Il contadino che sconfisse Hitler

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Il contadino che sconfisse Hitler
Il contadino che sconfisse
Hitler
75 anni fa Franz Jägerstätter, oggi riconosciuto martire e
beato, veniva decapitato a Berlino. Con la sua lucida
testimonianza francescana aveva dimostrato la netta
incompatibilità tra nazismo e cristianesimo.

«Il caso Jägerstätter è incredibile» dichiara in video il
giornalista del Tg1 Rai nello speciale Tv7. «Franz aveva fatto
soltanto le elementari. Non aveva letto Gandhi. Non sapeva
nulla dell’obiezione di coscienza. Come può un padre di
famiglia maturare in assoluta solitudine una rivolta morale,
una testimonianza così eroica?». Quella puntata del 1989 (di
Paolo Giuntella ed Ennio Chiodi) rivela per la prima volta in
Italia al grande pubblico televisivo la figura del contadino
austriaco, cattolico, sposo e papà di tre figlie, condannato
dal Reich alla decapitazione giusto 75 anni fa, venerato dalla
Chiesa come martire e dal 2007 come beato. Proprio
l’anniversario è l’occasione per avvicinare la sua
particolarissima figura, oltretutto nell’imminenza dell’uscita
nelle sale cinematografiche di Radegund, l’atteso film
biografico firmato da Terrence Malick, regista del
pluripremiato The Tree of Life (Usa 2011). Il titolo è
l’abbreviazione del toponimo Sankt Radegund, allora come oggi
piccolo villaggio rurale al confine con la Germania, stessa
distanza in linea d’aria da Linz a est e da Monaco di Baviera
a ovest (e 30 chilometri da Braunau, paese natale di Hitler…).

Dura la vita da queste parti, a inizio secolo scorso. I
genitori di Franz (classe 1907) non hanno nemmeno il
necessario per sposarsi, così il bimbo è affidato alle cure
della nonna fino ai 10 anni, quando mamma Rosalia (il papà è
morto in guerra nel 1915) si sposa con Heinrich Jägerstätter,
proprietario di una piccola fattoria. Franz prende il suo
cognome e col tempo lo sostituirà nell’attività di famiglia.
Il contadino che sconfisse Hitler
Inizia una nuova vita: il ragazzo è brillante e vivace, fino
all’eccesso. Passa pure qualche notte in prigione, arrestato
per rissa. «Non è un provocatore, ma non si tira indietro
quando viene provocato» sintetizza Cesare G. Zucconi in Cristo
o Hitler? (San Paolo 2008).

Franz è un buon partito, ama divertirsi, è il primo in paese a
possedere una moto. La sua curiosità lo spinge a uscire, va a
lavorare in miniera, lontano da casa. A contatto col mondo
operaio, la sua fede vacilla, non più «protetta» dall’ambiente
tradizionale. Scriverà poi alle figlie: «Posso dirvi per
esperienza personale quanto sia penoso essere un mezzo
cristiano: è più un vegetare che un vivere». È un periodo
travagliato, nel quale le domande si rincorrono. Alcune
risposte arrivano solo al rientro in paese. La svolta ha un
nome, Franziska, che in breve diviene sua moglie e nel tempo
la madre delle loro tre figlie. Siamo nel 1936, e già
sull’Austria soffia il vento nazista che da lì a poco, nel
marzo 1938, si trasformerà in uragano con l’anshcluss,
l’annessione alla Germania, e l’inizio del conflitto mondiale.

Nel gennaio del ’38 Franz fa un sogno, l’unico registrato nei
suoi diari. Vede «un bel treno» nel quale in tanti fanno a
gara per entrare, tra cui «un gran numero di ragazzi», al
punto che «non si riusciva quasi a fermarli». Ode «una voce»
che rivela: «Questo treno conduce all’inferno». Svegliatosi di
soprassalto, racconta il tutto alla moglie. Poi annota:
«All’inizio questo treno che correva mi risultava piuttosto
misterioso, ma più passava il tempo più si svelava il suo
significato. (…) Per dirla in breve era tutta la compagnia
nazionalsocialista». Nel quaderno, questa pagina riporta il
titolo Sul tema più attuale: cattolico o nazionalsocialista,
la questione più pregnante nella riflessione del contadino
austriaco che progressivamente elabora motivazioni sempre più
stringenti a favore dell’incompatibilità, tanto da portarlo al
deciso rifiuto di combattere per Hitler.

