La piramide dell'informazione e il realismo strutturale - AIB studi

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La piramide dell'informazione e il realismo strutturale - AIB studi
temi e analisi

          La piramide dell'informazione
              e il realismo strutturale
                                           di Riccardo Ridi

                                              La maggioranza dei verbi esprime cose vere, mentre
                                               i sostantivi sono il paradiso delle costruzioni vane
                                                                              (Paul Valery, 1940)

DIKW, DIK, DIKAS e filosofie delle relazioni
La piramide (o gerarchia) DIKW (dati, informazione, conoscenza, saggezza) è uno
schema concettuale e grafico molto popolare nell’ambito delle scienze dell’infor-
mazione e del knowledge management, che può risultare estremamente utile per ana-
lizzare e disambiguare il concetto di informazione e per confrontare fra loro teorie
                                                       1
relative a tale argomento. In un mio recente articolo pubblicato su questa stessa rivi-
sta ho illustrato le origini della piramide DIKW, la sua struttura, le sue varianti e le
principali critiche che le sono state rivolte, notando fra l’altro che il suo quarto ‘gra-
dino’, corrispondente alla saggezza, è quello più spesso contestato od omesso, gene-
randone così una versione DIK (dati, informazione, conoscenza) a sua volta piutto-
sto diffusa. A tale variante ‘a tre gradini’ fa riferimento anche la mia proposta –
avanzata in due successivi articoli2 – di una piramide DIKAS (dati, informazioni,
conoscenze, consapevolezze, autoconsapevolezze) in cui all’interno di una cono-
scenza intesa come l’informazione inclusa in sistemi cognitivi non necessariamen-
te biologici (come, ad esempio: termostati, ascensori e computer) può capitare che
si sviluppino, se i sistemi cognitivi stessi sono sufficientemente ricchi, complessi e
integrati, particolari sottoinsiemi di informazioni dotati di caratteristiche tali da
configurarsi come quei fenomeni soggettivi a cui usualmente ci riferiamo coi ter-
mini ‘coscienza’ e ‘autocoscienza’ (cfr. Figura 1).

RICCARDO RIDI, Università Ca’ Foscari, Dipartimento di studi umanistici, Venezia, e-mail ridi@unive.it.
Ringrazio Juliana Mazzocchi per la revisione. Le traduzioni in italiano non diversamente attribuite sono mie.
Ultima consultazione siti web: 2 luglio 2021.
1 Cfr. Riccardo Ridi, La piramide dell’informazione: una introduzione, «AIB studi», 59 (2019), n. 1-2,
p. 69-96, DOI: 10.2426/aibstudi-11903.
2 Cfr. Riccardo Ridi, La piramide dell’informazione: una proposta (prima parte), «AIB studi», 60 (2020),
n. 2, p. 219-267, DOI: 10.2426/aibstudi-12215 e Id., La piramide dell’informazione: una proposta
(seconda parte), «AIB studi», 60 (2020), n. 3, p. 527-551, DOI: 10.2426/aibstudi-12216.

aib studi, vol. 61 n. 2 (maggio/agosto 2021), p. 233-255. DOI 10.2426/aibstudi-13265
ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright © 2021 Riccardo Ridi
La piramide dell'informazione e il realismo strutturale - AIB studi
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                              Figura 1 – Le piramidi DIKW, DIK e DIKAS

Nella piramide DIKAS i dati sono oggettive alternanze di continuità e discontinuità
nella realtà, considerabili solo come informazioni potenziali o ‘sintattiche’; le vere e
proprie informazioni (denominate ‘semantiche’) non sono entità statiche, ma pro-
cessi dinamici di causazione che collegano i dati con altri dati (contenuti, almeno
questi ultimi, in sistemi informazionali sufficientemente autonomi e dinamici da
poter essere considerati ‘sistemi cognitivi’) facendo emergere il significato in un pro-
cesso a due stadi (contestualizzazione esterna generata dalla ‘semiosi illimitata’ e inter-
pretazione interna generata dalla ‘semiosi pragmatica’); le conoscenze (o ‘informa-
zioni pragmatiche’) sono i dati contenuti nei sistemi cognitivi, che a loro volta possono
innescare ulteriori processi informativi all’interno di ciascuno di tali sistemi; le con-
sapevolezze (il cui insieme viene chiamato ‘coscienza’) sono conoscenze che, nei siste-
mi cognitivi biologici più complessi, acquisiscono temporaneamente un livello par-
ticolarmente elevato di connessione con gran parte delle altre conoscenze incluse
nello stesso sistema cognitivo e, quindi, un altrettanto elevato livello di accessibilità,
che a sua volta fa emergere il fenomeno della soggettività; infine le autoconsapevo-
lezze (il cui insieme viene chiamato ‘autocoscienza’) sono consapevolezze che hanno
come oggetto altre singole consapevolezze o loro insiemi oppure l’intera coscienza.
    Nello schema DIKAS i dati, le informazioni, le conoscenze (così come le consa-
pevolezze e le autoconsapevolezze, che si configurano come particolari tipi di cono-
scenze) sono, in fin dei conti, la stessa cosa, cioè strutture di identità e discontinuità
presenti nella realtà che, in determinati contesti, producono effetti di tipo semiotico
(X rinvia a Y, X sta per Y) che a loro volta possono essere concause di ulteriori effetti,
in un processo di illimitata semiosi che si arresta, provvisoriamente, solo quando un
determinato significato emerge all’interno di un sistema informazionale sufficien-
temente complesso come – ad esempio, ma non esclusivamente – un cervello umano.
    Tralasciando per il momento la parte AS (awarenesses e self-awarenesses, cioè con-
sapevolezze e autoconsapevolezze, corrispondenti alla coscienza e all’autocoscienza)
di DIKAS, che si verifica solo nell’ambito di sistemi cognitivi estremamente sofisti-
cati (come quelli corrispondenti ai sistemi nervosi di varie specie di animali, abitual-
mente studiati dalle scienze cognitive), la sua parte DIK (data, information processes,
knowledges), corrispondente ai fenomeni più tipicamente studiati dalle scienze del-
l’informazione, integra in un unico quadro coerente tre tipologie o forme dell’infor-
mazione che invece spesso vengono considerate indipendenti o, addirittura, alter-
native fra loro: i dati intesi come discontinuità o differenze da Floridi3, l’informazione

3 Cfr. Luciano Floridi, From data to semantic information, «Entropy», 5 (2003), n. 2, p. 125-145, DOI:
10.3390/e5020125.
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concepita come «una differenza che fa la differenza» da Bateson e la stessa informa-
zione vista però come «una differenza che fa la differenza (per qualcuno o per qual-
cosa o da un punto di vista)»5 da Hjørland, rispettivamente corrispondenti all’infor-
mazione teorizzata da Buckland «come cosa», «come processo» e «come conoscenza»6
e da Searle nel senso «tecnico della teoria dell’informazione», nel senso «indipen-
dente dall’osservatore» e in quello «dipendente dall’osservatore»7 (cfr. Figura 2).

