RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - mercoledì 8 aprile 2020

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 8 aprile 2020

(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)
«Troppe fabbriche rimaste aperte. Evidenti abusi rispetto al decreto» (Piccolo)
«O si inizia a ripartire oppure le conseguenze saranno irreparabili» (M. Veneto)
Sindacati all'attacco di Poggiana: «Criticità enormi e lui è latitante» (Piccolo)
Mangiarotti e Cimolai riaprono. Fincantieri solo dopo Pasqua (Piccolo)
Passeggiata con i bimbi, restano i divieti: «Tenere alta la guardia» (Piccolo)
Visita parenti a distanza nella casa di Mortegliano (M. Veneto)
Ancora code fuori dalle poste e dalle banche (Piccolo)
Buoni spesa, decise le modalità di accesso dall'Ambito socio-assistenziale isontino (Piccolo)
Nasce il reparto Covid al Burlo. E al Maggiore chiude l'area Prime cure (Piccolo)
Fincantieri, meno utili ma ricavi record. Bono: «Aiutiamo la rinascita del Paese» (Piccolo)
Lignano e Grado in affanno. La Regione pensa agli aiuti (M. Veneto)
Bofrost, premio da un milione di euro ai 2 mila 400 dipendenti e collaboratori (M. Veneto)
In casa con il nemico, la paura delle donne (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 12)
Cassa integrazione al "Città di Udine". Medici e infermieri a casa: è polemica (Mv Udine, 3 articoli)
Electrolux, da lunedì riparte il settore ricerca e sviluppo (M. Veneto Pordenone)
Altre due vittime, di San Vito e Cordovado. Prefettura in pressing sulle case di riposo (Mv Pordenone)
I sindacati al prefetto: anziani da monitorare (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
La nuova gestione del Cara esordisce con sei esuberi (Piccolo Gorizia-Monf.)
Il Comune vara un bilancio di guerra incardinato su welfare e lavori pubblici (Piccolo Gorizia-Monf.)
Causa del Comune nei confronti di A2A. Il processo civile rimane a Gorizia(Piccolo Gorizia-Monf.)

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ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)

Aziende in fuga dalla serrata. Voglia di riavviare i motori per 12 imprese strategiche (M. Veneto)
Elena Del Giudice - Un piccolo esercito di mille 677 imprese, tra le province di Udine e Pordenone, che
stanno continuando a lavorare nonostante lo stop imposto dal decreto della Presidenza del consiglio dei
ministri. A queste si sommano ora altre 3 imprese della provincia di Udine e 9 di quella di Pordenone che
hanno chiesto l'autorizzazione a ripartire perché classificabili come strategiche per l'economia nazionale o
perché operano nei settori industriali dell'aerospazio o della difesa. Più alcune che, esercitando l'attività
produttiva a ciclo continuo, il loro totale spegnimento provocherebbe danni non rimediabili o esporrebbe
l'azienda al rischio di incidenti. A disporre chiusure e deroghe delle attività economiche è stato il famoso
Dpcm del 22 marzo, successivamente rivisto. Il 25 marzo, dopo un confronto tra Governo e sindacati, il
ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato un proprio decreto in cui ha rivisto in maniera dettagliata
la classificazione delle attività e dei relativi codici Ateco - ritenuta inizialmente troppo generica -. Dalla
somma dei due provvedimenti è arrivata la sospensione di un lungo elenco di attività produttive industriali
e commerciali. Fanno eccezione quelle rientranti in determinati settori, come quello agricolo e alimentare,
la fabbricazione di tessuti, camici, divise e indumenti da lavoro, le industrie chimiche e farmaceutiche, la
fabbricazione di vetro e di motori, alcune tipologie di fabbricazione di macchinari, la fornitura di energia
elettrica, gas e acqua, le riparazioni, la raccolta e smaltimento rifiuti, parte del commercio all'ingrosso, il
trasporto ecc. Tutte le aziende rientranti nelle tipologie "autorizzate" non sono tenute a fare nulla: sono
legittimate a proseguire. Le imprese che invece non compaiono in elenco e devono sospendere l'attività,
possono non farlo se si organizzano in modalità a distanza o lavoro agile. Ci sono poi imprese che pur
rientrando nelle tipologie di attività soggette allo stop, fanno parte di filiere legittimate a proseguire. Un
esempio di questo genere è l'azienda specializzata nella meccanica di precisione che fornisce viti e bulloni
all'impresa che produce apparecchiature medicali, oppure l'azienda del settore del mobile che produce letti
ospedalieri. Queste attività - previste dall'articolo 1 lettera D del decreto - sono invece tenute a comunicare
alla prefettura territorialmente competente la loro prosecuzione, e continuano a lavorare sulla base del
cosiddetto "silenzio assenso". Sono però soggette a controlli e quindi, nel caso in cui la prefettura non
ravvisasse la correttezza della comunicazione, vengono sospese.
Le richieste di autorizzazione vengono invece avanzate da aziende che operano nel settore dell'industria
dell'aerospazio e della difesa o nelle "altre attività di rilevanza strategica per l'economia nazionale". Queste
ultime depositano una vera e propria istanza al prefetto e devono attendere di essere autorizzate prima di
riavviare l'attività produttiva. Alla prefettura di Udine sono arrivate, al 6 aprile scorso, 49 richieste, di
queste tre sono state accolte e 46 hanno ricevuto un diniego. Le tre aziende che hanno chiesto e ottenuto
l'ok dalla prefettura di Udine sono Danieli & c. officine meccaniche, Danieli Automation e Abs. La data del
riavvio dovrebbe essere quella del 14, e quindi dopo Pasqua, ma non per tutte le attività allo stesso tempo.
L'obiettivo è quello di andare a regime entro la fine del mese. Nel Friuli occidentale sono 9 le imprese che
hanno chiesto, e ottenuto, l'autorizzazione a riprendere l'attività sempre sulla base dell'appartenenza a
settori strategici o all''industria dell'aerospazio e della difesa. Si tratta della Alpi Aviation di San Quirino,
della Armando Cimolai, sempre di San Quirino, della Easy Fly di Pordenone, della Elle snc di Porcia, della
Multiax internazionale cnc srl di Brugnera, della PIetro Rosa Tbm di Maniago, dell'azienda Quaia Gianni di
Polcenigo, della Servizi industriali srl di Sacile e della VI Technik srl di Pordenone.
Ci sono poi aziende, come le Ferriere nord di Osoppo, che avevano fermato buona parte della produzione
salvo poi riavviarla dopo aver inviato comunicazione alla prefettura, nel caso specifico l'appartenenza al
settore del riciclo, che consente loro di ripartire con la produzione. Naturalmente tutte le attività produttive
sono tenute al rispetto del Protocollo condiviso tra organizzazioni sindacali e associazioni di categoria, con
la supervisione del ministero, che definisce le misure di sicurezza da adottare per evitare la diffusione del
coronavirus e proteggere i lavoratori, quindi il rispetto delle distanze nelle postazioni di lavoro, la messa a
disposizione di gel disinfettanti e servizi igienici, la dotazione di dispositivi di protezione individuali, la
sanificazione degli ambienti ecc. Il fatto che un'azienda prosegua o riprenda l'attività, non significa
necessariamente che tutti i reparti, tutte le linee produttive, tutti gli addetti siano al lavoro. Un'impresa -
tanto per riprendere l'esempio di prima - specializzata nella meccanica di precisione, può produrre viti e

