Davvero ucciso la Star della Radio? - Smart Marketing
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“Video Killed the Radio Star”: il video ha davvero ucciso la Star della Radio? Sono passati poco più di quarant’anni da quella mezzanotte ed un minuto del primo agosto 1981, quando MTV andò in onda per la prima volta, eppure oggi sembra essere passata un’eternità, un passato talmente tanto remoto che ormai è storia. L’1 agosto 1981 avevo appena compiuto due anni e di questo passaggio epocale tra la musica che si ascoltava a quella che si vedeva non ricordo nulla, ma posso ben capire che quello che oggi per me, e per tutti i figli degli anni ’80, è scontato, come guardare un videoclip musicale in televisione, non lo fosse per chi ci ha preceduti. Immaginiamo per gioco di essere lì a guardare quella prima trasmissione di MTV e di avere quella decina di anni in più che fanno la differenza tra un infante ed un adolescente: in televisione scorre l’immagine di un astronauta che pianta sulla superficie lunare una bandiera con il logo di MTV e subito dopo parte il video della canzone, all’epoca famosissima, del gruppo musicale britannico The Buggles, “Video Killed the Radio Star”. Avreste avuto anche voi la sensazione di essere sbarcati nel futuro e che quello fosse l’unico futuro possibile? Forse sì, del resto, se non si fosse identificato con il futuro un canale televisivo monotematico che parlasse di musica in un’epoca in cui esisteva una televisione generalista che mirava a conquistare una fetta di pubblico quanto più ampia possibile, un canale quasi esclusivamente rivolto ai giovani ed alle nuove tendenze musicali e che aveva cambiato radicalmente il modo di proporre la musica e comunicarla, cos’altro poteva essere? I l g r u p p o m u s i c a l e b r
i tannico “The Buggles”, attivo nella seconda metà degli anni settanta, formato da Trevor Horn e Geoff Downes. Oggi conosciamo bene l’impatto di MTV sul pubblico, soprattutto sui giovani, e come cambiò il modo di fruire la musica, contribuendo a sviluppare il linguaggio pop e la cultura musicale collettiva e inventando persino nuovi mestieri come il Veejay, non più disc jockey o speaker, ma vero e proprio conduttore televisivo specializzato; ma forse dovremmo rivedere la portata di una rivoluzione sicuramente epocale, ma non così catastrofica da spazzare via le radio e, più in generale, tutto quello che non passa in video. All’epoca, era facile pensare che il video avrebbe soppiantato l’audio: siamo negli anni ’80, c’è il boom della televisione, che ormai è consolidato mezzo di comunicazione di massa. Ecco perché una canzone come “Video Killed the Radio Star”, che racconta la fine di una “star della radio” (qualcuno all’apice della sua carriera radiofonica), ma metaforicamente è da intendersi come la caduta dell’industria radiofonica a causa delle preferenze del pubblico per la televisione e l’avvento ineluttabile di macchine e della tecnologia (ad esempio, sintetizzatori e drum machine largamente in uso in quel periodo), prefigura la morte delle radio, morte che fortunatamente non è ancora avvenuta. Scopri il nuovo numero: “Il futuro è aperto” Il futuro prende vita dalle nostre azioni. E l’azione è sempre risolutrice. Andiamo incontro al futuro, senza timori. Il futuro è aperto! Del resto, il mezzo radiofonico è sopravvissuto a più di una rivoluzione dimostrando capacità di rinnovamento ed adattamento uniche; basti pensare all’avvento di Youtube, l’altra grande rivoluzione che ha spostato l’attenzione del pubblico di massa dalla televisione al web. Sfruttando i media sicuramente più giovani, le radio sono state capaci di rinnovarsi, pian piano hanno conquistato i canali televisivi del digitale terrestre e poi si sono insinuate nella rete, hanno portato musica e parole sfruttando lo streaming e le enormi potenzialità di internet, non morendo affatto, anzi, trasformando uno svantaggio in un punto di forza e duttilità. Il fatto è che non sempre si può guardare o si vuole guardare uno schermo; pensiamo ad esempio a chi ascolta la radio mentre guida, mentre lavora o mentre fa sport, senza contare poi che il fatto di ascoltare senza dover necessariamente guardare stimola la fantasia molto più delle immagini precedentemente confezionate. Se così non fosse, non si spiegherebbe l’ascesa di fenomeni quali il podcasting e la miriade di app per ascoltare sia musica che podcast e libri. Alla luce di questo ragionamento, “Video Killed the Radio Star”, e più in generale tutti quei racconti distopici come “The Sound-Sweep” (dello scrittore britannico J.G. Ballard) dal quale trae ispirazione il brano dei The Buggles che profetizzavano la fine dell’audio a favore del video non solo non si sono avverte, ma risultano ormai anacronistiche. In un mondo in cui siamo ormai bombardati e distratti dalle immagini, non solo televisive (basti
pensare alle quantità di video e foto di cui fruiamo sul web), non sarà forse l’ascolto senza il video la soluzione migliore per raccogliere le idee e collegarsi con il nostro “io” più profondo ed autentico? E come cambierà il modo di fruire dei prodotti radiofonici quando saremo tutti collegati al Metaverso? Il futuro ci riserva ancora tante novità che dovremo essere pronti non solo a guardare ma soprattutto ad ascoltare, anche perché “In my mind and in my car we can’t rewind we’ve gone too far” (nella mia mente e nella mia macchina, non possiamo tornare indietro, siamo andati troppo lontano). Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Tre serie Amazon Prime Video da vedere in questo afoso giugno 2021 Ok, va bene, siamo un’Italia quasi tutta bianca, il caldo è già afoso, l’estate sembra cominciata da almeno due settimane, ed invece, mentre scrivo questo articolo (20 giugno), manca ancora un giorno. Insomma, la voglia di tornare alla normalità pre-pandemia è potente e irrefrenabile, ma, diciamoci la verità, non sarà facile riprendere una vita “normale”. Le abitudini che abbiamo acquisito in questo anno e 4 mesi di aperture e chiusure, distanziamento sociale e mascherine, focolai e vaccini, non le dimenticheremo molto presto, così come non
