RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - venerdì 27 marzo 2020

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – venerdì 27 marzo 2020
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)
Aziende strategiche: imprenditori e sindacati sottoscrivono l'intesa (M. Veneto)
Stop all'ipotesi dello sciopero nella metalmeccanica triestina (Piccolo)
«Case di riposo anello debole. Ora serve un piano specifico» (Piccolo)
Telefoni in tilt ai patronati: «I lavoratori sono smarriti» (M. Veneto, 2 articoli)
«L'80% degli impiegati in smart working» (Piccolo)
Fincantieri allunga lo stop. Dal 30 marzo scatta la Cig (Piccolo)
Dall'abbigliamento alle agenzie di viaggio: affonda il terziario (Piccolo)
Terapia intensiva: tra una settimana il reparto Covid-19 pronto a Cattinara (Piccolo)
Sei pazienti dimessi dalla terapia intensiva. «Trattamento riuscito, ora la riabilitazione» (M. Veneto)
Fedriga attacca il Governo sulla sanità: «Ci invia materiale con il contagocce» (M. Veneto)
Mascherine, consegne in 27 comuni. Sono al massimo due per famiglia (Piccolo)
Mascherine ai sindaci: in una decina di giorni saranno consegnate a tutte le famiglie (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 10)
Ferriera, inizia lo spegnimento. Finisce un'era durata 123 anni (Piccolo Trieste)
Massa di disperati fra Silos e Porto vecchio. Ora la Diocesi alza la voce con le istituzioni (Piccolo Trieste)
«Il virus non ci fermerà: tutte le lezioni online» (Piccolo Trieste)
Il virus fa saltare le ricorrenze. Stop al 27 marzo e al 25 aprile (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«Nessun contagiato»: il piano della Quiete (M. Veneto Udine)
All'ospizio di Mortegliano si rifanno i test (M. Veneto Udine)
Automotive chiude un'altra settimana (M. Veneto Udine)
Indagini sul rogo all'A&B: c'è la pista di un guasto (M. Veneto Udine)
C'è chi dice no all'anticipo della "cassa" (M. Veneto Pordenone)
L'hospice di San Vito viene trasformato in reparto Covid-19 (M. Veneto Pordenone)

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ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA

Aziende strategiche: imprenditori e sindacati sottoscrivono l'intesa (M. Veneto)
Maurizio Cescon - Agricoltura e allevamenti, pesca e acquacoltura. Industria delle bevande, ma anche
fabbricazione di imballaggi in legno. Prodotti farmaceutici, materie plastiche, apparecchiature
elettromedicali, motori, generatori e trasformatori elettrici. Raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti,
manutenzione e riparazione di autoveicoli. E ancora trasporto aereo, servizi postali, alberghi, attività legali
e contabili, attività di pulizia e disinfestazione. Riparazioni e manutenzioni di computer, telefoni,
elettrodomestici e articoli per la casa. Infine le attività di call center, consentite solo alle attività in entrata
per assistenza clienti o reclami. Sono queste alcune delle tipologie di imprese che potranno continuare a
lavorare, visto che, dopo l'ultima scrematura dell'elenco, sono state considerate essenziali e
strategiche.L'obiettivo, infatti, è quello di contemperare la finalità primaria della protezione sanitaria della
popolazione per contenere il contagio da coronavirus con quella del mantenimento delle attività
imprenditoriali strettamente necessarie alla tenuta del sistema Paese. Su questa piattaforma c'è stata la
convergenza, in tempi rapidi e con condivisione di modelli e ruoli, delle parti firmatarie di una intesa
sottoscritta ieri a Trieste tra le Prefetture del Friuli Venezia Giulia, la Guardia di finanza (ente designato per i
controlli del caso), le Camere di Commercio, le associazioni datoriali dell'industria e le organizzazioni
sindacali Cgil, Cisl, Uil e Ugl per razionalizzare in particolare la verifica delle condizioni per la prosecuzione
delle attività produttive inserite nel Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) del 22 marzo
2020 che, com'è noto nell'ottica di ridurre la pandemia ha limitato l'attività imprenditoriale sul territorio
nazionale fino al 3 aprile. Da parte loro le Camere di Commercio della Venezia Giulia, di Pordenone-Udine,
Confindustria Alto Adriatico, Confindustria di Udine e Confapi Friuli Venezia Giulia e le organizzazioni
sindacali, svolgeranno una supervisione e un ruolo propulsivo affinché non si verifichino abusi e che le
attività consentite siano finalizzate al perseguimento delle finalità illustrate.«Devo ringraziare tutte le parti
per il grande senso di responsabilità e per la capacità di aver saputo cogliere gli elementi positivi di questa
intesa, accantonando logiche di parte e consentendo ai prefetti, e per essi al Governo, di svolgere un
compito delicato ma assolutamente necessario per favorire la più rapida ripresa del Paese», ha
commentato il rappresentante di governo, il prefetto di Trieste Valerio Valenti. Il presidente di
Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti condivide la soddisfazione per il risultato raggiunto
segnalando che, pur nello specifico ambito, esso si inquadra nell'indispensabile spirito di unità nazionale
che vede istituzioni e corpi sociali collaborare lealmente nell'interesse superiore dell'Italia. Cgil Cisl Uil
regionali hanno «espresso soddisfazione per una modalità di monitoraggio e verifica, utile a garantire il
reale rispetto delle norme previste dal Decreto riguardo le chiusure aziendali. Un percorso che ci vede
pienamente coinvolti e che valorizza anche il ruolo delle nostre strutture territoriali e delle Rappresentanze
sindacali unitarie». «La Camera di Commercio Venezia Giulia - afferma il suo presidente Antonio Paoletti -
in cui sono rappresentate le categorie economiche del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura e
dell'industria ha aderito al protocollo garantendo il massimo supporto per quanto di propria competenza
alle Prefetture, alla Guardia di finanza, alle imprese e alle organizzazioni sindacali per la corretta
applicazione delle prescrizioni introdotte dal Dpcm».Tra le altre attività imprenditoriali che proseguiranno
ci sono pure commercio all'ingrosso di libri, riviste e giornali, commercio di prodotti farmaceutici, servizi di
informazione e comunicazione, attività finanziarie e assicurative. Uno dei settori più importanti della
manifattura del Friuli Venezia Giulia, il legno-arredo, che vale oltre il 14% del fatturato della manifattura
(3,5 miliardi di euro l'anno) però sarà costretto al fermo assoluto, almeno fino al 3 aprile, salvo
prolungamenti.

