SUSSIDIO 2020 - FORMAZIONE ANIMATORI

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SUSSIDIO 2020 - FORMAZIONE ANIMATORI
SUSSIDIO 2020

FORMAZIONE ANIMATORI
SUSSIDIO 2020 - FORMAZIONE ANIMATORI
Fra’ Lui e noi                                                                                       Pagina 1

                             PRESENTAZIONE
I mesi che abbiamo vissuto, sono stati mesi duranti i quali ci siamo sentiti accomunati nel vivere
le stesse emozioni, gli stessi stati d’animo nel fronteggiare questa tempesta, così come l’ha
definita Papa Francesco, che ci ha colti di sorpresa privandoci non solo della nostra libertà ma
soprattutto di quella condivisione sociale e relazionale che caratterizza le nostre vite, i nostri
impegni come associazioni, oratori, gruppi e quindi il nostro essere e vivere la Chiesa.

Il silenzio che ha avvolto le nostre città ha così riempito anche i nostri oratori, le nostre
parrocchie e le nostre comunità, fino a silenziare anche la nostra vita sacramentale.

L’impossibilità di partecipare all’Eucarestia ha svuotato la nostra vita spirituale creando un
senso di smarrimento e una ricerca del sacro che mai avevamo sperimentato.

Ma nonostante ciò, questa tempesta ci ha restituito l’opportunità di rileggere noi stessi, le
nostre relazioni e il nostro essere Chiesa. Abbiamo così imparato a decodificare questi mesi per
cogliere in essi e in questa situazione decisamente negativa, l’occasione di un discernimento e di
un impegno rinnovato per riscoprire quella dimensione missionaria, da lungo tempo sopita, per
percorrere nuove strade sulle quali portare l’annuncio del Vangelo che continua a parlare alle
nostre vite.

In questo periodo dell’anno, la Diocesi (nello specifico il Centro per l’evangelizzazione) ha
pensato di organizzare qualcosa per il tempo estivo, partendo dalla consapevolezza che non si
può rinunciare alle attività educative: l’estate per le famiglie e i ragazzi rappresenta un tempo
favorevole, generativo di relazioni, incontri, legami. L’attenzione è rivolta ai bambini, agli
adolescenti e giovani, per farli sentire, nelle modalità possibili, parte attiva della comunità. È
nostro compito collaborare alla missione educativa dei genitori.

Alla luce di quanto detto, è nato il progetto “R-estate in rete”, un’attività estiva che vuole
coinvolgere tutte le comunità, in tutti i carismi e ministeri. Il progetto è stato realizzato da
un’equipe diocesana, il primo frutto di questo lavoro è stato proprio la collaborazione, la
sintonia e la passione che ha permesso alle tante persone che hanno collaborato, di riscoprirsi
chiamati ad esserci e a servire la nostra Chiesa.
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Fra’ Lui e noi                                                                                          Pagina 2

                                INTRODUZIONE
                                  “Fra’ Lui e noi”

Il ritorno alla nostra quotidianità, dopo il lockdown, ci ha fatto riscoprire una natura che
lentamente ha cercato di riprendersi i suoi spazi e, con stupore, abbiamo iniziato ad apprezzarla
con la sua bellezza e la sua forza, rendendoci anche conto delle tante ferite che l’essere umano
le continua ad infliggere.
Questo stupore ci chiama non solo a riflettere e a rivedere il nostro modo di abitare la Casa
Comune, le dinamiche economiche e lo sfruttamento sfrenato delle risorse della Terra, ma a
maturare una vera conversione ecologica, integrale, capace di recuperare il legame che unisce
l’uomo a tutte le creature e su cui si fonda la sua stessa sopravvivenza. “Fra’ Lui e Noi” sarà così
l’opportunità che i nostri ragazzi vivranno per una settimana, per riflettere sull’agonia della
nostra Terra, sulle continue devastazioni che in modo irresponsabile e ostinato l’essere umano
continua a perpetrare contro tutti gli esseri viventi, ma soprattutto per riscoprire il Creato come
un dono da coltivare e custodire. Non si tratta semplicemente di parlare di ambiente, ma di far
maturare una vera coscienza ecologica che recuperi il significato originario della Creazione
come Casa Comune, come luogo da abitare e custodire.

Gli strumenti:

     ·    La vita di San Francesco D’Assisi, con le sue scelte coraggiose, il suo coltivare grandi
          sogni e la sua adesione totale al Vangelo, che ci aiuterà a recuperare la consapevolezza
          di riscoprirci creature chiamate a custodire la relazione con gli altri, col mondo e con
          Dio;
     ·    L’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco, che ci aiuterà, in continuità con il Magistero
          sociale della Chiesa, a maturare un nuovo sguardo sull’uomo, sul concetto di ecologia
          integrale e sul senso di responsabilità. Le parole di Papa Francesco sono, infatti, molto
          più di un semplice invito ecologista ma una vera denuncia di come i processi produttivi e
          lo sfruttamento delle risorse non solo hanno deturpato le nostre città, i nostri stili di
          vita, ma hanno anche alterato il rapporto con il prossimo e con gli ultimi della nostra
          società;
     ·    Il rapporto con la Parola. Le icone bibliche che accompagneranno le nostre giornate,
          aiuteranno i ragazzi a capire che una vera conversione ecologica integrale, alla quale ci
          chiama papa Francesco, non può sussistere se non ha come fondamento la riscoperta
          del legame con Dio. Nel Vangelo, infatti, troviamo quelle parole di vita che ci
          permettono di acquisire la logica di Dio che ci porta a rivedere i nostri stili di vita, il
          nostro modo di guardare e abitare le relazioni e di amare.
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           Alla fine di questo percorso, nella vita di ogni animatore e di ogni ragazzo, l’incontro con San
           Francesco D’Assisi e l’invito di Papa Francesco nella Laudato si’, possano trasformarsi in un
           impegno appassionato e concreto per la cura e la custodia del Creato. La Casa Comune è quel
           luogo che dobbiamo riscoprire per abitare e consegnare alle nuove generazioni, con la
           consapevolezza che ognuno con un rinnovato e responsabile stile di vita può contribuire a
           rendere più vivibile!

           Contatti

                   https://www.facebook.com/centroperlevangelizzazione

                   @pastoralegiovanileag

                   https://www.youtube.com/c/CentroperlEvangelizzazione

                   https://t.me/centroperlevangelizzazione
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Fra’ Lui e noi                                                                                        Pagina 4

                 FORMAZIONE ANIMATORI

Chi è l’animatore?

È colui che mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per organizzare attività
per bambini o ragazzi, promuovendo la cultura dello stare insieme secondo i valori cristiani.
L’animatore è colui che si mette a servizio quindi non è il protagonista, la star del momento
ma piuttosto è impegnato a far emergere le abilità dei bambini per valorizzarli. L’animatore è:
organizzatore, conduttore, coordinatore, motivatore, osservatore e ascoltatore.

Perché fare l’animatore?
Fare l’animatore non è un obbligo ma una scelta. Possono essere tanti i motivi per cui si decide
di diventare animatore: c’è un mio amico, mi piacciono i bambini…ma alla base di tutto deve
esserci la voglia di comunicare agli altri che c’è qualcosa di più grande nella mia vita.
Come si prepara l’animatore?

