Regione Toscana: nuovi tagli alla sanità
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Regione Toscana: nuovi tagli alla sanità written by Eugenio Conti 300 milioni di euro: questa la cifra indicativa che sarà “necessario” sacrificare sull’altare del bilancio regionale di quest’anno in nome della mediazione tra cittadini e Stato italiano, e tra Stato e organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’Unione Europea. Dietro questo numero, lo sappiamo, si nascondono i lavoratori e soprattutto le lavoratrici che verranno licenziate, le strutture che verranno chiuse, la sofferenza e il rischio quando non la morte delle persone. La politicità di queste misure emerge con forza dal momento che sarebbero assolutamente evitabili e anzi il loro segno invertibile. Seppellita una volta per tutte col PNRR la già fallace retorica del “non ci sono i soldi”, il nuovo taglio ci ricorda che nonostante i miliardi in arrivo dall’Europa ci troviamo pur sempre sotto un regime capitalista di cui le istituzioni, da destra a sinistra, fanno pienamente parte. L’intervento pubblico (da parte delle banche centrali, attraverso gli stati) segna sì una discontinuità rispetto a decenni di neoliberismo galoppante, ma si inscrive pur sempre, come accaduto dal 2008, all’interno di una cornice da “governo della crisi” forgiato dai (e quindi strumentale ai) nostri nemici di classe. Dopo che l’assessorato alla sanità toscana aveva indicato alle Asl che sarebbe stato necessario tagliare le spese senza però fornire chiare direttive, nelle ultime settimane il quadro si è fatto più chiaro. Taglio netto ai diritt… scusate, ai servizi ritenuti “inutili” nei confronti di persone con disabilità e mancato rinnovo dei contratti di centinaia di operatori sanitari assunti durante i periodi più
difficili della pandemia. All’ospedale di Ponte a Niccheri, racconta L., tecnico di radiologia, è diventato difficile anche chiedere un giorno di ferie, perché solo nel suo reparto sono ben cinque le persone che probabilmente non verranno rinnovate. La ragazza che potrebbe sostituirlo nel giorno del matrimonio di un amico, e che ha il contratto in scadenza tra due giorni, addirittura ancora non sa se questo le sarà rinnovato o meno. La stessa incertezza in merito ad eventuali rinnovi anticipa la negligenza con cui chi ci governa tratta i nostri “eroi”, ogni volta direttamente proporzionale alla decrescita dei contagi. Per inciso: ricordiamoci che in autunno ci attende una nuova ondata. I nuovi tagli rispettano del resto l’andamento degli ultimi dieci anni, e sarebbe quindi miope legare questi problemi al solo contesto pandemico. Alcuni articoli di questi giorni fanno infatti il punto sullo iato previsto tra i pensionamenti dei medici di base dei prossimi anni e la carenza di personale medico in grado di sostituirli. La contromisura che più probabilmente verrà adottata sembra essere quella di scaricare la fatica e la responsabilità di questo lavoro fondamentale sui tirocinanti in formazione. Questa contraddizione tocca un nervo scoperto in fatto di investimenti strutturali che qui proprio non possiamo approfondire, ma forse riassumere in parte sottolineando il rapporto di totale dipendenza che la formazione subisce da parte del mondo del lavoro capitalista e i suoi effetti. Riuscire a determinare le nostre attività (leggi: lavoro liberato dal ricatto del salario, ovvero lavoro da e per le comunità) a partire dalle priorità individuate dalla (con)ricerca e non viceversa è una sfida che riguarda oggi tutto il mondo della formazione, dalle scuole alle università e non solo. Sul ruolo delle istituzioni Supponendo che fin qui ci troviamo tutti d’accordo, cosa può fare la Regione se il governo non mette al bilancio più fondi per la sanità? Più in generale: come possono le istituzioni locali far fronte a problemi che, come dicevamo, nascono ben al di sopra di loro? La risposta è: quasi niente, almeno finché rispettano la propria vocazione mediatrice tra i livelli più bassi (ad esempio le Asl) e quelli più alti (ad esempio il Ministero della Salute). Per come funzionano oggi, questi organismi possiedono una spinta politica pressoché nulla, fino a risultare agli occhi dei cittadini poco più che uffici passacarte. Questo, si intende, a prescindere dalle buone intenzioni o meno degli attori che li incarnano. Si arriva quindi alla conclusione che quello che le istituzioni sono chiamate a fare
se vogliono portare in alto le istanze dei cittadini è tradire questa loro vocazione e dichiarare guerra aperta a chi sta sopra di loro. La Regione Toscana si schieri apertamente contro le direttive del governo e ne faccia la propria bandiera: solo così sarà dalla parte dei cittadini. Allo stesso modo, sta a noi ovviamente far valere e scagliare le istanze più giuste contro chi sta sopra di noi, perché la spinta non può avere origine altrove. Noi siamo la forza, il desiderio e la possibilità di cambiare il mondo. Guerra e salute Le spinte provenienti dall’alto sono infatti determinate da quello che noi concediamo. Oggi concediamo al governo Draghi di tagliare per l’anno corrente i sei miliardi di euro investiti nella sanità pubblica l’anno scorso (si prevedono peraltro ulteriori riduzioni per i prossimi anni) e di investirne invece altri tredici in spese militari, per affrontare (coerente, in effetti) una guerra di cui siamo già parte attiva. Nicoletta Dentico, in un articolo che abbiamo condiviso nell’ultimo numero di questa rivista, racconta in maniera efficace in che modo la guerra costituisca, proprio in termini di salute, la più brutale delle calamità a cui possiamo andare in contro. Non solo perché i soldi spesi potrebbero essere utilizzati in altro modo (ricordiamoci che i soldi ci sono sempre, sono solo nelle tasche dei ricchi), ma perché inviare armi all’Ucraina e prepararsi allo scoppio di una nuova guerra mondiale significa accettare uno scontro a livello internazionale (cioè tra stato- nazioni), costringendo i popoli a prendervi parte anche se nessuno sa davvero niente della genesi geopolitica del conflitto e non avrebbe alcun interesse a portarlo a termine se non per il fatto che «cazzo, ci stanno bombardando», ribadendo infine le infami gerarchie esistenti. In queste settimane in molte città dei paesi coinvolti (dalla Russia all’Europa agli Stati Uniti) stiamo scendendo in piazza per la solidarietà tra i popoli, contro una guerra decisa e fomentata da governi che finita la campagna elettorale non rappresentano quasi nessuno. A Firenze, molti dei tantissimi presenti in piazza Santa Croce sabato 26 marzo hanno ascoltato Zelensky solo come volto delle vittime della guerra, ma abbiamo l’impressione che rimangano pronti a condannare la NATO e governi dei paesi afferenti nel caso di un allargamento del conflitto armato.
