La Copertina d'Artista - #ripartItalia 2020 - L'editoriale di ...

Pagina creata da Rachele Fabbri
 
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La Copertina d'Artista - #ripartItalia 2020 - L'editoriale di ...
La Copertina d’Artista - #ripartItalia 2020
Una bella ragazza si protende in punta di piedi verso un qualcosa che non riusciamo bene a definire.
Lo sfondo dell’immagine ha i toni dell’azzurro, del giallo e del verde, e trasmette decisamente una
sensazione di “solarità” e “positività”. Osservando con attenzione la Copertina d’Artista di questo
numero di Smart Marketing, altri particolari saltano all’occhio. Alcuni sono più discreti, altri più
eclatanti.

Cominciamo dai primi: la ragazza, tanto per cominciare, sembra quasi lì lì per spiccare il volo,
sembra librarsi in aria come se fosse sospinta da un vento favorevole, inoltre, e questa è una cosa
molto interessante, ha gli occhi chiusi e sembra che stia sognando. Poi ci sono altri particolari più
evidenti, come le cinque scritte, ritagliate dai giornali, che completano e definiscono l’opera di
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questo mese.
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Non possiamo sapere con “certezza” cosa indichi o cosa stia sognando la ragazza, ma queste cinque
scritte ci segnalano una direzione, un’intenzione, una volontà. Leggiamole, queste scritte: “Italia
riparte da qui, avremo ancora Notti Magiche”, l’augurio dell’artista di questo numero, Piero
Pancotto, è chiaro ed inequivocabile.

Questo settembre l’Italia può ripartire, deve ripartire, ripartirà sicuramente se riuscirà ancora a
sognare, a sperare, a volare, così come facemmo, ed il riferimento è palese, nell’estate del 1990, in
quei fatidici Mondiali di Calcio ospitati in casa nostra, dove sembrava che tutto fosse possibile e
che furono ben descritti dai grandi Gianna Nannini e Edoardo Bennato nel loro inno “Notti
Magiche”.
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La tecnica del collage mi ha sempre affascinato, perché, a mio modo di vedere, condensa, addensa e
stratifica diversi linguaggi prima ancora che diverse tecniche. Tante sono state le correnti artistiche
e gli artisti che negli anni si sono cimentati con questa particolare tecnica. Pensiamo ad esempio a
cosa sono riusciti a fare i dadaisti, i surrealisti e la Pop art con il collage. Pensiamo alle eccezionali
punte di lirismo e poesia che hanno raggiunto artisti come Warhol, Basquiat, passando per
Mimmo Rotella con i suoi dècollage, per giungere infine ai murales multimaterici di Bansky.
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   Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #ripartItalia sembra utile e necessario
   perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Anche l’artista di questo numero non fa eccezione, egli ci dice che possiamo, anzi dobbiamo, tornare
a sognare, a sperare, a vivere, perché non sarà una pandemia, per quanto drammatica come questa,
a fermarci. Basta pensare alla lezione della storia, il Covid-19 non è la prima piaga che stravolge
l’umanità, c’è stata la Peste Nera, l’Influenza Spagnola, l’AIDS, eppure noi resistiamo, noi
sopravviviamo, noi, alla fine, vinciamo.
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Piero Pancotto, insomma, ci propone il suo “manifesto politico”, la sua “relazione
programmatica”, e ci insegna che l’arte, fra le altre cose, è un esercizio di “resilienza civile”, una
vera palestra dove “allenarci al cambiamento”; un messaggio forte e ancora più valido, visto che
proviene da un artista di formazione scientifica che ha conseguito una laurea in Chimica e
Tecnologie Farmaceutiche, che ha lavorato prima nella ricerca di base, in quella applicata, per poi,
dopo un periodo nella ricerca clinica, iniziare la sua carriera nel marketing sanitario.
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Quindi, prima di essere artista, Pietro Pancotto è stato uno scienziato, un ricercatore e poi un
esperto di marketing, una persona che ha maturato un’esperienza variegata e multidisciplinare e che
oggi, per esprimere il suo augurio, il suo incoraggiamento, si è rivelato artista maturo ed
appassionato.

  L’opera di questo numero di settembre si intitola “Notti
  magiche” ed è stata realizzata da Pietro Pancotto (classe
  1967), di Roma. Di formazione scientifica, si laurea in
  Chimica e Tecnologie Farmaceutiche all’Università La
  Sapienza di Roma. Irrequieto e curioso, passa dalla ricerca di
  base a quella applicata, per poi, dopo un periodo di ricerca
  clinica, iniziare la sua carriera nel marketing.

  Appassionato di fotografia, in particolare quella in bianco e nero, durante il lockdown, nel marzo
  del 2020, inizia a dipingere, una sorta di catarsi per cercare di sfuggire all’isolamento forzato.
  La sua arte, dalla forte matrice pop, si ispira a pittori quali Warhol, Lichtenstein, Basquiat,
  Rauschenberg, Pollock, Bansky, Picasso e Boccioni. Intitola i lavori nati in questo periodo
  WORDS&COLORS, e sono tutti dei variopinti collage che combinano iconiche immagini a scritte
  prese da riviste e giornali. Veri e propri manifesti delle “intenzioni” dell’artista,
  WORDS&COLORS rappresentano un assalto poetico ed artistico alle nostre coscienze sopite, nei
  quali l’artista riversa l’esperienza e la pratica di anni di lavoro nel marketing e nella
  comunicazione, potenziando attraverso le parole le emozioni suscitate dalle immagini e dai colori.

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#ripartItalia - L'editoriale di Ivan Zorico
Come stai?

Dimmi un po’ di te, come stai? No, non rispondere frettolosamente con un “ma sì dai, bene”… dico
davvero, come stai?

Mai come in questo momento storico c’è da chiederlo e chiederselo. C’è da ascoltare ed ascoltarsi.

Abbiamo vissuto un lockdown duro, durissimo. Abbiamo fatto i conti con parole “nuove” come
pandemia, infodemia, smart working, ma anche con quelle perdute. Abbiamo purtroppo fatto
letteralmente i conti (e non è ancora finita) delle persone contagiate e di quelle che non ce l’hanno
fatta. Abbiamo visto immagini che non vorremmo più rivedere (cfr. i furgoni dell’esercito che
trasportavano le bare) e abbiamo dovuto ascoltare anche le tesi dei complottisti. Abbiamo vissuto
un’estate diversa dal solito, per quanto mi riguarda non meno bella, ma certamente diversa.