                       Figura 2 – Dati, processi informativi causali, conoscenze

In questo articolo mostrerò come la piramide DIKAS presenti rilevanti consonanze
con alcune teorie filosofiche contemporanee (il realismo strutturale nelle sue varian-
ti ontica, epistemica e informazionale, nonché l’interpretazione relazionale della
meccanica quantistica) e con certi aspetti di alcuni sistemi filosofici del passato (in
particolare quelli di Nāgārjuna, Bradley e Whitehead), tutti accumunati dalla mag-
giore centralità attribuita a relazioni, strutture, azioni, eventi e processi dinamici
rispetto a quella che solitamente viene attribuita, sia dal senso comune che dalle
teorie filosofiche e scientifiche, a oggetti, individui, entità e ‘cose’ statici8. Ciascuna

4 Gregory Bateson, Double bind, 1969. In: Id., Steps to an ecology of mind. New York: Ballantine, 1972,
p. 271-278. Cfr. anche R. Ridi, La piramide dell’informazione: una introduzione cit., p. 82 e Id., La pira-
mide dell’informazione: una proposta (prima parte) cit., p. 222.
5 Birger Hjørland, Information: objective or subjective/situational?, «Journal of the American society
for information science and technology», 58 (2007), n. 10, p. 1448-1456: p. 1449, DOI: 10.1002/asi.20620.
6 Michael K. Buckland, Information and information systems. New York: Praeger, 1991.
7 John R. Searle, [Interview] 12. In: Philosophy of computing and information: 5 questions, edited by
Luciano Floridi. Copenhagen: Automatic / VIP, 2008, p. 111-116: p. 112.
8 Cfr. Laura Candiotto; Giacomo Pezzano, Filosofia delle relazioni: il mondo sub specie transforma-
tionis. Genova: Il melangolo, 2019, che amplia ulteriormente la panoramica sul ‘relazionismo’ inclu-
dendovi anche filosofi francesi contemporanei come Gilles Deleuze, Félix Guattari, Bruno Latour e Jean-
Luc Nancy non particolarmente rilevanti rispetto agli argomenti trattati in questo articolo.
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di tali teorie è logicamente compatibile con DIKAS, che dal confronto con esse (e,
soprattutto, da quello con l’interpretazione relazionale della meccanica quantisti-
ca) spero possa emergere come ancora più comprensibile e convincente, rendendo
più plausibili certi suoi aspetti che potrebbero essere considerati controintuitivi o
in contrasto con il linguaggio comune.

Realismo strutturale ontico, epistemico e informazionale
Per mediare fra le varie concezioni filosofiche che da millenni si contrappongono e
si confrontano nell’attribuire alla conoscenza umana una maggiore o minore capa-
cità di cogliere la realtà per come essa è oggettivamente oppure, inversamente, di
contribuire almeno in una certa misura a ‘costruire’ tale realtà come qualcosa che
incorpora anche il nostro ineludibile punto di vista soggettivo9, sono state elabora-
te, a partire dall’inizio del ventesimo secolo, numerose teorie epistemologiche par-
                                                                   10
ticolarmente attente agli sviluppi della scienza contemporane . Fra esse ci sono, ad
                                            11
esempio, il ‘falsificazionismo’ di Popper (una teoria è scientifica solo se è possibile
costruire un esperimento che potrebbe dimostrarne la falsità), il ‘convenzionalismo’
              12
di Poincaré (le teorie scientifiche sono convenzioni, ma non arbitrarie perché effi-
caci) e il ‘realismo negativo’ di Eco, secondo cui «ogni ipotesi interpretativa è sem-
pre rivedibile […] ma, se non si può mai dire definitivamente se una interpretazio-
                                                        13
ne sia giusta, si può sempre dire quando è sbagliata» .
    Fra le teorie di questo tipo (ascrivibili al campo del ‘realismo moderato’ o del
‘costruttivismo moderato’ a seconda del punto di partenza della propria riflessione)
emerse negli ultimi decenni, secondo alcuni autori «la più importante è probabil-
                               14
mente il realismo strutturale , la tesi secondo cui le nostre migliori teorie fisiche non

9 «Dai suoi inizi ad oggi, la filosofia può essere vista come una serie di contese tra vari tipi di realismi
e vari tipi di antirealismi» (Gerald Vision, Modern anti-realism and manufactured truth. London, New
York: Routledge, 1988, p. 3).
10 Cfr. Realismo/antirealismo: aspetti del dibattito epistemologico contemporaneo, a cura di Ales-
sandro Pagnini. Scandicci: La nuova Italia, 1995; Riccardo Ridi, Livelli di irrealtà: oggettività e sog-
gettività nell’organizzazione della conoscenza, «Bibliotime», 18 (2015), n. 2, ; Id., Phenomena or noumena? Objective and subjective
aspects in knowledge organization, «Knowledge organization», 43 (2016), n. 4, p. 239-253, DOI:
10.5771/0943-7444-2016-4-239, disponibile anche a .
11 Cfr. Karl R. Popper, Congetture e confutazioni: lo sviluppo della conoscenza scientifica, traduzione
di Giuliano Pancaldi. Bologna: Il mulino, 1972 (ed. or. Conjectures and refutations: the growth of sci-
entific knowledge. New York, London: Basic books, 1962).
12 Cfr. Henri Poincaré, La scienza e l’ipotesi, introduzione, traduzione, note e apparati di Corrado Sini-
gaglia. Milano: Bompiani, 2012 (ed. or. La science et l’hypothèse. Paris: Flammarion, 1902).
13 Umberto Eco, Di un realismo negativo. In: Bentornata realtà: il nuovo realismo in discussione, a
cura di Mario De Caro e Maurizio Ferraris. Torino: Einaudi, 2012, p. 91-112: p. 105.
14 Il realismo strutturale filosofico è inscrivibile nell’ambito del più ampio movimento culturale multi-
disciplinare dello strutturalismo novecentesco, che «ha inteso trasferire nell’ambito delle scienze umane
metodologie di ricerca e modelli esplicativi incentrati sulla nozione di struttura, determinata secondo
rigorose leggi scientifiche» (Sadi Marhaba, Strutturalismo. In: Enciclopedia filosofica, direttore Virgilio
Melchiorre. Milano: Bompiani, 2010, vol. 17, p. 11188-11194: p. 11188). Cfr. anche Francesco Remotti,
Strutturalismo. In: La filosofia, diretta da Paolo Rossi. Torino: UTET, 1995, vol. 4, p. 553-586.
temi e analisi                                                                                           237
descrivono la natura intrinseca dei fenomeni inosservabili a cui fanno riferimento,
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bensì la loro struttura, ossia le relazioni che questi fenomeni stabiliscono» , che
attualmente «viene considerato sia da molti realisti che da molti antirealisti come
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la forma più difendibile di realismo scientifico» .
     Il realismo strutturale, introdotto nel dibattito epistemologico nel 1989 da John
           17
Worrall rifacendosi esplicitamente al convenzionalismo teorizzato da Poincaré
all’inizio del Novecento, sostiene che ciò che le teorie scientifiche davvero descri-
vono sono soltanto strutture e relazioni astratte, la cui interpretazione in termini di
oggetti concreti è solo una concessione alla nostra esigenza di rappresentarci in modo
intuitivo la realtà esterna. La scienza contemporanea, il cui oggetto di studio è sem-
pre più spesso qualcosa che trascende i limiti della nostra percezione sensoriale diret-
ta (come gli atomi o la gravità) o che addirittura sfida le nostre capacità di com-
                         18
prensione razionale (come i fenomeni quantistici, ondulatori o corpuscolari a
seconda di come vengono misurati) non potrebbe quindi più pretendere di coglie-
re l’essenza o la natura ultima della realtà, ma dovrebbe accontentarsi di descrivere
(con un linguaggio matematico intrinsecamente astratto) le regolarità, gli schemi,
le leggi, le forme e le strutture con cui la realtà stessa si manifesta, ossia le relazioni
                                   19
fra gli enti, e non gli enti stessi . Ciò non significa che gli enti con cui siamo abituati
ad interagire quotidianamente (questo bicchiere, questo gatto) e che descriviamo
col nostro altrettanto quotidiano linguaggio naturale (non matematico) non esi-
stano in alcun modo, ma solo che sia più razionale – in ambito filosofico e scientifi-
co – concettualizzarli come l’esito momentaneo dell’intersezione degli innumere-
voli processi prodotti da tali relazioni. In questa ottica descrivere le relazioni a partire
dagli enti che ne sono collegati (il matrimonio è ciò che collega i coniugi) oppure gli
enti a partire dalle loro reciproche relazioni (sono coniugi coloro che sono uniti dal
matrimonio) è un’alternativa fra cui si può scegliere in base all’utilità o al punto di
vista. Dal punto di vista del rapporto quotidiano con entità e fenomeni più o meno
delle nostre stesse dimensioni è più utile e intuitivo maneggiare enti, mentre al livel-
lo microscopico della fisica (dove anche l’oggetto apparentemente più solido e immo-

