ESport e Olimpiadi sempre più vicini - GameCompass

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eSport e Olimpiadi sempre più vicini

Si parla ormai da mesi della possibilità di introdurre gli eSport all’interno dell’evento sportivo più
antico e famoso al mondo; c’è chi è contrario perché, così facendo, si andrebbe a “imbrattare” lo
spirito delle olimpiadi stesse, chi è favorevole e reputa che i videogiochi competitivi vadano trattati
alla stregua delle competizioni sportive, chi pensa che sia tutta una trovata commerciale, chi no, e
così via. È sicuramente un tema che ha fatto, fa e farà discutere e potrebbe persino cambiare le sorti
di come il videogioco viene considerato dal pensiero comune. Ma mentre se ne continua a parlare,
c’è chi sta facendo effettivamente qualcosa, a partire dall’Olympic Council of Asia che inserirà
ufficialmente gli eSport all’interno dei Giochi Asiatici di Hangzhou 2022.

Nel frattempo anche il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) sta iniziando a prendere seriamente
la cosa, avendo organizzato un meeting con il GAISF (Global Association of International Sports
Federations), ma anche giocatori professionisti, sponsor, publisher, organizzatori, media e
rappresentanti del Movimento Olimpico, per esplorare le sinergie, costruire dei punti in comune e
impostare una piattaforma per la futura unione tra gli eSport, l’industria del gaming e appunto, il
Movimento. Il meeting si svolgerà all’interno del Museo Olimpico di Losanna, in Svizzera, il
prossimo 21 luglio. Verranno trattati anche delle particolari tematiche, come “Il mondo degli
eSport”, “Cosa definisce il Movimento Olimpico?”, “Un giorno nella vita di un giocatore
professionista” e “Parità dei sessi in tutti gli sport”.
Qualunque sia l’esito della riunione, che comunque rappresenta un passo molto importante nella
storia dei giochi olimpici, gli eSport non potranno sbarcare alle Olimpiadi prima di Parigi 2024
(anche se vederli per la prima volta a Tokyo 2020 sarebbe stato il massimo). Non resta che
incrociare le dita.
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42: Quando il videogioco si fa duro

Noi tutti siamo a conoscenza della trasposizione cinematografica di molti videogiochi che, tra alti e
bassi – soprattutto questi ultimi – hanno contribuito a fornire una visione diversa del mondo del
gaming. Sono migliaia le trasposizioni in diverso formato, tra fumetti, romanzi e… porno. Esatto,
proprio lui. Inutile far finta che non esista: una delle industrie più grandi al mondo non poteva
esimersi dalla sua visione del gaming, rendendo videogiochi preferiti, eroi ed eroine dei nostri sogni,
entità su cui il nostro occhio si posa con maggiore attenzione. Queste vere e proprie parodie sono
dei concentrati di trash allo stato puro, un modo per divertirsi in allegrie e allenare uno dei due arti
superiori. Del resto la notizia che la nostrana Valentina Nappi parteciperà all’adattamento hard di
Final Fantasy VII, interpretando Tifa, non è che l’ultima trovata di un settore in piena espansione.

La fine di Sirio il Dragone

Se esiste “X”, allora su Internet esiste pornografia basata su X. Se non esiste ancora, verrà creata.
Questa è in sostanza la regola numero 34 di Internet, ed è davvero difficile da controbattere.
Basta fare un giro su alcuni siti tematici – non vi diciamo che dovete farlo, ma che potete – per
accorgersi di quante versioni amatoriali e non di un determinato prodotto esistano, a cominciare
appunto da quello videoludico.
Diciamoci la verità su: tutti noi, sia maschietti che femminucce, abbiamo fantasticato su alcuni
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celebri personaggi. Basti pensare a Miranda Lawson di Mass Effect 2 e al suo “lato B”, o la
giunonica Lara Croft e l’ammiccante Bayonetta, per passare dall’indimenticabile Mai Shiranui e
delle tante poco vestite combattenti dei vari Tekken o Dead or Alive. Tutte loro – metterei qualche
personaggio maschile, ma preferisco lasciar decidere voi donne – sono entrate nei nostri desideri più
reconditi, trovando na naturale traslazione nel porno.
Era il lontano 1993, e il primo film a luci rosse che vagamente parodiava un videogioco fu Prince of
Persia, con protagonista Tanya Summers alla ricerca delle perle, simbolo di autorità, in grado di
far riunire il proprio paese divenendo così regina. Ovviamente, del gioco Ubisoft non vi è nulla, ma è
stato un primo tentativo di sfruttamento del brand. La storia avrà un lieto fine e potete immaginare
tranquillamente voi stessi come farà a ottenere le sue preziose perle.
E Super Mario? Immancabile. Super Hornio Brothers è uno delle poche parodie pornografiche a
esser ufficialmente riconosciute, avendo anche a disposizione una pagina ufficiale IMDB e
Wikipedia. In questo film abbiamo niente meno che Ron Jeremy interpretare Squeegie Hornio
che, insieme a suo fratello, dovranno salvare la Principessa Perlina (Peach) dalle grinfie di King
Pooper (Bowser). Come da tradizione, Nintendo ci mise del suo, acquisendo i diritti di distribuzione
(è assolutamente vero), rendendone impossibile la pubblicazione. Visto la sua rarità dunque, è
considerato il Sacro Graal dei collezionisti, non solo di film porno, ma di quelli Nintendo.
Ma non poteva mancare nemmeno Grand Theft Auto, che con Vice City Porn ha reso disponibile
la verità celata dalle auto molleggianti.

Venendo ai giorni nostri

Di pari passo con l’evoluzione dell’industria videoludica, anche quella pornografica si è data da fare.
Prima o poi le mani non potevano che posarsi su Tomb Raider e sull’iconica Lara Croft, regina di
tutte le fantasie sconce dei ragazzini da 20 anni a questa parte. Tante sono state le parodie, ma una
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si è distinta per qualità: Tomb Raider XXX: A Exquisite Films Parody del 2012, con Chanel
Preston nei panni della protagonista, accompagnata da un cast d’eccezione come Nicole
Aniston, Kagney Linn Karter ed Evan Stone. Lara farà di tutto per sconfiggere la Natla
Technologies e recuperare i tesori perduti. Detta così sembra perfino meglio dell’ultimo
lungometraggio con Alicia Vikander.
Anche in tempo di guerra si trova tempo per “sfogarsi” e nel 2012 arriva un titolo che è tutto un
programma, Call of Booty: Modern Whorefare (i titoli sono la cosa migliore). Anche CoB vanta un
cast di tutto rispetto, Flower Tucci, Bobbi Starr e Gracie Glam anche se un po’ tutto molto
casareccio. Insomma, anche qui vi è semplicemente uno sfruttamento del brand. Niente a che vedere
con Cock of Duty: A XXX Parody, di casa Brazzers, con Monique Alexander, Jasmine Jae e
Stella Cox, accompagnate da Danny D che, da ora in poi sarà protagonista di questo articolo.
Quando si ha voglia si possono sfornare piccole chicche di qualità, e Brazzers su questo fronte è in
prima linea. Cominciamo con la parodia di Overwatch, uno dei brand maggiormente sfruttati, in cui
Aletta Ocean nei panni di Widowmaker sfiderà sino all’ultima goccia di sudore un fortunato
Reaper, interpretato da Mr. Danny D. Brazzers, che con questo Oversnatch, ha realizzato i sogni di
moltissimi fan; è una tendenza, quella del colosso del porno, che si sta facendo sempre più marcata,
producendo parodie di tutto ciò che riguarda la sfera nerd. Continuando abbiamo anche Metal Rear
Solid: The Phantom Peen, parodia dell’ultimo lavoro Kojima in casa Konami. Boss (Charles Dera) e
Hushy (Casey Calvert), se le daranno di santa ragione, realizzando tutte le fantasie della sexy
cecchina e, infine, un piccolo capolavoro: stiamo parlando di The Bewitcher: A DP XXX Parody
prodotto da Digital Playground, per festeggiare i 10 anni del brand. Ella Hughes, Olive Glass e
Clea Gaultier, insieme all’ormai immancabile Danny D, saranno chiamati a ridar vita a un villaggio
desolato, nella sola maniera che la natura ci ha insegnato. Geralt of Vulvia ci saprà fare, quasi
quanto la sua versione originale.

