Le innovazioni del cinema: tra passato e futuro - Smart Marketing

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Le innovazioni del cinema: tra passato e futuro - Smart Marketing
Le innovazioni del cinema: tra passato e
futuro
Pochi giorni fa, in uno degli articoli precedenti, abbiamo iniziato a trattare quelle innovazioni
epocali, che hanno portato il cinema ad evolversi e a sopravvivere allo scorrere impetuoso del
tempo. Tra queste, importanza apicale ha certamente l’avvento del colore, destinato, come è ovvio
che sia, a fare epoca.

L’apporto del colore all’arte cinematografica, ha fin da subito, infatti, attirato a sè numerosi
esperimenti, tanti di essi con scarso successo. Nel periodo in cui le ricerche furono più intense, cioè
fra il 1928 e il 1948, furono proposti più di mille procedimenti diversi. Fino a quando ebbero inizio le
prime esperienze concrete per ottenere immagini colorate per sintesi additiva o sottrattiva a partire
da due o tre colori primari, fu tentata con successo la colorazione a mano dei singoli fotogrammi dei
film. Tecnica, che per intenderci, venne utilizzata ad esempio per le pellicole di Stan Laurel e Oliver
Hardy. Val la pena qui, elencare brevemente, gli esperimenti più significativi, che hanno portato
all’avvento del colore nel cinema mondiale. Il colore nasce a braccetto con i primi esperimenti di
immagini in movimento. Risalgono già al 1892 questi primissimi tentativi, ad opera di Charles-
Émile Reynaud, che fu il primo ad utilizzare il colore per le sue Pantomime luminose, proiettate al
Museo Grévin di Parigi. Immagine per immagine, egli dipinse a mano e applicò le sue tinture a
pastello direttamente sulla pellicola Eastman di 70 mm di larghezza, che fece di lui il primo
realizzatore di disegni animati a colori.

L
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otogramma realizzato con due diverse tecnologie cromatiche: eastmancolor e
technicolor.

Due anni dopo, nel 1894, uno dei film prodotti da Thomas Edison e realizzati da Laurie Dickson
venne colorato anch’esso a mano, stavolta con la tintura di anilina, fotogramma per fotogramma, da
Antonia Dickson, la sorella del primo realizzatore di films. È la Serpentine Dance (in italiano La
Danza della Farfalla) un film molto breve della durata di una ventina di secondi, dove la danzatrice
Annabelle Moore compie delle giravolte con effetti deformanti alla maniera di Loïe Fuller. L’effetto è
completamente riuscito, e affascina ancora oggi. Questa è la prima apparizione del colore applicato
a una ripresa fotografica animata originariamente in bianco e nero.

La ricerca del colore è stata dunque, sempre una prerogativa per chi ha lavorato nel cinema, fin dai
suoi primi vagiti, considerando che, già nel bianco e nero, il ruolo della luce assume una importanza
rilevante. Nell’immagine in b. e n. le variazioni tonali sono provocate dall’azione combinata della
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luce con la scenografia e i costumi. La luce, dando per scontato nel nostro discorso che nulla è
totalmente scindibile dal tutto, ha le funzioni determinanti di formare la scala dei grigi e di separare
gli oggetti fra loro e dal fondo. Sul piano estetico, invece, dà volume e plasticità agli oggetti, divide
lo spazio, scandisce il tempo (il giorno e la notte). La mancanza di colore è compensata da
chiaroscuri, flou, aloni, silhouette, ombre, raggi obliqui, riflessi, sfondi luminosi. Sullo schermo,
figure e oggetti in controluce, tende e persiane che vengono aperte per svelare l’ambiente o le facce,
candele e lampade che scavano nel buio, ombre che si avvicinano, diventano presto dei modi di
espressione e di visione, e, in altre parole, mezzo di narrazione. La luce, quindi, è portatrice di
senso, veicolo privilegiato di emozioni: dunque il suo uso dipende dal tipo di rappresentazione. Il
cinema comico sembra richiedere una scala di grigi non troppo contrastata, ossia luci diffuse, adatte
ai campi medi e ai totali, in modo che siano sempre visibili i movimenti e la mimica dei personaggi
dentro l’ambiente, e sia sempre ‘chiara’ la situazione. I grigi sono dosati anche in funzione
psicologica: il chiarore è di per sé tranquillizzante, e l’oscurità, quando c’è, piuttosto che a generare
ansia serve a far nascere le gag e gli equivoci.

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a alla tecnologia del Technicolor.

Addirittura negli anni ’20, nasce negli Stati Uniti d’America, dopo migliaia di tentativi, di
perfezionamenti e di messe a punto, il Technicolor, che rimane tra il 1922 e il 1952 il procedimento
di cinematografia a colori più utilizzato. Negli anni ’50 poi, verrà affiancato e superato, ma non
soppiantato mai completamente, dall’Eastmancolor. Questa tecnica cinematografica resta a
tutt’oggi, il procedimento più utilizzato del mondo per conferire colore alle pellicole. In rapporto al
Technicolor, il procedimento Eastmancolor rappresentò una valida alternativa economica allo stadio
delle riprese.

Durante gli anni ’50 i film, che prima venivano girati in Technicolor, vengono ripresi in
Eastmancolor. Dopo le riprese, una volta completato il montaggio, si utilizzano i negativi
Eastmancolor con ben quattro matrici per stampare le copie dei film sotto il procedimento
tricromico del Technicolor, con un vantaggio: col negativo Eastmancolor può essere calibrato più
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efficacemente il livello cromatico di ciascuno dei colori primari. L’Eastmancolor è infatti il
procedimento che conferisce il colore più reale alla pellicola cinematografica, con colori nè troppo
carichi, nè troppo sbiaditi, praticamente corrispondenti alla realtà visiva, già negli anni ’50 e
perfezionatosi negli anni successivi.

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   La festa degli innamorati è da sempre capace di catalizzare l’attenzione delle persone; attenzione
   che i brand cavalcano (a volte) sapientemente sfruttando le peculiarità del marketing dell’amore.
      Attraverso il nostro particolare punto di vista approfondiremo il marketing dei sentimenti e
     dell’amore. E chissà quanto, in questo particolare momento storico, ne avvertiamo il bisogno!