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Stop all'ipotesi dello sciopero nella metalmeccanica triestina (Piccolo)
Marco Ballico - Lo sciopero della metalmeccanica triestina è sospeso. Antonio Rodà della Uilm Uil, a nome
anche di Marco Relli della Fiom Cgil e di Alessandro Gavagnin della Fim Cisl, lo ufficializza ieri nel tardo
pomeriggio al termine della videoconferenza del sindacato con il prefetto Valerio Valenti. Il riconoscimento
del ruolo delle categorie e le novità del confronto romano tra Cgil, Cisl e Uil e il ministro dello Sviluppo
economico Stefano Patuanelli, con «importanti novità nell'allegato delle attività produttive indispensabili»,
ha convinto le sigle a ritirare la minaccia di un'astensione dal lavoro nelle fabbriche da oggi a lunedì. Dopo
di che, avvertono Rodà, Relli e Gavagnin, «monitoreremo il rispetto dei contenuti del decreto che chiude le
fabbriche per il coronavirus e segnaleremo le eventuali irregolarità». Il sindacato si dice comunque
soddisfatto del confronto con il prefetto, delle garanzie ricevute e anche dell'annunciato coordinamento
delle attività ispettive tra Prefettura e Guardia di Finanza per il controllo dello stop delle fabbriche non
indispensabili fino al 3 aprile, come da decreto Conte. Per capire però quali stabilimenti continueranno a
produrre e quali invece si fermeranno si tratta di attendere la giornata di oggi, il momento delle verifiche
dei codici Ateco e delle conseguenti decisioni da parte delle proprietà, fermo restando che a poter aprire
saranno anche le attività delle filiere necessarie alla continuità di quelle essenziali. Un quadro dunque
ancora in movimento mentre in Regione è stata definita l'intesa che disciplina la concessione del
trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga, «uno degli strumenti di sostegno attivati dal decreto
Cura Italia - ricorda l'assessore al Lavoro Alessia Rosolen -, a favore di lavoratori che non possono accedere
alle tutele previste dalle disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario in costanza di rapporto
di lavoro quali Cigo, Cisoa, Fis o Fondi di solidarietà». A beneficiare della misura - un'integrazione salariale
per un massimo di 9 settimane - saranno operai, impiegati e quadri, compresi i soci delle cooperative con
rapporto di lavoro subordinato, i lavoratori apprendisti, i somministrati e i lavoranti a domicilio
monocommessa. «Bene l'accordo - è il commento di Susanna Pellegrini, responsabile delle politiche del
lavoro per la Cgil regionale -, ma resta però la preoccupazione per la copertura, a fronte di una mole
stimata di circa 50 mila domande. È auspicabile pertanto che intese sull'anticipo dell'indennità come quella
stipulata in queste ore tra Regione e Bcc possano essere da apripista per accordi a livello di Abi». --M.B.

«Case di riposo anello debole. Ora serve un piano specifico» (Piccolo)
Mettere al centro dell'azione le case di riposo e il rischio vissuto in queste settimane dagli ospiti delle
strutture per anziani e disabili. Lo chiedono i sindacati dei pensionati e il Partito democratico a Regione,
Comuni e Aziende sanitarie, davanti all'aumento di casi positivi e morti a Trieste e in Friuli. Per Cgil, Cisl e
Uil, «le carenze nella prevenzione sono tra le cause dei contagi nelle case di riposo: serve un piano per
fronteggiare l'emergenza coronavirus cercando di ridurre il suo pesantissimo impatto su case di riposo, rsa
e assistenza domiciliare. I dati sono sotto gli occhi di tutti e non indicano soltanto un livello di mortalità alto
tra gli anziani, ma anche la loro maggiore esposizione al contagio. Rischio che nella nostra regione,
purtroppo, appare particolarmente alto proprio tra ospiti e operatori delle case di riposo, anche per effetto
di carenze negli standard residenziali e nelle dotazioni dei dispositivi di protezione individuale. Serve un
rigoroso rispetto delle misure di sicurezza». I dem Franco Iacop e Mariagrazia Santoro invitano a loro volta
a puntare il faro sulle «emergenze da coronavirus in diverse case di riposo della regione, come anche nella
sanità territoriale in genere. Serve un piano che tuteli anziani e disabili». Il Pd chiede una «task force» delle
Aziende sanitarie con «predisposizione di piani di evacuazione e ricollocazione di ospiti in case di riposo in
caso di focolaio; la creazione o riattivazione di residenze protette per anziani asintomatici o in quarantena,
ma anche quelli dimessi dagli ospedali per altre patologie; linee guida a supporto del personale pubblico e
privato che opera nelle strutture». D.D.A.

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Telefoni in tilt ai patronati: «I lavoratori sono smarriti» (M. Veneto)
I telefoni non smettono di squillare, gli operatori alzano la cornetta e rispondono a donne e uomini
preoccupati. Rispondono a mamme che chiedono informazioni sui congedi parentali o su come ottenere i
bonus per le baby sitter, a lavoratori che già usufruiscono di permessi per assistere i genitori anziani (legge
104), ai dipendenti rimasti a casa per la chiusura delle attività. Siamo nelle sedi dei Patronati sindacali e
delle associazioni di categoria diventati dei fari che illuminano le vite disastrate dall'emergenza sanitaria da
Covid-19.Non potendo uscire di casa, da Udine a Pordenone, i lavoratori autonomi e i dipendenti
telefonano ai Patronati per sapere come ottenere gli aiuti previsti dal Governo. «Siamo nel marasma»
ripetono i responsabili delle varie sedi che, per fornire un servizio, garantiscono l'apertura degli uffici anche
attraverso lo smart-working. Come accade spesso, il decreto non è chiarissimo soprattutto per quanto
riguarda il riconoscimento dei 600 euro ai lavoratori autonomi. «Confartigianato - spiega Biasutti - sta
chiedendo di poter trasmettere all'Inps le domande di indennità per i lavoratori autonomi, attraverso degli
intermediari come le associazioni di categoria». Non tutti, in effetti, hanno il Pin per accedere al sito
dell'Istituto di previdenza e anche coloro che ne sono in possesso non sempre riescono a completare la
compilazione della domanda. «Mi capita spesso - spiega Danilo Margheritta della Cgil - di trovare le
domande in bozza. Se, per errore, spuntano la casella sbagliata rischiano di perdere gli aiuti». I Patronati,
per sostituirsi agli aventi diritto, hanno ottenuto di poter chiedere agli interessanti il mandato, facendosi
inviare le deleghe e le copie dei documenti anagrafici via mail, per raccogliere poi le firme sui documenti
cartacei. In questo modo riescono a fronteggiare le difficoltà favorite anche dall'impossibilità di muoversi.
Analoga la situazione nel Patronato della Cisl che ha deciso di estendere l'apertura delle sedi. «Visto il
numero di richieste di aiuto che stiamo registrando in questa settimana - conferma il responsabile Inas
Udine, Stefano Cattarossi - abbiamo deciso di coprire tutte le sedi. In questi giorni stiamo facendo
supplenza da Udine».Non è da meno l'Encal-Cisal dove il responsabile provinciale, Riccardo Rizza, paragona
l'attuale richiesta di contatti a quella registrata ai tempi dell'introduzione del reddito di cittadinanza.I
Patronati, quindi, sono diventati i luoghi dove la gente cerca risposte. I toni sono preoccupati perché
percepiscono la paura, il timore di non facerla anche dal punto di vista economico che molte persone
stanno vivendo da quando è iniziata la pandemia. A prescindere da quando finirà la quarantena, la
situazione alimenta una serie di domande su un futuro molto incerto per tutti. In assoluto, i quesiti più
frequenti riguardano il congedo parentale riconosciuto ai genitori con figli fino a 12 anni d'età. Se
continuano a lavorare uno dei due coniugi può rimanere a casa 15 giorni pagati al 50 per cento.
Considerato che, in questo momento, molti lavorano da casa e con i figli piccoli non sempre è agevole farlo,
uno dei due preferisce occuparsi dei bambini. L'accesso a questa misura non è ancora stato perfezionato
per i lavoratori autonomi che, a differenza dei dipendenti, non sanno come formalizzare la domanda. I
genitori con figli dai 12 ai 16 anni di età possono assentarsi per lo stesso periodo senza copertura figurativa.
In presenza di figli con handicap, invece, l'indennità resta al 50 per cento. I lavoratori pubblici sono esclusi
dal meccanismo burocratico perché le indennità vengono pagate direttamente dagli enti per cui
lavorano.Molto richiesta pure la possibilità di estendere i permessi retribuiti previsti dall'ex legge 104 per
problemi sanitari o di assistenza a parenti bisognosi di aiuto. Ai tre giorni mensili se ne possono aggiungere
altri 12 nell'arco di un bimestre (marzo e aprile). A tutto ciò si aggiunge il bonus per il servizio di baby sitting
assicurato anche al personale sanitario al quale viene pagato dall'Inps attraverso il libretto di famiglia a
partire dal 5 marzo, ovvero dalla data in cui è scattata l'emergenza sanitaria. Da quella data, infatti, il
personale sanitario è in prima linea nella lotta contro l'infezione che ha bloccato il mondo. Il bonus per il
servizio di baby sitting è cumulabile con le giornate di permesso retribuito previste dalla legge ex 104 e con
il prolungamento del congedo parentale per figli con disabilità grave.Ogni giorno, decine e decine di
persone contattano gli operatori dei Patronati per chiarire dubbi, porre quesiti e avere informazioni
semplicemente sulle date di scadenza che al momento resta quella dell'ordinanza, ovvero il 3 aprile. Se a
quella data le restrizioni proseguiranno è facile immaginare che saranno estesi anche gli aiuti ai lavoratori.
Anche questa è una delle tante domande che i lavoratori, gli imprenditori e i liberi professionisti continuano
a porre ai Patronati che stanno davvero fornendo un servizio indispensabile per portare un po' di
tranquillità alle famiglie.