E ora? Ora ci sentiamo intimamente frastornati.
Da un lato c’è la spinta della società verso un ritorno alla normalità (quale normalità?) e dall’altro ci
siamo noi che cerchiamo di rimettere insieme i pensieri, le emozioni ed anche le paure. Dovremmo
essere razionali e freddi, quando invece siamo umani, ossia emotivi e istintivi. Non facile.

Si parla tanto delle conseguenze a livello sanitario ed economico di quello che è successo, meno di
quelle che abbiamo vissuto e stiamo vivendo a livello psicologico. Forse ne prenderemo davvero
coscienza tra qualche tempo. Per cui, come stai?
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Guardiamoci dentro.
La pandemia ancora in corso ed il lockdown appena passato hanno riscritto completamente molte
delle nostre consuetudini ed hanno accelerato processi che, se pur già in atto, erano ancora agli
albori. Siamo stati catapultati dalla sera alla mattina in un nuovo mondo e dobbiamo riprendere le
coordinate. È giusto che sia così e non sentirti l’unico o in difficoltà per questo. Prendiamoci
il tempo per capire, senza farci troppo trascinare dal flusso. Attenzione, non rimanendoci fuori, ma
cercando di avere la giusta posizione per osservare e valutare. Questo non è il momento delle
decisioni avventate e neanche quello di stare completamente fermi; è il tempo della
consapevolezza e del lavoro interiore. Lavorando su noi stessi saremo in grado di prepararci alle
nuove sfide. Non solo dal punto di vista lavorativo, ma per certi versi anche da quello
evoluzionistico.

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   Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #ripartItalia sembra utile e necessario
   perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Guardiamo oltre.
Se ci segui ed hai imparato a conoscerci, sai che il nostro numero di settembre è sempre dedicato
alle idee per far ripartire l’Italia, #ripartItalia appunto.

Non un numero alto o sui massimi sistemi, ma un numero con un obiettivo specifico. Ecco quello che
scrivevo nell’editoriale del settembre 2014:

  Questo numero di Smart Marketing (#ripartItalia) è dedicato proprio a loro. A tutte quelle
  persone che pensano che nel nostro Paese non ci sia più futuro. A tutte quelle persone che non
  hanno più la forza di credere in un cambio di rotta. A tutte quelle persone che, magari dopo averci
  provato più volte, hanno deciso di gettare la spugna.

In quell’editoriale facevo riferimento all’alto numero di disoccupati in Italia e all’altrettanto alto (e se
non più grave) numero di scoraggiati.

Da allora la situazione è molto cambiata, tutto ha preso una velocità enorme. Il digitale e la
rivoluzione tecnologia sono ormai una ovvietà e non temi a cui si guardava come qualcosa di
nuovo (per molti ahimè è ancora così), la sostenibilità ha fatto presa sull’opinione pubblica e
quindi anche sul mondo produttivo e, ora, la sanità è diventata giustamente centrale, per non dire
vitale.

Questi tre macro temi, uniti a quelli relativi alle infrastrutture e all’istruzione e alla formazione,
saranno al centro degli investimenti basati sulle risorse messe a disposizione dal recovery fund.
Un’occasione unica per rilanciare davvero l’Italia ed il suo sistema economico-produttivo;
un’occasione unica per aprire finalmente una nuova stagione di riforme e crescita. Saranno quindi
questi i settori che più cresceranno nel prossimo futuro e che si spera riusciranno a trainare anche
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tutti gli altri. In pratica, se vuoi un consiglio neanche troppo illuminato, strutturati per salire (anche
in corsa) su uno di questi vagoni e per agganciare questo treno. Noi, da far nostro, ci prendiamo
l’impegno di seguirli e di parlarne per tenerti aggiornato. Per cui continua a seguirci.

Buona lettura,

                                                                                              Ivan Zorico

Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei
commenti. Rispondo sempre.
Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link
giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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#Ripartitalia - L’editoriale di Raffaello
Castellano
Fin dalla sua nascita nell’ormai lontano
  2014, il numero di settembre del nostro
  magazine è stato un numero speciale.

  Questo per una serie di fattori: innanzitutto fu il primo numero a
  tematica fissa (che da allora si è chiamato sempre così), ma anche
  perché ci sembrava che a settembre, con la scuola che riapre, la
  aziende che ripartono, la fine delle ferie e delle vacanze, ci fosse il
  bisogno di fare il punto sullo stato dell’arte, su come siamo messi, su
  cosa possiamo fare per migliorare noi, le nostre vite, le nostre aziende
  ed il nostro Paese.

  Fu per questo motivo che io e l’amico Ivan Zorico, in quel lontano
  mese di settembre del 2014, decidemmo di chiamare questo
  importante uscita #Ripartitalia.

Un titolo breve, tondo ed esaustivo che racchiude in 13 caratteri tutti i nostri intenti, la nostra
mission, i nostri obbiettivi e, soprattutto, tutta la nostra filosofia editoriale.
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italia uscito nel settembre 2014.

Certo non potevamo sapere allora, in quel cruciale settembre di 6 anni fa, che il 2020 ci avrebbe
portato la pandemia di Coronavirus, che da febbraio di quest’anno avremmo sperimentato prima la
paura, poi il lockdown, poi la Fase 2, poi la Fase 3 e che, mentre scrivo quest’editoriale, dopo
un’estate “incerta” ed atipica, sul Mondo e sull’Europa si sarebbero addensate le nubi della
famigerata e tanto temuta “seconda ondata” di contagi.

Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #Ripartitalia sembra utile e necessario,
perché mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Da dove dovremmo ripartire?
In questi ultimi mesi, certo, si sono delineate delle direttrici, prima fra tutte quella dello
smartworking, che durante i mesi più duri del lockdown ci ha consentito di non fermare del tutto il
nostro sistema produttivo. Indietro non si torna, anche se qualcuno lo spera, la strada ormai è
imboccata, possiamo solo percorrerla, stando attenti alle curve, ai dossi ed agli ostacoli, ma con la
consapevolezza che il lavoro, almeno gran parte di esso, può e deve cambiare modalità, tempi e
strumenti di applicazione.