Anche in Italia si iniziò a sperimentare riprese a colori sin dal secondo dopoguerra, con esiti
contrastanti. Non venne utilizzato fin da subito il più sicuro Eastmancolor, ma si optò per una
tecnologia tutta italiana e per un procedimento più economico, già scoperto nel campo della
fotografia negli anni ’20, e adattato al cinema a partire dal 1952: il Ferraniacolor. Questo sistema
tutto italiano di conferimento del colore all’immagine in movimento, venne sviluppato dalla Ferrania
Technologies che aveva la sua sede a Cairo Montenotte, in provincia di Savona. Il Ferraniacolor,
utilizzato solo in Italia, ha l’onore di inaugurare la stagione del colore nel cinema italiano, con la
pellicola Totò a colori, del 1952. Siccome il Ferraniacolor conferiva alle pellicole un colore troppo
sgargiante e acceso, quasi da risultare irreale, o in alcuni casi assumeva colori instabili, come
accaduto per il film Gran varietà, del 1954, con Renato Rascel, Vittorio De Sica e Alberto Sordi;
venne presto soppiantata dall’Eastmancolor, che aveva maggiore duttilità, un costo non eccessivo e
soprattutto dei colori più corrispondenti alla realtà. Con l’utilizzazione nel film Pane, amore e…, del
1955, con Sophia Loren e Vittorio De Sica, l’Eastmancolor convinse i produttori che quello sarebbe
stato il procedimento in grado di affermare il colore nel cinema italiano, con risultati più che
eccellenti.

A fine anni ’50 il colore arrivò ad affiancare il bianco e nero, senza dubbio, ma quest’ultimo
continuava ad affascinare le platee, dal b. e n. seducente de La dolce vita, a quello noir de I soliti
ignoti. Dunque gli anni ’60, vivono di una sorta di divisione del campo cinematografico in pellicole in
bianco e nero e pellicole a colori, ma sembrava chiaro a tutti, che il futuro, prima o poi, sarebbe
stato solo ed esclusivamente a colori, e il bianco e nero sarebbe purtroppo destinato ad estinguersi.

Dopo quella del colore, le ultime grandi rivoluzioni tecniche, toccano gli effetti speciali e il
passaggio dalla pellicola al digitale. Una di quelle epocali è il Chroma Key, più semplicemente
detto Green Screen. E’ una tecnica usata in ambito televisivo e cinematografico per creare effetti
speciali, si usa per ambientare soggetti e oggetti su sfondi “virtuali”, aggiunti separatamente e
successivamente. Tale tecnica, letteralmente chiave cromatica, permette di miscelare due (o più)
sorgenti video, sfruttando un particolare colore di sfondo. Tale colore viene eliminato (in gergo
“bucato”) ottenendo un’immagine scontornata, combinabile con altri sfondi o immagini. L’uso
classico in televisione è nelle trasmissioni delle previsioni meteo, dove il presentatore agisce davanti
ad un fondale verde sostituito al mixer dalle cartine e dalle animazioni (nuvole, frecce…). I colori
usati come fondo per tale tecnica sono il blu (blue screen) e molto più spesso il verde Pantone 354
(green screen) particolarmente efficace con le telecamere digitali.
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di applicazione del chroma key.

I requisiti essenziale sono che: l’illuminazione sia omogenea sui soggetti, ma soprattutto sul fondo;
l’illuminazione del fondo e del soggetto siano separate; le ombre del soggetto non finiscano sulla
porzione di colore chiave presente nell’inquadratura. Per evitare il fastidioso effetto di
“sfilacciatura” del contorno è utile una sorgente di controluce sul soggetto. La tecnica è molto usata
al cinema per: ricreare ambientazioni, effetti quale il volo. Per non svelare l’effetto è necessario che
la sorgente video principale e quella di sfondo non abbiano movimenti di macchina, o essi siano
perfettamente sincronizzati. Per questo oggi il semplice chroma key si è evoluto in effetti più
sofisticati come il set virtuale, in cui l’interazione tra elemento ripreso in studio (su green screen) e
elemento aggiunto in post produzione (un set virtuale per l’appunto) si fondono in maniera realistica,
permettendo anche movimenti di camera perfettamente sincroni.

Questa rivoluzione negli effetti speciali, si lega alla definitiva affermazione del digitale, che
sovrasta e definitivamente accantona, dal 2014 in poi, la vecchia pellicola cinematografica. Non è
altro, che la storia che si ripete: il sonoro che soppianta il muto; il colore che si afferma sul bianco e
nero. Il digitale, come ovvia conseguenza del progresso, ha dei vantaggi sostanziali rispetto alla
pellicola, tra cui brevemente: la minore o nulla usura dettata dal tempo e dall’utilizzo; una certa
facilitazione del lavoro di produzione, permettendo l’inserimento all’interno del set di più
telecamere, capaci di restituire nuovi angoli di inquadratura; nonché un minor costo complessivo
rispetto alla pellicola e un minor spreco di tempo.

In conclusione, la storia del cinema è ricca di rivoluzioni tecniche. Ce ne sono state altre,
certamente. Noi qui abbiamo nominato quelle riconosciute universalmente epocali, perché in grado
di influenzare i professionisti del settore, cambiando per sempre la storia del cinema. SI badi bene,
evoluzioni tecnologiche, che toccano caratteristiche di ambito tecnico e non di linguaggio
cinematografico, quest’ultimo dettato da stili e tendenze autoriali, nonché dai mutabili gusti del
pubblico.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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2 riflessioni sul NON addio di Facebook e
Instagram dal mercato europeo.
È di pochi giorni fa la fake notizia relativa all’addio al mercato europeo da parte di Meta
(cfr. Facebook e Instagram) per motivi legati al trattamento dei dati. In breve, il tema alla base della
discussione è la richiesta/volontà, da parte della stessa Meta, di poter trattare i dati europei su
server americani; un aspetto di tipo legale insomma. Dalle prime battute e dal primo tam tam
sembrava che la compagnia di Mark Zuckerberg fosse pronta ad abbandonare l’Europa nel breve
tempo e che, soprattutto, fosse un qualcosa di pressoché già deciso. In poche ore, come ovvio,
questa fake news ha fatto il giro del web e gli articoli che ne parlavano si sono moltiplicati. Articoli
comparsi tra l’altro non solo su testate o blog minori, ma anche su quelle più blasonate. Ovviamente
la notizia era un’altra e nasce in modo diverso (ti consiglio questo articolo chiarificatore apparso su
Il Sole 24 Ore: Facebook e Instagram a rischio chiusura in Europa? Meta smentisce ma resta il nodo
dati) e, dopo averla approfondita, mi è piaciuto osservare come si è sviluppata.