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Cgil Udine, Danilo Margheritta
«Dal tono di voce delle persone che ci chiamano al telefono avvertiamo la criticità della situazione». Danilo
Margheritta, il responsabile del Patronato Inca Cgil, racconta con preoccupazione la corsa alle informazioni
che sta registrando nell'ufficio di Udine.Da giorni tranquillizza i lavoratori preoccupati per il loro futuro:
«Stiamo rispondendo a un grido di aiuto. Quasi tutti chiedono chiarimenti sul congedo parentale». Sono
genitori, mamme e papà, costretti al telelavoro, che non sanno a chi lasciare i figli. «Siamo incollati alla
scrivania, stiamo dando assistenza telefonica usando lo scambio dei documenti via mail per compilare le
domande». Margheritta si sofferma su questo punto per evidenziare una delle rivoluzioni introdotte
dall'emergenza sanitaria da coronavirus «Noi che eravamo restii all'utilizzo della tecnologia - continua il
sindacalista - stiamo registrando un'esplosione della modalità online, l'unica che ci consente di chiedere agli
interessati il mandato per inviare, nei termini, la documentazione». Una volta conclusa l'emergenza,
quando tutti potremo muoverci, i Patronati dovranno far firmare i mandati in originale. Ma quello sarà un
problema del dopo perché ora, l'importante è far si che «questa situazione possa farci meditare sul senso di
responsabilità e sull'egoismo sviscerato di cui abbiamo abusato al punto da trasformarlo in una prassi
comune».

«L'80% degli impiegati in smart working» (Piccolo)
Massimo Greco - A Trieste l'80 per cento dei lavoratori, in grado di operare da una postazione informatica
fissa, viene temporaneamente riconvertito in attività "smart working" da svolgere a casa, a domicilio come
si sarebbe detto nel secondo dopoguerra. Non è facile formulare statistiche che riguardano un fenomeno
nuovo, perlomeno nelle attuali estese applicazioni collegate alle necessità indotte dal coronavirus
sull'organizzazione del lavoro. Ad azzardare la percentuale, cui è molto arduo avvicinare una
quantificazione numerica, è Erika Damiani, socia della Ergon, dal 2011 per tre mandati presidente dei 76
consulenti del lavoro, raccolti nel consiglio provinciale triestino; in tutta la regione i professionisti del
settore sono un migliaio. La stima della Damiani è il frutto di un monitoraggio ufficioso effettuato tra i
colleghi, allo scopo di precisare le dimensioni di un fatto sociale inedito e di cominciare a valutarne
l'impatto. «I dipendenti amministrativi delle aziende e gli addetti degli studi professionali (avvocati,
commercialisti, architetti, ingegneri, ecc.) - dice la presidente - sono le categorie più interessate a questa
nuova modalità». In genere si tratta di "white collars", di più agevole collocazione logistica, in quanto altre
fattispecie, dalla fabbrica ai trasporti fino all'agricoltura, sottendono evidentemente habitat meno
adattabili.La Damiani chiarisce che l'operare-stando-a-casa non significa la pacchia. Anzi, secondo la
consulente triestina questo strumento, anche alla luce dell'odierna esperienza, andrà ricalibrato.
«Innanzitutto ci segnalano numerosi problemi di carattere organizzativo, legati soprattutto al computer e
alla linea. Sovente il dipendente domiciliarizzato deve utilizzare propri mezzi informatici e il dialogo con i
sistemi aziendali non è automatico». «Le imprese, che praticavano lo smart working prima dell'emergenza
sanitaria - continua - erano abituate a numeri e a periodi molto più bassi, parliamo di un giorno o al
massimo due giorni alla settimana. Tutto era gestibile, contenuto: adesso il quadro è cambiato».
«Dipendenti e imprese sono sotto stress - osserva la Damiani - perchè muta il rapporto con il cliente,
perchè molti lavoratori soffrono una sensazione di isolamento nell'operare da soli, fuori dalla consueta
routine relazionale condivisa con i colleghi». «A questo si aggiunge la disabitudine di lavorare 8 ore in un
contesto familiare, dove è difficile concentrarsi solo sul proprio lavoro». Per la consulenza del lavoro si apre
un nuovo fronte di analisi. L'attività professionale, a seconda della tipologia e delle dimensioni dello studio,
riguarda l'amministrazione e la gestione del personale conto-terzi. In alcuni casi al consulente vengono
demandate le relazioni industriali e il contenzioso con i dipendenti.Un comunicato, diffuso con la doppia
firma di Sandro Benigni (consulta regionale degli Ordini) e di Mirella Piccinin (sindacato Ancl), sottolinea il
ruolo della categoria nella «assistenza e supporto alla gestione dei rapporti di lavoro agile e forme
alternative di svolgimento dell'attività di lavoro a distanza». Chiede inoltre la sospensione degli
adempimenti e dei pagamenti nei confronti degli enti previdenziali-assistenziali-fiscali per tutte le aziende
sospese dall'attività fino al 30 giugno. La nota insiste sulla semplificazione all'accesso agli ammortizzatori
sociali per l'emergenza Covid-19 «portandoli a un'unica procedura che non preveda accordi sindacali o
ulteriori intermediari oltre all'Inps».