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bulloni indispensabili all'assemblaggio di un macchinario medicale e anche le viti per fissare i lampadari. Ne
consegue che proseguirà la prima delle due produzioni, ma non la seconda. Sempre le disposizioni del
decreto della Presidenza del Consiglio di ministri ha indicato nelle prefetture l'organo incaricato di
raccogliere le comunicazioni e le istanze, che poi vengono trasmesse alle Regioni, ai ministri dell'Interno,
dello Sviluppo economico, del Lavoro e le forze di polizia. Non solo, è la prefettura ad autorizzare le
aperture in deroga e a disporre i controlli. In Friuli Venezia Giulia ogni prefettura ha istituito una task force
composta, oltre che dalle associazioni di categoria e dalle organizzazioni sindacali, anche dalla Guardia di
finanza. Le singole competenze sono utili per uno screening iniziale per discriminare le aziende che,
ragionevolmente svolgono attività coerenti con le finalità indicate dalle norme per quelle che possono
continuare a produrre, ma questa non è che una prima fase a cui fanno seguito controlli capillari per
verificare la veridicità delle dichiarazioni fatte. Da queste attività scaturiscono i dinieghi di autorizzazione o i
provvedimenti di sospensione. A Pordenone su un totale di 1.047 pratiche trattate, sono stati emessi 48
provvedimenti di sospensione, 5 di diniego di autorizzazione. A 24 aziende è stata richiesta un'integrazione
di documenti. Tra le pratiche vi sono anche comunicazioni "doppie", giunte da chi - legittimamente
autorizzato a proseguire nell'attività - ha ritenuto di comunicarlo o di chiedere un'autorizzazione non
necessaria, e altre 110 pratiche che non avevano niente a che fare con la prosecuzione dell'attività. A Udine
su 1.160 comunicazioni ricevute per la prosecuzione dell'attività perché legate a filiere essenziali, per 8 è
stato emesso un provvedimento di sospensione. Su 49 richieste di autorizzazione per attività strategiche,
come detto, 46 sono state negate. Di fronte a fenomeni tutto sommato simili nei due territori di Udine e
Pordenone, la posizione dei sindacati è però diversa. A Udine i metalmeccanici annunciano lo stato di
mobilitazione, a Pordenone invece no. A fare la differenza sono le relazioni industriali e sindacali,
improntate all'insegna della partecipazione e della condivisione nel Friuli occidentale, non altrettanto
nell'area udinese. Le ripartenze in territorio pordenonese sono state caratterizzate dal confronto con le
organizzazioni sindacali e dalla ricerca di accordi per la gestione in modo condiviso del riavvio delle
produzioni (vedasi Cimolai, Bertoia ecc.). La stessa cosa non è avvenuta in terra udinese.
L'incognita più pesante resta quella della ripartenza, quella vera. Perché è evidente che il motore
economico della regione e del Paese deve riaccendersi, magari definendo regole stringenti e misure efficaci
di protezione della salute dei lavoratori e della collettività. Parliamo di circa 120 mila, tra aziende e unità
locali attive in Fvg con oltre 500 mila persone coinvolte tra addetti e titolari. Ma su questo l'orizzonte resta
ancora indefinito.

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No secco dei sindacati. «Prima c'è la salute» (M. Veneto)
Maura Delle Case - Nessuna accelerazione della fase 2. La posizione del sindacato confederale in questo
senso è tanto chiara quanto irremovibile: la priorità, oggi, è fermare l'epidemia di Covid-19 garantendo la
salute di cittadini e lavoratori, non già riaprire anzitempo le attività economiche chiuse. «Tempi e condizioni
dovranno essere dettati dal Governo - affermano i segretari generali Fvg, Villiam Pezzetta (Cgil), Alberto
Monticco (Cisl) e Giacinto Menis (Uil) - sulla base delle indicazioni di scienziati ed epidemiologi, dopo un
indispensabile confronto con i vertici nazionali di sindacati e associazioni imprenditoriali».Cgil, Cisl e Uil
respingono così l'assalto delle imprese che vorrebbero spingere sull'acceleratore della ripartenza. Se e
quando ci sarà, dovrà realizzarsi nell'alveo di regole condivise, da definire in anticipo e applicare poi in
modo rigoroso con il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti coinvolti «con l'obiettivo - rimarcano i segretari
- di garantirne il rispetto in tutte le aziende».Per Pezzetta, Monticco e Menis, «non sono minimamente
ipotizzabili riaperture su base locale, tanto più in una regione che nel far fronte all'emergenza ha adottato
misure più restrittive di quelle nazionali e che del resto non avrebbe facoltà di agire in senso opposto,
allentando le prescrizioni», affermano i sindacalisti criticando le recenti prese di posizione della presidente
di Confindustria Udine, Anna Mareschi Danieli. «Sentiamo parlare di tamponi fai da te da parte delle
aziende o di coinvolgimento dell'Esercito nei controlli. Sono fughe in avanti il cui unico effetto è creare
inutili tensioni fra i lavoratori e nel dialogo tra imprese e sindacati. Se la preoccupazione per le ricadute
economiche dell'emergenza è condivisa - concludono i segretari regionali - deve essere condiviso anche
l'obiettivo di fermare un'epidemia che continua a mietere migliaia di vittime e che, se non sarà arrestata,
congelerà anche qualsiasi aspettativa di ripresa economica e sociale».Dello stesso avviso sono i segretari
territoriali di Cgil, Cisl e Uil Udine, Natalino Giacomini, Renata Della Ricca e Fernando Ceschia, che a loro
volta mettono al primo posto la salute di lavoratori e cittadini rilanciando così a Mareschi Danieli: «Se il
Friuli non è Bergamo, come sostiene la presidente di Confindustria Udine, è proprio perché abbiamo potuto
adottare restrizioni e contromisure prima che la diffusione del contagio assumesse dimensioni difficilmente
controllabili. Allentare la presa adesso, come ci ricorda la comunità scientifica, significherebbe vanificare
tutti gli sforzi fatti. Esistono un tavolo e un dialogo costante con i prefetti per monitorare la situazione e il
rispetto del Dpcm del 22 marzo: è su queste basi che dobbiamo continuare a collaborare, senza tentativi più
o meno espliciti a escludere il sindacato e senza favorire un ricorso facile alle deroghe».A prendere
posizione ieri contro le prime aperture in deroga sono stati anche i segretari dei metalmeccanici di Udine,
Fabiano Venuti (Fim Cisl), David Bassi (Fiom Cgil) e Luigi Oddo (Uilm Uil) segnatamente alla produzione in
Ferriere Nord. «Le segreterie contestano tale decisione - si legge nel comunicato sindacale - affermando
con forza che produrre acciaio non è essenziale così come disposto nel Dpcm del 22 marzo scorso,
specialmente in questo momento dove tutto il mercato è fermo». I sindacalisti bocciano dunque la scelta
aziendale di riavviare la produzione ricordando alla proprietà nonché ai vertici di Confindustria Udine che
«responsabilità sociale d'impresa significa anche fermare la produzione per poi ripartire insieme, ancor più
forti di prima, evitando di vanificare i sacrifici di tutti».