dimenticheremo tutte quelle nuove abitudini fatte di videochat, ascolto di podcast, e le ore ed ore passate davanti ad uno schermo a guardare l’ennesima e fichissima serie targata Netflix, Amazon Prime Video, Disney + o Sky. Ed è proprio per facilitare la transizione fra un tempo fatto di restrizioni e una ritrovata e nuova normalità che voglio segnalarvi tre serie recenti uscite su Amazon Prime Video, anche perché ne ho diffusamente parlato in una recente puntata di “Incontri ravvicinati”, dedicata proprio alla serialità on-demand, con l’immancabile Ivan Zorico e la nostra esperta di serialità (TV ed on- demand) Simona De Bartolomeo. Allora cominciamo da quella uscita prima. Si tratta di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, di Philipp Kadelbac, la cui prima stagione di 8 episodi è stata pubblicata sulla piattaforma il 19 febbraio scorso e che vi consiglio di recuperare. A chi comincia ad avere qualche capello bianco, come il sottoscritto, questa serie ricorda sia il libro omonimo del 1978 dei giornalisti K. Hermann e H. Rieck che il film “Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” (Christiane F. – Wir Kinder vom Bahnhof Zoo) del 1981, diretto da Uli Edel, entrambi censuratissimi e criticati all’epoca per la loro estrema crudezza, ma che fotografavano magistralmente una generazione perduta che scopriva l’eroina e l’abisso nel quale essa risucchiava i suoi consumatori. Dopo il primo choc e sconcerto, fu soprattutto il film, che si trainava dietro il libro, a diventare quasi una sorta di video educativo da far vedere nelle scuole superiori per spiegare i rischi e le umiliazioni a cui si sottoponevano i “tossici” pur di procurarsi una nuova dose. Ma veniamo alla serie diretta da Philipp Kadelbac, perché dovremmo vederla? Credo innanzitutto perché le questioni ed i problemi che denunciava sono ancora attuali: sì, sono cambiate le droghe e sono passati gli anni, ma la tossicodipendenza è sempre un problema; poi perché, come spesso accade per le serie tratte o ispirate a vecchi film o libri, esse offrono la scusa per esercitarsi in quell’esercizio di raffronti e comparazioni che alla fine portano a vedere anche il film e magari a leggere il libro per meglio capire quale sia il media più adatto a raccontare questa storia. Personalmente è proprio quello che sto facendo io, che dopo la visione della serie ho recuperato il film e sto per acquistare il libro. La serie mantiene gran parte della storia originale, ispirandosi sia al film che al libro, ma decide di sfumare una precisa collocazione temporale, che noi spettatori intuiamo più dall’assenza di determinati oggetti che dalle ambientazioni e scenografie che inneggiano a quello stile tardo anni ’70 buono per tutte le epoche. Diciamola tutta, la serie non ha avuto un grande successo ed è stata criticata perché a differenza del libro e del film fa crescere l’età dei protagonisti e perché, con il fine di raggiungere un vasto pubblico, annacqua gran parte delle scene crude e scioccanti che tanto avevano contribuito al clamore ed all’interesse per gli altri due media. La serie però ha il suo appeal, gli attori sono tutti giovanissimi e bravi, i costumi e la fotografia in perfetto stile fine anni ’70 e poi, come detto, ci spinge a recuperare sia il film che il libro attivando
un circolo culturale virtuoso, che tra le altre cose ci permette di riascoltare le musiche e le canzoni della famosa trilogia berlinese di David Bowie, che era parte integrante sia del libro che del film come di questa serie. La seconda serie di cui voglio parlarvi è “Panic”, la cui prima stagione (10 episodi) è stata pubblicata, sempre su Amazon Prime Video, il 28 maggio scorso. Si tratta di un teen drama basato sul romanzo bestseller omonimo di Lauren Oliver, autrice del New York Times, e pubblicato per la prima volta nel marzo del 2014. Ci troviamo nella piccola cittadina di Crap, in Texas, dove l’unico desiderio dei giovani è quello, una volta diplomati, di poter fuggire da una realtà provinciale, oppressiva, senza futuro né prospettive. È per questo che tutti gli studenti del locale liceo si sono autotassati di 1 dollaro al giorno fin dal primo anno di superiori per mettere insieme il montepremi di 50.000 dollari del gioco “Panic”, un vero e proprio survivors game con prove di coraggio ed abilità fisiche di difficoltà sempre crescenti. Al termine di Panic, cui partecipano gli studenti diplomati, al vincitore andrà tutta la somma e la possibilità di lasciare Crap per un futuro migliore. Il gioco si svolge in modalità segreta perché gli adulti della cittadina non vogliono che abbia luogo, ancor di più da quando nella edizione precedente ha causato, a quanto pare, la morte di due partecipanti. La serie è intrigante, ben recitata, con delle belle location e un’ottima fotografia, ma, a mio avviso, la cosa che la rende oltremodo interessante è che si inserisce in quel filone di film (ma non solo) che “ragionano” sulle implicazioni sociali e filosofiche di una competizione, alla luce dell’esplosione della cultura di massa e del fenomeno dei reality show, che da oltre 20 anni imperversano nei palinsesti televisivi del mondo. Il primo esempio cinematografico di cui ho trovato traccia è italiano, e si tratta di un misconosciuto film del 1965 diretto da Elio Petri, “La decima vittima”, tratto dal breve racconto di fantascienza La settima vittima (The Seventh Victim) di Robert Sheckley, interpretato da Marcello Mastroianni (per l’occasione biondo ossigenato), Ursula Andress ed Elsa Martinelli. Un film che vedeva una coppia di sceneggiatori doc come Ennio Flaiano e Tonino Guerra e che vi consiglio di recuperare. Anche questa serie, come la precedente, ci invita a quel gioco di ricerca delle fonti ed ispirazioni letterarie e cinematografiche che, oltre ad innescare un circolo virtuoso di conoscenza, ci può tornare utile anche in altri campi. Terza ed ultima serie di cui voglio parlavi è “Veleno”, una docu-serie televisiva, pubblicata il 25 Maggio 2021, in cinque episodi, diretta da Hugo Berkeley, ispirata all’inchiesta di Pablo Trincia e diventata un celebre e premiatissimo podcast e poi anche un libro pubblicato da Einaudi. Siamo nella Bassa modenese, nei paesi di Mirandola e Massa Finalese, nei quali fra il 1997 e il 1998 scoppia lo scandalo ed il caso dei Diavoli della Bassa modenese, o pedofili della Bassa modenese. In seguito alle segnalazioni di alcuni assistenti sociali, emersero elementi giudiziari che dimostravano l’esistenza di una setta dedita a riti satanici nei quali sarebbero stati molestati e assassinati bambini.
