ADESSO - MARTIN LINDSTROM - Ripensare vita e lavoro in un mo(n)do diverso - Hoepli Editore

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ADESSO - MARTIN LINDSTROM - Ripensare vita e lavoro in un mo(n)do diverso - Hoepli Editore
ADESSO
Ripensare vita e lavoro
in un mo(n)do diverso

MARTIN LINDSTROM
ADESSO - MARTIN LINDSTROM - Ripensare vita e lavoro in un mo(n)do diverso - Hoepli Editore
MARTIN LINDSTROM

  ADESSO
 Ripensare vita e lavoro
 in un mo(n)do diverso

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO
Titolo originale: Buyology for a Coronavirus World
Copyright © 2020 by Martin Lindstrom
All rights reserved

First published by Lindstrom Company 2020.
No part of this publication may be reproduced, stored or transmitted in any form or by any
means, electronic, mechanical, photocopying, recording, scanning, or otherwise without
written permission from the publisher.

Per l’edizione italiana
Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2020
via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy)
tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886
e-mail hoepli@hoepli.it

www.hoeplieditore.it

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge
e a norma delle convenzioni internazionali

ISBN EBOOK 978-88-203-9964-1

Progetto editoriale: Maurizio Vedovati – Servizi editoriali (info@iltrio.it)
Traduzione: Sabina Addamiano

Realizzazione digitale: Promedia, Torino
Sommario

Premessa                                                     1
Nota all’edizione italiana                                   5

I Un’altra prospettiva
1 Introduzione                                              15
2 L’amigdala in sovraccarico                                17
3 Guardate sempre nella direzione opposta                   21
4 Il primo 11 settembre globale                             27
5 Sto impazzendo?                                           35
6 Il manuale strategico del coronavirus                     41

II È tutta una questione di cambiamento
7 Al tempo del bisogno, potete davvero fare la differenza   49
8 Un’opportunità assolutamente unica                        57
Post scriptum                                               65
L’autore                                                    67
Altre opere di Martin Lindstrom
Ai milioni di operatori sanitari di tutto il mondo.
    Non tutti i supereroi indossano mantelli.
PREMESSA

Undercover Boss è una famosa serie TV. Il format è molto semplice:
un capo viene fatto travestire e poi mandato a lavorare in prima li-
nea nella sua impresa. I risultati sono prevedibili e prevedibilmente
divertenti.
In una delle puntate, il CEO di una catena di locali notturni viene
spedito a lavorare in alcuni dei suoi locali. Si sorprende nello sco-
prire che i giovani si ubriacano fino a cadere in catalessi o ad aver
bisogno di un ricovero d’urgenza. Si sorprende ancor più nello sco-
prire che i bagni dei night club non sono molto accoglienti alla fine
di una lunga serata. Strada facendo, mentre apre gli occhi davanti
alla realtà del suo business incontra alcune persone eccezionali che
lavorano per la sua azienda: addetti alle pulizie, manager capaci di
fare praticamente qualunque cosa, giovani marketer con l’incarico
di buttafuori.
Settimana dopo settimana, i dirigenti vengono messi di fronte alla
realtà delle loro imprese e ne sono sorpresi. Ciò pone una domanda
scontata: perché non sanno cosa succede nelle loro imprese?
Forse per mancanza di curiosità. Forse sono intrappolati in una sor-
ta di comfort zone aziendale. Forse per mancanza di immaginazio-
ne, o per l’incapacità di collegare la decisione di vendere shottini
Premessa

in un night club a meno di un dollaro con l’ubriachezza dilagante.
Quale che sia la ragione, è inammissibile che i dirigenti non com-
prendano la realtà quotidiana della propria attività. In effetti, i
leader aziendali più sorprendenti e capaci hanno una comprensione
profonda dei dettagli del loro business. Sanno anche che qualunque
organizzazione fa affidamento su persone che fanno cose fantasti-
che e non si limitano semplicemente a fare il proprio dovere.
Queste lezioni ci sono state consegnate a domicilio durante la pan-
demia di coronavirus del 2020. Gli eroi non siedono in uffici presti-
giosi del 57° piano, ma lavano i pavimenti. Sono diversi dalle figure
ben note che vengono lodate e applaudite regolarmente, e remune-
rate molto generosamente.
Gli eroi sono persone. Persone ordinarie, ma straordinarie.
Tutto ciò non suona affatto nuovo a Martin Lindstrom. Da anni
mette in contatto i dirigenti con i clienti delle imprese da loro ge-
stite. Ricorda continuamente ai dirigenti e alle organizzazioni che
collaboratori e clienti restano comunque esseri umani.
Martin è una presenza fissa nella nostra classifica di business thin-
ker Thinkers50 perché combina dati, ricerche e analisi con il senso di
umanità. Crediamo da lungo tempo che non ci sia nulla di così pra-
tico come una grande idea e che la gestione sia in realtà un’attività
semplice, a condizione che non dimentichi due aspetti fondamenta-
li: trattare le persone con rispetto e prestare loro ascolto.
L’esperienza di Martin nel risvegliare l’attenzione delle organizza-
zioni per le esigenze dei clienti e nel metterle in condizioni di pensa-
re il mondo in modo diverso è vasta e impressionante. Il suo inter-
vento cambia le cose.
Ho adorato Buyology non appena è uscito; è il miglior titolo di sem-
pre per un libro di business! Ma è stato Small Data a fare di me un
vero e proprio fan di Martin. È stata l’attenzione ossessiva per i det-
tagli, sono state le visite in quasi 2000 abitazioni di consumatori in

                                   2
Premessa

77 Paesi e l’attenzione per l’essenza del comportamento umano: ciò
che le persone vogliono, ciò di cui hanno bisogno, ciò a cui aspirano.
Buyology for a Coronavirus World dà un senso al nuovo ordine mon-
diale integrando la proverbiale attenzione di Lindstrom per i detta-
gli che definiscono gli esseri umani con dati convincenti. Va letto.
Adesso.
                            Stuart Crainer, cofondatore di Thinkers50

                                  3
NOTA ALL’EDIZIONE
                ITALIANA

                                                            Cosa sarà
                                           che ti fa comprare di tutto
                                 anche se è di niente che hai bisogno

                                                                Oh
                                                         Cosa sarà
                                              che dobbiamo cercare
                                              che dobbiamo cercare
                                            Lucio Dalla, Cosa sarà

Nelle ultime settimane siamo stati tutti travolti da ondate incessan-
ti di post, tutorial, programmi tv, articoli, immagini, webinar con
i consigli più disparati per reagire al lockdown: come fare la piz-
za, come fare la manicure col gel semipermanente senza estetista,
come fare meditazione per tenere a bada lo stress, come non abbru-
tirsi in pigiama davanti al pc, come vestirsi e truccarsi per una call,
come organizzare lo spazio domestico per arginare l’invadenza del
lavoro nella vita personale. E molto, molto altro.
Nota all’edizione italiana

Se prendiamo per un momento le distanze da tutto questo e per-
mettiamo a noi stessi di guardare le cose più in profondità, possia-
mo chiederci se ci sia un minimo comun denominatore, un fattore
che accomuni tutte queste indicazioni. La risposta ce la dà Martin
Lindstrom: questo fattore c’è ed è la nostra mente subcosciente, che
registra i traumi in modo indelebile e reagisce ad essi in modi so-
stanzialmente irrazionali.
Ogni generazione ha il suo trauma profondo. La nostra è marcata
dal coronavirus, che si è già radicato nel subcosciente di ognuno. A
livello cosciente ha già dato vita, oltre che a un numero incalcolabile
di contenuti digitali, a un meme folgorante che si rifà all’arazzo di
Bayeux, meraviglioso artefatto dell’XI secolo. Il meme riassume con
grande potenza, dando loro profondità storica, le nostre paure e i no-
stri comportamenti individuali e sociali forzatamente mutati sotto
l’inesorabile dominio del coronavirus:

 Fonte: pictame2.com/user/mediaevi/ (autore: Davide Ravaioli)

                                  6
Nota all’edizione italiana

Non solo le persone, ma anche le organizzazioni hanno dovuto
mobilitare tutte le proprie energie e risorse per reagire a questa si-
tuazione inedita. Molte hanno dovuto imparare dall’oggi al domani
cosa voglia dire disruptive innovation e ripensare la relazione tra or-
ganizzazione, persone, processi e tecnologie; molte imprese hanno
dovuto o dovranno presto reingegnerizzare completamente il pro-
prio modello di business partendo dall’IT come fattore abilitante,
pena la sopravvivenza. Alcune imprese italiane – che Lindstrom cita
tra le altre come esempi positivi di generosità e adattamento, in Ita-
lia e all’estero – hanno da subito intrapreso questa via.
Lindstrom ci offre spunti di riflessione preziosi e provocatori sul
mondo dopo il coronavirus. L’indicazione cruciale riguarda l’empa-
tia, la capacità di entrare in risonanza con gli altri esseri umani che
è alla base della nostra sopravvivenza individuale, organizzativa e
collettiva. E che ha molto a che fare con la leadership vera.
Questa è oggi chiamata a ripensare radicalmente anche il purpo-
se dell’impresa e del brand, ivi compresa la sostenibilità. Forse su
questo fronte sta succedendo qualcosa di nuovo e di buono: nel pri-
mo trimestre 2020 il gigante dei fondi di investimento Blackrock ha
raccolto 15,5 miliardi in investimenti sostenibili, “il maggior dato
trimestrale mai raccolto per i flussi sostenibili”.
Possiamo dunque, anche se profondamente segnati dall’esperienza
del coronavirus, trarne più di una lezione positiva a livello perso-
nale, organizzativo e collettivo. Questo libro di Lindstrom ci mette
sulla buona strada.

                                                     Sabina Addamiano
                       Docente di Sustainability and Cultural Awareness
                                                nell’Università Roma Tre

                                   7
PREFAZIONE

   Anche se vediamo lo stesso mondo, lo vediamo con occhi diversi.
                                                  Virginia Woolf

Lo ammetto: sono pazzo. Sono andato in vacanza a Hong Kong
proprio quando il coronavirus era in testa alle prime pagine dei
quotidiani.
Mentre tutti sbarcavano dall’aereo proveniente da Hong Kong,
sono salito a bordo del volo di ritorno. Mi sono ritrovato in un aereo
completamente vuoto, dentro il quale mi sono abituato a un nuovo
mondo in cui le mascherine erano obbligatorie. Il controllo passa-
porti era deserto, gli hotel senza ospiti, le strade prive di qualunque
segno di vita.
Conosco molto bene Hong Kong. Negli ultimi tre decenni, sono pas-
sato per questa città stupefacente centinaia di volte. Ho imparato a
conoscere le persone e l’anima della città, sia prima sia dopo la su-
pervisione cinese. Eppure stavolta qualcosa era diverso. Alla fine di
gennaio 2020 c’era stata una sola vittima in questa città di sette mi-
lioni di persone, ma il coronavirus aveva ovviamente riscosso il suo
tributo. La ragione più probabile? In ultima analisi, la mascherina.
Prefazione

Avendo lavorato a lungo in Arabia Saudita, avevo riflettuto a lun-
go sull’impatto dell’abaya e del velo obbligatori indossati da molte
donne. Mi ero chiesto quale effetto avesse sulla nostra capacità di
entrare in relazione con un’altra persona il fatto che qualsiasi parte
del viso tranne gli occhi ci fosse preclusa. Poi, a Hong Kong, ho in-
contrato di nuovo un cameriere che conoscevo da tempo. Dietro alla
mascherina, tutti i movimenti del suo viso che mi erano familiari
erano diventati invisibili. Mi sono reso conto che la mascherina ha
fatto molto di più che minimizzare la diffusione del virus. Ha anche
eliminato l’empatia.
L’empatia è un tema che mi sta molto a cuore. L’ho studiata per circa
due anni mentre scrivevo il mio nuovo libro Ministry of the Common
Sense, che uscirà a gennaio 2021. Lo so, all’inizio l’empatia potrebbe
sembrare un soggetto piuttosto tenero; potrebbe essere associato a
dolcetti e bambini in lacrime. Ma la realtà è molto diversa. Ho capito
che l’empatia è la spina dorsale dell’umanità. Possiamo anche non
pensarci ogni giorno, eppure anche il più piccolo movimento fac-
ciale, invisibile a occhio nudo ma rilevabile dal nostro subconscio,
ha dimostrato di avere un impatto profondo sulla nostra capacità di
entrare in relazione con altre persone. Di fatto, quando alle madri
viene chiesto di restare impassibili davanti al loro bambino, dopo
pochi minuti questo ha una crisi di rabbia così grave da poter durare
per ore. Gli studi mostrano addirittura che le madri che usano il
botox perdono la connessione emotiva con i loro figli; tutto ciò è
dovuto alla perdita dei segnali visivi dell’empatia.
Mentre camminavo per le strade di Hong Kong, mi sono reso conto
che quella era la sensazione che avevo perso. È stato estremamente
inquietante. Perdere la sensazione dell’empatia è stato spaventoso,
per non dire altro.
Secondo uno studio statunitense condotto su oltre diecimila ragaz-
zi, il livello di empatia è diminuito enormemente: il calo avvenuto

                                 10
Prefazione

negli ultimi dieci anni è del 50%. Accanto a questa mancanza di em-
patia, assistiamo anche a un picco nei tassi di suicidio; diversi esperi-
menti confermano questa correlazione sorprendente.
Lo scrivo perché probabilmente il sentimento profondo e inquietan-
te che ho provato a Hong Kong, e che in seguito si è diffuso in tutto
il mondo, definirà il futuro. Il coronavirus sarà scomparso da tem-
po, e con lui le mascherine. Probabilmente ci saranno altre epidemie
globali, ma ora non ci penso. Quello a cui penso è la perdita di empa-
tia causata dal cambiamento del nostro stile di vita.
Cosa succede se siamo sempre al telefono, e alziamo raramente lo
sguardo? Cosa succede se i primi passi del nostro bambino di un
anno non vengono registrati dai nostri occhi, ma passano per lo
schermo irrinunciabile del nostro smartphone? Cosa succede se ci
mettiamo sei secondi per valutare qualcuno su Tinder, o se i nostri
auricolari alla moda sono una barriera permanente mentre urliamo
al mondo “Fottiti”? Cosa succede se abbiamo a disposizione solo 280
caratteri per esprimere i nostri veri sentimenti su Twitter, o se cu-
riamo il nostro profilo Facebook a un livello tale da non riconoscerci
più, sebbene il profilo sia perfetto per il mondo a cui aspiriamo?
Perdiamo empatia. Ovviamente, non ci accorgiamo di questa per-
dita. Avviene lentamente, quasi impercettibilmente, proprio come
quando si mette una rana in una pentola di acqua fredda e si alza
la temperatura. Se si gettasse la rana nell’acqua bollente, quella
salterebbe a mettersi in salvo per un riflesso condizionato, ma se
si aumenta lentamente la temperatura la povera rana non se ne
accorgerà mai.
L’empatia è ciò che ha plasmato la specie umana così come la co-
nosciamo oggi. È la nostra capacità immaginativa di metterci nei
panni del nemico o prevedere cosa farà l’orso pochi secondi prima
che attacchi. È la nostra capacità di nutrirci e prenderci cura l’uno
dell’altro anziché sprofondare nell’odio online.

