La Luna prima della NASA - Volo di ricognizione attorno alla luna del mito e della poesia - Liceo Teresa Gullace
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Luciana Fachin La Luna prima della NASA Volo di ricognizione attorno alla luna del mito e della poesia 1
Sommario Nel nome di Apollo pag. 3 In principio fu il mito " 4 La Luna è femmina? " 5 Quante dee per una Luna? " 6 Selene " 7 L'amante della Luna " 8 Hekate, la dea triplice " 9 Il mito di Hekate " 10 Artemide " 11 Laudato si'. mi Signore, per sora Luna e le stelle " 12 Le lune della Commedia " 14 Guerrieri sotto la luna " 19 Dalla Terra alla Luna " 24 Astolfo sulla Luna " 25 Alexandros " 28 Il colloquio con la Luna, dal colle di Recanati alle steppe dell'Asia " 31 Era il più bel chiaro di luna " 34 La luna sulla sciara " 37 Conclusione " 39 Considerazioni sul mito di Endymoin (inedito) " 40 2
Nel nome di Apollo Apollo, il nome scelto dalla NASA per le missioni spaziali con obiettivo Luna, è una delle principali figure del pantheon greco. E' un dio ricco di molti ed importanti attribuzioni e connesso al sole ed alla luce, ed è fratello gemello di una delle dee lunari, Artemide (Artemis). Alla luna infatti è connessa non una sola dea ma una triade divina di figure collegate fra di loro, oppure unificate o addirittura confuse nel sincretismo tardo. In questo l'immaginario mitico riflette l'aspetto mutevole e misterioso della Luna, che si mostra sempre diversa nelle sue fasi ed influisce su aspetti molteplici della realtà terrestre: illumina la notte, ma di luce riflessa e "morta", influisce sulla crescita delle piante, sulla fertilità, sulle maree... Così le divinità legate alla Luna sono ricche di attribuzioni ed hanno poteri che vanno dal cielo alla terra al mondo ctonio ed infero, e quindi al mondo oscuro dei morti e della magia. 3
In principio fu il mito Prima di elaborare il pensiero scientifico, per interpretare la realtà l'uomo si servì del pensiero simbolico e mitico, che appartiene alla sfera religiosa. Il mito esprime in tutte le culture arcaiche una visione del mondo e risponde all'esigenza umana di appropriarsi della realtà circostante in termini culturali. Gli eventi mitici si immaginano accaduti in un tempo lontano e "diverso" da quello reale, che in seguito essi ha preso forma. Il mito non intende spiegare la realtà - la spiegazione implica un processo razionale - ma la fonda, dandone le basi con un procedimento narrativo, tramite fatti accaduti nel tempo irripetibile delle origini. I miti poi divengono materia di arte e di poesia. Nell'antica Grecia i vari generi letterari - soprattutto epica e tragedia - vi attingono come a fatti ricchi di significato e riferibili a problemi essenziali di carattere etico, politico, giuridico, religioso. Il patrimonio mitico rappresenta quindi una vera propria summa della cultura. I miti greci verranno molto presto assimilati dalla civiltà romana, fondendosi con le tradizioni autoctone. Il corpus della mitologia classica continua a rappresentare una parte essenziale della cultura occidentale; non solo perché di questi miti sono colme tutta la nostra letteratura e la nostra arte, ma anche perché da essi ci è pervenuto un patrimonio immaginario ed un mondo simbolico cui tutt'oggi non possiamo non fare riferimento. 4
La Luna è femmina? Il Sole, la Luna: il nostro segno linguistico attribuisce loro un genere rispettivamente maschile e femminile, che deriva dal latino, è analogo al greco ed è coerente con l'antico immaginario mitico. Infatti nell'immaginario religioso greco al sole sono connesse divinità maschili: Apollo ed Helios (che significa Sole), alla luna divinità femminili, fra cui Artemide (Artemis) sorella gemella di Apollo, e Selene, la Luna, sorella di Helios, il Sole. In effetti, tutte le mitologie pongono Sole e Luna in rapporto fra loro: di parentela, o matrimoniale; questo nel linguaggio mitico significa che i due astri sono considerati due entità analoghe ed opposte come giorno e notte, luce e buio, maschio e femmina, diversi ma simili nelle loro caratteristiche e funzioni. La luna è immaginata al femminile nella grande maggioranza delle culture e delle mitologie, anche se non mancano divinità lunari maschili, cui viene contrapposta una dea solare. L'importante comunque è che i due astri si richiamino come analoghi - opposti - complementari. Nel mondo primitivo ed arcaico pensare il sole e la luna come maschio o come femmina a livello mitico - religioso, quindi attribuire loro determinate caratteristiche, poteri e prerogative, non è un... "discutere sul sesso degli angeli". Dalle sue origini, per molti millenni l'umanità ha guardato ai vari aspetti della natura non come a parti di un mondo solo fisico, ma come a componenti di una complessa realtà anche spirituale, connessi con gli esseri sovrumani: entità trascendenti, che hanno una precisa e concreta influenza sulla realtà in tanti modi ed in base alle loro caratteristiche e volontà, benefiche o malefiche, e con cui è necessario relazionarsi nelle dovute maniere. 5
Quante dee per una Luna? Alla luna è legata non una sola divinità ma fondamentalmente una triade di divinità femminili: Selene, Artemis ed Hekate. Nel sincretismo ellenistico queste tre figure vengono considerate una sola dea con triplice forma, ciascuna delle quali è connessa rispettivamente al cielo, alla natura selvaggia e ai boschi, al regno infero. A queste va aggiunta Persephone, la dea degli Inferi (sposa di Hades), che pu essere al posto di Hekate, o identificata con essa. Secondo un'interpretazione simbolica che è già nelle fonti antiche, le tre divinità rappresentano le tre fasi lunari (la luna calante e la luna nuova sono unificate nel computo delle fasi, ovvero la luna nuova non si calcola perché...la luna in quella fase non c'è). Secondo autori più tardi, le tre divinità lunari rappresentano anche le tre età e modi di essere femminili: Artemis la Luna crescente e la giovinetta, Selene la Luna piena e la madre (soprattutto in gravidanza), Hekate la Luna calante e l'anziana saggia, interpretazione che rafforza il nesso fra la luna ed il mondo femminile. Questo nesso è molto forte e diffusissimo nelle culture arcaiche, certamente suggerito dalla particolare natura lunare: "debole" e "ciclica". E non basta. Hekate è detta Triforme ed è spesso rappresentata con tre teste, che possono anche essere teriomorfe, o tre corpi addirittura, che ricoprono la stessa funzione simbolica della triade. ...Insomma, quante sono queste divinità lunari? Dipende. Nel mito e nel mondo dell'immaginario religioso la matematica... è un'opinione, quello che conta è il risultato. La triade divina - cioè, un insieme di tre figure diverse strettamente connesse fra di loro - è una delle categorie fondamentali dell'immaginario religioso indo-europeo e mediterraneo: essa segnala l'importanza di una determinata realtà. Nella mitologia greca le triadi femminili in particolare sono numerose e riguardano aspetti essenziali della vita (basti pensare alle tre Parche). La grande complessità della mitologia riguardante la Luna è proporzionata all'importanza di questo astro, ma ne riflette ed esprime anche un' altra caratteristica: la varietà e mutevolezza, e la molteplicità delle sue sfere di influenza . 6