Essere animatore vuol dire partecipare con serietà agli incontri formativi; vuol dire confrontarsi
con i responsabili e gli altri animatori in maniera costruttiva, nella consapevolezza che lo
scambio di opinioni ed esperienze sono anch’essi necessari per migliorarsi. Diventa importante,
quindi, assicurare la presenza a questi incontri e portare fino in fondo l’impegno preso. Sono
essenziali anche la PUNTUALITA,’ sia per i compiti da svolgere che negli orari di incontro, e la
RESPONSABILITA’, in quanto le famiglie devono aver fiducia in chi segue i propri figli.
L’animatore non è perfetto, ma è una persona in CAMMINO; deve prendere coscienza che oltre
ad animare ed educare un gruppo di ragazzi, educa in primo luogo sé stesso. In questo cammino
non si è soli ma si può contare sul sostegno e sull'aiuto del Don, del responsabile, dell’animatore
più grande.
L'animatore non è solo, ma fa parte di un gruppo: l'equipe degli animatori. In un'équipe è
importantissima la suddivisione dei compiti, per dividersi il lavoro e far sì che non ci sia chi fa
tutto e chi nulla, per evitare il problema del “faccio tutto io”. È importante che i ragazzi vedano
e sentano che si è tutti uniti, ma con ruoli e compiti diversi, sappiano che ci siano punti di
riferimento ben definiti ai quali rivolgersi per qualsiasi esigenza (e così anche le famiglie!). A
tutti viene chiesto di collaborare! La COLLABORAZIONE è l'unica strategia che permette ad un
gruppo di funzionare e di crescere di volta in volta.
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                             Identikit dell’animatore

           Per definire meglio la figura dell’animatore e tratteggiare le caratteristiche della sua azione
           educativa, facciamo riferimento ad alcune parti del corpo…

           La mente

           Animare significa metterci la testa!

           Caratteristica peculiare del ruolo dell’animatore è quella di usare le tecniche di cui è in possesso
           in modo da rendere gli utenti più protagonisti che fruitori: il suo specifico è il "far fare" in modi
           divertenti ed espressivi. L'animatore non è solo figura che intrattiene attività relazionali, ma
           anima e promuove attività creative che concorrono a favorire e a dilatare il campo delle
           esperienze del fruitore per cui è pure chiamato a dotarsi di competenze tecniche:
           d'animazione, di conduzione di gruppi e di tipo organizzativo. L’animatore non pensi: “che gli
           faccio fare?”, ma piuttosto “che messaggi, che valori trasmetto loro con/nel gioco?”. GIOCARE =
           EDUCARE.

           Le braccia

           Animare significa mettere le mani in pasta!

           Ad esempio non si può pretendere che disegnando una bicicletta e spiegandone il
           funzionamento un bambino sappia andare in bici! Occorre chinarsi tenere la sella e ad imparare
           ad andare in bici. Serve, è indispensabile essere compartecipi delle attività e delle proposte di
           animazione. Il gioco è lo strumento per eccellenza dell’Animatore. È un ottimo mezzo per
           proporre attività, temi e contenuti importanti.

           L’educatore/animatore se vorrà far acquisire al bambino il suo messaggio, dovrà usare il più
           possibile il gioco perché il bambino percepisce ciò che passa attraverso l’esperienza sensibile.

           Ma non basta il gioco, non basta cioè essere un profondo conoscitore del gioco e del suo
           utilizzo. Ecco allora una serie di “qualità” dell’Animatore: buona capacità di organizzazione
           spazio/temporale, ottime capacità comunicative (chiarezza e semplicità) e di ascolto, capacità di
           mettersi in gioco, temperamento allegro, attento, sensibile, intraprendente, dinamico,
           entusiasta, capacità di resistenza alla fatica e alle tensioni, creatività e fantasia, capacità di
           improvvisazione e di superamento degli imprevisti, buon livello di autocontrollo, disponibilità,
           accoglienza, empatia, spontaneità, espressività, autorevolezza, conoscenza di tecniche di
           conduzione di gruppo e di comunicazione, conoscenza del gioco nelle sue varie forme e
           obiettivi. Ma non basta ancora… per lavorare con i bambini ci vuole tanto tanto CUORE!
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Fra’ Lui e noi                                                                                         Pagina 6

La pancia

Animare significa emozionarsi!

Al di là delle differenti motivazioni che spingono ciascuno di noi a dedicarsi ad un'attività
d'animazione e di svago esiste alla base dell'azione educativa un comun denominatore: i nostri
interventi, le nostre azioni, i nostri modi di agire non sono mai neutri; o sono educativi o sono
diseducativi. Significa quindi che non si può NON educare, neppure in una situazione temporale
relativamente breve. Essere animatore in qualsiasi iniziativa d'animazione, significa innanzitutto
assumere delle responsabilità e l'assunzione di "responsabilità" comporta di riflesso l'instaurarsi
di una relazione con qualcuno, con "un altro", un bambino, un giovane, un adulto.

A sua volta ogni relazione instaurata con l'altro è "un'attività", "un'attività educativa" e
l'esercizio di questa attività educativa richiede alcune condizioni di base, alcune "qualità"
personali che ogni persona può coltivare per esercitare il ruolo d'animatore che, come abbiamo
citato all’inizio, è un lavoro educativo.
Le gambe

Animare significa dinamismo!

L’Animatore è colui che anima…che dà impulso.

È un professionista del gioco e del tempo libero che opera in contesti sociali. È Animatore quella
persona, che attraverso la sua fantasia, creatività e allegria si occupa di FAR divertire, FAR fare
e FAR esprimere le persone alle quali si rivolge.

                                     Il decalogo
VOLERE BENE AI RAGAZZI

Volere bene non significa tanto fare «smancerie» o semplice «simpatia» nei loro confronti (nel
senso che oggi tu mi piaci, mentre domani se mi fai arrabbiare, può darsi che mi diventi
antipatico). Il volere bene è una posizione a priori: indipendente da chi sei ti voglio bene. Ma per
educare occorre avere la confidenza dei ragazzi. Se vogliamo bene a loro saremo ricambiati.

NON STANCARSI SE A VOLTE C'È DA «ALLACCIARE LE SCARPE»

Il gesto di «allacciare le scarpe» ad un ragazzo implica il chinarsi, il mettersi in ginocchio di
fronte a lui. È simbolo di atteggiamento di servizio: ci ricorda che è sempre il ragazzo al centro
del processo educativo. E ci rammenta che bisogna fare un po' di fatica e di sacrificio...
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           STARE VOLENTIERI CON I RAGAZZI

           Cioè non fare sentire loro che siamo lì temporaneamente come «in prestito», e che abbiamo
           una cosa più importante da andare a fare da un momento all'altro.

           NON AGIRE MAI A TITOLO PERSONALE

           Non aspettarti la riconoscenza da nessuno, che se poi c’è tanto meglio; però non lavorare per
           questa.

           DEDICARE TEMPO AI RAGAZZI (NON È MAI TEMPO PERSO)

           Dedicare tempo significa «dare valore» al ragazzo. Al di là della personalità e della
           comunicatività che un animatore possiede, i ragazzi stanno volentieri con chi dedica loro tempo.
           Ne subiscono spesso il carisma e lo imitano, lo cercano.