I due periodi di addestramento militare, nel 1940 e nell’anno
seguente, gli danno ulteriori opportunità di riflessione.
Medita sul nazismo e sul suo carattere anticristiano,
facendosi forza solo sulla Bibbia, sulla vicinanza della
moglie, sull’esempio di alcuni santi, tra tutti santa Teresa
di Lisieux, san Tommaso Moro e il francescano san Corrado da
Parzham. Proprio in questo periodo, con l’amico commilitone
Rudolf Mayer entra a far parte dell’Ordine francescano
secolare. «È come se cercasse di rendere più solida la sua
fede, più capace di resistere alle prove» commenta Zucconi. E
in effetti Franz così scrive alla moglie per annunciargli la
sua scelta: «Ti deve essere di conforto il fatto che la mia
fede non si è indebolita mentre faccio il soldato». Pure
Franziska di lì a breve emette la professione tra i
francescani laici. A distanza di anni, in un’intervista così
commenta il passo del marito: «È stato un miracolo, che si sia
convertito così. Io non l’ho mai costretto, è venuto tutto da
lui». C’è l’eco dell’accusa che tutto il paese, familiari
compresi, le ha rivolto per decenni: colpa sua se Franz ha
fatto la fine che ha fatto, se si è messo in testa certe idee
cristiane…

Rientrato dal secondo periodo di addestramento (aprile 1941),
alla conduzione della fattoria Jägerstätter somma il servizio
come sacrestano: la Messa e l’adorazione diventano una tappa
fissa quotidiana, fino alla chiamata alle armi, nel febbraio
’43. Franz si presenta e comunica la sua decisione. Viene
tratto agli arresti, a Linz. Ma egli non è un obiettore
impulsivo, il suo non è un colpo di testa, un «signor no»
improvviso e improvvisato. È una scelta a lungo ponderata
nell’animo, nella preghiera e nella riflessione personale, di
fronte a Dio e agli uomini. I nazisti capiscono bene che il
suo gesto è pericolosamente rivoluzionario, e lo
trasferiscono a Berlino (nella stessa prigione del pastore
Dietrich Bonhoeffer) affinché sia esemplarmente processato dal
tribunale supremo del Reich. Viene condannato a morte e quindi
ghigliottinato il 9 agosto 1943.
«Nella fede nessuno è isolato»

«Sono almeno tre gli elementi davvero notevoli della vicenda
di Franz» spiega Giampiero Girardi, guida di un gruppo che da
anni valorizza la figura del beato austriaco. «Intanto emerge
la sua solitudine. Il primo scopritore di Jägerstätter,
l’americano Gordon Zahn, ce lo ha restituito nel 1962 come Il
testimone solitario, titolo del suo libro tradotto pure in
Italia (Gribaudi 1968). Il suo è un taglio sociologico, non
religioso, e sottolinea appunto l’emarginazione di Franz, non
collegato a nessun gruppo o movimento politico di sostegno. Le
grandi figure di obiettori non violenti come Gandhi o Martin
Luther King avevano alle spalle un popolo, organizzazioni con
cui discutere e rafforzarsi nelle difficoltà. Franz ebbe solo
la moglie e pochissimi amici a sostenerlo. Ecco anche
l’importanza dell’aiuto spirituale che trovò nei francescani:
credo che per lui sia stato molto importante».

Sì, ha vissuto la solitudine di una scelta radicale, ma al
contempo nella consapevolezza che «nella fede nessuno è
isolato dagli altri», come scrive alla moglie dal carcere.
Sottolineare il suo isolamento fa risaltare ancor più
la determinazione, la ricchezza culturale e intellettuale,
la capacità critica del contadino austriaco. «Aveva
frequentato appena le elementari – prosegue Girardi –,
proveniva da un contesto sociale e culturale ben povero. La
sua curiosità e forte personalità lo facevano però essere
attento a quanto accadeva, desideroso di capire. Certo si
abbeverò della lettura della Bibbia, il cui studio in ambiente
tedesco anche tra i laici era diffuso, come in Italia sarebbe
stato solo dopo il Concilio. Pur tuttavia, l’impostazione del
cattolicesimo nella campagna austriaca era molto tradizionale,
avrebbe anche potuto bloccarlo. La sua grandezza è essere
riuscito a tradurre i valori del cattolicesimo in senso etico
arrivando alle scelte che ha fatto in anni tremendi come
quelli del totalitarismo».
La rielaborazione di pensiero che emerge dai suoi scritti è
davvero stupefacente. Il suo argomentare è concreto,
immediato, coinvolgente. Spiritualmente molto maturo, tanto
che alcune intuizioni sul ruolo dei laici e sulla
responsabilità personale anticipano quanto solo il Vaticano II
sancirà. La sua scelta è meditata e sofferta, ma non lo mette
su un piedistallo, non lo abilita a giudicare gli altri. Così,
pur costretto in prigione, distante dalla famiglia e dalla
libertà, Franz non arriva a odiare. E invita a non prendere la
sua vicenda come un pretesto per approdare all’odio. Anzi,
detta ai familiari il giusto atteggiamento: «Perdonate con
gioia. La maggior parte degli uomini si rovinano la vita da
soli, con la loro incapacità di perdonare».