Dalla denuncia di uno dei bambini seguì una vasta indagine e il definitivo allontanamento di sedici minorenni dalle proprie famiglie, con i genitori macchiati dalla peggiore delle infamie e con le loro vite distrutte per sempre. Anni dopo la verità processuale stabilì che non ci furono né riti satanici né tanto meno omicidi e venne inoltre ipotizzato che le tecniche di interrogatorio dei bambini, fatte da psicologi e assistenti sociali, avessero portato a far emergere e credere veritieri dei falsi ricordi. Un caso giudiziario e psicologico esemplare che dovrebbe metterci in guardia dalle possibili alterazioni dei ricordi, ancora di più in soggetti suggestionabili come i bambini, quando a condurre gli interrogatori e le interviste cognitive non sono professionisti consapevoli e preparati sulle trappole linguistiche e sul potere di suggestione delle parole. Anche in questo caso siamo di fronte ad una serie nata come podcast, diventata libro ed infine serie on-demand, un prodotto che il prof. Henry Jenkins, autore del fondamentale saggio “Cultura Convergente” (2006), avrebbe definito “media franchise”, ossia un contenuto che una volta elaborato passa da un media ad un altro cambiando natura, tempi e modalità di fruizione. Queste sono le tre serie Amazon Prime Video che secondo me andrebbero viste, sia per le storie che raccontano, sia per le scoperte che ci consentono di fare, sia per quelle interessanti connessioni che ci permettono di sperimentare, recuperando il film, il podcast o il libro da cui sono tratte, accrescendo, in tal modo, la nostra esperienza e la nostra cultura, tutto in una divertente modalità multipiattaforma. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
Remote Life: siamo gli eroi, in attesa del game over di un videogioco fermo sempre allo stesso livello che qualcuno sta “giocando” per noi. “Siamo nel ventitreesimo secolo e la tecnologia sulla Terra ha fatto passi da gigante (come è lecito aspettarsi). Gli Stati Uniti della Terra ed il pianeta tutto, sono scossi da una misteriosa forza preponderante che un mese prima degli eventi ambientati nel gioco aveva distrutto con estrema semplicità un intero avamposto spaziale. Parte una missione di ricognizione ma questa non ha esito positivo: la navicella viene distrutta inesorabilmente da una forza aliena soverchiante. La triste conferma è agghiacciante: la Terra è minacciata…Un manipolo di navette ed un pilota dovranno servire per portare a termine una missione suicida per salvare l’umanità” [cit] E’ la trama di remote life, videogioco che ha spopolato nel 2019 che come da tradizione dei videogames, individua il miglior pilota del pianeta (il giocatore) per spedirlo allo sbaraglio con l’obiettivo di distruggere tutto ciò che si muove. In remote life c’è una guerra in atto, il pianeta è in pericolo, l’umanità va salvata, il giocatore è l’eroe che dovrà uscirne vincitore. Dite la verità, non vi sentite anche voi come se stesse da troppo tempo intrappolati in un videogioco provando la stessa frustrazione di quando dovete ripetere per l’ennesima volta lo stesso livello perché non riuscite ad andare avanti? Da circa un anno abbiamo messo la nostra vita in pausa, a tratti prendiamo la nostra ora d’aria quando con il cambio di colore si riesce a fare qualche km in più o una passeggiata, per poi ritornare in quella che è la nostra quotidianità che per alcuni sta diventando una prigione: le quattro mura domestiche. Scopri il nuovo numero: Remote life A distanza da un anno dal primo lockdown, siamo ancora qui a confrontarci con chiusure più o meno generalizzate e con abitudini di vita e di lavoro che fatichiamo ancora a fare nostre. Ecco i nostri suggerimenti per la vostra remote life. Una situazione assurda, vicina al paradossale specialmente per una generazione abituata a viaggiare, a non avere limiti negli spostamenti e nelle scelte, che si ritrova a vivere e a fare qualsiasi cosa da fermi, sempre nella medesima posizione. La nostra dinamicità soppiantata dalla staticità, il nostro continuo moto bloccato dal divieto, la nostra apertura
frenata dalla chiusura. Se ci si ferma davvero a pensare lucidamente a come stiamo vivendo, un brivido percorre la schiena perché per quanto può essere comodo avere tutto a disposizione in un click, collegare il mondo in tempo reale, avvicinare le distanze; resta comunque una vita in remoto, ferma sulla stessa sedia, chiusa nella stessa casa. Eppure passano i giorni e sembra come abituarsi alla nuova normalità quella fatta di smart working e di DAD. Se avessimo utilizzato questo acronico qualche anno fa avremmo sentito solo eeeeee? Cosa???? Che vuoi dire? Adesso neanche più spendiamo le parole per definirla didattica a distanza, questo è ciò che significa piano piano, abituarsi alla nuova normalità. Le conversazioni di quest’anno si riassumono in Mi senti? Riesci a sentirmi? Attenzione hai il microfono in mute? Mi vedi? I nostri sensi messi in discussione: un udito sviluppato a percepire “noice” di sottofondo, lunghe chiacchierate fatte in solitario per aver dimenticato di accendere il microfono, video di facce sconvolte in ogni angolo di casa che vagano nella rete. E’ la remote life quella che nemmeno nei film di fantascienza o nei videogames avremmo immaginato di vivere in prima persona. Solo che questa volta, però, il joystick non è nelle nostre mani, non ci siamo noi a tentare di superare gli ostacoli ed arrivare a meta, questa volta noi siamo nel gioco, e qualcuno per noi ne sta muovendo i tasti. Superiamo ostacoli quotidiani fatti di distanze tra amici e parenti, l’assenza di viaggi, la mancanza di socialità, lontani da chi ci sta a cuore, vivendo separazioni non decise; la cosa triste è che ci stiamo abituando a non superare il livello, a ripetere lo stesso momento più e più volte. Dobbiamo evitarlo, dobbiamo riacquistare gli spazi persi anche solo ricordandone le emozioni e i piaceri che lo stare insieme e le piccole cose ci fanno provare, la nostra vita è stata messa in pausa, e anche se il nostro eroe sembra essere bloccato sempre allo stesso stadio la verità, è che bisogna reagire e puntare alla meta. Mentre Remote Life è solo un gioco, quella che necessariamente dobbiamo riprendere a vivere è la nostra vita. Sì è vero anche qui c’è una “guerra” in atto, il pianeta è in pericolo, l’umanità va salvata, e anche qui il giocatore è l’eroe che dovrà uscirne vincitore, non in un gioco ma nella vita reale anche se sarà diversa, anche se sarà nuova. Nella novità, spesso, si nasconde l’opportunità di vedere le cose con occhi nuovi, l’importante è spalancarli nuovamente al mondo della socialità e non tenerli chiusi nell’individualità per arrivare a leggere presto la parola GAME OVER. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del
marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Covid-19 e videochat: i migliori programmi per sentirsi vicini, anche a Natale Quello di quest’anno, caratterizzato dalla pandemia di COVID-19, sarà un Natale strano e diverso, in cui ci troveremo tutti un po’ più distanti, almeno dal punto di vista fisico. Tuttavia, se le norme impongono il distanziamento sociale, il consiglio per le prossime festività è quello di riscoprire la condivisione virtuale, con video aperitivi con gli amici e video chat con famiglia e parenti, per rimanere vicini anche se lontani. Sicuramente i più giovani partiranno avvantaggiati, data la loro familiarità con smartphone e nuove tecnologie, rispetto ai nonni, ma oggi ci sono tanti programmi di videochat semplici e intuitivi per sentirsi vicini, anche a Natale. In questo particolare momento è importante rimanere positivi e comunicare con i nostri cari online, così come guardare film e giocare in modo virtuale con amici lontani è il miglior modo per contrastare lo stato di ansia che si è venuto a creare in noi. Scopri il nuovo numero: Il Natale che verrà Che natale sarà? Difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Per tanti sarà un Natale senza un parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro, per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri. Natale 2020: l’invito a restare connessi In questo Natale 2020 l’invito è a restare connessi: secondo i dati di We Are Social contenuti dal Report Digital 2020 sono 4,54 miliardi le persone che nel mondo usano Internet per studio,
lavoro e svago e tra queste ci sono 49,48 milioni di italiani, che usano trascorrono quasi 2 ore al giorno sui social media. F o t o d i O l y a K o b r u s e v a d a P e x e l s I servizi più amati nel nostro Paese sono sicuramente, come emerge dal report, Facebook, Instagram e WhatsApp a cui si sta piano piano aggiungendo anche Telegram. L’emergenza COVID-19 ha tuttavia portato alla crescente diffusione di altre applicazioni, vediamo una rapida panoramica per dire #iorestoacasa e sto bene, tra cultura online, film e svago.
