Località must del 2019 seconda parte

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Località must del 2019 seconda parte
Località   must                        del          2019
seconda parte
Giordania, Indonesia, Bielorussia, São Tomé & Principe e
Belize sono le altre cinque località indicate dalla
prestigiosa guida turistica Lonely Planet come le più
“gettonate” per il prossimo anno. Il modo più coinvolgente per
visitarle è attraverso un viaggio su “misura”, ossia tagliato
sulle vostre esigenze personali. Se cercate un viaggio
esperienziale e fuori dai soliti schemi potete rivolgervi a
Evaneos (www.evaneos.it) che propone oltre 8.000 idee di
viaggio taylor made attraverso la collaborazione con una rete
di tour operator locali altamente qualificati. Non a caso lo
slogan aziendale è “ non esiste una maniera unica di
viaggiare: ne esistono tante quante i viaggiatori”.

Giordania

Per gli amanti dell’avventura ecco il paese che fa per voi.
Potete perdervi in paesaggi selvaggi come il deserto del Wadi
Rum, chiamato anche la Valle della Luna (Lawrence d’Arabia è
raffigurato nell’incisione su una roccia per ricordare i suoi
passaggi in questo deserto durante la rivoluzione araba).

Passate nella Rift Valley solcata da gole e ricoperta di
vegetazione dopo le piene improvvise; aggiungete vedute del
punto più basso della Terra (il Mar Morto) e nuotate nelle sue
acque per vivere le sensazioni più emozionanti al mondo.
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Giordania un turista galleggia sulle acque del Mar Morto

Ma Giordania è storia o meglio dove si è fatta la storia. È in
questo Paese che convivono le tre principali religioni:
cristianesimo, islam e giudaismo. Scoprire questa terra è
percorrere il passato vedere con i propri occhi luoghi di cui
abbiamo sentito parlare per anni (il luogo dove è stato
battezzato Gesù, il monte dal quale Mosè ha visto la terra
promessa non ha prezzo. Per non parlare di Petra chiamata
anche la città rosa che molto spesso per la sua bellezza
oscura il resto del paese. Meraviglie in ogni centimetro
quadrato dell’intero sito archeologico. Assicuriamo che vi
lascerà a bocca aperta ammirare El Khasneh la monumentale
facciata scolpita nell’arenaria diventata il simbolo più
conosciuto di Petra. Perdetevi nelle gole che aprono scorci
suggestivi, ammirate i colori, immaginatevi il passato e
godetevi quella che è stata riconosciuta come una delle sette
meraviglie del mondo antico.
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Un’immagine delle bellezze a Petra

Scaldatevi i cuori chiacchierando con gli abitanti che vi
accoglieranno con sorrisi e gustate la loro cucina ricca di
sapori e colori. Scoprirete la grande ospitalità di questo
popolo tanto che non vi dovrete sorprendere se verrete
invitati a sedervi alla loro tavola anzi sulla loro terra
perché si mangia seduti a terra e usando tre dita.

Cosa mangerete? Piatti deliziosi a base di carne ma tante
anche le verdure. Il meglio? hummus e i falafel oltre ai dolci
una vera delizia per il palato come il baklava o il knafeh.

Non chiedetevi quando partire per la Giordania. Non è
necessario perché ogni momento è quello giusto. Il clima è
arido quasi tutto l’anno e ogni mese offre colori e scenari
spettacolari.

Belize
Località must del 2019 seconda parte
Ci spostiamo sulla costa orientale dell’America Centrale per
conoscere il Belize. Il Paese sfoggia a ovest una fitta
giungla mentre al largo della costa una barriera corallina
talmente bella da togliere il fiato: la Belize Barrier Reef.
Essendoci molti isolotti sotto il livello del mare, chiamati
cay, si può osservare la meravigliosa vita marina. Vale la
pena di arrivare in Belize anche solo per ammirare questo
estasiante spettacolo.

Una gigantesca tartaruga nuota nelle limpide acque del mare in
Belize

Incastonato come una perla rara tra il Messico e il
Guatemala, il Belize è un paradiso terreste fatto di bellezze
naturali come il Cockscomb Basin Wildlife Sanctuary, un parco
naturale che salvaguarda il giaguaro, o l’isola di Half Moon
Caye,   dedicata alla conservazione degli uccelli, per non
parlare come vi dicevamo della barriera corallina e del più
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famoso sito di immersione al mondo il Great Blue Hole tanto
bello da essere diventato Patrimonio dell’Umanità. Ma il
Belize offre anche una cultura millenaria pensate ai siti
archeologici come Caracol con i suoi templi e le piramidi a
torre che narrano la grandezza e conservano le rovine
dell’Impero Maya,    il popolo che ha vissuto qui.

Anche le piccole città del Belize sono piacevoli in particolar
modo Belize City, cittadina frizzante con un porto super
affollato che ospita le navi da crociera che giungono da ogni
parte del mondo.

Belize

La città è attraversata dal fiume Haaulover che divide in due
la città: sulla sponda destra c’è la zona commerciale e sulla
sponda sinistra, più turistica, troverete il Museo del Belize
e le grandi strutture alberghiere. Da fare anche alcune gite
fuori porta. Per esempio, a soli 48 km circa da Belize City,
si trovano le rovine Maya di Altun: 13 templi; 2 piazze,
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altari murari, piramidi, tombe e oggetti. Uno degli ultimi
ritrovamenti in questo sito è stata la Maschera di Giada che
rappresenta il volto del Dio Sole.         Insomma il Belize
accontenta tutti ma proprio tutti: appassionati di storia,
escursionisti, divers, gli irriducibili di spiagge e relax. Se
vi chiedete quando andare vi consigliamo di partire tra
gennaio e maggio ed evitare accuratamente il periodo delle
piogge che va da maggio a novembre.

Belize

Sao Tomé & Principe

Sono due isole gemelle che emergono dalle acque dell’oceano di
fronte alle coste del Gabon. È qui che all’inizio del       XX
secolo veniva prodotta la più grande           quantità     di
cioccolato al mondo. Perché regalarsi una vacanza su queste
isole? Semplicemente perché offrono un ambiente ancora integro
sotto l’aspetto naturalistico in quanto poco conosciute dai
grandi flussi turistici. Cosa c’è di meglio che rilassarsi su
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spiagge bianchissime, nuotare nelle acque turchesi, oziare e
crogiolarsi al sole, visitare i villaggi dei pescatori con le
loro case colorate o ammirare gli edifici coloniali
portoghesi?