In particolare, mi sono soffermato su due aspetti, uno giornalistico ed
uno sociale.
L’aspetto giornalistico.
Rincorrere ossessivamente i click è un male da cui il giornalismo dovrebbe guarire, e alla
svelta. Presi come siamo da notifiche e sovraesposizione informativa, non sempre siamo in grado di
soffermarci su ogni singola notizia. Molte volte capita di commentare, condividere e farci un’idea di
una data notizia solo dal titolo e dalle poche righe di descrizione nel post (è evidente una prassi
errata, ma è quel che accade di sovente). Per cui titolare ad esempio “Meta via dall’Europa”
o cose del genere, di certo fa più effetto, coglie l’obiettivo di innescare una facile reazione,
ma allo stesso tempo non rende giustizia alla notizia stessa e, soprattutto, non è vero. Per
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citare l’articolo chiarificatore di prima, il titolo che hanno scelto di dare è, evidentemente, tutta
un’altra cosa (“Facebook e Instagram a rischio chiusura in Europa? Meta smentisce ma resta il nodo
dati”). Poi certo anche quelle fonti che hanno titolato in quell’altro modo all’interno dell’articolo
riportavano la notizia corretta, ma ormai il danno è stato fatto. A molte persone rimane nella
testa l’informazione – non vera – che Facebook e Instagram andranno via dal mercato europeo. O
quantomeno ne resta sotto traccia un’idea latente (il classico “ho sentito che…”).

Magari quel genere di post/titoli porta click nell’immediato, ma quanto si perde in credibilità? Se la
conseguenza nel breve potrebbe essere positiva – il click – quella nel lungo potrebbe non esserla –
disaffezione e abbandono -.

L’aspetto sociale
Se c’è un gioco che mi piace fare è quello di andare a leggere i commenti sotto certi post,
quelli dove si intuisce che ci potrebbe essere un clima divisivo o che quantomeno toccano argomenti
caldi, prima ancora di aprire il link dell’articolo. Ci trovi di tutto: ironia, discussioni e spesso
(purtroppo) insulti e futili liti. In questo caso specifico ho trovato ricorrente un tipo di commento che
faceva più o meno così “speriamo che Facebook e Instagram vadano via…era ora, così staremo
meglio”. Mi ha fatto molto riflettere questa cosa. Senza entrare nel merito del tema introdotto, sul
quale ci sarebbe tanto di cui parlare, pensavo al fatto che spesso (molto spesso) deleghiamo la
nostra responsabilità a qualcun altro. Cioè per non usare Facebook o Instagram dobbiamo
attendere che questi social chiudano? O possiamo decidere in completa autonomia di farne un uso
limitato, più sano e consapevole, o addirittura di non entrarci affatto e disinstallare l’applicazione?

È incredibile vedere quante volte abdichiamo alla nostra capacità di prendere decisioni e
demandiamo la nostra vita agli altri e alle loro scelte.

Ti è piaciuto? Hai qualche riflessione da condividere? Fammelo sapere nei
commenti. Rispondo sempre.
Rimaniamo in contatto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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Le innovazioni del cinema: tra passato e futuro - Smart Marketing
Facebook: sei pronto a entrare nel
metaverso?
Forse non lo sai, ma con metaverso si intende un network di ambienti virtuali in cui le persone
interagiscono con oggetti virtuali e tra loro attraverso avatar. Possiamo paragonare questo mondo a
una realtà virtuale immersiva combinata con giochi di ruolo multigiocatore online e per molti il
metaverso è il futuro di Internet.

Tante sono le aziende del mondo della tecnologia che guardano al metaverso per molte attività da
svolgere online, dallo studio al lavoro, e anche Facebook – cambiando recentemente il nome in Meta
– mostra di essere interessato a questo nuovo mondo. (ne ho parlato anche qui).

Quando è nato il termine metaverso?
Il metaverso è un neologismo che deriva dalla fusione di meta – trascendente – e verso, da
universo. La prima volta ad essere usato è nel 1992 da Neal Stephenson nel romanzo Snow Crash
per descrivere la dimensione virtuale il cui il protagonista vive con il suo avatar. Tuttavia, la vera
origine del termine è ancora precedente e si fa risalire al 1984 con il romanzo Neuromancer di
William Gibson, che rese popolare anche il termine cyberspazio.

                 Scopri il nuovo numero: “Simply the best”
       Possiamo decidere che il 2021, al pari del 2020, sia completamente da buttar via, oppure
     possiamo scegliere di focalizzarci su altro… sulle nuove consapevolezze raggiunte, sul nuovo
   valore che diamo al tempo ed allo stare insieme. Ossia, su quanto di buono è comunque accaduto
                                     o su cosa abbiamo imparato.

Gli aspetti chiave del metaverso
Tre sono gli aspetti chiave del metaverso.

1. Presenza: la persona ha la sensazione di trovarsi in uno spazio virtuale e al cospetto di altre
   presenze virtuali grazie all’uso di caschi con visori incorporati. Questo sense of embodiment
   migliora la qualità delle interazioni online.
2. Interoperatività: le persone possono muoversi con il loro avatar tra ambienti diversi e sono già
   tante le app per creare avatar da usare nei mondi virtuali come Animaze. Non mancano le
   tecnologie come le criptovalute e il nonfungible tokey per trasferire beni digitali tra i confini
   virtuali.
3. Standardizzazione: avere comuni standard tecnologici permette il diffondersi del metaverso e
   l’adesione delle persone proprio come era avvenuto con la stampa e con Internet. A stabilire quali
   sono gli standard del metaverso sono organizzazioni internazionali come Open Metaverse
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Interoperability Group.

L’importanza del metaverso
Nel metaverso si realizza il futuro dell’economia e della società e in questo nuovo mondo Facebook
vuole avere un ruolo da protagonista con importanti investimenti nella realtà virtuale. Accanto ai
tradizionali social media, il metaverso di Facebook prevede tecnologie 3D immersive come la
realtà virtuale, che sarà sempre più impiegata a scopo lavorativo e di intrattenimento.

Siamo sicuri che il Simply The Best di questo 2022 che sta per cominciare sarà proprio il
metaverso e che tutti, con il nuovo anno, impareremo a fare pratica e prendere dimestichezza con
Avatar e realtà virtuale. Qual è la tua opinione al riguardo? Pensi che il metaverso cambierà le
relazioni tra le persone e in che modo?

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Street marketing - L'editoriale di Ivan
Zorico
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Se c’è un campo nel quale le aziende e i professionisti
combattano tutti insieme appassionatamente, questo è
certamente quello dell’attenzione. Tra e-mail, notifiche,
impegni, stimoli, e quant’altro, la porzione d’attenzione che
riusciamo ad impiegare su qualsiasi cosa è davvero molto
bassa, per non dire quasi nulla.