Selene In greco antico la Luna è Selene, "La Splendente"; la mitologia ne fa una sorella del Sole (Helios) dell'Aurora (Eos) e figlia del Titano Iperione (Hyperion,"Colui che è al di sopra", o "Colui che sale più in alto", nome che può anche essere epiteto di Helios). Sole e Luna quindi sono di stirpe titanica, cioè più antichi degli dèi. I Titani sono la prima razza sovrumana nata da Uranos, il Cielo, e Gaia, la Terra. Essi si ribellarono a Zeus, scatenando una lotta terribile in cui gli dei prevalsero a stento. Furono rinchiusi in un abisso (il Tartaro) da cui non sarebbero mai potuti evadere, e così furono neutralizzati. Anche il Sole, Helios, si era schierato contro Zeus, ma rimase al suo posto. Perché? Semplice: il Sole non prende ordini da nessuno. Il regno di Zeus si estende dalla superficie terra fino alla zona del cielo in cui avvengono i fenomeni atmosferici, che sono sotto la sua giurisdizione; ma il Sole viaggia molto più in alto, quindi è fuori controllo. In ogni caso, di toglierlo di là non se ne parla nemmeno: senza il Sole che attraversi la volta celeste con il suo carro infuocato, saremmo tutti al buio, divinità comprese. E Selene? Di lei non si dice se si sia schierata con o contro Zeus, probabilmente rimase neutrale, comunque è evidente che è della stessa pasta del fratello: con il suo carro d'argento percorre la stessa strada, molto al di sopra della portata di chicchessia, e nessuno può obbligarla a scendere. Con quale risultato, poi ?... Fare tutte le notti al buio, con danni collaterali incalcolabili... Non ci conviene. Insomma, succeda quel che succeda - rivolte, lotte dinastiche, spartizione di poteri... - i due fratelli Titani Helios e Selene sono e rimangono al di sopra di tutto: sono due Enti Autonomi svincolati da qualsiasi autorità, intoccabili, inamovibili, e guardano tutti dall'alto in basso. 7
L'amante della Luna L'iconografia rappresenta Selene come una splendida giovane donna, dalla pelle candida e luminosa. La sua mitologia è povera, ma presenta un racconto interessante. Oggi la Luna è sempre sola in cielo, ma nel tempo del mito visse una grande storia d'amore. Selene una notte vide un bellissimo giovane che dormiva in una grotta, e se ne innamorò perdutamente. Era un pastore - secondo un'altra versione, un re - di nome Endymion. La dea lunare scese sulla terra per incontrarlo, e divenne la sua amante. Per molti anni continuò a raggiungerlo ogni notte, scendendo dal cielo. Dalla loro relazione nacquero cinquanta figli. Poi Selene capì che il suo amato essendo un mortale era soggetto ad invecchiare, e un giorno sarebbe morto. Scongiurò Zeus di evitargli questo destino, ma tutto ciò che poté ottenere fu che Endymion sprofondasse in un sonno senza risveglio e in questo modo, rimanendo fuori sia dalla vita che dalla morte, conservasse per sempre intatta la sua gioventù e la sua bellezza. Così fu fatto: da allora Endymion dorme in una grotta e Selene si limita a guardarlo, affacciandosi dal cielo. Alcune fonti antiche danno un'interpretazione simbolica di questo mito: cinquanta figli di Selene rappresenterebbero i cinquanta mesi che intercorrono fra un'Olimpiade e la successiva, un lasso di tempo immutabile come la collocazione celeste della luna. Siccome la scansione delle Olimpiadi è la madre di tutte le cronologie nella Grecia antica, ne consegue che la misurazione del tempo nasce dalla relazione di un uomo con la Luna. Presso le culture arcaiche il computo delle lunazioni come base di una misurazione del tempo è universalmente diffuso. 8
Hekate, la dea triplice Hekate è una delle divinità che hanno il titolo di Grande, ed è molto potente. Discende dalla stirpe titanica, ed è anteriore al regno di Zeus. La prima fonte che la descrive è la Teogonia, in cui Esiodo afferma che questa dea domina nel cielo notturno ma anche sulla terra e sul mare, e persino Zeus la tratta con deferenza: (Hekate)...che fra tutti Zeus Cronide onorò, e a lei diede illustri doni, che potere avesse sulla terra e sul mare infecondo; anche nel cielo stellato ha una sua parte d’onore e dagli Dei immortali è sommamente onorata. Hekate può muoversi liberamente nei tre mondi: divino, umano ed infero; è immaginata e definita come Triplice e raffigurata con tre facce, anche teriomorfe, oppure con tre corpi addirittura; è Trivia perché presiede ai crocicchi di tre strade, che le sono sacri, e sentiti nell'antichità come luoghi magici e abitati da fantasmi . Come si addice alla dea che percorre incessantemente il cielo notturno, è signora dei viaggi, protettrice e guida dei viandanti, guardiana delle porte e delle soglie; presiede a tutti i passaggi, spaziali e temporali, soprattutto alla nascita e alla morte. Il viaggio più critico, infatti, è quello verso gli Inferi, ed Hekate è Psicopompa, cioè colei che accompagna le anime nell'Ade (attributo che condivide con Hermes, altro dio viaggiatore.) Hekate scorta le anime nel mondo dei morti e può anche farle uscire, per necromanzia; quindi presiede anche ad altre attività dalla connotazione "oscura" ed "infera": la magia e la stregoneria. Nell'Eneide, la Sibilla Cumana invoca Hekate in un lugubre rito notturno per poter accompagnare Enea nell'Ade e riportarlo poi alla luce (questo è il difficile, per andarci sono capaci tutti). 9