           DARE NOME E COGNOME NELLA VITA AI COMPONENTI DEL PROPRIO GRUPPO

           Impara presto e bene tutti i nomi dei ragazzi. Per educare è essenziale conoscere chi vogliamo
           educare, la sua storia, da che famiglia proviene, la sua cultura, la sua personalità, per sapere
           sempre come agire nei suoi confronti.

           ESSERE UN PO' SPRINT, GIOIOSI...

           Se noi siamo contenti non possiamo che essere «contagiosi». E poi quello che conta è lo spirito.
           Se siamo «sprint» siamo giovani a tutte le età, viviamo la vita e non ci «lasciamo vivere», siamo
           spinti a creare amore intorno a noi ed avere anche la forza di rischiare per rendere grande un
           ideale.

           NON VERGOGNARSI

           Non sentirsi a disagio nel fare cose strane come balli, imitazioni di animali ecc… o ad essere uno
           dei pochi che compie la scelta di stare con i ragazzi, andando un po' controcorrente.
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AVERE VOGLIA DI MIGLIORARSI

Nel canto, nel ballo, nell'imparare nuovi giochi, nuove tecniche espressive e aumentare le
proprie competenze ecc. Se l'animatore rappresenta un fondamentale strumento educativo, più
lo strumento è efficiente, qualificato e più il suo uso sarà sempre più incisivo! Attenzione però a
non esagerare! Va bene migliorarsi ma non essere invasivi ed egocentrici.

PENSARE CHE È MEGLIO FARE TROPPO CHE PENTIRSI DI NON AVERE FATTO

L'animatore non deve essere una presenza passiva, che subisce le iniziative e le attività. Non
abbiate paura a «lanciarvi», anche se qualche volta non c’entrerete alla perfezione l'obiettivo.

Una cosa è certa: chi non agisce non sbaglia mai...!
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                                    SCHEDA 0

In questo tempo siamo chiamati a metterci in gioco, a dare il nostro meglio per fare scoprire ai
ragazzi la bellezza dello stare insieme e del condividere un progetto comune. Le attività estive
sono divertimento, gioco di squadra, allegria ma sono soprattutto una straordinaria occasione
educativa.

             In ascolto della Parola

Dal Vangelo secondo Matteo 4,18-22

Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea
suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi
farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri
due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo,
loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo
seguirono…

           Per riflettere…
Nel Vangelo, Matteo ci narra la scena della chiamata dei primi quattro discepoli: Pietro e
Andrea, Giacomo e Giovanni. È interessante annotare che essa avviene non nel Tempio o in
qualche luogo religioso e sacro, ma si svolge nella ferialità laica di un lavoro quotidiano molto
umile: essi erano intenti a gettare le reti in mare, e l'Evangelista sottolinea infatti che erano
pescatori. E ancora più interessante è considerare il fatto che la chiamata del Maestro non
stravolge per nulla le loro attitudini ‘professionali', ma le porta ad un piano di perfezione
superiore: quei pescatori da allora in poi diventeranno "pescatori di uomini". Essi erano dei
modesti lavoratori, eppure proprio a loro Gesù affida una vocazione straordinaria: «Venite
dietro a me, vi farò pescatori di uomini».
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            Il centro del brano è molto chiaro: è seguire Gesù. E seguire Gesù è il centro della fede cristiana.
            È seguendo lui che la fede diventa realtà, diventa rapporto personale con lui, non solo rapporto
            di amicizia ma di prassi: lo segui, fai lo stesso cammino, hai lo stesso risultato, diventi figlio. È
            proprio nel seguire Gesù che si realizza tutto. Seguire Gesù, però, non è un’iniziativa nostra.
            Normalmente uno segue un maestro, sceglie il suo maestro, poi giustamente lo abbandona e
            diventa maestro lui. Ma non siamo noi a scegliere di seguirlo. Lo seguiamo perché chiamati. Il
            nostro seguire è una risposta alla sua proposta. La vocazione è essere chiamati, chiamati per
            nome questo mi fa capire chi sono io in realtà, non per gli altri, ma per Dio. I discepoli, così
            come noi, sono chiamati a essere strumenti di Dio che porteranno il Suo messaggio di salvezza
            agli altri.

                    Video riflessione : Intervista doppia di due giovani animatori

                      Link al video: https://youtu.be/dU1YqaveSq4

                    Musica: La matita di Dio dal musical di Madre Teresa
            «Tutto è stato opera di Dio. Niente è stato opera mia. Io non sono che una piccola matita nelle
            mani di Dio». In questa semplice frase è raccolta la vita di dono e di servizio di una piccola suora:
            Madre Teresa di Calcutta. Lei ha dedicato ogni suo attimo ai fratelli più poveri, ha offerto una
            testimonianza viva e vera di ciò che significa essere missionari. Diventiamo anche noi tante
            matite nelle Sue mani per “scrivere Amore”.
Scheda 0                                                                                                             Pagina 11

                                                      Testo:

                                                     Chi sei?

                                            La matita fra le sue dita.

                                                     Chi sei?

                                           Lui scrive e scorre la vita.

                                                     Chi sei?

                                         Fa di noi le sue tante matite.

   Siamo noi le sue tante matite con cui scriverà. Matite a volontà! Sei tu che scrivendo togli il dolore.

                   Sei tu, che scrivendo salvi chi muore. Sei tu che lottando scriverai bene.

                           Se l’amore è l’unica cosa che scriverai Amore a volontà!

     La matita scorrerà sul foglio tante righe senza mai uno sbaglio, tanta vita e tanto, tanto amore.

 La vita è bella. E tu l’ammirerai? La vita è un sogno. E ne farai realtà. La vita è sfida. E tu l’affronterai. La
                                       vita è un gioco. E tu la giocherai.

 La vita è amore. E quindi ne godrai. La vita è un inno. E tu la canterai. E la vita è lotta. E tu l’accetterai.

 La vita è un’avventura. E tu la rischierai. La vita è proprio vita. E la difenderai. Se l’amore è l’unica cosa
                                                  che scriverai.

                                            Amore a volontà Sei tu!

                                        La matita fra le mie dita Sei tu!

                                        Lui scrive e scorre la vita Sei tu!

                                          Fa di noi le sue tante matite

                                Siamo noi le sue tante matite con cui scriverà.

                                                Matite a volontà

Attività di gruppo: Mi presento… sono l’animatore!
Obiettivo:

I presenti sono invitati a riscoprire il perché scelgono di vivere l’esperienza dell’essere animatori
e dell’importanza di farsi dono per gli altri.

Svolgimento:

           Singolarmente, ogni animatore sceglierà tra gli oggetti sparsi sul tavolo, quello che
           rappresenta il tipo di animatore che egli/ella vuole essere quest’anno.
           In gruppetti, condividono la scelta.
           Si rimane nei gruppetti di prima e viene chiesto loro di inventare una scenetta sul farsi
           dono per gli altri nella quotidianità come animatore.
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                                                SCHEDA 1

                                       Io, gli altri e il mondo

            In questi mesi di smarrimento nei quali sembra sia scesa la sera … “Fitte tenebre si sono
            addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo
            tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che ha paralizzato ogni cosa al suo
            passaggio … Ci siamo trovati impauriti e smarriti.”

