelli di apprendimento/istruzione – variamente adottati nell’ecosistema dell’istruzione
– che interagiscono e/o utilizzano le innovazioni tecnologiche 4.0. Circa il potenziale dei ‘big data’,
dell’intelligenza artificiale, del machine learning, dei robot, dell’internet delle cose e dell’automazione
nel settore dell’istruzione come parte essenziale di quella che è stata definita Quarta Rivoluzione
Industriale (Industria 4.0) si veda in particolare: Schuster et al. (2016).

                                                  210
circa 1,52 trilioni di dollari per l’istruzione e si prevede si possa arrivare a
1,65 trilioni entro il 2023. Stando ai dati forniti dalla suddetta banca, in-
fatti, alcune società statunitensi specializzate nella didattica online – quali
K-12 e Connections Academy (del gruppo Pearson) – hanno registrato
un forte incremento del fatturato nel 2020, a causa del passaggio dall’in-
segnamento in presenza a quello in remoto durante l’emergenza sanitaria
(EdSurge 2020).
    Si ritiene che, a livello globale, gli attori più affermati nell’industria
dell’istruzione siano: 1) le catene di scuole private, quali GEMS, ARK,
Bridge International Academies o le Omega Schools (che stanno espel-
lendo dal mercato globale le scuole gestite dai religiosi); 2) le grandi
multinazionali: Pearson, Microsoft, Apple, Google, Zoom, Youtube, In-
tel, Hewlett Packard e Blackboard; 3) le grandi società di consulenza:
McKinsey e PriceWaterhouseCoopers; 4) alcune fondazioni, come “Bill
and Melinda Gates Foundation” o “Hewlett Foundation”; 5) le piattafor-
me dell’istruzione online, come Coursera5 e Udacity.
    A livello istituzionale, oltre ai governi nazionali e alle istituzioni sovra-
nazionali (ONU, UNESCO, OCSE, Unione europea, Banca mondiale,
etc.) (Giancola et al. 2019), occorre menzionare il recente Global Educa-
tion Coalition dell’UNESCO: una partnership internazionale costituita
durante l’emergenza pandemica per aiutare i governi a mobilitare risorse
e implementare “soluzioni innovative e adeguate al contesto per fornire
didattica a distanza, adottando approcci hi-tech, low-tech e no-tech”, con
lo scopo di “mitigare l’immediato dissesto causato da Covid-19” non-
ché per “sviluppare sistemi educativi più aperti e flessibili per il futu-
ro” (UNESCO 2020). Tra i membri della suddetta coalizione figurano:
Google, Microsoft, Facebook, Zoom, OCSE e la Banca Mondiale, tutti
impegnati a diffondere e stabilizzare l’istruzione digitale a livello globale.
    Uno dei fattori chiave nello sviluppo dell’industria globale dell’istru-
zione è la tecnologia digitale, la quale negli ultimi quindici anni ha fatto

     5. Coursera, la più grande piattaforma online per l’istruzione academica e post-academica,
fornisce a 45 milioni di studenti in tutto il mondo l’accesso a contenuti messi a disposizione da
università e alcune aziende leader. La piattaforma, che attualmente comprende più di 3.700 corsi
di varia durata, più di 400 corsi di specializzazione e 16 tipi di lauree, costituisce oggi uno dei più
grandi archivi sulle competenze a livello mondiale, dato che milioni di studenti iscritti ai vari corsi
sono sottoposti a continue valutazioni di diverso tipo. Il Coursera Global Skills Index (GSI) costruisce
proprio su questi dati l’analisi di 60 paesi e 10 settori industriali in tutto il mondo, per rilevare le
tendenze di sviluppo (Perraut 2019, 106).

                                                 211
notevoli progressi. In particolare, l’uso dell’intelligenza artificiale (IA) per
la produzione ed elaborazione dei dati (big data) in tempo reale è glo-
balmente promosso per il miglioramento dell’apprendimento6, poiché
– come ha affermato l’UNESCO nel 2017 (UNESCO 2017) – lo rende-
rebbe più personalizzato, flessibile, inclusivo e coinvolgente (Williamson
2017).
    Effettivamente, i numerosi programmi e dispositivi commercializzati
nei mercati internazionali sono descritti come strumenti capaci di fornire
sofisticati servizi di apprendimento flessibile e personalizzato, con lo sco-
po di proporre soluzioni efficaci ai bisogni dei singoli studenti (Selwyn
2019). La multinazionale Pearson, azienda leader nei prodotti digitali
applicati all’istruzione, ha fatto importanti investimenti nello sviluppo
di programmi di intelligenza artificiale. In un primo momento, tali in-
vestimenti erano stati concentrati nella raccolta ed elaborazione dei big
data, ma più di recente il focus si è spostato sulla produzione di sistemi
di tutoraggio intelligente (Intelligent Tutoring Systems-ITS) che utilizzano
le tecniche dell’intelligenza artificiale per simulare il tutoraggio umano
personalizzato (one-to-one tutoring), con l’obiettivo di offrire servizi che
si adattano alle esigenze cognitive del soggetto fruitore. Il tutto in totale
assenza di docenti umani. Come la Pearson afferma nel proprio sito web:

         Combinando l’intelligenza artificiale con le scienze dell’apprendi-
    mento – psicologia, neuro-scienze, linguistica, sociologia e antropologia
    – otteniamo una comprensione di cosa e come le persone imparano. Con
    l’intelligenza artificiale il modo in cui le persone apprendono inizierà a
    diventare molto diverso7.

    AIDA (Aida-calculus tutoring app) è il nome della più importante ap-
plicazione per smartphone che fornisce servizi di tutoraggio intelligente
commercializzata dalla Pearson8. Sul mercato sono presenti anche altre

     6. Il riconoscimento di certe virtù miracolose alla tecnologia digitale nei sistemi di appren-
dimento, promossa con una retorica roboante e in assenza di adeguata evidenza scientifica, è stato
opportunamente definito “determinismo tecnologico”. Sul punto, cfr. Giancola et al. (2019), Gui
(2019) e Selwin, et al. (2016).
     7. Si veda il sito web dell’azienda: https://www.pearson.com/news-and-research/the-futu-
re-of-education/artificial-intelligence.html.
     8. Sulle conseguenze dirette e indirette dell’applicazione AIDA nell’apprendimento degli stu-
denti si rinvia a Williamson e Eynon (2020).