Il mito di Hekate Le attribuzioni di questa divinità trovano fondamento nel mito. Quando Demetra percorreva la terra in cerca della figlia Persefone, (Proserpina) che era stata rapita dal dio Hades, il signore del regno dei morti, fu Hekate, munita di fiaccole (che sono il suo attributo principale) ad offrirsi di accompagnarla nell'Oltretomba; anzi, secondo alcune fonti, avrebbe scortato sia la fanciulla che la madre nel regno delle ombre. Persefone fu la prima ad essere trascinata giù nel regno dei morti, (è la figura mitica del "primo morto") e divenne regina degli Inferi; però ottenne di poter tornare sulla terra in primavera, e da ciò ebbe origine il ciclo delle stagioni. Fu allora che Demetra regalò il grano al re di Eleusi, Triptòlemos, che l'aveva ospitata durante la sua ricerca, e gli uomini ebbero il loro cibo, il grano, che li rese mortali per sempre (come nettare e ambrosia, cibo degli dei, dà l'immortalità): furono così fondate mortalità umana ed agricoltura che sono strettamente connesse nell'immaginario mitico greco. Il nome di Hekate potrebbe significare "Lungi-saettante", (è usato al maschile come epiteto di Apollo); altra dea saettante è Artemide, sorella di Apollo nonché dea lunare. L'uso di arco e frecce qualifica queste divinità come datrici di morte, poiché nell'immaginario arcaico la morte è simboleggiata dal sopraggiungere di un dardo, scoccato da una divinità maschile agli uomini, da una dea alle donne (così è descritta, ad esempio, la pestilenza all'inizio dell'Iliade). Anche Persefone, regina infera, è sentita come una delle dee lunari, e questo rafforza il nesso fra la luna ed il regno dei morti. La luna come entità infera è connessa alla stregoneria ed alla magia. Credenze riguardanti azioni magiche, stregonesche o demoniache connesse alla luna sono pervenute sino al mondo moderno. 10
Artemide Artemide è una delle figure principali del pantheon greco, il suo culto è panellenico. Sorella gemella di Apollo, conserva i tratti di un'antica signora degli animali, un essere sovrumano che nelle religioni preistoriche sovrintende alla nascita, alla vita ed alla fertilità degli animali e della natura in genere, ed è garante delle norme di comportamento concernenti il rapporto fra gli uomini e la natura, soprattutto il mondo animale. Nelle società preistoriche dei cacciatori-raccoglitori questa figura sovrumana è importantissima. Per i greci Artemide è una dea cacciatrice, è rappresentata sempre armata di arco e frecce e connessa alla natura selvaggia ed ai boschi; come Hekate è anche protettrice dei sentieri e di coloro che li percorrono, quindi delle soglie e dei passaggi in genere, e patrona delle iniziazioni femminili e del parto; pertanto è connessa alla fecondità, ed in questa veste era venerata nel maggiore dei suoi santuari, quello di Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico. Infine, è la dea che dà la morte con le sue frecce. Non deve sorprendere che una figura sovrumana legata al mondo animale ed alla fecondità abbia caratteristiche ctonie ed infere. Nell'immaginario primitivo solitamente gli animali sono generati dalla terra ed escono dalle sue viscere come partoriti da una grande madre. Nella grotta di Lescaux, la Cappella Sistina della preistoria, branchi di cervidi e di cavalli sono raffigurati in corsa come provenienti dal fondo della grotta e diretti verso l'uscita, come se stessero venendo alla luce, cioè nascendo. La signora degli animali pertanto è profondamente connessa anche alla terra, fino alle sue profondità, e quindi anche al mondo infero. Nel mondo romano Artemide è identificata con Diana, divinità che presenta tratti inconfondibili di Signora degli animali sovrapponibili a quelli della dea greca 11
Laudato si, mi' Signore, per Sora Luna e le stelle Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Il primo testo poetico della letteratura italiana è una lode al Creatore opera di Francesco da Assisi. Come è noto, la preposizione per del testo assisiate può avere valore causale, conforme all'uso moderno e preferito dalla tradizione francescana, oppure può avere valore di agente: sii lodato, Signore, da... Il senso fondamentale comunque non cambia. L'inno riecheggia i testi biblici in cui si invitano le creature a lodare il Creatore, come nel cantico di Daniele: Benedite, sole e luna, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. Benedite, stelle del cielo, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. Nella cultura ebraica e quindi nel pensiero cristiano ci troviamo di fronte ad un'ottica completamente diversa nella definizione degli elementi naturali e del loro rapporto sia con il mondo sovrumano che con l'uomo: tutte le cose che esistono sono creature di Dio, da Francesco addirittura affratellate con gli uomini. La Genesi scandisce il procedimento della creazione. Da notare: Dio crea la luce il primo giorno, il sole e la luna il quarto giorno: In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. 12
Dio disse: Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno. Questo significa che non sono gli astri a fornirci la luce, ma Dio stesso, che solo dopo aver creato la luce separa il giorno dalla notte e pone il sole, la luna, le stelle ad illuminarci e a distinguere il giorno dalla notte, con un criterio provvidenziale. Infatti il testo francescano afferma che è Dio che ci illumina mediante il Sole, che in quanto nostra principale fonte di luce è immagine di Lui. Il sole e la luna sono nettamente separati in ragione di un simbolismo molto più importante legato all'astro del giorno, mentre la Luna e le stelle sono accomunate dalla collocazione notturna ed anche dall'aggettivazione che, secondo il procedimento qualificativo tipico del Cantico delle creature, ne mette in risalto tre caratteristiche: la chiarezza e la bellezza, in base ad un criterio estetico, e la preziosità, che comprende anche l'utilità: luna e stelle sono preziose perché nella notte ci indicano il tempo e le direzioni. Infine, nella Genesi ogni cosa creata da Dio è da Lui giudicata buona, cioè supervisionata e valutata in ordine ad un criterio etico, come da colui che ha autorità ugualmente su tutte le cose e che tende in tutto a manifestare e trasmettere bontà ed amore. La positività della creazione trova eco nel Cantico di Francesco, che considera con ordine tutte le cose del creato riferite ai quattro elementi: cielo, aria, fuoco, terra, a partire dai corpi celesti, che essendo più in alto sono i primi ad essere considerati in quanto più vicini a Dio. 13