Legato allo smartworking c’è il tema della digitalizzazione del Paese, che non ha saputo reagire
dappertutto alla stessa maniera: il nord, come al solito, ha risposto meglio del sud, dove la banda
larga, la fibra ottica e le stesse competenze digitali sono, secondo gli studi e i sondaggi, distribuite a
macchia di leopardo.

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Poi c’è la direttrice scuola, che, è bene ricordarlo, non si è fermata del tutto, più per la buona
volontà di alcuni eroici professori che per una reale capacità del Ministero della Pubblica
Istruzione di migrare lezioni, esami e corsi su piattaforme digitali, che magari esistevano, ma si
sono mostrate spesso inadeguate o non utilizzabili dalla stragrande maggioranza del personale
docente italiano che non brilla, a livello europeo, per competenze informatiche e digitali.

Poi c’è la sempre attuale questione ambientale ed ecologica: se c’è una cosa che il Coronavirus ci
ha insegnato, è che non possiamo più invadere e depredare gli spazi della Natura. Questo spillover,
questa zoonosi, partita molto probabilmente da un pipistrello e passata attraverso un pangolino,
prima di arrivare all’uomo, deve essere un campanello d’allarme che dobbiamo ascoltare e non
possiamo permetterci di ignorare. Rispettare e proteggere la natura e l’ambiente sono priorità che
non possiamo più trascurare e/o rimandare.

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   perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Altra cosa che il Coronavirus ci ha insegnato è l’importanza della sanità pubblica: medici,
infermieri ed ospedali non sono cose a cui possiamo tagliare fondi e risorse, come se nulla fosse, un
sistema sanitario efficiente e pronto a tutto, anche ad una pandemia globale, è la prima cosa di cui
un Paese moderno e civile deve dotarsi.

Infine ci sarebbe il tema della scienza e degli esperti: mai come durante questa pandemia
abbiamo sentito il bisogno di essere rassicurati da scienziati, epidemiologi e virologi, eppure,
nonostante molti di noi si siano rivolti alla scienza, molti altri, ancora troppi, sono caduti vittima di
complotti, bufale e fakenews, che hanno aggiunto alla paura per il coronavirus l’incertezza e l’ansia
che ci assale quando non sappiamo a chi prestare fiducia.

Ci sarebbero altre “direttrici”, ma queste mi sembrano le più importanti, sono le stesse su cui si
basano gran parte delle linee guida che l’Unione Europea ha stabilito per il Recovery Fund, un
importante strumento finanziario per far ripartire l’economia del vecchio continente, messa in
ginocchio dal Covid19.
Noi di Smart Marketing cercheremo di fare la nostra parte, con l’aiuto dei nostri collaboratori,
attraverso i nostri articoli, le nostre interviste, le nostre rubriche e tutti quegli strumenti che
abbiamo messo e metteremo in campo, che ci aiuteranno ad approfondire le nostre conoscenze,
ampliare le nostre capacità, stimolare la nostra curiosità e, in particolare, sviluppare quelle
“competenze trasversali”, che, mai come quest’anno, hanno fatto la differenza fra chi si è fermato e
chi è andato avanti.

Noi saremo al vostro fianco, per aiutare a far ripartire i nostri lavori, le nostre vite ed il
nostro Paese.

È una promessa, noi non vi abbandoneremo, non fatelo neanche voi!

Buona lettura e buona ripartenza a tutti.

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Il Growth Hacking darwiniano di Raffaele
Gaito.
Seguo Raffaele Gaito da tempo su LinkedIn e ho letto tutti i suoi libri perché insieme ad Alessia
Camera è stato uno dei primi a parlare di Growth Hacking in Italia.

L’ennesima moda americana sul come fare soldi facili, vi chiederete? No, una vera metodologia di
sperimentazione per trovare il modo più efficace e veloce per far crescere le imprese. Un tema
caldissimo oggi, nell’era post Covid-19 che vede ancora molte aziende arrancare faticosamente.

Si parla spesso della ripartenza, dell’Italia che non si arrende e dei nostri imprenditori italiani che
non mollano un centimetro per salvare le loro aziende. Oggi la pandemia ci ha insegnato che il
mondo virtuale, il web, gli strumenti digital, offrono occasioni irripetibili, non solo per sopravvivere
ma, per far esplodere in positivo i fatturati aziendali.

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le Gaito, Growth
Hacker

Abbiamo intervistato Raffaele per scoprire come il Growth Hacking si può applicare alle PMI
italiane con successo e quali sono i passi da compiere.

D. Ciao Raffaele, nell’ultimo anno in Italia, si sente parlare molto spesso di Growth
Hacking, come vedi tu lo scenario attuale del nostro Paese?

R. Effettivamente, come hai notato anche tu, la parola Growth Hacking è un po’ di moda negli ultimi
anni. Se da un lato questa cosa mi fa piacere perché significa che l’argomento arriva a un pubblico
molto più ampio, dall’altro lato c’è anche un grosso rischio.

Il rischio che si faccia confusione, che si abusi di un termine già di per sé difficile, che si generi
rumore e fuffa intorno a un argomento in realtà importante. Ci sono tanti professionisti in gamba,
ma anche tanti improvvisati che hanno solo colto la palla al balzo e sfruttano la moda del momento.

La cosa però non mi preoccupa perché è un processo abbastanza naturale che avviene ovunque e
con qualsiasi argomento. Come sempre, quando la moda passerà, con essa andranno via tutti i
ciarlatani dell’ultima ora e i professionisti seri rimarranno.

Più che altro il mio invito è alle aziende: fate attenzioni ai vostri interlocutori e controllate sempre il
loro track record.
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D. Il Covid-19 ha cambiato le regole del gioco e le aziende hanno capito che possono, anzi,
che devono fare affari anche a distanza, grazie agli strumenti digitali. Qual è la tua
opinione?

R. Io sono una persona che per lavoro insegna alle aziende a sperimentare quindi la mia opinione è
abbastanza facile da dedurre: il digitale oggi è fondamentale!

Spesso le aziende tradizionali pensano di essere fuori da questa dimensione. Mi dicono: ma io
produco scarpe, che c’entra il digitale con me?