                                              212
applicazioni, alcune delle quali scaricabili gratuitamente e già utilizzate
da diverse università e scuole in tutto il mondo, – come per esempio il
Genie (che si trova su Apple Store e Google Play) –, ma si tratta di pro-
dotti che si focalizzano prevalentemente sull’analisi e sulla combinazione
simultanea dei dati9.
    Il tutor artificiale della Pearson, così come altri programmi e disposi-
tivi, sono esempi che rivelano i giganteschi vantaggi economici dietro la
spinta alla digitalizzazione degli attuali modelli di apprendimento/inse-
gnamento. La convergenza degli interessi delle imprese tecnologiche con
quelli dell’industria dell’istruzione10 costituisce un fattore importante per
la diffusione e stabilizzazione della didattica digitale in tutto il mondo.
Ciò produce anche un legame stretto tra istruzione e profittabilità. Come
hanno illustrato Poritz e Rees (2017), nel loro libro Education is Not an
App: The Future of University Teaching in the Internet Age, la digitalizzazio-
ne dei sistemi di formazione ha reso oltremodo diffusa la mercificazione
di tali sistemi.
    Di recente, il settore dell’istruzione si è rivelato talmente profittevole
da indurre i colossi della tecnologia a trasformarsi in scuole e universi-
tà. Tra queste iniziative industriali si possono menzionare: Facebook for
Education (https://www.facebook.com/ education); Google for Education
(https://edu.google.com) e Microsoft Education (https://www. microsoft.
com/it-gb/education) (Mirrlees e Alvi 2019). Risale a poche settimane
fa, del resto, l’annuncio della costituzione della Google University, inte-
ramente fondata sulla didattica digitale. I diplomati dei corsi online di
Google otterrebbero alla fine del percorso il “Google Career Certificate”
per una delle seguenti posizioni lavorative: project manager; analista di
dati; designer di UX. A differenza delle altre università tradizionali, Go-
ogle promette ai suoi ‘laureati’ – oltre al (relativamente) basso costo dei
corsi – anche un’assistenza attiva nella ricerca del lavoro dopo la ‘laurea’
(creando appositi protocolli di intesa con Intel, Bank of America, Hulu,

      9. Molti di questi sistemi sono ora inclusi nell’espressione “learning analytics”, con la quale si in-
tende “la misurazione, la raccolta, l’analisi e il resoconto dei dati sugli studenti e sui loro contesti, per la
comprensione e l’ottimizzazione dell’apprendimento e degli ambienti in cui esso si verifica”. Sul punto
si visiti il seguente sito web: https://www.solaresearch.org/about/what-is-learning-analytics/.
      10. Si pensi, ad esempio, a come la strumentazione digitale tenda a ridurre la presenza dei
docenti (umani) nell’offerta didattica, consentendo di conseguenza una notevole riduzione dei costi.

                                                    213
Walmart, Best Buy, etc.). Altre aziende, come Apple, Facebook e Micro-
soft, si stanno organizzando per seguirne l’esempio.
    La digitalizzazione dei sistemi educativi – che spazia dalla raccolta ed
elaborazione dei big data alla datificazione dei modelli di apprendimento/
insegnamento – è dunque ideata, modellata, finanziata e prodotta dalle
imprese private (Bulger 2016). Sono queste a guidare l’intero processo.
Anche laddove gli investimenti statali si rivelano consistenti, a guidare il
processo sono sempre le aziende private. L’esempio della Cina, paese lea-
der nello sviluppo dell’intelligenza artificiale (Mubayi et al. 2017) e anche
paese con il maggior numero di scuole e studenti al mondo11, appare in
questo senso emblematico, perché rivela come lo sviluppo dell’intelli-
genza artificiale sia fortemente condizionato dagli interessi economici e
geopolitici dello Stato e, allo stesso tempo, anche dall’integrazione dei
modelli di apprendimento/insegnamento con gli interessi dell’industria
digitale.
    Il ruolo centrale assegnato all’intelligenza artificiale nello sviluppo in-
dustriale del Paese è ampiamente descritto in tutti i più recenti documenti
programmatici dello Stato cinese, sia a livello centrale che periferico
(Knox 2020). Tale centralità è espressa non solo con investimenti statali
diretti, ma anche con importanti benefici fiscali in favore delle impre-
se tecnologiche, in particolare in favore di quelle impegnate nel settore
dell’istruzione, le quali negli ultimi anni hanno anche registrato profitti
molto alti (Hao 2019). Le tre aziende di spicco, quelle con accesso ai
dati di decine di milioni di studenti – New Oriental Group (中国合伙人),
Tomorrow Advancing Life (好未) e Squirrel AI (乂学教育) – hanno avviato
alcuni ambiziosi esperimenti che si basano sull’uso intensivo dell’intelli-
genza artificiale, con l’obiettivo di produrre programmi e dispositivi più
sofisticati di quelli realizzati dalla Pearson, capaci di integrare nell’analisi
anche dati emotivi e biologici dei soggetti coinvolti12. Colpisce in parti-

      11. In Cina vi sono attualmente più di 518 mila scuole e 276 milioni di studenti. Sul punto si
veda: Zhang e Zou (2019).
      12. Nelle scuole cinesi si stanno già sperimentando diversi sistemi per monitorare i progressi sco-
lastici degli studenti attraverso la sorveglianza permanente e la costante raccolta di dati. Uno di questi
esperimenti riguarda l’utilizzo di robot posizionati nelle aule e di chip (contenti dati individuali)
integrati nell’uniforme di ogni studente. L’obiettivo è quello di raccogliere, integrare e analizzare i
dati di riconoscimento facciale e di localizzazione per monitorare l’impegno e l’interazione di ogni
singolo studente (Shelton e Xiao 2018). Un altro esperimento, più ambizioso del primo, prevede
l’utilizzo di speciali auricolari – solitamente utilizzati negli ospedali per le scansioni cerebrali – al fine

                                                    214
colare quanto riferito da Wei Cui, co-fondatore di Squirrel AI, il quale in
un recente documento aziendale ha specificato che:

        la frequenza cardiaca in tempo reale, le onde cerebrali e il riconosci-
    mento delle espressioni facciali durante l’apprendimento verranno ag-
    giunti all’analisi complessiva dei dati. Ogni studente sarà dotato di un
    assistente personale virtuale al fine di fornirgli migliori servizi di appren-
    dimento (Squirrel AI Learning 2019).