Le lune della Commedia 1. L'Inferno ha una regina L'Inferno di Dante ha una regina, è Persefone che risiede nell'inferno profondo, all'interno della città di Dite dalle mura infuocate, dove resterà asserragliata ed invisibile. Al pari di molte altre figure della mitologia classica, anche Persefone nell' Inferno è un demone e come tale cerca di ostacolare il cammino del peccatore in cerca di salvezza. Quando Dante e Virgilio si avvicinano alla porta di Dite, la regina la manda le sue serve, le Furie, a minacciarli e spaventarli perché desistano dal tentativo di entrarvi: E quei, che ben conobbe le meschine de la regina dell'eterno pianto guarda - mi disse - le feroci Erini La situazione si sbloccherà solo con l'intervento di un messo celeste mandato dall'Alto, tanto è forte questa resistenza. Nel successivo canto X, il memorabile incontro-scontro di Dante con Farinata degli Uberti si conclude con la predizione dell'esilio per il poeta: E non cinquanta volte fia raccesa la faccia della donna che qui regge che tu saprai quanto quest'arte pesa. Il tono è solenne, le parole sono pietre. Per collocare la predizione nel tempo viene utilizzata un'insolita cronologia lunare anziché il comune riferimento all'anno solare. Quale può essere la ragione di questa scelta? Il riferimento al ciclo solare è abituale, quindi prosastico; invece l'indicazione cronologica piuttosto complessa conferisce una notevole enfasi alla drammaticità della profezia. Notiamo che La luna vi è indicata tout-court come la regina dell'inferno: Persefone é la Luna. 14
Si può interpretare l'uso di una cronologia lunare anziché solare anche come un riconoscimento del dominio di Persefone - Luna in quel luogo; poi, lì il sole non c'è, ci troviamo in un mondo sotterraneo sempre oscuro e, dato che il sole è simbolo di Dio, forse non è nemmeno il caso di nominarlo, come mai viene nominato Dio nell'Inferno di Dante. Colui che nella mitologia greca è lo sposo di Persefone, il re Hades, in tutti questi riferimenti resta misteriosamente assente: come mai? Forse è proprio l'immagine lunare a suggestionare la fantasia dantesca: come è solitaria la luna nel cielo notturno, è la sola la regina Persefone nella sua reggia, al centro del suo regno di buio e di dolore. 2. Il Purgatorio: è dei mortali Partir lo tempo per calendi Il tempo del Purgatorio, e con esso l'ascesa lungo le pendici del monte, è scandito puntualmente dal sole: alba, mezzogiorno, tramonto; l'astro che è simbolo di Dio e delle verità segna i vari passaggi, e quando cala il buio non ci si può muovere nemmeno di un passo. La luna non è mai menzionata nei riferimenti astronomici e cronologici. Nel canto XVI invece Marco Lombardo così si rivolge a Dante, per dire che egli sembra parlare come uno che sia ancora in vita: "Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi, e di noi parli pur come se tue partissi ancor lo tempo per calendi?". Calcolare il tempo facendo riferimento al mese, che è lunare, è sinonimo dell' essere ancora nella vita terrena. Il monte del Purgatorio propriamente si trova sulla terra, agli antipodi del mondo abitato, ma ospita una situazione esistenziale ormai a tutti gli effetti ultraterrena. Il confine fra il mondo umano terrestre e quello di Dio quindi è rappresentato dall'orbita lunare: coloro che sono nella vita mortale calcolano il tempo tenendo conto delle fasi lunari, chi ha passato la soglia della morte è al di là anche della Luna. 15
3. Paradiso: il cielo della Luna La Luna in base al sistema tolemaico è il pianeta che percorre il primo dei cieli che Dante attraversa nella sua ascesa verso l'Empireo. Nel cielo della Luna il poeta incontrerà le anime che hanno il grado di beatitudine più basso, e per questo sono le meno luminose: sono le uniche ancora distinguibili nei loro tratti somatici, anche se trasfigurate dalla bellezza paradisiaca. I beati delle sfere più alte invece appariranno come astri sfolgoranti. Nel cielo della Luna Dante incontra un'amica d'infanzia, la sorella del suo amico fraterno Forese Donati, che parlerà della sua sofferta esperienza terrena e muoverà, necessariamente, nel poeta pellegrino ricordi e nostalgie. Tutto questo sembra portare in Paradiso un'atmosfera purgatoriale, ed ha suggerito alla critica l'interpretazione del cielo della Luna come di una sorta di anti- paradiso, in simmetria con l' anti- inferno e l' anti - purgatorio. Si conferma così che la Luna e la sua orbita rappresentano una sorta di soglia tra mondo terreno a quello celeste. Un intero canto, il II, sarà dedicato ad un problema che è allo stesso tempo scientifico e teologico: la causa delle macchie lunari. Com'è possibile che un corpo celeste che si trova sopra la Terra, quindi fuori dal luogo del peccato, abbia delle imperfezioni? Per dirimere la questione Dante pone in bocca a Beatrice una lunga argomentazione che è forse la più raffinata e complessa dell'intero poema. Nella sua cultura la poesia non è fatta solo di immagini frutto di creatività, ma comprende anche il sapere: la fisica, l'astronomia, la filosofia e la teologia. 16
Molto più in alto, nell'Empireo, Dante assisterà al trionfo di Cristo, la cui luminosità accanto a quella dei santi viene paragonata a quella della luna rispetto alle stelle. Qui la Luna è indicata con il nome di Trivia, l'antica dea che protegge i cammini, immaginata nel pieno fulgore del plenilunio ed accompagnata dalle stelle, che sono gli astri che ci orientano nel tempo e nello spazio: Quale ne’ plenilunii sereni Trivia ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni vid’i’ sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l’accendea, come fa ‘l nostro le viste superne. 17
La Luna nel Paradiso dantesco di Alessio Bardini - V F Dante, rifacendosi al sistema aristotelico-tolemaico, inserisce il cielo della Luna tra i nove cieli che compongono il Paradiso, terzo regno della Divina Commedia. La Luna è la prima sfera celeste che, a causa della maggiore distanza da Dio, risplende di una luce meno intensa rispetto agli altri pianeti. Il perenne movimento della Luna è frutto dell'influsso divino, che a partire dal cielo primo mobile si trasmette agli altri corpi celesti. La Luna è il pianeta dell'incostanza, perciò qui si trovano le anime di coloro che in vita non portarono a compimento i propri voti, presentate da Dante nel terzo canto. Il poeta si imbatte in alcune figure che appaiono come immagini riflesse allo specchio, Tra queste vi è Piccarda Donati, alla quale Dante, dopo averle chiesto l'identità, porrà un importante quesito teologico: se le anime del cielo della Luna non aspirino ad un grado di beatitudine maggiore e ad essere più vicine a Dio. La nobildonna fiorentina risponderà che la loro beatitudine consiste nell'essere conformi all'ordine cosmico voluto dal Creatore. Allo stesso modo la Luna è conforme alla volontà divina, non deviando mai dalla propria orbita. Infine, Piccarda Donati presenta a Dante un' altra anima che, proprio come lei, per colpa di altri venne meno ai voti presi: è Costanza d'Altavilla, moglie di Enrico VI di Svevia e madre di Federico II: Quest'è la luce de la gran Costanza che del secondo vento di Soave generò l'terzo e l'ultima possanza . Costanza era stata indicata da Manfredi nel canto III del Purgatorio come l' antenata da cui discende il suo lignaggio, ed ora sembra concludersi un discorso sulla casa imperiale di Svevia, che a Dante sta molto a cuore, attraverso tre generazioni: Federico II all'Inferno, Manfredi in Purgatorio, Costanza in Paradiso 18