15 Mario De Caro, Realtà. Torino: Bollati Boringhieri, 2020, p. 57.
16 James Ladyman, Structural realism, first published November 14, 2007, substantive revision Janu-
ary 10, 2014, . In: Stanford encyclopedia of
philosophy, principal editor Edward N. Zalta, senior editor Uri Nodelman. Stanford: Stanford Univer-
sity, 1995-, . Per una panoramica sia storica che teoretica sulle
dispute fra filosofi della scienza ‘realisti’ e ‘antirealisti’ (che costituiscono una parte rilevante, ma non
esaustiva, di quelle fra epistemologi ‘realisti’ e ‘costruttivisti’) dalla fine dell’Ottocento a oggi cfr. Carlo
Gabbani, Realismo e antirealismo scientifico: un’introduzione. Pisa: ETS, 2018.
17 Cfr. John Worrall, Structural realism: the best of both worlds?, «Dialectica», 43 (1989), n. 1-2, p. 99-124.
18 «Il comportamento atomico, essendo lontanissimo dalle esperienze ordinarie, appare peculiare e
misterioso a chiunque, a chi appena inizia a studiare la fisica come a chi ha anni di esperienza, e farci
l’abitudine non è per niente facile. Perfino gli esperti non lo capiscono come vorrebbero, e questo è
perfettamente logico, perché l’esperienza diretta e l’intuizione umana si applicano solo agli oggetti
macroscopici» (Richard P. Feynman, Sei pezzi facili, traduzione di Laura Servidei. Milano: Adelphi,
2000, p. 175; ed. or. Lectures on physics. Reading (MA): Addison-Wesby, 1963-1965).
19 Cfr. Valeria Ascheri, Il realismo scientifico strutturale nel dibattito filosofico contemporaneo: que-
stioni aperte e recenti sviluppi, «Forum: supplement to Acta philosophica», 3 (2017), p. 343-359, DOI:
10.17421/2498-9746-03-20.
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bile si rivela un pulviscolo di onde o di particelle in movimento ) può risultare più
efficace teorizzare, misurare e prevedere relazioni, perchè «a una certa distanza abbia-
mo a che fare con ‘cose’ e a un’altra distanza abbiamo a che fare con ‘processi’»21, in
quanto, in fondo, come già scrivevano rispettivamente Wittgenstein nel 1921 e Good-
man nel 1951, «il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose»22 e «una cosa è un even-
to monotono; un evento è una cosa instabile»23.
     Successivamente tale approccio si è articolato in due posizioni distinte: quella
del ‘realismo strutturale epistemico’ (epistemic strucural realism: ESR) e quella del ‘rea-
lismo strutturale ontico’ (ontic strucural realism: OSR). «La prima visione asserisce
che è possibile conoscere soltanto gli aspetti strutturali (cioè relazionali) della realtà
fisica inosservabile, ma non la natura intrinseca degli oggetti che sono in relazione
fra loro; la seconda concezione asserisce, più radicalmente, che non esistono ogget-
ti inosservabili ma soltanto caratteristiche strutturali»24, ovvero: «tutto ciò che cono-
sciamo è struttura [oppure] tutto ciò che esiste è struttura»25. In entrambi i casi resta
problematico come si possano concepire (per l’impostazione epistemica) o possano
esistere (per l’impostazione ontica) strutture o relazioni precedenti (da un punto di
vista sia logico che cronologico) alle entità che vengono strutturate o messe in rela-
zione. Due persone esistono (o sono concepibili) anche prima e indipendentemen-
te dal loro matrimonio, sebbene non in quanto coniugi, mentre il matrimonio non
solo non può esistere, ma non è neppure concepibile o definibile senza coinvolgere
in qualche modo almeno una coppia di persone.
     A tale difficoltà trova una brillante soluzione il ‘realismo strutturale informa-
zionale’ (informational structural realism: ISR) proposto da Floridi nel 200326, che indi-
vidua nella ‘differenza’27 quel particolarissimo tipo di relazione capace al tempo stes-

20 «La differenza fra cose e eventi è che le cose permangono nel tempo. Gli eventi hanno durata limi-
tata. […] A ben guardare […] anche le ‘cose’ che più sembrano ‘cose’ non sono in fondo che lunghi even-
ti. Il sasso più solido, alla luce di quello che abbiamo imparato dalla chimica, dalla fisica, dalla minera-
logia, dalla geologia […] è in realtà un complesso vibrare di campi quantistici, un interagire momentaneo
di forze, un processo che per un breve istante riesce a mantenersi in equilibrio simile a se stesso, prima
di disgregarsi di nuovo in polvere» (Carlo Rovelli, L’ordine del tempo. Milano: Adelphi, 2017, p. 87-88).
21 L. Candiotto; G. Pezzano, Filosofia delle relazioni cit., p. 82.
22 Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, traduzione di Amedeo G. Conte. Torino: Einau-
di, 1983, p. 5 (ed. or. Logisch—philosophische Abhandlung, «Annalen der Naturphilosophie», 14 (1921),
p. 185-262).
23 Nelson Goodman, La struttura dell’apparenza, traduzione di Alberto Emiliani. Bologna: Il mulino,
1985, p. 415 (ed. or. The structure of appearance. Cambridge (MA): Harvard University, 1951).
24 M. De Caro, Realtà cit., p. 57.
25 Steven French, The structure of the world: metaphysics and representation. Oxford: Oxford Uni-
versity, 2014, p. 2.
26 Cfr. Luciano Floridi, A defence of informational structural realism, revised version of a lecture deliv-
ered at the 1st Australian computing and philosophy conference, Canberra, 31 October - 2 November,
2003, «Synthese: an international journal for epistemology, methodology and philosophy of science»,
161 (2008), n. 2, p. 219-253, DOI: 10.1007/s11229-007-9163-z.
27 Sull’importanza del concetto di differenza nello strutturalismo linguistico cfr. R. Ridi, La piramide
dell’informazione: una proposta (prima parte) cit., p. 224-225.
temi e analisi                                                                                      239
so di poter essere concepita anche indipendentemente dalle entità a cui si applica e
di costituire la premessa di qualsiasi altro genere di relazione. Infatti, per compren-
dere il concetto di differenza fra due o più entità non c’è bisogno né di sapere nien-
te su di esse (dal punto di vista epistemologico) né che esse godano (dal punto di
vista ontologico) di alcuna particolare proprietà, se non di quella – davvero mini-
male – di essere, appunto, due o più entità davvero diverse, ovvero di essere distin-
guibili fra loro, ossia che esista (e sia percepibile) una qualche differenza, per l’ap-
punto, fra di esse. La relazione della differenza può quindi sussistere (ontologicamente)
ed essere percepita (epistemologicamente), indipendentemente dalla natura e dalle
caratteristiche delle entità messe in relazione, e una volta introdotta essa può costi-
tuire la base per relazioni più complesse, che devono comunque sempre incorpo-
rarla, perché è impossibile che X sia in un qualunque tipo di rapporto con Y senza
che ci sia anche una qualche differenza fra X e Y, con l’unica eccezione della rela-
zione di identità (X=Y), che però implica, a rigore, l’inesistenza di una delle due
entità, indistinguibile dall’altra (X=X)28.
    Il concetto di differenza, oltre a mostrare questa singolare proprietà, possiede
anche quella di essere particolarmente rilevante per le scienze dell’informazione, in
quanto – come si è accennato nel precedente paragrafo – centrale in varie teorie sulla
natura dell’informazione. In particolare Floridi definisce i dati come «‘fratture nel
continuo’ o mancanze di uniformità nel tessuto della realtà»29 (attribuendo loro una
valenza sia ontica che epistemica, che consentirebbe alla sua ipotesi ISR di riconci-
liare fra loro le teorie ESR e OSR) e l’informazione come «dati ben formati e dotati di
significato»30, che diventerebbero poi ‘informazione semantica’ aggiungendo l’ul-
teriore requisito della veridicità31.