Il perdono deve coinvolgere anche i tanti cristiani che non
seppero riconoscere la purezza dell’agire di Jägerstätter.
Anzi, lo osteggiarono apertamente. È il terzo elemento
sottolineato da Giampiero Girardi, che sulla vicenda firma il
libro Una storia d’amore, di fede e di coraggio (Il Pozzo di
Giacobbe 2013). «Franz muore in nome del Vangelo col parere
contrario della Chiesa. Il vescovo, il parroco e il cappellano
gli avevano intimato di recedere. Ritengo sia stata la più
grande sofferenza per lui, ma anche poi per la moglie, che
patì i lunghi anni di silenzio e incomprensione fino al 1962…
Immagino poi quale sospiro di sollievo abbia tirato vedendo
Franz sugli altari!». Franziska infatti si è spenta solo nel
2013, all’età di 100 anni.

Commentando in carcere le letture di Pasqua, il contadino che
sconfisse il suo conterraneo Hitler rifletteva: «Cosa c’è di
più consolante per noi cristiani che non dobbiamo più temere
la morte?»

Autore: Alberto Friso
Fonte: http://www.messaggerosantantonio.it/content/il-contadin
o-che-sconfisse-hitler

Da       Giulia       Tanel
(NuovaBussolaQuotidiana).
“Mostrami l’amore”, così si
parla di (vera) affettività
Nel nostro contesto ipersessualizzato e pornografico, dove si
moltiplicano i corsi che riducono la sessualità a mero
“tecnicismo”, è importante formare una cultura affettiva sana
che coinvolga i genitori come primi responsabili
dell’educazione dei figli. Con questi scopi nascono i cinque
sussidi di Mostrami l’amore, rivolti a diverse fasce d’età e
intesi a trasmettere tanti insegnamenti oggi ignorati.

«Non conosco l’amore, mostramelo tu!». È questo un
interrogativo che, presto o tardi, matura nella mente e nel
cuore di tutti i ragazzi e le ragazze, e che vorrebbero
rivolgere ai loro adulti di riferimento. Questa richiesta,
spesso non esplicita, talvolta non viene tuttavia raccolta e
coltivata come meriterebbe, oppure la sua trattazione viene
delegata ad agenzie educative terze, non sempre allineate e
rispettose dei valori dei genitori e che spesso riducono la
sessualità a un mero “tecnicismo”. Il tutto, in un contesto
sociale ipersessualizzato, che dice e mostra tanto (troppo!),
ma senza uno sguardo integrato e volto al vero benessere delle
persone.

Insomma, la confusione è tanta. Ed è proprio nel tentativo di
porvi un argine che nel 2014 è nata l’associazione di
promozione sociale Progetto Pioneer, che negli ultimi anni si
è distinta per i suoi progetti educativi rivolti a vari
target, per la formazione pensata per persone coinvolte nel
mondo dell’educazione, per la produzione di materiali e per la
realizzazione di convegni. Tra queste attività rientra la
sfida del progetto Mostrami l’amore, che si pone l’obiettivo
di rispondere alla domanda da cui si è partiti, dando così il
proprio contributo per la formazione di una nuova cultura
dell’educazione affettivo-sessuale.

Mostrami l’amore si sostanzia nella produzione di 5 sussidi,
«testi divulgativi per aiutare genitori e ragazzi ad
affrontare la pervasività dei contenuti pornografici in modo
responsabile, cautelante ed efficace». Il primo è 100.000
baci, a cura degli psicologi Miriam Incurvati e Giovanni
Petrichella, inerente alla fascia d’età 0-10 anni: si rivolge
ai genitori «con consigli per aumentare la sintonia emotiva
tra genitori e bambini, sviluppare un sano rapporto con il
piacere del contatto tra i corpi di se
                                     ́ e dell’altro attraverso
le coccole, il gioco e la gestione del pudore».

Per la fase prepuberale, tra gli 8 e i 12 anni, sono stati
quindi pensati due sussidi per genitori e figli: Sicuri alla
scoperta della rete (a cura delle psicologhe Valeria Vichi e
Alessandra Uliano) e Chi SiAmo: un viaggio alla scoperta
dell’adolescenza (a cura dei medici Virginia Conti e Donatella
Sanna). Il primo interessa «la gestione della privacy, del
pudore online, dei pericoli di Internet, della libertà di
scelta e delle minacce alla libertà di scelta (messaggi
ipercoinvolgenti, subliminali, dipendenza indotta)»; mentre il
secondo si pone l’obiettivo «di trasmettere ai ragazzi la
bellezza e l’unicità del proprio corpo, la consapevolezza del
valore di se
           ́ e dell’altro e un’idea sulla sessualità positiva
e relazionale».

Arrivando all’età adolescenziale (10-16 anni), è stato
elaborato dallo psicologo Gabriele Di Marco il
testo FiltriAmo, pensato per soli genitori, con consigli
tecnici su come porre dei filtri a Internet, uniti a consigli
pratici sulla gestione di figli adolescenti. Infine, dai 16
anni in su, la psicologa Laura Perrotti ha curato Mostrami
cosa posso fare, un manuale di autoaiuto «su come trovare un
equilibrio e capacità di libera scelta rispetto all’uso di
materiale pornografico e per uscire dalla dipendenza».