Guerrieri sotto la luna 1. Eurialo e Niso Eneide, libro IX. Il campo dei Troiani è assediato dei Rutuli mentre Enea si trova a Pallanteo. Una sera due giovani amici sono di guardia e concepiscono il progetto di attraversare le linee nemiche per raggiungere Enea ed avvertirlo della situazione. Nell'oscurità riescono ad attraversare il campo degli assedianti, cogliendoli nel sonno e facendone strage. Eurialo, il più giovane e imprudente, eccitato dal successo, si carica di trofei tolti agli uccisi ed indossa un bellissimo elmo. Poco più tardi, mentre si allontanano attraverso il bosco, i due vengono intercettati da un drappello di cavalieri Rutuli. et galea Euryalum sublustri noctis in umbra prodidit immemorem radiisque adversa refulsit. e l'elmo nella notte lunare tradì l'immemore Eurialo, colpito dai raggi splendette. E' l'elmo rubato ad un nemico ucciso nel sonno che tradisce Eurialo, con un lampo riflesso dal metallo, non la luna, la cui luce sembra malefica ma si limita a raggiungere e a rivelare quanto è già stato compiuto. I presupposti della rovina del ragazzo stanno in una serie di errori dovuti ad imperizia ed imprudenza; per salvarsi avrebbe avuto bisogno di una complicità della natura e del caso, che il destino non ha concesso.La Luna che illumina la scena è impassibile, ma innocente. Nella seconda parte la storia mette in risalto le qualità più belle di Niso, il più grande e maturo dei due amici: la generosità ed il disperato eroismo con cui affronterà la morte per non abbandonare il suo amico. 19
Egli riesce a fuggire attraverso il bosco ed è già al sicuro quando si accorge che Eurialo non lo ha seguito; tornando sui suoi passi, lo vede circondato dai nemici; non pensa nemmeno per un attimo a se stesso: pur di non lasciarlo solo, è pronto a tentare un'azione disperata e a morire con lui. Palleggiando l'asta, rivolge proprio alla Luna che li ha rivelati una preghiera per averne l'aiuto. Qui l'astro è identificato con Artemide, arciera e cacciatrice: ocius adducto torquet hastile lacerto suspiciens altam Lunam et sic voce precatur: 'tu, dea, tu praesens nostro succurre labori, astrorum decus et nemorum Latonia custos. si qua tuis umquam pro me pater Hyrtacus aris dona tulit, si qua ipse meis venatibus auxi suspendive tholo aut sacra ad fastigia fixi, hunc sine me turbare globum et rege tela per auras.' dixerat et toto conixus corpore ferrum Rapidamente flettendo il braccio palleggia l'astile, e in alto, alla Luna rivolto, prega così: "Tu dea, tu valido aiuto,soccorri il nostro pericolo, o bellezza degli astri, e dei boschi latonia custode. Se mai per me sui tuoi altari il padre mio Irtaco portò doni, se anch'io con le mie cacce ne aggiunsi e ne appesi alla cupola,ai sacri fastigi ne affissi, fammi sconvolgere tu quella folla,reggi l'arma per l'aria". (Trad.Calzecchi-Onesti) La Luna-Artemide è evidentemente la divinità più venerata dalla famiglia di cacciatori da cui discende Niso, è la sua dea specifica. Come è abituale nella mentalità dell'antico politeismo, l'allocuzione rivolta alla dea inizia con una captatio benevolentiae con cui il fedele ricorda le sue benemerenze nei confronti della divinità, i sacrifici che le ha offerto, per cui merita di essere aiutato. 20
La preghiera sembra esaudita: il lancio raggiunge il bersaglio, e prima che la vicenda precipiti verso la sua logica, tragica conclusione, Niso riuscirà a colpire molti nemici. L'episodio virgiliano rimane giustamente famoso per la celebrazione dell'affetto e dello spirito di sacrificio che caratterizzano soprattutto l'agire di Niso, estraneo al minimo calcolo, accanto all'imprudenza infantile del pur coraggioso Eurialo, così realistica nel delineare la mentalità di un adolescente. L'illuminazione lunare rende la scena grandiosa e tragica, con il gioco di luci e di ombre che segna il destino di due vite. Le alterne vicende della guerra rivelano così aspetti dell'animo e dei sentimenti dei personaggi, mettendo in luce che non sempre l'azione è guidata da una logica fredda ed efficientista, e che ci può essere una generosità che ha il sapore della follia. La Luna qui appare dunque incolpevole. Diversa la connotazione che riceve, nel racconto di Enea, la Luna che illumina l'ultima notte di Troia. La flotta che torna da Tenedo per sorprendere la città nel sonno e cogliere il frutto dell'inganno, avanza tacitae per amica silentia Lunae, nell'amico silenzio della tacita Luna. Amico cioè complice: la Luna è amica dei nemici, illumina la loro rotta ma non li rivela, e sembra essere una dea di morte. 2. Cloridano e Medoro Il tema è la sortita notturna dei due amici, con esito tragico, sarà ripreso nell' Orlando Furioso (XVIII-XIX), puntualmente ma con alcune varianti significative. Identica la tipologia dei protagonisti, ne cambiano però le motivazioni e le sfumature psicologiche. Sullo sfondo della battaglia di Parigi, gli eroi sono due giovani saraceni. Fra loro è il più giovane, Medoro, a proporre all'amico più grande, Cloridano, di uscire 21