            Con queste parole Papa Francesco parlava al mondo, in una piazza San Pietro deserta e
            silenziosa, di una tempesta che ci ha colto di sorpresa smascherando le nostre vulnerabilità e
            lasciando scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre
            agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. La pandemia, paradossalmente, si così
            trasformata in un’occasione di discernimento che ha svelato, come inutili, i tentativi di
            anestetizzare la nostra umanità riportandola invece sola con sé stessa di fronte a quella
            continua ricerca di senso e quella sete di Verità.

            Ci stiamo così risvegliando da questa tempesta con una nuova consapevolezza e con occhi
            nuovi, capaci di cogliere la bellezza silenziosa della vita. Questa situazione è divenuta
            occasione per riabitare le nostre relazioni, come luogo di incontro e d’identità; riscoprire
            l’inscindibile rapporto che lega ogni essere umano alla natura e allo stesso tempo cogliere il
            creato come un dono di Dio da custodire.

                          In ascolto della Parola

               Genesi cap. 1, (27-28. 31) cap. 2, 15
            Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

            Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e
            dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
            terra».

            Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto
            giorno…. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
            custodisse.
Scheda 1                                                                                                Pagina 13

             Per riflettere…

Il racconto della Genesi ci presenta l’irrompere dell’uomo nella storia del mondo come l’apice e
il momento culminante di tutta la Creazione (“Dio vide che era cosa molto buona”) dove
l’uomo, non è un qualcosa, ma “qualcuno” in quanto capace di conoscersi, possedersi e donarsi
liberamente agli altri. L’uomo ha una dignità infinità (“A immagine e somiglianza di Dio”)
perché porta in sé l’incipit della relazione.

Recuperare il senso profondo di questo racconto, significa allora recuperare il progetto
originario di Dio, dove l’essere umano ritrova la sua vocazione, il suo legame con la terra, ma
soprattutto si riscopre in relazione armoniosa con Dio, il prossimo e tutto il creato.
Nel “coltivare e custodire”, infatti, siamo chiamati a riabitare queste tre relazioni dalle quali non
si può prescindere e che sono il presupposto non solo per maturare una vera coscienza
ecologica, dove il creato deve essere accolto come un dono da proteggere e custodire, ma
anche per ritornare a riscoprire l’altro, il prossimo, il diverso da me, come un dono nel quale e
con il quale ogni essere umano, in un donarsi reciproco, conosce veramente se stesso.

Tutto è in relazione: la cura autentica della stessa nostra vita e della relazione con la natura è
inseparabile così dalla fraternità. Trascurare l’impegno di coltivare e custodire una relazione
corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge e altera
la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la Terra.

L’antropocentrismo dispotico, nel quale l’uomo moderno si rispecchia, spezza questa relazione
circolare e guarda l’altro e il mondo come un qualcosa da possedere, soggiogare per giungere
ad un benessere che non comprende la condivisione o la solidarietà, ma che si acquista a
discapito di tutti e tutto.

(Dalla “Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune.” Capitolo 2 dal n° 62 al n°
100)

Segno: Un mappamondo e un grande pacco regalo, rappresentano l’invito a riscoprire il
creato come un dono da proteggere e custodire, attraverso la riscoperta di un nuovo modo
di rapportarci e di guardare a noi stessi e di guardare agli altri.

           Video riflessione dalla Terra dei fuochi: Paco Gioia, operatore Caritas della
diocesi di Aversa.

            Link al video: https://youtu.be/DydHNqAzz_M
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                 Musica: “Filosofia agricola" di Niccolò Fabi

            Concetti solo apparentemente eterei e fugaci, che accolgono invece il senso della
            vita e quello altrettanto realista della morte uniti a un rispetto doveroso per la
            natura. Quella di Niccolò Fabi è una poesia minimalista, quasi naif, in cui l’autore
            non abbandona l’idea della propria caducità, ma anzi ne è pienamente consapevole,
            e se ne lascia attraversare per intero.

                                                      Testo:

                                               Verranno giorni limpidi

                                   Come i brividi Quest’anno Ritorneremo liberi

                                                  Come quelli che

                                                     Non sanno

                                     Chiaro è che non vincerò Contro i cumuli

                                                     Di memoria

                                 Ma il vento che li agita Sarà l’ultimo ad arrendersi

                                                E poi sarà bellissimo

                                Di te dipingermi l’interno Semmai potessi scegliere

                               Io mi addormenterei d’inverno Più che felice e fertile

                                Se la filosofia diventa agricola La terra che ci ospita

                                                Comunque è l’ultima

                                                     A decidere

                                    Se avessi meno nostalgia Saprei conoscere

                                   Godermi e crescere Invece assisto immobile

                                                Al mio nascondermi

                                   E scivolare via da qui Come l’acqua passerà…
Scheda 1                                                                                            Pagina 15

Attività di gruppo: “Con gli occhi del cuore”

Obiettivo
Aiutare gli animatori a capire che l’altro è qualcosa che non ci appartiene e va
custodito in profondità.

Introduzione
Il cambiamento al quale ci richiama il racconto della Genesi e al quale fa eco Papa Francesco
nella “Laudato sì’”, deve nascere nel cuore, la sede della nostra intimità più profonda dove
ognuno si confronta con i propri interrogativi, le proprie ansie e soprattutto dove accogliamo
e custodiamo le persone a noi care.

Riconoscere l’altro come un dono che va accolto, significa vivere una relazione di donazione
gratuita che non prevedere il contraccambio o il possesso dell’altro. Una relazione autentica
è tale solo se è liberante per sé stessi e per gli altri anche e ciò comporta, molte volte, da
parte nostra l’impegno ad abitare le relazioni e ad esserci nonostante tutto.
Spesso ci troviamo di fronte alla difficoltà dell’accogliere e del custodire: come lo vive il
giovane? E’ disposto ad accogliere e custodire con un atteggiamento di gratuità?

Materiali
Un cartellone

Svolgimento
Accogliere nell'amore l’altro, è un impegno. Quando però proviamo a pensare a come
testimoniare un simile atteggiamento, le cose si complicano: perché per portare il peso
dell'altro nell'amore bisogna, innanzitutto, mettersi in gioco ed attraversarlo.
Si mostrano agli animatori tre schede (o un cartellone), sul quale sono state disegnate tre
immagini: uno specchio, un paio di occhiali e degli occhi. Queste saranno tre piste di
riflessione che aiuteranno l'educatore nell'introdurre l'argomento: se dobbiamo davvero
accogliere l'altro così com’è, custodendone il mistero, allora è necessario uscire da noi stessi.