WhatsApp e Telegram: i protagonisti di questo 2020 La soluzione più diffusa per inviare foto, video e messaggi di testo, ma anche per fare videochiamate senza limiti e costi è sicuramente WhatsApp, anche se sta lentamente prendendo piede Telegram, che assicura una maggiore privacy dato che i contenuti si autodistruggono dopo un certo tempo. Skype e Facebook Messanger: le app storiche Resistono anche le app storiche per la messaggistica istantanea ovvero Skype e Facebook Messenger, che permettono di fare videochiamate con più utenti. Le nuove soluzioni: Viber, WeChat e Kik Chi ha contatti all’estero o nei paesi orientali avrà sicuramente sentito parlare di Kik o WeChat che permettono di chattare, ma anche effettuare telefonate voce o videochiamate gratuite e senza limiti. Infine, funziona in modo simile anche Viber, per telefonare a pagamento a numeri fissi e mobili di tutto il mondo. L’app più scaricata e il fenomeno del momento: Zoom Con il COVID-19 interagire in modo virtuale e lavorare in smart working è diventato una necessità per tutti e per questo sono nati nuovi strumenti digitali. Il fenomeno del momento è sicuramente Zoom, la piattaforma di videoconferenze online più scaricata. Ad oggi sono 343.000 le persone che hanno scaricato l’app sul loro smartphone, di cui 60.000 solo negli Stati Uniti e oggi Zoom è una delle app gratuite più utilizzate per le video chat. Il segreto del successo di Zoom sono la sua facilità di utilizzo e l’intuitività dell’interfaccia, ma anche il fatto di essere completamente gratuita sia per PC, sia per iOS e Android. La versione chiamata di gruppo permette di accedere a 100 persone e il tempo disponibile in videoconferenza è di 40 minuti, un lasso di tempo che diventa illimitato se gli utenti sono solo due. La mia convinzione è che proprio Zoom, assieme a WhatsApp, diventerà la soluzione per la chat virtuale con amici e parenti che dominerà le feste di Natale 2020, festività in cui saremo tutti un po’ più distanti, anche se virtualmente connessi per scambiarci risate e auguri. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email *
Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Dai videogames agli exergames. Ecco come il settore entertainment ha reagito alla crisi. Non ce lo aspettavamo, ma la quarantena a cui il Covid-19 ci ha costretti, in molti casi ha tirato fuori il meglio di noi! Alcuni, pur non avendo mai cucinato qualcosa di più elaborato di una pasta al pomodoro, sono diventati panificatori di discreto successo. Altri si sono improvvisati coltivatori e, nel giardino di casa, hanno fatto crescere pomodori, limoni, basilico e verdure che non avevano neanche mai mangiato. Un fenomeno senza precedenti Tra questi esploratori di mondi sconosciuti c’è stata poi l’esplosione dei fitness lover! Ebbene, uomini e donne delle più svariate età, ma soprattutto, e qui sta la vera novità, i non giovanissimi, hanno iniziato ad allenarsi. Molti saltuariamente, ma alcuni diventando dei veri sportivi tra le mura di casa. L’espressione suona contraddittoria, ma lo è meno di quello che sembra! Il mercato chiama, i videogames rispondono Quando si verifica un cambiamento, piccolo o grande che sia, le reazioni possibili sono essenzialmente due: rifiutarlo o adattarsi. Quelli che si sono dati all’allenamento in casa per tenersi impegnati, per mettersi alla prova o semplicemente per bruciare qualche caloria, hanno deciso di reagire alla trasformazione di una realtà che stava cambiando e di mutare insieme a lei. La risposta del mercato è stata ovviamente adeguata. Che cosa si è inventata l’industria del fitness? Niente di sconvolgente, generalmente ha aumentato la produzione di tutti gli attrezzi sportivi da casa (manubri, corde, elastici, tappetini) e trasferito online le sessioni di allenamento. Che cosa hanno fatto i produttori di videogames? Hanno incrementato la produzione dei exergames. Di che cosa parliamo esattamente? Gli exergames (dall’unione di exercise e videogame) sono andati letteralmente a ruba nelle ultime settimane. Le persone hanno accolto con molto piacere la possibilità di fare squat, piegamenti, addominali e jumpin jack circondati da un’ambientazione fantastica. Si sono divertite a correre per 20 minuti inseguite da mostri e a salvare il bottino conquistato dopo
quattro serie di alzate laterali. Il format non è nuovo, basta pensare al successo anni fa della Wii, la prima console che ha reso il workout a portata di joystick. Ma questo è tutta un’altra cosa. Niente lezioni di yoga o boxe, ma allenamenti stimolanti perché inseriti in contesti nuovi e insoliti. Scopri il nuovo numero > Upgrade Upgrade rappresenta l’ultimo elemento di un racconto che parte a Febbraio 2020. In questi mesi abbiamo raccontato cosa stava succedendo (Virale), ci siamo domandati come la pandemia avrebbe cambiato noi stessi e l’economia (Tutto andrà bene(?)), e abbiamo offerto soluzioni (Reset). Con questo numero abbiamo voluto fare un passo in più: immaginare un domani diverso, anche attraverso esperienze concrete. Il personal trainer Johnathan Paolozza spiega come funzionano gli exergames: «Si potenziano pettorali, braccia e gambe e in una partita da 30-40 minuti si bruciano circa 300 calorie». Il plus? «L’opzione mini-giochi per sfidarsi con gli amici: dodici esercizi, a tempo, con l’obiettivo di fare più ripetizioni possibili, ognuno mirato ad allenare dorsali, addominali o glutei» dice l’esperto. «Seguono il modello di un vero e proprio HIIT, il training ad alta intensità dall’efficacia extra-strong». Case history Qualche esempio? Ring Fit Adventure, il nuovo videogioco per Nintendo Switch da oltre 2 milioni di copie vendute, è appena tornato sul mercato dopo il sold out registrato all’inizio della quarantena. Keiron, azienda specializzata nell’ideazione e realizzazione di videogiochi (legati all’intrattenimento, all’educazione e al fitness), ha spostato significativamente la propria produzione, dando priorità agli exergames, la vera tendenza del momento. «Mentre una volta gli activity videogame si limitavano a simulare i corsi tradizionali, oggi esaltano la dimensione ludica e narrativa. Così conquistano sia i giocatori accaniti sia quanti cercano un’alternativa al solito workout» spiega Francesco Iaia, game designer di Keiron. Riflessioni da marketer Certo, la videogames industry non ha avvertito i contraccolpi della crisi causata dalla pandemia, o almeno non come molti altri settori. Questo avrebbe dovuto impedirle di evolversi e di adattarsi? Forse proprio perché non l’ha fatto spinta dalla necessità, andrebbe presa come caso esemplare di offerta che ascolta attentamente e interpreta la domanda. Il suo è un upgrade (nel significato di evoluzione) reso ancora più rilevante dal fatto che si inserisce tra due tendenze oggi fortissime: il gaming, solo in Italia si contano 17 milioni di giocatori, di cui il 47 per cento donne, e l’at-home workout, l’allenamento tra le pareti di casa, inserito da Forbes tra i fenomeni fitness del 2020.