    Al momento, le applicazioni più diffuse sono quelle che, – come ad
esempio la Mo Jing (Magic Mirror System) –, partendo dal riconoscimen-
to e analisi del volto e del linguaggio, riescono a tracciare le prestazioni
di ogni studente in tempo reale e i loro risultati complessivi. Si tratta di
strumenti che si ‘limitano’ all’approccio quantitativo sui dati raccolti per
proporre previsioni sul futuro13 (Xu 2018). Occorre inoltre rilevare come
l’industria dell’istruzione 4.0 in Cina non abbia affatto un carattere na-
zionale14, poiché, come ha sottolineato Knox (2020: 1-2), essa non solo si
sviluppa in collaborazione con imprese internazionali e numerose univer-
sità occidentali, ma ha anche l’obiettivo di conquistare i mercati interna-
zionali. Ciò significa che quanto accade attualmente in Cina è destinato a
produrre conseguenze nei sistemi educativi del resto del mondo15.

di rilevare e monitorare l’attività cerebrale degli studenti (Jing e Soo 2019). Ognuno di loro indossa
un archetto con minuscoli elettrodi per misurare i segnali elettrici del cervello e monitorare il livello
di concentrazione. Una luce rossa si accende sull’archetto quando lo studente è concentrato, la quale
diventa blu se egli si distrae. Le informazioni raccolte possono essere inviate direttamente e in tempo
reale sia ai genitori che all’insegnante. Quest’ultimo riceve, alla fine di ogni lezione, un rapporto
che descrive in dettaglio la concentrazione complessiva e le variazioni dei livelli di concentrazione
di ogni studente. Ovviamente, l’intelligenza artificiale in questi esperimenti non è programmata né
utilizzata per calcolare lo stress subìto dagli studenti a causa della sorveglianza permanente nonché
dall’utilizzo continuo dei dispositivi tecnologici durante l’apprendimento a scuola, così come non si
cura di misurare la pressione esercitata sugli insegnanti, dato che i rapporti quotidiani sul rendimen-
to complessivo degli studenti si trasformano inevitabilmente anche in uno strumento di controllo
della qualità del lavoro dei docenti.
      13. Come ha spiegato Shoshana Zuboff (2019), l’imperativo della previsione è diventato un
fattore cruciale nello sviluppo dell’industria hi-tech, da lei definito “capitalismo della sorveglianza”.
      14. Lo si specifica perché è proprio in questi termini che vengono spesso considerati gli eventi
o i fatti riguardanti la Cina.
      15. In questo senso, appare utile segnalare l’esistenza della piattaforma Dahai, una specie di
Uber delle docenze online, che al momento consente agli studenti universitari di fare lezione o
fornire tutoraggio online per le matricole. Appare evidente che, in questo modo, si apre la strada
all’uberizzazione della docenza a livello globale.

                                                 215
Da questa breve panoramica sulle tendenze di sviluppo dell’industria
dell’istruzione 4.0, dalla quale emerge il ruolo centrale del mercato e delle
aziende edtech, appare evidente che il processo non è student-centered, no-
nostante la retorica dominante – compresa quella di tipo istituzionale –
associ in modo automatico la digitalizzazione della formazione ai miglio-
ramenti nell’apprendimento (Gui 2019). Allo stesso tempo, però, non
è neanche teacher-centered. La spinta verso una diffusa digitalizzazione
dei modelli di istruzione è alimentata e modellata dalle imprese private.
La mercificazione crescente dell’educazione trova un formidabile alleato
nella datificazione realizzata dall’intelligenza artificiale. La trasformazione
di ogni aspetto della formazione in dati (alfa-numerici) quantificabili e
misurabili, quindi commerciabili, si fonda sulla sostanziale equiparazione
tra scuola (o università) e didattica, tra formazione e trasmissione di in-
formazioni, tra mente e computer. Come spiega Roberto Finelli,

       l’ideologia contemporanea consiste nel vedere il mondo come un
   massive information process, all’interno del quale la stessa intelligenza
   umana viene considerata come una macchina computazionale che pro-
   cessa informazioni e che, per tale struttura di base, può essere sostituita
   dall’intelligenza artificiale, come macchine che possono elaborare una
   enorme quantità di segni (Finelli 2020: 351).

    Una tecnologia applicata all’istruzione che ponga al centro del suo svi-
luppo gli interessi degli studenti non può contemplare, in primis, la sepa-
razione tra mente e corpo. Tale separazione è la premessa per il fallimento
di qualsiasi modello di apprendimento. Antonio Damasio (2005), nel
suo Descartes’Error: Emotion, Reason and the Human Brain, spiega come
il corpo costituisca il terreno di riferimento per la mente, e che corpo e
mente siano un unico inseparabile organismo:

       L’idea che la mente derivi dall’intero organismo, inteso come un
   insieme, potrebbe inizialmente apparire contro-intuitiva. Di recente, il
   concetto di mente si è spostato dal nulla etereo che occupava nel XVII se-
   colo alla sua attuale residenza nel o intorno al cervello – un po’ una degra-
   dazione, ma ancora una stazione dignitosa. Sostenere che la mente stessa
   dipenda dalle interazioni cervello-corpo, in termini di biologia evolutiva,
   ontogenesi (sviluppo individuale) e funzionamento può apparire ecces-
   sivo. Ma vi spiego. Io affermo che la mente nasce dall’attività nei circuiti

                                       216
neurali, e sul punto non vi sono dubbi, ma molti di questi circuiti sono
   stati modellati nell’evoluzione dai requisiti funzionali dell’organismo, e
   che si può avere una mente regolare soltanto se questi circuiti contengo-
   no rappresentazioni di base dell’organismo, e se continuano a monitorare
   gli stati dell’organismo in azione. […] Il corpo vero e proprio e il cervello
   partecipano insieme nell’interazione con l’ambiente (Ibidem, s.p.).