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Fincantieri allunga lo stop. Dal 30 marzo scatta la Cig (Piccolo)
Giulio Garau - Un' altra settimana di chiusura. Fincantieri di fronte all'emergenza Corona virus, e alla
situazione che non vede ancora una curva in discesa dei contagi, prolunga la chiusura di tutti i siti, sia del
settore Cruise che di quello militare. L'azienda aveva previsto solo due settimane, dal 16 al 27 marzo, ora si
adegua al decreto del governo, firmato dal premier Giuseppe Conte e rinvia tutto al 3 aprile come tutte le
altre realtà del Paese. Ma è chiaro sin d'ora che è altamente probabile, se non certo, che il governo
prolunghi di altre settimane le chiusure di tutte le fabbriche non essenziali.Questa volta però c'è una
grande novità come anticipato già nella serata di martedì da una nota sindacale: entra in campo la
cassintegrazione. Fim, Fiom e Uilm dopo un incontro in videoconferenza hanno trovato un' intesa con
Fincantieri sulle modalità della chiusura per i lavoratori, sia delle due settimane che stanno per concludersi
che di quella che terminerà il 3 aprile. I quindici giorni di chiusura non saranno più considerate ferie
collettive, ma saranno coperte con ferie maturate nel 2019 e se non disponibili con permessi di recupero o
altri istituti «sino a concorrenza delle 80 ore del periodo di riferimento» spiega in una nota la stessa
Fincantieri.Ma ecco invece la parte che riguarda la produzione: l'accordo prevede che una volta ripresa
l'attività «allo scopo di assicurare il rispetto dei programmi in atto, non si procederà per l'anno in corso alla
fermata estiva, fatta salva la fruizione di ferie individuali in corso d'anno, secondo una pianificazione che
verrà fatta in ciascun sito, nel rispetto delle esigenze tecniche e produttive». Ecco invece la parte che
riguarda la settimana che va dal 30 marzo al 3 aprile.«Pur avendo posto in essere tutte le azioni necessarie
per la messa in sicurezza dei propri dipendenti - spiega una nota ufficiale dell'azienda - Fincantieri ha deciso
di proseguire, dal 30 marzo, la sospensione dell'attività lavorativa degli stabilimenti e delle sedi fino alla
data indicata dal Decreto». Il gruppo in pratica provvederà a «richiedere la Cassa integrazione guadagni
ordinaria (Cigo) per la causale "emergenza COVID-19", a zero ore, per il personale di tutti i siti aziendali dal
30 marzo per tutto il periodo di sospensione ad oggi previsto dal Decreto».E anche per questa ulteriore
settimana in alternativa alla Cigo il personale dipendente potrà fruire di ferie o permessi, basterà farne
richiesta. Nel periodo interessato alla Cigo, fa sapere Fincantieri, saranno comunque svolte le «attività di
carattere manutentivo degli impianti, anche connesse alla sicurezza degli stessi, e dei servizi essenziali dei
siti, nonché di direzione e gestione strettamente necessarie ai correnti adempimenti dell'impresa e per lo
svolgimento delle attività propedeutiche alla ripresa produttiva».Proseguirà anche il lavoro a casa:
«l'azienda proseguirà ad applicare lo strumento dello smart working laddove le specifiche attività lavorative
e le dotazioni informatiche lo rendano compatibile». Ci sono già molti dipendenti che lavorano a casa, ma
ora dopo l'accordo con Fim, Fiom e Uilm le unità saliranno a ben 550.

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Dall'abbigliamento alle agenzie di viaggio: affonda il terziario (Piccolo)
Negozi di abbigliamento, agenzie di viaggio e immobiliari, professioni. Categorie che stanno pagando un
prezzo altissimo dell'emergenza sanitaria ed economica in corso. «Il comparto moda rappresenta oltre mille
aziende in provincia di udine e dà lavoro a circa 3mila persone - spiega Alessandro Tollon, vicepresidente di
Confcommercio Fvg e consigliere del gruppo Federmoda -. Gli ordini si fanno con un anticipo di 6-9 mesi e
dunque la chiusura forzata dei negozi, l'ultimo anello della catena, mette in crisi l'intera filiera».Su scala
nazionale, secondo Confcommercio, con il protrarsi delle chiusure delle attività produttive e di quelle del
terziario, come commercio, turismo, servizi, trasporti e professioni - e con la prospettiva che questa
situazione si prolunghi nel tempo il calo dei consumi potrebbe toccare i 52 miliardi. Con la cassa
integrazione in deroga per le aziende da uno a 5 dipendenti che mette almeno in parte al riparo i
collaboratori, i problemi contingenti «restano quelli legati al pagamento di fornitori e affitti. Con gli incassi
azzerati è impossibile pagare i fornitori che hanno già prodotto e consegnato e, nella speranza di aprire
prima dell'estate, si pone il tema dei saldi che iniziano i primi di luglio riducendo drasticamente la
marginalità del commercio. Una soluzione? L'accesso al credito con il sostegno di Confidi Friuli ci può
aiutare a scollinare la tragica crisi, ma il sistema moda, già in difficoltà, soffre moltissimo».Non diverso il
punto di visto di Lino Domini, capogruppo di Fimaa Confcommercio provinciale: «La situazione è
pesantissima. La riduzione dei fatturati nel settore immobiliare si aggira tra il 65 e il 70%, le agenzie sono in
ginocchio. Il mercato era in leggera ripresa dopo la crisi del 2008 e ora è arrivata un'altra mazzata, con
conseguenze che riguardano, nel nostro territorio, anche le locazioni turistiche, viste le ripetute disdette.
Non c'è dubbio che servono azioni decise di sostegno: oltre al rinvio delle scadenze fiscali, contributive e
delle utenze, è più che opportuno reintrodurre la cedolare secca per le locazioni commerciali».
Confcommercio provinciale segnala anche i danni gravissimi subiti dalle agenzie di viaggio, effetto della
paralisi dei trasporti, quelli aerei in particolari, con aeroporti chiusi e voli passeggeri cancellati.