Per concludere Restare fermi mentre tutt’intorno c’è una bufera che ci travolge, non è il modo giusto per sopravvivere. Probabilmente ripararci e sperare di non essere colpiti non servirà! Dovremo piantare i piedi a terra e sfidare il vento contrario. Se impareremo, non subito, ma dopo molti chilometri, a camminare nonostante tutto, avremo vinto, altrimenti sapremo meglio come affrontare la prossima grande sfida! Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Instagram sfida apertamente YouTube sul terreno della fruizione dei video Novità in vista per Instagram: maggiore attenzione ai video! L’idea sarebbe quella di permettere agli utenti di caricare video sino a 60 minuti di durata, andando così a rivoluzionare il proprio ecosistema. Infatti, sino ad oggi, la durata dei video su Instagram è molto breve: 60 secondi per i video nel feed e 15 secondi per le Storie. La rivoluzione, però, dovrebbe interessare solo la parte relativa ai feed. Si potrebbe pensare che notizie del genere non spostino nulla in termini di business, ma così non è.
Due gli aspetti da tenere in considerazione. 1. Instagram vuole in questo modo intercettare ancor di più tutta quella fascia di utenti ad oggi presenti in forze su YouTube (adolescenti in primis). 2. Lo sviluppo di nuove opportunità comunicative e creative su questa piattaforma. In ultimo una riflessione: Snapchat prese un duro colpo da Instagram quando quest’ultima implementò le Storie (nate proprio su Snapchat). Certo, quando accadde qui da noi, Snapchat non era ancora così diffuso (negli USA infatti Snapchat ha resistito meglio), mentre Youtube è ampiamente stabile, anzi in continua crescita. Ma, ad oggi, prevedere cosa potrà accadere è davvero difficile. Per approfondire la grandezza del fenomeno Youtube leggi il nostro numero dedicato: ■ Generazione YouTube (YouTube nasce il 14 febbraio 2005, ma viene lanciato ufficialmente il 23 aprile 2005: la piattaforma di video sharing più famosa al mondo, ha quindi da poco festeggiato il suo 13° compleanno. Da allora YouTube ha fatto davvero tanta strada costruendo intorno a sé un solido ecosistema capace di generare una rivoluzione culturale, sociale ed economica.) Intanto il guanto di sfida è stato lanciato, chissà come reagirà YouTube a questo aggiornamento. E, soprattutto che soluzioni adotteranno le aziende per sfruttare questa nuova opportunità di comunicazione e di marketing. Intervista a Traipler: la rivoluzione del video marketing e dello storytelling. Chi si occupa di comunicazione e marketing sa bene che la comunicazione stessa, negli ultimi anni, si fonda principalmente su due pilastri: lo Storytelling ed il Video. Aldilà dei vari tecnicismi e delle strategie digital, questi due aspetti sono quelli che riescono a fare davvero la differenza nella veicolazione di un messaggio. Giornalmente riceviamo un numero infinito di email, newsfeed sui vari profili social, entriamo ed usciamo da riunioni e siamo sempre presi nel riuscire a conciliare il lavoro con la vita privata. Essere capaci di raccontare una storia che appassiona – sia essa personale o riferita ad una azienda – e saperlo fare attraverso l’uso sapiente dei video, è di certo il miglior modo per catturare l’attenzione e creare una relazione con l’utente/cliente/follower in una realtà, quale è la nostra quotidianità, sempre più frenetica. Per capire meglio questo mondo e per cercare di carpire quali saranno gli sviluppi di un modo di comunicare davvero efficace come quello del video unito al racconto, abbiamo intervistato i tre soci fondatori di Traipler – Gianluca Ignazzi, Christian Muolo e Aldo Ricci -, un’agenzia
specializzata nella produzione video per aziende che vogliono coinvolgere l’utente/cliente attraverso il racconto di storie, luoghi, persone, idee e progetti in modo nuovo. I l t e a m d i T r a i p l e r Si sente sempre dire che “questo è l’anno dei video”: qual è lo stato dell’arte? Le aziende sono davvero aperte a questa modalità di comunicazione? “E’ l’era dei video. Un vecchio articolo del The Guardian riportava questa frase “Video is everywhere. Small businesses who ignore it ‘do so at their peril’”, era luglio 2015 e l’articolo non si riferiva al classico video spot, ma alla produzione continuativa di più video. Oggi le aziende sanno bene di dover comunicare con una adeguata strategia video, spesso però non sanno come realizzarla, a chi rivolgersi, hanno paura dei costi di realizzazione” – Gianluca Ignazzi CEO & Co- Founder di Traipler.com. Di certo i video stanno prendendo sempre più piede sul mercato come forma di comunicazione. Immagino che questo non sia solo per moda, ma perché siano realmente capaci di trainare il business: quali sono i numeri del mercato? Avete qualche statistica in questo senso? “I video sono oggi uno strumento di marketing efficace perché capace di generare ROI. Solo il 10% del messaggio del brand rimane impresso quando viene trasmesso attraverso un post testuale sui social media, ma la percentuale sale al 95% se la comunicazione avviene per mezzo di un video” – Christian Muolo Chief Sales and Marketing Director & Co-Founder di Traipler.com. Qualche numero…