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No dei sindacati Fvg alle fabbriche riaperte: prematuro e sbagliato (Piccolo)
«Le condizioni e i tempi per la riapertura delle attività economiche oggi chiuse in regione per l'emergenza
coronavirus dovranno essere dettate dal Governo, sulla base delle indicazioni di scienziati ed epidemiologi e
dopo un indispensabile confronto con i vertici nazionali di sindacati e associazioni imprenditoriali, come del
resto già avvenuto prima del lockdown»: Cgil, Cisl e Uil del Friuli Venezia Giulia respingono così qualsiasi
ipotesi di accelerazione della cosiddetta fase due. «In questo momento - dichiarano i segretari generali
Villiam Pezzetta (Cgil), Alberto Monticco (Cisl) e Giacinto Menis (Uil) - la priorità resta quella di vigilare,
assieme ai Prefetti, sulla corretta gestione del Dpcm del 22 marzo, perché l'obiettivo è fermare il contagio e
garantire la salute di lavoratori e cittadini».Quanto a eventuali provvedimenti di riapertura nelle prossime
settimane, e fermo restando che dovranno essere decisi dal Governo, per Cgil, Cisl e Uil «bisognerà riaprire
dentro un quadro di regole condivise sia sulle misure necessarie a garantire la tutela dei lavoratori sia sui
settori autorizzati a ripartire, in aggiunta a quelli già non soggetti all'obbligo di chiusura». Ecco perché i
sindacati chiedono di definire in anticipo strumenti e sedi per garantire che tutto questo avvenga, in ogni
territorio, «con la rigorosa applicazione dei protocolli di sicurezza e con il pieno coinvolgimento di tutti i
soggetti coinvolti, rappresentanze sindacali, aziendali, autorità sanitarie e naturalmente istituzioni, con
l'obiettivo di garantire il rispetto delle regole in tutte le aziende». Se da un lato quindi i sindacati dicono sì
alla definizione di tavoli di confronto a livello regionale e territoriale, ribadiscono anche che «non sono
minimamente ipotizzabili riaperture su base locale, tanto più in una regione che nel far fronte
all'emergenza ha adottato misure più restrittive di quelle nazionali».Da qui le critiche alle esternazioni della
presidente di Confindustria Udine Anna Mareschi Danieli: «Sentiamo parlare di tamponi fai da te da parte
delle aziende o di coinvolgimento dell'esercito nei controlli. Sono fughe in avanti - dichiarano Pezzetta,
Monticco e Menis - il cui unico effetto è di creare inutili tensioni nel dialogo tra imprese e sindacati.
Allentare la presa ora significa vanificare tutti gli sforzi».
Famiglie e ditte in trincea: 30 mila moratorie a Nordest
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Sale l'allarme contagiati nelle case di riposo: 39 su 40 a "La Primula" (Piccolo)
Marco Ballico - «È il problema più rilevante», dice nel pomeriggio il vicepresidente Riccardo Riccardi sulla
situazione nelle case di riposo invase dal coronavirus. In serata emerge l'ultimo focolaio, nella
polifunzionale triestina "La Primula": 48 tamponi positivi, 39 su 40 tra gli ospiti, otto su 22 tra i dipendenti e
quello di Matteo Spangaro, l'amministratore delegato. «Viste le notizie che arrivavano da Milano, avevamo
già chiuso la struttura ai parenti il 24 febbraio. La carenza dei dpi è però stata fatale, per noi come per tanti
altri», afferma Spangaro: « Sono certo che ne usciremo, ma il nostro adesso è un appello alla città, che
ringraziamo anticipatamente: ci servono volontari per garantire l'assistenza». In un Friuli Venezia Giulia in
lotta da 39 giorni contro il coronavirus si continuano a contare i decessi: quattro anche ieri, ora sono 165, di
cui 85 a Trieste. In pochi giorni a "La Primula" sono morti otto ospiti con pluripatologie. Non avevano fatto il
tampone. Quanti altri possono essere sfuggiti dall'elenco ufficiale? Quanti sono i contagiati isolati dai
parenti nelle 175 strutture del Fvg (quasi 11mila i posti letto), di cui una novantina a Trieste? Quanti morti
hanno origine in casa di riposo o in rsa? A sommare i bollettini di giornata dovrebbero essere una
sessantina. Oggi potrebbero arrivare risposte precise durante l'audizione di Riccardi in Terza commissione.
Ma che ci sia un'emergenza in corso nei luoghi della fragilità è certo. Perché realtà con una vocazione
sociale si sono trovate spesso impreparate per mancanza di conoscenza infettivologica. E a volte (quante
volte?) è stato anche difficile trovare la conferma di un tampone a sintomi compatibili con il Covid-19, con il
risultato di diffondere il contagio pure tra gli operatori sanitari. A ricostruire le ultime, drammatiche
settimane è Claudio Berlingerio, presidente a Trieste di due convenzionate, la Mademar e la Ad Maiores, 75
posti letto ciascuna. «La Regione si è mossa per tempo con direttive rigorose e le strutture hanno rispettato
l'obbligo di chiudere le porte. Ma molto spesso il virus è entrato ugualmente da fuori, da persone che
arrivavano dall'ospedale già contagiate». Alla Mademar si contano una quindicina di ospiti con sintomi da
coronavirus e una decina tra i sanitari. «Tutto è iniziato con qualche stato febbrile e uno in particolare ci ha
convinto all'isolamento in un piano vuoto. Una sorta di zona rossa - spiega Berlingerio - che ci ha consentito
di contenere l'epidemia, ma di non interromperla visto il passaggio continuo da e per l'ospedale». Alla Ad
Maiores è andata meglio: un solo caso finora. Ma si combatte quotidianamente con il nemico invisibile. E la
difficoltà «è aggravata dal ritardo dei tamponi», aggiunge Berlingerio: «Dopo le prime febbri di pazienti con
pluripatologie gestite come si trattasse di influenza stagionale, sarebbe stato e sarebbe opportuno
procedere a tappeto». La Regione, due giorni fa, i tamponi ha iniziato a farli ai parenti dei sanitari della casa
di riposo di Paluzza, l'ennesimo focolaio. Ma Riccardi ribadisce che «non esiste un modello valido per tutti i
casi. I tamponi si fanno quando ci sono le condizioni per farli, vale per gli anziani come per gli operatori
sanitari: una volta che ho fatto i tamponi a tutti, non ho risolto il problema perché l'esito non consente di
sapere quello che accadrà nei giorni successivi». Di certo, ribadisce il vicegovernatore, «sul tema delle case
di riposo, che è certamente la questione più rilevante, allargata all'intero mondo della fragilità, la Regione è
scesa in campo da subito. Non so davvero se essere più amareggiato o più arrabbiato per le critiche del
sindacato e dalla politica». Il riferimento è alle parole, il giorno prima, di Roberto Treu dei pensionati Cgil e
ieri della senatrice dem Tatjana Rojc, che ha accusato la giunta Fedriga di essere «in ritardo sule case di
riposo». In un clima teso, e mentre i nuovi positivi frenano (ieri 51, il totale è 2.154), calano le
ospedalizzazioni in terapia intensiva (da 46 a 45) e aumentano i guariti (610, +61), oggi le categorie
cercheranno di avere qualche dato certo dal Comune di Trieste. «Sentiremo dall'assessore Grilli
l'aggiornamento su una situazione che resta pesante anche per rsa, residenzialità e disabilità», dice Rossana
Giacaz della Cgil. E sempre oggi si completerà al "Sanatorio triestino" l'ingresso di una trentina di persone,
come concordato tra Asugi e sanità privata, un'operazione di trasferimento di un centinaio di pazienti sia
Covid che no Covid, in strutture "filtro" per evitare ulteriori contagi. Altri 36, da domani, entreranno alla
"Salus", poi sarà la volta dell'Ospizio marino di Grado: il direttore sanitario Massimo Mascolo sta lavorando
per preparare tra i 30 e i 40 posti. «Ma tutte le strutture della regione stanno dando il loro contributo -
informa Salvatore Guarneri, dg del Sanatorio e presidente regionale dell'Aiop, associazione italiana
ospedalità privata -. Con l'azienda sanitaria c'è una fortissima collaborazione e siamo pronti ad accogliere
persone positive al Covid, che provengono dalle case di riposo, e non contagiati, che escono invece
dall'ospedale. Ci siamo organizzati con personale separato in aree diverse per evitare qualsiasi rischio».
Morti senza tampone all'Itis. I parenti chiedono chiarezza (testo non disponibile)