Come potete aver capito, il mondo videoludico è ormai transmediale, sempre sulla cresta dell’onda
e con milioni, se non miliardi di fan in giro per il mondo. Basta unire dunque l’utile al dilettevole,
l’industria pornografica sta semplicemente prendendo la palla al balzo, sfornando sempre più
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parodie dei titoli più famosi. Di materiale ce n’è in abbondanza: Assassin’s Creed, Mass Effect e
Dragon Age, Life is Strange, God of War e tanti altri. Aspettiamo dunque di vedere cosa sfornerà
la geniale e perversa mente del mondo a luci rosse.

Dusty Rooms: la tragedia di Sonic X-Treme

Oggi il Sega Saturn è decisamente una delle console più gettonate fra i retrogamer e sta vivendo
una seconda vita grazie a internet e alla condivisione di informazioni riguardanti tutti quei giochi
oscurati dalle più popolari Sony PlayStation e Nintendo 64, molti dei quali mai arrivati dal
Giappone. Tuttavia, in molti concordano nel dire che uno dei più grandi fattori che ha sancito il
fallimento di quest console, insieme ad altri fattori riguardanti il complesso hardware e le pubblicità
poco convincenti, è stato quello di non avere un titolo dedicato a Sonic, la mascotte che riuscì a dar
filo da torcere a Mario e Nintendo. Nel Sega Saturn è possibile trovare Sonic Jam, una
compilation contenente i quattro titoli per Sega Mega Drive ottimizzati per la nuova macchina,
Sonic 3D Blast, essenzialmente un porting del titolo per la precedente console 16-bit, e Sonic R,
un discutibile gioco di corse (senza veicoli) con i personaggi della saga; nessuno di questi titoli fu
mai posto come principale della saga da lanciare, se non altro, contro Super Mario 64 e il nuovo
Crash Bandicoot. Poteva mai Sega pensare di lanciare la sua nuova console senza un gioco di
Sonic? Ovviamente no. Sonic X-treme sarebbe dovuto diventare non solo il nuovo titolo principale
del porcospino blu ma anche la killer-app che avrebbe lanciato il Saturn una volta per tutte, ma
purtroppo il gioco non uscì mai. Ma come mai Sega cancellò un progetto così grande e perché la
loro console 32-bit rimase senza un gioco dell’iconico porcospino?
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Verso il 3D
La storia di Sonic X-Treme comincia nel 1993: Sonic è in capo al mondo con ben tre titoli principali
(Sonic the Hedgehog, il suo sequel e Sonic CD), altri due giganteschi titoli in uscita (Sonic the
Hedgehog 3 e Sonic & Knuckles) e un’infinità di spin-off su Mega Drive, Master System e
Game Gear. Yuji Naka, ideatore del personaggio, e Hayao Nakayama, presidente di Sega in quel
periodo, chiamarono il Sega Technical Institute, lo studio di Sega negli Stati Uniti che si occupò
della saga dopo il primo capitolo insieme al Sonic Team, chiedendo un nuovo rivoluzionario titolo
del porcospino blu basato sulla serie a cartoni animati della ABC per una nuova console Sega (che
ai tempi non aveva chiaro quale sistema, fra 32X e Sega Saturn, lanciare). Lo studio americano non
aveva idea di cosa proporre in Giappone, soprattutto per il mancato sviluppo di Sonic & Knuckles.
Sega Technical Institute si divise letteralmente in due: una parte rimase negli Stati Uniti per
completare l’ultimo titolo 2D di Sonic per Sega Mega Drive mentre l’altra andò in Giappone per
proporre nuove idee per un titolo principale. Furono proposte 3 idee:

      Sonic 16: titolo 2D e proponeva un insolito gameplay basato sullo stealth. Un gioco
      decisamente interessante, ma nulla a che vedere con il velocissimo gameplay dei giochi
      precedenti e perciò venne scartato. A ogni modo, molte parti della sceneggiatura, apparse su
      internet più tardi, vennero prese come spunto per essere utilizzate più in là con il progetto di
      Sonic X-treme.
      Isometric Game: al di là di non avere neanche un vero nome, questo progetto non superò mai
      lo stadio concettuale e non venne presentato alcun gameplay. Di questo progetto ne presero
      gli asset, alcuni anni più tardi, per Sonic 3D Blast ma quel sistema di gioco, un po’
      sperimentale, non poteva mai andare oltre lo stato di spin-off.
      Sonic Mars: fra i tre progetti questo era considerato il più valido in quanto era concepito
      totalmente in 3D e sul 32X ma Yuji Naka, anche se approvò il progetto, non era totalmente
      impressionato da ciò che vide. Fu l’unico progetto a passare allo sviluppo ma alcune dispute
      interne, insieme all’insuccesso dell’ultimo add-on per Mega Drive, portarono all’abbandono
      del capo programmatore e al momentaneo alt generale. Chris Senn, che lavorò all’eccellente
      Comix Zone, fu messo a capo del progetto: scartò il tema del cartoon ABC e interruppe
      un’altra volta lo sviluppo in attesa che Sega definisse meglio il successore del Mega Drive.
      Come i precedenti 3 progetti, anche questo, fu cancellato.

Malgrado tutto, Sonic Mars mise il team di sviluppo sul giusto binario, ovvero sul Sega Saturn, e
un nuovo definitivo progetto fu avviato… e ancora una volta cancellato! Sonic Saturn non uscì mai
dallo sviluppo né fu mai annunciato ufficialmente ma alcuni concept art e immagini dei prototipi
confermarono la grafica 3D, l’idea per un bonus stage che fu usato, più in là, per Sonic 3D Blast e
uno stile molto realistico e un po’ più serioso dei precedenti titoli (i fan si accorsero inoltre che
alcune piastrelle dei pavimenti furono usate più tardi per Sonic R). A questo punto, per l’ennesima
volta, il Sega Technological Institute dovette non solo ricominciare da capo ma dividersi
ulteriormente: un primo team capitanato da Chris Senn e Ofer Alon (che chiameremo più in la
“Team-A“) avrebbe sviluppato i livelli mentre un secondo capitanato da Chris Coffin (che
chiameremo “Team-B“) avrebbe sviluppato gli scontri contro i boss, utilizzando un motore
preesistente per 32X, ed entrambi sarebbero stati supervisionati da Mike Wallis. Finalmente
esisteva un assetto definito per poter sviluppare il titolo definitivo di Sonic per Sega Saturn ma
questo schema, prima o poi, si sarebbe rivelato poco efficace.