Oggi una salute intesa come bene comune e non come servizio né come strumento di governo parte necessariamente dalla volontà di non accettare la nostra sofferenza né tanto meno di scaricarla su noi stessi (auto-incolpandoci, deprimendoci, ecc.), bensì dallo studio, dall’organizzazione e dalla scelta razionale di liberare la nostra rabbia nei confronti delle istituzioni in grado di rendere conto delle “radici che stanno in alto”. Firenze: si sciolga l’antidegrado e si abolisca la presa alla George Floyd written by perUnaltracittà L’episodio del fermo del giovane senegalese Pape Demba Wagne e l’indignazione suscitata dal video che mostra il soffocamento del venditore ambulante, per fortuna in questo caso senza esiti letali, hanno riacceso la discussione sul ruolo del Reparto Antidegrado della Pulizia Municipale. Le presunte azioni del reparto avevano già portato ad una manifestazione cittadina nell’estate del 2013. Sabato 16 aprile saranno due le manifestazioni a Firenze per chiedere chiarezza su quanto accaduto sul Lungarno Acciaioli, un presidio promosso dalla Comunità senegalese sabato mattina e il corteo pomeridiano promosso da Firenze Antifascista. Manifestazioni, non certo in contrapposizione, che si sostengono e rafforzano l’una con l’altra come appena dichiarato in una conferenza stampa congiunta da Comunità senegalese e Firenze Antifascista. IL REPARTO ANTIDEGRADO DELLA POLIZIA MUNICIPALE DI FIRENZE
La presenza di un Reparto Antidegrado all’interno dell’Area Prevenzione e Polizia Giudiziaria della Polizia Municipale, è la conseguenza di scelte politiche che vengono da lontano, dai primi anni duemila. È con la legge quadro del 1986 che vengono attribuite alla Polizia Municipale funzioni di polizia giudiziaria, polizia stradale e funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza, ma è negli anni della Giunta Domenici, in cui Graziano Cioni è assessore alla sicurezza sociale, sicurezza e vivibilità urbana e Polizia Municipale che il reparto sale agli onori della cronaca. Sono gli anni delle ordinanze contro i lavavetri e contro i mendicanti in cui si dice che l’accattonaggio: ‘Non è un reato, ma i mendicanti distesi per terra sono un grave ostacolo’. La città non ci sta, sono tante le proteste e le manifestazioni ma la Giunta e l’assessore Cioni vanno avanti e sempre nel 2008 arriva anche il nuovo regolamento di Polizia Municipale. Leggiamo nelle cronache del primo giorno di applicazione del regolamento di multe a una residente che aveva esposto dei panni ad asciugare sulla strada, di multe e allontanamenti per alcuni mendicanti perché recavano intralcio o fastidio ai pedoni, del sequestro del cane ad un altro mendicante in piazza Dalmazia e altre amenità. DECORO E TOLLERANZA ZERO, IL NEOLIBERISMO DALL’AMERICA A FIRENZE Erano gli anni del decoro, quelli in cui politici di destra e centro-sinistra andavano negli Stati Uniti ad imparare, con dieci anni di ritardo, la politica della tolleranza zero, nata a fine anni ’70, ma introdotta a pieno nei ’90 da Rudolph Giuliani a New York. Politica che in realtà sarà assai meno risolutiva di quanto sbandierato, ma i nostri politici aspiravano alla stella da sceriffo, da Cofferati fino ai leghisti. La politica delle ‘finestre rotte’ importata dagli Stati Uniti sostiene che la percezione dell’insicurezza conta più dei fatti. È lo stesso Cioni ad affermare che ‘Firenze è una città sicura rispetto al contesto italiano, ma al tempo stesso cresce l’insicurezza dei cittadini non tanto rispetto alla criminalità quanto piuttosto agli episodi di degrado che ci sono nella nostra città’. Compare quindi il micidiale binomio degrado-decoro.
Sono gli anni in cui si comincia a sentire l’effetto dei primi tagli al Welfare state, l’insicurezza sociale ed economica che le persone sentono viene distratta in questo modo verso gli ultimi della società: senza fissa dimora, prostitute, persone con patologie mentali o dipendenza da sostanze, migranti, ma anche giovani che fanno parte di gruppi politici, artistici o centri sociali. La narrazione tossica del neoliberismo racconta che la povertà è una colpa perché per smettere di essere povero basta volerlo. I FATTI DEL 2013, OPERAZIONI ANTIABUSIVISMO Arriviamo al 2013 quando un testimone che decide di restare anonimo consegna la sua testimonianza a Ornella De Zordo, consigliera comunale di perUnaltracittà, che decide di leggerlo durante una seduta del Consiglio comunale. Il testimone racconta di aver notato alla stazione di SMN un gruppo di 10-15 persone, due di loro, i più anziani, con in mano una ricetrasmittente, mentre i ‘più giovani si sarebbero quindi spostati di corsa verso la fermata della tramvia prendendo a pugni 5-6 giovani di colore scesi dal convoglio che avrebbero poi cercato scampo dalle botte fuggendo’. Il Comune ammetterà che proprio quella sera, il 13 giugno 2013, era in corso un’operazione antiabusivismo del Nucleo antidegrado di Polizia Municipale di Firenze. A tutto questo seguirà una grande manifestazione cittadina, la prima che chiederà lo scioglimento del Nucleo Antidegrado. LA DERIVA SECURITARIA, LE ORDINANZE I nove anni che separano l’episodio della Stazione da quello del Lungarno Acciaioli sono un susseguirsi di Ordinanze via via sempre più securitarie, da quella legata alle zone rosse, al divieto di stazionamento e passaggio da alcune piazza cittadine fino al daspo di 48 ore sempre per le stesse categorie indecorose, in poche parole i poveri. Ricordiamo anche come la parola “decoro” sia spesso la formula magica che permette l’inizio di una grande speculazione urbanistica all’interno di zone considerate degradate. Sappiamo bene come Firenze sia al centro degli appetiti di grandi holding immobiliari e finanziare, il decoro apre loro tutte le porte. I FATTI DI LUNGARNO ACCIAIOLI L’episodio di Lungarno Acciaioli che colpisce per l’ennesima volta la comunità senegalese che conta già tre morti da armi da fuoco armate da moventi razzisti ci
pone di nuovo di fronte al problema del ruolo del Reparto Antidegrado. La stessa Rsu Funzione pubblica Cgil del Comune di Firenze, ribadendo la correttezza delle ‘procedure previste per la gestione di questi casi’ chiarisce come ci sia un rapporto di 1 a 5 agenti tra il Reparto Antievasione (che controlla sul recupero delle somme non versate al Comune, sui canoni, sui tributi e sugli affitti in nero) e il Reparto Antidegrado. Definendo questa situazione ‘Una chiara scelta politica dell’Amministrazione’. La stessa CGIL ‘evidenzia lo stress generalizzato nel personale’ e ‘chiede formazione anche su gestione dei conflitti e autodifesa’. LA PRESA ALLA FLOYD: LE OPINIONI DI MANCONI E DEL GARANTE NAZIONALE DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTÀ Ribadiamo come di questa vicenda non conosciamo l’antefatto che dovrà essere chiarito, immaginiamo, in sede giudiziaria. Anche nel video tutorial sui diritti fondamentali dei migranti in caso di allontanamento del Garante nazionale delle persone private della libertà si afferma che “L’uso della forza e dei mezzi di coercizione nei confronti di coloro che si oppongano all’allontanamento è una misura di ultima istanza da applicare in caso di stretta necessità, senza sistematicità e sempre come provvedimento individuale. L’intervento deve essere proporzionato e rispettare la dignità e l’integrità fisica delle persone. IN NESSUN CASO PUÒ COMPORTARE COMPRESSIONI DEL BUSTO O DELLE VIE AEREE CHE IMPEDISCANO LA CORRETTA RESPIRAZIONE. Vige il principio che un allontanamento non può essere effettuato a qualsiasi costo. Chiudiamo con le parole di Luigi Manconi per cui la presa alla George Floyd con la persona prona, le braccia dietro la schiena, i polsi ammanettati e gli agenti che premono sulle spalle, scapole e dorso provocandone l’asfissia ‘vada cancellata dalle modalità cui fanno ricorso gli apparati di polizia in occasione di un fermo’.