Se fino a quindici fa, a competere per la nostra attenzione, c’erano solo i media tradizionali (che per
certi versi erano già molto invasivi; penso ad esempio all’ampia letteratura sugli effetti causati dalla
comunicazione di massa), oggi, con lo smartphone, i social network e l’esplosione del
digitale, tutto è stato stravolto. Siamo sempre chiamati all’azione, interagiamo costantemente,
assumiamo passivamente immagini, testo e video, e siamo continuamente raggiungibili.

È talmente difficile catturare l’attenzione che infatti, da qualche tempo, si è cercato di cambiare
paradigma. L’attenzione non è vista più come una preda da catture, bensì come qualcosa da far
crescere, coltivare e nutrire. E questo ovviamente impone di cambiare le modalità di
comunicazione con le quali entrare in contatto con le persone. Passaggio, questo, non semplicissimo
da mettere in pratica perché prevede un cambio di strategia e, quindi, di mentalità.

                Scopri il nuovo numero: “Street marketing”
     In un mondo sempre più connesso e dove le persone sono sempre più assuefatte ai messaggi
    pubblicitari, lo street marketing può esprimere tutto il suo valore e dare ai brand una visibilità
                          inaspettata, anche per mezzo delle piattaforme social.

Se quindi è estremamente difficile riuscire ad interessare, una delle strade da percorrere potrebbe
essere quella di incuriosire, sorprendere. Trovare il modo di creare una fessura di imprevedibilità
capace di destarci dal quotidiano e risvegliare la nostra attenzione.

Lo street marketing, in questo senso, può diventare davvero una risorsa per incuriosire e
comunicare con le persone in una maniera inaspettata, nuova. La persona non riceve
passivamente un messaggio pubblicitario, ma diventa parte della storia. Non interagisce con un like
ad un contenuto, ma entra all’interno del palcoscenico e diventa attore. E questo fa un enorme
differenza. Se pensiamo poi che lo street marketing spesso va a braccetto con la street art, allora il
risultato è addirittura amplificato.

I ritorni in termini di visibilità per un brand, sia esso corporate o territoriale, sono enormi.
Saranno le persone stesse a veicolare il messaggio del brand attraverso i propri canali social e a
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generare quel circolo di condivisioni capaci di accrescere la conoscenza del brand stesso. E
sappiamo che se qualcosa ci viene consigliata o condivisa da un amico, assume tutto un altro valore
e significato. Non parliamo più di messaggio pubblicitario, ma di consiglio. Una gran bella
differenza.

Buona lettura,

                                                                                        Ivan Zorico

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link giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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Tutto pronto per l’edizione 2021 del
Reinventing Non Profit. Intervista a
Francesco Quistelli.
Parte oggi l’edizione 2021 del Reinventing Non Profit, due giorni di confronto e alta formazione
dedicati ai professionisti del mondo Non Profit. L’iniziativa, promossa dall’agenzia di consulenza e
comunicazione specializzata nel Terzo Settore Atlantis Company, è in programma, appunto, il 7 e 8
ottobre al Palazzo delle Stelline di Milano (Corso Magenta 61).

  L’obiettivo dell’evento è quello di raccogliere le idee e mettere a sistema le migliori competenze
  per restituire al mondo la speranza di un futuro migliore dopo un anno profondamente segnato da
crisi ambientali, umanitarie, sociali e sanitarie.

Il Reinventing Non Profit offre ai partecipanti ampia scelta per formarsi e aggiornarsi sui temi più
pressanti e le ultime tendenze di settore. Previsti più di 25 momenti di approfondimento e oltre 60
relatori d’eccezione, tra accademici, esperti del mondo profit e non profit e ospiti speciali. Tra i
relatori anche il creativo Paolo Iabichino, firma di numerose campagne di comunicazione di
successo; Fausto Colombo, docente dell’università Cattolica del Sacro Cuore; Massimo Ciampa,
segretario generale di Mediafriends Onlus; Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale Terzo
Settore e Roberto Natale, Responsabilità Sociale RAI. In programma anche momenti di
intrattenimento, come una speciale performance della scrittrice, attrice e ambasciatrice AISM
Antonella Ferrari, che a Sanremo 2021 ha emozionato tutti con un monologo sulla sclerosi
multipla, con cui convive da anni.

F
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a
n
c
e
s
c
o Quistelli, Ceo della società di consulenza e
comunicazione Atlantis Company e
fondatore del grande evento dedicato
all’innovazione nel Terzo Settore
“Reinventing”

Proprio per avere qualche anticipazione sui temi trattati nell’evento, ed avere un punto di vista
privilegiato sull’odierno settore del non profit, abbiamo intervistato Francesco Quistelli, fondatore
Reinventing non profit e CEO di Atlantis Company.

Come ha reagito, o sta ancora reagendo, il settore del no profit al lungo periodo pandemico
che stiamo vivendo?

Il settore del non profit ha reagito, come tutte le aziende e le organizzazioni che hanno subito questa
pandemia, mantenendo le proprie caratteristiche: quelle di un settore che da sempre fa della
scarsità delle risorse un tratto distintivo. Quindi, forse, meglio di altri è riuscito ad affrontare la
pandemia e a trovare nuove dinamiche di collaborazione interna e di relazione con i propri donatori.
Ad esempio, attraverso il potenziamento di tutte le attività digitali e di tutto lo smart working e
lavoro agile.

Quanto le tecnologie digitali hanno aiutato (se lo hanno fatto) questo settore durante la
pandemia? E come?

Le tecnologie digitali hanno aiutato tantissimo, soprattutto le organizzazioni che erano già proiettate
verso il digitale, che già utilizzavano strumenti digitali per interagire con i propri donatori e
sostenitori. Queste organizzazioni hanno avuto la possibilità, e la necessità, di potenziare
ulteriormente tali strumenti dalle piattaforme digitali, alle DEM, ai contatti telefonici. Si è rivelata
una grande opportunità per attivare nuovi punti di contatto e migliorare, se vogliamo, le relazioni
con i propri donatori. Non dimentichiamo però che il contatto personale rimane fondamentale.
Speriamo che l’unione di questi due fattori, il poter ritornare a vedersi in presenza insieme al
potenziamento di tutti i touch point digitali attivati durante la pandemia, creino un meccanismo
virtuoso che consenta alle organizzazioni di comunicare meglio verso i propri donatori e stakeholder
e di creare relazioni ancora più stabili e di fiducia.

Qual è la sua percezione per il prossimo futuro? Di cosa avrebbe bisogno il no profit: nuove
professionalità, maggiore attenzione dalle istituzioni, altro?