(La demo di Sonic Mars su 32X)
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Uno sviluppo faticoso
Quello che si creò dalla divisione in due team… furono ulteriori divisioni! All’interno dei gruppi di
lavoro si crearono altri piccoli sottogruppi e mantenere una comunicazione costante fra i due team
era molto difficile per il numero generale dei dipendenti e le suddivisioni; nonostante tutto, entrambi
i team stavano facendo un bel lavoro e i primi risultati stavano venendo fuori. Il Team-A aveva
sviluppato un motore su un computer Mac che animava i personaggi, resi con un 3D prerenderizzato
simile a Donkey Kong Country, e produceva una prospettiva “fish eye” (in italiano diremo a
grandangolo) che davano ai livelli una rotondità mai vista prima (che avremmo visto molto più tardi
in giochi come Super Mario Galaxy). L’ambiente girava intorno a Sonic e questa sarebbe stata la
caratteristica chiave del nuovo titolo Sega. A un certo punto dello sviluppo sarebbero stati introdotti
dei livelli specifici per altri personaggi: Knuckles sarebbe stato protagonista di alcuni livelli con una
prospettiva top-down (simili a quelli di Contra 3: the Alien Wars), Tails avrebbe affrontato dei
livelli simili a quelli che sarebbero stati i suoi in Sonic Adventures per Dreamcast e per Tiara, un
nuovo personaggio femmina introdotto in Sonic Mars, stavano programmando dei livelli classici in
2D. Il motore grafico, prima prodotto su Mac e poi utilizzato su Windows, restituiva un azione
fluidissima su computer ma i programmatori sopravvalutarono le capacità del Saturn; il prototipo, a
detta dei programmatori che ci lavorarono, girava fra i 3 e i 4 FPS sulla console e perciò dovettero
ricorrere a un aiuto.
A questo punto il Team-A aveva bisogno di supporto e fu così che coinvolse la casa produttrice
Point of View. La nuova compagnia propose al team un loro motore mostrando l’immagine di un
Sonic poligonale sopra una superfice a scacchi e una sfera in aria; Chris Senn non fu totalmente
impressionato dalla loro tecnologia e non aveva intenzione di scartare il motore alla quale aveva
lavorato tanto perciò lasciarono perdere la loro offerta. Tuttavia, su consiglio di Ofer Olan, la Point
of View fu coinvolta nel progetto preesistente per migliorare il motore del Team-A e farlo
funzionare meglio su Saturn e così, da una costola del suddetto team, si formò un Team-C
capitanato da Chris Senn (uscendo definitivamente dal suo team originale).

(Il motore dei livelli del Team-A e Team-C)

L’ira dal Sol Levante
Nel Marzo del 1996 Hayao Nakayama programmò un volo per gli Stati Uniti per controllare il
lavoro del Sega Technical Institute. Il Team-C, malgrado tutto, riuscì a ottimizzare il motore per
il Saturn, lavorando giorno e notte fino all’arrivo del presidente di Sega. Chris Senn e Ofer Alon si
diressero al meeting per trovare un Nakayama furioso che camminava verso il senso opposto;
stupiti dalla reazione del presidente capirono che il meeting era già avvenuto e il Team-A aveva
presentato una versione vecchissima del loro lavoro, una di quelle che girava fra i 3 e i 4 FPS.
Tuttavia, Nakayama fu soddisfatto dal lavoro del Team-B, e decise che il gioco doveva essere
sviluppato tramite quel motore (che non aveva la caratteristica chiave del motore del Team-A
poiché basato sulle boss fight); Chris Senn e Ofer Alon tentarono in tutti i modi di mostrare al
presidente la versione più recente del loro lavoro ma egli aveva già lasciato l’edificio mettendo così
un punto definitivo al lavoro del Team-A e Team-C sollevando allo stesso tempo i due
programmatori e Point of View dai loro incarichi.
Il progetto si avviò verso una fase più definitiva: il Team-B, il cui capo Chris Coffin sarebbe
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diventato il nuovo lead programmer, avrebbe condotto il resto del progetto (che assunse la nuova
denominazione “Project Condor“) e questo sarebbe dovuto essere pronto per Natale, in tempo per
competere contro Super Mario 64 e Crash Bandicoot. A questo punto della storia c’è un evento
che coinvolge il motore grafico di Nights into Dreams… ma non si sa esattamente cosa sia
successo; tutti i fatti riguardanti questo progetto sono state fornite da Chris Senn nel suo sito
Sonic X-treme Compendium (oggi offline) ma da questo punto in poi egli non è più presente e
perciò il prossimo evento è un po’ avvolto nel mistero. Essendo stata fissata una data per Natale, il
Team-B aveva bisogno immediatamente di mezzi per completare il loro gioco. Avrebbero chiesto dal
Giappone il motore per Nights into Dreams… ma, apparentemente, senza alcun permesso da parte
di Yuji Naka che sviluppò il popolare gioco per Saturn; il noto creatore di Sonic bloccò
immediatamente i lavori mettendo un punto ai progressi fatti col suo motore grafico. Si dice anche
che il motore di Nights non fu mai utilizzato in sé ma bensì plagiato, scatenando ugualmente l’ira di
Yuji Naka. A ogni modo, di tutte le versioni, questa è l’unica versione trapelata su internet e, a oggi,
è possibile scaricare l’immagine per poterla provare sul proprio Sega Saturn o su un emulatore. La
iso è giusto una sorta di tech demo e perciò si può giusto correre per delle collinette, attraverso un
fiume, collezionare una cinquantina di anelli e non c’è alcun nemico.

(La tech demo giocabile, realizzata col presunto motore di Nights into Dreams…)

La fine
Project Condor, ancora una volta, dovette ripartire da zero. Erano solamente rimasti alcuni modelli
di grafica 3D e Chris Coffin doveva immediatamente fare qualcosa. Lavorò giorno e notte insieme
al veterano della saga Hirokazu Yasuhara per poter arrivare alla scadenza e il gioco, arrivati a
questo punto, assunse una grafica puramente 3D e cominciava a prendere una forma deliziosa;
sfortunatamente, proprio per l’assiduo impegno che stava dedicando al progetto, si beccò una grave
polmonite ad Agosto e i dottori dissero che se avesse continuato sarebbe potuto persino morire.
Chris Coffin dovette annunciare a Mike Wallace che il gioco non sarebbe stato pronto per il tempo
stabilito e così il progetto fu cancellato definitivamente. Sega, in vista del Natale del 1996, decise di
fare un porting di Sonic 3D Blast per Mega Drive e Nights into Dreams… divenne il titolo più
venduto per Saturn. Chris Senn tentò di salvare il progetto chiedendo a Sega di poter continuare
lo sviluppo per un rilascio su PC ma le sue richieste non furono ascoltate. Più in là, vedendo un
interesse dei fan riguardo a Sonic X-Treme, annunciò Project-S, un gioco indipendente ispirato a
ciò che sarebbe stato questo gioco ma purtroppo cancellò il tutto nel 2010.
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(La fase finale del progetto)