Terapia intensiva: tra una settimana il reparto Covid-19 pronto a Cattinara (Piccolo)
Diego D'Amelio - Sarà pronto tra una settimana esatta il nuovo reparto di Terapia intensiva Covid-19 di
Cattinara, che l'Azienda sanitaria giuliano isontina sta allestendo in tutta fretta in uno dei piani della Torre
medica sventrati durante le operazioni preliminari della mai iniziata ristrutturazione dell'ospedale. Uno
sforzo organizzativo ed economico di non poco conto, visto che i lavori sono partiti il 15 marzo in un'area
priva ormai di ogni impianto e che le opere affidate all'impresa Siram costeranno all'Asugi ben due milioni
di euro. Ma in tempi di coronavirus non si fanno considerazioni di bilancio e i 39 nuovi letti di rianimazione
serviranno come il pane in una regione che registrava ieri 54 pazienti in Terapia intensiva su 78 posti al
momento disponibili. Il presidente Massimiliano Fedriga e il vicepresidente Riccardo Riccardi avevano
annunciato un piano di ampliamento graduale della terapia intensiva per Covid-19 in due fasi: da 29 a 94
posti grazie ad apparecchiature già in possesso del Sistema sanitario regionale e da 94 a 155 in caso di
nuove forniture di tecnologia da parte della gestione commissariale nazionale. Si tratta di quintuplicare i
posti in terapia intensiva dedicati al coronavirus, mentre il resto della dotazione continua a servire i pazienti
con altre patologie. Si è partiti a inizio emergenza con 7 posti a Cattinara, 12 a Udine e 10 a Pordenone. Si
sta salendo verso i 94 (al momento siamo a 78): 15 per Cattinara, 16 a Gorizia, 30 a Udine, 21 a Palmanova
e 12 a Pordenone. Si punta ad aggiungere con l'ultimo step 61 posti ulteriori a Trieste: 41 a Cattinara, 16 al
Maggiore (a Dermatologia) e 4 al Burlo. Il dodicesimo piano di Cattinara rientra in questo secondo
passaggio. L'epidemia restituisce insomma al nosocomio il dodicesimo piano della Torre medica, uno dei
cinque demoliti in vista dei lavori che non sono mai partiti per la bocciatura del progetto esecutivo
presentato dal gruppo di imprese capitanato dalla coop veneta Clea. Ne deriverà un reparto che il direttore
generale Antonio Poggiana definisce «a geometria variabile» e che, a seconda della gravità del caso,
tratterà il paziente affetto da coronavirus con metodi da terapia intensiva o sub intensiva. Grazie a una
procedura con affidamento diretto, per evidenti ragioni di urgenza, la Siram riceverà 2 milioni per la
realizzazione del reparto in tre settimane. La spesa non toccherà all'Azienda sanitaria ma allo Stato, sulla
base del recente decreto del governo. I lavori sono cominciati il 15 marzo, tenuti riservati dalla direzione
generale ed emersi per la prima volta grazie all'affissione di un annuncio di servizio che bloccava l'uso di
uno degli ascensori dell'ospedale per generici interventi al dodicesimo piano. «La prima parte dei 39 posti
sarà disponibile dal 3 aprile», chiarisce Poggiana, «contento della buona offerta che stiamo mettendo in
campo»...

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Sei pazienti dimessi dalla terapia intensiva. «Trattamento riuscito, ora la riabilitazione» (M. Veneto)
Luana de Francisco - Per sei pazienti l'incubo è finito. La loro vita, da ieri, non è appesa più ai cavi dei
ventilatori meccanici della Terapia intensiva e nelle cartelle cliniche si parla finalmente di riabilitazione. La
road map della rinascita, respiratoria e motoria. La bella notizia arriva in una giornata di emergenza
epidemiologica invariabilmente cupa per tutti, in regione e nel resto del Paese. Ma getta comunque un
raggio di luce su chi, in quel reparto, c'è ancora e su quanti, sintomatici o no, tremano alla sola idea di
ritrovarcisi. È Amato De Monte, direttore del Dipartimento di anestesia e rianimazione dell'Azienda
ospedaliero universitaria integrata di Udine, a confermare le dimissioni e illustrare lo stato dell'arte,
aggiornato a ieri sera, nell'area Covid-19. «Sui trenta pazienti ricoverati, sei sono stati stubati e trasferiti nel
reparto di terapia sub intensiva, per essere avviati al percorso di riabilitazione con gli pneumologi diretti dal
primario Vincenzo Patrono», spiega. Già, perché alla battaglia più dura, ora, segue la scommessa di tornare
a essere come prima. Prima che il nemico invisibile li aggredisse fino a togliere il respiro. «Superata la fase
critica - continua De Monte -, ora i sei pazienti dovranno intraprendere un programma di recupero
fondamentale a livello tanto respiratorio, dopo essere stati così a lungo sedati e ventilati a pancia in
giù».Sfida tanto più decisiva, trattandosi di persone d'età compresa tra i 55 e i 65 anni «e che prima di
arrivare da noi - aggiunge il primario - erano sane, senza altre patologie, salvo qualche caso di
ipertensione». Dire se ciò che ha salvato loro salverà anche gli altri, al momento, è impossibile, ma la strada
imboccata è senz'altro incoraggiante. «Sono stati sottoposti a cicli di trattamento che si erano dimostrati
validi contro altre patologie virali, come la Sars - spiega De Monte -, oltre che a farmaci prescritti dagli
infettivologi guidati da direttore Carlo Tascini. Un mix di trattamenti che sarà valutato anche per altri casi,
ma che non autorizza ancora a sbilanciarsi, tenuto conto che a tutt'oggi non c'è alcuna certezza su quale sia
quello corretto». Sempre su richiesta dell'infettivologo, una decina di giorni fa, il Comitato etico unico
regionale aveva autorizzato l'«uso compassionevole» su due pazienti del remdesivir, uno dei pochi farmaci
per cui sussista un'evidenza sperimentale di efficacia nei confronti dei coronavirus. L'importante, per ora, è
riuscire a vedere una luce in fondo al tunnel. «Non sappiamo neppure se il picco debba ancora arrivare. Con
le previsioni - avverte - è meglio essere il più prudenti possibile. Intanto, lasciamo che a parlare siano i fatti:
dalla Terapia intensiva si esce anche vivi. Ci si sta per tutto il tempo necessario a supportare con le
macchine l'organismo e aiutarlo così, con un monitoraggio costante, a uccidere il virus e superare
l'infezione. Poi, però - continua -, bisogna anche lavorare sul recupero del danno arrecato al corpo»...

Fedriga attacca il Governo sulla sanità: «Ci invia materiale con il contagocce» (M. Veneto)
Mattia Pertoldi - Massimiliano Fedriga l'ha definita una «operazione di verità» nei confronti di quanti -
leggasi soprattutto dentro al Pd - «stanno scaricando le colpe» per il mancato approvvigionamento di
materiale sanitario (mascherine, guanti e quant'altro) sulla Regione. Non è così, invece, per il governatore
che ha espressamente voluto riepilogare l'iter legislativo di palazzo Chigi dalla dichiarazione dello Stato di
emergenza nazionale in poi per spiegare «ai cittadini della regione» la situazione reale.«Alcuni non
conoscono lo stato dell'arte oppure ancora peggio, e io penso sia proprio così - ha attaccato il governatore -
, vogliono utilizzare politicamente l'emergenza sanitaria per alimentare polemiche inesistenti nei confronti
della Regione e dei suoi professionisti che stanno svolgendo un compito eccezionale». Fedriga, nel suo
racconto, parte dal 31 gennaio. «La storia comincia nel momento in cui - ha detto - il Governo,
legittimamente, decide di passare al commissariamento nazionale per l'emergenza coronavirus. Un
commissariamento con il quale è Roma a occuparsi degli acquisti in tutto il Paese. Non lo ha deciso Fedriga,
non lo ha deciso la Regione, ma il Governo e noi non abbiamo potuto fare altro che adeguarci»...