Non c’è cosa più sbagliata che si possa pensare. Anche se il tuo è un prodotto fisico i tuoi dati
passano attraverso un sistema di analytics, le informazioni dei clienti sono conservate in un CRM, i
contenuti del tuo sito sono gestiti con un CMS, probabilmente venderai online attraverso un e-
commerce, il customer care lo hai spostato su piattaforme digitali, la tua pubblicità passa per
intermediari come Facebook e Google, e così via.

La verità è che lavoriamo tutti nel digitale!

D. In che modo il Growth Hacking può inserirsi all’interno delle nostre tradizionali PMI e
aiutare a fare la differenza?

R. Il Growth Hacking è sperimentazione, non ce lo dimentichiamo. È sperimentare tanto,
velocemente e prima di averne bisogno.

Questo momento di crisi che stiamo vivendo ci ha dato una lezione importante a tal proposito: chi
non si adatta non sopravvive. Ecco come il Growth Hacking può aiutare le nostre PMI: le può
spingere verso una necessaria trasformazione che non si può più rimandare. Se vuoi è una visione
un po’ darwiniana dello scenario, ma è così: non va avanti il più forte, ma chi riesce ad adattarsi al
contesto.

D. Da anni vivi a Londra, hai scritto due libri Growth Hacking Mindset e Growth Hacker, e
hai fondato un’Academy dedicata al Growth Hacking, 3 consigli che daresti a chi vuole
approcciare questo metodo e questo mestiere?

R. Eccoli:

1. Non pensare che sia una formula magica o una ricetta universale. Il Growth Hacking è un
   processo e in quanto tale richiede tempo. Inizia oggi per vederne i benefici tra 1 o 2 anni.
2. Non pensare che sia un’attività una tantum. Non puoi fare Growth Hacking per 3 mesi e poi
   smettere, così come non avrebbe senso fare marketing per 3 mesi e poi smettere o fare customer
   care per 3 mesi e poi smettere. Devi pensarlo come un nuovo reparto aziendale: un gruppo di
   persone pagate per sperimentare il più possibile.
3. Parti subito, parti in piccolo. Molte aziende rimandano nell’attesa di avere più tempo, più budget,
   più competenze. Ho una brutta notizia per te: non arriverà mai questo momento. Quindi la cosa
   migliore è partire oggi e non rimandare ulteriormente.

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La Puglia riparte a suon di musica: la
ripartenza del comparto musicale tra
incertezze e finanziamenti pubblici
Durante il lockdown avevamo immaginato un’estate senza musica, senza feste, senza piazze affollate
e senza turisti, benché l’intrattenimento musicale sia stato fondamentale per lenire l’isolamento e
l’incomunicabilità.

Vi abbiamo raccontato di radio, dirette social e musica dai balconi per alleviare il distanziamento
(#iosuonodacasa: la musica ai tempi del Coronavirus – Fratelli d’Italia: le radio i balconi e
le altre storie di un paese blindato), ma abbiamo anche amplificato i dubbi, le paure e le
incertezze del comparto musicale, bloccato dall’impossibilità di fare musica dal vivo (la crisi dei
lavoratori dello spettacolo in Puglia tra affanno e cauto ottimismo: Intervista a Fabrizio Belmonte
della BG SERVICE) e dispensato ricette per cercare di salvare il settore ormai in crisi
(Ricominciamo!?: le 10 proposte di Assomusica per salvare la musica in Italia), ed ora è il
momento di raccontare la ripartenza, lenta, dolorosa e faticosa come tutti gli inizi, ma importante,
prendendo a paradigma il caso pugliese.
Durante l’estate, periodo in cui si ha il picco massimo di concerti ed eventi dal vivo, si sono
moltiplicate iniziative per porre l’attenzione sulle difficoltà dei lavoratori dello spettacolo che, a
causa delle restrizioni, si stima abbiano subito cali di fatturato quasi pari al 100%; la stima
calcola una perdita diretta intorno ai 650 milioni di euro tra febbraio e settembre ed oltre 1,5
miliardi di euro, se si tiene conto dell’indotto. Le stime appaiono ancor più catastrofiche anche se
si guarda al numero degli addetti senza lavoro, pari a 250.000 unità (Fonte: Assomusica).

https://www.youtube.com/watch?v=35T_toXILv8

Da qui, le numerose iniziative a sostegno del comparto, come quella dell’impresa sociale Music
Innovation Hub, un fondo sostenuto dalla FIMI e dal colosso Spotify, a favore dei professionisti
della musica, al quale è giunto anche il sostegno della Nazionale Cantanti, che ha devoluto le
donazioni raccolte durante la Partita del cuore 2020 al fondo, unite all’appello di Assomusica alle
istituzioni per introdurre nel Recovery Fund misure specifiche a sostegno delle industrie culturali e
creative e alla musica popolare contemporanea.

Assomusica (Associazione degli Organizzatori e Produttori di Spettacoli di Musica dal Vivo) ed
ELMA (European Live Music Association) si stanno facendo portavoce di una campagna di
sensibilizzazione non soltanto presso le istituzioni italiane, ma rivolta direttamente al Parlamento
Europeo, che, lo scorso 17 settembre, in una risoluzione sulla “Ripresa culturale dell’Europa”,
ha condiviso l’urgenza di un sostegno diretto e rapido ai settori culturali e creativi, tramite aiuti
finanziari da parte sia dei bilanci nazionali che dei fondi dell’UE. Questo anche perché nel Piano di
ripresa dell’UE Next Generation EU non è stato riservato alcun importo specifico a diretto
beneficio dei settori culturali e creativi, alimentando ancor più le preoccupazioni.

In un contesto in cui tutte le istituzioni, a tutti i livelli, fingono di non vedere che la crisi causata
dalle misure di contenimento della pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto devastante sull’intera
filiera musicale, ma soprattutto sul comparto della musica dal vivo, tanto da ignorare i pressanti
appelli e le continue richieste d’aiuto, vi è il caso della Puglia.
La Puglia è una bellissima penisola della penisola Italiana, un mondo complesso e variegato che
mischia mare, pianure e rilievi, un crogiuolo di dialetti, storie e culture differenti, ma tutte queste
varietà di paesaggio, bellezza, usi, costumi e tradizioni non sarebbero nulla se non fossero
raccontate nel modo giusto, esaltandone la tipicità.