Soffocamento ambulante illegale. Il tutorial del Garante nazionale delle persone private della libertà written by Redazione In merito alla vicenda del fermo dell’ambulante del 5 aprile scorso da parte della Polizia municipale di Firenze che ha portato al soffocamento di un ambulante, segnaliamo il video tutorial sui diritti fondamentali dei migranti in caso di allontanamento prodotto dal Garante nazionale delle persone private della libertà Il tutorial è disponibile all’indirizzo https://youtu.be/seVN_DN-qmI e al minuto 3.13 si possono ascoltare le seguenti parole: “L’uso della forza e dei mezzi di coercizione nei confronti di coloro che si oppongano all’allontanamento è una misura di ultima istanza da applicare in caso di stretta necessità, senza sistematicità e sempre come provvedimento individuale. L’intervento deve essere proporzionato e rispettare la dignità e l’integrità fisica delle persone. IN NESSUN CASO PUÒ COMPORTARE COMPRESSIONI DEL BUSTO O DELLE VIE AEREE CHE IMPEDISCANO LA CORRETTA RESPIRAZIONE. Vige il principio che un allontanamento non può essere effettuato a qualsiasi costo. Garante nazionale delle persone private della libertà Gli intrusi siete voi, levate l’assedio dal nostro quartiere. Lettera degli abitanti di Viale
Corsica written by Redazione Sono tornati e noi siamo contenti. Sono rientrati nello stabile abbandonato di Viale Corsica 81, dopo lo sgombero che ci aveva lasciato un’enorme tristezza, sono rientrati, lasciateli stare, lasciateci in pace. Eravamo abituati a vederlo vivo quel fabbricato, pieno di vita. Negli anni abbiamo costruito legami e rapporti tra noi abitanti della via e quelli dell’occupazione; ci siamo presi cura delle nostre strade, dei nostri spazi, insieme. “La città è il nostro giardino” la frase che ci ha unito, tutto quello che abbiamo fatto insieme, quello che ci ha legato. Abbiamo coltivato le nostre aiuole, piantato semi di piante e di civiltà; ci siamo presi cura del verde e mantenuto e costruito un’area cani per le esigenze di tutti; abbiamo cenato insieme solo per il gusto di stare insieme e fatto “colazioni resistenti”. In questi anni molti di noi si sono sentiti più uniti più vicini e sicuramente anche più protetti. Dai piccoli gesti di mutuo aiuto quotidiano all’organizzazione di piccoli eventi, laboratori di progetto e condivisione (ciclofficina, biblioteca, teatro, serigrafia….). Le strade non erano più solo un posto di transito veloce per rientrare ognuno nelle proprie case e rinchiudersi nella propria vita, estranei al vicino, senza connessioni. Le strade sono diventate una estensione della nostra casa, luogo di incontro e socialità. Dopo giorni di blocco della via, di isolamento, ci sentiamo prigionieri e non abitanti, ci sentiamo scomodi nelle nostre case, ci sentiamo che tutto questo non è giusto, ridateci casa nostra, il nostro quartiere, i nostri vicini. Dal nostro punto di vista gli intrusi siete voi. Levate l’assedio dal nostro quartiere. GLI ABITANTI DELLA VIA
Alta formazione a Firenze: i rischi di una monocultura economica. Dialogo con Leonardo Croatto written by Ilaria Agostini L’amministrazione fiorentina si sta indirizzando verso lo sviluppo di un nuovo turismo culturale, incentrato sulla cosiddetta “alta formazione”. «Diventeremo la capitale dell’alta formazione – afferma il sindaco Nardella a mezzo stampa –. Gli studenti stranieri raddoppieranno». Secondo Palazzo Vecchio, il potenziamento del settore fornirebbe anche soluzioni ai problemi demografici del centro storico e dei volumi vuoti, da Sant’Orsola al Maglio. Ne parliamo con Leonardo Croatto (FLC-CGIL). ILARIA AGOSTINI: Tu che lavori in quest’ambito come sindacalista puoi aiutarci a capire cosa si intende nel dibattito cittadino con l’espressione “alta formazione”? LEONARDO CROATTO: Il mondo dell’alta formazione è vasto. Firenze, per le sue caratteristiche storiche, è un contenitore di un numero particolarmente elevato di strutture di natura culturale, universitaria, post-universitaria. Molte di queste istituzioni sono private: mi riferisco alle imprese che producono formazione strutturata, destinata a studenti al di sopra dei diciotto anni. È essenzialmente su questo tipo di istituti – privati e, quindi, sul mercato – e sul loro richiamo culturale, che si impernia l’attuale dibattito sull’economia della città. A Firenze e nei comuni limitrofi abbiamo più di una quarantina di università americane o straniere, incluse le aziende italiane che si accreditano all’estero (ad esempio, la Lorenzo de’ Medici o il FUA- Florence University of Arts). Poi gli istituti di alta formazione per l’arte, l’artigianato e per la moda (tra cui: lo IED-Istituto Europeo di Design, Marangoni, Polimoda, la Scuola di musica di Fiesole, l’Alta
scuola di pelletteria di Scandicci, etc.). Hanno dimensioni molto diverse: da poche unità di dipendenti, a più di un centinaio; da poche decine di studenti a semestre, fino a molte centinaia. E sono scuole accessibili per lo più a fasce medio-alte (benché qualche studente provenga anche da famiglie non ricche); poi esistono agenzie di natura mista pubblico-privato [o private finanziate da fondi pubblici] che, facendo formazione regionale (quella da catalogo), sono frequentate da elementi provenienti da classi meno abbienti e locali. Prevalentemente, tuttavia, l’alta formazione a cui si fa riferimento nel dibattito fiorentino è quella che richiama studenti stranieri. Ogni semestre arrivano a Firenze migliaia di studenti stranieri. Nel 2018, in Italia, abbiamo avuto 35.000 studenti statunitensi; di questi, oltre 12.000 hanno studiato in Toscana. Agli studenti USA si aggiungono poi le migliaia di studenti che arrivano dagli altri paesi: è una fetta consistente di popolazione, in una città di 350.000 residenti. Con all’ASAUI (l’associazione dei docenti università americane in italia, ndr) abbiamo provato a fare un conto: nei momenti di picco, gli addetti nelle università americane a Firenze sono almeno 3.000. Questo prima del covid, ora la situazione è probabilmente diversa. IA: In cosa si distingue