I sussidi 100.000 baci e Chi SiAmo: un viaggio alla scoperta
dell’adolescenza sono già disponibili, editi da Città Nuova, e
verranno ufficialmente presentati domenica 26 maggio alle ore
19.00 presso Horti Balbinae (Piazza Santa Balbina 8, Roma),
alla presenza degli autori, del presidente di Progetto
Pioneer Marco Scicchitano, di Tonino Cantelmi e di Giampaolo
Nicolais. L’ingresso è libero,         ma   su   prenotazione   a
info@progettopioneer.com.

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/mostrami-lamore-cosi-si-parl
a-di-vera-affettivita

Preghiere                          a                 Maria
Ausiliatrice
PREGHIERA A MARIA
composta da San Giovanni Bosco ​

O Maria, Vergine potente,
Tu grande illustre presidio della Chiesa;
Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani;

Tu terribile come esercito schierato a battaglia;
Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo;
Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze
difendici dal nemico e nell’ora della morte
accogli l’anima nostra in Paradiso!
Amen
TRIDUO A MARIA AUSILIATRICE
proposto da San Giovanni BoscoO Maria Ausiliatrice, Figlia
prediletta del Padre,
Tu fosti da Dio costituita quale potente aiuto dei cristiani,
in ogni pubblica e privata necessità.
A te ricorrono continuamente gli infermi nelle loro malattie,
i poveri nelle loro strettezze, i tribolati nelle loro
afflizioni,
i viaggiatori nei pericoli, i moribondi nella sofferenza
dell’agonia,
e tutti ricevono da te soccorso e conforto.
Ascolta dunque benigna anche le mie preghiere,
o Madre pietosissima.
Assistimi sempre amorosa in tutte le mie necessità,
liberami da tutti i mali e guidami alla salvezza.
Ave Maria,..
Maria, Aiuto dei cristiani, prega per noi.

2. O Maria Ausiliatrice, Madre benedetta del Salvatore,
validissimo è il tuo aiuto in favore dei cristiani.
Per te le eresie furono sconfitte e la Chiesa uscì vittoriosa
da ogni insidia.
Per te le famiglie e i singoli furono liberati ed anche
preservati
dalle più gravi disgrazie.
Fa’, o Maria, che sia sempre viva la mia fiducia in te,
affinché in ogni difficoltà possa anch’io sperimentare che tu
sei veramente
il soccorso dei poveri, la difesa dei perseguitati, la salute
degli infermi,
la consolazione degli afflitti, il rifugio dei peccatori e la
perseveranza dei giusti.

Ave Maria,..
Maria, Aiuto dei cristiani, prega per noi.

3. O Maria Ausiliatrice, Sposa amabilissima dello Spirito
Santo,
Madre amorosa dei cristiani,
io imploro il tuo aiuto per essere liberato dal peccato
e dalle insidie dei miei nemici spirituali e temporali.
Fa’ che in ogni momento io possa provare gli effetti del tuo
amore.
O cara Madre, quanto desidero venire a contemplarti in
Paradiso.
Ottienimi dal tuo Gesù il pentimento dei miei peccati
e la grazia di fare una buona confessione;
affinché io possa vivere in grazia tutti i giorni della mia
vita fino alla morte,
per giungere in Cielo e godere con te l’eterna gioia del mio
Dio.

Ave Maria,..
Maria, Aiuto dei cristiani, prega per noi.

“Atto di filiazione
con cui si prende per Madre la Vergine Maria” COMPOSTO DA San
Giovanni Bosco (Letture cattoliche, Torino 1869, pag. 57).

Mio Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, figliuolo unico di Dio
e della santa Vergine,
io vi riconosco, e vi adoro come mio primo principio ed ultimo
fine.
Vi supplico di rinnovare in favor mio quel misterioso
amorevole testamento,
che avete fatto sulla Croce, dando al prediletto apostolo San
Giovanni
la qualità ed il titolo di figliuolo della vostra Madre Maria.
Ditele anche per me queste parole: Donna, ecco il tuo Figlio.
Fatemi grazia di poter appartenere a Lei come figliuolo,
e di averla per Madre in tutto il tempo della mia vita mortale
su questa terra.
Beatissima Vergine Maria, mia principale Avvocata e
Mediatrice,
io NN, peccatore miserabile, il più indegno e l’infimo de’
vostri servi,
umilmente prostrato dinanzi a Voi, affidato alla vostra bontà
e misericordia,
ed animato da un vivo desiderio di imitare le vostre belle
virtù,
vi eleggo quest’oggi per mia Madre,
supplicandovi che mi riceviate nel numero fortunato de’ vostri
cari figliuoli.
Vi faccio una donazione intiera ed irrevocabile di tutto me
stesso.
Ricevete di grazia la mia protesta; gradite la confidenza,
con cui mi abbandono nelle vostre braccia.
Accordatemi la vostra materna protezione in tutto il corso
della mia vita,
e particolarmente nell’ora della morte,
onde l’anima mia sciolta dai lacci del corpo,
passi da questa valle di pianto a godere con Voi l’eterna
gloria nel Regno de’ Cieli.