    In linea con Damasio, Finelli afferma – in una prospettiva materiali-
stica – che la mente e la conoscenza non si possano concepire in modo
separato dal corpo:

        […] si dà costruzione di conoscenza nell’essere umano solo quando
   il conoscere è connesso profondamente con il sentire, quale complesso di
   sentimenti che danno senso e che dirigono il nostro scambio, la nostra
   agency, rispetto al nostro ambiente biologico e sociale. Significa dire che
   nell’essere umano c’è una indispensabilità del corpo, fisico ed emoziona-
   le, nel costruire una conoscenza piena di senso. Significa dire che il cer-
   vello umano, come il cervello animale, forma l’informazione nel senso di
   conoscenza, attraverso un modo e dei percorsi che sono completamente
   diversi dal modo in cui quella stessa informazione verrà poi elaborata e
   formalizzata nei linguaggi binari del digital computer (Finelli 2020: 352).

     L’attuale tecnologia digitale applicata all’istruzione è invece imper-
niata sulla separazione radicale della mente dal corpo nonché sulla quan-
tificazione e valorizzazione permanente di ogni attività umana. Si può
affermare che al centro della digitalizzazione dell’istruzione si trovino le
necessità e strategie (anche geopolitiche) del sistema capitalistico. Del
resto, com’è stato ampiamente dimostrato in letteratura (Hessen 2017,
Merton 1938, Pollock 1956, Manacorda 1976), alla base dello sviluppo
della tecnologia di ogni epoca si trovano sempre le esigenze dei sistemi
socio-economici. Ciò significa che anche nella fase attuale – come ha
spiegato Renato Panzieri (1961) – “lo sviluppo della tecnologia avviene
interamente all’interno di questo sviluppo capitalistico. […] Lo stesso
progresso tecnologico si presenta quindi come modo di esistenza del ca-
pitale, come suo sviluppo” (54).
     I fattori socio-economici non rappresentano soltanto il contesto che
rende possibile lo sviluppo tecnologico, sono anche elementi inscritti nel
codice genetico della tecnologia, il che ne condiziona profondamente

                                       217
l’impiego. Per dirla con Panzieri: “l’uso capitalistico delle macchine non
è, per così dire, la semplice distorsione o deviazione da uno sviluppo “og-
gettivo” in se stesso razionale, ma esso determina lo sviluppo tecnologico
(Ivi: 55).
     Questo significa che la tecnologia viene al mondo con una mission
specifica, la quale non può essere modificata se viene modificato il con-
testo in cui è utilizzata. I dispositivi o le applicazioni digitali applicati
all’istruzione, ideati e programmati per quantificare ed estrarre profitto
attraverso la commercializzazione dei servizi, delle merci educative o dei
big data, tenderanno sempre alla realizzazione di tali obiettivi, quale che
ne sia l’utilizzo complementare che si possa fare, poiché nella loro memo-
ria strutturale sono codificate risposte e soluzioni stabilite dagli organismi
che li producono, cioè le imprese capitalistiche. Per questa ragione, il
rapporto tra sistema educativo e tecnologia orientata al profitto appare
irrimediabilmente compromesso: se il proposito del sistema educativo
è quello di formare dei soggetti capaci di sviluppare al meglio la loro
conoscenza e le loro capacità, quello della tecnologia digitale è di estrarre
profitto (Ekbia e Nardi 2017; Fuchs 2016) e, contemporaneamente, di
esercitare il controllo su gran parte dei soggetti-fruitori. In particolare,
la tecnologia capitalistica ha come obiettivo specifico il controllo della
forza-lavoro: nel caso specifico si tratta della forza-lavoro dei docenti,
ma non di meno quella degli studenti-futuri-lavoratori, perché come ha
spiegato il fondatore della sociologia della scienza, Robert K. Merton
(2000b), la tecnologia è impiegata “non solo per la produzione dei beni,
ma anche per il controllo dei lavoratori. Infatti, essa è stata ripetutamente
definita come un’arma per sottomettere i lavoratori alle condizioni di
lavoro stabilite dagli imprenditori” (1080)16.
     La finalità di controllo nella tecnologia digitale applicata all’istru-
zione si realizza, prima di tutto, attraverso lo svuotamento dei conte-
nuti creativi dei soggetti utilizzatori. Il linguaggio delle applicazioni e
dei vari programmi digitali non ha contorni smussati e flessibili; la sua
natura ottusamente dichiarativa, fondata sul radicale disconoscimento
delle sfumature, dell’ambiguità e, in definitiva, della creatività dei siste-

     16. Le imprese stanno potenziando il sistema di controllo nel lavoro da remoto, giungendo
a costruire programmi digitali – definiti anche “sentinelle digitali” – capaci di penetrare nella vita
privata dei lavoratori, contabilizzando il tempo trascorso su internet, nell’utilizzo delle applicazioni
e nella geolocalizzazione (Betti 2020).