Sicuramente il non profit in futuro, ma anche nel presente, ha bisogno della fiducia delle persone e
della loro sensibilità rispetto alle cause sociali delle quali si occupa. E per fare questo c’è bisogno di
creare una relazione sempre più forte e convinta con tutti gli stakeholder. Per questo le risorse
umane all’interno delle organizzazioni non profit e le competenze sono il vero centro pulsante
dell’innovazione e possono essere quel motore che crea un meccanismo virtuoso capace di mettere
in moto tutti i processi d’innovazione indispensabili e necessari per rispondere alle sfide del futuro.
Guardando al futuro, potenziare sempre di più il digitale e tutte le attività ad esso connesse è un
fattore chiave. Ma è fondamentale anche avere competenze interne sempre più preparate e sempre
più capaci di rispondere alle esigenze del periodo che stiamo vivendo.

Qual è l’obiettivo dell’edizione 2021 del Reinventing?

Il principale obiettivo dell’edizione 2021 di Reinventing è quello di mettere in moto nuove idee, di
consentire alle organizzazioni non profit di trovare nuovi stimoli e di accendere quelle scintille di
innovazione che permettono alle organizzazioni di essere sempre più capaci, efficaci ed efficienti
rispetto le cause sociali delle quali si occupano. Con Reinventing vogliamo coinvolgere il maggior
numero di persone, offrire nuovi strumenti, nuove idee, nuove opportunità di crescita a tutte le
organizzazioni non profit e a tutto il Terzo Settore.

Per consultare il programma e iscriversi: https://www.reinventingnonprofit.it/

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Riduzione del Digital Divide: una sfida per
creare un nuovo concetto di qualità della
vita
L’impennata di digitalizzazione che la pandemia da Covid-19 ha portato con sé, ha riacceso le
riflessioni sul Digital Divide, una problematica presente già da tempo, ma che in questo difficile
periodo si è evidenziato come un divario sociale importante e decisivo nel determinare la qualità di
vita dei cittadini.

Con il termine di divario digitale si indica le disuguaglianze nell’accesso e nell’uso delle ICT
(information e communication technologies), distinguendo coloro che hanno la possibilità di
utilizzare facilmente le tecnologie e di avere accesso ad Internet, e coloro che, per motivi economici,
sociali e tecnici, incontrano delle difficoltà.

Già nel 1996, il tema fu trattato dall’allora ex vice-presidente degli USA, Al Gore, che utilizzò il
termine proprio per indicare il gap esistente tra gli “information have” e “havenots”, nell’ambito del
programma K-12 Education. La Rete diventa elemento fondamentale, come sottolineato dall’art.19
della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, che la definisce come “una forza
nell’accelerazione del progresso verso lo sviluppo nelle sue varie forme” e chiede agli Stati di
“promuovere e facilitare l’accesso a Internet”, come sottolineato anche dal Rapporto ONU 2012 sulla
Promozione e protezione del diritto di opinione ed espressione,

La difficoltà, o addirittura, l’impossibilità di accesso e utilizzo della Rete diventa quindi un gap che
influisce sulle condizioni di vita dei popoli e che crea differenze evidenti. Il gap digitale può infatti
essere “globale” se si riferisce alla differenza fra i Paesi più e meno sviluppati; “sociale” per quanto
concerne le diseguaglianze all’interno di un Paese, e “democratico” se riguarda la potenzialità di
partecipazione alla vita politica e sociale sulla base di un uso consapevole delle tecnologie digitali.

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     La ripartenza è un tema quanto mai attuale. Dopo due anni di pandemia sentiamo il bisogno di
    lasciarci alle spalle questo lungo periodo complesso (tenendo quello che di buono c’è stato) e di
                               affacciarci con ottimismo al tempo che verrà.

Secondo la Commissione Europea si può parlare di un Digital Divide di primo livello, nel caso di
mancata copertura della banda larga fissa ad almeno 2 Megabit, mentre si definisce di secondo
livello se vi è mancata copertura della banda ultralarga. Ma per il prossimo futuro si ipotizza la
possibilità di un gap di terzo livello relativamente alle zone non coperte dalla fibra ottica.

Il fatto di vivere in quella che viene chiamata “società dell’informazione” ci porta ad evidenziare
l’importanza, ma potremmo addirittura dire, la necessità, di accedere all’uso delle tecnologie
digitali, e, seppure questo concetto potrebbe sembrare banale, così non è. Il lavoro si svolge sempre
più online, così come la formazione, e la necessità di un livellamento digitale si avverte forte e
prepotente.

Cosa stiamo facendo per colmare il gap?

Da tempo i capi di Stato si interrogano sulla soluzione al divario perché questo comporterebbe una
vita migliore per i cittadini a livello mondiale. L’ambizione della riduzione del gap si è resa ancora
più necessaria dopo la diffusione del virus Covid, che ha mostrato, prepotentemente, anche a Paesi
più arretrati dal punto di vista tecnologico, l’importanza imprescindibile che le tecnologie hanno
nella vita contemporanea.

Riflettendo sulla situazione italiana, notiamo che il nostro Paese, fino a pochi mesi fa, risultava poco
incline al lavoro in remoto, ma un’emergenza di tale portata ci ha imposto di aprire gli occhi e non
voltare la testa. Secondo i dati del Rapporto Bes Istat del 2021, nel Mezzogiorno il 63,4% di individui
ha accesso alle tecnologie, rispetto al 72,3% del Nord e del Centro. Con l’intento di colmare questa
differenza italiana è stato istituito il Ministero per l’innovazione e la digitalizzazione, la cui strategia
trae ispirazione dagli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, per promuovere
l’innovazione e la digitalizzazione dei servizi pubblici, l’adozione di nuove tecnologie, mettendo al
centro dell’attenzione la comunità e i territori, per creare un rapporto trasparente tra cittadini e
Pubblica Amministrazione.

Nell’ultimo rapporto 2020 della Commissione Europea, che ha elaborato l’indice DESI (digital
economy and society index), per valutare il livello di digitalizzazione dei paesi comunitari attraverso
quattro ambiti (connettività, capitale umano, uso dei servizi Internet e integrazione delle tecnologie
digitali e servizi pubblici), si evince che l’Italia si posiziona al venticinquesimo posto su ventotto
paesi membri in termini di Digital Economy, dando evidenzia proprio dell’ampia disparità tra Nord e
Sud.