                                   11
Prefazione

Eppure il sentimento di empatia che una volta era tipico di Hong
Kong sembrava scomparso, sostituito dalla paura e dalle mascheri-
ne. Una tendenza spaventosa che ora, mesi dopo, sembra definire
vaste zone del nostro pianeta. In che modo influenzerà il modo in
cui viviamo e respiriamo? Quale impatto avrà sulle nostre speranze
e sui nostri sogni? E quanto a voi, cari imprenditori: come cambierà
la nostra buyology, il nostro approccio ai consumi, nel mondo del
coronavirus?

                                12
I
        Un’altra prospettiva
“Il mondo come l’abbiamo creato è un processo del nostro pensiero.
  Non possiamo cambiarlo se non cambiamo il nostro pensiero.”
                       Albert Einstein
1
                    INTRODUZIONE

    “Nelle epoche di grande cambiamento non è il più forte o il più
    intelligente che sopravvive, ma colui che si adatta meglio al cam-
    biamento.”
                                                    Charles Darwin

Se la fiducia delle persone riguardo alla loro salute è giunta al punto
più basso dalla Grande Depressione degli anni ‘30 a oggi, quale pen-
sate che sia il prodotto – oltre alle dotazioni obbligatorie di prote-
zione personale e al cibo – che potrebbe contro ogni previsione non
solo sopravvivere, ma addirittura prosperare, durante la pandemia
globale? (Suggerimento: non è qualcosa di cui generalmente si par-
lerebbe in una conversazione formale).
Non ci arrivate? Ecco qua: c’è stato un aumento a livello mondiale
delle vendite di profilattici, sex toys e prodotti correlati1.
Nell’aprile 2020, le vendite di carta igienica negli Stati Uniti sono

1. https://www.ft.com/content/80e11807-3e0d-4867-9b42-bbe959a071a9.
Adesso

aumentate del 60% rispetto all’anno precedente2; biglietti d’augu-
ri3, biglietti della lotteria, alcolici (gli alcolici sono aumentati, ma le
vendite di champagne sono calate; vai a capire!), libri da colorare4,
sigarette e giochi di carta in scatola di montaggio hanno invece assi-
stito a un incremento notevole.
Le persone fanno scorta anche di armi5. Dato non trascurabile,
Netflix ha acquisito 16 milioni di nuovi abbonati in soli tre mesi6.
Si tratta di autoconservazione, o – per dirla con le parole dell’econo-
mista americano Alan Greenspan dopo il crollo finanziario del 2008
– di “esuberanza irrazionale”. Intente a soddisfare i propri bisogni
primari, le persone hanno temporaneamente perso di vista il vero
valore dei beni di largo consumo.
Benvenuti nella pandemia da coronavirus.

2. https://www.statista.com/chart/21327/rise-in-revenuetoilet-paper-selected-countries/.
3. https://www.digitalcommerce360.com/2020/04/07/as-consumers-hunker-down-at-
home-stores-move-online/; https://www.pgbuzz.net/sparks-of-movement-as-cardretai-
lers-start-to-receive-their-grants/.
4. https://www.einpresswire.com/article/514219649/educational-coloring-books-in-home-u-
se-rises-as-parentsbecome-teachers.
5. https://abcnews.go.com/US/gun-sales-rise-coronavirusconcerns-spread/story?id=
69722973.
6. https://www.washingtonpost.com/business/2020/04/21/netflix-adds-whopping-16-mil-
lion-subscribers-worldwide-coronavirus-keeps-people-home/.

                                          16
2
                L’AMIGDALA
            IN SOVRACCARICO

   “La paura non sta da nessuna parte, se non nella mente”.
                                                    Dale Carnegie

Tutti ormai conosciamo bene la pandemia causata dal coronavirus,
il virus che ha avuto origine in Cina e si è diffuso rapidamente in
tutto il mondo. Abbiamo visto i sistemi sanitari collassare uno dopo
l’altro, le imprese che lottano per sopravvivere e milioni di persone
che perdono il lavoro. Oggi siamo davanti a un mondo che è nuovo
per consumatori, aziende e brand.
In ogni parte del mondo stiamo aspettando che una luce verde si
riaccenda e dia il segnale che tutti possiamo uscire dal nostro isola-
mento, respirare l’aria fresca, abbracciare qualcuno che amiamo...
e tornare a comprare le stesse cose che eravamo abituati a compra-
re senza dover lanciare un allarme radar costante per il timore di
imbatterci in qualcuno che starnutisce e che non ha intenzione di
allontanarsi da noi e mettersi a distanza di sicurezza.
Adesso

Ma la maggior parte degli esperti concorda: quella luce verde non si
accenderà presto.
L’economia mondiale in futuro si riprenderà, anche se ci vorrà qual-
che anno, ma sono convinto che le cose non torneranno più come
prima. La maggior parte delle ragioni si trova nel nostro cervello
primordiale, in come agiamo e viviamo sotto una nube di paura.
Sono sicuro che vi siate già chiesti perché la domanda di carta igie-
nica sia stata così alta da quando la crisi ha via via colpito i nostri
Paesi. Voglio dire: ovviamente la risposta non è che abbiamo deciso
di andare in bagno più spesso durante la pandemia.
Se riavvolgiamo il nastro del tempo ed eliminiamo dal nostro cer-
vello, uno dopo l’altro, tutti gli strati della civiltà – le gerarchie
aziendali, il desiderio di mantenere i nostri like su Facebook e i
nostri follower su YouTube, i nostri smartphone e il consumismo
– scopriamo che una memoria procedurale molto diversa è in piena
attività. Il nostro primordiale istinto di sopravvivenza ha portato al
massimo livello di sovraccarico una regione particolare: la nostra
area cerebrale della paura, detta anche amigdala. Abbiamo paura di
rimanere senza cibo, di essere dimenticati e di morire da soli.
Forse che una di queste paure, il panico o la parsimonia vi suonano
assolutamente familiari? Dovrebbero. Molti di noi sono nati da geni-
tori diventati maggiorenni durante la Grande Depressione e all’epo-
ca della seconda guerra mondiale. Noi, bambini cresciuti in tempi di
maggior benessere, probabilmente trovavamo strano comportarci
con parsimonia come i nostri genitori, obbedire alla loro richiesta di
spegnere la luce quando uscivamo da una stanza, vederli riscaldare
gli avanzi o riutilizzare un pezzo di carta stagnola. Una mia cara zia
piegava sempre con cura la carta dei regali di Natale, e la riciclava
per incartare i regali dell’anno successivo. Alcune carte di Natale
sono durate fino a un decennio!
La verità è che, vivendo in un’epoca in cui la maggioranza degli

                                 18
L’amigdala in sovraccarico

americani era costretta ad arrangiarsi, i nostri genitori e nonni han-
no vissuto in prima persona la natura illusoria dei bei tempi e dei
tempi difficili, della fiducia e della catastrofe. Può sempre succedere di
nuovo, e anche senza preavviso! Questo messaggio è stato impresso a
fuoco nel cervello dei nostri antenati. In effetti, sono convinto che
ogni generazione vivrà almeno una crisi grave, e in tal modo contri-
buirà a definire chi siamo e chi non siamo. Può sembrare ingiusto,
ma abbiamo scelto (o siamo stati scelti da) la Covid-19.