l’afflusso connesso all’alta formazione dal turismo normalmente inteso? Che bisogni e che impatto ha, dal punto di vista culturale? LC: È difficile distinguere i bisogni di questi soggetti rispetto ai turisti “normali”. Si tratta di un contingente piuttosto omogeneo: studenti, ma anche professori, funzionari con alto livello di istruzione. Tutti instaurano un rapporto particolare con la città. Oltre a consumare molti alcolici e panini (ciò è vero soprattutto per quanto riguarda gli studenti), vorrebbero consumare qualcosa che non trovano: più cultura. Ma se, da una parte, essi si attendono maggiori stimoli culturali, dall’altra è innegabile che la loro presenza abbia ricadute culturali sul tessuto cittadino. In una città piccola, una densità tanto elevata di luoghi di alta formazione alza il livello della scolarità, della cultura. Se questo settore avesse una sua visibilità e opportunità di funzionare a servizio della città, produrrebbe un impatto culturale di maggiore spessore. IA: Con quale immagine di Firenze arrivano gli studenti e i docenti stranieri? E quale è l’opinione che se ne fanno abitandoci?
LC: Per rispondere devo partire da lontano. Firenze non è più una città manifatturiera, l’alta qualità produttiva non è più in città. Si fa prima, e meglio, a far soldi col turismo, che ha meno bisogno di specializzazione. Per esempio, il turismo croceristico che arriva, mangia un panino, compra una borsa di pelle e se ne va, non ha bisogno di nulla. Paradossalmente, Firenze produce i suoi turisti senza impegno dell’essere umano. Minimo investimento, massima resa. La scelta di puntare sull’alta formazione – per quanto essa possa essere in qualche modo assimilata a una forma di turismo – la vedo perciò come un piccolo passo in avanti, poiché attrae soggetti che maturano un rapporto più intenso nei confronti della città. Che vivono lo spazio urbano, si relazionano col vicinato, devono riempire le serate. Per inciso, le imprese formative sono presenti “naturalmente” anche senza una programmazione, o un progetto di lungo periodo che le richiami: la città ha una capacità naturale di attrazione degli studenti stranieri. L’idea per cui questo tipo di studenti viene da sé è comunissima. Finora nessun sindaco e nessun presidente del consiglio regionale ha fatto nulla, contrariamente a quanto dichiarato. E così, la città non offre a questi ragazzi niente di meglio di quello che offre ai turisti di un giorno. In questo modo, il rapporto tra alta formazione e Firenze si inceppa. Se la città non si mette al servizio del percorso educativo, l’esperienza si riduce a bere birra e passare le nottate per le strade. IA: Descrivi un classico scenario da “movida”. Quale potrebbe essere una possibile soluzione? LC: Il salto di qualità starebbe nel creare le condizioni idonee a favorire un’offerta culturale che distolga da questo tipo di consumo. Si dice che gli studenti più svegli di questi programmi vadano via delusi, perché si aspettavano un’offerta più ampia, più culturale. Detto in altri termini, Firenze non si dimostra uno strumento di soddisfazione culturale. IA: In città, come sai, esistono molti volumi vuoti, in posizione centrale e dal carattere monumentale. Alcuni di questi “contenitori” sono destinati ad accogliere massicciamente funzioni relative all’alta formazione. Che ne pensi di questo approccio? LC: In assoluto non sarei d’accordo, ma relativamente alla situazione può essere plausibile. Sono dell’opinione che abbia poco senso, infatti, puntare
esclusivamente sull’alta formazione, perché il centro storico è carico. Ma che altro si può fare con questi edifici? Sempre meglio una scuola che un museo vuoto (come quei musei privati a cui sono stati affidati palazzi centralissimi e che non attirano nessuno). Meglio che un albergo di lusso o l’ennesimo negozio di grande superficie. La valutazione è relativa, il problema è la mancanza di una visione complessiva. Questi studenti sono molti e hanno influenza sulle dinamiche degli affitti… LC: Ecco, a proposito di affitti: spingere verso una città che offre alta formazione come nuova ipotesi economica, in forma monoculturale, non rischia di essere poco lungimirante dal punto sociale? IA: Certo, è il pericolo principale. Tuttavia, realizzare uno studentato o un campus dove studenti e docenti vivono tra di loro, isolati, ha poco senso, anche perché il senso di questi settori formativi è vivere un rapporto con la città. Se viceversa li mescoli alla città, gli studenti incidono sul mercato degli affitti. Gli affitti brevi – quelli da tre-quattro mesi destinati a studenti stranieri – mangiano un mare di affitti. Una situazione che è comunque meglio di airBnB (a cui un sindaco normale dovrebbe fare una guerra senza quartiere, ma questo è un altro discorso…). Il loro modo di vivere è estraneo alla cultura abitativa locale. Provengono da esperienze di vita suburbana in famiglia, o in campus universitari, serviti e riveriti. Quella che vivono qui è la loro prima esperienza di vita autonoma in un contesto “ostile”. Insomma, la presenza di studenti stranieri modifica l’offerta del territorio, ma probabilmente in maniera meno dirompente del turismo mordi e fuggi. Hanno bisogno del commercio di vicinato, del pane, non vanno all’ipermercato in periferia. Non è detto che questa modifica sia del tutto negativa, certo bisognerebbe averci riflettuto prima, aver fatto una programmazione, aver pianificato. L’amministrazione cittadina dovrebbe riflettere in due direzioni. Prima riflessione: cosa si offre loro, quando la città offre unicamente sé stessa? quando gli amministratori non devono fare alcuna fatica, non hanno bisogno di fare un progetto, perché il progetto è Firenze? La seconda riflessione è: come si modifica l’antropologia dei luoghi in cui questi ragazzi precipitano? Magari potremmo avere un centro storico vivo, con un sacco