                                                 218
mi comportamentali degli esseri umani, finisce per produrre un impatto
fortemente prescrittivo su questi ultimi, confinandoli in un contesto in
cui si alternano all’infinito soltanto 1 e 0. Così come le prime macchine
non hanno liberato l’operaio dal lavoro17, così ora i dispositivi digitali
applicati ai sistemi educativi non liberano la creatività degli studenti, al
contrario la spezzano, ostacolando di conseguenza il loro libero sviluppo
psico-fisico18.
    Non si tratta, com’è ovvio, di assumere un superficiale approccio lud-
dista nei confronti della tecnologia applicata ai sistemi educativi (Landri
e Viteritti 2016), ma di porre in rilievo il fatto che la tecnologia non è mai
neutra. È essenzialmente un derivato del sistema di produzione, contiene
un ‘virus’ nella sua natura epistemica, ossia la logica mercantile e di disci-
plinamento della forza-lavoro (ivi compresa la forza-lavoro-futura, che è
rappresentata dagli studenti di oggi).
    Va anche detto che la digitalizzazione dei sistemi educativi in diversi
paesi si è finora realizzata in modo diseguale e discontinuo. Se la Cina e
gli Stati Uniti sono l’avanguardia dell’intero processo, ovvero sono luoghi
nei quali è più facile scorgere la fisionomia del futuro sistema educativo,
altrove la situazione appare più velata e contraddittoria. Il caso italiano
rientra pienamente in quest’ultima categoria. Per individuare i segni che
il processo globale di digitalizzazione dell’istruzione sta imprimendo al
sistema educativo italiano e al lavoro dei docenti si deve tenere conto di
molteplici fattori. Nel seguente paragrafo saranno tratteggiati alcuni tra
i più importanti.

      17. “La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera
dal lavoro l’operaio, ma toglie contenuto al suo lavoro” (Marx 1968, 467).
      18. Non appare irrilevante in questa riflessione segnalare come la Global Tech Elite impedisca
ai propri figli l’accesso ai dispositivi tecnologici. Nella Waldorf School, per esempio, dove studiano i
figli dei capi della Silicon Valley, è assolutamente vietato l’ingresso degli schermi digitali a scuola. Le
ragioni di questa radicale scelta no-tech sono spiegate nel sito web della scuola. Ecco alcuni passaggi:
“L’intrattenimento elettronico nella nostra società, che è diffusa dai media, influenza lo sviluppo
emotivo e fisico dei bambini e degli adolescenti, riducendo la loro capacità di creare una connessione
significativa con gli altri e con il mondo che li circonda. La ricerca sul cervello ci dice che l’esposizio-
ne ai media può portare a cambiamenti nella rete neuronale del cervello. […] Gli educatori Waldorf
ritengono che sia molto più importante per gli studenti interagire tra loro e con i loro insegnanti e
lavorare con materiali reali piuttosto che interfacciarsi con i media elettronici o la tecnologia. Esplo-
rando il mondo delle idee, partecipando alle arti, alla musica, al movimento e alle attività pratiche, i
bambini sviluppano corpi sani e robusti, cervelli equilibrati e ben integrati, fiducia nelle loro abilità
pratiche e forti capacità funzionali”.

                                                   219
La digitalizzazione della scuola italiana: dalla lavagna elettronica
alla didattica digitale integrata

    La digitalizzazione della scuola in Italia non si è realizzata in modo au-
tarchico, ma come parte integrante del processo globale di digitalizzazio-
ne dei sistemi educativi e, al contempo, anche come risposta alle esigenze
specifiche del sistema di produzione del Paese. In sintesi, il fenomeno
ha combinato – come s’è detto sopra: in modo diseguale e contraddit-
torio – le caratteristiche salienti di queste due spinte. Se, da un lato, la
spinta globale alla digitalizzazione della scuola ha trovato una forte eco
nelle politiche pubbliche, nella retorica istituzionale nonché nel diffu-
so convincimento di alcuni attori importanti (Gui 2019), basato sulla
credenza che l’innovazione digitale migliori l’apprendimento19, dall’altro
lato l’andamento complessivo appare anche il riflesso dell’altalenante e
lento processo di digitalizzazione del sistema produttivo italiano, noto-
riamente in ritardo rispetto ad altri paesi industrializzati e con un parco
macchine obsoleto, principalmente a causa delle ridotte dimensioni delle
sue aziende (Graziani 1998). Come si afferma in un recente rapporto
della Confindustria, l’Italia “anche se in ritardo rispetto agli altri prin-
cipali paesi europei, si è dotata finalmente dal 2016 di una strategia di
medio-lungo periodo in linea con le best practice internazionali” (Centro
Studi di Confindustria 2019)20.
    Il ritardo accumulato dal sistema produttivo italiano va letto anche
come assenza di urgenza da parte di questo di avere una forza-lavoro
con alte competenze digitali. Per rendere gli studenti employable21 (oc-
cupabili), ossia lavoratori pronti per essere impiegati nella produzione, si
è sostanzialmente puntato sulla diffusione degli internship (tirocini)22, i
quali sono stati resi obbligatori per tutti gli studenti della scuola secon-

      19. Esistono diverse formulazioni di “competenze digitali” in letteratura, tuttavia in questo lavoro
si ritiene opportuno adottare quella estensiva utilizzata dal Consiglio europeo (2018.C189.019): “l’in-
teresse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza e spirito critico”. Per una ricognizio-
ne generale delle concezioni di “competenze digitali” si veda: Iordache et al. (2017).
      20. Matteo Gaddi (2019), che nel suo recente libro “Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati?”
ha illustrato, tra l’altro, le tappe e i percorsi del “Piano Industria 4.0” del Governo italiano, afferma
che “nel 2015, il Governo italiano ha espresso per la prima volta la sua posizione in tema di Industria
4.0 attraverso l’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, durante un’audizione
parlamentare presso la Camera dei Deputati” (15).
      21. Sul concetto di “employability” si vedano: Cuzzocrea (2015) e Chertkovskaya et al. (2013).
      22. Sul punto si rinvia a Gjergji e Cillo (2021).