                  LA PAURA DI… TUTTO

Qualche tempo fa un’amica mi ha fatto una domanda retorica: per-
ché il nome Covid è seguito dal numero 19? Perché ci sono stati 18
virus COVID prima di questo, ha continuato, guardandomi con un
lampo di paura negli occhi. E ci sono un sacco di numeri dopo il 19,
mi ha ricordato. Ovviamente, trascurava il fatto che il 19 in realtà
indica l’anno in cui il virus è stato identificato per la prima volta.
Questa paura, che cresce e si diffonde più rapidamente di qualunque
altro driver emotivo nella nostra mente, è amplificata da una paura
costante di essere stroncati dal virus. No, non è solo paura di am-
malarsi (che è senza dubbio la paura principale per la maggior parte
delle persone), ma soprattutto di ciò che ne deriva: essere esclusi
dalle nostre tribù perché improvvisamente siamo etichettati come
“contagiati da Covid-19”. Vi sembra inverosimile? Beh, potreste es-
sere già stati sedotti da questo modello di pensiero senza renderve-
ne conto. Siate onesti. Avete mai tossito o starnutito nelle ultime
settimane o mesi? C’era qualcuno vicino a voi? Oppure qualcuno
che conoscete l’ha fatto, solo per precipitarsi a elencare una serie
di motivazioni per cui certamente voi o loro non avevate il corona-
virus? In effetti, siete sani al 100%: “Non preoccuparti. Sto bene, è

                                   19
Adesso

stato solo un piccolo colpo di tosse”, vi siete sorpresi a dire mentre
cercavate di convincervi, come chiunque altro sul pianeta Terra, che
di sicuro non avevate preso il coronavirus e non avevate mai pensato
di prenderlo7.
Bene, ecco i fatti. A meno che non siate tra le 125 persone per mi-
lione che sono state sottoposte a test per la Covid-19, come fate a
saperlo, dato che almeno il 25% dei contagiati è asintomatico, che
il virus si diffonde in un raggio di tre metri e mezzo e che rimane
attivo sulle superfici metalliche per più di tre giorni?
In base a cosa potete affermarlo con assoluta certezza?
In base al fatto che il nostro cervello rettiliano, raggelato dalla paura
di essere esclusi dalla nostra tribù, ci impone di affermarlo: esat-
tamente come negli anni ‘80 chi aveva l’Hiv lo teneva nascosto, o
come (senza fare alcun confronto) fino a poco tempo fa ci si vergo-
gnava di portare apparecchi acustici o di usare inalatori, o ancor
oggi ci si vergogna di portare una sacca da colostomia. Tutto fa capo
a una profonda paura innata di essere esclusi dalle nostre tribù, e alla
paura di essere lasciati a morire da soli. Temiamo l’”anzianicidio”,
l’usanza (che c’è tra gli Inuit) di abbandonare gli anziani a morire
sulla banchisa polare. Era un’usanza comune – o si credeva che lo
fosse – ovunque, dai Paesi nordici all’Italia, all’India e al Giappone.
Centinaia e addirittura migliaia di anni dopo, quella paura ci è rima-
sta dentro, anche se personalmente non ho visto nessuno spinto giù
da un muro o abbandonato sul ghiaccio perché è anziano.

7. https://www.nytimes.com/interactive/2020/03/17/us/coronavirus-testing-data.html; ht-
tps://www.nytimes.com/2020/03/31/health/coronavirus-asymptomatic-transmission.html.

                                         20
3
     GUARDATE SEMPRE
  NELLA DIREZIONE OPPOSTA

   “L’occhio vede solo ciò che la mente è pronta a comprendere.”
                                                   Robertson Davies

       SIAMO TUTTI FUORI EQUILIBRIO...

Mentre facevo ricerca per il mio libro Small Data ed entravo in
quasi 2000 case di consumatori in circa 77 Paesi diversi, ho fatto
una scoperta che ha implicazioni di vasta portata sul modo in cui
potenzialmente osserviamo noi stessi e il mondo. Siamo tutti fuo-
ri equilibrio, e la nostra missione costante è quella di recuperare
l’equilibrio. Se guardiamo questo fatto con le lenti del mercato,
vediamo che il divario tra l’essere in equilibrio e l’essere fuori
equilibrio rappresenta un’opportunità per creare nuovi prodotti,
brand o servizi. Forse siamo sovrappeso (e la risposta è Weight
Adesso

Watchers), o ci sentiamo soli (dovremmo provare match.com?) o
insicuri (dobbiamo incontrare il life coach Tony Robbins). Qual-
cuno potrebbe obiettare che quei driver profondamente radicati
(tutti ordinatamente collocati nella parte più bassa della piramide
dei bisogni di Maslow) sono il sottotesto costante del nostro com-
portamento quotidiano, e influenzano sottilmente la verità e le
bugie su ciò che facciamo e sui motivi che ci spingono a compra-
re. Dunque, perché questo aspetto della faccenda è così essenziale
da capire? Voglio dire: la Covid-19 e le sue conseguenze non sono
semplici come qualsiasi altra recessione cui abbiamo assistito fino
a oggi? Non si tratta semplicemente di persone che hanno meno
soldi e quindi spendono meno?
La crisi finanziaria del 2008 potrebbe offrirci alcune lezioni che me-
ritano di essere rispolverate se cerchiamo di comprendere le vere
conseguenze della Covid-19 e il modo in cui le imprese dovrebbero
affrontarla. In sostanza, con il mio team di ricerca abbiamo impara-
to che dovremmo evitare di guardare il mondo mettendoci gli oc-
chiali del panico (e quindi adottando automaticamente un approc-
cio lineare); abbiamo invece imparato a scavare in profondità nella
psiche umana alla ricerca dei modelli sottesi ai comportamenti, e a
conformare le strategie aziendali a tali modelli.
Quello che abbiamo imparato è che non bisogna reagire al panico
come tale. Bisogna invece cercare di capire e affrontare la causa
principale del panico, cercare di comprendere i nostri squilibri.
Durante il salvataggio dalla crisi finanziaria del 2008 effettuato dal
governo degli Stati Uniti, quasi tutte le principali case automobili-
stiche americane hanno abbassato i prezzi; l’effetto sulle vendite è
stato molto debole. Nel frattempo la Hyundai, impresa produttrice
della Corea del Sud, ha deciso di indagare le cause alla base della
crisi. Il programma di ricerca sui consumatori di Hyundai ha fatto
una scoperta incredibilmente preziosa.

                                 22
Guardate sempre nella direzione opposta

L’impresa ha scoperto che i consumatori avevano ancora le risorse
per acquistare un’auto ma, non sapendo se avrebbero mantenuto il
proprio posto di lavoro, evitavano ogni spesa inutile. In risposta, la so-
cietà ha lanciato Hyundai Assurance. Gli annunci recitavano: “Presto,
acquista ora una nuova Hyundai di qualunque modello; se nel prossi-
mo anno non avrai più il tuo reddito, ti permetteremo di restituirla”.
L’incremento delle vendite è stato di una percentuale a due cifre.
Quante auto sono state restituite? Lee Myung-Bak, il nuovo CEO
di Hyundai (entrato a far parte del gruppo nel 2008) mi ha detto:
“Cinque”.