di gente, con spazi di aggregazione frequentati da “vecchini” e da questi ragazzi; sarebbe interessante, inoltre, il confronto tra questi studenti diciottenni-ventenni e quelli delle scuole superiori. IA: Si pone però il problema dell’aumento del costo della vita in città, l’aumento degli affitti… LC: Certo, quello è dato. Però oggi la concorrenza dell’affitto 4+4 è con airBnB, più che con gli affitti per studenti. IA: In sintesi, questa insistenza sull’alta formazione la vedi come il meno peggio? LC: Il meglio sarebbe che Firenze avesse un’economia mista, dove in centro potessero vivere tutti, anche, com’era a suo tempo, gli operai che andavano a lavorare alla Fiat a Novoli. Bisognerebbe fosse così la città, ma siccome non è così, quello che si dovrebbe fare è una programmazione, un calcolo di quanti studenti può sopportare Firenze. Duemila-cinquemila-diecimila studenti? Programmare se e quanto crescere, senza mettere tale crescita in concorrenza con gli abitanti, ma con i turisti di un giorno. IA: Dal punto di vista sindacale – quanto a contratti lavorativi e a condizioni di impiego – puntare sull’alta formazione porta un miglioramento? LC: Sì, senza appello. I datori di lavoro del settore sono – salvo eccezioni – ricchi. Gli operatori sono professionisti, laureati (anche l’impiegato in segreteria raramente ha solo il diploma), hanno conoscenze linguistiche. La richiesta di alta professionalità e specializzazione produce buoni posti di lavoro dal punto di vista della quantità e dell’economia. Il confronto con qualsiasi altra attività ricettivo- turistica e professionale è impietoso. E se poi li metti a paragone con il cameriere al nero o con il personale di servizio negli alberghi… La città si riempie di lavoratori ad alto spessore culturale: artisti, autori, scrittori, traduttori, musicisti… Magari la città riuscisse a dar loro visibilità, spazio: sarebbe utile alla città e farebbe contenti i lavoratori nell’alta formazione. Dentro queste strutture ci sono risorse culturali inespresse, è uno spreco monumentale. IA: È alta la precarietà nell’alta formazione? LC: Sì. In effetti, la precarietà purtroppo è alta, in particolare nelle figure a più alta professionalità: docenti che impartiscono singoli corsi, che lavorano su più
strutture, con contratti fatti a caso e tante partite iva. Fortunatamente però il reddito è mediamente elevato e consente di condurre vite dignitose. Ma esiste un problema contrattuale. Il tasso di sindacalizzazione formale è basso, fatto normale nelle strutture non italiane. Ma con alcune abbiamo un rapporto ottimo. Insomma, è vero che tra i docenti il 25% circa ha contratti precari, ma dall’altra parte – nel turismo – abbiamo lavoratori al nero. IA: A quanto affermi in merito allo spreco di un potenziale da parte della città, aggiungerei che ciò si inserisce nel solco di scelte politico-cuturali che da lungo tempo non interpellano, non coinvolgono nemmeno l’intellettualità fiorentina, la quale resta – colpevolmente – in silenzio. LC: I docenti delle università straniere fanno fatica, fuori dal lavoro, a dare un senso alla loro esperienza professionale. E qui c’è un elemento di natura sindacale: le università americane di cui questi soggetti sono figli non riconoscono ai docenti che lavorano là dentro lo status di professore. Quindi: professori a tutti gli effetti, che fanno esami, alcuni seguono tesi, non possono scrivere il titolo di prof. nemmeno in calce alla mail. Però, per tornare alle potenzialità culturali non espresse sacrificate al turismo di un giorno: quale città al mondo, di 350.000 abitanti, ha in seno più di una quarantina di università americane e tutti gli istituti di moda e di arte che ho citato sopra? A cui si aggiungono l’Università di Firenze (4.285 tra docenti e tecnicici-amminsitrativi, 53.772 gli studenti iscritti nel 2020), l’Accademia di Belle Arti, l’ISIA-Istituto di Design, senza dimenticare l’Università Europea alla Badia fiesolana? Roma ne ha di più, certo, ma ha una superficie urbana smodata e un numero enormemente più elevato di abitanti. Firenze, 3 febbraio 2022 Mondeggi Bene Comune e la sfida alla Città Metropolitana: intervista
a Roberto Checcucci di Ornella De Zordo written by Ornella De Zordo Nel luglio 2021 il sindaco Nardella teneva una conferenza stampa per dichiarare la volontà dell’amministrazione di non vendere la tenuta di Mondeggi. Annunciava di volerla recuperare grazie ai fondi europei del PNRR, e iniziare un confronto con la comunità di Mondeggi Bene Comune, per valutare la possibilità di arrivare a un progetto condiviso. Un progetto di notevole entità, visto che l’importo è stimato in 48 milioni di euro, a cui ne vanno aggiunti 4 per la progettazione definitiva ed esecutiva. Su questo processo abbiamo intervistato Roberto Checcucci attivo nella Comunità di Mondeggi dall’inizio – cioè 8 anni – e che si occupa in particolare della gestione del bene comune. Vi aspettavate questo annuncio da parte di Nardella? E cosa è successo dopo? La decisione della Città metropolitana ci ha colti veramente di sorpresa, vista l’insistenza con cui in passato aveva ribadito l’intenzione di vendere la tenuta. Questo cambiamento, dopo 8 anni di silenzio alternato a minacce di sgombero, ha prodotto un ricco e articolato confronto interno nel quale, malgrado l’esperienza negativa avuta, ha prevalso l’orientamento di andare a verificare la reale intenzione della Città metropolitana. Abbiamo quindi più volte chiesto formalmente l’inizio del preannunciato dialogo. Ma la Città Metropolitana non ha dato cenno di risposta, nonostante il pochissimo tempo dato dal Ministero per predisporre un progetto. Come comunità, abbiamo comunque intrapreso un percorso progettuale interno, finalizzato sia alla sistematizzazione di tutte le attività che stiamo portando avanti, sia alla definizione di un progetto da estendersi su tutta la tenuta di Mondeggi. Ci tengo a dire che nel frattempo abbiamo continuato a lavorare e curare la terra, così come facciamo da otto anni a questa parte. Avete lavorato molto e bene a progettare un futuro per Mondeggi, e l’11 dicembre avete organizzato un incontro pubblico nel quale avete presentato “Mondeggi oltre Mondeggi – un progetto condiviso per il futuro”, a Ponte a Ema.