Sao Tome and Principe

Non mancate di visitare Cao Grande,       la seconda montagna
vulcanica più grande del pianeta diventata il simbolo
nazionale. È un luogo incredibile dove la natura risiede
indisturbata circondata da una fitta foresta pluviale Anche
visitare    le tante piantagioni di caffè e cacao presenti
scoprendo quanto lavoro vi è dietro la produzione di questi
due prodotti è un’escursione interessante. Non mancate di
visitare la Cattedrale di Sant’Antonio di Sao Tomè.
Può sembrare assurdo ma pur essendo due isole piccole sono
tante le cose che si possono fare e i luoghi da visitare.
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Bielorussia – Minsk

Scoperta turisticamente da alcuni anni, in poco tempo la
Bielorussia è diventata una delle mete dell’est Europa più
apprezzate e visitate da turisti di ogni parte del mondo. Il
cardine del paese è Minsk, la capitale, un concentrato di
cultura, storia, arte e divertimento. È una città moderna ed
accessibile che sa offrire anche al turista più esigente
un’infinità di attrazioni e divertimenti. Il suo centro
storico completamente restaurato ospita locali di ogni genere
oltre ad allegre feste di strada nelle serate estive. Ottimi i
servizi di trasporto pubblico che vi permetteranno di
spostarvi con facilità e di contenere anche i costi di
trasporto. Ma nel concreto cosa visitare arrivati a Minsk?
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Minsk – Bielorussia

La chiesa dei Santi Simone ed Elena la riconoscerete subito
per i suoi mattoni rossi. Si trova in pieno centro ed è vicino
a Piazza dell’Indipendenza. A farle da cornice diversi edifici
governativi.

Assolutamente da non perdere il monumento “L’isola delle
Lacrime” con le sue 4 cappelle che contengono la statua di un
angelo che piange e l’incisione dei morti caduti in battaglia
nel conflitto afghano.

Alto circa 40 metri, l’obelisco della Vittoria sorge nel
centro della piazza omonima, e alla sua sommità si erge la
Vittoria. Insomma questo e altro nella città che ospiterà nel
2019 i Giochi europei.

Indonesia

Il territorio dell’Indonesia è vasto: pensate che sono oltre
17.000 le isole che lo compongono e il viaggiatore che decide
di visitarlo si troverà ad osservare una combinazione di
culture e religioni che gli permetteranno di vivere un mix di
esperienze meravigliose. Negli anni i terremoti che hanno
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colpito molte zone situate nei pressi del Ring of Fire
dell’Oceano Pacifico hanno portato distruzione ma il Paese si
è rimesso immediatamente all’opera e gli abitanti accolgono i
turisti con molto entusiasmo e grande gentilezza.

Indonesia

L’Indonesia è famosa per le sue spiagge, per il suo mare, per
le sue isole molte ancora inesplorate ma anche per i vulcani,
per i draghi di Komodo, gli elefanti, gli oranghi e le tigri
che vivono nella giungla.

Vale la visita Giacarta, la capitale, con i suoi oltre 10
milioni di abitanti e altrettanti luoghi interessanti come la
Moschea di Istiqlal. Il lago Maninjau, a Sumatra, è molto
difficile da raggiungere: dovrete percorrere una strada con 44
tornanti ma la fatica del viaggio è grandemente ripagato dalla
grande serenità che vi accoglierà all’arrivo. Anche l’isola di
Lombok, diventata una delle principali zone turistiche dopo
Bali, vanta la bellissima e famosa spiaggia di Kuta: la sabbia
è così fine e impalpabile che sembra borotalco. Per non
parlare dell’arcipelago Raja Ampat, Papua con 1.500 piccole
isole, amato dagli appassionati di snorkeling, e una barriera
corallina tra le più ricche al mondo.

E tanto tanto ancora in un piccolo paradiso terrestre come
l’Indonesia.

Indonesia

Vi siete persi la prima parte delle località must 2019 nessun
problema          potete          cliccare          qui:
http://www.weekendpremium.it/wp/localita-must-del-2019/

Bali, i templi più belli
dell’isola degli Dei (2°
parte)
Di Manuela Fiorini
La seconda parte del mio viaggio a Bali mi ha portato a
visitare i templi più belli e suggestivi dell’isola e ad
assistere ad alcune delle cerimonie più toccanti e misteriose.
Perché visitare un tempio balinese non è come visitare una
chiesa: ognuno è dedicato a una divinità diversa, ha una
struttura differente, una fisionomia propria. Insomma, non vi
sembrerà mai di assistere a “qualcosa di già visto”. Torno di
nuovo a Ubud per visitare la misteriosa Grotta dell’Elefante,
uno dei monumenti più strani e misteriosi, che mi ha lasciata
davvero senza fiato.

La misteriosa Grotta dell’Elefante
La spettacolare Goa Gaja, la Grotta dell’Elefante, è stata
scoperta nel 1922, si pensa che la sua costruzione risalga al
XI secolo. Ma andiamo con ordine, perché il tragitto per
raggiungerla fa parte dello stupore che ho provato al suo
cospetto. Camminando all’interno di quello che sembra un
grande parco, si scende una scalinata che conduce a uno
spiazzo, una specie di arena nella quale si tengono i
combattimenti tra galli in occasione delle feste religiose.
I doccioni della vasca rituale a Goa Gaja

Procedendo oltre arrivo a un’ampia apertura dove si trovano
due grandi vasche, in ognuna delle quali spiccano tre doccioni
a forma di figure femminile, probabilmente ninfe o divinità
fluviali, che gettano acqua nelle fonti sacre. La grotta
appare all’improvviso come un volto mostruoso dall’enorme
bocca spalancata. Alcuni studiosi sostengono che essa
raffiguri il dio Shiva nella sua veste di distruttori, altri
che si tratti della strega Rangda, di cui abbiamo già fatto
conoscenza.
Bagno rituale

Intorno al viso scolpito nella pietra si trovano fini
cesellature della pietra che rappresentano figure che sembrano
fuggire nell’intricata vegetazione, animali e onde che
conferiscono a questa magnifica opera un affascinante
dinamismo. Appena entro all’interno della bocca, di colpo la
luce viene meno. Mi sembra letteralmente di essere stata
“inghiottita” dal mostro. Decido di non pensarci e di
scacciare tutte le paure infantili che raffiorano a tradimento
nella mente. Avanzo. Il corridoio è stretto e umido. Su
entrambi lati ci sono delle strette nicchie, che servivano da
giaciglio per le meditazioni dei monaci. Alla fine del
corridoio e c’è una stanza a T.
L’ingresso della Grotta dell’Elefante