Innanzitutto dobbiamo professare il nostro essere in uscita uscendo da noi stessi: il rischio,
altrimenti, è quello di guardarsi allo specchio. Come questo ci riflette un'immagine pura,
limpida, priva di imperfezioni rispetto a ciò che vediamo e perfettamente conosciuta, così un
nostro tentare di capire l'altro prendendo a modello noi stessi può risultare fuorviante.
Pagina 16                                                                                                  Scheda 1

            Il prossimo sarà frastagliato, confuso, non ci garantirà le certezze che pensiamo di vedere in
            noi stessi: a noi non spetta il compito di capirlo né quello di decifrarlo. Noi dobbiamo solo
            abbracciarlo: non possiamo andare verso l'altro per poi sopportarlo nell'amore se ci
            aspettiamo noi stessi dall'altra parte; scadremmo in un atteggiamento egoista e narcisista.
            Sicuramente, abbiamo bisogno di cambiare il nostro modo di pensare e di vedere la vita, le
            nostre convinzioni, il nostro modo di leggere la realtà: vivendo come se portassimo sempre
            un paio di occhiali con le lenti colorate. Noi siamo sempre convinti dell'esattezza nel nostro
            vedere i colori, ma spesso questi sono modificati dal colore delle lenti che indossiamo.

            Solo che portandola da una vita, non ce ne rendiamo più conto: e quante discussioni e litigate
            nascono perché partiamo non dalle cose in comune, ma dal nostro modo di interpretare il
            momento? Non possiamo partire solo da noi stessi: amare l'altro significa partire proprio da lui.
            L'atteggiamento che segue chi va verso l'altro con indosso i propri occhiali è quello del dito
            puntato, a giudicare secondo parametri che sono e rimangono suoi.
            Invitare gli animatori a spostare l’attenzione da “quando io accolgo gli altri” a “quando gli altri
            mi hanno accolto e mi sono sentito amato”. Quante volte ho sperimentato nella mia vita un
            amore (un familiare, un amico, un educatore, un fidanzato, ecc…) paziente, ovvero un amore
            che cercava di comprendermi e che allo stesso tempo custodiva ciò che non riusciva a
            comprendere, senza pretendere di possedermi?

            E qui arriva la terza immagine, quella degli occhi: l'esercizio migliore per allenarsi nell’accogliersi
            nell'amore è quello di provare a posare lo sguardo nella profondità di chi abbiamo di fronte.
            Cercare la nostra immagine riflessa in quegli occhi può aiutarci a vivere quello che è il primo
            incontro, la prima soglia: esattamente lo sguardo del prossimo. Uno sguardo che non
            necessariamente si concentra su ciò che interessa a noi, che forse appare stanco, che può
            inumidirsi oppure mostrarsi diffidente. Tutto ciò ha importanza solo dopo che lo avremo
            cercato.
Scheda 1                                                                                            Pagina 17

Seconda parte

Si può provare a fare personalmente un elenco di cose che, secondo il giovane, gli altri si
trovano o si sono trovati a dover un po’ sopportare di lui e che magari non sono del tutto capaci
di spiegare. Condividere con il gruppo esclusivamente l’aggettivo che ha rappresentato lo stato
d’animo in quella circostanza. Fare questo esercizio su sé stessi può aiutare il giovane a capire
come tutti abbiamo l’opportunità di custodire l’altro in questo mistero profondo che non
sempre è possibile spiegare, e può renderci più disponibili ad amare l’altro anche laddove
facciamo fatica a capirne i limiti e a sperare anche lì dove sembra difficile.

Attività di gruppo: “Che valore?”

Obiettivo
Aiutare gli animatori a riconoscere il valore del prossimo e a vivere le relazioni
mettendosi al servizio dell’altro.

Introduzione
“Stimare” vuol dire determinare il prezzo o il valore di un bene, valutare. Nelle
relazioni che abbiamo con l’altro che moneta uso? Tratto l'altro come un oggetto o
come un tesoro da custodire? Sono duro o benevolo nel valutarlo? Il binomio
all'interno del quale ci muoviamo con questa attività è quello tra primeggiare a
servire.
Pagina 18                                                                                             Scheda 1

            Durata
            90/120 min

            Materiali
            Monete (in fondo alla scheda, da ingrandire e stampare o sostituire con l’immagine di
            banconote)

            Svolgimento

            Prima parte
            Aiutare l’animatore a capire quando si stimi una persona, provando a individuare quali
            siano le persone della sua vita che maggiormente valuti positivamente e ad
            individuare quali ne siano i motivi. Si potrebbero individuare tre figure diverse, una
            famosa, una conosciuta da tutto il gruppo e una che conosce il singolo giovane, col
            quale egli ha una relazione più o meno profonda. Quali sono le caratteristiche che
            riescono a individuare in ciascuna di esse che fanno sì che ci sia stima?
            Seconda parte

            Verranno successivamente consegnate ai giovani tre monete ciascuno, di diverso
            valore e verrà chiesto loro di assegnare, ad ognuna delle tre figure, una delle
            monete.
            Terza parte
            Si inviteranno tutti a scrivere, su ciascuna moneta, il motivo della stima riversata in
            quella persona; ugualmente, si chiederà loro di pensare ad una persona poco
            stimata, cercando di riflettere sulle motivazioni di tale valutazione.

                          Domande per la riflessione:

                              o    Per te cosa significa stimare qualcuno? Chi è che stimi davvero?
                              o    Come tendiamo a valutare una persona?
                              o Quando “peso” l’altro, sono uno che va con un peso di piombo o sono
                              benevolo?
Scheda 1                                                                                            Pagina 19

Laboratorio: “Con sorella luna e le stelle”
Per vivere la formazione come luogo d’incontro e occasione di riflessione, si potrebbe dare vita
a un vero e proprio cineforum all’aperto (a mare, in montagna o anche nel campetto
dell’oratorio) attraverso la visione di un film che stimoli il confronto e soprattutto aiuti gli
animatori ad approfondire e ad interiorizzare la tematica. La scelta del film, ovviamente deve
rispondere alle esigenze di ogni gruppo e alla luce delle modalità di svolgimento dell’incontro.

           Filmografia suggerita:

“IL SALE DELLA TERRA” di Wim Wenders e Julien Ribero Salgado, 2014

Sebastiao Salgado è uno dei più grandi fotografi viventi che ha messo al servizio dell’uomo la
sua arte e la sua volontà umanistica, per raccontare le contraddizioni della modernità e della
sua esistenza ma soprattutto il modello di sviluppo che mette la merce davanti alle persone. Fu
una missione umanitaria in Africa a trasformare quello che era un economista in un fotografo
in bianco e nero che con libri e mostre ha ottenuto grande considerazione. Il film è la scoperta
dei mondi che ci circondano e che spesso osserviamo in pochi secondi di news. Un film che
diventa una sorta di preghiera laica dedicato alla moltitudine dell’altro. Dal genocidio del
Ruanda al celebre reportage dei cercatori d’oro in una valle di fango, Salgado e gli autori del
documentario ci ricordano come l’uomo pensante sia l’animale più crudele della terra. Il
documentario non è solo denuncia ma ha anche una sua componente di proposta. Salgado
dopo aver constatato l’inumanità del mondo aveva smesso di fotografare. Ma poi grazie alla
moglie – scrive Morandini – che “gli propone di riforestare le terre di proprietà della famiglia,
trasformate in un deserto da anni di siccità, Salgado scopre che – con anni di duro lavoro –
ritrasformando la terra arida nella foresta verde che era un tempo, torna anche la pioggia.
Capisce così che l’uomo può distruggere la vita, ma può anche crearla e torna a fotografare, a
ritrarre la natura, gli animali, la Terra”. Il titolo del documentario fa riferimento ad un passo
del Vangelo di Matteo “Sei il sale della terra. Ma se il sale perde la sua salinità, come può
essere reso di nuovo salato? Non è più buono a nulla, tranne che ad essere buttato fuori e
calpestato”. Salgado in portoghese significa “qualcosa di salato”.
Pagina 20                                                                                               Scheda 1