Qualche news dall’interno, quelle degli addetti ai lavori: quali sono le prospettive di questo mercato? Quali possono essere i trend per il prossimo futuro? “Declinare la comunicazione in più video e realizzare format video pensati ad hoc per brand, prodotto, target, obiettivo di comunicazione, sarà il trend. Dietro ogni nostro lavoro ad esempio c’è un team di autori, videomaker, creativi, social strategist, capaci di creare un prodotto video che sia anche uno strumento di marketing e conversione sui social. Non a caso Traipler.com non si occupa solo della produzione video, ma anche di tutta una serie di servizi dalla veicolazione sui social, all’advertising, alla lead generation” – Aldo Ricci COO & Co-Founder di Traipler.com. Traipler.com è stata senz’altro una azienda capace di cogliere l’opportunità offerta da questa modalità di comunicazione specializzandosi nel Video Content Marketing e nel Digital Storytelling, non solo per grandi compagnie ma anche per le PMI. Ci raccontate quali sono stati i vostri primi passi? “Già quando ero direttore creativo di Leo Burnett Italia mi era chiaro che il video avrebbe cambiato il modo di comunicare. Da lì nel 2013 con i miei soci e amici abbiamo fondato Traipler.com Il video è sempre stato per me qualcosa di utile non solo qualcosa di bello. Oggi i nostri video aiutano le aziende a promuoversi, a farsi conoscere, ad aumentare i propri guadagni, e le aziende che ci scelgono – big o pmi che siano – possono misurare i risultati tangibili del nostro lavoro. E noi ne siamo fieri perché non abbiamo mai smesso di credere in quello che facciamo, non a caso #wearevideo” - Gianluca Ignazzi CEO & Co-Founder di Traipler.com.
I videogiochi sono una cosa seria: i numeri del settore! Questo settore vanta un giro d’affari di quasi 1,5 miliardi di euro. Un settore, quello dei videogiochi, in continua crescita: console (+ 8,6%), accessori (+ 10,5%), software fisico (+7%) e software digitale. Per gli italiani i videogiochi sono divertimento, interazione, intrattenimento. 6 genitori su 10 affermano di giocare con i loro figli: lo trovano un modo per passare amabilmente il tempo assieme e in modo divertente. Così Paolo Chisari, Presidente AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani): “I risultati del 2017 sono molto soddisfacenti. Il mercato è in perfetta salute e in continua evoluzione e soprattutto è lo specchio di un’industria solida e con grandi prospettive di sviluppo. Il nostro pubblico diventa sempre più ampio perché il videogioco è l’intrattenimento per eccellenza del nostro tempo e perché è sempre più spesso utilizzato anche in famiglia come momento di condivisione tra genitori e figli”. Qualche informazione utile sul mercato dei videogiochi in Italia. Il software registra un fatturato di oltre 1 miliardo di euro con un peso del 71% sul totale mercato nel 2017. Il segmento risulta composto per il 35% dalle vendite di software fisico (videogiochi per console e per PC nel tradizionale formato pacchettizzato) e per il 65% dalle vendite di software digitale (app e digital download su console e pc). L’hardware registra un giro d’affari di 428 milioni di euro, con un peso pari al 29% del totale mercato nel 2017. Il segmento risulta composto per il 78% dalle vendite di console e per il 22% dalle vendite di accessori. Il 57% della popolazione di età compresa tra i 16 e i 64 anni, corrispondente a circa 17 milioni di persone, ha giocato ai videogiochi negli ultimi 12 mesi. Di questi, il 59% sono uomini e il 41% donne. In Italia, il mercato dei videogame vanta un giro d’affari di quasi 1,5 miliardi di euro. I dispositivi mobile come smartphone e tablet in Italia vanno per la maggiore essendo utilizzati dal 52% dei videogiocatori. Seguono le console home dal 48% e i PC dal 46%. Si passa però più tempo davanti alla console (in media 8,3 ore a settimana), meno sui dispositivi mobile (in media 6,4 ore a settimana) e su PC (4,3 ore a settimana). Il genere preferito dagli italiani è l’action, scelto da più della metà dei giocatori (52%), seguito dallo sport, il più amato dagli under 34, mentre i racing games, al quinto posto dopo i casual games e i giochi adventure, mettono d’accordo oltre un terzo dei videogiocatori in tutte le fasce d’età. Per la prima volta, grazie alle nuove metodologie di ricerca utilizzate per la stesura del rapporto,
sono disponibili le Top 10 di vendita per ogni tipologia di dispositivo di gioco utilizzato: FIFA18 domina la Top 10 console, seguito da Call of Duty: WWII e Crash Bandicoot. The Sims 4 è il primo titolo in classifica per i PC, in seconda posizione Overwatch e ancora sul podio in terza posizione Call Of Duty. I videogiochi più scaricati in digital download sono invece Rainbow Six Siege, FIFA 18 e Grand Theft Auto V. Clash Royale conquista il podio della Top 10 App, seguito dal famoso Candy Crush Saga e dal fratello Clash of Clans. Stories, live video, virtual reality e non solo: dalle ultime novità social del 2017 alle previsioni per il 2018 Il 2017 è stato indiscutibilmente l’anno delle “stories”, ovvero i post che si autodistruggono in 24 ore e che permettono di raccontare le proprie giornate, di mostrare particolari, curiosità, di condividere tanti contenuti in un giorno senza rischiare di stancare i nostri followers. Per chi non lo sapesse le stories sono state lanciate da Snapchat con grande successo e riprese ben presto da Instagram e Facebook. Abbiamo così avuto conferma, ancora una volta, del fatto che se Mark Zuckerberg desidera un giocattolino nuovo o lo compra o lo costruisce uguale all’originale. Dopo aver, infatti, provato ad acquistare una neonata Snapchat senza successo, Zuckerberg l’ha osservata crescere, diffondersi e rubare una bella fetta di mercato a Facebook e Instagram. A questo punto avrà pensato che l’unica opzione possibile fosse snapchattizzare le due piattaforme e voilà…ecco che di Snapchat, che aveva già conquistato giovani e vip, sentiamo parlare sempre meno. Le stories su Instagram, ad onor del vero, sono state lanciate nel 2016 ma possiamo parlare di diffusione e successo in Italia soltanto nel 2017. Su Facebook in verità stentano un po’ a decollare del tutto, sia da parte dei profili personali che delle pagine, che hanno la possibilità di condividere storie soltanto da qualche mese, da Ottobre 2017, e che probabilmente saranno presto le principali utilizzatrici di questa funzionalità. Una novità recentissima e molto importante che riguarda le stories su Instagram è l’introduzione di hightlights e degli archivi delle storie. Dai primi di Dicembre, infatti, è possibile selezionare alcune storie da mettere in evidenza sul proprio profilo Instagram, abbattendo quindi la soglia delle 24 ore di durata massima del contenuto o addirittura organizzandole nel proprio archivio in una sorta di album. Una piccola rivoluzione, dunque, che permetterà di non perdere i contenuti per sempre allo scadere della giornata e addirittura di ricondividerli dopo tempo. Oltre alle stories non possiamo non citare una grande novità nel mondo social arrivata, dopo tanti rumors e polemiche, a Novembre di questo anno: Twitter ha raddoppiato il numero dei suoi