A destra, immerso in un’atmosfera senza tempo, il volto calmo
del dio Ganesha, dal volto di elefante, osserva un orizzonte
indefinito. Dalla parte opposta si trovano tre lingga,
raffigurazione stilizzata della trinità indù. Il mistero
avvolge ancora l’origine di questo insolito tempio.
L’interno della Grotta dell’Elefante: tempietto con offerte
                            votive

La statua di Ganesha, figlio di Shiva, posizionata
all’interno, lo farebbe risalire ad una setta shivaista,
mentre gli elementi decorativi. Ora che sono qui, non ho
fretta di uscire, non ho più quella paura dell’ignoto che ho
provato entrando, ma sono pervasa da un senso di pace quasi
mistica, unita al rispetto per questo luogo così unico.

Il Tempio Madre di Pura Besakih
La tappa successiva del mio itinerario di viaggio mi porta
nella parte est dell’isola, nel villaggio di Besakih, dove si
trova il Tempio Madre di Pura Besakih, il più grande e sacro
di Bali. Fondato nel XIV secolo, è stato via via ingrandito
fino a raggiungere le ragguardevoli dimensioni attuali. Del
complesso, infatti, fanno parte circa 200 tra templi minori e
altari. Un alone di sacralità gli deriva poi dalla splendida
posizione, alle pendici del vulcano Gunung Agung.

Il vulcano Gunung Agung sembra vegliare sugli abitanti di Bali

Per i balinesi, infatti, i luoghi elevati sono le sedi
predilette dalle divinità che, di tanto in tanto, scendono tra
gli uomini, soprattutto in occasione delle cerimonie in loro
onore. Proprio il vulcano non mi appare più come un semplice
elemento della natura, seppure affascinante, quanto un nume
tutelare che veglia sugli abitanti e sull’isola. Una divinità
piuttosto irascibile, come mi raccontano, e per questo
destinataria di offerte e preghiere.

      Il tempio di Pura Besakih alle pendici del vulcano

All’epoca della mia visita al Pura Besakih, ho avuto la
fortuna di partecipare alla cerimonia dell’odalan,
l’anniversario del tempio. Lungo la strada ho visto sfilare
uomini, donne e bambini vestiti a festa. Molte donne
avanzavano con coloratissime ceste di frutta e fiori sulla
testa. Tutte, per l’occasione, indossavano variopinti abiti di
broccato, mentre i bambini vestivano di bianco e avevano sulla
fronte alcuni chicchi di riso bollito, simbolo
dell’abbondanza. Gli uomini, invece, indossavano il tipico
copricapo udah a forma di aureola, che serve, secondo la
credenza, per racchiudere i pensieri positivi ed elevarli agli
dei.
Cerimonia religiosa a Pura Besakih

Tutti, poi, portano in vita una fascia colorata. Prima di
accedere al tempio, ne viene donata una anche a me. Serve per
separare la parte pura, quella superiore, da quella inferiore,
più legata alla terra e a contatto con essa. Visito poi il
sancta sanctorum del Tempio Madre, il Pura Panataran Agung,
dove spiccano i meru.
I caratteristici meru

Si tratta di grandi torri che simboleggiano il Monte Meru,
l’equivalente dell’Olimpo per il pantheon indù. Ricordano un
po’ le pagode cinesi e sono costituiti da una base e da una
serie di gradini. Più alto è il loro numero (e più alta è la
torre) più si è vicini alle divinità.

Ulun Danu, tra le braccia della Dea del lago
A metà del mio viaggio alloggio a Sanur, altro importante
centro di attrazione turistica, insieme alla già citata Kuta e
a Nusa Dua, sede di un’altra celebre spiaggia molto amata dai
surfisti. Meglio stare lontano dalla “pazza folla” e fare
rotta verso la parte centrale dell’isola. Passato il villaggio
di Bedugul, a meno di un’ora da Bangli, arrivo quindi al lago
Bratan.

    Il tempi di Ulun Danu si specchia delle acque del lago

Lo specchio d’acqua è nato da un cratere del vulcano Batur,
che con i suoi 1717 metri di altezza, regala alla zona un
clima più umido e fresco rispetto alla vicina zona collinare.
Il lago fa da sfondo a uno dei templi più belli e suggestivi
di Bali, Pura Ulun Danu. Entro da un cancello e mi incammino
insieme ai miei compagni di viaggio sui sentieri che
attraversano un giardino dai fiori multicolori.

              Ulun Danu, i giardini del tempio

Qui mi fermo fermiamo per fare la conoscenza di una volpe
volante, di fatto un “pipistrellone” grosso come un gatto, ma
dal musetto di volpe e le ali così sottili e soffici da
sembrare di velluto impalpabile. L’esemplare, sicuramente
addomesticato, accetta volentieri alcuni pezzetti di papaya
che gli offro e se li gusta rigorosamente…a testa in giù!
Volpi volanti

Arrivo quindi al cospetto del tempio, che sembra letteralmente
galleggiare sull’acqua, sostenuto solo da sculture a forma di
rana. Al centro svetta un alto meru. È dedicato alla dea del
lago, Dewi Danu, che garantisce l’acqua necessaria per
l’irrigazione e vigila sui raccolti. Per poche rupie prendo a
noleggio una barca con un rematore del luogo per ammirare il
tempio da una prospettiva differente.
Barche a Ulun Danu

Comincio così a muovermi sulle placide acque del lago,
circondata da coloratissime ninfee. Di tanto in tanto, dalle
acque emerge qualche postazione di pesca improvvisata.
Tutt’attorno a me, scende una nebbia quasi mistica, che mi
cinge in un abbraccio che pare quello della dea.