È anche per questo che l’establishment regionale ha fatto della sua firma distintiva la promozione
del territorio, partendo dalle sue bellezze naturalistiche ed architettoniche, ma soprattutto
esaltandone l’immenso ed affascinante patrimonio culturale, di cui la varietà dell’offerta musicale è
sicuramente il fiore all’occhiello.

Dai Cantori di Carpino in Daunia fino alla pizzica nella Grecìa Salentina, passando per rap,
reggae, jazz, soul e pop, un variegato ed articolato mondo di suoni e stili che formano il
macrosistema musicale pugliese e lo rendono riconoscibile ed identificabile in tutto il mondo, ma
soprattutto nel contesto europeo.

https://www.youtube.com/watch?v=7Fw1FbE16nQ

Pugliese è Caparezza, pugliesi sono i Boomdabash ed i Sud Sound System e pugliese è persino
l’ultimo vincitore del Festival di Sanremo, Diodato, ma si potrebbero fare tantissimi esempi, da
Serena Brancale a DrefGold, ognuno con un sound ed una connotazione precisa, ma accomunati
dall’amore per la propria terra e dal racconto, a volte disincantato o polemico ed altre volte fin
troppo ammaliato e passionale, delle proprie origini, racconto che viaggia alla velocità del suono e
contribuisce ad alimentare il mito di una terra tanto bella quanto problematica.
È cavalcando quest’onda che l’amministrazione regionale, da anni, investe sempre più risorse nella
promozione turistica e nell’industria creativa per promuovere in Italia ed all’estero il brand Puglia,
registrando tassi di crescita a due cifre in controtendenza con il resto del paese, grazie anche ad
un’attenta promozione dei talenti locali degli eventi live, diventati volano di sviluppo e potenti
attrattori turistici; basti pensare solo ai numeri de La Notte della Taranta o a quelli registrati dal
MEDIMEX.

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   Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #ripartItalia sembra utile e necessario
   perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Forse è per non disperdere questo enorme lavoro di valorizzazione che l’amministrazione regionale
ha fortemente voluto e subito varato una serie di misure urgenti per fronteggiare l’emergenza
epidemiologica da Covid-19, tra le quali il Piano straordinario di sostegno alla Cultura,
denominato “CUSTODIAMO LA CULTURA IN PUGLIA” che mira a fornire aiuto concreto al
comparto del turismo e delle industrie culturali e creative, dello spettacolo, del cinema e
dell’audiovisivo. In particolare, l’assessorato all’Industria turistica e culturale ha messo a
disposizione 17 milioni di euro per sostenere gli operatori e le imprese pugliesi nell’emergenza, di
cui 1,5 milioni sono destinati al rilancio del comparto musicale.

Braccio operativo di questa operazione, in netta controtendenza rispetto ai provvedimenti nazionali,
è Puglia Sounds, il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del comparto musicale
regionale, il primo progetto pubblico in Italia che sviluppa azioni di sistema, interventi mirati,
partnership e attività di promozione finalizzate a sostenere le componenti artistiche, professionali,
imprenditoriali e istituzionali che concorrono alla produzione, distribuzione e promozione musicale
del territorio, al fine di valorizzare il ricchissimo patrimonio musicale che contraddistingue la
Regione Puglia.

https://www.youtube.com/watch?v=YAQGKBSKR9k

Grazie a Puglia Sounds Plus, la nuova linea di intervento per sostenere e rilanciare il comparto
musicale, sono stati già finanziati 108 progetti che diffondono la cultura musicale pugliese, 33
nuove produzioni discografiche, 27 produzioni multimediali, 29 tour in Italia (per un totale di
123 concerti) e 25 concerti in Puglia (Fonte: Puglia Sounds).

Puglia Sounds Plus è strutturata in una serie di misure specifiche, che vanno dalla produzione e
promozione della musica prettamente pugliese alle collaborazioni internazionali, non trascurando
nuovi modi di fruire la musica e gli eventi, come streaming e produzioni multimediali, che
sosterranno il comparto musicale fino al 2021.

Un’azione, unica in Italia, sicuramente giustificata dalla straordinarietà del momento, ma anche
invocata, non solo in Puglia, per scongiurare la perdita di posti di lavoro, professionalità e
competitività sul mercato, soprattutto pensata per accompagnare il rilancio dell’attività di artisti,
operatori, etichette discografiche, produttori, agenzie di booking, organizzatori di concerti, festival e
luoghi di spettacolo.

Una visione glocal di amministratori illuminati che, scommettendo sul rilancio della cultura, hanno
puntato su una visione non convenzionale del concetto di sviluppo, che prima passa per l’identità di
un territorio per poi raggiungere tutti i comparti economici; un posizionamento sul mercato
fortemente identitario che sta premiando e rafforzando il brand Puglia, ma anche un esempio da
seguire a tutti il livelli di governo, nazionali e sovranazionali che, siamo sicuri, assicurerà stabilità e
sviluppo per gli anni a venire, permettendo agli operatori di adattarsi meglio alle richieste ed alle
congiunture del mercato.

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Si sta come d’autunno sugli alberi le
foglie… mentre proviamo a ripartire c’è
chi spera e chi ci loda!
Prima allontanati, poi additati, ad un certo punto isolati adesso lodati è questo l’umore della
RIPARTENZA quella che il World Health Organization ha promosso sui suoi canali social come
ITALIANI; il popolo battagliero.

Dopo il Financial Times che dichiarò che la “dura lezione imparata dall’Italia durante l’esplosione
della pandemia, ha consentito al Paese di tenere sotto controllo la seconda ondata” anche
l’organizzazione mondiale della sanità si complimenta con il Bel Paese in un momento storico che lo
vede resistere, mentre mezza Europa ricade nel baratro.
Disciplina e autorità rispettate durante la chiusura, oggi sono viste come un esempio. Siamo stati il
primo paese occidentale ad essere stato pesantemente colpito dal covid 19 e oggi siamo riconosciuti
come quelli che hanno “reagito con forza ribaltando la traiettoria dell’epidemia con una serie di
misure basate sulla scienza”.

Ed ecco che i social testimonianza in questi mesi del “racconto” e della “tristezza” sono oggi
testimonianza della forza di una comunità che rispettando le regole, può pensare a ripartire.