L’interpretazione relazionale della meccanica quantistica
Fin dai suoi primi passi, ai tempi di Anassimandro e di Pitagora, la descrizione scienti-
fica del mondo non ha mai coinciso esattamente con quella del senso comune, per-
ché la ricerca di leggi e regolarità deve necessariamente astrarre da almeno alcune delle
apparenze per raggiungere i propri obiettivi esplicativi e predittivi32. Tale divaricazio-
ne fra ‘mondo intuitivo’ e ‘mondo scientifico’ ha raggiunto il suo culmine con la teo-
rizzazione, nella prima metà del ventesimo secolo, con il contributo dei più impor-
tanti fisici dell’epoca (Bohr, Born, de Broglie, Dirac, Einstein, Feynman, Heisenberg,
Jordan, Pauli, Planck e Schrödinger, molti dei quali proprio per questo insigniti, in anni
diversi, del premio Nobel) della cosiddetta ‘meccanica quantistica’33.

28 «Se qualcosa è logicamente indifferenziabile, cioè se è logicamente impossibile differenziarla da
qualsiasi altra cosa, allora tale cosa non esiste» (L. Floridi, A defence cit., p. 246).
29 Luciano Floridi, La rivoluzione dell’informazione, traduzione di Massimo Durante, prefazione di
Juan Carlos De Martin. Torino: Codice, 2012, p. 86 (ed. or. Information: a very short introduction. Oxford:
Oxford University, 2010).
30 Ivi, p. 25.
31 Cfr. ivi, p. 61.
32 Cfr. Carlo Rovelli, Che cos’è la scienza: la rivoluzione di Anassimandro. Milano: Mondadori, 2014;
Matteo Morganti, Filosofia della fisica: un’introduzione. Roma: Carocci, 2016.
33 Cfr. Federico Laudisa, La realtà al tempo dei quanti: Einstein, Bohr e la nuova immagine del mondo.
Torino: Bollati Boringhieri, 2019; Carlo Rovelli, Helgoland. Milano: Adelphi, 2020.
240                                                                                 temi e analisi
     Secondo tale teoria – oggi universalmente accettata e sperimentalmente pluri-
verificata, ma inizialmente avversata o comunque duramente criticata persino da
alcuni dei suoi protagonisti34 – non solo la materia (come già previsto dalla teoria
atomica) ma neppure l’energia è divisibile all’infinito, ma può essere scambiata solo
sotto forma di ‘pacchetti’ o ‘quanti’ discreti. I quanti non sono né corpuscoli (come
gli atomi e le particelle subatomiche della meccanica classica) né onde (come le radia-
zioni dell’elettromagnetismo classico) perché a seconda di come vengono misurati
presentano le caratteristiche ora degli uni e ora delle altre. E, poiché la teoria della
relatività speciale di Einstein equipara l’energia alla massa, tale ambivalenza si esten-
de alla totalità delle entità studiate dalla fisica, il cui comportamento viene descrit-
to da equazioni che però non riescono mai a individuare contemporaneamente tutte
le loro caratteristiche, ma solo le probabilità che una di esse assuma un determina-
to valore col variare delle altre. È solo l’atto stesso della misurazione di un sistema
fisico che fa ‘collassare’ la nube di probabilità sul singolo valore che viene concre-
tamente rilevato e che quindi (per il ‘principio di indeterminazione’ enunciato da
Heisenberg nel 1927), modifica il sistema stesso, che risulta inconoscibile per come
è di per sé, in assenza di un osservatore35.
     Per cercare di neutralizzare, o almeno ridurre, l’evidente presenza in questo qua-
dro di quegli aspetti di soggettività (l’osservatore che altera i fenomeni osservati),
indeterminatezza (i fenomeni non sono più prevedibili come nella meccanica clas-
sica, ma solo più o meno probabili, almeno a livello microscopico36) e ambiguità
ontologica (i componenti ultimi della realtà sono particelle, onde o qualcosa di più
profondo e misterioso?) che rendono la meccanica quantistica così inquietante sono
state sviluppate, nel corso degli anni, varie interpretazioni filosofiche di tale teoria
scientifica. Quella più antica, e tuttora considerata canonica, è quella ‘di Copenha-
gen’37 secondo la quale non ha senso porsi domande sulle caratteristiche che i feno-

34 Celebre lo scetticismo di Einstein, riassunto dalla sua convinzione (formulata in una lettera a Born
del 1926) che dio non giochi a dadi con l’universo (cfr. Vasil Penchev, God’s dice. In: VIII Conference
of the Spanish society for logic, methodology and philosophy of science, Barcelona, 7-10 July 2015.
Barcelona: Universitat de Barcelona, 2015, p. 297-303, ).
Per una divertente antologia di lapidarie critiche o dichiarazioni di incomprensione relative alla teoria
quantistica formulate da Bohr, Einstein, Feynman, Heisenberg, Pauli e Schrödinger cfr. Carlo Cosmel-
li, Fisica per filosofi, con percorsi storico-filosofici di Paolo Pecere. Roma: Carocci, 2021, p. 261-262.
35 Cfr. Enrico Bellone, La meccanica dei quanti. In: La scienza, direzione scientifica Enrico Bellone,
direzione editoriale Enrico Cravetto. Torino, Novara: UTET; De Agostini, 2005, vol. 12, p. 259-300; C.
Cosmelli, Fisica per filosofi cit., cap. 7 (Meccanica quantistica), p. 259-347.
36 A livello macroscopico il calcolo delle probabilità legate ai grandi numeri rende la fisica classica,
pre-quantistica, ancora perfettamente utilizzabile nella vita e nella tecnologia quotidiana. «Di solito
poi osserviamo il mondo a grandi scale, quindi non ne vediamo la granularità. Vediamo valori media-
ti fra tantissime piccole variabili. Non vediamo singole molecole: vediamo l’intero gatto. Quando ci
sono tantissime variabili, le fluttuazioni diventano irrilevanti, la probabilità si avvicina alla certezza»
(C. Rovelli, Helgoland cit., p. 117).
37 La cosiddetta ‘interpretazione di Copenhagen’ della meccanica quantistica fu così denominata da
Heisenberg nel 1955 e si basa soprattutto sui lavori da lui svolti insieme a Bohr e Born in Danimarca fra
il 1925 e il 1932. Cfr. Jan Faye, Copenhagen interpretation of quantum mechanics, first published May
3, 2002, substantive revision December 6, 2019, .
In: Stanford encyclopedia of philosophy cit.
temi e analisi                                                                                             241
meni fisici avrebbero prima e indipendentemente dalla loro misurazione, perché è
proprio tale misurazione che li determina e quindi, in un certo senso (almeno per
le letture più ‘idealiste’ dell’interpretazione stessa) che li crea. Alcune fra le ulterio-
ri interpretazioni ipotizzano invece l’esistenza di ‘variabili nascoste’ ancora scono-
sciute alla fisica, che renderebbero la meccanica quantistica una teoria ancora incom-
pleta38, oppure di ‘molti mondi’ alternativi contemporanei fra loro, in ciascuno dei
quali convivrebbero differenti coppie di osservatori e fenomeni osservati39.
     Nel 1996 il fisico italiano Carlo Rovelli, noto in ambito scientifico per le sue impor-
tanti ricerche sulla gravità quantistica e in ambito più ampiamente culturale per alcu-
ni suoi fortunati libri divulgativi pubblicati in Italia da Adelphi e da Cortina40 (non-
ché per i suoi interventi sul Corriere della sera e sul Sole 24 ore) ha pubblicato un articolo41,
successivamente sempre più spesso citato e commentato col passare del tempo sia da
scienziati che da filosofi, in cui ha proposto una propria interpretazione ‘relaziona-
le’ della meccanica quantistica (relational quantum mechanics: RQM). La teoria di Rovel-
li può essere considerata come una particolare versione sia dell’ interpretazione di
Copenhagen che del realismo strutturale e si concentra sul ruolo dell’osservatore, che
viene generalizzato e reso indipendente da qualsiasi riferimento soggettivistico o
antropomorfico, in quanto può venire assunto da qualsiasi sistema fisico42. RQM
porta alle estreme conseguenze il percorso già iniziato dalla relatività galileiana43 e
proseguito dalla relatività generale einsteiniana44, ipotizzando che ogni variabile di
qualsiasi sistema fisico assuma un valore solo in occasione dell’interazione con un