Uluwatu, il tempio sulla scogliera
Gli ultimi scampoli del mio soggiorno sono dedicati alla
scoperta della parte sud dell’isola: la penisola del Bukit,
che mi sorprende con le sue scogliere mozzafiato, che si
stagliano su un mare verde azzurro, separato dal cielo terso
da una linea sottile. L’Oceano Indiano, al di sotto di me, mi
offre la visione di alte onde spumeggianti che si infrangono
sulle rocce.
Il tempio di Uluwatu si affaccia sulla scogliera della
                      penisola del Bukit

In bilico sul bordo di una scarpata, svetta il tempio di Pura
Uluwatu, che si confonde con il paesaggio circostante. I
“custodi” del tempio sono delle curiose scimmiette, che mi
circondano subito per capire se possono ottenere qualcosa di
buono. Entro nel tempio superando il maestoso cancello che
spicca per le incisioni a forma di ali. Mi trovo subito nel
primo dei tre cortili sacri, al quale possono accedere tutti.
Tramonto a Uluwatu

Nel secondo, il jaba tengah, o cortile “puro”, svetta una
statua del dio Ganesha. Mi devo invece accontentare di
ammirare da lontano l’al jeroan, il cortile purissimo, a cui
può accedere solo chi professa l’induismo. Prima di ripartire,
getto un’ultima occhiata all’Oceano, respiro il suo profumo
salmastro e mi riempio la mente del suo colore smeraldo.

Tanah Lot, “la terra in mezzo al mare”
Nella seconda parte della giornata, e non a caso, scelgo di
raggiungere il tempio di Tanah Lot, forse il più fotografato
di Bali perché scenario di pittoreschi tramonti in cui il
cielo si screzia di sfumature che abbracciano tutti i colori
dello spettro solare, dall’arancione al viola al nero.
Uno degli splendidi tramonti che si possono ammirare presso il
                      tempio di Tana Lot

Lambito dal fragore delle onde dell’Oceano Indiano, staccato
dalla terraferma e circondato da una vegetazione rigogliosa,
che ricade sulle rocce, Tanah Lot è degno della sua fama.
L’esperienza più suggestiva che mi sia capitata è assistere
alla cerimonia che vede i sacerdoti vestiti di bianco
raggiungere il tempio attraverso una sottile lingua di terra.
La caratteristica di Tanah Lot è quella di trasformarsi in una
vera e propria isola, irraggiungibile, quando l’alta marea
ricopre l’unico collegamento con la terraferma, lasciando il
tempio nelle braccia del mare.
Durante l’alta marea, il tempio di Tanah Lot diventa un’isola

Non ho potuto entrare a Tanah Lot, tuttavia, sono rimasti fino
al tramonto, per vedere il cielo diventare una tavolozza di un
pittore e il tempio assumere un intenso colore nero, che ne
nasconde i particolari alla vista.

Vi potrei raccontare tantissime altre cose di Bali, perché in
quei quindici giorni trascorsi sull’isola mi sono davvero
convinta che in questo luogo del mondo tutti dovrebbero
andare, almeno una volta nella vita. Ho visitato lo splendido
tempio di Taman Ayun, dichiarato dall’UNESCO Patrimonio
dell’Umanità nel 2012, con i suoi rigogliosi giardini e i sui
meru di altezze diverse.

               I meru del tempio di Taman Ayun

Ho preso una barca a noleggio e ho raggiunto la piccola isola
di Serangan, appena 3 km per 1, conosciuta come “Isola delle
Tartarughe”, per ammirare questi docili animali e ho atteso
sulla spiaggia di Jimbaran l’approdo dei pescatori che
tornavano con il pescato della giornata, che viene poi venduto
direttamente sulle bancarelle improvvisate di cui è costellata
la spiaggia.
Serangan Island, santuario delle tartarughe

Insomma, ho vissuto un’esperienza unica, emozionante, mi sono
riempita la mente e il cuore di questi paesaggi, della
gentilezza e della semplicità dei balinesi, ho visto come non
ci sono “le religioni”, ma semplicemente, tante sfumature di
un unico credo e ogni sfumatura è rispettata e celebrata.
Bali in tavola
Prima di lasciarvi, dimenticavo di dirvi che in questa nostra
avventura abbiamo ovviamente mangiato! Spesso di fretta, ma
sempre cercando di assaporare i piatti tipici del luogo. La
cucina balinese è molto variegata, spezie come lo zenzero, il
cardamomo e la curcuma abbondano. La base di ogni piatto
resta, comunque, il riso. Ovunque potrete gustare il nasi
goreng, il tradizionale riso fritto con gamberi, carne e
spezie, oppure il bakmi goreng, la variante di pasta fritta.

                         Nasi goreng

Tra i piatti nazionali ricordiamo anche il gado gado, vegetali
leggermente cotti in insalata. I piatti più comuni dell’isola
sono, comunque, l’ikan assem manis, il pesce in agrodolce, il
kare udang, gamberi al kurry, il babi kecap, maiale cotto in
salsa di soia dolce e l’opor ayam, pollo marinato in latte di
cocco. Nessun pasto indonesiano, poi, è completo senza il
sambal, una salsa piccante di peperoncini rossi.
Gado gado

Il pasto balinese, in genere termina con una ricca offerta di
frutta, servita come dessert. Tra le specialità dell’isola vi
è il salak, un frutto bruno dal sapore simile alla mela, ma
con la buccia che assomiglia alla pelle di serpente; Abbondano
anche mandarini, banane, manghi e guava, mentre tra le offerte
religiose si può vedere spesso il sawo, dal delicato sapore di
pera matura. Infine, nei mercati locali potrete acquistare
facilmente il rambutan, dalla singolare buccia pelosa ed il
succoso sirsak.
Il frutto del rambutan

Selamat tingall , arrivederci, Bali
Se siete arrivati fin qui, è segno che non vi siete annoiati!
Questa è la Bali che ho voluto raccontarvi, la “mia” Bali. La
porterò nel cuore con il suo bagaglio di ricordi indelebili:
le sue verdi colline, le sue terrazze che fanno crescere il
riso, il misterioso senso del sacro che traspare in ogni
aspetto della vita quotidiana, le pittoresche danze, le
cerimonie, ma anche il saluto delle persone che incontri per
strada, la cortesia, la gentilezza di questo popolo, il suo
sorriso. Spero di avervi incuriosito e invogliato a visitare
questa splendida e mistica isola. Quindi non mi resta che
salutarvi, alla balinese, naturalmente: Selamat tingall.
La mia TOP TEN dei luoghi da visitare “almeno una
                        volta”