nottetempo e recarsi al campo di battaglia per dare degna sepoltura al loro re Dardinello, caduto quel giorno nello scontro. Generosità e coraggio quindi sono anche dei nemici (in Ariosto i due schieramenti hanno le stesse qualità); lo scopo dell'azione non ha alcun valore strategico ma è solo un atto di pietà e di devozione verso l'amato re, quindi tanto più ammirevole. Nella notte lunare i due riescono a raggiungere il luogo dove giacciono i caduti, a centinaia. Come individuare il corpo del re? Qui entra in gioco il tema della preghiera alla Luna, che Medoro (musulmano!) rivolge ad una divinità lunare del sincretismo greco, riprendendo fedelmente i topoi classici con un'invocazione piena di fede e di sentimento: «O santa dea, che dagli antiqui nostri debitamente sei detta triforme; ch'in cielo, in terra e ne l'inferno mostri l'alta bellezza tua sotto più forme, e ne le selve, di fere e di mostri vai cacciatrice seguitando l'orme; mostrami ove 'l mio re giaccia fra tanti, che vivendo imitò tuoi studi santi.» La luna a quel pregar la nube aperse (o fosse caso o pur la tanta fede), bella come fu allor ch'ella s'offerse, e nuda in braccio a Endimion si diede. Con Parigi a quel lume si scoperse l'un campo e l'altro; e 'l monte e 'l pian si vede: si videro i duo colli di lontano, Martire a destra, e Lerì all'altra mano. Sarà un caso o un miracolo? Non è dato saperlo, la distanza fra i mortali e gli dei è data proprio da questa incertezza; comunque il disvelarsi della luna ha una grazia sublime: squarciare il velo di nuvole e mostrarsi è un gesto d'amore, è l'atto con cui Selene offrì il suo amore ad Endimione ed ha una straordinaria, sensuale dolcezza; e lo sguardo sul piano e sui colli di Parigi ha il sapore di 22
una rivelazione che ci riempie di stupore. Certo, a Montmartre ancora non c'è la basilica del Sacro Cuore, ma Parigi è sempre Parigi! I miracoli - quando si compie il secondo, difficile pensare al caso - ancora non sono finiti: Rifulse lo splendor molto più chiaro dove d'Almonte giacea morto il figlio Medoro andò, piangendo, al signor caro: che conobbe al quartier bianco e vermiglio La Luna è pietosa e generosa, ma soprattutto consente lo svolgersi della vicenda, con le sue conseguenze a catena davvero imprevedibili. Il resto della scena ricalca fedelmente Virgilio, ma con toni diversi. I due giovani si allontanano dal campo portando il corpo di Dardinello; Cloridano, percependo l'avvicinarsi di un drappello di cavalieri nemici, propone di abbandonare il corpo del re per fuggire, ma Medoro non lo segue: continua a trasportare da solo il pesante fardello e per questo sarà raggiunto dai nemici e circondato; nel frattempo Cloridano, accortosi dell'assenza dell'amico, torna indietro, dal folto del bosco vede la scena, lancia le sue frecce contro alcuni nemici, per ritorsione viene colpito brutalmente Medoro, che cade...Cloridano esce allo scoperto, e viene ucciso. Non morirà Medoro: è solo ferito, e sarà trovato e curato da Angelica, che lo sposerà, facendo impazzire Orlando... Il ribaltamento ariostesco della materia opera creando, con gli stessi elementi, un episodio e soprattutto uno svolgimento di tutt'altro tenore rispetto al modello. 23
Dalla terra alla luna Molto prima di Julies Verne, nel mondo ellenistico i primi romanzi di "fantascienza" raccontarono il viaggio sul nostro satellite. Una simile avventura era il simbolo stesso dell'esplorazione impossibile e rappresentava l'estremo limite dell'immaginabile. Il primo a scrivere la storia di un viaggio sulla Luna fu un greco del II secolo d.C., Luciano di Samosata, un autore poliedrico, originale, ironico ed un po' irriverente. Egli intitola il suo romanzo La storia vera proprio in senso antifrastico perché... è il resoconto di un fatto chiaramente impossibile. Nell'età ellenistica dopo un fortunato romanzo storico su Alessandro, di un tale Callistene, fiorì un filone narrativo ispirato dalle avventure e dalle spedizioni in terre lontane di Alessandro di Macedonia in cui il conquistatore diviene protagonista anche di viaggi fantastici, fra cui quello sulla Luna, dove sarebbe salito su di un carro trainato da ippogrifi. Questo tema è spesso ripreso nell'iconografia ed acquista un valore simbolico: secondo alcuni autori rappresenta la hybris, l'orgoglio, l'eccesso di sicurezza, l'incapacità di accettare limiti, e quindi si carica di una valenza negativa. Altro tema interessante: cosa trovò Alessandro sulla Luna? In base al filone romanzesco dello Pseudo-Callistene, sembra che vi abbia incontrato coloro che erano morti o erano rimasti feriti, mutilati, invalidi a causa delle guerre da lui condotte. Si sarebbe cioè inopinatamente potuto confrontare con il volto "nascosto" delle sue imprese, quello che la glorificazione eroica e la propaganda filogovernativa lasciano in ombra: tutto il male e il dolore che è il prezzo della gloria e della costruzione di un grande impero. Visione molto singolare, straordinariamente moderna, che apre la strada alle scoperte lunari dell'Ariosto. Alessandro ed i suoi viaggi straordinari, culminanti con l'ascesa alla Luna, entreranno nella tradizione dei romanzi medioevali, ricchi di temi fantastici, ed avranno notevole fortuna. 24
Astolfo sulla Luna Il più affascinante degli allunaggi pre-tecnologici è raccontato nel canto XXXIV dell'Orlando Furioso: il conte Astolfo deve salire sulla Luna (vi arriverà con il carro volante del profeta Elia) per riprendere il senno perduto di Orlando, che è impazzito, e riportarlo al suo legittimo proprietario. Già, perché lassù vanno a finire tutte le cose perdute sulla terra. Com'è la Luna vista dall' Astolfo ariostesco? Altri fiumi, altri laghi, altre campagne son là su, che son qui tra noi; altri piani, altre valli, altre montagne, c' han le cittadi, hanno i castelli suoi, con case de le quai mai le più magne non vide il paladin prima né poi. E' un modo diverso, simile e parallelo a quello terrestre, per molti tratti speculare; l' insistita anafora dell'aggettivo altri che qualifica gli elementi del paesaggio lunare ne sottolinea l'analogia e al contempo la diversità. In questo mondo parallelo Astolfo troverà, tutti ammucchiati in una valle, incredibili ammassi di cose terrestri perdute: Molta fama è là su, che, come tarlo, il tempo al lungo andar qua giù divora: là su infiniti prieghi e voti stanno, che da noi peccatori a Dio si fanno. Le lacrime e i sospiri degli amanti, l'inutil tempo che si perde a giuoco, e l'ozio lungo d'uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai. 25
Un lungo elenco di cose, le più disparate, sono rappresentate sotto forma di strani oggetti che hanno con gli originali un rapporto simbolico, concepito in modo fantasioso ed ironico ma calzante: Ami d'oro e d'argento appresso vede in una massa, ch'erano quei doni che si fan con speranza di mercede ai re, agli avari principi, ai patroni. Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede, ed ode che son tutte adulazioni. Di cicale scoppiate imagine hanno versi ch'in laude dei signor si fanno. ....... Di nodi d'oro e di gemmati ceppi vede c'han forma i mal seguiti amori. V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi, l'autorità ch'ai suoi danno i signori. I mantici ch'intorno han pieni i greppi, sono i fumi dei principi e i favori che danno un tempo ai ganimedi suoi, che se ne van col fior degli anni poi. Di versate minestre una gran massa vede, e domanda al suo dottor ch'importe. «L'elemosina è (dice) che si lassa alcun, che fatta sia dopo la morte.» E avanti così, per diciotto ottave! Ce n'è per tutti: potere, arrivismo, adulazione, favoritismi; bellezza, seduzione, amori folli; inganni, tradimenti, imbrogli, promesse a vuoto...Sono tutte cose "vane", cioè "vuote", perché non rappresentano nulla di sostanziale e di veramente utile, in quanto prive di valore morale. Tutte illusioni che con il tempo svaniscono, come se evaporassero, e volando via...come palloncini; e così finiscono sulla Luna, quel mondo sospeso nell'aria...come un grosso pallone anch'esso, che, a quanto pare, le intercetta e le trattiene soprattutto in funzione del suo essere "il contrario della Terra". 26