                                                    220
daria di secondo grado, licei compresi, a seguito dell’approvazione della
cosiddetta “riforma della buona scuola” nel 2015 (Pinna e Pitzalis 2020).
    Il percorso delle politiche pubbliche sulla digitalizzazione della scuola,
come segnalano diversi studiosi, fu avviato con la Strategia di Lisbona nel
2000, vale a dire 20 anni fa. A partire da questo momento – scrivono Gui
e Gerosa – “la digitalizzazione della scuola ha assunto una connotazione
economico-culturale più ampia ed è divenuta un tassello centrale dello
sforzo di innovazione della società europea” (Gui e Gerosa 2019, 483).
    Dal Piano Nazionale di Formazione degli Insegnanti sulle Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione del 2002, al Piano Nazionale
Scuola Digitale del 2007 e 2015, passando per i Quadri Strategici Nazio-
nali, i Piani Operativi Nazionali e i cicli di programmazione dei Fondi
strutturali (dal 2000 al 2020), i governi italiani hanno investito somme
ingenti nell’implementazione del programma di digitalizzazione per rag-
giungere gli obiettivi stabiliti sia nella Strategia di Lisbona 2000 che nella
strategia Europe 2020. Marco Gui (2019), infatti, riferisce che:

        il decennio 2007-2017 ha visto un’allocazione di fondi in tecnologie
    digitali e relativa formazione per la scuola italiana di circa 1 miliardo e
    mezzo di euro. Per capire l’entità di questa cifra (circa 150 milioni all’an-
    no), si pensi che essa supera il fondo per la premialità di tutti i docenti
    della scuola (130 milioni di euro nel 2019) o rappresenta il triplo dei
    fondi che compensano i docenti con “funzioni strumentali” (53 milioni).
    Tra le spese “extra” del sistema scolastico, quindi, la voce digitale ha un
    peso molto importante (s.p.).

    In una prima fase, gli investimenti hanno avuto come obiettivo l’equi-
paggiamento delle scuole con lavagne elettroniche e luminose (LIM), per
passare, dal 2015 in poi, a potenziare la connettività e costruire nelle aule
ambienti digitali dove gli studenti possano agevolmente utilizzare i propri
dispositivi (Bring Your Own Device-BYOD23). I tre obiettivi dichiarati
di queste politiche, come hanno spiegato Giusti e colleghi (2015), sono:
1) il miglioramento dell’apprendimento; 2) il potenziamento delle com-
petenze digitali; 3) la lotta alla dispersione scolastica e l’inclusione degli
studenti problematici.

     23. Per un approccio critico nei confronti del movimento “Bring Your Own Device” si veda:
Alirezabeigi et al. (2020).

                                            221
Dalle ricerche finora effettuate, tuttavia, si evince che la digitalizza-
zione della scuola italiana “ha portato pochi benefici a livello sistemico”
(Gui e Gerosa 2019, 486), ovvero che, pur avendo aiutato gli studenti a
familiarizzare con il mondo digitale, non ha raggiunto gli obiettivi pre-
fissi. Questo trend non è solo italiano, poiché anche a livello internazio-
nale si registrano gli stessi sostanziali fallimenti. Bulman e Fairlie (2016)
hanno evidenziato come la digitalizzazione scolastica a livello mondiale
abbia portato

       a un maggiore uso del computer nelle scuole, ma pochi studi trovano
   effetti positivi sui risultati educativi. […] I risultati suggeriscono che le
   Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione non generano be-
   nefici in termini di apprendimento (250-251).

    Con la chiusura totale delle scuole in Italia, dal 3 marzo fino a giugno
2020, e il repentino passaggio dalla didattica in presenza a quella online,
si è avuta un’ulteriore prova di questo trend: tutti i docenti intervistati
nell’ambito del presente studio hanno affermato di aver riscontrato un
effetto regressivo della didattica online sulle competenze degli studenti,
soprattutto con riferimento agli studenti più giovani.
    Ciononostante, il lockdown generalizzato delle scuole, da marzo a
giugno, ha prodotto una fortissima spinta verso una strutturale digita-
lizzazione dei modelli di istruzione, al punto da considerarsi ormai un
elemento stabile nel panorama educativo e non solo una soluzione di
tipo emergenziale. Ciò emerge parzialmente nel decreto ministeriale del
26 giugno 2020, dal titolo “Adozione del documento per la pianificazio-
ne delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le istituzioni del
Sistema nazionale di istruzione per l’anno scolastico 2020/2021”. Nel de-
creto, infatti, non solo la didattica a distanza (DaD) non viene archiviata
come esperienza, ma si introduce la didattica digitale integrata (DDI),
che combina in modo flessibile la didattica in presenza con quella online.
Che la DDI sia un modello che si vorrebbe adottare in modo stabile lo
si evince da diversi elementi: dalla speciale attenzione alla formazione
tecnologica del personale docente e amministrativo nel prossimo futuro
e, soprattutto, dalla previsione di protocolli o accordi tecnico-finanziari
con le aziende tecnologiche per il rafforzamento della connettività con le

                                       222
piattaforme di didattica online nonché per l’abbassamento dei suoi costi
(Biondi 2020).
    Oltre al decreto, a rafforzare e rendere visibile la tendenza vi sono
le intese tra sindacati confederali e Governo24 in materia di contratto
collettivo nazionale integrativo (CCNI), concernente le modalità e i cri-
teri delle prestazioni lavorative nella modalità a distanza. Al di là delle
molteplici criticità che emergono da queste intese25, ciò che spicca è la
spinta verso l’adozione della DDI come modello permanente. Nella Nota
ministeriale n. 1934 del 26 ottobre 2020 – la quale da un punto di vista
formale, va detto, ha il valore di una mera circolare, ovvero di un atto
amministrativo senza alcun valore giuridico26 – è ulteriormente ribadita
la necessità di attivare la DDI su scala nazionale, anche in assenza della
formalizzazione del contratto integrativo. Due docenti intervistati hanno
infatti raccontato come, nonostante la loro scuola non sia attualmente
chiusa27, i dirigenti scolastici abbiano ugualmente attivato la DDI per
alcuni singoli studenti, anche in assenza di provvedimenti di quarantena/
isolamento nei loro confronti. L’azionamento della DDI, dunque, già
non necessita più delle ragioni pandemiche per essere giustificato.
    Dai risultati di una recente ricerca condotta in Italia – da Carlo Gio-
vannella, Marcello Passarelli e Donatella Persico (2020) – sulla didattica
a distanza durante il lockdown della primavera 2020, emerge che l’88%
dei docenti scolastici sia riuscito a fare video-lezioni in sincrono. Al 92%
di questi sono bastate meno di due settimane per adattarsi alla modalità
di insegnamento online. Inoltre, l’86% dei docenti scolastici ha usato
un laptop per svolgere la didattica a distanza, alternando talvolta il tablet
(35%) o lo smartphone (12%). Tra i 336 docenti coinvolti nei questiona-
ri, circa il 44% ha potuto utilizzare la banda larga o ultralarga fissa nella
connessione, mentre il 36% si è dovuto accontentare dell’Adsl o altro
(connessione cellulare o satellitare). Quanto alla relazione docente-stu-