                          1 – Bali
L’isola indonesiana di cui vi ho raccontato è al numero uno
della mia Top Ten. Per il fascino di una cultura così diversa
dalla nostra, per la fede e l’armonia che si respira in ogni
luogo dell’isola, immersa in una natura mozzafiato.
2 – Arcipelago della Maddalena (Sardegna)
Spiagge, calette e un mare dalle mille sfumature, dall’azzurro
al verde. La zona fa parte del Parco Nazionale dell’Arcipelago
della Maddalena ed è un santuario dei cetacei, che vengono qui
a riprodursi. Non è difficile avvistare balene e delfini. Tra
le eccellenze c’è la celebre “spiaggia rosa” di Budelli, ormai
ridotta a una striscia sottile. Da vedere prima che scompaia
del tutto. Non mancano gli spunti storici, tra cui la casa
museo di Garibaldi a Caprera, le tracce dell’Ammiraglio
Nelson. Nel cimitero de La Maddalena riposa l’attore Gian
Maria Volonté.
3 – Isole Eolie (Messina, Sicilia)
Sette “sorelle” dal carattere diverso che spuntano dal mare.
Il cono perfetto di Stromboli, con le sue spiagge nere e la
Sciara del Fuoco, la spettacolare colata lavica che dal
cratere scivola verso il mare. E poi Vulcano, con i suoi
vulcanelli sulla spiaggia e le rocce sulfuree, l’elegante
Lipari, con le pietre pomice che galleggiano sulle sue acque
cerulee, le selvagge Alicudi e Filicudi e la discreta Salina
sono, a mio avviso, meraviglie italiane da visitare almeno una
volta.
4 – Costiera Amalfitana (Salerno)
Colori così non si vedono che raramente concentrati in un
unico paesaggio. E se l’UNESCO l’ha inclusa nei siti
“Patrimonio dell’Umanità” un motivo ci sarà. Case variopinte
addossate sulla scogliera a strapiombo su un mare cristallino,
profumo di limoni, fiori e macchia mediterranea si associano
alla cordialità delle persone. Gli stranieri che la visitano
tornano in patria entusiasti. Non diamo per scontate le nostre
meraviglie italiane.
5 – Singapore
La mia impressione, visitandola, è stata quella di fare il
“giro del mondo” semplicemente passando da un quartiere
all’altro. Perché in questa piccola città stato si possono
vedere i grattacieli del Financial District come a New York,
il quartiere coloniale con i suoi monumenti lucenti, i
quartieri cinese, indiano e arabo con gli splendidi templi e
le moschee, i suk e i mercati. E c’è persino una foresta in
città, Bukit Timah, un’oasi urbana popolata di animali esotici
(per noi). I trasporti pubblici sono i migliori del mondo, e
il Pil tra i più alti. Il tutto concentrato in una piccola
isola.
6 – Cascate del Niagara

      (Ontario – Canada e Stato di New York – USA)
Uno degli spettacoli naturali che mi hanno lasciata a bocca
aperta, a partire dal rombo che comincia a sentirsi da lontano
e che annuncia il “salto”, al confine tra Canada e Stati
Uniti. Il gruppo si compone di tre cascate, la celebre
Horseshoe, a ferro di cavallo, la più grande e potente, le
American Falls, sul versante americano, e le Bridal Veil
Falls. Sono le cascate più grandi del mondo per portata
d’acqua. Il consiglio è di visitarle a bordo della Maid of the
Mist, un’imbarcazione che sfruttando le secche e le correnti
vi porta fin sotto l’Horseshoe. E fatevi raccontare dalla
guida la leggenda della principessa indiana che si gettò nella
cascata per un amore infelice. Vale una visita anche il vicino
museo dedicato alle cascate.
7-     Quebec (Canada)
La regione francofona del Canada regala atmosfere
mitteleuropee nelle grandi città come nei piccoli paesi, con
architetture da vecchia Europa nelle grandi città, come Quebéc
City e la Vieux Montreal, ma anche nei piccoli villaggi e
cittadine, che sembrano uscite da un romanzo. Ma la vera
protagonista è la natura, con strade che tagliano in due
infinite foreste di abeti, aceri che in autunno accendono il
paesaggio con i loro colori e sfumature, e poi gli immensi
laghi, le isole che sembrano nascere dalle acque del fiume San
Lorenzo, che in alcuni punti è talmente largo da non riuscire
a vedere la riva opposta (e in larghezza batte perfino il Rio
delle Amazzoni, considerato il più lungo del mondo).
8 – Monument Valley (Stati Uniti)
Al confine tra Utah e Arizona, è uno degli esempi di come la
natura possa essere un’artista superiore a qualsiasi sforzo
umano. L’occhio si perde alla vista delle gigantesche guglie
scolpite dal vento e dai corsi d’acqua, che nei secoli hanno
plasmato questo spettacolo unico. Il sole che scivola lungo le
loro pareti fa il resto. Uno degli spettacoli naturali da
vedere, almeno una volta nella vita. La zona è inclusa nella
Navajo Nation Reservation, e con un po’ di delicatezza e
fortuna si può parlare con i nativi americani per conoscere la
loro cultura e le loro tradizioni.
9 -Parco Nazionale d’Etosha (Namibia, Africa)
Situato nella parte settentrionale della Namibia, è uno dei
più estesi e importanti di tutta l’Africa. Ha un’estensione
complessiva di 22 mila km quadrati, per lo più costituiti da
savana semidesertica. La parte centrale, chiamata Etosha Pan,
deriva da una depressione salina ed è completamente priva di
vegetazione. Nel parco vivono protetti diversi branchi di
elefanti, ma anche leoni, leopardi, bufali e rinoceronti, i
cosiddetti “big five”, ma anche l’autoctona impala a muso nero
e diverse specie di rettili e uccelli. Qui, a mio avviso, si
riesce ancora a percepire l’originario spirito dell’Africa e
ad entrare in contatto con la natura e gli animali,
incontrandoli nel loro ambiente e non sono negli zoo o sui
libri.
10-. Madagascar
Per me, il concetto più vicino a “paradiso terrestre”. Questa
isola, la quarta più grande del mondo, sperduta nell’Oceano
Indiano, con diverse piccole isole satellite, che valgono una
visita, ancor più dell’isola principale, per il loro stato
“naturale”. Questo isolamento ha fatto sì che qui si
concentrasse il 5% delle specie animali e vegetali del mondo,
l’80% delle quali sono endemiche. Rane, lemuri, camaleonti
variopinti, farfalle, scimmie e pesci variopinti vi faranno
compagnia. Salite a bordo della barca di un pescatore locale e
lasciatevi trasportare sulle acque cristalline, mentre lo
sguardo si perde all’orizzonte, dove non scorgerete che
l’Oceano.
Chi sono
Mi chiamo Manuela Fiorini e sono nata a Modena, solo per caso.
Con una mamma nata ad Alessandria D’Egitto, sangue italiano,
greco-cipriota e britannico, zii in Australia e Canada, mi
considero cittadina del mondo. Sono giornalista freelance e
scrittrice. Mi piace viaggiare e raccontare, venire a contatto
con culture, tradizioni e paesaggi diversi. Scrivo di turismo,
enogastronomia, salute e benessere. Come narratrice ho
pubblicato alcuni romanzi e racconti in diverse antologie e
riviste. Perché viaggio anche con la fantasia. La mia pagina
Facebook è https://www.facebook.com/manuelafioriniauthor/
La “mia” Bali: perché                                     è
l’”isola degli Dei”
Di Manuela Fiorini