38 Cfr. Arthur Fine, The Einstein-Podolsky-Rosen argument in quantum theory, first published May 10,
2004, substantive revision October 31, 2017, . In: Stan-
ford encyclopedia of philosophy cit.
39 Cfr. Lev Vaidman, Many-worlds interpretation of quantum mechanics, first published March 24,
2002, substantive revision January 17, 2014, .
In: Stanford encyclopedia of philosophy cit.
40 Cfr. Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare: la struttura elementare delle cose. Milano: Cortina,
2014; Id., Sette brevi lezioni di fisica. Milano: Adelphi, 2014; Id., L’ordine del tempo cit.; Id., Helgoland cit.
41 Cfr. Carlo Rovelli, Relational quantum mechanics, «International journal of theoretical physics», 35 (1996),
n. 8, p. 1637-1678, DOI: 10.1007/BF02302261, preprint e postprint disponibili a .
42 Cfr. Federico Laudisa; Carlo Rovelli, Relational quantum mechanics, first published February 4, 2002,
substantive revision October 8, 2019, . In: Stan-
ford encyclopedia of philosophy cit.; Laura Candiotto, The reality of relations, «Giornale di metafisi-
ca», 39 (2017), n. 2, p. 537-551, preprint disponibile a .
43 Per Galilei le leggi della meccanica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali,
quindi il movimento può essere percepito e descritto solo rispetto a un punto di riferimento conside-
rato immobile, in assenza del quale (ad esempio all’interno di un treno privo di finestrini) non è pos-
sibile capire se ci si sta muovendo o no, perché qualsiasi esperimento si svolge esattamente come
all’esterno. Cfr. C. Cosmelli, Fisica per filosofi cit., cap. 2 (Meccanica classica), p. 53-96.
44 Per Einstein, che estende la portata della relatività galileiana, tutte le leggi della fisica hanno la
stessa forma in tutti i sistemi di riferimento, sia inerziali che in moto accelerato, quindi spazio e tempo
non sono più ‘contenitori’ fissi e immutabili dei fenomeni fisici, ma diventano anch’essi ‘contenuti’
variabili, che si modificano sensibilmente in presenza di grandi masse. Cfr. ivi, cap. 6 (Teoria della rela-
tività generale), p. 237-258.
242                                                                                     temi e analisi
altro sistema fisico e che tale valore sia misurabile sempre e solo relativamente a tale
secondo sistema. L’universo sarebbe quindi costituito da ‘eventi’ (le interazioni fra
sistemi) invece che da ‘cose’ (i sistemi stessi, indescrivibili in assenza di interazioni)45
e il fondamentale ruolo attribuito dalla meccanica quantistica all’osservatore – inte-
so come lo scienziato che effettua esperimenti e misurazioni – sarebbe solo un caso
particolare della più generale relatività di qualsiasi misurazione rispetto al contesto
in cui qualsiasi evento (misurazioni incluse) si verifica. L’osservazione, da parte dello
scienziato, degli esiti di un esperimento, sarebbe solo un caso particolare di intera-
zione fra due sistemi fisici, e le misurazioni sarebbero solo casi particolari di eventi.

         In questo modo, RQM può dare un senso a un mondo completamente quan-
         tistico senza richiedere variabili nascoste, molti mondi, meccanismi di collas-
         so fisico o un ruolo speciale per la mente, la coscienza, la soggettività, gli agen-
         ti o nient’altro di simile.
         Il prezzo da pagare per questa parsimonia è un indebolimento del realismo con-
         venzionale (‘forte’) della meccanica classica, nel quale si presume che le variabi-
         li fisiche abbiano valori non relazionali ed esistano in ogni momento. Il fatto che
         le variabili assumano un valore solo nelle interazioni produce una ontologia ‘di
         eventi sparsi’ (o ‘a lampi’); il fatto che essi siano ‘etichettati’ dal sistema a cui si
                                                                                             46
         riferiscono, aggiunge un livello di indicalità alla rappresentazione del mondo .

Tale indicalità crea un forte nesso fra RQM e il concetto di informazione, esplicitato
da Rovelli già nel suo articolo del 1996, dove essa viene concepita – seguendo Shan-
non47 – in modo esclusivamente sintattico48, come ‘informazione relativa’, ossia come