4 minuti di video diventato immediatamente virale subito
dopo la pubblicazione, con circa 7000 visite dopo la prima
ora.

Uno storytelling fatto di testimonianze degli esperti del comitato scientifico intervallate da momenti
che NOI, che li abbiamo vissuti dalle quattro mura delle nostre case, li sentiamo come grandi fitte al
cuore.

La zona rossa, Roma deserta, i focolai, i balconi, gli striscioni, il tricolore, e il papa che pregava per
la città, per l’Italia per il mondo intero nell’abbraccio di Piazza San Pietro, nella stretta virtuale
mediatica che ciascuno ha vissuto direttamente da casa propria.

Le nostre abitudine vanno cambiate, vanno cambiate ora. Dobbiamo rinunciare tutti a
qualcosa per il bene dell’ITALIA e per questo #iorestoacasa” ancora riecheggiano le dure
parole dell’annuncio del lockdown, ancora sono vive le interruzioni delle quotidiane conferenze
stampa nella nostra mente, ancora distanziati non ci diamo più la mano mentre qualcosa dentro è
cambiato.

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   perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Siamo una BEST PRACTICE come si direbbe in gergo aziendale, osservata, imitata e attenzionata
che si è unita per la profonda voglia di RIPARTIRE, di ritornare alle vecchie abitudini quelle proprie
del nostro popolo, fatte di abbracci, di risate, di cene e pranzi abbondanti, di feste e di comunità.
Essere stati in lockdown non è stato semplicemente un fermarsi, un arrestarsi, per noi popolo
“caciarone” è stato l’esempio di come la propria identità può essere sottratta. Siamo sempre stati
riconosciuti all’estero come il popolo dai toni alti della voce (oggi abbassati dalle mascherine) e dalle
gestualità pronunciate (oggi senza strette di mano, né pacche sulla spalla).

La nostra primavera non c’è stata, abbiamo vissuto il cambiare delle
stagioni dai balconi. La nostra estate è stata diversa, con un numero
minore di persone ai matrimoni, con limitazione nei banchetti. Il nostro
autunno ci vede speranzosi ma il nostro inverno ci spaventa.
Non possiamo nasconderlo, le città metropolitane rallentano i ritmi, si ricomincia a singhiozzi
l’attività nelle aziende, lo smart working la fa da padrone, le scuole provano a ricominciare ma siamo
frenati nei programmi, nelle pianificazioni, e ci chiediamo quando realmente finirà se davvero ci
sarà una ripartenza a breve perché nel nostro cuore lo sappiamo che stiamo sul filo del rasoio e
nuovamente mi torna in mente come già citato nel mio articolo in pieno lockdown, COME
D’AUTUNNO SUGLI ALBERI LE FOGLIE…

La stagione è proprio questa. Cerchiamo con forza di aggrapparci alla positività perché ce l’abbiamo
nel sangue, ce l’abbiamo nel cuore e vogliamo RIPARTIRE… o semplicemente vogliamo #ritornare a
vivere.

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L’impresa come sistema sostenibile:
ripartiamo con il fattore Green!
In un mondo, ahimè, ricco di problemi e ancor di più di domande circa il futuro, l’orientamento
strategico dell’impresa ha la necessità, e anche il dovere, di prendere in considerazione i problemi
dei consumatori. Non è più possibile ignorare i grandi divari globali, quali lo sfruttamento
eccessivo delle risorse rispetto alla disponibilità delle stesse, la differenza tra zone ricche e quelle
arretrate del pianeta, così come il gap fra le aree con fattori di crescita e quelle senza, e ancora la
distinzione tra bisogni individuali e collettivi. All’impresa contemporanea si chiede di
migliorare le condizioni ambientali ed economiche della società, con l’obiettivo di realizzare il
bene della comunità, ossia di comportarsi come un cittadino, secondo il principio del “corporate
citizenship”.

La Green Economy
Non si parla però solo di un atteggiamento imprenditoriale, quanto piuttosto di un nuovo sistema
economico, la Green Economy, che la Commissione Europea descrive come l’economia che genera
crescita, crea lavoro e sradica la povertà investendo e salvaguardando le risorse del capitale
naturale da cui dipende la sopravvivenza del nostro pianeta. Già nel 2000, Kofi Annan, segretario
delle Nazioni Unite, emanava il Global Impact, iniziativa volta a promuovere una cittadinanza
d’impresa responsabile, individuando i principi generali da seguire, tra i quali, lo sforzo dell’impresa
nella difesa dei diritti umani, nel favorire la contrattazione collettiva, eliminare lo sfruttamento
minorile, oltre, chiaramente, la promozione della responsabilità ambientale e delle tecnologie che
rispettino l’ambiente. L’anno successivo l’Unione Europea conferma l’orientamento con il Libro
Verde che sottolinea la necessità dell’integrazione delle pratiche sociali ed ecologiche a quelle
commerciali.

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Il Green Marketing
L’impresa che adotta uno stile verde dovrebbe porre attenzione ai principi ambientali in
tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto, dalla trasformazione delle materie prime, al trasporto,
fino al prodotto finito e alla distribuzione, anche, e soprattutto, nella fase di smaltimento. Adottare il
modello di Green Economy vuol dire adottare anche un orientamento di Green Marketing, che
punti l’attenzione non solo sulla creazione di un prodotto ecologico, ma cerchi di incentivare alla
differenziazione rispetto ai concorrenti, grazie alla reputazione creata attraverso la responsabilità
d’impresa. Un atteggiamento questo che, negli ultimi anni, e con un trend in continua crescita, viene
promosso dai consumatori tramite le scelte effettuate sul mercato.

I Green Jobs
Lo sviluppo del nuovo modello imprenditoriale porta con sé la certezza di nuove opportunità di
lavoro, le Green Jobs, “occupazioni nel settore dell’agricoltura, manifatturiero, ricerca e sviluppo,
amministrazione e servizi, che contribuiscono in maniera incisiva a preservare e restaurare la
qualità ambientale”, secondo la definizione dell’agenzia delle Nazioni Unite UNEP (United Nations
Environment Programme). Tra le professioni verdi del futuro figura anche l’esperto di
marketing ambientale che, oltre ad avere competenze nel marketing tradizionale, ha un
orientamento green, con la capacità di divulgare le decisioni e l’impegno dell’impresa sui temi
ambientali, perché sappiamo bene che qualsiasi vantaggio se non ben comunicato diventa nullo sul
mercato. La nuova figura del marketer risulta fondamentale nella funzione di orientamento
all’interno dell’organizzazione relativamente agli adempimenti ambientali, oltre che nella ricerca
di incentivi e finanziamenti, nazionali e comunitari.
Il verde diventa a tutti gli effetti il colore del futuro, simbolo di ecologia oltre che di speranza.