            “AVATAR” di James Cameron, 2009

            Il film ha contribuito a far aumentare le consapevolezze e il senso comune ecologico e della
            sostenibilità ambientale. Fantascienza ambientata nel 2154 anche se c’è chi distingue che si
            tratta di una fiaba ecofantastica. Un ufficiale paraplegico viene mandato sul pianeta Pandora
            per costituire una formazione di avatar artificiali che combattano contro gli indigeni Na’vi’ per
            allontanarli dal pianeta e poter disporre del prezioso unobtainium. Una natura che si ribella
            all’uomo e ne difende le fondamenta. Il film diventa così una perfetta metafora della lotta tra
            l’uomo bianco, predatore delle risorse della natura, e le popolazioni indigene che quasi sempre
            soccombono in una lotta impari.

            “ERIN BROKOVICH – FORTE COME LA VERITÀ” di Steven Soderbergh, 2000

            Legal movie di impegno civile hollywoodiano e di denuncia che arriva forte e d’impatto senza
            comizi grazie ad un fatto realmente accaduto. Una single, con tre bambini disoccupata, trova
            lavoro grazie ad un avvocato che ne aveva curato i diritti in una causa. La neofita segretaria per
            caso trova in un faldone dei dimenticati documenti che provano le colpe di un’industria
            californiana che ha scaricato una sostanza nociva nella falda acquifera provocando molti tumori.
            Palpitante la fase delle ricerche delle prove che sfocia in una gigantesca class action nei
            confronti di chi ha sostenuto il falso contro la salute pubblica e di chi abita nelle case povere
            delle province di distretti industriali, che vedono l’americano medio messo in scacco da chi ha al
            suo servizio potenti studi di avvocati.

            “MISSION” di Roland Joffè, 1986
            Il film mette al centro il rapporto dell’uomo occidentale e lo sfruttamento e l’espropriazione dei
            popoli nativi. Un mercante di schiavi spagnolo in cerca redenzione, si unisce alla missione
            fondata da un gesuita in Sud America con lo scopo di convertire i nativi al cristianesimo e di
            preservarne le loro abitudini battendosi per evitare che diventino gli schiavi delle piantagioni dei
            latifondisti europei. Il film si basa su fatti realmente accaduti. Un film pieno di forza epica, di
            respiro storico, di tensione morale”. Quando vinse a Cannes, nel 1986, molti storsero il naso.
            Ma la verità è che questa storia di una comunità di gesuiti assediata insieme agli indios nel
            Sudamerica alla metà del Settecento è di straordinaria forza emotiva.
Scheda 1                                                                                                  Pagina 21

“DOVE SOGNANO LE FORMICHE VERDI” di Werner Herzog, 1984

Ambientato nel deserto australiano, riguarda la vicenda di un territorio conteso tra una
compagnia mineraria e i nativi aborigeni con un geologo che si mette dalla parte dei nativi.
Conflitto tra culture che trova nella trama un punto significante nella causa giudiziaria
complicata dai problemi di comunicazione dell’unico sopravvissuto di una tribù della quale
nessuno conosce la lingua o quando gli aborigeni chiedono di poter far entrare nell’aula un loro
oggetto sacro rimasto seppellito per secoli e ottengono che l’aula di giustizia si svuoti. Il film è
nato dalla conoscenza del regista della reale vicenda, riadatta in un film che ha anche un
profondo rispetto del Sacro.

“INTO THE WILD - Nelle terre selvagge” di Sean Penn, 2007

Into the wild è la libera trasposizione del libro di Jon Krakauer "Nelle terre estreme". Il tema
della fuga ma soprattutto quello dell'inseguimento di un qualcosa che faciliti la conoscenza di sé
e la ricerca della libertà, fanno da cornice alla vera storia di Christopher McCandless, un giovane
benestante che rinuncia a tutte le sue sicurezze materiali per immergersi all'interno della natura
selvaggia. Una figura tormentata che non viene dipinta né come giovane avventuriero né come
idealista ingenuo. Il film ha una valenza politica nonostante questo non sia l'intento di base. Alle
volte, si trasforma in un vero e proprio atto di fede il cui credo fugge da tutto ciò che è religioso
in senso stretto per trovare sfogo in una dimensione che è solo e unicamente personale. Tutti le
persone che Chris incontrerà lungo il suo peregrinare oltre a colmare un vuoto familiare, fonte
di profonde sofferenze, amplificano l'idea di un percorso a stadi funzionale a liberarsi da
qualsiasi dipendenza da ogni tipo di comfort e privilegio.

           Bibliografia suggerita:

“La resilienza del bosco” di G. Vacchiano (Mondadori)

Ogni bosco rivela storie di connessioni: tra alberi e alberi, tra alberi e animali, tra alberi e acqua,
o aria, o fuoco. Tra alberi e uomini. E anche, tra uomini e uomini. Dimostrando quanto siamo
immersi negli ecosistemi che ci danno la vita. Siamo in relazione con ogni loro elemento. Che ne
siamo consapevoli o meno, noi siamo una loro causa e un loro effetto. Le storie che Vacchiano
racconta parlano di piante, boschi, foreste, ma soprattutto di noi, di come sapremo immaginare
il nostro futuro in relazione all'ambiente che ci circonda.
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            “Io, morto per dovere. La vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la terra
            dei fuochi” di Nello Trocchia, Luca Ferrari, Monika D. Mancini (Chiarelettere)

            Un uomo sapeva già tutto del disastro ambientale nella cosiddetta Terra dei fuochi. Vent'anni fa
            conosceva nomi e trame di un sistema criminale composto da una cricca affaristica in combutta
            con la feccia peggiore della malavita organizzata e con le eminenze grigie della massoneria.
            Aveva scritto un'informativa rimasta per anni chiusa in un cassetto e ritenuta non degna di
            approfondimenti, ha continuato il suo impegno depositando, nell'ultimo periodo della sua vita,
            un'altra informativa. Quest'uomo si chiamava Roberto Mancini, è morto il 30 aprile 2014, ucciso
            da un cancro. Sarà riconosciuto dal ministero dell'Interno come "vittima del dovere". Un
            giovane poliziotto cresciuto tra le fila della sinistra extraparlamentare negli anni confusi e
            violenti della contestazione. Manifestazioni, picchetti, scontri di piazza, poi la scelta della divisa,
            per molti incomprensibile e spiazzante, per Mancini del tutto naturale. Una grande storia di
            passione, impegno e coraggio. Questo libro finalmente la racconta tessendo insieme con
            delicatezza e profondità le testimonianze dei colleghi e della famiglia (la moglie Monika, che ha
            collaborato alla stesura, la figlia Alessia, che aveva tredici anni quando il papà è morto), i
            documenti, oltre dieci anni di lavoro alla Criminalpol e la voce stessa di Mancini, che restituisce
            la sua verità e tutto il senso della sua battaglia umana e professionale.