E’ stato un grosso lavoro collettivo di tuta la comunità, che si ancor più unità attorno ad un’idea davvero comune sulla Mondeggi del futuro. Da questo lavoro è anche scaturita la mappatura “Passaggio a sud-est” a cura del Forum Beni Comuni Firenze e il progetto “Mondeggi bene comune”; lo abbiamo presentato pubblicamente al Circolo l’Unione e in quell’occasione ci sono stati vari interventi e un laboratorio di coprogettazione dove sono stati coinvolti associazioni e cittadini tutti. In che modo hanno partecipato le istituzioni? Benché invitate, erano assenti, e questa assenza la dice lunga sulla loro disponibilità nei nostri confronti, ma noi vogliamo arrivare in fondo, cioè non vogliamo sottrarci ma verificare se e come verrà recepito il nostro progetto, nel quale abbiamo investito – e stiamo investendo – tempo e energie. Quali sono i punti di forza del progetto? Quelli sui quali abbiamo lavorato concretamente in questi anni: agricoltura agroecologica, sostenibilità energetica, inclusione sociale, cura della persona, libera trasmissione dei saperi, nella forma di “bene comune”, ovvero una forma innovativa di autogoverno partecipato e orizzontale della proprietà pubblica. Ora, se da un lato la privatizzazione del bene sembra definitivamente scongiurata (e questo lo riteniamo comunque una nostra conquista dovuta alla capacità di tenuta e di resistenza della nostra esperienza), dall’altro non esistono ancora garanzie formali circa il futuro che riguarda la nostra comunità.
Ad oggi la nostra priorità politica è la salvaguardia e la valorizzazione della proposta che a Mondeggi ha visto coesistere ambito agricolo e sociale. la Dichiarazione di Uso Civico rappresenta ancora il nostro punto di riferimento, nonché una strada praticabile, adesso come in passato. Finalmente qualcosa si è mosso all’inizio di quest’anno. Cosa? Solo all’inizio di quest’anno qualcosa si è definitivamente messo in moto: la Città Metropolitana ha infatti incaricato due squadre di tecnici, appartenenti alle Facoltà di Architettura ed Economia dell’Università di Firenze, di redigere un progetto di fattibilità tecnico-economica da inoltrare entro il prossimo 21 marzo al ministero competente. In caso di esito positivo, avrebbe luogo la progettazione nel dettaglio. I tecnici ci hanno incontrato e hanno ascoltato le nostre idee e le proposte che abbiamo elaborato. Staremo a vedere se questo ascolto produrrà dei frutti. Veniamo a tempi più recenti: il 25 marzo scorso la Città Metropolitana ha formalizzato la decisione di inserire il recupero di Mondeggi tra gli interventi da finanziare con i fondi europei del Pnrr. In quella data con un atto dirigenziale sono stati formalmente approvati i progetti di fattibilità tecnica economica e gli studi di fattibilità redatti per la candidatura della proposta progettuale “Rigenerazione territoriale della Tenuta di Mondeggi“. Un passo concreto. Il progetto che avete elaborato rispecchia l’impostazione del lavoro che avete svolto finora e mi sembra di capire che mantenga i due punti qualificanti della gestione di Mondeggi come bene comune e della gestione agroecologica dei terreni. Che valore hanno per voi? Sono punti imprescindibili. E’ fondamentale allargare le modalità gestionali specifiche di questa esperienza a tutte le realtà che parteciperanno al progetto. Con una reale coprogettazione. Si tratterà di capire cosa risponderà la Città metropolitana al progetto di Mondeggi Bene Comune, nato dalla partecipazione collettiva di chi ha vissuto e animato l’esperienza. Noi le idee le abbiamo chiare. Ora vediamo cosa rispondono. Basta che quanto scritto nell’atto della Città metropolitana, e cioè che: “La strategia di progetto intende preservare il bene nel suo complesso, valorizzando un approccio unitario e integrato sia nelle soluzioni programmatiche, sia in quelle spaziali, attraverso un sistema di interventi strutturali organizzati attorno a quattro asset progettuali: i beni territoriali, le reti, i beni architettonici, le attrezzature” non siano solo parole. Noi siamo abituati a far coincidere le parole ai fatti. Ora sta a loro dimostrare che sono all’altezza della sfida non solo organizzativa, ma anche culturale, sociale e
economica che abbiamo posto. Corsica 81, un’occupazione nata dal bisogno e dal desiderio written by Corsica 81 Dal 5 aprile lo stabile di viale Corsica è di nuovo occupato, ecco le dichiarazioni degli occupanti. A seguire l’articolo. OCCUPATA DI NUOVO CORSICA 81 ACCORRETE. NON PER NOI MA PER TUTTI Abbiamo detto che Corsica è ovunque aprendo degli spazi il giorno dopo lo sgombero perché volevamo dire che sì: Corsica può essere ovunque, che non siamo legati alla esistenza di quelle quattro mura e che non ci spaventa certo uno sgombero perché noi potremmo prenderne altri mille di posti. Potremmo ma no. Ancora non eravamo pronti a dire basta, a fare le valigie ed andarcene dalla nostra casa, a sentir parlare di un posto svuotato da tutta la sua linfa vitale improvvisamente, di un posto murato e destinato nuovamente all’abbandono e alla speculazione come di uno spazio liberato. Oggi abbiamo riaperto l’occupazione di Corsica 81, la abbiamo privata delle catene che la hanno chiusa nelle ultime tre settimane. Abbiamo detto qualche giorno fa che dieci anni di occupazione non si cancellano con un colpo di spugna, magari perché siamo giovani ma per noi sono tanti. Dieci anni di lotte amori e affetti, in cui centinaia di persone hanno chiamato questo luogo casa, senza aver avuto bisogno di abitarci. Qui abbiamo imparato l’autogestione e abbiamo potuto vivere meglio, senza essere schiacciati dal ricatto del lavoro di merda. Ad una vita votata al sacrificio abbiamo preferito la gioia, qui abbiamo vissuto bene e vogliamo continuare a farlo. Abbiamo sempre saputo da che parte stare: contro chi devasta e fa profitto, annichilisce le nostre vite in nome del progresso e uccide in nome della pace, contro chi contribuisce all’avanzata del deserto. In una città in cui sfratti, sgomberi e telecamere sono la prima preoccupazione anche in periodo di guerra e