                GUARDATE SEMPRE
            NELLA DIREZIONE OPPOSTA

Torniamo alla teoria del “disequilibrio”.
Mi sembra che molti di noi si siano sentiti fuori equilibrio negli ulti-
mi mesi. Potrebbe essere paura dell’isolamento, incertezza, insicu-
rezza o sensazione di perdita. L’identificazione di questi disequilibri
ci ha portato a scoprire ciò che chiamo “small data” – osservazioni
apparentemente insignificanti sulla vita delle persone – i quali, a
loro volta, hanno il potenziale per creare le basi per nuovi prodotti
e servizi.
Per ora, restiamo in isolamento e senza contatto umano, e ci sono
buone probabilità che stiamo entrando non solo in una recessione
globale ma in una depressione globale. Ovvio che siamo fuori equi-
librio.
Ma questo fatto, a sua volta, ci prospetta nuove opportunità. Per
comprenderle, dobbiamo capire i nostri driver sottostanti, la nostra
mente subcosciente.

                                   23
Adesso

             TENIAMOCI IN CONTATTO

L’85% del nostro comportamento quotidiano può essere classificato
come irrazionale, e solo il 15% come razionale. Immaginatelo come
un iceberg: chi è al mare può vederne solo la punta, mentre la mag-
gior parte, nascosta sott’acqua, tiene in equilibrio la punta.
Ne sono sicuro, non concordate con me su questo punto. Quanto
meno, state dicendo: il resto del mondo può essere irrazionale, ma
non etichettate me come un irrazionale.
Ma siete mai stati innamorati? Siete sposati? Ditemi: avete tirato fuo-
ri un foglio Excel per controllare i parametri del vostro partner, la
sua altezza ideale, il numero Pantone corrispondente al colore dei
suoi capelli, le statistiche sugli sbalzi d’umore? Di certo non l’avete
fatto prima della proposta di matrimonio.
Il nostro comportamento irrazionale si manifesta in ogni aspetto
della nostra vita. Per quanto ne so, toccare legno non ha assoluta-
mente alcun effetto; è solo una superstizione innata che cerchiamo
sempre di evitare. Come mai, quando guardate la televisione e vi
accorgete che la pila del telecomando è quasi scarica, premete forte
sul telecomando per spremerne l’ultimo residuo di energia?
Il lato ironico della faccenda è che il comportamento irrazionale non
riguarda solo me e voi. Piuttosto, si trova in ogni aspetto della no-
stra società. Guardate l’andamento della Borsa durante la Covid-19.
È razionale o irrazionale? E lo storico prezzo negativo raggiunto dal
petrolio greggio a causa del forte calo del traffico aereo e strada-
le (sì, avete letto bene: i venditori pagano per sbarazzarsi del loro
petrolio!)? Eppure voi e io sappiamo che presto gli aerei e le auto
torneranno a funzionare e che consumeranno carburante. Forse che
qualcuno è irrazionale?
Se comprendono il nostro comportamento irrazionale, le imprese
possono evitare di farsi affascinare dalle soluzioni dettate dal pa-

                                 24
Guardate sempre nella direzione opposta

nico. E se comprendono lo spoglio paesaggio invisibile della psiche
umana, possono navigare queste acque agitate.

    IMMAGINATE CHE TRE MILIARDI DI
  PERSONE SIANO STATE INCARCERATE...

Una delle nostre paure innate è la perdita della libertà personale,
altrimenti detta incarcerazione. Quando il sistema giudiziario vuole
punire un individuo, ne impone l’isolamento, la separazione dagli
amici e colleghi, l’esilio in uno spazio chiuso, la perdita di ogni inte-
razione fisica con il mondo.
Oggi, tre miliardi di noi hanno fatto esattamente questa esperienza.
Non è un grosso problema, potreste pensare; fino al momento in cui
un’altra dimensione innata del nostro cervello rettiliano non si ren-
de conto che questa situazione si traduce in mancanza di contatto.
Perché, in questa situazione, abbiamo smesso di toccare chiunque,
stringere mani, abbracciare le persone, dare una pacca sulle spalle,
ricevere una pacca sulla spalla: cose che davamo per scontate.
Alcuni anni fa, un certo dottor John Benjamin ha condotto una serie
di esperimenti presso il Centro medico dell’Università del Colorado.
Ha dato a due gruppi di topi le stesse risorse per sopravvivere: cibo,
acqua e uno spazio vitale sicuro. L’unica differenza era che i topi di
un gruppo venivano accarezzati e coccolati, mentre quelli dell’altro
venivano completamente ignorati. Il risultato? I topi che venivano
accarezzati apprendevano e crescevano più velocemente. Il contat-
to, ha dimostrato lo studio, è un fattore chiave per la sopravvivenza.
Come ho scritto nel mio libro Brand Sense, la parola “contatto” rac-
chiude un mondo di significati. Cerchiamo di “rimanere in contat-
to” con gli amici, e “perdiamo il contatto” con gli altri. Le persone
sono sensibili al “tocco personale”. Tutte queste espressioni riman-

                                  25
Adesso

dano direttamente a segnali sensoriali e impulsi relativi al fatto che
la nostra appartenenza tribale è ancora tutta lì.
Siamo nel 2020, e non ho toccato un’anima! Beh, in realtà l’ho fatto,
ma le persone che ho toccato si contano su un dito solo!
Ecco il problema. A livello visivo siamo più che soddisfatti, forse
persino pronti a esplodere. Ieri sono stato in teleconferenza davanti
a uno schermo per nove ore. Senza staccare mai. Dopo aver final-
mente chiuso la connessione, ho sperimentato un vuoto sentimento
di perdita. Avevo parlato con molte persone, a volte anche riso, ep-
pure mi sentivo come se avessi visto il mondo attraverso lo specchio
di un focus group a senso unico. Mi sono reso conto di aver osserva-
to il mondo, ma di non averne mai fatto davvero parte.
Chiedete ai giapponesi, che hanno maturato una posizione molto
chiara sull’argomento dopo anni di studi fondati sull’osservazio-
ne, solo alcuni dei quali includono cittadini anziani. Gli studi con-
dotti in residenze per anziani in tutto il Paese hanno scoperto una
correlazione diretta tra mancanza di contatto e depressione, e tra
quest’ultima e la speranza di vita. Meno gli anziani facevano uso
del senso del tatto, prima sarebbero morti. Con un approccio tipi-
camente giapponese, hanno inventato uno strumento specifico con
l’unico obiettivo di prolungare la vita: un robot con le apparenze
di un tenero, soffice cucciolo di foca. Ha consentito agli anziani di
accarezzare e compensare la mancanza di contatto fisico con parenti
e amici, occupati e assenti.