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Sindaci e Regione uniti sulle case di riposo: «Evitiamo i trasferimenti in ospedale» (M. Veneto)
Giacomina Pellizzari - Gli anziani contagiati dal coronavirus continueranno a essere curati nelle case di
riposo dai medici inviati sul posto dalle Aziende sanitarie. Fino a quando sarà possibile non saranno
trasferiti negli ospedali. I sindaci di Mortegliano, San Giorgio di Nogaro, Paluzza, Pradamano e Zoppola
condividono la scelta fatta dalla Regione e dalle Aziende sanitarie nella gestione dei focolai all'interno delle
Rsa dove non sono mancati i decessi. Roberto Zuliani, Roberto Mattiussi, Massimo Mentil, Enrico Mossenta
e Francesca Papais, collegati, ieri, in videoconferenza con l'assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi,
e i rappresentanti delle Aziende sanitarie, ritengono che se è possibile farlo è preferibile mantenere gli
anziani nel loro ambiente. Su questo punto sindaci e assessore si sono soffermati a lungo, tutti ritengono
che l'emergenza sta spazzando via un modello di gestione delle residenze per anziani (Rsa) non più attuale.
In futuro, sostiene Riccardi, «bisognerà rivedere i requisiti, le case di riposo non possono restare quelle che
sono, devono avere competenze di natura sanitaria».Questa la sintesi di un'altra giornata complicata nella
quale non sono mancate le evidenze dei sindaci sulla necessità di dotare le Rsa di ulteriori Dispositivi di
protezione individuale e di maggiore personale anche perché numerosi operatori risultano positivi. Temi
noti ai quali Riccardi, d'intesa con le Aziende sanitarie, sta cercando di dare risposte. Nelle case di riposo
sono al lavoro medici di provata esperienza come il primario della Medicina dell'ospedale di Tolmezzo,
Paolo Agostinis, l'ex direttore del Pronto soccorso di Udine, Rodolfo Sbrojavacca, e l'ex primario di
Pordenone, Piero Casarin. A differenza di alcune realtà triestine, in tutte le Rsa colpite dal coronavirus sono
stati organizzati i doppi percorsi per mettere in sicurezza gli ospiti e gli operatori sanitari. «Siamo riusciti a
intervenire e a condividere le scelte» afferma l'assessore secondo il quale «le risposte che stiamo dando alle
criticità offrono agli anziani, già provati psicologicamente dal blocco delle visite dei parenti, le migliori cure
all'interno delle strutture, in modo da non costringerli a uno spostamento in un reparto ospedaliero, con i
rischi sanitari che questo passaggio comporta. Fin dallo scorso mese - aggiunge - abbiamo adottato la linea
di far entrare i professionisti e il personale delle Aziende sanitarie nelle case di riposo per prendersi in
carico gli anziani positivi al coronavirus». Purtroppo, fa notare sempre l'assessore, «sono state colpite
persone fragili, con un'età media di 84 anni e con pluripatologie» alle quali si è aggiunto il coronavirus.
Soffermandosi sulla situazione di Paluzza, quella che al momento sta vivendo la situazione più difficile,
Riccardi riconosce lo sforzo chiesto agli operatori sanitari che, per garantire le migliori condizioni di
sicurezza, al termine del turno di lavoro non possono tornare dalle loro famiglie. Vengono ospitati, infatti, in
un albergo della zona individuato grazie alla collaborazione del sindaco.«Mi ritengo fortunato di poter
contare sulla preparazione e sull'umanità del dottor Paolo Agostinis» sottolinea lo stesso sindaco di Paluzza
rendendosi conto che «è davvero impossibile pensare di spostare tutti i 67 anziani contagiati in un reparto
ospedaliero». Come Mentil pure il primo cittadino di Pradamano concorda sul fatto che la Regione e le
stesse case di riposo si trovano a gestire un'emergenza inimmaginabile. Ecco perché anche Mossenta invita
a far tesoro di questa esperienza per rivedere le gestioni future. Allo stesso modo sollecita i tamponi per
tutti gli operatori sanitari. E volgendo lo sguardo al dopo emergenza, sindaci e assessore pensano alle case
di riposo come luoghi dove possono essere affrontati anche casi sanitari complessi. «Abbiamo condiviso la
necessità di una programmazione a lungo termine, di potenziare il personale visto che solo a Zoppola ci
troviamo con otto operatori positivi al coronavirus, e di garantire maggiori dotazioni di Dispositivi di
protezione individuale» sottolinea la prima cittadina di Zoppola prima di aggiungere: «Sapere che non
siamo soli e che le problematiche si possono condividere in rete lavorando per superarle, è un punto di
partenza importate». I sindaci hanno fiducia nei medici che stanno seguendo gli anziani in loco. «È evidente
- continua Papais - che se in qualche caso la situazione si aggrava i trasferimenti in ospedale non verranno
meno. Il dottor Casarin è una persona di grande esperienze, ci dà serenità poter contare su di lui».
L'assessore, invece, riconosce la determinazione dei sindaci grazie alla quale «sono riusciti a spiegare ai
cittadini come le problematiche presenti nelle case di riposo siano sotto controllo e affrontate al meglio,
con l'obiettivo di preservare la sicurezza e la salute degli anziani, degli operatori e della popolazione».