Così sia![1]

PREGHIERA A MARIA AUSILIATRICE

O Maria Ausiliatrice, noi ci affidiamo nuovamente, totalmente,
sinceramente a te!
Tu che sei Vergine Potente, resta vicino a ciascuno di noi.
Ripeti a Gesù, per noi, il “Non hanno più vino” che dicesti
per gli sposi di Cana,
perché Gesù possa rinnovare il miracolo della salvezza,
Ripeti a Gesù: “Non hanno più vino!”,
“Non hanno salute, non hanno serenità, non hanno speranza!”.
Tra noi ci sono molti ammalati, alcuni anche gravi,
confortali, o Maria Ausiliatrice!
Tra noi ci sono molti anziani soli e tristi, consolali, o
Maria Ausiliatrice!
Tra noi ci sono molti adulti sfiduciati e stanchi, sostienili,
o Maria Ausiliatrice!
Tu che ti sei fatta carico di ogni persona, aiuta ciascun di
noi a farsi carico della vita del prossimo!
Aiuta i nostri giovani, soprattutto quelli che riempiono le
piazze e le vie,
ma non riescono a riempire il cuore di senso.
Aiuta le nostre famiglie, soprattutto quelle che faticano a
vivere la fedeltà, l’unione, la concordia!
Aiuta le persone consacrate perché siano un segno trasparente
dell’amore di Dio.
Aiuta i sacerdoti, perché possano comunicare a tutti la
bellezza della misericordia di Dio.
Aiuta gli educatori, gli insegnanti e gli animatori, perché
siano aiuto autentico alla crescita.
Aiuta i governanti perché sappiano cercare sempre e solo il
bene della persona.
O Maria Ausiliatrice, vieni nelle nostre case,
Tu che hai fatto della casa di Giovanni la tua casa, secondo
la parola di Gesù in croce.
Proteggi la vita in tutte le sue forme, età e situazioni.
Sostieni ciascuno di noi perché diventiamo apostoli entusiasti
e credibili del Vangelo.
E custodisci nella pace, nella serenità e nell’amore,
ogni persona che alza verso di te il suo sguardo e a te si
affida.

Amen

AFFIDAMENTO DELLA CASA A MARIA AUSILIATRICE

Santissima Vergine Maria,
da Dio costituita Ausiliatrice dei cristiani,
noi ti eleggiamo Signora e Padrona di questa casa.
Degnati, Ti supplichiamo, di mostrare in essa il Tuo potente
aiuto.
Preservala dai terremoti, dai ladri, dai cattivi, dalle
incursioni, dalla guerra,
e da tutte le altre calamità che Tu sai.
Benedici, proteggi, difendi, custodisci come cosa tua
le persone che vivono e vivranno in essa:
preservale da tutte le disgrazie e gli infortuni,
ma soprattutto concedi loro l’importantissima grazia di
evitare il peccato.
Maria, Aiuto dei Cristiani, prega per quanti abitano in questa
casa
che a Te si è consacrata per sempre.

Così sia!

PREGHIERA DI AFFIDAMENTO A MARIA AUSILIATRICE

Santissima ed Immacolata Vergine Maria,
Madre nostra tenerissima e potente AIUTO DEI CRISTIANI,
noi ci consacriamo interamente a te, perchè tu ci conduca al
Signore.
Ti consacriamo la mente con i suoi pensieri il cuore con i
suoi affetti,
il corpo con i suoi sentimenti e con tutte le sue forze,
e promettiamo di voler sempre operare alla maggior gloria di
Dio
e alla salvezza delle anime.
Tu intanto, o Vergine incomparabile,
che sei sempre stata la Madre della Chiesa e l’Ausiliatrice
del popolo cristiano,
continua a mostrarti tale specialmente in questi giorni.
Illumina e fortifica i vescovi e i sacerdoti
e tienili sempre uniti e obbedienti al Papa, maestro
infallibile;
accresci le vocazioni sacerdotali e religiose affinché, anche
per mezzo loro,
il regno di Gesù Cristo si conservi tra noi
e si estenda fino agli ultimi confini della terra.
Ti preghiamo ancora, dolcissima Madre,
di tenere sempre rivolti i tuoi sguardi amorevoli sopra i
giovani esposti a tanti pericoli,
e sopra i poveri peccatori e moribondi.
Sii per tutti, o Maria, dolce Speranza, Madre di misericordia,
Porta del cielo.
Ma anche per noi ti supplichiamo, o gran Madre di Dio.
Insegnaci a ricopiare in noi le tue virtù,
in particolar modo l’angelica modestia, l’umiltà profonda e
l’ardente carità.
Fa’, o Maria Ausiliatrice, che noi siamo tutti raccolti sotto
il tuo manto di Madre.
Fa’ che nelle tentazioni ti invochiamo subito con fiducia:
fa’ insomma che il pensiero di te sì buona, sì amabile, sì
cara,
il ricordo dell’amore che porti ai tuoi devoti,
ci sia di tale conforto da renderci vittoriosi contro i nemici
dell’anima nostra,
in vita e in morte, affinché possiamo venire a farti corona
nel bel Paradiso.