                                 26
4
        IL PRIMO 11 SETTEMBRE
               GLOBALE

   “Quando esci da una tempesta, non sei più la stessa
   persona che c’è entrata. E per questa tempesta è tutto.”
                                                 Haruki Murakami

Tutti noi ricordiamo l’11 settembre. Ricordiamo dove eravamo
quando abbiamo sentito la notizia, con chi eravamo, chi è la prima
persona che abbiamo chiamato.
Tuttavia, sono abbastanza sicuro che non ricordiate il menu della
cena per la vostra ultima festa di compleanno. In effetti, per quanto
possiate sforzarvi di ricordare, quella cena potrebbe non esserci mai
stata.
Qual è la differenza? Antonio Damasio ha coniato un’espressione
neuroscientifica per definire questo fenomeno. L’ha definito “mar-
catore somatico”.
Un mio amico si tiene sempre alla larga dalle scale mobili. Lo ter-
rorizzano. Un giorno ho chiesto a sua madre il perché. Mi ha detto
Adesso

che a sei anni suo figlio, mentre stava in un grande magazzino, vide
una bambina che saliva a piedi nudi su una scala mobile. La bimba
inciampò, e un secondo dopo la morsa di quella grande cosa di ferro
le aveva strappato una parte dell’alluce. Certo, consapevolmente il
mio amico sa che le possibilità di farsi tranciare le dita dei piedi da
una scala mobile sono nell’ordine di una su in miliardo, ma quell’in-
cidente è stato per lui così scioccante che il suo rapporto con le scale
mobili non è stato mai più lo stesso.
Parliamo spesso di marcatori somatici – “segnalibri” o scorciato-
ie cognitive – che creano associazioni potenti nel nostro cervello.
Bene, per i consumatori di tutto il mondo questo è esattamente ciò
che l’attuale recessione ha creato: un potente marcatore somatico
negativo che collega la malattia e gli incontri sociali al grande senso
di paura e incertezza che ha sconvolto il mondo.
Di conseguenza, il solo pensiero di uscire di casa fa scattare auto-
maticamente paura e ansia. Tenetelo a mente: per quanto evoluti
molti credano di essere nel XXI secolo, tutti quanti non ci siamo
allontanati granché dai primati, che in tempi di paura e stress dedi-
cano la vita a occuparsi dei loro bisogni primari: cibo, salute, sesso
e sopravvivenza. Ecco perché facciamo scorta di profilattici, generi
alimentari, prodotti per l’igiene e armi.
Ciò spiega in modo molto convincente perché, in un clima di an-
sia globale, i consumatori americani stiano investendo in beni che
li proteggeranno dai pericoli. Un recente studio neuroscientifico
ha dimostrato che la paura è un driver molto più grande di quan-
to molti di noi ammettano (date la colpa all’amigdala, la piccola
regione del nostro cervello responsabile della creazione e della
memorizzazione della paura). Viviamo nella paura di ammalarci,
di perdere il lavoro, di non essere in grado di pagare la scuola o
l’università dei nostri figli, del fatto che il coniuge o il partner ci
lasci (in California durante la pandemia la violenza domestica è au-

                                  28
Il primo 11 settembre globale

mentata di quasi il 30%)8, di finire rovinati, ubriachi e senzatetto a
vivere per strada – e, naturalmente, di morire. Quando entriamo
in modalità sopravvivenza, la paura diventa un driver decisivo.
Ed è un driver incredibilmente potente. Pensate allo spot televisivo
“Daisy”, mandato in onda nel 1964 dai Democratici, in cui si minaccia-
vano gli elettori di distruzione nucleare se il candidato repubblicano
Barry Goldwater fosse stato eletto9; o a quello trasmesso nel 2004 da
George W. Bush e fondato sulla paura, in cui si vedevano dei lupi che
attraversavano furtivamente il confine degli Stati Uniti come terrori-
sti10: la nostra amigdala è impazzita. Gli elettori hanno espresso il loro
disgusto per entrambi gli spot, ma le tomografie del cervello hanno
dimostrato che la tattica della paura ha funzionato. Quando si è ar-
rivati al dunque, gli elettori hanno sostenuto (e detto che avrebbero
votato) i politici che li avrebbero “protetti” più efficacemente.

       IL MARCATORE SOMATICO DI OGGI

Oggi nelle nostre amigdale si verifica una riacutizzazione simile.
Solo che la nostra paura non è tanto quella della minaccia di una
guerra nucleare o del terrorismo, quanto quella della solitudine,
della mancanza di uno scopo e dell’esclusione dalle nostre tribù (il
mondo corre avanti online mentre cercate disperatamente di capire
“dov’è la festa”, ma non riuscite a trovarla). In un clima di protezio-
ne sanitaria incerta e instabile, abbiamo semplicemente il terrore di
uscire dalle nostre case.

8. https://abc7news.com/coronavirus-domestic-violence-lawyer-near-me-shelter-in-place-san-
ta-clara-county/6111904/.
9. https://www.smithsonianmag.com/history/how-daisyad-changed-everything-about-politi-
cal-advertising-180958741/.
10. https://www.theguardian.com/world/2004/oct/23/ uselections2004.usa.

                                           29
Adesso

Come spiegavo nel mio libro del 2008 intitolato Buyology, un mar-
catore somatico è un processo psicologico che controlla i processi
decisionali, un segnalibro emotivo così potente che non lo dimen-
ticherete mai. Essendo una scorciatoia per la sopravvivenza, ignora
le considerazioni logiche quando, per esempio, vi imbattete in una
tigre nella giungla. Una valutazione meditata sull’opportunità di ac-
carezzare la tigre non è la strategia di sopravvivenza migliore. Il
marcatore somatico vi dice: “Corri!”.
Questo potrebbe spiegare perché l’11 settembre abbia avuto un im-
patto così profondo sul modo in cui viviamo oggi. Quando viaggia-
mo, semplicemente accettiamo di criticare solo a bassa voce la Tran-
sportation Security Administration, di levarci le scarpe ai controlli
di sicurezza, di mettere in valigia flaconcini di shampoo in ridicoli
sacchetti di plastica e tenere d’occhio persone e bagagli sospetti.
Dopo l’11 settembre, la frequentazione dei centri commerciali è di-
minuita, la sorveglianza è aumentata e i dibattiti sull’immigrazione
sono cresciuti in modo esponenziale.
Ma oggi la realtà è che è arrivato un altro 11 settembre. È un mar-
ker somatico negativo chiamato coronavirus. È spaventoso, ma dato
l’impatto che la Covid-19 ha avuto sulla nostra vita quotidiana e sul-
le nostre routine, probabilmente le conseguenze a lungo termine
del coronavirus saranno profonde quanto quelle dell’11 settembre,
se non addirittura di più. Saranno diverse, ma saranno comunque
enormi.
Nell’ambito dello studio Buyology abbiamo utilizzato la risonanza
magnetica per scansionare diverse migliaia di cervelli di consuma-
tori, con l’unico obiettivo di comprendere il nostro comportamento
subconscio. Ed è qui che l’amigdala sembra giocare nuovamente un
ruolo fondamentale in ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi.
L’amigdala sembra entrare in gioco in associazione con i marcatori
somatici negativi.

                                 30
Il primo 11 settembre globale

Mentre dieci anni fa il mio gruppo di ricerca si imbatteva raramente
nell’amigdala, negli ultimi anni abbiamo notato che questa regio-
ne si attiva sempre più spesso. I soggetti sottoposti a test mostrano
un’attivazione crescente dell’amigdala quando sono online, specie
quando sentono parlare i politici. Sicurezza, criminalità, fake news,
furti di personalità, molestie sessuali, intossicazioni alimentari e
persino la perdita del telefono attivano l’amigdala.
La cosa terribile è che abbiamo imparato che tutto questo è cumu-
lativo. Più siamo esposti alla paura, più diventiamo paurosi. Questo
è vero anche quando non esiste alcuna correlazione tra i diversi fat-
tori che scatenano la paura. I nostri risultati scientifici avvalorano
l’ipotesi che la paura, se è abbastanza profonda, diventa un marker
somatico negativo. Ciò porta a una conclusione: proprio come l’11
settembre, il coronavirus sta causando un cambiamento comporta-
mentale molto profondo nella nostra società.
Le vittime? L’industria aerea, le navi da crociera, i centri commer-
ciali, i grandi magazzini, i concerti, i punti vendita al dettaglio, gli
eventi sportivi, i buffet dei ristoranti, ogni tipo di attività imprendi-
toriale che presupponga spazi affollati. Questi luoghi una volta sem-
bravano elementi costanti e affidabili della nostra vita, ma sotto il
colpo di un marcatore somatico negativo verranno probabilmente
cambiati e sostituiti... per sempre.
Nonostante il fatto che amiamo quei luoghi, il marcatore somatico
negativo che abbiamo installato nel nostro cervello durante i mesi
scorsi avrà probabilmente un impatto potente e duraturo su come
ci comportiamo. È probabile che facciamo acquisti in modo diverso,
spingiamo il carrello della spesa in modo diverso, entriamo nei sa-
lottini di prova in modo diverso, tocchiamo i pulsanti dell’ascensore
in modo diverso. E questi sono cambiamenti relativamente banali.
Pensate alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti, alle manifestazio-
ni politiche e alle dimostrazioni di piazza. Potremmo definirlo un