Cosa rimane
Finita l’esperienza di Sonic X-Treme, il Sonic Team si potè concentrare su Sonic Adventure per
la futura Dreamcast. La lezione era stata imparata e il nuovo titolo Sega uscì senza problemi dovuti
alla comunicazione o alla programmazione. Tuttavia, nel 2010, venne rilasciato Sonic Lost World
per Nintendo Wii U, 3DS e Windows, titolo non scelto a caso poiché, appunto, presenta dei mondi
rotoscopici e sferici proprio come il gioco che non uscì mai (appunto “Lost World“). Non sapremo
mai come sarebbe stato Sonic X-Treme ma vorremo comunque porre una domanda: avrebbe potuto
questo titolo salvare il Sega Saturn? La concorrenza era spietata e sia Crash Bandicoot che
Super Mario 64 erano giochi incredibilmente belli; per poter mettere il Saturn in un piano di
rilevanza Sega avrebbe dovuto mettere un gioco competitivo e, vista la programmazione
frammentaria, probabilmente Sonic X-Treme sarebbe stato pieno di difetti e troppo differenziato.
Bisogna anche ammettere che la mancata uscita di questo titolo ha permesso però a Saturn, molti
anni dopo, di spiccare come console da collezione: grazie alla mancanza di un vero gioco di Sonic,
molti Developer (interni ed esterni) hanno provato a far spiccare la loro IP per dare alla console
Sega un identità diversa dalla competizione e dunque oggi abbiamo una libreria di giochi con una
varietà impressionante. Solo su Saturn possiamo trovare Nights into Dreams…, Panzer Dragoon
Saga, Virtua Fighter 2, Fighters Megamix, Guardian Heroes, Radiant Silvergun e molti altri.
Sotto questo aspetto la mancata uscita di Sonic X-Treme potrebbe persino rappresentare un bene
per la console ma è ovvio che la cancellazione del progetto non ha potuto dare all’hardware un vero
volto per coloro che volevano saperne di più sulla console. Chissà se almeno, verso la fine, il gioco
sarebbe stato davvero all’altezza della competizione; purtroppo non lo sapremo mai.
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La dipendenza da videogioco è o no un
disturbo?

Per la prima volta in assoluto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha riconosciuto come una
malattia il “disturbo da videogioco”. In scia con la notizia di qualche giorno fa in cui si parlava di
come giochi quali Fortnite o simili possano avere effetti negativi sulla psiche dei bambini o dei più
giovani in generale, si sono trasformate in concreto con la creazione, nel Regno Unito, dei primi
centri di disintossicazione per i soggetti in questione. L’OMS ha anche riconosciuto il
“dipendenza da videogioco” come una condizione a se stante, come lo possono essere anche
l’alcolismo o la dipendenza dalle droghe.

L’Organizzazione ha anche affermato che il disturbo da videogioco, non è correlato solamente al
quantitativo di ore spese nell’attività in questione, bensì è strettamente connesso all’impatto che può
avere sulla psiche dell’individuo e di come questo fattore possa influenzare il modo di interagire con
la vita reale:

      Stato mentale alterato sul videogioco.
      Maggiore priorità data al videogioco rispetto a tutti gli altri impegni o attività possibili nella
      vita reale.
      Perseveranza nel videogioco nonostante esperienze negative.

I giochi “utili” a bambini e adulti

Non dobbiamo dimenticare che importanti scienziati hanno condotto studi accurati riguardo i
videogiochi, dimostrando con dati concreti che alcuni videogiochi possono anche essere un ottimo
beneficio per la salute e, oltre a sviluppare i sensi cognitivi, possono stimolare la reattività e la
capacità di problem solving e multitasking dell’individuo. La dipendenza da videogioco è
un argomento molto sensibile: secondo la visione dell’OMS infatti, potremmo anche affermare
che un individuo che gioca solamente per un’ora alla settimana, ma non riesce a staccare la spina
prima di terminare la sua ora di gioco, quella è dipendenza. Mentre, invece, potrebbero esserci
persone che giocano per 40 ore e riescono a “smettere” quando vogliono senza crearsi alcun
problema. Non è il tempo che influisce sul disturbo da videogioco, ma la propensione
all’alienamento dalla vita reale del soggetto, che è proprio quello su cui fonda i suoi criteri
l’OMS.

E’ giusto sottolineare che al momento, l’inserimento del disturbo come condizione, è in
ancora una proposta da parte dell’organizzazione mondiale della salute, e che i dati
verranno elaborati con l’anno nuovo.

Ovviamente la nuova proposta per la normativa dell’OMS ha fatto infuriare molti esponenti
dell’industry videoludica per non aver neanche esposto il problema o la volontà di fare un passo
del genere in maniera preventiva ma in ogni caso, tutto ciò esula dai doveri dell’organizzazione nei
confronti dell’industry.

Una diagnosi universale

In buona sostanza, il “disturbo da videogioco” è diventato una condizione mentale sempre
più riconosciuta tra i professionisti medici di tutto il mondo. In quanto tali, i programmi di
trattamento sono stati istituiti senza supervisione internazionale: la decisione dell’OMS di
formalizzarlo poi come condizione, è stata fatta con l’intenzione di aggiungere coesione e coerenza a
come il disturbo è definito e trattato in maniera universale, in modo che la patologia possa essere
riconosciuta da tutti allo stesso modo e che tutti possano avere i mezzi cognitivi necessari per
poterla diagnosticare facilmente. L’OMS ha offerto una definizione abbastanza inflessibile di
“disturbo da videogioco” come modello di comportamento: un susseguirsi di comportamenti malsani,
che vedono l’individuo perdere il controllo sulle proprie abitudini di gioco, anche al costo di rischiare
il proprio benessere personale, condizione questa, che può portare a una “compromissione
significativa in ambito personale, familiare, sociale, educativo, lavorativo o di altre importanti sfere”.

Vale la pena ribadire che mentre “disturbo da videogioco” è stato aggiunto all’ultima versione
dell’ICD-11 (International Classification of Diseases), al momento è e rimane solo una bozza. In
quanto tale, è soggetto a modifiche nel corso del processo di consultazione aperta, che durerà per
circa un anno, prima che l’Assemblea Generale dell’OMS lo approvi a maggio 2019. Anche in
questo caso, l’ICD-11, non sarà adottato ufficialmente fino al 1° gennaio 2022 e potrebbero
ancora essere necessari molti anni prima che gli altri paesi implementino tali cambiamenti nel loro
sistema sanitario.

Dusty Rooms: la triste storia del 3DO

Verso la metà degli anni ’90 i nomi che componevano la scena videoludica erano ben di più di delle
semplici Microsoft, Sony e Nintendo (se è per questo la prima non c’era proprio). Al di là delle
leggendarie Sega e Atari, di tanto in tanto entrava qualche nome che provava a sfondare nel
mercato videoludico ma non sempre lasciava un’impronta decisiva: gli arrivi degli hardware Casio,
Philips o Apple (eh sì… un giorno ne parleremo) fecero storcere il naso a molti giocatori – tanto è
vero che come arrivavano dal nulla, svanivano nel nulla – ma nel 1993 una console ebbe la possibilità
d’inserirsi nel mercato, piantare radici e, chissà, a oggi poter essere ancora presente. Tutto cominciò
quando Trip Hawkins, fondatore di Electronic Arts, si incontrò nel 1989 con Dave Needle e R.J
Mical, designer dei computer Amiga e Atari Lynx, per creare una console in grado di imporsi nel
mercato, dettare gli standard per le generazioni a venire e che il pubblico, sempre più interessato
alla grafica poligonale, avrebbe apprezzato. L’esperienza del fondatore di EA, trascorsa a produrre
giochi per console e PC dell’epoca, unita all’abilità di due designer che portarono alla nascita di due
potentissime macchine da gioco, avrebbe dovuto essere una garanzia per una console spettacolare;
fu così che da un tovagliolo di un ristorante nacque il progetto del 3DO, macchina che di lì a poco
sarebbe diventata realtà.