Amen.

PREGHIERA A MARIA AUSILIATRICE   ISPIRATA ALLA PALA DI TORINO

O Maria Ausiliatrice,
Tu, immersa nel mare di luce della Trinità
ed assisa sopra un trono di nubi,
Tu, coronata di stelle
come Regina del cielo e della terra,
Tu, sostieni il Bambino, il Figlio di Dio,
che con le braccia aperte offre le sue grazie a chi viene a
te.
Tu, circondata come da una corona umana
da Pietro, da Paolo, dagli Apostoli e dagli Evangelisti,
che ti proclamano loro Regina.
Tu, unisci il cielo e la terra,
Tu, Madre della Chiesa che sta già nella gloria celeste
e della Chiesa pellegrina nel mondo,
rendici costruttori instancabili del Regno,
riempici della passione del “Da mihi animas”,
rendici segni dell’amore di Dio per i piccoli e i poveri,
proteggici dal nemico e nell’ora della morte
guidaci alla gloria eterna.
Amen.

Pascual Chavez
V Congresso di Maria Ausiliatrice
Città del Messico, agosto 2007

[1] Riportato in L’Immacolata Ausiliatrice, 128-129.

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          Ausiliatrice 32 – Torino, TO 10152 – Italy
Da Costanza Miriano. “Le
domande grandi dei bambini.
1° Convegno Nazionale”
Guardavo questa locandina, pensando che vorrei tanto andare, e
mi è caduto l’occhio sul contributo spese (20 euro), e ho
pensato che una cosa così di euro ne vale milioni, anzi non ha
prezzo, davvero. Trovare degli alleati nell’educazione dei
nostri figli, uomini intelligenti che si mettano al servizio
dell’educazione, è veramente l’emergenza numero uno della
nostra civiltà. Non ce ne sono molti, in giro. Padre Maurizio
Botta e don Andrea Lonardo sono due di loro: uomini che
pregano e vogliono bene, che leggono e studiano e ragionano, e
poi traducono il frutto del loro lavoro per creare un metodo
di catechesi nuovo ma antico, cioè dire la verità ai ragazzi,
prendendo sul serio, molto sul serio le loro domande.

La giornata dell’8 giugno a Roma – il primo convegno
nazionale Le domande grandi dei bambini – sarà un’occasione
per approfondire il metodo, per arricchire i libri che essendo
destinati ai bambini non potevano essere appesantiti troppo da
indicazioni per i grandi, per incontrarsi e guardarsi negli
occhi, che è sempre l’unica via di trasmissione della fede,
per i tanti sacerdoti catechisti animatori genitori che già
lo utilizzano nelle loro parrocchie e per tutti quelli che
sono incuriositi e vorrebbero adottarlo.
Spesso mi chiedono come si faccia a educare alla fede, e io
rispondo, non con falsa umiltà ma semplicemente con senso
della realtà (e anche un po’ di scoramento) che non lo so,
davvero. So solo come non si fa. I bambini non vogliono essere
trattati da bambini, cioè come se fossimo superiori a loro,
solo perché abbiamo più rughe e più pancia. Vogliono essere
presi sul serio. A volte si può anche dire non lo so, per
esempio. A volte si può dire “non ho una risposta ma ti sono
vicina e ti voglio bene”, oppure “andiamo insieme a chiedere a
qualcuno che lo sa”. A volte si può dire “fammici pensare, che
a questa cosa non avevo mai riflettuto, anzi grazie perché me
la chiedi”.

I bambini poi, non vogliono le bugie. Credono solo alle cose
su cui scommettiamo davvero la vita. Credono solo a quello in
cui noi siamo seri, quello su cui noi per primi lavoriamo
seriamente.

I bambini non crescono in un sistema educativo preoccupato
solo di includere accogliere accompagnare incoraggiare (lo
sapevate che l’Unione Europea prevede che non si boccino più
dello 0,5% degli studenti???), vogliono qualcuno che creda
abbastanza in loro da permettere che facciano la loro fatica
di crescere, vogliono qualcuno che dica “non mi accontento di
questo per te, puoi fare di più, e quindi lo devi fare”.

Grazie dunque a chi si prende la briga di aiutarci a generare
alla vita di fede questi ragazzi, grazie a chi andrà al
convegno e aiuterà a diffondere il bene che viene da una
educazione fatta bene, cioè con amore e usando il meglio della
nostra intelligenza.