                                   31
Adesso

cambio di paradigma. In molti casi, indebolirà e addirittura sostitu-
irà interi settori industriali e istituzioni intere.
Nel caso di centri commerciali, grandi magazzini, negozi e luoghi di
divertimento si può far leva sul coronavirus per accelerare la sosti-
tuzione dei modelli tradizionali del mondo fisico con quelli digitali.
Come ha scritto il «New York Times» il 21 aprile 2020: “A marzo le
vendite di abbigliamento e accessori sono diminuite di oltre il 50%,
una tendenza che ad aprile potrà solo peggiorare. L’intero gruppo di-
rigente di Lord & Taylor è stato licenziato ad aprile 2020. Nordstrom
ha cancellato gli ordini e differito i pagamenti dei suoi distributori. Il
gruppo Neiman Marcus, la più sfolgorante catena americana di gran-
di magazzini, dovrebbe dichiarare bancarotta nei giorni a venire: è la
prima catena distributiva di grande rilevanza a crollare nella crisi in
corso… Probabilmente, saranno in pochissimi a sopravvivere”11.
Le vecchie industrie crolleranno, poiché lo spazio che un tempo do-
minavano è stato completamente ridefinito.
Ecco cosa succede: l’amigdala è come una malattia cronica. Una vol-
ta che sei stato infettato, non si limita a restare con te per sempre. È
probabile che cresca.
Negli anni, però, abbiamo scoperto che la paura racchiude un’ulte-
riore dimensione che potrebbe contribuire molto a spiegare lo stato
attuale del mondo. La paura amplifica e diffonde le fake news.
Pensate a questo fatto: nel 2009, a soli cinque anni dall’invenzio-
ne di Facebook, 2.000.000.000 (sì, due miliardi) di persone sono state
infettate dall’influenza suina (chiamata anche virus H1N1) e circa
203.000 sono morte12. Ricordate forse un delirio globale? C’era mol-
ta preoccupazione, ovviamente, ma non ricordo un panico planeta-
rio paragonabile a quello attuale.

11. https://www.nytimes.com/2020/04/21/business/coronavirus-department-stores-nei-
man-marcus.html.
12. https://www.livescience.com/41539-2009-swine-flu-death-toll-higher.html.

                                         32
Il primo 11 settembre globale

Uno dei motivi dell’odierno panico planetario potrebbero essere i
social media. Oltre ai social, un altro motivo potrebbe essere tro-
vato a Hollywood. Pensate a Contagion, Outbreak, Black Mirror, The
Rain e a molti film di James Bond (come Moonraker). Tutti hanno una
struttura narrativa molto simile a ciò che sta accadendo in questo
momento. Fate un rapido conto e troverete più di 40 film di successo
che promuovono l’idea di una pandemia globale. E certo: se ve lo
state chiedendo, su Netflix quei film compaiono tutti tra i principali
risultati di ricerca e tra i film più visti durante il picco della pande-
mia. Si potrebbe dire che, molto prima che il coronavirus arrivasse
davvero, avevamo visto decine di trailer che lo promuovevano, pre-
parandoci tutti a una situazione di panico e stimolando le nostre
amigdale.
Non fraintendetemi: non sto sottovalutando in alcun modo, forma o
aspetto il grave impatto del virus. Sto dicendo tutto questo perché,
in prospettiva, alcuni potrebbero sostenere che esista una correla-
zione bassa tra il tasso di mortalità del coronavirus e la nostra rea-
zione a quest’ultimo. Eppure, in un mondo alimentato dalla paura in
cui un’espressione come “scrolling da panico” è diventata normale,
con i social media in sovraccarico e un flusso costante di aggiorna-
menti 24/7 in televisione – che arrivano direttamente nei dispositivi
che teniamo in mano – e con i trailer di Hollywood amplificati da
notizie personali e pubbliche... tutto ciò potrebbe (ripeto: potrebbe)
essere una causa di fondo della situazione globale in cui ci troviamo.
Potremmo aver attivato inconsapevolmente una cellula di paura
dormiente nel nostro cervello, una narrazione disseminata nel corso
di decenni, una trama che sembra fin troppo familiare.
Il nostro cervello è dotato di più centri in grado di svolgere molti
compiti diversi; ma l’amigdala è unica, in quanto è dotata soltanto di
un’unica abilità. Sovrascrive qualunque cosa, tutto ciò che facciamo
o addirittura pensiamo di fare. È come un interruttore di emergen-

                                  33
Adesso

za: nessuna domanda, poco o nessun ricorso alla logica, blocco di
tutto il resto.
Ma la cosa peggiore è che siamo tutti programmati per rispondere
alla paura in questo modo.
È solo una questione di tempo. Il coronavirus alla fine svanirà, ma
la realtà spaventosa è che l’impatto emotivo del virus probabilmente
durerà, imbevendo di sé la nostra mente subcosciente. Creerà una
scorciatoia ancor più breve, pronto a prendere il controllo la prossi-
ma volta che si verificherà qualcosa di spaventoso.

                                 34
5
                STO IMPAZZENDO?

    “Una curva sulla strada non è la fine della strada...
    A meno che tu non ce la faccia a svoltare.”
                                                                  Helen Keller

Allora, quali sono le conseguenze di tutto questo a livello perso-
nale? Certo, potrei parlare più di me che di voi; ma, come me, an-
che voi negli ultimi tre mesi potreste aver notato che state venendo
meno alle vostre responsabilità di ogni tipo. Quelle di routine po-
trebbero essere azzerate, man mano che la vostra lista di cose da
fare si allunga sempre più – anche se, in teoria, ora avete tutto il
tempo libero del mondo. Potreste fare errori che non avreste mai
fatto prima. Quanto a me, so di esserne capace.
Sto divagando?
In uno studio del 199813, Roy Baumeister ha dimostrato che la pigri-
zia è spesso correlata all’esaurimento. Baumeister ha invitato due