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«Lo stop anticipato ai parenti è servito a ridurre il rischio» (M. Veneto)
Giacomina Pellizzari - Una buona dose di fortuna e lo stop anticipato delle visite parenti, per ora, hanno
contribuito a mantenere il coronavirus fuori dalla case di riposo private dei gruppi Sereni Orizzonti e Zaffiro.
Nelle Rsa private del Friuli Venezia Giulia si continua a incrociare le dita.Nessuno si illude che non potrà
accadere, spiega l'ad del gruppo Zaffiro, Gabriele Ritossa, «ma l'aver sospeso le visite parenti a febbraio,
prima dell'entrata in vigore del decreto, c'era chi voleva denunciarmi per sequestro di persona, forse ci ha
messo al riparo». A questa misura, Ritossa aggiunge la gestione attenta del personale. «Osservando quanto
stava accadendo in Cina, abbiamo subito previsto i controlli agli ingressi, chiesto la autodichiarazioni di
assenza di sintomi e sottoposto tutti alla misurazione della febbre. Nelle nostre Rsa non c'è mai stata
carenza di Dispositivi di protezione individuale, vale a dire mascherine, camici e guanti, anche se la
Protezione civile nazionale ci ha bloccati alcuni ordinativi». Nelle Rsa Zaffiro tutti gli operatori sono
dipendenti del gruppo non di cooperative esterne: «Crediamo che la stabilità del personale sia il vero valore
aggiunto». Una stabilità che le Aziende sanitarie rischiano di far traballare con i bandi di selezione del
personale. «Di fronte alla certezza del posto fisso, molti infermieri se ne vanno» rivela Ritossa
riconoscendo, invece, alle Aziende sanitarie regionali di aver compreso il livello di fragilità presente nelle
Rsa e di «far arrivare solo ospiti con tampone negativo che comunque vengono messi in
quarantena».Analoga la situazione nelle Rsa del gruppo Sereni orizzonti. «Al momento - conferma il
responsabile Relazioni esterne, Vittorio Pezzuto - in regione non registriamo né contagi né decessi, ma non
possiamo escludere che ci siano asintomatici»...

Nuova stretta di Fedriga. Volto coperto anche sui bus e tutto chiuso a Pasquetta (M. Veneto)
Mattia Pertoldi - La Regione stringe ulteriormente le maglie all'interno dei confini del Friuli Venezia Giulia
con una nuova ordinanza, firmata ieri da Massimiliano Fedriga, attraverso la quale si prevedono altre
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza sanitaria legata al
coronavirus.Un'ordinanza che integra, rafforzandola, quella dello scorso 3 aprile che aveva già disposto la
chiusura nella giornata di domenica di tutte le attività commerciali a esclusione di farmacie, parafarmacie
ed edicole. Con il nuovo provvedimento, quindi, viene stabilita la serrata anche nella giornata di lunedì
prossimo, cioè il giorno di Pasquetta, di tutte le attività sempre a eccezione di farmacie, parafarmacie, delle
edicole e degli esercizi posti nelle aree di servizio situati lungo la rete autostradale e a servizio di porti e
interporti. Alla base della decisione, c'è la considerazione e la valutazione che anche in Friuli Venezia Giulia,
il giorno di Pasquetta potrebbe fare registrare concentrazioni - viste anche le previsioni meteo
particolarmente benevoli - di persone non strettamente giustificate dall'esigenza di acquistare beni
alimentari.Non c'è soltanto, questo, però, perché con la nuova ordinanza regionale viene reso obbligatorio
a chiunque acceda ai servizi di trasporto pubblico automobilistici (bus e pullman), ferroviari e marittimi, e
anche a chi utilizzi i taxi o i noleggi con conducenti di mantenere la distanza interpersonale di sicurezza e di
indossare la mascherina o comunque una protezione a copertura di naso e bocca e di ogni altra precauzione
per evitare il contagio da coronavirus.Le disposizioni emanate ieri, come detto, non cancellano - ma anzi si
sommano - quelle approvate dal presidente della Regione lo scorso 3 aprile...

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Rosolen: «Avvilente e inutile l'incontro col ministro Azzolina» (Piccolo)
Un comunicato di fuoco contro il ministero dell'Istruzione. Alessia Rosolen attacca duramente Lucia
Azzolina dopo la videoconferenza di ieri mattina con gli assessori regionali e il numero uno del Miur. Un
confronto «deludente, avvilente e inutile», dichiara l'esponente della giunta Fedriga snocciolando i mancati
riscontri sui temi sollevati dal Friuli Venezia Giulia. Il governo, spiega Rosolen, «era da settimane in
colpevole ritardo». E dunque l'aspettativa era «di poter dialogare su temi specifici e di ricevere risposte
precise». Ma Roma, appunto, «ha scelto di non entrare nel merito dei problemi, propinando una lezione su
tematiche sociologiche, liquidando le richieste del territorio con formule molto vaghe. Prendo atto -
riassume l'assessore regionale che, a fronte delle difficoltà ministeriali, le Regioni virtuose si confermano
trainanti e, alla prova dei fatti, sicuramente più efficienti rispetto al governo nazionale». Profondamente
amareggiata, Rosolen fa sapere di aver chiesto garanzie rispetto alla validità dell'anno formativo 2019/2020
per i vari percorsi di istruzione e formazione professionale, anche in mancanza del raggiungimento del
numero minimo di ore previste dalle normative. Ma istanze precise sono arrivate anche su materie
concorrenti, diritto allo studio, programmazione offerta e, naturalmente, sul calendario per l'anno in corso
e per il prossimo, «perché non possiamo essere in balia di comunicazioni parziali o, peggio,
contraddittorie». Silenzio, o comunque incertezza, «anche sulla detraibilità fiscale dei costi dei libri per
tutto il percorso scolastico e per i libri universitari, sull'eliminazione, per il periodo dell'emergenza Covid-19,
dell'obbligo di tirocinio post lauream per i neo laureati in Medicina, sulla detraibilità integrale delle rette
pagate alle scuole paritarie e ai servizi per l'infanzia». Dieci temi posti al ministro, «non una sola risposta».
L'occasione serve per ricordare quanto fatto invece dalla Regione in queste settimane: dalle linee guida per
la didattica a distanza alla collaborazione con Insiel per la consegna di pc alle famiglie, dai 19 milioni a
valere sul Fse per innovazione e digitalizzazione ai 4, 7 milioni per la banda ultra larga nelle scuole Fvg. m. b.

Alla Sbe di Monfalcone il primo screening. Un esame del sangue ai 450 dipendenti (Piccolo)
Giulio Garau - In fila per fare il nuovo test di screening contro il virus Covid 19. Un lavoratore ogni sette
minuti per fare il prelievo di sangue e alcuni controlli medici collegati con i tre operatori della Salus di
Gorizia in alcune salette appositamente organizzate dall'azienda. Non è il test rapido, ma uno screeening
approfondito quello che è stato messo in piedi ieri dalla Sbe, la prima azienda della regione ad attuare un
test a tappeto per i lavoratori della fabbrica. Circa 450 dipendenti, nessuno a quanto risulta si è tirato
indietro. «Hanno dato il consenso tutti - dichiara Alessandro Vescovini -è una scelta per anticipare i tempi e
tornare a lavorare, ho scelto per primo questa strada per mettere in sicurezza i lavoratori prima di tutto.
Non è obbligatorio, ma se uno non fa il test in questo momento di emergenza non è idoneo a tornare al
lavoro. Le maestranze devono essere mese in sicurezza completa».Ieri il primo test, un vero e proprio
prelievo di sangue e non come prevedono alcuni test rapidi una semplice puntura sul dito. Oggi, dopo una
giornata di analisi i primi responsi. Tra un mese il secondo test con un altro prelievo. E forse l'automatico
"patentino di immunità" che ti libera dal rischio di altri contagi. «Patentino di immunità ? No non dipende
certo da me - aggiunge l'imprenditore - di sicuro facciamo emergere con questo la tendenza. Spetta ad altri
dare il patentino immunitario, comunque si sta lavorando per arrivare a questo. Il nostro scopo ora è
controllare il profilo immunitario dei lavoratori dell'azienda, capire se hanno avuto contatti o contagi con il
virus, se si sono ammalati. Non sostituisce il tampone, ma questa tecnica ti aiuta e soprattutto trovi chi ha
l'infezione in corso». Il leader della Sbe è molto realista vista la situazione dell'emergenza in corso. «La mia
ipotesi, ma lo sapremo quando ci daranno i risultati - che almeno il 30% dei lavoratori abbia già incontrato il
virus e presenti gli anticorpi - insiste - e che la stragrande maggioranza di persone sia asintomatica. Ma si
tratta di prime informazioni importantissime. Tra un mese è previsto un secondo screening e se quella volta
ci saranno ancora gli anticorpi e non c'è infezione e persone saranno tranquille, liberate. E potrebbe
accadere che serva il plasma con gli anticorpi che è fondamentale per curare i malati acuti». Come
Vescovini con la Sbe c'è fermento tra gli imprenditori, la situazione economica è gravissima, il paese ormai è
sul baratro e chi può ancora stare sul mercato spinge per riaprire le produzioni cercando di mettere in
sicurezza i lavoratori e seguendo le norme anti contagio. «Tante aziende si stanno muovendo si attrezzano
per riaprire - conclude Vescovini - in tutta la regione gli operatori sanitari stanno facendo lo screening e ora
anche le realtà produttive si mobilitano per riaprire e uscire dal tunnel».