Fonte: https://costanzamiriano.com/2019/05/22/le-domande-grand
i-dei-bambini-1-convegno-nazionale/#more-20675
Da Francesco Marchese Ragone
del Giornale. Francesco e i
migranti: “L’Italia non può
accoglierli tutti da sola”
«Quello dei migranti è un problema che riguarda l’Italia,
risolvetelo!». Una risposta perentoria, che è suonata come una
doccia fredda per molti dei vescovi italiani radunati in
Vaticano per l’Assemblea Generale della Cei.

Papa Francesco, lunedì pomeriggio, nel confronto a porte
chiuse con i vescovi giunti da tutta Italia, aveva detto di
esser disponibile a rispondere a tutte le domande, a tutto ciò
che arrivava dal cuore di ogni singolo prelato presente. E
così, uno dei vescovi che aveva seguito sin dall’inizio il
discorso introduttivo del Santo Padre, ha voluto domandare al
Pontefice come affrontare la questione dei migranti, sempre al
centro del dibattito politico italiano.

Francesco dopo aver ascoltato attentamente il suo
interlocutore che parlava in assemblea, ha risposto con un
secco: «Risolvete voi il problema!». Poi, come spiega uno dei
presenti al Giornale, Francesco ha voluto chiarire meglio la
sua posizione: «È un problema italiano, è vero-, ha detto,- ma
deve essere un problema europeo, di tutta l’Europa e non di un
singolo Paese come l’Italia che ha fatto tanto». A quel punto
il Pontefice, sempre rispondendo al vescovo, ha portato come
esempio la Svezia, chiarendo che un Paese ha il dovere di
salvare vite umane in mare, ma non può accogliere fino allo
stremo se non ha possibilità di integrare chi arriva. «Se
l’Italia non può accogliere, non può integrare, non può dare i
giusti servizi a chi arriva perché è ormai saturo, deve
chiedere anche agli altri Paesi europei di farlo», ha aggiunto
Bergoglio, «se poi c’è il problema migranti, risolvetelo!».

Una posizione che non coincide con quella, cucita addosso al
Papa, dell’accoglienza incondizionata dei migranti che bussano
alle nostre porte: se da un lato, infatti, è vero che
Francesco critica la chiusura dei porti e chiede
l’abbattimento dei muri, dall’altro è innegabile che negli
ultimi anni, il Pontefice ha adeguato la sua posizione con il
nuovo contesto europeo e parla sempre più di «prudenza»
nell’accogliere chi arriva in cerca di un futuro. Proprio a
fine marzo, Bergoglio, sul volo di ritorno dal Marocco, aveva
affrontato la questione rispondendo alle domande dei
giornalisti, ai quali aveva detto: «La Svezia ha ricevuto gli
immigrati con una generosità impressionante. Imparavano subito
l’idioma a carico dello Stato, trovavano lavoro, casa. Adesso
la Svezia si sente un po’ in difficoltà nell’integrare, ma lo
dice e chiede aiuto». Già nel novembre 2016 Francesco aveva
lanciato un allarme in questo senso e aveva chiesto di
riflettere bene prima di accogliere gli immigrati: di ritorno
proprio dalla Svezia per una visita di due giorni all’insegna
del dialogo ecumenico, il Papa rispondendo a chi gli chiedeva
cosa pensasse dei Paesi che chiudono le frontiere aveva detto:
«Non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma c’è anche la
prudenza dei governanti, che devono essere molto aperti a
riceverli ma anche a fare il calcolo di come poterli
sistemare; non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere
il cuore e alla lunga questo si paga, si paga politicamente,
come si paga politicamente anche una imprudenza nei calcoli e
ricevere più di quelli che si possono integrare».
Da Milena Gabanelli. “La
nuova strage dell’eroina in
Italia: decessi per overdose
+9,7% in un anno”
Video Gabanelli
L’Italia sta ricominciando«a contare i morti». Dopo un calo
costante durato più di 15 anni, dal 2017 sono tornati ad
aumentare. Ma non se n’è accorta. Non vuole vedere. E nessuno
tra politici, responsabili della salute pubblica, sindaci,
assessori (tranne poche menti illuminate, o terrorizzate da
una storia che già si conosce) si chiede perché la curva dei
decessi ha piegato — di nuovo — verso l’alto. E qualcuno si
chiede qual è (quali sono) le sostanze che uccidono? È
l’eroina? Solo l’eroina? O i «fentanili», farmaci oppioidi
sintetici (ultra potenti «parenti» dell’eroina creati in
laboratorio) che negli Stati Uniti stanno provocando
un’ecatombe, e che in Italia hanno già causato due decessi,
uno a Milano, l’altro a Varese? Intanto sono 350 i decessi
classificati come overdose negli anni 2015-2017. Ma alla voce
«sostanza responsabile del decesso», ci si scontra con un:
«Non identificata». Contemporaneamente le statistiche dicono
che il numero dei morti torna a salire a causa di una sola
sostanza: eroina. Solo segnali, per il momento, ma per
leggerli, ed eventualmente contrastarli, bisognerebbe
conoscere una storia iniziata 46 anni fa.