     24. CISL e Anief sono le prime organizzazioni sindacali che hanno siglato l’accordo con il
governo. Anche la CGIL ha partecipato alle discussioni e approva l’intesa, ma è attualmente in attesa
del voto della base per formalizzare la propria adesione.
     25. Come, ad esempio, le previsioni fumose sui diritti dei docenti, le garanzie astratte (come
quelle relative alla sicurezza sul posto di lavoro), le mancate integrazioni salariali in merito ai consumi
individuali (di dispositivi, connettività, etc.).
     26. Sul valore delle circolari nell’organizzazione della vita sociale e lavorativa si veda: Gjergji
(2020); Gjergji (2015).
     27. I docenti in questione sono stati intervistati nel mese di novembre 2020.

                                                  223
dente, il medesimo studio riferisce che soltanto una limitata percentuale
dei docenti lamenta di aver perso i contatti con gli studenti, giungendo a
quantificare la dispersione scolastica tra il 6% e il 10% a livello nazionale,
ossia tra i 400mila e i 670mila studenti.
     Da questo primo studio emerge un dato rilevante, di cui occorre tene-
re conto nell’analisi complessiva della digitalizzazione della scuola in Ita-
lia: il più forte ostacolo alla sua diffusione strutturale è oggi rappresentato
dai limiti infrastrutturali della rete a banda larga e ultralarga nel Paese.
Tali limiti costruiscono un digital divide geografico – il quale si aggiunge
ad altri tipi di digital divide (derivanti dalle condizioni socio-economiche
dei soggetti) – che riflette le disuguaglianze territoriali nello sviluppo.
     Altro dato utile, da tenere in considerazione nell’analisi delle tenden-
ze complessive della DDI, è quello relativo alle competenze digitali di
docenti e studenti; stando alla ricerca citata, nonostante sottoposti a un
repentino stress test, sia i docenti che gli studenti hanno dato prova di ave-
re adeguate competenze tecnico-digitali per affrontare la didattica online.

    Bring Your Own Class Home: spazio, tempo, ritmo e relazioni nel-
la didattica digitale

    Il presente studio si è avvalso complessivamente di tredici interviste
in profondità e di due focus-group (con la partecipazione di quattro do-
centi per ogni incontro), nonché di numerose conversazioni informali
con docenti e genitori. Gli intervistati sono tutti docenti di scuole secon-
darie di primo e secondo grado, ad eccezione di uno che insegna in una
scuola primaria. Le loro attività sono svolte in diverse zone geografiche
del Paese, dal nord al sud (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio,
Marche, Puglia). Il genere prevalente nel campione selezionato è quello
femminile; gli intervistati uomini sono soltanto due. Questa ridotta rap-
presentanza maschile rispecchia la composizione di genere delle cattedre
in Italia: le insegnanti, di ruolo o supplenti, erano circa 700 mila nel
2017, vale a dire quasi l’82% degli 855.734 docenti di ogni ordine e
grado di scuola. L’età degli intervistati varia da 34 a 55 anni. Le interviste
e i focus-group sono stati condotti sia durante il lockdown della prima-
vera 2020 sia durante i mesi della ripresa scolastica (settembre, ottobre

                                     224
e novembre), periodo in cui, in alcune regioni d’Italia, si è nuovamente
sperimentata la didattica digitale (DaD o DDI).
    I focus-group e buona parte delle interviste si sono svolti online (at-
traverso l’utilizzo delle piattaforme digitali: Zoom, Skype, Google Meet)
ad eccezione di quattro casi in cui le interviste sono state condotte tele-
fonicamente28. Alcuni intervistati, stimolati dalle domande poste durante
le interviste, hanno in seguito inviato spontaneamente dei racconti (mes-
saggi vocali) o delle riflessioni scritte (tramite e-mail), al fine d’integra-
re le loro precedenti risposte. Naturalmente, queste loro considerazioni
sono entrate a far parte del materiale di studio29.
    Le problematiche relative alla sfera lavorativa dei docenti emerse du-
rante la fase empirica della ricerca sono numerose, alcune delle quali re-
steranno fuori da questo scritto per ragioni di spazio. Lo stress psico-fisi-
co, gli orari prolungati, l’intensificazione dei ritmi lavorativi, le difficoltà
incontrate nel divenire docenti-lavoranti a domicilio e la conseguente ac-
cresciuta complessità delle relazioni sociali sono tra gli aspetti più critici
dell’esperienza accumulata nella didattica online.
    La parola “disagio” è quella maggiormente ripetuta, soprattutto in
relazione alla mediazione dello schermo digitale nel rapporto con gli stu-
denti: “È pesante fare lezione davanti a uno schermo. Tutto si riduce a
dei quadranti. Che cos’è un ragazzino chiuso in un quadrante?” [Int. 4].
Lo schermo è visto come un filtro limitante, un diaframma che riduce o
elimina del tutto la trasmissibilità del flusso emozionale della conoscenza.
Il che si trasforma in una costante frustrazione nel lavoro dei docenti,
essendo questo principalmente fondato sulle relazioni.
    Ciononostante, va sottolineato il fatto che tutti gli intervistati e i par-
tecipanti ai focus-group hanno dichiarato di considerare utile la didattica
digitale durante l’emergenza sanitaria, sia perché pensano che si tratti di
una modalità di protezione della loro salute sia perché ritengono sia un
“sacrificio necessario per restare vicini ai ragazzi” [Int. 4]. Paradossalmen-

      28. Questa modalità di ricerca empirica, che si ritiene abbia reso difficoltoso il rapporto tra
l’intervistatrice e gli intervistati (almeno per quanto riguarda la necessità di creare, il più possibile, un
clima di reciproca fiducia nel contesto dell’intervista), si è imposta a causa dell’obbligo della distanza
sociale a seguito della diffusione del coronavirus nel Paese.
      29. Al fine di conservare l’anonimato delle intervistate e degli intervistati, la loro identità sarà
indicata soltanto con il numero dell’intervista, essendo queste catalogate in tal modo nell’archivio
della ricerca.