Le recenti riflessioni circa la situazione poco rosea del Belpaese, hanno spinto verso la ricerca di
soluzioni utili, una su tutte la Repubblica Digitale, iniziativa del Ministero per l’innovazione e la
transizione economica, sorta con l’obiettivo di combattere il divario e favorire l’educazione sulle
tecnologie. Il progetto si avvale della Coalizione Nazionale per le Competenze Digitali, composta da
soggetti pubblici e privati per realizzare una cittadinanza attiva, inclusiva, democratica, e
contribuire alla formazione scolastica e per i lavoratori. L’Agenda 2025 prevede di operare al fine di
potenziare i diritti di cittadinanza, partecipazione consapevole e riallineamento delle competenze
digitali richieste nel mondo del lavoro contemporaneo, e investimenti sulla formazione di cittadini,
imprese e amministrazioni locali. L’iniziativa prevede che, attraverso il Servizio Civile Digitale, mille
volontari, definiti “facilitatori digitali”, abbiano il compito di agevolare la collaborazione tra cittadini
e Pubblica Amministrazione, integrandosi con l’obiettivo di investire sui giovani e la formazione.

La riduzione del gap digitale rappresenta, oltre che un modo per migliorare i servizi pubblici, una
possibilità per incrementare la partecipazione dei cittadini, relativamente all’ambito lavorativo e
privato, rendendo la società democratica, partecipativa e inclusiva.

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Strepitoso successo del TAWAVE a
Taranto: una perfetta metafora della
“ripartenza”, dove il coraggio, la visione e
la perseveranza di 5 donne hanno tinto di
rosa il mondo digitale

  Quello andato in scena sabato 25 settembre, nella meeting room del Salina
  Hotel, è stato un evento dal quale ancora dobbiamo riprenderci.

Il TAWAVE più che un’onda è stato uno tsunami che ci ha travolto, ed infatti noi di Smart Marketing
– media partner del progetto, ci siamo presi qualche giorno per riemergere alla superficie, nuotare
contro corrente e guadagnare la costa, prima di scrivere questo diario di bordo con le nostre
impressioni e le interviste, anche video, che abbiamo raccolto.

Cominciamo con un po’ di numeri, che sono sempre chiari oltre che indicativi del successo per
qualsiasi tipo di evento. La sala conferenze dello splendido Salina Hotel era gremita
all’inverosimile, 150 le presenze accreditate per il convegno e 20 quelle per il workshop
“Lightning Decision Jam: il meglio dei processi di problem-solving del mondo”, condotto,
nella prima ora e mezza, da Andrea Romoli, esperto di innovazione, digital connector ed autore per
StartUpItalia, al quale anche noi di Smart Marketing abbiamo partecipato con entusiasmo.

Ma per quanto la matematica sia bella, indicativa e inappellabile quando bisogna definire il
“risultato” di un evento, sono anche altri i fattori che bisognerebbe tener presente. Quello che ha
reso davvero “significativo” il TAWAVE, infatti, sono stati proprio questi altri fattori, primo fra
tutti, a detta di chi scrive, il “contenuto”, che ha proposto nella città dei due mari, certo non nota
per i processi sostenibilità digitale e società data driven, un gruppo di ospiti tutti esperti del digitale,
per lo più pugliesi (altra cosa lodevole), che, affermatisi nel nord Italia, se non proprio all’estero,
hanno portato il know-how e la loro esperienza di vita negli speech di 15 minuti circa che si sono
alternati sul palco dalle 16:30 alle 20:30.

Poi dobbiamo parlare dell’associazione di promozione sociale surfHers, che ha ideato e promosso
questo evento, il vero “valore aggiunto” del TAWAVE, un gruppo di 5 donne tutte esperte, a vario
titolo, del digitale, che hanno mostrato e sdoganato il lato rosa di un mondo, quello delle professioni
e maestranze legate alle nuove tecnologie digitali, ahimè ancora troppo maschile. Cinque
spumeggianti e motivate ragazze: Alessia Demarco, Mariagrazia Efato, Valeria Merlo, Stefania
Ressa e Carlotta Spalluto, che rappresentano un modello di lavoro in team che riesce, anche agli
esordi, a confezionare un grande evento come il TAWAVE, e che diventano esempio positivo e
motivante per tutte quelle persone che spesso e volentieri si trincerano dietro scuse, paure o le
presunte o reali mancanze di possibilità di sviluppo in città come Taranto.

  Le 5 surfHers ci dimostrano con esemplare chiarezza che, anche nel digitale come nelle altre
  cose della vita, volere è potere.
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i dell’Associazione surfHers che ha ideato e promosso il TAWAVE, (Foto di Giuseppe De
Lorenzo).

Altra cosa che ha contribuito al successo di quest’evento credo sia stata la “location” del Salina
Hotel, una splendida struttura ricettiva a due passi da Taranto, inaugurata da pochi mesi, che,
anche grazie al TAWAVE, ha potuto mostrare il suo potenziale come struttura “ideale” per
intercettare quel ricco turismo congressuale che altre città molto simili a Taranto per geografia e
storia recente (penso a Bilbao) hanno saputo sfruttare al meglio per il loro rilancio in chiave
culturale ed economica.

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Un altro fattore che ha contribuito significativamente al successo di questa iniziativa è stata
l’azienda “Sabanet”, software house tarantina con sedi in tutta Italia, che non solo è main sponsor
del TAWAVE, ma è anche la fucina in cui le 5 ragazze della surfHers hanno forgiato il loro
entusiasmo, si sono conosciute, hanno lavorato e sono cresciute professionalmente ed umanamente.

La Sabanet è un esempio di imprenditorialità e visione lungimirante che spesso mancano a gran
parte del management delle nostre aziende dalla visione miope, troppo orientate ai profitti
immediati e poco avvezze ad investire su progetti di ampio respiro che però portano risultati
significativi, anche economici, a chi ha la pazienza di aspettare.

In ultimo, un’altra cosa che ha contribuito al successo del TAWAVE è stata “la rete di
collaborazione e partnership”, che è stata avviata in primis con il patrocinio del Comune di
Taranto e dell’Università degli Studi “Aldo Moro”di Bari e poi con i sostegni di tutti gli altri
sponsor, fra i quali ricordiamo lo studio Pirola Pennuto Zei & Associati (main sponsor), Rino
Petino srl (main sponsor) – Progetto Automatico srl – Abintrax srl – Medical Center Taranto
srl – Fondazione Taranto25, Lavanderia Fanelli srl, Tinazzi srl.

  E, in questa rete, ci siamo anche noi di Smart Marketing in qualità di media partner.

Cos’altro dire di questo TAWAVE? Poco o nulla, noi, gli ospiti, i relatori, i partecipanti aspettiamo
già il prossimo evento delle surfHers, che non riusciamo ad immaginare cosa sarà, vista la qualità e
il successo davvero altissimi raggiunti da questo TAWAVE, che, ricordiamolo affinché sia di stimolo e
sprone sia per le 5 surfiste che per tutti noi, resta un esordio.