pandemia e in cui tutto deve essere votato al consumo e al profitto, in un quartiere che sta cambiando velocemente soggetto come è agli interessi della TAV come dei mille supermercati, non lasceremo che si prendano tutto. Non siamo del resto noi gli unici a voler far vivere ancora questo luogo, lo ha dimostrato chi è venuto al corteo del 19 e chi ci ha applaudito dalle finestre, chi ci ha scritto un messaggio e chi ci ha accolto con un abbraccio come gli occhi lucidi delle persone che guardavano le finestre murate. Pensiamo che riaprire le porte di corsica sia dovuto ad ognuna di queste persone. Ma anche ai tanti compagni di cammino che ancora non abbiamo incontrato, e che forse potremo conoscere anche grazie a questo sgombero. —————————————————————————————————— L’occupazione di viale Corsica 81 nasce dal bisogno e dal desiderio. Lo stabile fu occupato nel novembre del 2012 da un gruppo di giovani ragazzi e da nuclei familiari che si organizzavano insieme al movimento di lotta per la casa. Col tempo le famiglie sono migrate verso sistemazioni più stabili, mentre la componente giovanile è rimasta, è cresciuta ed è cambiata nel tempo. Nata dal bisogno appunto, e dalla volontà di emancipazione, perché il diritto all’abitare va inteso nella maniera più larga possibile e non limitato solo alle situazioni estremamente emergenziali cui lo vorrebbero relegato certi caritatevoli che non si sognano nemmeno lontanamente di
affiancare alla pietà la critica della proprietà privata. Il diritto all’abitare riguarda anche gli studenti fuorisede, obbligati a lavorare per pagarsi gli studi, e i giovani proletari che devono condividere con la famiglia case piccole e opprimenti senza potersi liberamente esprimere in un momento cruciale della loro vita. Ma accanto a questo c’è stata sin da subito la voglia di provare a sperimentare forme di vita diverse, dove provare a condividere molto, se non tutto, dai pasti alle esperienze. Insomma, il tentativo di costruire una vivace comune urbana che fosse tutto il contrario dello stile di vita indotto dalla società occidentale che spinge verso l’isolamento e il consumo. Quello che si è provato a fare, in sostanza, è stato abitare veramente un luogo; senza viverlo come un luogo di passaggio, dove rientrare a dormire poche ore la notte, tra una serata in discoteca e un lavoro mal pagato, ma un ambiente con cui interagire e da modificare secondo i nostri desideri e i nostri bisogni. Se, come diceva Walter Benjamin, “abitare significa lasciar tracce”, possiamo dire che come occupanti di Corsica abbiamo abitato davvero il quartiere. La sistemazione dell’area cani autogestita in fondo alla strada, che da spazio abbandonato e invaso dalle erbacce è diventato uno dei giardini più frequentati del quartiere; la lotta ecologista contro il taglio scriteriato degli alberi voluto dall’amministrazione comunale, che nel corso di un’estate è riuscita a desertificare una delle vie più verdi di Firenze; il cinema estivo in piazza Dalmazia; le pizzate nel giardino dell’occupazione; i concerti e le presentazioni di libri; sono solo alcune delle molteplici attività che sono state messe in campo nei dieci anni di occupazione. Senza mai volersi porre come modello (i modelli conservano sempre in sé qualcosa di autoritario), ci siamo limitati a mettere in campo le esperienze in nostro possesso. E la soddisfazione più grande è stata vedere come, nei periodi dove le preoccupazioni personali ci allontanavano dalla cura dei dintorni, altri abitanti del quartiere si organizzassero autonomamente facendo tesoro delle pratiche di autogestione che avevamo condiviso. La comprensione reciproca delle esigenze è sempre stata la base del nostro rapporto col quartiere, ma ci preme sottolineare che queste cose non venivano fatte per ricercare qualche sorta di riconoscimento politico o giustificazione dell’occupazione, ma solo perché per noi rappresentano il modo qualitativamente più alto di vivere. Questa comprensione col quartiere si è vista nella facilità con cui gli abitanti hanno decostruito la narrazione che i giornali facevano dello
sgombero e del corteo che ne è seguito, senza che ci fosse nemmeno bisogno da parte nostra di fornire una versione. La storia del quartiere messo a ferro e fuoco non ha retto all’evidenza dei fatti: l’unica cosa di cui si è notato il danneggiamento la mattina seguente sono stati banche e parchimetri, oggetti verso cui è difficile provare simpatia. Anche le promesse sul riutilizzo dello stabile sono state velocemente smascherate: ognuno si rende conto del fatto che il Comune non ha nessun intenzione di investire sulle periferie, che sono redditizie solo in quanto dormitori. Fa ridere da questo punto di vista che le proposte per il riutilizzo di Corsica, dalla biblioteca al centro giovani, siano tutte cose che dentro l’occupazione esistevano già, come se la volontà di migliorare effettivamente la vita di un quartiere passasse totalmente in secondo piano quando questi progetti vengono presi in mano in maniera diretta da chi i quartieri li vive. La capacità di organizzarsi da soli mette profondamente in crisi la legittimità delle istituzioni in quanto gestori di tutti gli aspetti della nostra vita, per questo esperienze come la nostra vengono represse quando rifiutano di integrarsi nel modello dominante. Il tentativo di organizzare una comune urbana, a differenza di esperienze simili che prediligono luoghi rurali, deve confrontarsi necessariamente col piano del politico. La città è il luogo prediletto di estrazione del capitale, ed è impossibile provare a gestire liberamente la propria vita senza fare i conti con i conflitti che inevitabilmente nascono da questa ricerca di autonomia. Per questo Corsica 81 è stata anche, forse soprattutto, un posto dove si organizzavano lotte. L’autonomia personale è impossibile senza l’autonomia collettiva. La liberazione di uno non può darsi senza la liberazione di tutti. Dalla lotta per la casa a quella per i migranti, dall’opposizione alle grandi opere al sostegno delle lotte sul lavoro, dalla lotta del Rojava a quella contro le disposizioni disciplinari nel periodo della pandemia; poche situazioni ci hanno trovato indifferenti nel corso degli anni. L’attacco che abbiamo subito si può leggere soprattutto in questo senso. C’è una volontà di allargare la speculazione a la messa a profitto dal centro città alle periferie, certo, ma non è solo questo. Quello che fa più paura della nostra realtà è che mostra in maniera palese come altri progetti di vita e di città siano possibili.