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Mascherine, consegne in 27 comuni. Sono al massimo due per famiglia (Piccolo)
Marco Ballico - La Regione avvia la consegna della prima tranche di mascherine anti-coronavirus alla
popolazione del Friuli Venezia Giulia. Ma, rispetto alle ambizioni (due per ciascun cittadino) e ai tempi
annunciati (chiudere l'operazione al termine di questa settimana) ci si dovrà inizialmente accontentare.
Visto il ritmo di produzione attuale (20-30 mila pezzi al giorno grazie alle otto imprese che hanno risposto al
bando), nei prossimi 10 giorni ne verranno recapitate 200 mila, non più di 2 per famiglia. La distribuzione
andrà calibrata a seconda delle disponibilità. Impossibile, al momento, anticipare quando si arriverà a
Trieste e Gorizia. La missione più complicata sarà quella nel capoluogo del Fvg. «La Protezione civile
regionale consegnerà le mascherine alla Pc locale - spiega il sindaco Roberto Dipiazza -, a quel punto credo
che andremo a suonare a ogni campanello. Ci sono anche i volontari dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco,
possiamo mobilitare centinaia di persone. Il vantaggio sarà che troveranno tutti in casa». Nell'agenda della
Protezione civile, tra ieri e oggi, ci sono 27 comuni. Il criterio adottato, spiega il vicepresidente Riccardo
Riccardi, è quello dell'incidenza della malattia rispetto agli abitanti. «Saranno poi i sindaci a individuare una
priorità d'intervento, dando la precedenza ai nuclei che presentano una maggiore esigenza in termini di
fragilità». Dopo Socchieve e San Martino al Tagliamento, le mascherine sono in arrivo tra l'altro a Prepotto,
Taipana, Caneva, Valvasone Arzene, Chions. Nell'elenco c'è il Pordenonese, compresi il capoluogo, Sacile e
Fontanafredda, quindi le Valli del Natisone con Cividale. L'unico comune della provincia di Trieste è
Monrupino. Tra dieci giorni il secondo giro di consegne. A quel punto si spera di avere individuato altre
imprese produttrici e attivato altri canali: quello statale e quello delle donazioni...

Mascherine ai sindaci: in una decina di giorni saranno consegnate a tutte le famiglie (M. Veneto)
Giacomina Pellizzari - Le mascherine arriveranno nei comuni entro la prima settimana di aprile. In una
decina di giorni i gruppi locali della Protezione civile recapiteranno ai sindaci tutti i pacchi. Non ce la
faranno prima perché la difficoltà di reperimento delle protezioni continua a segnare la gestione
dell'emergenza sanitaria da coronavirus. La distribuzione sarà gestita direttamente dai primi cittadini in
base alle priorità definite dalle strutture territoriali.«La capacità produttiva che siamo riusciti a mettere in
campo - spiega il vicegovernatore e assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi - è di 20 mila
mascherine al giorno. La distribuzione inizierà dai comuni che hanno registrato il maggior rapporto tra
numero di abitanti e contagiati. Saranno poi i sindaci a individuare una priorità d'intervento, dando la
precedenza ai nuclei familiari più fragili». Seguendo questo criterio, l'altro giorno, le prime mascherine sono
state consegnate a Socchieve, in Carnia, e a San Martino al Tagliamento nel Pordenonese.Istruzioni per
l'usoSi tratta di mascherine lavabili dotate di un grado di filtrazione tale (5 micron) da contenere le
particelle salivali che possono tramettere il contagio da coronavirus. Ogni confezione contiene due pezzi. Il
loro uso è stato descritto in un foglio illustrativo allegato alla lettera con la quale Riccardi ha già comunicato
ai sindaci l'avvio delle consegne. Dalle istruzioni si apprende che le mascherine in distribuzione pur non
essendo un presidio sanitario né un dispositivo di protezione individuale, possono contribuire a limitare la
diffusione del contagio da COVID-19 purché vengano utilizzate asciutte. Ovviamente, anche indossando la
mascherina, resta indispensabile rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro. Realizzate con
tessuto non tossico, coprono il naso e il mento. Il tessuto è lavabile anche a temperature superiori i 60°C
per oltre 20 volte finché non si notano, visivamente, segni di deterioramenti. Prima di usarle per la prima
volta è opportuno lavarle con soluzioni idroalcoliche (almeno al 70% di alcol) o a base di ipoclorito di sodio
allo 0.5% (candeggina) mantenendole a bagno per almeno 10 minuti. In questo modo verranno meno le
contaminazioni che si depositano sulla superficie. Al lavaggio dovrà seguire l'asciugatura in ambiente aerato
e la stiratura.