45 «Tutta l’evoluzione della scienza indica che la migliore grammatica per pensare il mondo sia quel-
la del cambiamento, non quella della permanenza. Dell’accadere, non dell’essere. […] Pensare il mondo
come un insieme di eventi, di processi, è il modo che ci permette di meglio coglierlo, comprenderlo,
descriverlo. È l’unico modo compatibile con la relatività. Il mondo non è un insieme di cose, è un insie-
me di eventi» (C. Rovelli, L’ordine del tempo cit., p. 86-87).
46 F. Laudisa; C. Rovelli, Relational quantum mechanics cit. L’indicalità a cui si riferiscono gli autori (detta
anche ‘deissi’ in linguistica) è la caratteristica di certe espressioni linguistiche (come, ad esempio: ‘que-
sto’, ‘qui’, ‘domani’, ‘io’, ecc.) che risultano pienamente comprensibili solo conoscendo il contesto extra-
linguistico nel quale sono state emesse e a cui esse stesse rinviano. Per una introduzione agli aspetti
filosofici dell’indicalità si possono vedere: Aldo Frigerio; Savina Raynaud, Indicali e dimostrativi. In: Enci-
clopedia filosofica cit., vol. 8, p. 5606-5609 e David Brown, Indexicals, first published September 14, 2001,
substantive revision January 16, 2015, . In: Stanford
encyclopedia of philosophy cit.
47 Cfr. Claude Elwood Shannon, A mathematical theory of communication, «The Bell system techni-
cal journal», 27 (1948), n. 3, p. 379-423, DOI: 10.1002/j.1538-7305.1948.tb01338.x, disponibile anche
a  e n. 4, p. 623-
656, DOI: 10.1002/j.1538-7305.1948.tb00917.x, disponibile anche a . Sulla teoria dell’informazione di Shannon cfr.
anche Alberto Salarelli, Introduzione alla scienza dell’informazione. Milano: Editrice bibliografica,
2012, cap. 4 (La teoria matematica dell’informazione), p. 61-78 e Alfredo Serrai, Biblioteconomia come
scienza: introduzione ai problemi e alla metodologia. Firenze: Olschki, 1973, cap. II (Informazione,
comunicazione, significato), p. 21-36.
48 Cfr. R. Ridi, La piramide dell’informazione: una proposta (prima parte) cit., p. 225.
temi e analisi                                                                                              243
l’informazione che ciascun sistema fisico ha degli altri, che coincide con qualsiasi
tipo di correlazione fisica sussista fra i sistemi stessi49 e che non implica (se non come
caso estremamente particolare) alcun aspetto semantico o mentale50. Ciò comporta
addirittura una sorta di identificazione fra fisica e scienza dell’informazione, in quan-
to per RQM «la fisica è la teoria dell’informazione relativa che i sistemi possiedono
l’uno dell’altro. Questa informazione esaurisce tutto ciò che possiamo dire del mondo»51.
    Successivamente Rovelli ha anche affrontato il problema di come l’informazione
più propriamente semantica possa emergere da tale contesto puramente sintattico,
individuando il meccanismo capace di produrre significato negli esseri viventi nella
combinazione dell’evoluzione naturale con l’informazione relativa intesa come cor-
relazione fisica. Fra tutte le infinite correlazioni fra sistemi fisici esistenti in natura solo
alcune coinvolgono esseri viventi, e solo un loro sottoinsieme contribuisce ad aumen-
tare le probabilità di tali organismi di sopravvivere e riprodursi. L’informazione seman-
tica è quella parte di informazione relativa che aumenta tali probabilità o direttamente
(ad esempio facendoci capire quali cibi sono velenosi) o indirettamente (ad esempio
facendoci imparare a leggere, competenza che a sua volta potenzia le nostre capacità
di evitare tali alimenti) e che agisce anche a livelli di complessità biologica estrema-
mente elementari, come nel caso dei segnali trasmessi fra singole cellule52.

Alcuni precursori del relazionismo
Né il realismo strutturale né l’interpretazione relazionale della meccanica quantistica
– come, del resto, quasi nessuna teoria filosofica – spuntano fuori dal nulla già perfet-
tamente formati.53 Fra i numerosi precursori vorrei segnalarne in particolare due, il
primo dei quali (Nāgārjuna) è spesso citato anche da Rovelli, mentre il secondo (Brad-
ley) viene più raramente nominato in questo contesto. Entrambi mettono al centro
delle proprie riflessioni il concetto di relazione, di cui sottolineano l’onnipresenza.
Però , diversamente da quanto accade con ESR, OSR, ISR e QRM, tale onnipresenza è
solo la premessa per un successivo passo (probabilmente soteriologico54 in Nāgārjuna,

49 «Dire che una variabile fisica ‘ha informazione’ su un’altra variabile fisica, in questo senso, significa
semplicemente dire che esiste un vincolo di qualche tipo (una storia comune, un legame fisico, […]) per
cui il valore di una variabile implica qualcosa per il valore dell’altra» (C. Rovelli, Helgoland cit., p. 110-111).
50 Cfr. F. Laudisa; C. Rovelli, Relational quantum mechanics cit., par. 2.1 (Information) e Bas C. van Fraassen,
Rovelli’s world, «Foundations of physics», 40 (2010), n. 4, p. 390-417, DOI: 10.1007/s10701-009-9326-5.
51 Carlo Rovelli, Relational quantum mechanics cit., p. 10 del postprint.
52 Cfr. Carlo Rovelli, Meaning = information + evolution. In: Wandering towards a goal: how can mindless
mathematical laws give rise to aims and intention?, edited by Anthony Aguirre, Brendan Foster and Zeeya
Merali. Cham: Springer, 2018, p. 17-27, preprint disponibile dal 2016 a .
53 Per una panoramica su alcuni dei più recenti precursori del realismo strutturale cfr. L. Floridi, A
defence of informational structural realism cit., p. 220 e Barry Gower, Cassirer, Schlick and ‘structur-
al’ realism: the philosophy of the exact sciences in the background to early logical empiricism, «British
journal for the history of philosophy», 8 (2000), n. 1, p. 71-106, DOI: 10.1080/096087800360238.
54 Il termine ‘soteriologia’ si riferisce sia a credenze e dottrine religiose e filosofiche riguardanti le
modalità con cui gli esseri umani possono liberarsi dal male, dalla sofferenza, dalla morte o da altre
negatività inerenti la natura umana e raggiungere qualche forma di redenzione e salvezza che agli
studi su tale argomento. Cfr. Samuel G. F. Brandon, Salvation. In: Encyclopedia Britannica, July 26,
1999, last updated March 17, 2021, .
244                                                                                   temi e analisi
sicuramente metafisico in Bradley) che in qualche modo ‘va oltre’ il mondo delle rela-
zioni, che invece per ogni tipo di realismo strutturale (inclusa l’interpretazione rela-
zionale della meccanica quantistica) sono tutto ciò di cui possiamo disporre.
    Il monaco buddista indiano Nāgārjuna55, vissuto verso la fine del secondo seco-
lo dopo Cristo, è stato definito da Cioran «uno Zenone preoccupato dalla liberazio-
ne»56, descritto da Borges come un nichilista che però insegnava come raggiungere
il nirvana57, collocato da Jaspers fra i più grandi «pensatori metafisici che attingono
all’origine»58insieme ad Anassimandro, Eraclito, Parmenide, Plotino, Anselmo, Cusa-
no, Spinoza e Lao Tse e considerato «per unanime consenso il più importante filo-
sofo buddista dopo il Budda storico stesso e uno dei più originali e influenti pensa-
tori nella storia della filosofia indiana»59 dalla Stanford encyclopedia of philosophy.
    Il fulcro della dottrina di Nāgārjuna, che è stata spesso paragonata a quella degli
antichi scettici greci (fra cui il suo contemporaneo Sesto Empirico), consiste in una
radicale critica della possibilità che qualunque cosa possa essere dotata di una pro-
pria sostanzialità, che la renda ontologicamente una realtà autonoma ed epistemo-
logicamente qualcosa di cui si possa cogliere l’essenza indipendentemente dal con-
testo. Tale assenza, al tempo stesso, di sostanzialità e di comprensibilità, che Nāgārjuna
indica col tradizionale termine buddista śūnyatā (vacuità) è riscontrabile ovunque
si posi lo sguardo del saggio. Cause ed effetti non possono né esistere né essere con-
cepiti indipendentemente fra loro, ma neppure l’autocausazione e l’assenza di cause
hanno senso, quindi è la causazione stessa che risulta vacua, così come il concetto
di responsabilità dei propri atti e, quindi, dell’intera morale. Anche ogni forma di
movimento e cambiamento è vacua, perché è impossibile distinguere ciò che cam-
bia dal cambiamento stesso, e nessuno dei due ha senso senza l’altro. Non esiste un
io che funga da sostrato per i fenomeni psicologici, perché è impossibile distingue-
re una sostanza dalla somma delle sue proprietà. Neppure il tempo può esistere, per-
ché passato, presente e futuro sono comprensibili solo in rapporto l’uno con l’altro.
«Ogni cosa del mondo rinvia a un’altra; ogni cosa non ha un’esistenza autonoma,
indipendente, a sé stante»60. «Nulla esiste di per se stesso; ogni cosa dipende da qual-
cos’altro. […] Le relazioni costituiscono il mondo, e il mondo è soltanto un com-
plesso di tali relazioni»61.