13. https://www.theatlantic.com/health/archive/2012/04/ the-chocolate-and-radish-experi-
ment-that-birthed-the-modern-conception-of-willpower/255544/.
Adesso

gruppi di studenti in un laboratorio e ha messo due ciotole su un
tavolo. Una era piena di biscotti al cioccolato appena sfornati, l’al-
tra conteneva un mucchio di ravanelli. Ha chiesto ai membri di un
gruppo di mangiare i biscotti e di non prendere i ravanelli, e all’altro
gruppo di mangiare i ravanelli senza toccare i biscotti. I ricercatori
hanno lasciato il laboratorio, sperando che i soggetti dell’esperimen-
to sarebbero stati tentati di barare. I mangiatori di ravanelli avrebbe-
ro preso furtivamente un biscotto? O – il che è forse meno sadico – i
mangiatori di biscotti sarebbero stati tentati di mangiare un ravanel-
lo? Nessuno dei soggetti ha sbagliato e l’esperimento si è concluso, a
parte un piccolo dettaglio.
I ricercatori hanno poi chiesto agli stessi studenti di risolvere un pro-
blema di logica. Sconosciuto ai soggetti, il compito è stato progettato
per essere impossibile da risolvere. I ricercatori volevano semplice-
mente vedere quanto tempo i volontari avrebbero resistito prima di
arrendersi. E qui è venuto fuori un risultato sorprendente.
I mangiatori di biscotti hanno tentato di risolvere il problema, pro-
vando e riprovando per una media di diciannove minuti prima di
arrendersi. I mangiatori di ravanelli, invece, hanno resistito solo
otto minuti. Perché questo divario enorme? La risposta potrebbe
sorprendervi. Per resistere a quei biscotti deliziosi, i mangiatori di
ravanelli avevano esaurito le loro riserve di autocontrollo. Ne deriva
che il monitoraggio del nostro comportamento è sfiancante.
Questo spiega perché, quando torniamo a casa dopo una faticosa
giornata di lavoro, ci siano maggiori probabilità che trattiamo male
i nostri partner. Spiega anche quanto sia difficile gestire più sfide
contemporaneamente. Pensate a dover seguire una dieta, allenarsi,
imparare una nuova lingua e cambiare mano per lavarsi i denti, tut-
to allo stesso tempo. Suona estenuante, vero?
È esattamente ciò che sta succedendo a tutti noi in questo periodo.
Abitudini profondamente radicate, intrinseche alla nostra identità

                                  36
Sto impazzendo?

e al nostro comportamento, sono del tutto saltate. Ho parlato con
persone che mi dicono che le loro vite quotidiane si sono trasfor-
mate in un magma gigantesco. Si ritrovano a fare colazione alle due
di pomeriggio e a cenare alle tre di notte, a lavorare la domenica e
organizzare riunioni in mutande e canottiera. Fanno tutto questo
mentre evitano di stringere mani, non vedono gli amici, si tengono
alla larga dagli altri, si lavano le mani due volte ogni ora e poi ancora
una volta, tanto per essere sicuri. Puliscono ossessivamente le mani-
glie delle porte, i rubinetti, le maniglie delle auto, il volante... senza
dimenticare le lattine di tonno, il cartone del latte e gli involucri di
plastica. E fanno tutto allo stesso tempo.
È questo che succede quando veniamo meno alle nostre responsa-
bilità.
Per quanto semplici possano sembrare tutte queste cose – voglio
dire, è poi così difficile pulire la maniglia di una porta? –, fate la som-
ma e sarete psicologicamente esausti. In apparenza, sembra molto
facile. “Devi solo stare attento, stare lontano dalle persone e ricor-
dare di non stringere loro la mano.” Ma, sotto la superficie, stiamo
riprogrammando tutti i nostri schemi comportamentali. Il motivo
per cui io e presumibilmente milioni di altre persone veniamo meno
alle nostre responsabilità non è che siamo pigri, ma che tenere sotto
controllo il nostro comportamento ci ha sfinito.
Gli psicologi sostengono che le esperienze più stressanti che ci capi-
tano nella vita sono il divorzio, la morte di qualcuno che amiamo e
il trasloco da una casa a un’altra. Bene, ora possono aggiungere alle
statistiche una quarta esperienza: la pandemia.
Gli esperti attuali concordano. La pandemia avrà su di noi un impat-
to profondo e duraturo. Ecco la mia opinione su cosa è probabile che
accada. Purtroppo non è affatto una buona notizia.

                                   37
Adesso

               INGRASSEREMO TUTTI
           (DI FATTO, INGRASSIAMO GIÀ
              DI GIORNO IN GIORNO)

Non siamo mai ingrassati tanto quanto nei primi pochi mesi del
2020, e nulla indica un’inversione di tendenza. L’espressione usata
dalle imprese per definire questo fenomeno è “mindless munching”
(mangiucchiare irrazionale). Mangiamo con il pilota automatico. Gli
esperimenti dimostrano che quando i topi subiscono un grave stress
mangiano di più. Quando noi umani siamo stanchi, il desiderio di
dopamina ci fa mangiare di più. E quando avvengono cambiamenti
molto rilevanti... sì, l’avete capito: mangiamo di più. Pertanto, la pre-
visione post-coronavirus è semplice. Vedremo un fortissimo interes-
se per l’alimentazione e per tutto ciò che le è correlato. Programmi
di cucina, manuali per fare diete, corsi per fare una vita sana, pro-
grammi dietetici ...

              HO CITATO IL DIVORZIO?

Da quando è iniziato l’auto-isolamento, in alcuni Stati degli Stati
Uniti la violenza domestica è triplicata. La stretta vicinanza ai mem-
bri della nostra famiglia, la mancanza di routine e la chiusura tem-
poranea delle chiese sono le cause principali. Non ridete: rituali e
routine ci definiscono da migliaia di anni. In effetti, in media io e
voi eseguiamo più di 350 routine e rituali ogni giorno. Le ultime
stime indicano che abbiamo cambiato il 40% delle nostre routine a
causa della crisi. Non è un grosso problema, potreste dire; ma sicu-
ramente lo è. Esperimenti fatti con i polli dimostrano che cambiare
le abitudini alimentari porta alla violenza… dopo due sole ore! La

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Sto impazzendo?

conclusione è semplice ma spaventosa: aspettatevi che il tasso di di-
vorzi cresca esponenzialmente dopo il coronavirus.

      QUAL È IL MIO SCOPO NELLA VITA?

Davanti a tutto questo, ci risvegliamo a un’altra realtà, un’altra vi-
sione della vita. Molte persone hanno capito che cosa comporti la so-
litudine. Molti stanno già marciando verso la depressione. Abbiamo
un sacco di tempo – forse troppo, diranno alcuni – per valutare noi
stessi, le nostre vite e il nostro futuro. Voglio dire, si può guardare
Netflix solo fino a un certo punto. E nel far ciò, ripenseremo il no-
stro ruolo nella società.
Alcuni useranno questo periodo a loro vantaggio e procederanno a
un rebranding, per così dire. Utilizzeranno il coronavirus come una
seconda possibilità per creare una nuova immagine di sé, per avere
un’altra opportunità di ritornare.
Anche il valore percepito del denaro cambierà. Ci chiederemo: alla
fin fine, quanto vale il denaro se non riusciamo a usarlo? Di con-
seguenza, molto probabilmente vedremo persone che vivono una
vita più piena. Vedremo delle sostituzioni nella lista dei desideri: più
sport e avventure audaci, feste, vacanze e momenti di qualità con
amici e familiari. Fonderemo la nostra esistenza su un principio ele-
mentare: abbiamo una vita sola, che diamine!
Il vostro capo potrebbe esserselo immaginato. Le videochiamate e
le riunioni virtuali dimezzano i costi e raddoppiano la produttività.
Ma se il capo siete voi, non fatevi ingannare. Siamo stati più o meno
costretti a scendere su questa pista digitale di gestione della distan-
za, ma una volta che il coronavirus avrà lasciato il nostro pianeta, un
virus molto più potente si impadronirà di molti di noi: le domande
fondamentali, il nostro scopo nella vita, sul lavoro e a casa.

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