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CRONACHE LOCALI

Ferriera, inizia lo spegnimento. Finisce un'era durata 123 anni (Piccolo Trieste)
Diego D'Amelio - Tre settimane per mettere la parola fine a una storia durata 123 anni. La chiusura dell'area
a caldo della Ferriera prenderà il via oggi e, stando al cronoprogramma consegnato da Acciaierie Arvedi al
tavolo tecnico attivato dalla Prefettura, tutto si concluderà il 17 aprile con le ultime operazioni di messa in
sicurezza. Come anticipato su queste pagine nei giorni scorsi, lo stabilimento siderurgico di Servola darà il
via allo stop della cokeria (alle 22 l'ultima carica) passando nella settimana successiva a disattivare
altoforno, agglomerato e centrale elettrica. Che tutto sia pronto lo dice anche l'assessore regionale
all'Ambiente Fabio Scoccimarro: «Domani (oggi, ndr) verrà a avviato dopo oltre vent'anni lo spegnimento
della cokeria. Tutto questo permetterà di migliorare la situazione ambientale e quindi le condizioni di
salute. Al tempo stesso vi sarà quindi un potenziamento delle attività industriali "decarbonizzate": centrale
a gas naturale, zincatura a caldo, verniciatura, linea di ricottura, oltre al definitivo sviluppo portuale e
logistico». Tra gli enti di controllo figura l'Arpa, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, che
seguirà tutti i passaggi pubblicando sul proprio sito informazioni, dati su qualità dell'aria e rumorosità,
immagini e filmati. L'Arpa vuole testimoniare «gli eventuali impatti ambientali associati alla delicata fase di
spegnimento ai fini di una maggiore trasparenza e condivisione nei confronti della popolazione». Come
spiega l'Agenzia, comunque, «il piano non prevede impatti ambientali significativi», mentre sono previsti
episodi visivi, come l'accensione delle fiaccole per eliminare i gas residui. La notizia della fermata è arrivata
una decina di giorni fa. L'azienda aveva più volte annunciato date di spegnimento, sempre rinviate per la
necessità di arrivare prima alla definizione dell'Accordo di programma, come chiesto dal ministro dello
Sviluppo economico Stefano Patuanelli e dal presidente della Regione Massimiliano Fedriga. Lo stop
avverrà ora, senza intesa firmata: il confronto fra azienda e istituzioni è stato congelato dal coronavirus, che
sta facendo passare in sordina quello che sarà un momento storico per Trieste da qualsiasi prospettiva lo si
guardi. L'azienda ha deciso di procedere davanti all'esaurirsi delle materie prime e per ridurre le presenze in
fabbrica durante l'epidemia: un lavoratore è risultato positivo a inizio marzo ma non si registra
un'estensione dei casi. Lo spegnimento in assenza di una cornice definita dal nuovo Adp apre interrogativi
sui tempi di bonifica e riconversione, nonché sul futuro di centinaia lavoratori: nella bozza dell'Accordo
mancano infatti ancora i riferimenti ai finanziamenti pubblici e al piano industriale da modificare dopo la
discesa in campo di Piattaforma logistica srl, che ha in tasca l'intesa di massima sulla cessione dei terreni
dell'area a caldo, destinati a diventare terminal ferroviario a servizio del futuro Molo VIII. Si comincia
dunque in queste ore con lo svuotamento delle due batterie di forni per il carbon coke: l'operazione
richiederà due giorni e sarà seguita dallo svuotamento della torre che contiene il fossile, dalla fermata
dell'estrattore e dalla messa in sicurezza della torre di spegnimento. Lo stop della cokeria sarà concluso solo
il 17 aprile, dopo la chiusura e la messa in sicurezza dell'impianto di refrigerazione, della sezione lavaggio
gas e della decantazione catrame. La fermata dell'altoforno si svolgerà fra il 3 e il 5 aprile, seguita da alcuni
giorni per rendere inerti le sezioni gas e raffreddamento. Sempre il 3 aprile sarà bloccato l'agglomerato,
mentre fra il 4 e il 5 si fermerà la centrale elettrica. L'iter è stato spiegato ieri dalla Direzione alle Rsu dello
stabilimento. La giunta regionale si gode il raggiungimento di un obiettivo che il centrodestra ha
sbandierato in ogni campagna elettorale negli ultimi vent'anni. «La trattativa e il lavoro di questi mesi - dice
Scoccimarro - stanno dando seguito al mandato elettorale dei cittadini. Il risultato giunge a un anno dal mio
primo incontro riservato con il cavalier Giovanni Arvedi, avvenuto il 28 marzo 2019». Quel primo confronto
fu ruvido, ma pose le basi per le trattative avviate durante l'estate. «Il 28 e 29 agosto - ricorda l'assessore -
c'è stato lo scambio formale di lettere tra me e la società che si dichiarava per la prima volta disponibile a
valutare le proposte della Regione». Qualche giorno dopo Arvedi fece pubblicare a pagamento sul Piccolo
una dura lettera in cui attribuiva alle istituzioni la responsabilità per una chiusura non voluta. Il cavaliere di
Cremona e il suo erede Mario Caldonazzo resteranno comunque a Trieste, dove si sono impegnati a
rafforzare le attività del laminatoio a freddo.

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Massa di disperati fra Silos e Porto vecchio. Ora la Diocesi alza la voce con le istituzioni (Piccolo Trieste)
Giovanni Tomasin - La Diocesi di Trieste chiede «con fermezza» alle istituzioni di trovare una soluzione alla
questione dei profughi senza dimora che ogni giorno vengono rifocillati dai volontari delle associazioni
Linea d'ombra e Don Chisciotte in una situazione che gli stessi definiscono «estremamente difficile».
Mercoledì, intanto, una trentina di persone sono state portate in Questura dalla polizia per fare domanda
di asilo ed essere così inserite nella rete di accoglienza.La lettera della Diocesi è firmata dal direttore della
Caritas Alessandro Amodeo: «La Chiesa di Trieste - scrive - considerata l'attuale emergenza derivante dalla
pandemia da coronavirus, e visto il perdurare della difficile situazione meteorologica con previsioni avverse
anche per i prossimi giorni, esprime la più viva preoccupazione per la situazione venutasi a creare nella
zona del Silos e del Porto vecchio, dove diverse persone sono presenti senza un dignitoso rifugio,
disponibile giorno e notte». Amodeo lancia quindi un forte appello alle istituzioni: «La Chiesa di Trieste
chiede con fermezza alle autorità territoriali di attivarsi al fine di trovare soluzioni concrete per fronteggiare
questa che, di ora in ora, si presenta come un'emergenza nell'emergenza. Conferma la propria disponibilità,
attraverso la Caritas Diocesana, alla massima collaborazione implementando i servizi e le strutture che già
ha messo a disposizione di tutti i presenti sul territorio cittadino». In conclusione la Diocesi triestina
«auspica che da parte di tutte le istituzioni interessate si mantenga fisso l'impegno a dare pronta
soddisfazione alle necessità, riparo al coperto, servizi e cibo, che sono primarie per la persona umana, in
conformità alle nobili tradizioni di Trieste, una città tenace, buona e accogliente».Sul tema interviene anche
la capogruppo del Pd in Consiglio comunale Fabiana Martini, a titolo di coordinatrice di Agenda21 Trieste:
«La mia domanda, fuor di polemica, è "dove sono le istituzioni?". Stiamo aspettando che ci scappi il morto
prima di attivarci? Ho fatto parte dell'amministrazione cittadina in passato e so che non esistono soluzioni
semplici a problemi complessi, ma in questo caso mi pare che le risposte possano essere meno complesse
di quanto sembri». Incalza ancora Martini: «Se non si trovano vie diverse esistono molte strutture comunali
che in questo momento non vengono utilizzate e possono venire impiegate come centro diurno in via
emergenziale. Cerchiamo di non arrivare al paradosso di lasciare che qualcuno muoia di freddo perché non
ci si è mossi per tempo».Quali erano ieri le condizioni all'ingresso del Porto vecchio? Il vicepresidente
dell'associazione Linea d'ombra Gian Andrea Franchi osserva: «C'è stato un calo rispetto ai giorni scorsi, si
sono presentate fra le cinquanta e le sessanta persone. Un giovane siriano accusava forti dolori al ventre, è
stato soccorso da un medico dell'associazione Don Chisciotte che ha chiamato un'ambulanza. È stato
portato al Pronto soccorso. Noi continuiamo a essere lì tutti i giorni ma non sappiamo quanto a lungo
potremo resistere». Circa una trentina di persone, secondo le testimonianze di persone presenti, sono state
portate in Questura nella giornata di mercoledì: «È stato chiesto loro di compilare la domanda d'asilo. Si
tratta in gran parte di persone che intendevano proseguire il viaggio verso il Nord Europa, ma noi abbiamo
consigliato loro di fare domanda, anche perché non hanno alternative». La compilazione della richiesta
consentirà, appunto, di inserirli nel sistema dell'accoglienza locale.