55 Cfr. Gianluca Magi, Nāgārjuna. In: Enciclopedia filosofica cit., vol. 11, p. 7699-7701; Emanuela Magno,
Nāgārjuna: logica, dialettica e soteriologia. Milano; Udine: Mimesis, 2012; Icilio Vecchiotti, Storia del
buddhismo indiano, vol. II (Il Grande veicolo e Nāgārjuna), a cura di Silvia Foglino e Paolo Taroni. Roma:
Editori riuniti, 2010.
56 Emil Cioran, Ultimatum all’esistenza: conversazioni e interviste (1949-1994), a cura di Antonio Di
Gennaro. Napoli: La scuola di Pitagora, 2020, p. 202.
57 Jorge Luis Borges, Cos’è il buddismo, in collaborazione con Alicia Jurado, a cura di Francesco Tentori Mon-
talto. Roma: Newton Compton, 1995, p. 63-66 (ed. or. Qué es el budismo. Buenos Aires: Columba, 1976).
58 Karl Jaspers, I grandi filosofi, traduzione e presentazione di Filippo Costa. Milano: Longanesi, 1973,
p. 705 e 1218-1240 (ed. or. Die grossen Philosophen. München: Piper, 1957).
59 Jan Christoph Westerhoff, Nāgārjuna, first published February 10, 2010, substantive revision June 8,
2018, . In: Stanford encyclopedia of philosophy cit.
60 G. Magi, Nāgārjuna cit., p. 7699.
61 Sarvepalli Radhakrishnan, La filosofia indiana: dal Veda al Buddhismo, traduzione di Emilio Agaz-
zi. Torino: Einaudi, 1974, p. 7699 (ed. or. Indian philosophy, vol. 1. London: Allen & Unwin, 1923).
temi e analisi                                                                                       245
     Neppure il linguaggio e nessuna forma di conoscenza umana sfuggono all’accu-
sa di vacuità formulata da Nāgārjuna, in quanto intrinsecamente connessi con ciò
che pretenderebbero di descrivere e spiegare. Quindi neppure le dottrine di Budda
e dello stesso Nāgārjuna possono pretendere di cogliere l’autentica realtà, come anche
Nāgārjuna ammette con una sorta di paradossale autoscetticismo che è stato più
volte paragonato62 a quello di Wittgenstein. Persino il concetto di relazione – cen-
trale nella critica di qualsiasi forma di sostanzialità e di autonomia, che vengono
appunto ricondotte a una serie di rapporti con altre entità, in un carosello senza fine
e senza fondamento – resta indenne dalla decostruzione nāgārjuniana, perché se i
termini di un rapporto non sono concepibili senza il rapporto stesso è però vero
anche l’inverso, ossia che nessun rapporto può esistere senza i propri termini63.
     Cosa resta, dunque, alla fine di una distruzione ontologica ed epistemologica
paragonabile, in occidente, solo a quella operata, sebbene molto più concisamente,
da Gorgia nel quinto secolo avanti Cristo («Nulla esiste. Se anche l’essere fosse, rimar-
rebbe inconoscibile. Se anche fosse pensabile, l’essere rimarrebbe inesprimibile»64)?
I filosofi e gli orientalisti occidentali contemporanei non concordano su come rispon-
dere a tale domanda, oscillando fra esiti nichilisti, metafisici, mistici e dialettici di
vari tipi e sfumature65. La soluzione però probabilmente più ragionevole, conside-
rando che Nāgārjuna viene ritenuto il fondatore dell’attualmente predominante
corrente mahāyāna (grande veicolo) del buddismo, che «nasce nel VI secolo a. C.
come un semplice metodo […] per liberare l’essere umano dalla condizione di disa-
gio esistenziale»66 è quella soteriologica. Secondo tale interpretazione comprende-
re che l’intera realtà esiste, ci appare e può essere descritta solo in modo relazionale
e, quindi, contraddittorio, può aiutarci a ridurre il dolore dovuto all’eccessivo attac-
camento verso cose, credenze e persone e a raggiungere già durante la nostra vita ter-
rena il nirvana, ossia l’estinzione della sofferenza67.

62 Cfr. Tyson Anderson, Wittgenstein and Nāgārjuna’s paradox, «Philosophy East and West», 35
(1985), n. 2, p. 157-169, DOI: 10.2307/1399048; E. Magno, Nāgārjuna: logica, dialettica e soteriolo-
gia cit., p. 246-250; G. Magi, Nāgārjuna cit., p. 7700. Sull’origine, in Sesto Empirico, della celebre
metafora di Wittgenstein sulla scala che va gettata dopo essersene serviti («Le mie proposizioni illu-
strano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse – su esse –
oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v’è salito)», L. Wittgenstein, Tracta-
tus cit., p. 82) cfr. Franca D’Agostini, Disavventure della verità. Torino: Einaudi, 2002, par. 10 (La scala
scettica), p. 38-42. Sulla corrispondente metafora buddista della zattera da abbandonare dopo aver-
la usata per raggiungere la riva opposta cfr. Antonio Vigilante, Il buddhismo come anti-ideologia in
Thich Nhat Hanh, «Nuovo giornale di filosofia della religione», 13/14 (2020), p. 213-221, par. 3,
.
63 Cfr. I. Vecchiotti, Storia del buddhismo indiano cit., p. 157-160.
64 Cfr. Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol. 2 (Sofisti, Socrate e socratici minori).
Milano: Bompiani, 2004, p. 71-82; Giulio Federico Pagallo, Gorgia di Lentini. In: Enciclopedia filosofi-
ca cit., vol. 7, p. 4963-4966.
65 Cfr. E. Magno, Nāgārjuna: logica, dialettica e soteriologia cit., p. 223-257.
66 Gianluca Magi, Buddhismo. In: Enciclopedia filosofica cit., vol. 3, p. 1512-1519: p. 1512.
67 «La spinta dominante alla base della scrittura di Nāgārjuna era il suo desiderio di salvare, non di
spiegare o descrivere» (L. Stafford Betty, Nāgārjuna ’s masterpiece: logical, mystical, both or neither?,
«Philosophy East and West», 33 (1983), n. 2, p. 123-138: p. 134, DOI: 10.2307/1399097).
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     Il filosofo neohegeliano inglese Francis Herbert Bradley (1846-1924), le cui con-
sonanze con Nāgārjuna sono state più volte notate da storici della filosofia sia occi-
dentali che orientali69, ha subito, nel corso del Novecento, un progressivo calo di
popolarità man mano che aumentava, invece, quella della scuola filosofica analiti-
ca, due dei cui fondatori (Bertrand Russell e George Edward Moore) polemizzarono
con Bradley all’inizio del secolo relativamente al ruolo dell’esperienza empirica nella
conoscenza umana70.
     Bradley dedica l’intera prima parte del suo libro più importante (Apparenza e
realtà, pubblicato nel 189371) a una meticolosa e implacabile critica logica di ogni
oggetto della nostra esperienza e del nostro pensiero: qualità primarie e secondarie,
spazio e tempo, movimento e mutamento, bene e male, causalità, attività, l’io e le
cose, dio. Di ogni entità presa in considerazione viene mostrato l’intrinseco carat-
tere relazionale, che implica una contraddizione che, a sua volta, impedisce di poter-
la considerare autenticamente reale. Il tipico metodo di argomentazione adottato a
tale scopo (noto come ‘regresso di Bradley’72) può essere esemplificato dalla sua ana-
lisi di una zolletta di zucchero, nel secondo capitolo (Sostanza e accidente) di Appa-
renza e realtà73.
     Ogni zolletta si presenta con una serie di caratteristiche o proprietà (è bianca,
dura, dolce, ecc.), ciascuna distinta dalle altre. Nessuna di tali proprietà esaurisce,
da sola, l’essenza o la natura della zolletta, che non è soltanto bianca o soltanto dolce,
ma gode contemporaneamente di tutte le sue proprietà, la cui somma la definisce e
la distingue da qualsiasi altra cosa. Se però cercassimo di individuare un ‘qualcosa’
a cui le proprietà si aggiungono non ci riusciremmo, anche perché, se esistesse, non
ci sarebbe bisogno di tirare in ballo la somma delle proprietà per definire la zolletta.
Ma, se all’insieme delle proprietà non corrisponde qualcosa di sostanziale che gode
di esse, cos’è che ‘tiene insieme’ quel particolare gruppo di caratteristiche? Non può
essere altro che un qualche tipo di relazione che le unisce fra loro. Tale relazione sarà,
quindi, qualcosa di distinto rispetto alle singole proprietà che unisce e, per ‘far presa’
su di esse, dovrà porsi in un qualche tipo di rapporto o relazione con ciascuna. Ogni
singola proprietà (la bianchezza, la dolcezza, ecc.) dovrà dunque entrare in rappor-
to con la relazione che la collega a tutte le altre proprietà della zolletta. Ma anche