caratteri. Si passa dai classici 140 ai 280; novità molto discussa e non sempre apprezzata da tutti. I puristi continuano a storcere il naso ma… ammettiamolo, in molti casi qualche carattere in più non guasta. Ci siamo ormai abituati a essere così concisi su Twitter che difficilmente ci dilungheremmo, al massimo approfittiamo di qualche battuta in più quando è necessario. Ma le novità che hanno caratterizzato gli ultimi mesi del 2017 non finiscono qui. Instagram ha da pochissimo lanciato la possibilità di seguire gli hashtag oltre ai singoli account. In questo modo è possibile tenere sempre sotto controllo anche i temi a cui si è interessati . Da Ottobre sono stati lanciati i sondaggi sulle stories, da Settembre i face filters, più recentemente la possibilità di visualizzare le stories anche desktop. Facebook si è invece concentrato sulla sua battaglia alle fake news, su un algoritmo attento alle esigenze degli utenti e sulla virtual reality. Mark Zuckerberg ha infatti realizzato alcuni video in diretta tramite realtà virtuale “Facebook Spaces”, grazie ai visori Oculus Rift, in cui si presentava con un avatar in versione cartoon insieme a Rachel Franklin, head of social VR, per mostrare le potenzialità della realtà virtuale. Inevitabile il confronto con il vecchio Second Life, ma su Spaces c’è decisamente molto di più. L’obiettivo di Spaces, disponibile dal 18 Aprile 2017 in versione beta, è simile a quello di Facebook stesso, ovvero connettere le persone, permettere a chi non può incontrarsi di passare comunque del tempo insieme grazie ad un ambiente virtuale interattivo. Le novità del mondo social nel 2017 sono state così tante che un articolo di certo non basterebbe a raccoglierle tutte. Molte ci sembrerebbero ormai scontate, anche se appena lanciate abbiamo avuto qualche difficoltà a capirle o iniziare ad utilizzarle, ma i social ci hanno insegnato che possiamo abituarci a tutto, come nella vita: le novità a volte spaventano o destabilizzano, ma si fa presto a farle nostre e riadattarsi. E per quanto riguarda il 2018? Cosa bolle in pentola? Cosa dobbiamo aspettarci dal mondo social? Il mobile sarà ancora al centro di tutto. Come potrebbe non esserlo d’altronde? Un ruolo importante sarà dato anche all’intelligenza artificiale, dunque i BOT che vediamo già sempre più attivi, avranno sempre più un ruolo importante sui social per pagine ufficiali e aziende, soprattutto per quanto riguarda il servizio clienti e i servizi da offrire 24 ore su 24 per una customer relation sempre migliore . La realtà aumentata farà di certo parte delle nuove strategie aziendali, dunque aspettiamoci sempre più dispositivi con chip; app e piattaforme con funzionalità specifiche anche per la condivisioni di immagini sui social. Il video continuerà ad essere uno strumento di engagement fondamentale e imprescindibile, nel 2018 si imporrà maggiormente il live video, lo streaming, e ancora una volta dunque si accorceranno le distanze, tra utenti ma anche tra aziende e consumatori.
Cosa ne sarà dell’e-commerce? Nel 2018 riuscirà finalmente ad imporsi anche il social commerce? L’influencer marketing riscuoterà ancora tutto questo successo? Al di là dei trend di massa quali saranno le piccole novità lanciate dai vari social media per continuare a catturare l’attenzione degli utenti? Per rispondere a queste domande dovremo aspettare qualche mese e stare a vedere, in fondo i trend vengono proposti dall’alto, dalle grandi realtà del mondo digitale, ma siamo poi solo e soltanto noi utenti a determinarne il successo o il flop. Storie e brevi video spot: comunicazione e pubblicità nell’era del multitasking Nato in informatica da “multiprocessualità”, la possibilità di eseguire più programmi contemporaneamente, il termine Multitasking è ormai un luogo comune per identificare il modo in cui affrontiamo la nostra quotidianità, divenuta apparentemente una nostra abilità di riuscire ad eseguire più attività in contemporanea. Rispondere ad una e-mail mentre siamo al telefono è solo un piccolo esempio della molteplicità delle cose che facciamo ormai con naturalezza senza rendercene conto, eseguiamo più singole attività dedicando loro lo stretto tempo necessario per portarle a termine. A pensare di non essere multitasking, oggi, ci si sente quasi emarginati, in una società che corre e che non ha davvero il tempo per fermarsi e dedicare del tempo in più, sia in ambito privato che professionale. Sembra siamo ormai abituati a studiare ascoltando musica, a guardare la tv mentre si fa shopping on line, a lavorare ad una presentazione tra un what’s up e l’altro. Ci ritagliamo pochi minuti per volta, non dandoci più l’occasione di fermarci e gustarci i singoli momenti che richiedono il tempo necessario. Viviamo di frammenti, ogni nostra azione viene realizzata nei cinque minuti successivi e sono quei brevi momenti gli unici spazi dedicati alla scelta di un prodotto piuttosto che di un altro, quei pochi attimi tra un’attività e l’altra sono gli unici dove l’attenzione va catturata per indurre ad una scelta, ad un acquisto, ad una preferenza di un prodotto o servizio. Ecco che i bravi pubblicitari sfruttano lo storytelling o la comunicazione fatta da brevi video spot per catturare l’attenzione dei brevi momenti disponibili di una labile attenzione per rimanere impressi ed entrare nella mente dei consumatori sempre più distratti. È quanto succede ad una generazione sottoposta a così tanti stimoli che vive effettivamente di frammenti ed è in questi frammenti che si realizza qualsiasi comunicazione influenzatrice o soluzione pubblicitaria.