                                                   225
te, quindi, l’utilità dello schermo digitale è riconosciuta proprio nella
dimensione emotiva della loro attività: “È meglio di niente” [Int. 9].
    Il giudizio tende però a cambiare radicalmente quando si tratta di
valutare l’impatto della DaD o DDI nell’apprendimento. Ancor più ne-
gativa diventa la loro valutazione dei modelli digitali di apprendimento/
insegnamento se sollecitati a esprimersi in merito all’ipotesi di renderli
stabili nella didattica: “Sarebbe la fine della scuola” [Int. 2]; “Il fatto è che
la scuola non è solo didattica” [Int. 13].
    Un altro dato forte che emerge dalle interviste è la sensazione di com-
pleto abbandono e isolamento dei docenti, che non si riferisce alle sole
recenti fasi di lockdown. In generale, i docenti si sentono come “una
barca senza remi nell’oceano” [Int. 7]. Diversi intervistati hanno eviden-
ziato l’assenza di luoghi di riflessione collettiva e politica sui destini della
scuola. Inoltre, non sembrano riconoscere nelle istituzioni, nei partiti e
sindacati degli attori sociali attenti alle questioni dell’istruzione:

        Al di là della retorica giaculatoria sulla scuola, i fatti dimostrano che
   sono anni che tagliano i fondi. La storia recente della scuola, dalla Gelmi-
   ni fino a Renzi, passando per Monti, è lastricata di tagli. È ovvio che poi,
   quando arriva la pandemia, la prima cosa che si fa è chiudere la scuola
   perché mancano spazi, strutture e mezzi per continuare. La DaD – biso-
   gna riconoscerlo – è l’esito di anni di tagli e destrutturazione complessiva
   della scuola, è la risposta più facile per continuare a distruggerla [Int. 1].

   Non sono mancati i paragoni tra il progressivo smantellamento della
sanità e la disgregazione della scuola pubblica in Italia negli ultimi tre
decenni:

        Il coronavirus ha reso visibili i problemi strutturali della sanità in
   Italia. La distruzione della sanità pubblica ci ha reso vulnerabili davanti
   al virus e, alla fine, sacrificabili alle logiche economiche, perché è chiaro
   che, se non hai una sanità che funziona, si pone sempre il dilemma am-
   letico: vivere o lavorare? […] Paradossalmente, ti dico che quasi quasi
   vorrei che si presentasse un equivalente del virus, o qualcosa di simile,
   anche per la scuola, qualcosa che faccia vedere a tutti il danno che stiamo
   facendo a questi ragazzi, perché il danno è invisibile ora che sono a scuo-
   la, ma si vedrà dopo, quando diventeranno adulti [Int. 9].

                                       226
Tutte le interviste realizzate si sono rivelate una miniera di idee e con-
siderazioni sulla “scuola ideale”, sul rapporto tra docenti e studenti non-
ché sulle conseguenze che la digitalizzazione genera all’interno dell’eco-
sistema educativo. Nel presente studio, tuttavia, come già detto, il focus
principale sarà sull’impatto che la didattica online produce sulle condi-
zioni lavorative dei docenti scolastici.

    Verticalizzazione dell’organizzazione scolastica e crescente autoritarismo

    Già prima che il DPCM del 4 marzo 2020 fosse emanato – provve-
dimento con il quale è stato imposto il lockdown nazionale, ad eccezione
della cosiddetta ‘produzione essenziale’ – la didattica a distanza risultava
già attivata in alcune scuole, dietro esplicita richiesta dei dirigenti sco-
lastici, in totale assenza di regole o protocolli. Il suddetto DPCM30 ha
soltanto ratificato le azioni dei dirigenti scolastici, prevedendo semplice-
mente quanto segue: “Per la durata della sospensione delle attività didat-
tiche i dirigenti scolastici attivano modalità di didattica a distanza”.
    La generica espressione utilizzata nel DPCM – “modalità di didattica
a distanza” – ha assegnato alla discrezionalità decisionale dei dirigenti
scolastici le azioni concrete da realizzare: per la nuova articolazione degli
orari e dei programmi didattici; per la scelta delle piattaforme digitali da
utilizzare; per la gestione complessiva dell’organizzazione scolastica, ivi
compresi i collegi dei docenti, le riunioni, etc. La centralità della figura
del dirigente nell’organizzazione della vita scolastica non è però un feno-
meno realizzato con l’avvio della DaD. Le riforme degli ultimi anni, ben
riparate dietro la retorica dell’autonomia scolastica, avevano già introdot-
to nella scuola un’organizzazione di tipo dirigista e manageriale, la quale
sta conoscendo un ulteriore rafforzamento con l’avvio della DaD/DDI:

        La scuola a distanza ha riguardato anche le riunioni nella scuola, che
    sono passate a distanza, come per esempio il collegio dei docenti. Que-
    sto passaggio li ha resi ancor più vacui e in mano a chi li dirige, che per
    legge è il dirigente scolastico, il quale, ancor più di prima fa il bello e il
    cattivo tempo. Cioè il collegio docenti si è ridotto a un simulacro di tipo

    30. Va ribadito che, anche in questo caso, si tratta di un atto normativo di rango secondario e
non di un provvedimento legislativo.

                                              227
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