Progetti basati sulla condivisione e sull’attivazione, e non sulla delega e la speculazione. Progetti radicalmente alternativi a quello che continuano a imporci col cemento e col manganello. Per questo esperienze come la nostra, seppur limitate nello spazio e riguardanti un numero di persone relativamente piccolo, hanno così tanto risalto e possono aiutare a tracciare un sentiero da percorrere. L’idea di città che ci è stata imposta si sta rivelando sempre più insostenibile. Sta a tutti noi cominciare a pensare maniere per uscire da queste costrizioni e immaginare nuove possibilità di vita. Noi abbiamo cominciato. Sgomberi e sfratti nella Firenze del pensiero unico written by Francesca Conti La crescita esponenziale degli sfratti e gli sgomberi di occupazioni storiche come Corsica 81 sono il segnale che Firenze è entrata in una fase ulteriore, e forse finale, della trasformazione neoliberista della città. I sindacati degli inquilini insieme ai confederali denunciano in città 20 sfratti con la forza pubblica alla settimana destinati, secondo il Sunia, a salire a 130 al mese: un massacro sociale. In contemporanea lo sgombero della storica occupazione di Viale Corsica, spazio che oltre ad ospitare eventi musicale, culturali e politici dava ricovero momentaneo a chi si trovava senza casa, apre la strada all’espulsione dalla città delle esperienze che si oppongono al pensiero unico e alla trasformazione di chiunque viva a Firenze esclusivamente in un consumatore. Ex- Emerson e Polveriera sono già minacciate di sfratto. Una criminalizzazione continua, vedi l’Occupazione di Via del Leone, verso chiunque si opponga alla gentrificazione e turistificazione della città.
A questo si aggiunge l’approvazione da parte della Giunta di alcune modifiche al regolamento della Polizia Municipale tra cui un mini Daspo di 48 ore da una zona o da un intero quartiere per chi importunerà i passanti: mendicanti, parcheggiatori abusivi, ambulanti irregolari, ubriachi molesti e chi commette atti osceni in luogo pubblico. È evidente che il provvedimento, spacciato come risposta alle sacrosante proteste dei residenti del centro storico, esasperati da notti insonni a causa dei locali spuntati come funghi dopo le liberalizzazioni delle licenze e abbandonati da anni dalle amministrazioni, rappresenta tutt’altro. Al solito l’unico scopo che si vuol raggiungere è l’allontanamento dei poveri, dal mendicante al senzatetto, dal centro storico e da altre zone della città. Tutto questo non è pensato per migliorare la vita di chi vive la città ma per renderla più appetibile ai turisti e soprattutto agli investitori, meglio se stranieri. Il fatto che i beneficiari della bonificazione della città siano gli investitori stranieri è lampante nel momento in cui si decide di trasformare il Palazzo delle Poste di Via Pietrapiana in uno studentato Camplus per studenti stranieri benestanti. Studenti che una volta insediati nel nuovo diventeranno frequentatori dei locali del centro dove si consuma alcol a poco prezzo. Poco cambia a quei pochi residenti rimasti se le urla saranno in italiano o in altre lingue. Anche lo sgombero delle occupazioni dove tanti ragazzi e ragazze si riunivano per feste ed eventi non fa che togliere agibilità a tante persone che vivevano spazi non destinati al consumo. I giornali si stupiscono che i vicini di casa di Corsica 81 abbiano scritto agli occupanti per ribadire la loro solidarietà con un’esperienza che si era integrata bene nel quartiere, temendo adesso la presenza di un edificio vuoto alla mercè di chiunque. Si ripulisce la città dai non graditi accattoni e
clochard, si sgomberano luoghi dove si esercita il pensiero critico, si buttano fuori di casa centinaia di famiglie messe in ginocchio dalla crisi economica, dai prezzi delle bollette e degli affitti alle stelle. Il tanto citato La Pira, una volta eletto nel ’51, leggendo i numeri degli sfratti che quell’anno erano arrivati a 600, decise di requisire immobili privati sfitti per metterci le persone rimaste senza casa. Di fronte alle critiche rispose che ‘un sindaco che per paura dei ricchi e dei potenti abbandona i poveri – sfrattati, disoccupati, licenziati e così via – è come un pastore che per paura del lupo abbandona il suo gregge’. Chissà cosa direbbe oggi che la classe politica dominante sta completando la trasformazione in “cane da guardia” dei ricchi e dei potenti. La Corsica non è un’isola written by Corsica 81 Dieci anni di occupazione non si cancellano con un colpo di spugna. Quando Corsica fu occupata, nel novembre del 2012, tante cose erano profondamente diverse, ma tante cose sembrano simili, se non addirittura uguali. Anche allora una crisi di diversa natura aveva prodotti gli stessi effetti che stiamo vivendo oggi. Impoverimento, insicurezza, smarrimento esistenziale e miseria sociale. Un gruppo di ragazzi e ragazze, accomunate dalla capacità di immaginazione e dalla fiducia nella lotta, decise di organizzarsi per riprendersi un pezzo di quella vita che stava finendo bruciata nelle tasche degli speculatori.
In questi dieci anni non c’è lotta di cui non ci siamo interessati, non c’è gruppo di oppressi che non abbiamo supportato, sempre scommettendo sul fortissimo senso di comunità che ci unisce, più che su una linea politica o su un’organizzazione strutturata. A giudicare da tutti quelli che sono venuti in piazza oggi, possiamo dire che la scommessa è stata vinta. Non vediamo motivi per cui dovremmo fermarci qui. Altri dieci anni di sfide ci aspettano. Lo sgombero di un posto che abbiamo tutti chiamato casa, molti pur senza averci vissuto un giorno, non può che lasciarci addosso una ferita molto dolorosa. Ma Corsica non era quelle mura. Corsica è tutte le persone che erano in piazza oggi. Corsica è un’idea di città radicalmente diversa da quella che vorrebbero imporci con le ruspe e con i manganelli. Un’idea che oggi abbiamo provato a riaffermare. Altre Corsiche nasceranno, altre comunità disposte a non delegare la gestione della propria vita, ma a progettarla e organizzarla ogni giorno. Giorni come questo fanno crescere, fanno diventare adulti, ma ci ricordano anche che è giusto combattere per i sogni che abbiamo sin da bambini. Pensavamo che la Corsica fosse un’isola, oggi abbiamo scoperto che è un intero continente. Quartiere 2 a Firenze, tristi cronache di periferia. Puntata 3: il Mandela Forum e San Salvi written by San Salvi chi può
Il basamento per il prefabbricato della palestra, in costruzione Il Nelson Mandela Forum, di proprietà del Comune, situato nella grande area sportiva di Campo di Marte, è il più grande palasport della Toscana e uno fra i maggiori per capienza d’Italia. La sua particolare importanza e qualità strutturale, risiede in una accentuata poli-funzionalità, in un mobile assetto interno che la rende perfettamente adattabile ad ospitare ogni tipo di manifestazioni: dalle competizioni sportive indoor, ai concerti, agli spettacoli ma anche ai congressi, alle mostre, ai meeting e tanto altro. Infatti dal 2021, il palasport si è prestato ottimamente anche ad accogliere il più grosso e funzionale centro vaccinale della regione, per la lotta al coronavirus. Fino al settembre del 2020, per quasi 17 anni il Mandela Forum è stato gestito
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