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Cig, piani B e investimenti: le ditte preparano la fase 2 (Piccolo)
Benedetta Moro - Si sfruttano gli ammortizzatori sociali fino a dove si può, in attesa di nuove misure
economiche locali e nazionali che possano dare ossigeno alle attività. E nel frattempo si lavora ai progetti
futuri, ipotizzando il modus operandi da adottare in futuro. Dal commercio all'alberghiero, dalla
ristorazione all'artigianato, ogni settore sta confrontandosi con una realtà impronosticabile, e per tanti
economicamente devastante, tanto da essere obbligati a bussare alla porta del Comune per chiedere i
bonus spesa. Ne sa qualcosa il settore della ristorazione, con i circa 1.500 locali tra ristoranti e bar presenti
in città. Seppur si sia notato un raddoppio degli esercenti che hanno attivato il servizio a domicilio - dai
ristoranti come Puro e Trimalcione ai bar tra cui Torinese e Mor Cocktail, passando per le trattorie come
Giovanni - i soldi incassati a fine giornata sono troppo pochi. «La cassa l'hanno attivata tutti ma «si arranca
per pagare spese, affitti, consumi e per sopravvivere», spiega Bruno Vesnaver, vicepresidente provinciale
della Fipe: «Con l'asporto tiriamo su spiccioli. Per questo purtroppo c'è gente che chiede i buoni spesa,
siamo arrivati a questi livelli qui. Bisogna bloccare tutti i costi almeno per tre mesi. Questo governo fa solo
promesse ma niente di reale». Tuttavia, per il "dopo", proprio il servizio a domicilio ha stimolato «un nuovo
tipo di ristorazione a Trieste, in cui potremo ancora specializzarsi dopo». E proprio per il "dopo" si pensa a
«maggiori distanze da attuare tra i tavoli e i clienti». Disposizioni quasi certe, anche se non annunciate dal
governo, a cui si prepara anche Eataly. «Per il "dopo" - osserva Antonio De Paolo, responsabile del punto
vendita giuliano - ci sarà una riduzione dei posti a sedere e una grandissima attenzione nei confronti di
collaboratori e clienti. Intanto noi ripensiamo a come far ripartire il futuro della ristorazione».
Confartigianato, sul "dopo", ha già una proposta concreta, articolata per punti, che dovrà essere discussa
con il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Spiega il presidente giuliano Dario Bruni:
«Proponiamo di minimizzare i contatti tra giovani e anziani, verificare la possibilità di vendite alternative a
quelle dirette, sfruttare uno scaglionamento di orari per l'arrivo del personale, prediligere l'attività su
appuntamento». I centri estetici e i parrucchieri, ad esempio, potrebbero continuare a lavorare «utilizzando
i dispositivi di protezione da cedere anche ai clienti». Intanto però il settore dell'artigianato soffre, tanto
che le imprese iscritte al Fondo di solidarietà bilaterale per l'artigianato che hanno fatto richiesta di
ammortizzatori sociali sono in regione 3.644, di cui 318 a Trieste, 312 a Gorizia, 1.910 a Udine e 1.104 a
Pordenone. Cassa integrazione e mancanza di liquidità caratterizzano anche il settore del commercio. «I
costi vanno avanti», osserva Elena Pellaschiar, a capo del Gruppo Commercio di Confcommercio:
«Aspettiamo delle misure economiche ulteriori e più massicce. E poi adotteremo ingressi contingentati,
guanti e mascherine». Anche il settore alberghiero è in attesa di nuovi flussi di denaro da parte della
Regione e dello Stato. «Tutto il personale è in cassa integrazione, resta il punto di domanda sui lavoratori
stagionali. Al momento abbiamo ancora un po' di risorse ma stiamo aspettando i finanziamenti annunciati
dalla Regione, anche se si tratta di importi un po' limitati per le strutture più grandi», afferma il presidente
di Federalberghi Guerrino Lanci: «Per il "dopo", dal punto di vista sanitario, stiamo interloquendo con
l'Asugi: bisogna capire quale sistema di sanificazione delle stanze useremo. Intanto lavoriamo a nuove
progettualità per tornare ai numeri pre-Covid-19». Lavora pro futuro pure la famiglia Benvenuti,
proprietaria tra gli altri degli hotel Duchi d'Aosta e Riviera: «Stiamo pianificando diversi investimenti -
specifica l'ad del gruppo Magesta Alex Benvenuti - pur con tutte le complessità del caso, cercando di
accelerare al massimo la fase di progettazione per ripartire subito quando riapriremo: ristruttureremo 20
camere dei Duchi e riqualificheremo in modo più ampio il Riviera».