            “C'era una volta il re Fiamma. La Terra dei fuochi raccontata dai bambini” di Angela Marino
            (Round Robin Editrice)

            Angela Marino ha raccolto negli ultimi anni temi e disegni nelle scuole del cosiddetto "Triangolo
            della morte" della Campania, stando a diretto contatto con insegnanti, genitori e alunni. Dai loro
            lavori si può capire quanto l'inquinamento, la malattia, la morte siano diventati nella loro
            immaginazione dei moderni mostri, simili a quelli che nelle favole tradizionali personificano il
            male.
Scheda 2                                                                                               Pagina 23

                                      SCHEDA 2

                  “Coltivare e custodire i sogni”

“Voi giovani dovete sognare alla grande”, questo l’appello del Papa che si lega perfettamente
all’esperienza di Francesco d’Assisi quando del suo sogno ne ha fatto una regola di vita,
spogliandosi e liberandosi di tutti i suoi averi per servire gli ultimi.
Molto spesso i giovani si chiedono quali siano i loro sogni, come poterli realizzare, cosa fare
per raggiungerli, ricevendo però dagli adulti risposte deludenti e scoraggianti. Tutti i sogni
sono importanti ma quelli dei giovani vanno oltre, sono la speranza per un mondo migliore, il
coraggio di portare avanti le proprie scelte nonostante tutte le difficoltà possibili, e per
questo che gli adulti ne hanno paura. Hanno paura perché sanno che potrebbero andare
lontano o semplicemente perché hanno smesso di sognare.
Molte volte infatti i sogni dei giovani, i loro ideali, le loro battaglie si scontrano con il mondo
degli adulti ormai anestetizzato, profondamente segnato dalla logica del guadagno, del
consumismo ossessivo, dalla mercificazione della natura e dell’uomo stesso. Una visione
della vita squilibrata e incapace di dare ascolto alle nuove generazioni o di preoccuparsi per il
loro futuro.
Lo scambio intergenerazionale così invece di sostenere e dare contenuto ai sogni dei giovani,
finisce invece per svuotarli e appiattirli, dando vita ad una generazione liquida, incapace di
maturare e fare scelte di vita, ma soprattutto di avere e restare fedeli a degli ideali o peggio
ancora spendersi per essi.

Aiutare i giovani a sognare significa entrare nella loro vita per trasmettere loro il coraggio, la
speranza, la resilienza nel perseguire i loro progetti e la loro idea di mondo; significa sostenerli
nel loro cammino di crescita umana, sociale, politica ma soprattutto accompagnarli alla scoperta
di quella dimensione spirituale nella quale, come Francesco D’Assisi, possono riscoprire l’arte e
l’importanza nel “coltivare e custodire” la loro visione della vita, del mondo e i loro sogni
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                          In ascolto della Parola

                Dal Vangelo secondo Matteo 13, 44-46
            Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di
            nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è
            simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va,
            vende tutti i suoi averi e la compra.

                      Per riflettere…
            Le due immagini evangeliche del tesoro e della perla preziosa vogliono spingere il nostro
            orizzonte al di là della realtà che ci circonda, delle nostre certezze sulle quali strutturiamo le
            nostre scelte di vita, ma soprattutto da quella cultura e da quella visione del mondo dove la
            ricerca della felicità e dell’auto-comprensione di ognuno di noi, si realizza solo attraverso la
            logica del guadagno e del possesso, che generano, a loro volta, vite svuotate da ogni ideale,
            schiacciate da un consumismo sfrenato dove l’uomo è contemporaneamente, predatore e
            preda di se stesso. Così nella dinamicità dell’uomo che trova il tesoro e del mercante che trova
            la perla preziosa, ritroviamo un agire inverso rispetto alla logica dominante, dove la scoperta di
            ciò che rende e fa veramente bella la nostra vita rimanda ad un nuovo approccio con gli altri e
            il mondo, perché genera il desiderio e l’esigenza di liberarsi da tutto ciò che appesantisce la
            vita e ne distorce il suo significato. Questa esigenza radicale ci fa paura perché si contrappone
            alla cultura del benessere della nostra società. Nel cuore ricolmo di gioia, dell’uomo che trova
            il tesoro, ritroviamo così la riscoperta dell’importanza anche dei nostri sogni, dei nostri
            progetti aperti al mondo, ma soprattutto del sogno a cui Dio ci chiama. Ma più di ogni altra
            cosa ritroviamo il coraggio di sognare, di credere che nel sogno c’è la nostra vita, il nostro
            futuro, la nostra possibilità di cambiare il mondo, di riprogettare il nostro cammino e il nostro
            impegno. Ecco perché le parabole rimandano all’esigenza di liberarsi dalla logica della
            comodità nella quale molto spesso gli adulti risucchiano le vite dei giovani, per vivere questa
            gioia fino ad andare controcorrente, a spingere il nostro sguardo oltre l’egoismo, per sognare
            e fare grandi i nostri sogni coltivandoli e custodendoli nel nostro cuore, ma con la
            consapevolezza che la loro realizzazione passa dalla nostra capacità di renderli inclusivi, aperti
            e condivisi agli e al mondo.
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Segno: Zaino pieno di stelle, rappresenta i progetti, i sogni, il nostro immaginare il futuro.
Come quando si parte per un viaggio, siamo chiamati però a discernere e mettere alla prova
i nostri sogni, per capire se ne vale la pena realizzarli.

           Video riflessione: Giacomo Pigni, giovane volontario dell'Auser Ticino-Olona neo
Cavaliere della Repubblica.

            Link al video: https://youtu.be/Ghhq14Hf21Y

Per stimolare e offrire diversi spunti di riflessione, si potrebbe aprire l’incontro, o in un altro
momento, attraverso la lettura, sottoforma di monologo a due voci, del testo allegato tratto dal
libro di Alessandro D’Avenia: l'arte di essere fragili
   Dove sono finite le passioni felici, profonde, durevoli? È ancora possibile risvegliarle in noi
   o sono definitivamente perdute? Esiste un metodo per la felicità duratura, uno stare al
   mondo che dia il più consenso possibile alla vita senza rimanere schiacciati dalla sua forza
   di gravità, senza soccombere a sconfitte, fallimenti, sofferenze, anzi trasformando questi
   ultimi in ingredienti indispensabili a nutrire l'esistenza? Si può imparare il faticoso mestiere
   di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un'arte della gioia quotidiana?

   Arte è ciò che chi ha talento per la vita, cioè tutti ma proprio tutti, può imparare a
   migliorare giorno per giorno, perché ogni tappa sia illuminata, guidata e riscaldata da un
   fuoco che non si spegne, quello della passione felice di essere al mondo come poeti del
   quotidiano e non stremati superstiti o pallide comparse.