La forma simbolica assunta da questi oggetti ce ne mostra tuttavia l' essenza più vera, quella che sulla terra rimane celata dal velo di menzogna con cui spesso gli uomini nascondono la verità anche a se stessi. Dunque la Luna per Ariosto non è solo il... deposito oggetti smarriti, ma anche il luogo della verità, dove le cose, spogliate delle apparenze false ed illusorie di cui furono ammantate per calcolo, interessi meschini, vanità, mostrano impietosamente la loro intima essenza. Il senno di Orlando - come tutti gli altri cervelli "svaporati" - lassù è contenuto, come un elemento volatile, in un'ampolla, che Astolfo riporterà coscienziosamente sulla terra....dopo aver inalato da un'altra boccetta, che recava il suo nome, anche quella parte del suo cervello che se n'era andata senza che lui nemmeno se ne accorgesse, come succede a tanti. 27
Alexandros – Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla! Non altra terra se non là, nell’aria, quella che in mezzo del brocchier vi brilla, o Pezetèri: errante e solitaria terra, inaccessa. Dall’ultima sponda vedete là, mistofori di Caria, l’ultimo fiume Oceano senz’onda. O venuti dall’Haemo e dal Carmelo, ecco, la terra sfuma e si profonda dentro la notte fulgida del cielo. In uno dei più belli fra i Poemi Conviviali Pascoli immagina che Alessandro, dopo aver percorso tutto il mondo con le sue conquiste ne raggiunga i confini, sulla riva dell'Oceano, là dove la terra sprofonda nel nulla. Rimane però un luogo inaccessibile, sospeso nel cielo, sopra l'abisso: è la Luna. L' astro irraggiungibile qui è simbolo del mistero che ci circonda, così come Alessandro rappresenta l'uomo che, nella sua sete di conoscenza, scopre alla fine del cammino i propri limiti e l'impossibilità di realizzare tutti i propri desideri. Il conquistatore vorrebbe conoscere ogni cosa ed appropriarsi di tutto ciò che esiste, ma dovrà prendere atto che questo è semplicemente impossibile: nell'immenso universo resterà sempre qualcosa che gli è precluso, un mistero che lo trascende. La luna è il mondo intangibile eppure nello stesso tempo è quella che in mezzo del brocchier vi brilla: il suo raggio colpisce lo scudo dei guerrieri, vi si riflette e gli scudi con il loro tondeggiare diventano a loro volta immagini lunari. Così l'astro celeste giunge ad appartenere in qualche modo anche agli uomini, pur nella sua distanza. Il mistero insomma ci tocca, ci dona un raggio che è suo e ci trasfigura. Non possiamo contemplarlo senza esserne segnati. 28
Corollario della scoperta che preclude ogni ulteriore cammino sarà la percezione della inutilità dell' azione e della vanità della ricerca, per ritrovare, come unico rifugio, l'intimità del proprio animo. Fiumane che passai! voi la foresta immota nella chiara acqua portate, portate il cupo mormorìo, che resta. Montagne che varcai! dopo varcate, sì grande spazio di su voi non pare, che maggior prima non lo invidïate. Azzurri, come il cielo, come il mare, o monti! o fiumi! era miglior pensiero ristare, non guardare oltre, sognare; il sogno è l’infinita ombra del Vero. Di fronte alla scoperta della sua limitatezza, sulla sponda dell'Oceano Alessandro piange: E così, piange, poi che giunse anelo: piange dall’occhio nero come morte: piange dall’occhio azzurro come cielo. Chè si fa sempre (tale è la sua sorte) nell’occhio nero lo sperar, più vano: nell’occhio azzurro il desiar, più forte. Come piange Achille umiliato, come piange Odisseo, che vuol tornare ad Itaca non può, perché è prigioniero. Essi rivendicano il senso più vero della propria identità: il primato nel valore, che deve essere riconosciuto, o il proprio ruolo in patria, da riconquistare mediante il ritorno. Come a scuola abbiamo recentemente appreso dal bellissimo testo di Matteo Nucci, il pianto degli eroi è un fatto significativo della loro verità e del loro destino. Con questo pianto l' Alessandro di Pascoli si consacra eroe moderno che scopre la propria impotenza di fronte alla grandezza del mondo ed al mistero. 29
La fantasia tardo-antica e medioevale poteva attribuire ad Alessandro l'avventura estrema di raggiungere la Luna, fosse o meno peccato di orgoglio: era comunque un trionfo, tributatogli da una cultura che credeva nel successo. Ma è proprio questa possibilità di vittoria ultima e definitiva che l'uomo contemporaneo sente di aver perduto. Oggi la Luna è stata raggiunta, ma questo significa solo che il confine tra il conosciuto e l'ignoto è spostato un po' più in là. Anche qualora l'uomo riuscisse a percorrere tutto l'universo oggi sappiamo bene che non per questo l'ignoto scomparirebbe: resterebbero altre soglie di mistero, nel nostro animo e nel senso stesso dell'esistenza. La contemplazione del mistero è centrale in Pascoli; qui la sua importanza è sottolineata dalla grande suggestione di questi memorabili versi, creata mediante l'ambientazione notturna, che ben rappresenta il mistero da cui siamo avvolti, e dal dettato aulico del testo, impreziosito da alcuni termini rari ed arcaici. I nomi esotici di paesi e di genti richiamano lo splendore di antiche civiltà e la vastità dell' impero che vanamente ha riunito tanti popoli: è l' intera umanità che con Alessandro è giunta alle soglie del nulla e del silenzio. 30