68 Cfr. Vittorio Mathieu, Bradley, Francis Herbert. In: Enciclopedia filosofica cit., vol. 3, p. 1439-1443;
Stewart Candlish, Francis Herbert Bradley, first published May 9, 1996, substantive revision February
23, 2021, . In: Stanford encyclopedia of philosophy
cit.; Luigi Cimmino, Il cemento dell’universo: riflessioni su F. H. Bradley. Siena: Cantagalli, 2009.
69 Cfr. ad esempio: S. Radhakrishnan, La filosofia indiana cit.; p. 680 e Charles Hartshorne, Śaṅkara,
Nāgārjuna, and Fa Tsang, with some western analogues. In: Interpreting across boundaries: new essays
in comparative philosophy, edited by Gerald James Larson and Eliot Deutsch. Princeton: Princeton Uni-
versity, 1988, p. 98-115.
70 Cfr. Marco Messeri, Filosofia contemporanea. Bologna: Zanichelli, 1996, p. 126-128.
71 Cfr. Francis Herbert Bradley, Apparenza e realtà: saggio di metafisica, introduzione, traduzione e
note di Dario Sacchi. Milano: Rusconi, 1984 (ed. or. Appearance and reality, 2. ed., London: Allen &
Unwin, 1897).
72 Cfr. Guido Bonino, Bradley’s regress: relations, exemplification, unity, «Axiomathes», 23 (2013), n.
2, p. 189-200, DOI: 10.1007/s10516-012-9190-3.
73 Cfr. F. H. Bradley, Apparenza e realtà cit., p. 157-162 e L. Cimmino, Il cemento dell’universo cit., p. 17-92.
temi e analisi                                                                                         247
questa ulteriore relazione di secondo livello dovrà in qualche modo entrare in rap-
porto con tale proprietà, generando una relazione di terzo livello, e così via all’infi-
nito, in una sorta di generalizzazione del paradosso ideato dal filosofo greco Zeno-
ne, secondo il quale Achille non raggiungerà mai la tartaruga, sebbene più lenta di
lui, perché prima dovrà giungere a metà della loro distanza, e prima ancora a metà
della metà, e così infinitamente74. La zolletta, dunque, non è né scomponibile nelle
sue proprietà né identificabile con qualcosa di indipendente e diverso da esse. Essa,
quindi, dal punto di vista razionale, non è dotata di autentica realtà, ma è solo un’ap-
parenza della vita pratica. E lo stesso vale per qualsiasi altra cosa, perché tutto è intrin-
secamente relazionale, quindi contraddittorio, quindi razionalmente irreale, seb-
bene dotato di una apparente realtà pratica.
     Nella seconda parte di Apparenza e realtà Bradley tenta di uscire dal vicolo cieco cui
lo conduce la logica grazie all’intuizione metafisica di un ‘assoluto’ monistico che spi-
nozianamente75 coincide con la totalità indivisibile della realtà (che include anche il
mondo dell’apparenza) e che si identifica con una sorta di ‘esperienza’ impersonale,
preliminare rispetto a qualsiasi distinzione fra oggettività e soggettività e paradossal-
mente non troppo distante da quella teorizzata più o meno nello stesso periodo dal
fenomenismo empirista di Ernst Mach (1838-1916) e Richard Avenarius (1843-1896)76.
     Anche altri neohegeliani inglesi contemporanei di Bradley attribuirono alla rela-
zionalità una posizione centrale nelle loro teorie, sebbene con esiti pressoché oppo-
sti rispetto all’autore di Apparenza e realtà. Thomas Hill Green77 (1836-1882), «non
rilevando le aporie logiche del concetto di relazione che saranno messe in luce da
Bradley, non ha difficoltà a trasporre immediatamente su un piano metafisico il prin-
cipio della relazionalità, facendone il principio stesso dell’essere cosmico»78. Josiah
Royce79 (1855-1916), «poiché Bradley, per mostrare l’inconsistenza delle relazioni, si
era valso soprattutto dell’osservazione che esse implicano necessariamente un pro-
cesso infinito, […] pensa di fare di necessità virtù, e di valorizzare il processo infini-
to come un carattere positivo dell’assoluto»80. E John Ellis McTaggart81 (1866-1925),
«intende l’assoluto come una unità di io eterni in relazione tra loro. La sostanza di
tali centri di coscienza non è qualcosa di diverso dalle loro relazioni e, d’altro canto,

74 Cfr. Nick Huggett, Zeno’s paradoxes, first published April 30, 2002, substantive revision June 11, 2018,
. In: Stanford encyclopedia of philosophy cit.
75 Cfr. Arturo Deregibus, Bradley e Spinoza: l’iper-spinozismo di F. H. Bradley, «Giornale di metafisi-
ca», nuova serie, 10 (1988), n. 3, p. 339-392 e 11 (1989), n. 1, p. 3-40.
76 Cfr. M. Messeri, Filosofia contemporanea cit., p. 128-130; Leszek Kolakowski, La filosofia del posi-
tivismo, traduzione di Nicola Paoli. Roma, Bari: Laterza, 1974, p. 103-131 (ed. or. Filozofia pozytywi-
styczna. Warszawa: Panstwowe Wydawnictwo Naukowe, 1966).
77 Cfr. Colin Tyler, Thomas Hill Green, first published February 28, 2003, substantive revision June 7,
2011, . In: Stanford encyclopedia of philosophy cit.
78 Vittorio Mathieu, Green, Thomas Hill. In: Enciclopedia filosofica cit., vol. 7, p. 5009-5010: p. 5010.
79 Cfr. Kelly A. Parker; Scott Pratt, Josiah Royce, first published August 3, 2004, substantive revision March
19, 2021, . In: Stanford encyclopedia of philosophy cit.
80 Vittorio Mathieu, Royce, Josiah. In: Enciclopedia filosofica cit., vol. 15, p. 9871-9874: p. 9871-9872.
81 Cfr. Kris McDaniel, John M. E. McTaggart, first published December 10, 2009, substantive revision
April 7, 2020, . In: Stanford encyclopedia of philos-
ophy cit.
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