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Bini ridisegna la sua legge per renderla adatta alla crisi (M. Veneto)
Sergio Bini è pronto a mettere mano a SviluppoImpresa, la legge per le aziende che avrebbe dovuto già
essere stata approvata, ma che - causa coronavirus e positività di Igor Gabrovec al tampone - è stata, di
fatto, bloccata. L'obiettivo, adesso, è quello di cambiare la norma per renderla più adatta alle esigenze
contingenti in modo tale da farla anche incrociare con gli altri strumenti messi in campo dalla Regione e
dello Stato. Il cronoprogramma pensato dalla giunta, e condiviso informalmente con il presidente del
Consiglio regionale Piero Mauro Zanin, prevede un arrivo del testo (modificato) in Aula per i primi giorni di
maggio. Sì, in Aula perché difficilmente una legge di questo tipo potrà essere approvata in via telematica
per cui, pur con tutte le accortezze del caso, si sta appunto pensando a una discussione della norma dal
vivo. «Le modifiche che stiamo valutando - ha spiegato l'assessore alle Attività produttive - si adatteranno
alla nuove circostanze sia per favorire ulteriormente l'accesso al credito delle imprese sia per procedere nel
cammino della sburocratizzazione. Anzi, è proprio questo l'aspetto che mi sta più a cuore perché dobbiamo
approfittare del momento per varare un'opera di maxi-semplificazione generale del sistema-Regione».
Nel frattempo Bini ha spiegato che con l'approvazione dell'ultima legge del Friuli Venezia Giulia «sono 37,6 i
milioni di euro che la Regione è pronta a erogare già a partire dalla settimana in corso a favore del tessuto
economico e produttivo locale» per contrastare la crisi generata dall'attuale emergenza sanitaria. «Il nostro
obiettivo - ha spiegato - è quello di rispondere con immediatezza alle necessità delle imprese». I primi
interventi concreti consistono nell'ampliamento e nell'introduzione di specifiche forme di finanziamento
agevolato per imprese artigiane, attività produttive, imprese commerciali, turistiche e di servizio (20,6
milioni di euro) e nel potenziamento dei fondi-rischi gestiti dai Confidi regionali (5,5 milioni) cui si
aggiungono ulteriori 4 milioni per la riduzione delle commissioni di garanzia praticate. Con uno
stanziamento di 7,5 milioni di euro, vengono poi implementati gli interventi previsti a livello statale e legati
al canone di locazione degli immobili per il mese di marzo: al credito di imposta pari al 60% del canone
previsto dallo Stato per gli immobili rientranti nella categoria catastale C/1, la Regione ha previsto un
contributo a fondo perduto, pari a un ulteriore 20% dell'affitto, comprendendo, oltre alla C/1, anche le
categorie catastali A 10, C 2 e C 3. Per i canoni di locazione «la concessione avverrà in base all'ordine
cronologico di presentazione delle domande - ha specificato Bini - con un automatismo che ci consentirà di
procedere con la massima velocità e con l'obiettivo di soddisfare tutte le richieste senza escludere
l'eventualità, se fosse necessario, di stanziare ulteriori risorse». Saranno i Cata e i Catt Fvg i soggetti delegati
a svolgere l'attività legata alla concessione dei contributi che è stata organizzata con una procedura
informatica semplificata e con tempistiche dedicate: gli esercenti afferenti alla categoria arti e professioni
potranno fare domanda il 14 e il 15 aprile, le imprese artigiane dal 16 al 20 aprile, le imprese dei settori
ricettivo, turistico e commerciale dal 21 al 27 aprile.incontro con le bancheIeri, come spiegato anche a
parte, Bini ha incontrato (virtualmente) Lorenzo Sirch, presidente della Commissione regionale Abi per
capire come potersi muovere all'unisono con Stato e sistema bancario. «La Regione - ha spiegato
l'assessore - è impegnata a rendere disponibili tutte le misure che potranno far diventare ancora più efficaci
in Friuli Venezia Giulia le azioni messe in atto dal Governo centrale. A questo scopo, abbiamo programmato
per domani (oggi ndr) un incontro in videoconferenza con il ministero dello Sviluppo economico nel corso
del quale analizzare ogni possibilità di potenziamento della sezione speciale regionale istituita presso il
Fondo centrale di garanzia, che prevede un aumento delle garanzie da parte dello Stato».Durante la
videoconferenza di ieri, Bini ha anche evidenziato l'impegno profuso dagli istituti di credito del Friuli
Venezia Giulia per garantire le attivazioni delle procedure di sospensione dei rientri e dei pagamenti delle
rate dei mutui delle imprese così come previsto dal primo decreto legge del Governo e dalla cosiddetta
moratoria Abi, operativa già da inizio marzo. L'assessore ha quindi espresso la necessità di proseguire nel
confronto con tutti i portatori di interesse per mettere in atto un'attività collegiale utile a trasformare le
misure previste nel decreto governativo in risorse economiche per le aziende.

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Badante simbolo uccisa dal coronavirus (M. Veneto)
Chiara Benotti - La comunità dei romeni nel Friuli Occidentale piange Cucula Lenuta vittima del coronavirus:
una badante arrivata da Macin, a 500 chilometri dal Mar Nero, per lavorare e per mantenere la famiglia a
distanza. «Cucula a 60 anni è mancata dopo tre settimane di lotta contro il virus Covid-19 in ospedale a
Udine - ricorda Carina Sava a capo dell'associazione George Enescu -. È un grande dispiacere: abitava con la
sorella a Cordenons e un figlio si trova a Milano. Era conosciuta e stimata dalla nostro comunità, ma tante
altre badanti sono in difficoltà nella situazione di pandemia coronavirus: tante famiglie le hanno
licenziate».Il consolato romeno di Trieste offre supporto, ma le frontiere della Romania sono chiuse: è
difficile anche partire. «Cucula è stata il simbolo di un progetto di vita e di sacrifici fatti per ottenere un
salario - ha aggiunto Sava -. Tante sono le badanti che abbandonano per bisogno le loro famiglie, a volte
anche non in regola pur di trovare un reddito: un sostegno da spedire a casa, in Romania. In questo periodo
di crisi sanitaria mettono a repentaglio anche la loro salute. Oppure si trovano senza lavoro».La badante
Cucula ha cominciato ad accusare qualche linea di febbre e tosse, a metà marzo: sembrava un'influenza. «È
stata ricoverata all'ospedale di Pordenone e poi trasferita a Udine - ha ricostruito la presidente dei romeni
pordenonesi -. Ci ha detto di avere la polmonite e di essere curata bene in ospedale: sono state le ultime
parole e abbiamo sperato e pregato per lei». La rete dei contatti sociali di Cucula è stata decisiva per fare
scattare la quarantena agli amici e dell'anziana che seguiva a domicilio, qualche giorno dopo il ricovero. La
bussola della speranza è durata tre settimane e poi l'ala nera della tragedia è scesa sulla comunità romena.
«L'epilogo tragico ci ha preso così in contropiede - ha concluso Sava -. Siamo vicini a tutte le persone che
soffrono». Nel Pordenonese ci sono oltre 1.500 badanti: qualcuno dice che si tratta della punta di un
iceberg, perché non tutte hanno un contratto di assunzione regolare. I controlli sono costanti e le multe
salate.«Oltre 1.500 badanti nell'area vasta e con un turnover rapido annuale, che aumenta nei momenti di
crisi come quella che stiamo vivendo - ha confermato Mauro Agricola allo sportello sindacale Uil a
Pordenone -. In ogni caso sono un valore aggiunto per le famiglie».La vita di Cucula è stata lo specchio di
una realtà complessa. «Le loro presenze sono raddoppiate nell'arco di dieci anni: ci sono anche casi di
badanti non in regola e il via vai è alto - ha aggiunto Agricola -. Seguiamo le buste paga delle cosiddette
regolari con il contratto di lavoro». Le badanti offrono un servizio importante nella società che invecchia.
«Sono un'ancora di salvezza per la gestione delle persone anziane non autosufficienti - valuta Agricola -.
Tante non possono usufruire dei servizi nelle case di riposo».Tante badanti arrivano da Polonia, Ucraina,
Romania, alcune dall'Africa e hanno una media di 50-55 anni: è quello che risulta dalla banca dati Uil. «Il
trasferimento per lavoro dai loro Paesi d'origine è una necessità economica - ha valutato Agricola -. Restano
in media cinque anni, alcune sono in pensione. Hanno contratti di lavoro vari: a ore in famiglia, oppure in
convivenza e il salario medio per chi risiede in famiglia è di circa mille euro mensili».In Friuli Venezia Giulia,
meno dell'11% delle badanti occupate proviene dall'Italia...