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Imprese e COVID-19: come ripartire grazie
al web marketing
Le notizie sugli effetti preoccupanti del Covid-19 sull’economia raggiungono le imprese grandi
e piccole e, soprattutto chi non ha un ecommerce o un servizio virtuale, fa fatica a ripartire. Per
questo l’unica strategia, per tutti, è la trasformazione digitale dato che il futuro è già cominciato
ed è tempo di preparare i tuoi clienti al grande salto. In questo modo potrai restare competitivo e
uscire dalla crisi collegata alla pandemia velocemente.

Qualche consiglio utile per ripartire dopo il Covid-19
L’impatto del Covid-19 sull’economia è noto a tutti e già da ora i brand devono pensare a strategie
adeguate per la ripartenza. Il momento giusto è ora, ma da dove cominciare? Ecco i miei consigli.

1. Rivedere e ottimizzare il sito web

Non importa se hai un sito web aziendale o un ecommerce: il tuo portale online deve essere veloce,
facile da navigare e assicurare un’ottima user experience se vuoi vendere prodotti e servizi
online o portare le persone in negozio. Il consiglio in più è prestare attenzione al mobile, cosa che
doveva essere una tua priorità già prima dell’emergenza sanitaria. Il 50% del traffico sui siti è
generato proprio dagli smartphone.

La velocità diventa un elemento essenziale anche in ottica SEO, dato che i siti web che si caricano
rapidamente e che sono ottimizzati per il mobile vengono premiati dai motori di ricerca, vedono
diminuire il bounce rate e aumentare i click. Il sito, infine, deve essere user friendly per permettere
agli utenti di trovare con pochi click quello che cercano.

2. Creare e mantenere una relazione con i clienti

Proprio in questo periodo di emergenza è importante mantenere una relazione con i clienti
affinché il tuo brand resti impresso nella loro mente. Il mio consiglio è dialogare con loro grazie agli
strumenti offerti dalle nuove tecnologie e in particolare attraverso i social media. Expedia, ad
esempio, ha usato il periodo della pandemia per fare ricerche di mercato per il futuro e ha analizzato
i dati dei sondaggi per creare nuovi pacchetti di soggiorno per il dopo-pandemia.

3. Sfruttare la pubblicità a pagamento

Forse potrà sembrare offensivo fare pubblicità a pagamento nel mezzo della crisi, ma anche in
questo caso il mio consiglio è non aspettare che la pandemia finisca per far conoscere la tua azienda,
prodotto o servizio. Due sono gli atteggiamenti degli inserzionisti in questo periodo: c’è chi ha messo
in pausa le campagne su Google e social media e chi continua a promuoversi, con piani di rilancio
mirato.

A mio parere qualsiasi canale di pubblicità a pagamento può essere utile in questo periodo
per creare funnel ed esperienze di acquisto efficaci. Penso, in particolare alle campagne PPC di
paid search marketing e al paid social media marketing.

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La conclusione? Questo è il momento di ripartire e far ripartire l’Italia elaborando piani di
marketing efficaci e ideando proposte di valore uniche e imperdibili. La tua azienda può usare
sconti e prove gratuite per catturare nuovi clienti e fidelizzare quelli esistenti facendo percepire il
brand in modo nuovo o invitando a provare nuovi servizi.

Non mi resta che augurare a tutti una buona ripartenza!

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The social dilemma: il docudrama sui
social network che vi spaventerà
“The social dilemma” è il docudrama, prodotto da Netflix e diretto da Jeff Orlowski, che vi aprirà
gli occhi sui social network e su come influenzano subdolamente la nostra vita. Per chi utilizza questi
strumenti anche per lavoro è facile capire di cosa stiamo parlando, ma non per tutti, non per i
giovani sotto i diciotto/vent’anni, non per tutti gli over cinquanta e sicuramente non per chi usa
questi strumenti solo per passatempo, non pensando minimamente ai molteplici meccanismi che si
nascondono dietro.
T
r
i
s
t
a
n
H
a
r
r
i
s

Questo documentario unisce interviste a professionisti del settore a filmati recitati con attori,
inserendo anche qualche animazione e con questa formula riesce a tenere incollato lo spettatore,
nonostante la tematica ed i suoi numerosi risvolti diventino ogni minuto più inquietanti. Tra i
protagonisti delle interviste spicca Tristan Harris, ex esperto di etica digitale di Google, che
durante il suo lavoro si chiese se fosse normale essere così dipendenti dalle e-mail, dai messaggi e
dalle notifiche e oggi spiega alla gente cosa si cela dietro tutto il mondo social. Nei suoi convegni
Harris invita a riflettere su come il mondo intero stia impazzendo, su come chi lavora dietro queste
piattaforme ci tenga perennemente sotto controllo, ci induca inconsciamente a modificare i nostri
comportamenti non solo virtuali, ma soprattutto quelli della vita reale quotidiana. In questo
documentario i vari ex dipendenti pentiti della Silicon Valley intervistati ci raccontano la pericolosa
deriva della tecnologia, nata per scopi ben più nobili, come riunire famiglie distanti, velocizzare la
sanità, condividere il sapere in tutto il mondo e, invece, si ritrova oggi ad essere un enorme invisibile
burattinaio che gestisce, indirizza e controlla le nostre vite e le nostre scelte, che immagazzina i
nostri dati 24 ore al giorno, lasciandoci solo l’illusione di avere ancora una privacy e una libertà di
pensiero.

L’accusa mossa ai social, non è nei confronti del social in sé, quanto al modo in cui le grandi
ricchissime aziende pagano per ricevere i dati degli utenti e non solo indirizzi e numeri di telefono,
bensì stati d’animo e interessi, cosa odiamo e cosa ci piace, chi seguiamo sui social e chi amiamo
nella vita reale, quanti secondi guardiamo una foto e a che ora e molto altro ancora, influenzando,
così, i nostri pensieri, le nostre scelte ed i nostri comportamenti nella vita e invadendo
completamente la nostra privacy.