(Trip Hawkins)

Un modello rivoluzionario?
3DO Company, fondata principalmente per sviluppare l’hardware, presentò la nuova console nel
Computer Electronics Show del 1992 richiamando non poca attenzione da parte di fan, critici e
persino stampa nazionale essendo stato discusso nella sezioni business del New York Times e
Chicago Tribune. La console, il cui supporto ottico erano i compact disc, aveva un processore a
32-bit che girava a 12.5 MHz, in grado di garantire ben 20.000 poligoni dotati di texture, un’ottima
risoluzione di 640×480, supportato anche dal segnale S-Video proprietario, e un chip sonoro in
grado di campionare le tracce audio a 44.1 KHz; il controller, che ricalcava lo stile e il design di
quello del Sega Mega Drive, includeva 5 tasti, un jack per gli auricolari e la seconda porta per i
giochi multiplayer (in grado da poter collegare un numero indefinito di controller alla console… altro
che conga!). Trip Hawkins era ambizioso e perciò aveva offerto ai developer un accordo imbattibile,
ovvero il pagamento di soli tre dollari di royalty a 3DO Company per ogni gioco venduto, molto più
competitivo rispetto alla concorrenza Nintendo (15$) e Sega (13$). Più di trecento developer
firmarono per produrre su questa nuova potentissima macchina, anche se non tutti rispettarono il
loro accordo. Sul fronte hardware invece la compagnia avrebbe ceduto le specifiche tecniche a terze
parti affinché queste, con i loro mezzi, producessero la loro versione del 3DO. Pertanto, Trip
Hawkins si rivolse alle maggiori compagnie giapponesi sia per produrre una console con
componenti di qualità, che per sfruttare l’ottima reputazione di quest’ultime. I suoi obiettivi
principali erano Sony e Panasonic ma riuscì solamente a firmare con la seconda (in quando la
prima stava già lavorando al progetto PlayStation) anche se in compenso riuscì anche a coinvolgere
Sanyo e Goldstar (che sarebbe divenuta più tardi LG). Nell’Ottobre 1993 il primo modello di 3DO,
il Panasonic FZ-1 (ed è per questo che spesso l’intera console è spesso attribuita a questa
compagnia), fu rilasciato al pubblico in bundle con Crash ‘n Burn, il primo gioco di Crystal
Dynamics, e stando alle previsioni di Trip Hawkins avrebbe dovuto stravolgere il landscape
videoludico grazie alla sua spaventosa potenza; tuttavia i problemi cominciarono dal day one.

Badaboom!
Il 3DO fu promosso in televisione e nelle riviste con pubblicità competitive e “toste”, similarmente
alla competizione nel mercato e pertanto, puntavano allo stesso target demografico di Super
Nintendo e Sega Mega Drive. Tuttavia, sebbene la libreria di giochi fosse abbastanza valida, il
prezzo di 699,99 dollari era ben fuori dalla loro portata. Il motivo di questo sovrapprezzo era
dovuto principalmente al coinvolgimento delle compagnie produttrici di hardware: Panasonic,
Sanyo e Goldstar non avrebbero ricevuto nulla dalla vendita dei giochi e perciò dovettero gonfiare
il prezzo affinché potessero ottenere dei profitti da questo progetto. Ci furono inoltre problemi di
reperibilità hardware e software: Crash ‘n Burn finì per essere l’unico gioco disponibile al lancio
della console per via del fatto che l’hardware finale è stato cambiato fino all’ultimo momento e
perciò, i developer che avevano promesso delle uscite per lancio, non poterono testare i loro titoli
rimandando così l’uscita a data da destinarsi. Per via dei cambi all’ultimo minuto, inoltre, si
potevano spiegare anche le poche unità presenti nelle maggiori catene di negozi di elettronica;
vennero distribuite circa due unità per negozio alienando così quei già pochi che potevano
permettersela. A tutto questo si dovette aggiungere anche l’annuncio di Sony PlayStation, Sega
Saturn, Nintendo 64 e Atari Jaguar, che sarebbe uscita un mese dopo il 3DO; anche se nessuna
di queste console sarebbe stata reperibile in tempi brevi, i giocatori già in possesso delle console 16-
bit erano più propensi ad aspettare e, semplicemente, lasciar perdere questa nuova costosa
macchina che ben presto si sarebbe rivelata obsoleta.
Già nel 1994 il 3DO era in pericolo e perciò dovevano essere presi dei provvedimenti: ispirato dalle
compagnie già esistenti, Trip Hawkins decise di contrattare con Panasonic per vendere le console
in perdita recuperando così con la vendita dei giochi. Il prezzo passò da 699 a 499 dollari e più
tardi, sempre nel 1994, Goldstar vendette la sua versione del 3DO per 399, che era per altro il
prezzo di lancio del Sega Saturn. Nonostante questi saggi cambiamenti e una libreria di giochi
rispettabilissima, verso la fine del 1994 3DO Company rimaneva a galla per miracolo e le loro
azioni in borsa crollarono da 37 a 23 dollari a Dicembre. Il 1995 si aprì abbastanza bene per 3DO
Company in quanto riuscirono a registrare delle buone entrate (anche se ancora non bastavano per
coprire tutti i costi finora sostenuti) e videro il rilascio di alcuni dei suoi migliori giochi ma il periodo
di rinascita cessò ben presto: Sega annunciò e rilasciò il Saturn nel Maggio del 1995 per 399 dollari
e più tardi, a Settembre, Sony rilasciò la PlayStation all’imbattibile prezzo di 299. Questo fatale 1-2
segnò praticamente la fine del 3DO, sia in termini di competitività hardware che software in quanto
molte delle loro migliori uscite finirono poco dopo su PlayStation e Saturn. Electronic Arts, che
era il developer di bandiera del sistema, decise di abbandonare il progetto di Trip Hawkins
definitivamente e così, deluso dalla decisione della sua stessa azienda, la abbandonò fondando 3DO
Studio per poter produrre nuovi giochi di qualità per la sua console e per quella successiva. Nel
1996 infatti, venne annunciato un successore del 3DO chiamato M2: la console sarebbe stata
prodotta esclusivamente da Matstushita e fu proprio con l’annuncio del nuovo hardware che la
3DO Company registrò il suo primo profitto di 1.2 milioni di dollari. Tuttavia la competizione era
spietata e PlayStation dominò per tutto il 1996; a questo punto, nel 1997, non rimase altro che
chiudere la divisione hardware e concentrarsi esclusivamente come software house per le altre
console, fino alla bancarotta di 3DO Company nel 2003. Trip Hawkins, nonostante avesse perso la
partita, fondò Digital Chocolate, compagnia tuttora attiva sotto il dominio della RockYou, che ha
prodotto diversi giochi per mobile e Facebook; abbandonata la presidenza nel 2012 a oggi è
professore di pratica nel corso di “technology managment” dell’università di Santa Barbara in
California.