Intanto, siccome la prassi giornalistica ce lo chiede, noi vi invitiamo a vedere le video interviste (con
qualche inevitabile rumore di fondo) che abbiamo realizzato durante l’evento, senza le quali questo
racconto fatto fin qui rischia di essere troppo emozionale e poco esaustivo.

Visto il gran numero di partecipanti abbiamo dovuto fare delle scelte, vi proponiamo le 4 video
interviste realizzate a Mariagrazia Efato, presidente dell’associazione surfhers, Armando Reale,
Direttore commerciale di Sabanet, Lara D’Argento, Growth Mentor, Esperta di innovazione
culturale con esperienza in progetti sia ROI-oriented, sia SROI-oriented, e Cosimo Palmisano,
Ingegnere delle Telecomunicazioni, Esperto di Intelligenza Artificiale e TEDx Speaker.

Infine fatemi fare una chiusa delle mie: abbiamo posticipato di qualche giorno la pubblicazione di
questo articolo sul TAWAVE per farlo coincidere con l’uscita del nostro numero di settembre, che,
come sapete fin dalla fondazione del giornale 8 anni fa, si intitola “#ripartItalia”. Ci è sembrato che
questo evento, le 5 ragazze dell’associazione surfHers, la rete di collaborazioni avviate e
l’inevitabile successo che ha coronato il tutto fossero un bellissimo esempio di quello che significa
ripartire, comunque si voglia intendere e applicare questo termine: nella vita privata, sul lavoro,
negli affari, che riguardi i singoli, una comunità o il Paese intero.

Come ebbe a dire il grande e visionario imprenditore Henry Ford:

    Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo.

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Taranto punta sul futuro del digitale con
la prima edizione del TAWAVE
Tutto pronto per la 1° edizione dell’evento “TAWAVE: Sostenibilità digitale e società data
driven”, che si terrà, sabato 25 settembre, presso il suggestivo Salina Hotel, sito in Viale Unità
d’Italia, 648-650 a Taranto. L’evento, organizzato dall’associazione di promozione sociale surfHers
in collaborazione con Sabanet – Main Partner – e lo studio Pirola Pennuto Zei & Associati, gode
del patrocinio del Comune di Taranto e dell’Università degli Studi “Aldo Moro”di Bari.
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ell’Salina Hotel a Taranto.

L’iniziativa, che mira a diventare un appuntamento con cadenza annuale, nasce per incentivare il
dibattito tra imprenditori, professionisti e istituzioni del Meridione sul tema dell’innovazione. Gli
organizzatori per questa edizione inaugurale hanno ritenuto di affrontare uno dei temi di maggiore
attualità a livello nazionale e internazionale: la digitalizzazione delle imprese e le politiche di
responsabilità sociale.

L’evento si pone, infatti, l’ambizioso obiettivo di approfondire il complesso rapporto tra innovazione
tecnologica e sostenibilità e di fornire una panoramica sulle principali soluzioni che le imprese sono
chiamate ad implementare al fine, da una parte, di digitalizzare la propria attività e, dall’altra, di
includere tra i propri obiettivi di business l’attenzione all’ambiente e al sociale.

“L’obiettivo che vogliamo raggiungere attraverso questo evento – ha dichiarato a tal proposito
Fabrizio Manzulli, assessore allo Sviluppo Economico al Comune di Taranto – è quello di
creare sul territorio una sinergia di interessi comuni tra aziende, professionisti, imprenditori e
studenti interessati al mondo digital. L’enfasi sull’innovazione e sull’imprenditorialità costituisce un
punto fondamentale nella nostra analisi economica”.

Il programma, che si svolgerà in una mezza giornata full-immersion dalle ore 15:00 in poi, prenderà
avvio con il Workshop gratuito “Lightning Decision Jam: il meglio dei processi di problem-
solving del mondo”, tenuto da Andrea Romoli, autore presso StartupItalia, Event and Workshop
Organizer, Digital Connector.
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ng Decision Jam: il meglio dei processi di problem-solving del mondo”, Andrea
Romoli, autore presso StartupItalia, Event and Workshop Organizer, Digital Connector.

A partire dalle 16.30 e fino alle 20.30 si alterneranno una serie di interventi, strutturati in maniera
tale da coinvolgere attivamente i partecipanti presenti in sala, a cui prenderà parte un ricco parterre
di ospiti:

■   Gianfranco Zizzo, CEO di Sabanet.
■   Armando Reale, Direttore commerciale Sabanet.
■   Marco Belardi, Consulente Direzione delle Politiche Industriali presso il Ministero dello Sviluppo
    Economico e presidente della commissione tecnica UNI CT 519 “Tecnologie Abilitanti per Industry
    4.0”.
■   Antonio Poggi, COO di Visokio (azienda inglese che si occupa di Business Intelligence e Data
    Analytics).
■   Cosimo Palmisano, Imprenditore Digitale, TEDx Speaker, Esperto di Intelligenza Artificiale.
■   Mattia Salerno, IT e Data Protection Lawyer e Senior Associate di Pirola Pennuto Zei.
■   Giovanni Liotta, Senior Associate Pirola Pennuto Zei – Dottore Commercialista e Revisore
Contabile con expertise in materia di Sostenibilità e Terzo Settore.
■   Giuseppe Desolda, docente di Programmazione per il Web presso il CdS Informatica e
    Comunicazione Digitale dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.
■   Vittoria Cinzia Cardone, Innovation Manager.
■   Lara D’Argento, Growth Mentor, si occupa di innovazione culturale con esperienza in progetti sia
    ROI-oriented, sia SROI-oriented.
■   Giuseppe Sanseverino, professore di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di
    Bari “Aldo Moro”.
■   Lino Fornaro, Senior Security Consultant.

L’evento si rivolge ad imprese, professionisti, lavoratori free-lance e studenti ed
a tutti quei curiosi che vogliono comprendere meglio il mondo digitale che noi
tutti abitiamo.
La partecipazione è gratuita, l’iscrizione è tuttavia obbligatoria, trattandosi di posti limitati. Il
Workshop d’apertura è riservato a n° 20 persone.

Per iscriversi è necessario compilare il Form disponibile al seguente link
https://www.tawave.it/evento/ o, in alternativa, inviando una e-mail all’indirizzo:
eventotawave@gmail.com

L’iniziativa segna il debutto dell’associazione, tutta al femminile, surfHers, fondata da Alessia
Demarco, Mariagrazia Efato, Valeria Merlo, Stefania Ressa e Carlotta Spalluto –
professioniste tarantine nel settore digitale – che ha l’obbiettivo di promuovere campagne di
sensibilizzazione volte a diffondere maggiore consapevolezza e conoscenza delle tematiche legate
all’innovazione digitale.