   Pensiamo alle stelle: nessuno di noi si sottrae al rito delle stelle cadenti, perché almeno
   una notte ogni anno tutti vogliono sentirsi parte di una storia infinita, nella quale al cadere
   di una stella si leva un desiderio, come se i nostri sogni fossero collegati con i movimenti
   dell'universo secondo una logica perfetta. In quel momento sentiamo di meritare la
   bellezza e si fa strada in noi la fiducia che la vita quotidiana possa diventare il terreno
   fertile per coltivare i nostri desideri, perché fioriscano. Sono attimi che mi piace definire di
   “rapimento”, improvvise manifestazioni dalla parte più autentica di noi, quel che sappiamo
   di essere a prescindere da tutto: risultati scolastici o universitari, successi lavorativi, giudizi
   altrui e l'esercito minaccioso di fatti che vorrebbero costringerci entro i confini della triste
   ragione dei senza sogni. In una notte di stelle la parte più vera di noi cerca di farsi spazio,
   anche se spesso ci affrettiamo a convincersi che sia stato solo un gioco o un sogno
   “campato in aria”. Ma in realtà, io vi dico che la parte più vera di noi è una casa da poter
   abitare ovunque, con le fondamenta al contrario, appese a una stella, non cadente, ma
   luminoso riferimento per la nostra navigazione nel mare della vita.
Pagina 26                                                                                             Scheda 2

            Solo la fedeltà al proprio rapimento rende la vita un'appassionante esplorazione delle
            possibilità e le trasforma in nutrimento, anche quando la realtà sembra sbarrarci la strada.

            Si può lottare per essere felici quando tutto il mondo resiste e la corrente è contraria. Se un
            seme non spera nella luce non mette radici, ma sperare è difficile, perché richiede
            consapevolezza di sé, apertura e tanti fallimenti. Sperare non è il vizio dell'ottimista, ma il
            vigoroso realismo del fragile seme che accetta il buio del sottosuolo per farsi bosco.
            Un adolescente senza meraviglia è un adolescente senza rapimento, come un'arte senza
            meraviglia è tecnica fredda o provocazione effimera. Quando ci si meraviglia appare uno
            splendore ancora impreciso, che spinge la nostra attenzione ad andare oltre. Meravigliarsi è,
            infatti, come presentire o intravedere un'intera storia in un primo sguardo quando ci si
            innamora.

            L'adolescenza si vive appieno attraversando fino in fondo la crisi che riempie di interrogativi,
            quali? Come si fa a vivere, come si fa a sognare, come si fa ad amare, come si fa a trovare
            Dio, come si fa a trovare la propria strada, come si fa a non soccombere di fronte al
            dolore...Così mi sono convinta che gli adolescenti non hanno domande: sono domande.
            E' nell'eccesso dell'adolescente che si mostra e si nasconde il fuoco della speranza o della
            disperazione. Uno crea, l'altro distrugge. Ma è lo stesso fuoco.

            L'adolescenza è la tappa dell'informe che cerca la forma, del caos che cerca l'ordine, della
            speranza che cerca l'esperienza e dell'impossibile che cerca il possibile.

            Ma come si fa a rimanere fedeli al proprio rapimento, come si fa a continuare a sperare
            senza perdersi, schiacciati dai limiti che la vita impone? Solo spaccando quell'armatura di
            paure che impedisce di capire che l'arte da imparare in questa vita non è quella di essere
            invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti.
            Solo la bellezza crea speranza nel cuore e nella mente dell'uomo. La modalità con cui lo fa è
            duplice: maestà e semplicità. Sembrerebbero in contraddizione, ma in realtà sono solo due
            manifestazioni della pienezza, del compimento, della fioritura dell'essere. Che cosa è più
            maestoso di una stella e più semplice della sua luce? La vita non è mai povera, povero è il
            nostro sguardo, incapace di leggere la realtà su più livelli, perché non sono attivati i nostri
            spazi interiori più profondi.

            Se l'adolescenza è l'età fatta per scoprire per cosa valga la pena vivere, la maturità è il
            momento in cui ci si scontra con ciò che, nella vita di tutti i giorni, ci fa sperimentare la
            morte mentre cerchiamo di realizzare ciò per cui vale la pena vivere: un progetto, una
            relazione, un lavoro... Le due vie che si aprono alla maturità sono: creare e distruggere.
            Distruggere è l'atto creativo di chi ha perso speranza nella propria originalità, nel bello che è
            venuto a portare nel mondo, nella novità che è per sé e per gli altri. A distruggere ci si può
Scheda 2                                                                                                 Pagina 27

   dedicare con lo stesso slancio e trasporto del creare.

   Solo l'amore ci perdona di essere come siamo. Quegli occhi che fra milioni si posano solo su
   di noi, come a dirti “scelgo di guardare te, tra tutti” ci tirano fuori dall'anonimato, dalla terra
   degli sbagliati e degli invisibili, aggiungendo la dimensione della profondità alla nostra vita,
   perché ci raggiungono dove originiamo. Quello sguardo ci perdona di essere come siamo, ci
   permette di abbassare le difese per lasciarci amare, ci rivela che andiamo bene così, con le
   nostre insufficienze e fragilità. E la prima cosa che racconteremo a quegli occhi a tu per tu
   non sarà certo quanto siamo bravi e belli, i nostri risultati, ma proprio quanto siamo piccoli e
   fragili, perché finalmente abbiamo trovato qualcuno capace di guardare la nostra nudità
   senza farci sentire nudi, bensì vestiti proprio di noi stessi. L'amore non si riduce a un moto di
   reazione; è azione: risponde a un appello e prende l'iniziativa, liberamente, lotta per rendere
   quel valore ancora più reale.

   Non possiamo avere un destino e una destinazione, senza un amore che abbia fede in noi
   prima che noi in lui. Questo amore, io l'ho trovato in Dio.

   Forse se ognuno di voi questa sera spegnesse tutte le luci e guardasse il cielo in silenzio,
   saprebbe che la bellezza e la gratitudine ci salvano dallo smarrimento.
   Forse sapreste che solo uno è il metodo della faticosa ed entusiasmante arte di dare
   compimento a se stessi e alle cose fragili, per salvarle dalla morte: l'amore.

   Questo è il segreto per rinascere. Questa è l'arte di essere fragili.

           Musica: “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo” di Luciano Ligabue
  Sono sempre i sogni a dare forma al mondo. Con questa frase Luciano Ligabue, ci riporta a
  rileggere ed a reinterpretare i nostri sogni come la possibilità, l’occasione per cambiare la
  realtà in cui viviamo: sono i sogni a fare il mondo. L’autore in quell’: "Io non lo so”, dà voce
  a quella ricerca di senso, a quel Mistero che abita i nostri sogni e la nostra stessa vita e che
  ci chiama a trasformare i nostri sogni, i nostri progetti nell’opportunità di dare forma al
  mondo: tutte le imprese, tutte le cose realizzate, qualsiasi cosa abbia plasmato il mondo nel
  quale viviamo è passata attraverso il sogno di qualcuno che poi l’ha realizzato. Accostando
  sogno e realtà si riesce ad avere una visuale dall’alto che consente di individuare tutte le
  possibilità e di fare le scelte più accurate per concretizzarle. È importante vivere i sogni,
  perché ci permettono di guardare con occhi sempre nuovi il frammento di mondo che
  vorremmo creare o cambiare, senza stanziarsi in una speranza illusoria che non porta a
  nulla. Il sogno nasce dal cuore, prende forma nella mente ed è solo lavorandoci,
  modificandolo e ricreandolo che possiamo farlo crescere e avvicinarlo alla realtà.
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