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CRONACHE LOCALI

Cisint frena sulla riapertura di Fincantieri: «C'è ancora un'emergenza da risolvere» (Piccolo Go-Monf)
Tiziana Carpinelli - Seduta alla scrivania di legno, Anna Maria Cisint, si è posta un interrogativo molto
semplice, prima di scrivere al Prefetto affinché perori a Roma l'«inopportunità di concedere la ripresa
lavorativa» alla più grande azienda insediata a Panzano: «Se Fincantieri riapre il 14 aprile, pur con tutti gli
accorgimenti interni per il contenimento del coronavirus, all'esterno la città come potrà, in un contesto di
emergenza sanitaria, gestire l'arrivo di alcune migliaia di persone provenienti da altre regioni o addirittura
paesi?». Maestranze che «una volta uscite dalla fabbrica si recheranno nei nostri supermercati,
coabiteranno nelle foresterie e case di Monfalcone, necessiteranno di prestazioni sanitarie». E, seconda
domanda, «rispetteranno le distanze nei furgoni o mezzi di trasporto comuni?». Ma soprattutto: «Faranno
prima la quarantena, se originarie di luoghi con focolai infettivi?».Dipendesse dal sindaco, «Fincantieri non
dovrebbe aprire nell'attuale situazione». A meno di «repentini crolli sulle statistiche Covid-19», a oggi
improbabili nell'arco di una manciata di giorni, perlomeno stando alle curve dei contagi. Bando ai
fraintendimenti: l'amministrazione è «consapevole che l'Italia debba ripartire, ma nell'attuale frangente è
prioritario l'aspetto sanitario, poiché l'epidemia non è terminata e ciò rappresenta la nostra più grande
preoccupazione ora». La prima cittadina non è allarmata dalla situazione intra moenia, in quanto
«Fincantieri bene ha fatto e bene sta facendo nel predisporre tutti i meccanismi per rispettare le distanze e
le misure di sicurezza quando dovrà riaprire». L'amministrazione ha pure dato in concessione gratuita «uno
stallo giallo per l'inserimento della postazione di rilevamento del termoscanner». Cisint è in ansia invece per
le ricadute del trasfertismo sul territorio, con una popolazione in larga parte ora asserragliata in casa.
Insomma, prima la salute e la vita dei cittadini, «prioritarie» rispetto alle esigenze di produzione.A meno
che - ed è la proposta che l'amministrazione avanzerà domani al tavolo (via skype) con il prefetto Massimo
Marchesiello, Asugi, sindacati e Fincantieri - la proprietà non dirotti la lente della ricerca di forza lavoro sul
territorio, facendo entrare nell'indotto le aziende di qui: in questo modo, riflette Cisint, «i lavoratori
rientrerebbero nelle loro case la sera, senza riflessi sulla città». Ci sono però collaborazioni instaurate da cui
non si può prescindere.I vigenti decreti fissano l'interruzione di ogni attività industriale (compresa quella
navalmeccanica e la filiera), salvo le categorie indicate nelle emanazioni con codici Ateco. L'allarme è sorto
perché, come si rileva nella lettera inoltrata anche al governatore Massimiliano Fedriga, «in questi ultimi
giorni si sono diffuse in città voci che, sempre con crescente insistenza, indicano anche lo stabilimento
Fincantieri tra le aziende in procinto di chiedere la concessione di deroga per ripristinare le attività, a
prescindere da eventuali protrazioni dei provvedimenti governativi». Gli attuali decreti infatti stabiliscono
fino al 13 la sospensione delle attività.
Il Pd: «Investire su spogliatoi e sulla prevenzione»
testo non disponibile

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Maestri fuori dalla graduatoria. Perso il ricorso, 59 senza titoli (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Marco Bisiach - Cinquantanove insegnanti isontini delle scuole dell'infanzia e delle scuole primarie devono
dire addio alle graduatorie a esaurimento, agli elenchi per il sostegno e anche alle graduatorie d'istituto di
primo fascia. È questo l'effetto del decreto con cui l'Ufficio scolastico regionale mette in atto le disposizioni
sancite dalle sentenze dei giudici, che hanno ritenuto di non concedere il diritto di accesso alle graduatorie
agli insegnanti che hanno acquisito i loro titoli prima del 2001.Molti di loro hanno fatto ricorso per poter
essere entrare nelle graduatorie ad esaurimento, e le loro istanze sono state rigettate. Con ogni probabilità,
a meno di casi particolari, continueranno a lavorare anche nel prossimo anno scolastico - quando, si spera,
anche il mondo della scuola potrà ripartire normalmente una volta superata l'emergenza coronavirus -, ma
essenzialmente solo perché le richieste di docenti sono talmente elevate da esaurire ogni lista. Intanto,
però, da un lato scoppia la polemica per la consistenza di ricorsi onerosi che forse sarebbero potuti essere
evitati, dall'altro si profila una grande confusione nella futura compilazione delle graduatorie che, chiedono
i sindacati, va ora sanata. Ma andiamo con ordine. I 59 insegnanti isontini ora "depennati" dalle liste sono
quelli ai quali il Ministero aveva riconosciuto la validità dell'abilitazione per titoli acquisiti prima del 2001: in
seconda fascia, però, e quando in seguito le graduatorie sono state determinate a esaurimento (nel 2009),
costoro non hanno potuto presentare la loro candidatura. Di qui sono scattati i ricorsi per l'ingresso in
prima fascia, che in prima battuta hanno dato ragione agli insegnanti, inseriti in via cautelativa, con riserva,
nelle liste. Il Ministero ha fatto ricorso e si è andati avanti a colpi di carte bollate per tre o quattro anni,
durante i quali molti docenti sono entrati in ruolo, e altri hanno ottenuto dei posti a tempo determinato.
Fino allo scorso anno, quando i giudici si sono definitivamente espressi sul merito, stabilendo che dato che
le graduatorie a esaurimento sono chiuse dal 2009, e questi insegnanti hanno presentato la richiesta
successivamente, non hanno diritto a entrarvi. Di qui la situazione attuale.«Chi nel frattempo ha sostenuto
il concorso straordinario ed è passato in ruolo, è tranquillo - dice Adriano Zonta, della Cgil Scuola -, ma non
per tutti le cose stanno così. Chi non ha fatto il concorso, se anche ha un contratto a tempo indeterminato,
passerà al tempo determinato, e anche coloro che già avevano un contratto a scadenza ovviamente
avranno meno certezze. Sia chiaro, sostanzialmente per tutti un posto di lavoro ci sarà, perché la richiesta
di insegnanti nella scuola è talmente alta da esaurire abbondantemente tutte le liste, ma resta il fatto che
ora si genererà una grande confusione proprio nella determinazione delle nuove graduatorie». Proprio per
questo la Cgil Scuola lancia, oltre a questo preoccupata allarme, anche un appello al Ministero per trovare
una soluzione, che potrebbe essere quella di una sorta di "sanatoria". «La nostra proposta e richiesta al
Ministero è proprio questa - conferma Zonta -. Ci vuole una sanatoria, con l'assunzione di tutti questi
docenti all'inizio del prossimo anno scolastico, in modo da poter garantire alle scuole il regolare
funzionamento. Poi i mesi di lavoro valgano per loro come anno di formazione, con la possibilità di
affrontare alla fine un nuovo concorso straordinario che regolarizzi una volta per tutte le posizioni».

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