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atrici dell’Associazione surfHers: Alessia Demarco, Mariagrazia Efato, Valeria Merlo,
Stefania Ressa e Carlotta Spalluto.

Proprio a Mariagrazia Efato, presidente associazione surfHers, abbiamo chiesto quanto è
importante per una città come Taranto che venga organizzato un evento “innovativo” come questo:

“Era un venerdì d’estate quando ci siamo ritrovate a scambiarci idee, pensieri e riflessioni.
Lavoravamo già da diversi mesi nella stessa azienda, Sabanet, e non era la prima volta che ci
capitava. Ma quel giorno aveva un sapore diverso, nuovo. Eravamo stanche di condividere solo tra
noi le nostre esperienze ed aspirazioni. Così, con 4 visionarie, colleghe ed amiche, Alessia
Demarco, Valeria Merlo, Stefania Ressa e Carlotta Spalluto, abbiamo fondato l’Associazione
surfHers. SurfHers nasce da una forte comunanza di intenti, dall’esigenza di dar voce a tutto quello
che quotidianamente facciamo e dal desiderio impellente di avere un impatto sulle persone e sul
territorio in cui viviamo. Abbiamo deciso di presentarci, così, attraverso l’evento TAWAVE – l’onda
del cambiamento. Quello che ci auguriamo, con questa prima edizione, è di poter essere un punto di
riferimento nel settore dell’innovazione e di creare sinergie tra imprenditori, studenti e appassionati
di digital, per crescere, migliorare insieme e dare vita ad una Community vera e propria.”

Hanno contribuito all’ideazione dell’iniziativa Sabanet, software house tarantina con sedi in tutta
Italia, e Pirola Pennuto Zei & Associati, primario studio di consulenza tributaria e legale in Italia,
che da tempo promuove iniziative congiunte per diffondere consapevolezza sui temi della tecnologia
e dell’innovazione digitale all’interno delle aziende.

Importanti sostegni alla manifestazione sono arrivati dalle aziende del territorio, fra cui: Rino
Petino srl (MAIN SPONSOR) – Progetto Automatico srl – Abintrax srl – Medical Center
Taranto srl – Fondazione Taranto25, Lavanderia Fanelli srl, Tinazzi srl.

Ribadiamo che l’evento “TAWAVE: Sostenibilità digitale e società data driven” si terrà a
Taranto sabato 25 settembre, dalle ore 15:00 alle 20:30 e che la partecipazione è gratuita,
trattandosi però di posti limitati l’iscrizione è obbligatoria.

Il Workshop d’apertura è riservato a n° 20 persone.

Per iscriversi è necessario compilare il Form disponibile al seguente link
https://www.tawave.it/evento/ o, in alternativa, inviando una e-mail all’indirizzo:
eventotawave@gmail.com

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Wellness economy - L'editoriale di Ivan
Zorico
In questi mesi, alla classica domanda “Come va?” mi capita
spesso di rispondere non con il classico “Bene, grazie”, ma
con un più sentito “Mi difendo”.

Questo anno e mezzo di pandemia ci ha profondamente segnato su più livelli, e questo è indubbio. In
questo senso riflettevo (e probabilmente non sono l’unico) sul fatto di quanto la percezione del
tempo passato vada ben oltre i 18 mesi trascorsi sin qui: non so voi, ma sento “il peso” di aver
vissuto qualcosa come almeno 3 o 5 anni. Si diceva qualche tempo fa (ed ero tra questi) che i
riflessi della pandemia si sarebbero visti nei mesi a venire e, probabilmente, ora stiamo vedendo più
chiaramente i primi effetti.

Siamo tutti un po’ più stanchi, stressati, acciaccati, magari abbiamo preso qualche chilo e
trascurato un po’ la nostra salute, dormiamo male; abbiamo voglia di cose belle, di stare all’aria
aperta, di riprendere contatto con noi stessi, di prenderci cura del nostro corpo, di vivere
pienamente il tempo a disposizione, e via così. Insomma abbiamo voglia e bisogno di buona vita, di
stare bene.

Se leggete tra le righe, ognuno dei bisogni elencati ha una sua risposta
merceologica.
E sappiamo che dove c’è un bisogno, ossia una domanda, c’è un’offerta che si propone di
soddisfarla.

               Scopri il nuovo numero: “Wellness economy”
   Il settore legato al benessere della persona è esploso negli ultimi anni abbracciando ben più di un
     mercato: alimentazione, dispositivi tecnologici, editoria, medicina, stili di vita, abbigliamento e
            molti altri. Il wellness, insomma, è un settore da tenere in estrema considerazione.

È la wellness economy: integratori alimentari, alimentazione, viaggi, corsi, palestre, piscine, cure,
massaggi, intrattenimento, tecnologia al servizio del benessere della persona, cosmetica, editoria,
sono solo alcuni dei settori potenzialmente impattati nei prossimi tempi.

Si tratta di un mercato enorme.
Nell’ultima rilevazione del Global Wellness Institute, relativa al valore dell’economia del
benessere, è stato stimato che la wellness economy vale 4,5 trilioni di dollari. Un mercato che,
come detto, va ben oltre al vecchio immaginario che lo voleva relegato al solo mondo dell’attività
sportiva. C’è infatti molto di più: il turismo, la cosmesi, la cura della persona e dell’alimentazione, la
salute fisica e mentale.

Se leggete tra le righe, sono tutti aspetti che ci sono mancati in questo lungo
periodo.
Sarà probabilmente anche per questo motivo che la wellness economy diventerà sempre più
interessante da seguire e sarà in grado di generare anche importanti ricadute occupazionali.

Intanto, se dovessi guardare all’esperienza personale (che ovviamente non fa statistica), solo
nell’ultima settimana ho acquistato un paio di scarpe da running, un pantaloncino, due canotte e sto
valutando l’acquisto di uno smart watch per monitorare la qualità del mio esercizio fisico e non solo.
Insomma sono completamente immerso nella wellness economy. D’altronde mi piace
considerarmi una persona di parola; per cui se alla domanda “Come stai?” rispondo “Mi difendo”,
devo fare pur qualcosa per avvalorarlo.

Buona lettura,

                                                                                              Ivan Zorico

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commenti. Rispondo sempre.
Se vuoi rimanere in contatto con me, questo è il link
giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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