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                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Tutto questo controllo avviene attraverso algoritmi creati da intelligenze artificiali che selezionano i
contenuti più adatti a ciascuno utente, entrando così in un’assurda competizione per la sua
attenzione e per tenerlo più tempo possibile attaccato al suo device. Facile intuire che il problema
non è tanto grave verso la popolazione adulta, tanto quanto lo è, invece, verso gli adolescenti, che
diventano sempre meno capaci di relazionarsi faccia a faccia, di instaurare rapporti veri e sani e
soprattutto di reggere ai giudizi degli altri, il tutto aggravato dal fenomeno del bullismo e degli
haters, che utilizzano proprio lo scudo dello schermo per denigrare il bersaglio di turno; assistiamo
così all’aumento dei casi di depressione nei giovani, sempre più soli e fragili. Facebook, Instagram,
Snapchat, TikTok e molti altri prendono il controllo anche dell’autostima dei bambini e dei ragazzi
che, attraverso il consenso o il dissenso di estranei, costruiscono una distorta percezione della
propria identità.

https://www.youtube.com/watch?v=Ko2YcD0iYpc

Un’altra importante intervista presente è quella all’informatico padre fondatore della realtà virtuale,
Jaron Lanier, autore del libro “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” (qui
trovate la nostra recensione), che spiega il concetto di prodotto sui social: nel momento in cui noi
utenti non paghiamo per utilizzare questi siti, abbiamo l’illusione di non stare comprando nulla, che
non ci sia un vero e proprio prodotto da comprare e un prezzo da pagare, ma in realtà non è così,
perché il prodotto siamo noi e Lanier lo spiega con questa frase “è il graduale e impercettibile
cambiamento del tuo comportamento e della tua percezione ad essere il prodotto”.

Lo scenario svelato da “The social dilemma” è un preoccupante quadro quasi senza via d’uscita,
fatto di un aumento delle malattie mentali, della discriminazione di varia natura e della violenza,
tutti problemi che partono dai social media, ma che poi si realizzano nella vita vera, ma c’è una
soluzione a tutto questo? C’è una speranza? Un modo per invertire la rotta?

Il punto di partenza è necessariamente obbligare l’industria tecnologica della Silicon Valley ad
applicare delle norme etiche che possano rimodulare l’utilizzo dei nostri dati sensibili, attraverso
leggi e sanzioni, ma c’è anche qualcosa che possiamo fare noi fruitori, come cancellarsi dai social (la
scelta più estrema) o almeno provare ad essere più vigili durante l’utilizzo dei social network,
cercando di non cadere nelle trappole delle fake news, dei siti clickbait, dei video consigliati e
ridurre il tempo trascorso sui vari social.

Il documentario si conclude con l’invito a visitare il sito thesocialdilemma.com
(https://www.thesocialdilemma.com), con la frase “Apriamo un dialogo per una soluzione” e,
infatti, credo ci sia l’urgenza di far conoscere questo docudrama, soprattutto ai giovani, magari
proiettandolo nelle scuole, col fine di aprire un confronto, un momento di condivisione e
conversazione, nella vita vera.

  Tempo di lettura: 3,83 minuti

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La prima storica rinascita del cinema
italiano: dal muto al sonoro
Il cinema italiano si può dire che sia morto e risorto tante volte, e ogni volta dalle sue ceneri ha
saputo riemergere con sempre maggiore vigore e forza creativa. Quello che oggi vi voglio narrare è
la prima storica rinascita che ha visto per protagonista, l’allora giovanissimo cinema italiano.

Dobbiamo andare davvero, parecchio indietro nel tempo, quasi agli albori del cinema, quando nel
solo decennio 1909-1919 in Italia si realizzano ben 1525 pellicole. Era, chiaramente, il periodo
del glorioso muto, che dagli anni ’20 comincerà a mostrare la corda. Infatti, almeno fino agli anni
immediatamente successivi alla fine della Prima Guerra mondiale, l’industria cinematografica
italiana era molto attiva, e dato molto curioso, quello italiano era un cinema muto che aveva la
DONNA, come suo punto focale. Il divismo femminile nasce proprio in Italia negli anni 10 e gli eroi
del grande schermo erano proprio esponenti del gentil sesso: Lyda Borelli, Pina Menichelli,
Francesca Bertini, Leda Gys, Soava Galloni solo per citarne alcune. Queste attrici
rappresentavano donne forti, coraggiose, dignitose, tutte caratteristiche in embrione, di quelle che
renderanno immortale Anna Magnani, un ventennio dopo e con un sonoro in più.

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c
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del primo film sonoro della storia, “Il cantante di jazz” (The Jazz Singer) del 1927.

Vennero poi gli anni ’20, quando a causa della concorrenza hollywoodiana, la produzione italiana si
arresta completamente. Per cui attori, registi e manodopera specializzata si mettono al servizio di
case statunitensi e tedesche. Nel 1923, ad esempio, la Cines cessa ogni attività con le riprese di una
versione di Ben Hur, produzione americana girata nei suoi stabilimenti romani. Negli altri paesi,
intanto, si fanno enormi progressi grazie a investimenti economici negli impianti produttivi.

Venne poi l’avvento del sonoro, a fine anni ’20, che manda in crisi tutte le cinematografie, compresa
quella italiana, già ampiamente provata dalla scarsità di mezzi e anche dal fatto che le maggiori dive
degli anni ’10, per una ragione o per l’altra si erano tutte ritirate dal grande schermo. Non c’erano
neanche artisti in grado di competere con l’eco e la fama derivanti dai maggiori attori d’oltreoceano:
Charlie Chaplin, Buster Keaton, Stanlio & Ollio, Rodolfo Valentino, che per un’appendicite
sarebbe morto nel 1926. Dicevamo dell’avvento del sonoro, avvenuto nel 1927 negli Usa, con “Il
cantante di Jazz”, di Alan Crosland. Dunque gli impianti devono essere necessariamente
modificati, con gran dispendio economico, per evitare di rimanere in posizione arretrata rispetto a
chi può investire nelle nuove apparecchiature.
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