Ci avete mai pensato? Come faccio ad entrare nella testa e nel cuore di qualcuno che non approfondisce, non riesce dedicarsi in maniera attenta, non ha tempo necessario? Con una comunicazione breve ma intensa, con un messaggio scioccante o stupefacente, con una storia che segna e che entra in testa senza difficoltà. Utilizzare storie per vendere prodotti diventa un’arte che prende sempre più piede. Questa la soluzione dei comunicatori ad oggi che rendono lo spot pubblicitario sempre più un racconto per lo più adatto al web, per una fruizione lampo. Per il prossimo anno quali saranno le nuove storie che cercheranno di catturare la nostra attenzione e fare la differenza quando proviamo a fare un acquisto? Dedichiamoci un po’ di tempo per scoprirlo…! Video porno su YouTube, grazie ad una falla del sistema Raffaello Castellano (356) Come molti di voi sapranno, sono anni che il principale e più grande sito di video sharing del mondo, YouTube, combatte una lotta senza quartiere rispondendo colpo su colpo, contro la diffusione di filmati hard sul suo portale. Infatti, appena un utente pubblica un filmato a luci rosse, il sistema provvede ad individuarlo e a rimuoverlo nel giro di pochissimi minuti. Questo in teoria e fino ad ora, eppure, è notizia di questi giorni che qualcuno sia riuscito a bypassare il sistema di sicurezza, caricando sui server del sito
video hard, attraverso una backdoor, letteralmente una “porta di servizio”. A riportare la notizia è stato il portale ‘torrentfreak.com’, secondo il quale pirati e utenti smaliziati venuti a conoscenza della falla starebbero caricando sui server del servizio di video sharing di Google anche interi film porno, violando i diritti dell’industria a luci rosse. Ora, questo non vuol dire che digitando la parola porno sulla barra di ricerca di YouTube sarà possibile vedere filmati porno in streaming, perché, ed è questa la falla che gli hacker hanno utilizzato, i server di YouTube, sono utilizzati solo per conservare i filmati e non per la visione, e fanno sostanzialmente da hard disk on-line per gli hacker. Non essendo riproducibili dall’esterno, dunque, i video hard non vengono né rilevati, né cancellati dal sistema automatico di rilevazione. Il danno, dopo la beffa, consiste nella violazione del copyright su questi filmati porno che, gli hacker, grazie al servizio GoogleVideo.com, incorporano sui propri siti Web e forum. Una questione che sta preoccupando molto, oltre che l’azienda di Mountain View, anche l’industria del porno, che ormai da tempo combatte una battaglia impari nei confronti di quegli hosting che permettono di caricare qualsiasi tipo di file, anche quelli a luci rosse, creando un importante danno in termini economici. Un’azienda, quella del porno, che è lontana dai fatturati di qualche anno fa e che sta conoscendo ora una crisi e tutti gli svantaggi del web, dopo averne sfruttato i vantaggi per anni. Un’azienda, quella a luci rosse, che sprofonda nei conti rossi, nonostante ogni istante nel mondo 30 milioni di persone stiano guardando un sito a luci rosse. Noi di Smart Marketing parleremo del “pianeta porno” nel prossimo numero, presto on-line, con servizi, approfondimenti ed interviste, restate sintonizzati. Marketing in Love, quando lo storytelling, il marketing emozionale e il neuromarketing ci emozionano e ci fanno appassionare ad un brand
Vi ricordate lo spot delle gomme da masticare Extra, “The Story of Sarah & Juan” del 2015, realizzato dall’agenzia pubblicitaria Energy BBDO? É quello spot che racconta la storia d’amore fra due ragazzi, Sarah e Juan appunto, da quando si conoscono al college fino a quando lui le chiede di sposarla. Lo spot esiste in diverse versioni, da quello canonico di 30 secondi a quello lungo di 2 minuti, e rappresenta uno degli esempi più potenti di cosa “significhi” davvero la parola storytelling quando viene applicata al meglio. Non so per voi, ma per me una bella pubblicità è come un film. Certo non tutte quelle che girano sui nostri televisori o sul web, ma molte sono ben fatte e alcune sono davvero incredibili, perché raccontano una storia avvincente, commovente, vera, che si fissa nella nostra memoria in maniera indelebile. Lo spot delle gomme da masticare Extra. mi è tornato in mente grazie al libro che sto leggendo in questi giorni, “L’arte dello Storytelling” di Kindra Hall, edito da Alise e che uscirà negli store il 20 febbraio 2022. L’autrice, infatti, cita e fa un elogio di questo spot proprio nelle prime pagine del libro, spiegandoci che una “grande storia” può davvero fare non solo la differenza, ma quasi qualunque cosa. Lo spot è muto, ma è accompagnato dalle splendide note di “Can’t Help Falling In Love” nella versione cantata da Haley Reinhart, ed è tutto giocato sugli sguardi e le interpretazioni dei due giovani attori, con un uso sapiente del montaggio e delle riprese a rallentatore che focalizza l’attenzione degli spettatori sulla storia d’amore dei due protagonisti che vediamo svolgersi davanti ai nostri occhi. Il prodotto è sempre presente sulla scena, ma noi non ci badiamo troppo, presi come siamo dalla storia, e solo alla fine dello spot comprendiamo che il legame che unisce i due innamorati è passato attraverso le gomme da masticare Extra. Credo che questo spot delle gomme Extra sia perfetto per introdurre il prossimo numero del nostro magazine, quello in uscita a fine febbraio, che abbiamo voluto dedicare alla festa di San Valentino e al tema del marketing delle emozioni e che abbiamo intitolato “Marketing in Love”. Quanto è importante una storia? Quanto ricordiamo di una marca, di un brand o di un prodotto se a raccontarcelo è una storia memorabile, intensa e commovente? Quanto sono importanti lo storytelling, il marketing emozionale e il neuromarketing, che “trasformano” davvero i nostri utenti prima in lead e poi in veri clienti fedeli ed appassionati? Quanto è importante per un brand e per un professionista sapersi raccontare? Sono queste alcune delle domande a cui cercheremo di rispondere attraverso il prossimo numero di Smart Marketing che, partendo dalla Festa di San Valentino, cercherà di spiegare le strategie più efficaci messe in campo da aziende, brand e professionisti per spingere noi consumatori a dire di
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