Il colloquio con la Luna, dal colle di Recanati alle steppe dell'Asia 1. Il simbolo lunare in Leopardi di Serena Campolo - VF La luna è uno dei simboli più frequenti nelle poesie di Leopardi: alle volte è una semplice presenza all'interno dell'idillio, come ad esempio ne II sabato del villaggio o-ne La sera del dì di festa, in cui ha l'unico scopo di definire il tempo dell'azione; mentre in altri idilli svolge la funzione di interlocutore con cui il- poeta instaura un colloquio. Ne "Alla luna", idillio scritto nel 1819, il poeta si rivolge fin dal primo verso (O graziosa luna) alla luna, che osserva dalla cima dello stesso colle su cui aveva già riflettuto sul tema del vago e dell'indefinito nell'idillio L'infinita. Essa, che con la sua luce riflessa rischia la notte buia, è solo un interlocutore fittizio, con cui Leopardi immagina di parlare per poter far esprimere il suo "io" interiore. Essa diventa specchio dell'animo del poeta, che ogni anno torna sul quel monte a riflettere sulla sua vita (che nonostante il passare del tempo non cangia stile) e rappresenta una confidente che il poeta sente vicina (come si può vedere nel verso 10 in cui la chiama O mia diletta luna). Temi principali di questa poesia sono proprio la ricordanza, ed il dolore che essa provoca in noi; e la natura come madre benigna, che con le sue illusioni ci distoglie dalla sofferenza della realtà, natura di cui la luna è simbolo. Essa, attraverso i ricordi che rievoca nel poeta, offre l'illusione di poter possedere il tempo passato, rendendo la vita del poeta meno infelice. Tutt'altra visione offre il Canto di un pastore errante dell'Asia (1830), in cui è evidente il passaggio da un pessimismo storico, in cui la natura tramite le illusioni ci protegge dalla realtà, ad un pessimismo cosmico, che vede la natura totalmente indifferente alle sorti dell'uomo. Anche questo idillio si apre con un dialogo con la luna, che subito 31
viene percepita dal pastore così come da chi legge come silenziosa, lontana ed indifferente. Il pastore continua, nel corso del suo cammino senza sosta, ad interrogarla circa il senso della vita e della sofferenza dell'uomo dovuta alla sua stessa esistenza, ma essa, a differenza dell'idillio Alla luna, non conforta né illude il pastore ma lo ignora, proseguendo nel suo cammino, che essendo essa eterna e l'uomo mortale, non sarà minimamente influenzata dalle sorti di quest'ultimo. Ciò sottolinea la nuova visione che Leopardi ha della natura (di cui la luna è nuovamente simbolo) cioè una matrigna completamente indifferente all'esistenza dell'uomo (di cui è simbolo il pastore) e alla sua sofferenza; che vede la vita come un semplice crearsi e distruggersi di ogni cosa, di un universo intero di cui l'uomo è solo una piccola parte. 2. O graziosa luna, io mi rammento di Anna Guida, Paolo Melissari, Laura Zaccaria - V F Appartengono ai Canti i componimenti di Leopardi Alla luna e Canto di un pastore errante dell' Asia. Il primo fa parte degli Idilli, la raccolta dei testi composti tra l'anno 1819 e 1821, in cui l'autore tratta temi personali e intimi; il secondo è fra i Canti pisano-recanatesi, chiamati anche Grandi Idilli, i cui componimenti furono realizzati tra il 1828 e 1835. Queste due liriche vedono il mutamento del pensiero leopardiano da pessimo storico (Alla luna) a pessimismo cosmico (Canto di un pastore errante dell'Asia). Nell'ideologia romantica la luna era sentita come l'emblema stessa dell'arte, e si credeva che entrambe mettessero in relazione il mondo spirituale con quello materiale. In Alla luna, prima intitolata La ricordanza , composta nel 1819, la luna stimola il poeta ad un intimo colloquio: definita graziosa (termine che indica sia il dolce aspetto sia il dono della grazia 32
all'uomo) e diletta, va a costituire il catalizzatore, il punto di riferimento che funge da specchio delle emozioni dell'autore. Inoltre anche l'ambientazione della "scena": di notte, con la luce lunare, nel silenzio, invoglia l'uomo alla riflessione. L'astro in questa lirica è simbolo della natura che il poeta, durante la giovinezza, vedeva come benigna e portatrice di speranza. Nel Canto di un pastore errante dell'Asia si realizza una totale trasformazione di segno e di significato che l'autore conferisce al corpo celeste. In questa lirica, composta tra il 1829 e 1830, Leopardi affronta il tema del senso ultimo dell'esistenza rinunciando al filtro della memoria e incentrando il componimento sul colloquio immaginario tra un pastore (portavoce dell'autore) e la luna. Quest'ultima è intatta e pura ma estranea, distaccata,troppo lontana e diversa dagli uomini; assume tali connotazioni in quanto Leopardi passando al "pessimismo cosmico" vede la luna, che rappresenta la natura, come del tutto indifferente nei confronti dell'uomo: essa è creatrice degli esseri umani destinati solo al dolore e alla sofferenza, di cui non tiene conto. Quindi in queste due opere di Leopardi l'astro si trasforma da unica confidente del poeta a simbolo dell'indifferenza della Natura nei confronti dell'umanità. 33
Era il più bel chiaro di luna I Promessi Sposi, cap. VIII: la "notte degli imbrogli". E' calata la sera quando Renzo e Lucia, assieme a Tonio e Gervaso, si introducono di nascosto in casa di don Abbondio per tentare il "matrimonio a sorpresa". L'inganno fallisce perché il curato, accortosi del tranello, impedisce a Lucia di pronunciare la formula e fugge nella stanza attigua; nella violenza della reazione la lucerna cade a terra e lo studiolo piomba nell'oscurità, mentre si scatena il caos: ognuno dei presenti reagisce a suo modo, gridando, gemendo, agitandosi alla cieca... Don Abbondio, visto che gli intrusi non si ritirano, si affaccia alla finestra per chiamare aiuto. All'apertura di quella finestra appare all'improvviso lo spettacolo della pace solenne della notte: Era il più bel chiaro di luna; l'ombra della chiesa, e più in fuori l'ombra lunga ed acuta del campanile, si stendeva bruna e spiccata sul piano erboso e lucente della piazza: ogni oggetto si poteva distinguere, quasi come di giorno. Ma, fin dove arrivava lo sguardo, non appariva indizio di persona vivente. Il valore simbolico della scena è di grande forza: la splendida luce lunare illumina un mondo silenzioso e tranquillo, in singolare contrasto con la confusione che regna all'interno della canonica. Da una parte, l'ordine e l'equilibrio della natura, dall'altra, il disordine che domina il mondo dell'uomo, dove si scontrano sopruso ed ingiustizia, inganno e violenza, in un insensato tumulto. Alla fine del capitolo i due sposi rimasti promessi raggiungono Padre Cristoforo, che per aiutarli ha organizzato la loro fuga e li aspetta nella chiesa del suo convento: La porta di fatto s'aprì; e la luna, entrando per lo spiraglio, illuminò la faccia pallida, e la barba d'argento del padre Cristoforo, che stava quivi ritto in aspettativa. 34
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