Qual è il luogo del mondo in cui andare, almeno una volta
nella vita? A questa domanda ho risposto senza esitazioni:
Bali! È passato ormai qualche anno da quelle due settimane in
cui mi sono innamorata dell’isola indonesiana, dei suoi
abitanti dal sorriso gentile, da quella disponibilità
all’accoglienza, al rispetto per religioni e tradizioni
diverse che mi hanno fatto anche fare un pensiero, dopo aver
conosciuto qualche italiano che ha fatto “il grande passo”, a
trasferirmi proprio qui.
E a sorprendermi ancora di più c’è stato il fatto che Bali è
stata un’esperienza di vita inaspettata. Non è stato infatti
un viaggio programmato, o desiderato, quando un colpo di
fortuna, un dono del destino, se volete. Negli anni della mia
gavetta come giornalista, lavoravo in una redazione di un
magazine di turismo. Il direttore un giorno mi convoca nel suo
ufficio e mi dice: “L’Ente del Turismo Indonesiano ci offre un
viaggio stampa a Bali, io sono impegnato. Vuoi andarci tu?”
“Sì, certo! Grazie!”, avevo risposto d’impulso. “Bene, allora
trovati un fotografo che venga con te”.
Uscita dall’ufficio carica come una molla, mi ero subito
fiondata su internet per vedere dove si trovasse Bali
esattamente: dall’altra parte del mondo. Il ché mi aveva
galvanizzata ancora di più. La mia scelta del fotografo,
invece, era caduta su Fabrizio, un freelance romano con appena
qualche anno più di me, non solo perché faceva delle belle
foto, ma se dovevo andarmene dall’altra parte del mondo con
uno sconosciuto, preferivo che fosse un mio coetaneo o quasi,
con lo stesso spirito d’avventura e la voglia di divertirsi.

Selamat datang, benvenuti!
È una delle prima parole che ho sentito e imparato in
indonesiano, una lingua musicale, fluida, con suoni simili
all’italiano, nonostante la grafia sia per un occidentale
aliena e complessa. Selamat datang significa “benvenuti”, ed è
proprio così che mi sono sentita fin dal mio primo impatto con
l’isola di Bali.
L’imponente monumento equestre appena fuori l’aeroporto di
                           Denpasar

Al nostro arrivo all’aeroporto Ngurah Rai di Denpasar, la
capitale balinese, io e Fabrizio abbiamo trovato la nostra
guida, Archana, un giovane balinese dai grandi occhi neri e
dal sorriso gentile, che ci ha dato il benvenuto con una
profumatissima collana di fiori cambogia. In questa avventura
abbiamo avuto come compagno anche il taciturno Dewa, l’autista
del monovolume che per dieci giorni ci ha scarrozzato da una
parte all’altra dell’isola.
Il Bajra Sandhi Monument a Denpasar

Perché Bali è chiamata “Isola degli Dei”
Quando ci si riferisce a Bali, la si definisce così. E
conoscendone gli usi e le tradizioni non mi è stato difficile
capire il perché. Un’altra delle cose che ho imparato per
prime, subissando Archana di domande, a cui lui ha sempre
risposto con infinita pazienza è che il nome dell’isola, Bali
deriva dal sanscrito wali, cioè “cerimonia”. L’espressione
religiosa, infatti, è molto dai balinesi: non c’è casa il cui
ingresso non sia protetto dalle statue dei guardiani, figure
tra il mostruoso e il grottesco, ma dalla valenza positiva, la
cui funzione è quella di proteggere gli abitanti dai tanti
temuti spiriti maligni.
La mia impressione davanti a queste figure spaventose e
grottesche, di primo acchito, è stata di timore, mi sentivo
“osservata” ovunque entrassi o andassi, ma poi, a poco a poco,
mi sono diventati familiari, quasi simpatici. Ho poi imparato
che ogni luogo in cui vivono i balinesi, che sia
un’abitazione, una spiaggia o un negozio, è provvisto di un
piccolo tempio o un altare dove, quotidianamente, vengono
fatte offerte di cibo, fiori e qualche rupia agli Dei.
Offerte votive

Una delle prime cose che ho notato, lungo la strada che
dall’aeroporto mi portava in hotel, è stato vedere la fila di
grossi alberi, ognuno dei quali era “fasciato” con un drappo a
scacchi bianchi e neri. Ne ho subito chiesto il motivo.
Anch’esso era legato al culto degli spiriti. I ficus benjamin,
gli alberi in questione, sono considerati le dimore degli
spiriti maligni, e “legandoli” con i colori che simboleggiano
il bilanciamento tra il bene e il male, e che ricorreranno in
molte altre cerimonie religiose a cui ho avuto la fortuna di
assistere, si impedisce loro di uscire a fare danni.

Da Jimbaran a Kuta
Il mattino dopo il mio arrivo, la prima tappa è il villaggio
di Jimbaran. Lungo la strada, le situazioni che mi
incuriosiscono sono molte: ci sono famiglie intere a bordo di
piccoli scooter, donne dagli abiti variopinti che espongono
frutta, fiori e ceste per le offerte in piccoli banchi
improvvisati ai bordi delle strade.
Tradizione e modernità lungo le strade dell’isola

Ne approfitto per entrare nel mercato coperto, che apre tutti
i giorni dalle 5 alle 11 del mattino, un piccolo microcosmo
colorato dove poter trovare dalla frutta ai fiori, dai polli
al pesce, dalle ceste a piccoli oggetti di artigianato
artistico. È qui che si respira il vero spirito dell’isola:
tra la sua gente. Li osservo contrattare, barattare, scambiare
un pollo con un mazzo di fiori, e tutti con il sorriso sulle
labbra.
Il mercato di Jimbaran

Risalgo in auto e procedo alla volta di Kuta, uno dei più
famosi centri turistici di Bali e meta preferita dei surfisti,
soprattutto del sud est asiatico e dall’Australia. Bali si
trova a soli 5° a Sud dell’Equatore e gode di una temperatura
costante di circa 28° praticamente tutto l’anno, alternando
una stagione secca a una piovosa, determinata dai Monsoni. Per
questo è così ambita dagli amanti della tavola, che qui
sfoggiano i loro fisici scolpiti e i loro tatuaggi, sfidando
le onde più alte.
La spiaggia di Kuta

In tutta sincerità, Bali non mi ha particolarmente colpita per
le spiagge. Kuta è una lunga mezzaluna dalla sabbia rosso
dorata, con un mare pulito, ma piuttosto scuro, a causa delle
origini vulcaniche dell’isole.