L’impatto del 3DO
Cosa rimane oggi del 3DO? Fare una top ten dei migliori giochi di questa console, come abbiamo
fatto per il precedente Dusty Rooms, è un po’ inutile in quanto molti di essi sono apparsi su altre
console e le vere esclusive, non sono proprio fantastiche. Il 3DO è stata la casa di bellissimi porting
da PC, come Alone in the Dark, Myst e Lemmings, alcuni arcade, come Samurai Showdown e il
porting definitivo di Super Street Fighter II Turbo, e altri titoli originali che sono apparsi poi sulle
altre console dell’epoca e PC come Return Fire, The Need for Speed e Killing Time. Su 3DO è
possibile giocare ai primissimi giochi di Crystal Dynamics come il già citato Crash ‘n Burn, Total
Eclipse e il fantastico Gex. Tuttavia, e questo può anche essere citato come uno dei motivi del
fallimento della console, 3DO ha ospitato una marea di giochi FMV (full motion video) che a oggi
risultano bizzarri, brutti… E semplicemente fantastici! Come non si possono amare titoli come Night
Trap, Mad Dog McCree e The Daedalus Encounter con le loro recitazioni di basso livello e il
gameplay tutt’altro che user-friendly? E che dire dell’orrendo Plumbers don’t Wear Ties? Se vi
addentrerete in questo genere vi garantiamo risate a mai finire!
A ogni modo: quanto vale l’acquisto di un 3DO di seconda mano? La nostra risposta è: dipende. Il
prezzo, a oggi, è certamente invitante in quanto potrete aggiudicarvelo per una frazione di quel che
costava all’epoca; tuttavia la libreria di titoli è veramente particolare e non sono giochi che
potrebbero piacere a tutti, specialmente perché alcuni di essi sono reperibili in altre console. Inoltre,
il 3DO è una console molto fragile dunque, se ne considererete l’acquisto su internet, fate in modo
che il venditore vi mostri la console funzionante (sempre se il viaggio non la danneggi). Se siete
interessati ad avere questo hardware originale e magari siete appassionati della scena videoludica di
nicchia a cavallo fra il ’93 e il ’96 allora il 3DO è la console che fa per voi.
La tecnologia del 3DO M2, prima della sua cancellazione, era stata ceduta per lo sviluppo e perciò
esistono alcuni giochi arcade Konami, usciti regolarmente nelle sale giochi, che girano su
quell’hardware: fanno parte di questa rosa Polystars, Total Vice, Battle Tryst, Evil Night e Heat
of Eleven 98. Inoltre, ma questa è una chicca per i soli “Indiana Jones” del retrogaming, sono stati
prodotti anche dei prototipi dell’M2 ed è possibile vederli funzionare su YouTube; tuttavia, trovarli
su eBay sarà pressappoco impossibile.

I 10 giochi più interessanti dell’E3 2018

Tra le chiacchiere sulle conferenze dell’E3 e una polemica sul mancato gameplay di Death
Stranding o sulla prima persona in Cyberpunk 2077, spesso si adombra la parte più importante
della fiera: i videogame.
Di giochi annunciati, mostrati o approfonditi ce ne sono stati tanti. Alcuni per la prima volta, altri
sono stati approfonditi, altri ancora sono stati mostrati sotto una nuova luce. Quali sono stati i più
interessanti? Abbiamo operato qui una selezione senza pretese di completezza, proiettando un
cerchio di luce sui giochi mostrati durante le conferenze e dei quali si è parlato meno di altri ma che,
per varie ragioni (da come sono stati comunicati a qualcosa di nuovo che è stato mostrato sino a
quelli di cui conosciamo il semplice concept) hanno destato il nostro interesse.
My Friend Pedro
Remake dell’omonimo flashgame della DeadToast, Devolver Digital decide portarlo dopo 4 anni su
Nintendo Switch e PC e lo presenta nella propria conferenza. Se già il gioco originale aveva un
grande potenziale, fra volteggi, sparatorie a doppia arma e virtuosismi parkour, con un art-style
rinnovato e maggior lavoro alle spalle ci si può davvero aspettare un titolo frenetico e spettacolare,
potenzialmente capace di tenere lontana la noia per ogni minuto di gioco.
Control
Remedy ritorna con un gioco che non pare meno interessante di Quantum Break e Alan Wake.
Presentato durante la conferenza Sony, in Control si vestono i panni di Jesse Faden (interpretato da
Courtney Hope, la Beth Wilder di Quantum Break), da poco nominato direttore del Federal
Bureau of Control, un’organizzazione governativa segreta dagli scopi misteriosi che sembra essere
alle prese con una minaccia paranormale. Control pare essere un titolo composito, un live action con
componenti à la Alan Wake e una struttura da metroidvania con missioni secondarie opzionali, da
condurre fino alla fine con poteri telecinetici e parti shooter in un setting artistico ispirato al
movimento architettonico brutalista.

The Awesome Adventure of Captain Spirit
Prima del secondo Life is Strange, Dontnod ci regala (letteralmente: sarà gratuitamente scaricabile,
come specificato nel corso della conferenza Microsoft) un’avventura ambientata nello stesso
universo narrativo. Il protagonista è un ragazzino di 10 anni, Chris, che vive in una piccola cittadina
e diventa Captain Spirit grazie alla forza della propria immaginazione. Captain Spirit sarà anche
customizzabile nell’aspetto, disegnandolo tramite Chris che potrà applicargli maschera, cappello,
colorarlo e altro ancora. Il titolo pare sarà breve, durerà all’incirca due ore, ma avrà un buon
margine di rigiocabilità e finali multipli. Come ogni supereroe, Captain Spirit avrò degli alleati, come
lo Sky Pirate, e un villain, Snowmancer.
Non pochi sembrano i richiami a Life is Strange in un gioco che appare non lineare, fatto
d’interazione, esplorazione e dialoghi, e che pare già essere un inno all’immaginazione e alla
fantasia.
Sea of solitude
Una giovane donna di nome Kay soffre di solitudine, e così diventa un mostro in un mondo di mostri.
Cornelia Geppert, CEO di Jo-Mai, l’ha definito durante la conferenza EA un lavoro molto
personale. Quel che è certo è che si tratta di un platform-puzzle esplorativo d’avventura con una
forte componente emozionale sulla falsariga di RiME, e che ci sono tutti i motivi per tenervi gli occhi
puntati.
Night Call
Una delle sorprese migliori è un’avventura narrativa che ci vede a Parigi, come tassista notturno che
si trova a ottenere informazioni su un serial killer e su misteri da risolvere inerenti gli omicidi. Nel
titolo sviluppato di BlackMuffin Studio e Monkey Moon, e presentato al PC Gaming Show, sarà
possibile condizionare gli accadimenti tramite interagendo con oggetti e personaggi e, tra comparto
artistico e premesse narrativa, c’è tutta la base per una gioco story driven di sicuro interesse.
Sable
A primo impatto ha ricordato a molti Journey, far colori suggestivi e una componente esplorativa
che lo avvicinerebbe di più a Breath of the Wild. Ad ogni modo potrebbe essere un exploration
game bellissimo, anche grazie a un comparto artistico fortemente ispirato a grandi fumettisti
europei (vedi Moebius). Ci si chiede come due sole persone abbiano già potuto creare tutto questo,
e non vediamo l’ora di poterne sapere di più per capire fino a dove sono riusciti a spingersi.