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«Il virus non ci fermerà: tutte le lezioni online» (Piccolo Trieste)
Giulia Basso - La sospensione dallo scorso 24 febbraio della attività didattiche e delle lezioni in presenza
all'Università di Trieste a causa dell'epidemia di coronavirus, pur se sofferta, è stata una misura
indispensabile per tutelare la salute di chi studia e lavora nell'ateneo giuliano.«Abbiamo 15851 studenti e
1000 fra specializzandi, dottorandi e frequentanti i master. Sono numeri enormi di persone che si spostano
dalla regione e da altre zone d'Italia e delle vicine Slovenia e Croazia per venire in Università: era
fondamentale fare in modo che tutte queste persone non si muovessero per evitare la diffusione del virus»,
spiega Francesca Larese Filon, delegata del rettore alle Condizioni di lavoro, salute e sicurezza dei
lavoratori.Ma l'Università, evidenzia la delegata, non si è fermata, piuttosto si è velocemente adattata a
una nuova modalità di operare: si è attivata per trasformare tutti i corsi in modalità telematica, perciò
l'attività didattica prosegue regolarmente a distanza. Il calendario delle lezioni è slittato di poco per
permettere a tutti di mettere a punto la piattaforma e oggi la didattica si fa on line. Sono bloccati solo i
laboratori, che riprenderanno non appena terminerà l'emergenza. Anche gli esami e le sessioni di laurea si
fanno da remoto e l'attività di segreteria viene svolta per via telematica. Perché anche nel caso del
personale tecnico amministrativo, così come dei docenti e ricercatori, l'invito del rettore a svolgere le
proprie attività da casa è stato immediato: «Praticamente tutta l'Università lavora oggi in modalità
telematica, con poche eccezioni: pochi docenti, che possono lavorare da soli in ufficio, pochi ricercatori che
devono terminare alcune sperimentazioni indifferibili, il personale tecnico necessario a presidiare gli edifici.
Anche per l'attività di ricerca molto lavoro è di tipo bibliografico, di elaborazione dati e scrittura: un lavoro
che può essere svolto da casa. Il risultato è che su circa 2000 persone oggi in ateneo ci sono meno di 200
persone: è stata questa la scelta per ridurre al massimo la possibile diffusione del virus in questa
comunità».Resta invece in servizio e in prima linea nella lotta contro il coronavirus il personale medico
universitario convenzionato con l'ospedale, che si alterna tra cura dei malati e lezioni online. E restano in
servizio gli specializzandi che lavorano in ospedale, fondamentali per supportare i medici ospedalieri e
universitari: «Per loro in questo periodo l'impegno è molto gravoso, così come per tutto il personale
sanitario che cerca di far fronte a questa emergenza», spiega Larese Filon, docente e responsabile
dell'Unità clinica operativa di Medicina del lavoro. Anche l'Ardiss, l'agenzia regionale per il diritto agli studi
superiori che gestisce le Case dello studente, ha emesso misure restrittive per i pochi ragazzi e ragazze
ancora presenti. E pure la mensa è stata chiusa, per evitare assembramenti di persone. Nel frattempo
all'interno delle strutture universitarie si stanno attuando una serie di misure d'igiene: «L'Università ha
collocato in tutti i propri edifici un numero imponente di distributori a parete di gel disinfettante, in modo
da permettere l'igienizzazione delle mani a tutta l'utenza universitaria. E' stata inoltre eseguita una
sanificazione per la disinfezione dei locali, oltre a continue pulizie periodiche straordinarie», conclude
Larese Filon.

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Il virus fa saltare le ricorrenze. Stop al 27 marzo e al 25 aprile (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Marco Bisiach - Dalle associazioni alle istituzioni, fino ai comuni cittadini. Il virus Covid-19, ovviamente,
cambia quotidianità, appuntamenti e calendari di ciascuno di noi, non fa differenze di colore o di
appartenenza, e, davvero, non guarda in faccia a nessuno. Nemmeno alla storia, verrebbe da dire, se
consideriamo tutte le ricorrenze storiche, appunto, che anche a Gorizia e dintorni non verranno celebrate
quest'anno - o lo saranno con modalità del tutto differenti rispetto alle abitudini - a causa dell'epidemia di
Coronavirus e delle strettissime disposizioni di sicurezza.Ma andiamo con ordine. Proprio oggi a Gorizia la
Lega Nazionale avrebbe ricordato con una cerimonia in largo 27 marzo la giornata del 1946 nella quale una
commissione alleata giunse in regione per definire i confini tra Italia e Jugoslavia in previsione del Trattato
di Parigi. Allora un grande corteo di persone si riunì nel centro cittadino manifestando con bandiere
italiane. «In questo travagliato 2020 non potremo ritrovarci nella piazzetta intitolata a memoria del 27
marzo 1946, per ricordare un momento forse decisivo per la sorte di Gorizia - dice il presidente della Lega
Nazionale, Luca Urizio -, ed è un peccato perché si va a perdere un momento significativo. Però oggi c'è
un'altra battaglia da combattere, e i goriziani ieri come oggi sono chiamati a ritrovare uno spirito unitario
ed essere ligi alle regole per battere il virus». Allungando un po' lo sguardo sul calendario, e proiettandoci
già a maggio, a questo punto salterà sicuramente anche l'appuntamento del 3 maggio, quando la Lega
Nazionale puntava a inaugurare il nuovo lapidario in Parco della Rimembranza. «Era la prima data possibile,
mentre la seconda era quella del 9 febbraio 2021 - dice Urizio -. A questo punto i tempi possono allungarsi
ulteriormente. Siamo ancora in attesa di raccogliere le somme e i contributi necessari per completare il
progetto, e che ora giustamente saranno dirottati per iniziative solidali o utili a contrastare
quest'emergenza».Anche se al momento ogni previsione è prematura, è facile immaginare che possano
saltare le iniziative del tradizionale Compleanno di Gorizia (a fine aprile), e sarà diversa dal solito anche la
Festa della Liberazione 2020, il 25 aprile. Un discorso analogo, peraltro, si può immaginare per il Primo
maggio. E ne è consapevole l'Anpi. «Bisogna essere realisti - dice la presidente goriziana Anna Di
Gianantonio -, difficilmente sarà possibile per quella data organizzare manifestazioni di piazza e mettere
assieme tante persone. Purtroppo i programmi salteranno, e dispiace pensare che verranno meno occasioni
di aggregazione, scambio culturale e riflessione. Anche perché il timore è che possa essere così a lungo
ancora. Ma del resto la situazione è molto brutta, c'è gente che sta morendo e altra che sta lottando per
curarla o per guarire, e bisogna accettare ogni limitazione per il bene di tutti». L'Anpi aveva già
programmato da tempo anche molti incontri pubblici propedeutici alla celebrazione del 25 aprile. «C'erano
presentazioni di libri sugli internati militari, conferenze sul fascismo e proiezioni cinematografiche -
racconta Di Gianantonio -. Insomma, un ricco calendario di iniziative a cui tenevamo. Ora rifletteremo e
valuteremo se sarà possibile sostituirle almeno in parte con qualche iniziativa, magari virtuale, ma
ovviamente non potrà essere la stessa cosa».

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