                       Surfisti a Kuta
Alle mie spalle, sfila una lunga serie di palme, che separano
la strada dalla via principale, lungo la quale abbondano i
negozi dei grandi marchi sportivi americani e occidentali.
Vendono soprattutto abbigliamento sportivo e per il surf, ma
ci sono anche ristoranti e le grandi catene di fast food. Un
aspetto un po’ troppo turistico e commerciale, che forse ho
apprezzato meno della parte più mistica e naturale dell’isola
o, forse, semplicemente, perché troppo affine al consumismo
occidentale a cui sono abituata.

             Negozi adiacenti la spiaggia di Kuta

Ubud e la Foresta delle Scimmie
A mio avviso, Ubud custodisce l’anima antica e operosa di
Bali. Non aspettatevi una città, piuttosto un grande
villaggio, composto da altri centri più piccoli. Nel cuore
della città antica si trova il Puri Saren Agung, noto anche
come Ubud Palace. Prezioso esempio di architettura e di arte
balinese, è stato parzialmente ricostruito dopo il terremoto
del 1917.
Ingresso del Puri Saren Agung a Ubud

A nord di esso sorge il tempio privato della famiglia reale,
il Pura Marajan Agung, mentre a ovest, spicca per bellezza e
senso di pace il piccolo Taman Saraswati, dedicato a Dewi, dea
della saggezza. Sul retro si trova un laghetto sul quale
spiccano migliaia di fiori di loro e statue della dea. A
colpirmi è proprio questa armoniosa simbiosi tra
l’architettura degli edifici, frutto dell’ingegno umano, e la
natura del luogo.
Ubud, Palazzo Reale

Una delle esperienze più belle che ho vissuto a Ubud, è stato
immergermi nel cuore di Alas Kedaton, la “Foresta delle
scimmie”, una striscia di jungla in cui si trovano tre templi
e, soprattutto, una numerosa comunità di scimmie e macachi
balinesi, che si avvicinano alle persone senza timore, per non
dire in maniera spudorata.
Alas Kedaton, tempio di Haruman, il dio scimmia

Il primo consiglio che ci è stato fornito è stato quello di
non dare loro cibo o di sfoggiare oggetti, come cellulari o
macchine fotografiche, in grado di incuriosire gli animali,
per il rischio concreto di vederseli letteralmente portare
via! Consiglio che ho prontamente disatteso, dal momento che
mi è stato impossibile resistere agli occhietti furbi di
queste famigliole di scimmiette.

Lungo un intricato sentiero che conduce nel cuore di questa
jungla di città, scorgo subito un gruppo di macachi che sosta
lungo la via. Al nostro passaggio, ci ritroviamo circondati da
tanti buffi visetti. Un cucciolo mi si attacca ai pantaloni,
altre scimmiette giocano tra loro, una femmina allatta il suo
neonato, mentre i grossi maschi vigilano sul resto del gruppo.
A Bali, le scimmie sono considerate animali sacri perché
discendenti di Haruman, la grande scimmia bianca che aiutò il
principe Rama, protagonista del poema epico indù Ramayana, a
liberare l’amata Sita, fatta prigioniera dal demone Rawana.

I villaggi degli artisti
Una delle esperienze più belle è stata visitare, appena a Sud
di Ubud, alcuni dei villaggi dove vengono realizzati gli
oggetti tipici dell’artigianato locale, ma non solo. Grazie
alla nostra indispensabile guida balinese, ho imparato che
dietro a ogni realizzazione artistica c’è un significato quasi
mistico. Inoltre, ogni “mestiere” si tramanda da padre in
figlio, in modo tale che gli abitanti di un villaggio spesso
sono tutti intagliatori, tessitori o, artisti.
La splendida maschera del Barong, animale mitico tra il drago
                 e il leone, simbolo del Bene

Come nel villaggio di Batubulan, dove tre volte al giorno,
presso il teatro Saharadewa, viene messa in scena la “Danza
Barong”, uno degli spettacoli più suggestivi a cui mi sia
capitato di assistere. La ragione di queste “repliche” non è
solo turistica, ma ha un significato intrinseco, che è quello
di tenere bilanciati il Bene e il Male. Sul palcoscenico,
infatti, c’è sempre un sacerdote e gli attori che interpretano
i personaggi malvagi tengono in mano un fazzoletto bianco,
simbolo del bene.
Batubulan, ballerine di danza Legong

Lo spettacolo si apre con le sensuali ballerine di Legong, una
danza tutta al femminile, accompagnata dal suono del gamelan,
uno strumento tradizionale. Le danzatrici, tutte bellissime,
si muovono lente, spostando gli occhi in maniera unica. Un
altro momento topico della danza è l’ingresso della strega
Rangda, personificazione del male. Ha il corpo ricoperto di
pelliccia animale e sul volto una maschera spaventosa e
colorata, con una lingua di fiamme lunga fino alla vita e
zanne possenti.
Danza del Kriss, stregati da Rangda i guerrieri si pugnalano

Contro di lei si scagliano i guerrieri armati di coltelli
rituali, ma la strega li fa impazzire e questi rivolgono
l’arma contro di sé, pugnalandosi. È la danza del Kris, il
pugnale sacro. E mi garantiscono che i pugnali sono veramente
appuntiti come sembrano, ma lo stato di concentrazione, quasi
di trance, in cui cadono i danzatori fa sì che essi non
sentano il dolore.
Il Barong interviene per salvare i soldati caduti sotto il
               sortilegio della malvagia Rangda