Neo Cab
Pur essendo ambientato in un futuro dal sapore fortemente cyberpunk, questo è un titolo che
potrebbe essere fra i più attuali sul piano tematico: i developer di Change Agency hanno spiegato
che il tema centrale del gioco è «come le emozioni possono impattare sulle performance lavorative».
Anche qui, come in Night Call, vestiamo i panni di un autista, uno dei pochi rimasti in un mondo in
cui la maggior parte dei guidatori umani sono stati soppiantati da intelligenze artificiali. «In Neo
Cab you’re one of the proletariat who are just riding the line of capitalism» dice il creatore Patrick
Ewing, non negando un certo legame a giochi come Papers, Please. Tutto questo non vi fa venire
una matta voglia di giocarci?
Transference
Lo ammetto, lo aspetto già dallo scorso anno, quando ancora nulla era già stato mostrato di
quest’opera in VR. Che a questo E3 si è svelata ancor più interessante nel corso della conferenza
Ubisoft, rivelando la sua natura psicologica e cinematografica, con vari puzzle da risolvere e una
grafica che sembra promettere il meglio.
Tunic
Un RPG isometrico in purissimo stile zeldiano, un action fantasy con una volpa per protagonista e un
art-style accattivante, il tutto sviluppato da un solo developer, Andrew Shouldice. Della storia si sa
poco, ma con queste premesse volete non dargli fiducia?

Battletoads
Di questo titolo non sappiamo davvero NIENTE, se non che sarà il remake di una grande esclusiva
NES, e che sarà cooperativo e in 2.5D. L’originale è un gioco ormai iconico, noto per la sua difficoltà,
ma tutt’altro che perfetto dal punto di vista del game e level design. Sarà l’occasione per un sfornare
un videogame con un buon livello di sfida e più equilibrato dal punto di vista strutturale?
Mentre aspettiamo la risposta, gioiamo per il ritorno dell’IP!

Ovviamente mentre scrivevo questa selezione mi sono venuti in mente un’altra decina di titoli
presentati che vale la pena seguire. Ma ve li dirò in settimana, in un altro articolo!

E3 2018: tirando le somme

L’E3 è terminato da appena qualche giorno e, come ogni anno, eccoci qui a tirare le somme. Nei suoi
due distinti macromomenti — uno all’interno dei padiglioni, dove era possibile toccare con mano le
novità di developer grandi e piccoli e platform holder, l’altro che ha anticipato il momento della
bolgia fieristica e che è sempre un nodo cruciale sul piano mediatico e di marketing, quello delle
conferenze — l’Expo di Los Angeles riveste sempre un’importanza non da poco in termini di
vetrina. Proprio il secondo momento risulta importante ormai da decenni per i partecipanti, dovendo
calibrare attentamente i contenuti e studiando i messaggi da veicolare, con risultati di anno in anno
altalenanti per ogni operatore.

Quest’anno si è mostrato al solito interessante sotto vari aspetti ed è utile tirare un po’ le fila di
quanto visto.

Ad aprire le danze è stata la conferenza di Electronic Arts, che si è svolta in maniera tutto
sommato prevedibile: è stata occasione di presentare la nuova edizione delle consolidate IP sportive
(Madden NFL, NHL, NBA Live e l’immancabile Fifa, quest’anno impreziosito dalla Champions
League), e per rilanciare gli shooter, dal nuovo Battlefield, ambientato stavolta nella seconda
guerra mondiale, a un Battlefront II arricchito con nuovi contenuti. Se tutto questo risultava un po’
telefonato, rimanevano due fronti su cui giocare la partita: l’attesissimo Anthem e “i conigli nel
cilindro”, quelle IP non annunciate sulle quali ogni volta i fan si aspettano di essere, se non
accontentati, quantomeno un po’ stupiti. Sul piano BioWare, nulla di cui lamentarsi: sul palco
arrivano il general manager Casey Hudson, l’executive producer Mark Darrah e la lead writer
Cathleen Rootsaert, tre importanti attori nello sviluppo del titolo, che hanno raccontato vari
aspetti del development, approfondendo un’idea di setting narrativo che nelle sue fondamenta era
già stata condivisa con il pubblico, nonché le feature e alcune modalità di gioco. Sulla nuova IP
sembrano credere molto da tempo sia il developer sia il publisher e, pur nutrendo alcune perplessità
riguardo alcune modalità di gioco che potrebbero risultare già viste, e temendo abbastanza gli effetti
negativi in fase di scrittura derivanti dalla fuoriuscita dal progetto di Drew Karpyshyn (già lead
writer dei primi due Mass Effect), la gestione tecnica e narrativa di un prodotto strutturato
come Anthem dà non pochi motivi per continuare a seguire il progetto. Forse proprio a causa della
grande attenzione a quella che è al momento l’IP di punta non si è rimasti del tutto soddisfatti in
termini di nuove IP: se l’annuncio di Unravel 2, forte di un’interessante modalità co-op, è salutato
con entusiasmo, e se Cornelia Geppert, CEO e game designer di Jo-Mei Games, presenta con
emozione un Sea of Solitude dal setting narrativo interessante, sul quale terremo gli occhi fissi, il
resto appare un po’ povero. Un Command & Conquer per mobile (denominato Rivals) che
ammicca forse troppo alle modalità di Clash of Clans, e la cui dimostrazione risulta priva di
dinamismo, e un Star Wars Jedi: Fallen Order che sembra presenziare lì più per ragioni di brand
che di sostanza. Nient’altro di rilevante da registrare in una conferenza in cui il CEO di EA, Andrew
Wilson, risulta asettico e pubblicitario, freddo e puntuale, e nulla può la discreta conduzione di
un’Andrea Rene che, pur non essendo evidentemente avvezza un pubblico di simile portata, se la
cava comunque bene.

Si passa così alla seconda conferenza in ordine cronologico, una delle più attese, quella di
Microsoft. Da tempo ci si chiede cosa bolle nella pentola di Redmond, considerando che i numeri
nel mercato console vedono necessario il ripensamento della propria strategia commerciale. In
questi ultimi anni, le conferenze del colosso di Xbox non sono state ritenute soddisfacenti, e un
rilancio è quantomai urgente. Il 2018 segna probabilmente un cambio di passo, o quantomeno
questo è il segnale che possiamo certamente registrare da una conferenza che oscilla tra la
concretezza di certe IP e di alcune azzeccate mosse di mercato, e la fumosità di dichiarazione che
hanno il brioso e artefatto sapore del disclaimer pubblicitario: bellissimo sentir parlare di un team
dedicato all’AI e al lavoro sulla nuova Xbox, ma meglio non farsi abbagliare da ciò di cui non
possiamo avere riscontri certi. Ottimo segnale invece è quello dell’acquisizione di 5 nuovi studi
che entrano a far parte dei Microsoft Studios, soprattutto Ninja Theory, promettente developer
che ha mostrato la propria qualità in passato nei lavori su Devil May Cry e che si è in qualche modo
consacrato con l’ “indie AAA” Hellblade: Senua’s Sacrifice e che adesso, con maggior risorse
economiche, potrà rivelare il suo vero potenziale (nel bene e nel male). Bene anche la presenza di
alcuni ospiti del calibro di Chris Avellone, che da narrative director spiega lo sviluppo di Dying
Light 2, il quale risulta molto interessante in termini di trama. Tirando le somme, quella Microsoft è
globalmente la conferenza che impressiona di più, sia per gli ottimi segnali lanciati al mercato, sia
per la massiccia presenza di titoli, fra esclusive e world premiere di multipiattaforma di vario
genere.

Pur senza faville, la conferenza Bethesda qualche ora dopo regala comunque solidità, fra contenuti
aggiuntivi (su tutti i DLC di Prey e Wolfenstein II), nuovi titoli (ci si riferisce a Starfield, il nuovo
space RPG su cui la casa e in lavorazione) e nuovi capitoli di IP già presenti in catalogo: Doom
Eternal e The Elder Scrolls VI sono due uscite molto ben accolte, ma gli occhi sono ovviamente
tutti puntati su Fallout 76, annunciato già nei giorni precedenti e che sta destando la maggiore
curiosità di pubblico. Conferenza che quadra ma non stupisce.
Al contrario della conferenza Devolver Digital, che ci abitua ormai annualmente a veri e propri
pezzi d’avanspettacolo condotti con gran ritmo e senso dello show dall’attrice Mahria Zook, qui nei
panni di Nina Struthers. Fra parodie delle retroconsole e momenti di pura satira nei confronti delle
lootbox, lo studio texano trova spazio per tre nuovi annunci nei 20 minuti scarsi di conferenza:
l’open world SCUM, la remaster di Metal Wolf Chaos XD e lo spettacolare shooter My Friend
Pedro, che a parere di chi scrive è uno dei più interessanti prodotti di questo E3.
Una conferenza forse meno stupefacente dello scorso anno, ma sempre dalla grande carica esplosiva
(pur senza teste che saltano in aria come era stato nel 2017), agli antipodi della noia che ci serve su
un piatto Square Enix: la casa giapponese riserva i suoi pezzi migliori (da Shadow of the Tomb
Raider a Kingdom Hearts III passando per Just Cause 4 e Nier: Automata) alle altre
conferenze, limitandosi a ripetere gli stessi trailer o ad arricchirli. Le piccole aggiunte a Final
Fantasy XIV non bastano, così come il telefonatissimo undicesimo capitolo di Dragon Quest. I
migliori annunci risiedono certamente nell’interessantissimo The Quiet Man e in un Babylon’s
Fall di cui non vediamo l’ora di sapere di più, ma la mancanza di interventi (tra developer, creativi e
board dell’azienda) si fa sentire, e di concreto rimane ben poco.

Concretezza che invece dimostra di possedere a grandi lettere Ubisoft, che sceglie una formula
standard mantenuta per tutto l’incontro, fatta di un trailer iniziale seguito da un intervento di uno o
due attori coinvolti nello sviluppo del titolo che spesso hanno modo di essere supportati da sequenze
di gameplay: gli interventi di Justin Farren per Skull & Bones, di Elijah Wood e Benoit Richter
per Transference, di Jonathan Dumont per Assassin’s Creed Odyssey permettono uno sguardo
più concreto e profondo sui titoli in lavorazione, il loro metterci la faccia è per certi versi
rassicurant, ma soprattutto è un segno di grande serietà, che dà solidità anche a Beyond Good &
Evil 2, il quale, grazie alle spiegazioni dei due Brunier, si fa più tangibile nonostante la mancanza di
gameplay.
C’è spazio anche per il DLC di Mario+Rabbids: Kingdom Battle, un Donkey Kong
Adventure che viene letteralmente suonato di Grant Kirkhope e dai Critical Hits che lo
accompagnano, dopo un’introduzione di Xavier Manzanares. Pur non presente sul palco (ma
presenti Soliani e Kirkhope per parlare delle musiche del gioco durante l’E3), il team di Milano si
conferma elemento importante dell’universo Ubisoft, e c’è motivo di credere che questo sia solo
l’inizio dell’ascesa di un team che ha meritato i riconoscimenti e le lodi caduti a pioggia nell’ultimo
anno, riuscendo ad appagare anche la pretenziosissima Nintendo. Probabilmente è anche merito loro
se, alla conferenza, Ubisoft ha potuto presentare Fox tra i personaggi della propria nuova
IP, Starlink.
Una conferenza che non ha troppi picchi verso l’alto, ma che di certo quadra in tutte le sue parti, e
dove ogni team ci ha messo la faccia e ha condiviso il lavoro col pubblico.

Condivisione del lavoro che è invece forse quel che è mancato in una delle conferenze più attese:
Sony si affida infatti a lunghi trailer per dar spazio principalmente a 4 esclusive: The Last of Us
2, Ghost of Tsushima, Death Stranding e Marvel’s Spider-Man. Titoli pregevolissimi — il primo
presentato così bene da indurre il dubbio nel pubblico fosse ampiamente scriptato, anche se
a un’attenta analisi è possibile confutare questa tesi: in gran parte il video non lo è, in realtà — ma
ancora una volta lontani dall’essere accompagnati da una release date. Nessun membro del team di
sviluppo a raccontarli, talvolta musicisti a introdurli. Curiosità a parte per nuovi titoli
come Control o per il remake di Resident Evil 2 (uno dei pochi ad essere accompagnato da una
data d’uscita), Sony sembra voler dare al pubblico uno sguardo più approfondito delle sue esclusive
di punta, offrendo scampoli di gameplay (meno che nel titolo di Kojima, nel quale si intravedono
alcune fasi stealth, una di arrampicata e si intuisce la presenza di una componente shooter) ma non
andando oltre, accontentandosi del minimo sindacale per non sfigurare.
Una parsimonia, quella di Sony, che contrasta con i 25 trailer del PC Gaming Show, che, ad onta
della sufficienza con il quale è guardato ogni anno, offre vari momenti interessanti: la conduttrice, la
streamer Frankie Ward, riesce a mantenere un certo ritmo nelle due ore scarse che compongono lo
show, ed è piacevole notare quanta varietà offra l’ambiente PC. Da avventure story-driven come il
lovecraftiano The Sinking City, ma anche Neo Cab e Night Call, si passa a titoli dallo stile
artistico affascinante come Sable o gestionali molto attesi come Two Point Hospital. Ma il PC
Gaming Show non è soltanto riservato alle produzioni indipendenti: c’è spazio anche per Hunt:
Showdown, FPS horror su cui è al lavoro Crytek, il super chiacchierato Star Citizen (giunto adesso
l’alpha 3.2), Overkill’s The Walking Dead, Hitman 2 (anche questo incomprensibilmente non
inserito nella conferenza Square Enix) e vari titoli SEGA, dalle remastered di Shenmue, a tre
novità: Valkyria Chronicles 4, e, per la prima volta su PC, Yakuza Kiwami e Yakuza Zero, a
conferma che l’amata serie nipponica ha ormai trovato una solida fanbase in Occidente. Rimane
curiosità, infine, riguardo Ooblets, nuovo lavoro della Double Fine di Tim Schafer, ed è solo un
altro tassello che si aggiunge a una conferenza poco altisonante nelle forme ma molto interessante
nei contenuti.
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