Finalmente, preceduto dalla danza delle scimmie, fa il suo
ingresso il Barong, animale mitico, impersonato da due attori
-danzatori, uno governa la testa, l’altro la parte posteriore.
Simbolo del Bene, ha l’aspetto di un leone, il corpo ricoperto
da un pesante vello di capra e sul volto una maschera
colorata, con gli occhi sporgenti, le zanne e fauci che
vengono fatte schioccare dall’attore al ritmo del gamelan. Il
Barong sconfigge Rangda e riporta l’equilibrio tra il Bene e
il Male. Alla fine dello spettacolo, sul palcoscenico vengono
lasciati i cestini con le offerte.
Mas, bottega di un intagliatore

Batubulan è anche il villaggio degli scultori che ricavano
dalla pietra vere e proprie opere d’arte, molte delle quali
finiscono ad abbellire i templi della zona. Mas, invece, è il
villaggio degli intagliatori di legno. Qui ho acquistato le
mie maschere, e anche una splendida rappresentazione in
odoroso legno di sandalo di Rama e Sita, gli amanti del
Ramayana, che ora mi guardano da una vetrina e mi riportano
come per magia di nuovo sull’isola.
Realizzazione di un batik

A Batuan, invece, ho la fortuna di assistere alla
realizzazione di un’opera in batik, l’arte pittorica balinese
fatta di colori vivaci, disegni complessi che si ripetono e
raffigurano elementi della natura, piante e animali., ma anche
forme geometriche complesse. Qui ci sono anche molte gallerie
d’arte. Le opere in batik autentiche riportano lo stesso
disegno da una parte e dall’altra della stoffa, se il disegno
compare su una parte sola, si tratta di una stampa.

Gunung Kawi, al cospetto dei Re scolpiti nella pietra
Un’altra delle tappe più sorprendenti del mio viaggio è   stata
la visita al tempio di Gunung Kawi, o Tempio della        Tomba
Reale. Vi confesso che di templi ne ho visitati tanti a   Bali,
ma questo è davvero unico per la sua posizione, nel       mezzo
della jungla.
Una parte del tempio di Gunung Kawi, immerso nella jungla

Per arrivarci ho attraversato villaggi e risaie a terrazza. Il
sentiero di pietra, fatto di saliscendi e gradini, dal
villaggio di Tampaksiring segue il corso del fiume Pakrisan e
si addentra in una fitta vegetazione tropicale. Lungo il
percorso, tra ponticelli sospesi, palme imponenti e “alberi
del pane” si incontrano diversi templi dedicati alla dea del
fiume e alcuni villaggi di capanne.
A poco a poco, il sentiero diventa più stretto, mentre i lati
della collina assumono la forma di un complesso sistema di
coltivazione a terrazze, dove si scorgono i primi germogli
delle piantine di riso. A un tratto, nella parete della
montagna, tra il fogliame della jungla, spuntano cinque
gigantesche strutture, i candi.

             I candi del tempio della Tomba Reale
Secondo la leggenda, questi enormi monumenti celebrativi,
anche se in un primo tempo si era pensato che si trattasse di
tombe della famiglia regnante balinese del XI secolo,
sarebbero stati scolpiti nella montagna nel corso di una sola
notta dalle possenti unghie di Kebo Iwa, una divinità locale.
Al primo gruppo di cinque candi se ne aggiunge un altro di
quattro, situati nella parte ovest rispetto al fiume, e uno
isolato, a sud della valle, dedicato a un alto ufficiale del
re.

         Un secondo complesso di candi a Gunung Kawi

Fa parte del complesso del tempio anche una grande vasca dalle
acque cristalline, alimentata dalle stesse sorgenti che
confluiscono poi nel fiume Pakrisan, a cui vengono attribuiti
poteri di guarigione. Confesso che questa parte del viaggio mi
ha particolarmente colpita. Soprattutto per le persone che ho
incontrato durante il percorso.
Complesso di Gunung Kawi, la vasca alimentata dal fiume
                           Pakrisan

Nella jungla, infatti, ci sono molte abitazioni, capanne molto
curate, ma essenziali, dove vivono i balinesi che coltivano il
riso sulle terrazze. I bambini sono tantissimi, corrono e si
nascondono tra le foglie immense come folletti, per poi
rispuntare con i loro sorrisi sdentati. E con questa immagine
nel cuore, mentre ritorno in hotel, penso già alle altre
splendide esperienze che mi attendono, tra misteri, templi e
leggende tutte da scoprire.
COME ARRIVARE
Sono diversi i tour operator italiani che offrono pacchetti e
tour, in genere di 9 giorni e 7 notti, a Bali. Tra questi “I
viaggi dell’Elefante” (www.viaggidellelefante.it) propone tour
da 8 a 14 giorni, Blue Vacanze (www.bluvacanze.it) propone
invece il tour di 12 giorni alla scoperta della Bali classica.
Tour di Bali e Gili anche con Metamondo (www.metamondo.it).

DOVE MANGIARE
*Spaccabapoli, Jl. Raya Pengosekan Ubud No.108, Ubud,
Kabupaten Gianyar, Bali, tel +62 361 9080197, gestito da un
napoletano doc, offre piatti della cucina italiana e
napoletana, tra cu un’ottima pizza con pomodori San Marzano e
olio di oliva, pasta, secondi di carne e di pesce. Per chi ha
voglia dei gusti di casa.

*Kayumanis Resto Jimbaran, Jl. Yoga Perkanthi, Jimbaran, tel
+62 361 705777. Per chi vuole gustare la cucina indonesiana,
questo locali a due passi dalla spiaggia offre un menù ampio e
variegato, anche con piatti vegetariani e vegano. Ottimo
rapporto qualità-prezzo.
DOVE DORMIRE
*Intercontinental Resort Bali*****, Raya Uluwatu No.45,
Jimbaran, Kuta Sel., Kabupaten Badung, Bali, tel +62 361
701888, www.bali.intercontinental.com Situato a ridosso della
spiaggia di Jimbaran, è un vero e proprio angolo di paradiso,
con laghetti , giardini e cascate. 6 piscine ornamentali con
sculture ispirate agli antichi palazzi, ristoranti che offrono
un’ampia scelta di cucina tra asiatica, giapponese,
intercontinentale.

*Parigata Resort & Spa****, Jl. Danau Tamblingan No.87, Sanur,
Bali, +62 361 286286, www.parigatahotelsbali.com/ Piccolo
delizioso resort con una grande piscina, a pochi passi dalla
spiaggia di Sanur, downtown Denpasar e comodo alle principali
attrazioni.

INFO
http://balitourismboard.or.id/
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