Il primo morto
Nel 1973 viene rapito a Roma Paul Getty III, nipote dell’uomo
all’epoca più ricco del mondo; un’epidemia di colera si
diffonde in estate a Bari, Palermo, Napoli, Cagliari; a
settembre il segretario del Pci Enrico Berlinguer lancia la
proposta del «compromesso storico»; e a dicembre, il giorno
17, un commando di terroristi palestinesi attacca un aereo
della Pan Am a Fiumicino, una strage che provoca 34 morti. In
quell’anno passa del tutto inosservata la prima vittima di
un’altra strage, che si sarebbe propagata per decenni: il
primo decesso in Italia per overdose di eroina. Uno
stupefacente che iniziava appena a comparire sullo scenario
criminale e sociale, come raccontano gli archivi italiani
dell’antidroga (un chilo d’eroina sequestrato nel 1971, 29
chili l’anno dopo). A partire da quell’anno, in Italia, di
droga sono morte oltre 25 mila persone. L’anno peggiore fu il
1996: 1.562 decessi per overdose (275 dei quali in Lombardia,
220 nel Lazio). I numeri «parlano»: l’eroina si diffonde e
crea per qualche anno un numero sempre più ampio di
tossicodipendenti, all’inizio sono anni di latenza, di
incubazione. Poi, si iniziano a contare i morti. Sempre di
più.

Nuovo anno nero: il 2017
Per 16 anni (dal 2000 al 2016) i decessi sono calati
gradualmente (meno 48 per cento). Un trend positivo, ma che ha
portato l’oblio sul tema droga. Nel 2017 però arriva,
inaspettata, una inversione di tendenza: più 9,7 per cento in
un anno solo. A determinarla, un aumento della diffusione di
eroina. Nel 2016, su 268 morti, 99 sono da eroina, pari al 37
per cento; l’anno dopo, l’ultimo su cui si hanno dati
disponibili e certificati, su 294 vittime, 148 sono per
eroina: un aumento del 50 per cento. Solo per dare un’idea,
sempre nel 2017, 53 morti sono legate alla cocaina, 13 al
metadone, 1 ai barbiturici e 2 all’Mdma. Guardando all’età , i
livelli di mortalità più alti si riscontrano a partire dai 25
anni per raggiungere i picchi massimi nella fascia superiore
ai 40 anni. La domanda decisiva allora diventa: sono i primi
segnali di una nuova potenziale strage?Per capirlo bisogna
incrociare i dati delle Relazioni al Parlamento sullo stato
delle tossicodipendenze, i rapporti della Dcsa (Direzione
centrale servizi antidroga) e lo studio del Cnr sull’uso di
alcol e sostanze psicoattive in Italia.

Le morti «misteriose»
Ai 148 morti acclarati per eroina nel 2017, si aggiungono 74
morti da sostanza non determinata: sostanzialmente decessi
«misteriosi», non attribuibili con certezza a sostanze note
(erano 118 nel 2016). Una delle ipotesi è che siano però anche
quelli legati all’eroina, probabilmente tagliata con altre
sostanze. Sui tagli e le «sperimentazioni» criminali si hanno
poche certezze, anche perché una delle principali carenze del
sistema italiano è una totale mancanza di analisi preventiva
sulle sostanze al fine di adeguare le risposte sociali e
sanitarie. Il mercato della droga, come quello legale, deve
fidelizzare i clienti, conquistarne di nuovi, allargare i
profitti: dunque cerca il punto di compromesso tra qualità
della sostanza, prezzo, impiego di altre sostanze. Questo
punto di intersezione sta sempre più in basso, e si è visto a
Milano, al «boschetto» di Rogoredo, la piazza di spaccio più
grande del nord Italia dove le forze dell’ordine stanno
facendo un importante lavoro di prevenzione. Qui i prezzi
erano scesi fino a 5 euro a dose e anche più sotto, con una
«qualità» ancora accettabile visto che viene utilizzata anche
da persone con una lunga storia di tossicodipendenza. Nelle
altre città i prezzi sono più alti. Una nuova emergenza sono
poi gli psicofarmaci spacciati per strada, anche quelli low
cost e facilmente reperibili dai ragazzi (sostanze «legali»):
Rivotril, Suboxone, Contramal, il primo a base di
benzodiazepina, utilizzati per combattere l’ansia o
l’epilessia. Se associati all’alcol e presi in dosi massicce o
mixati con altre sostanze hanno effetti simili all’eroina. La
criminalità nigeriana, per scalzare le gang nordafricane, a
Mestre ha fatto una strage (oltre 20 morti) con l’eroina
tagliata con il metorfano, una sostanza che ne moltiplicava
gli effetti. La morte di ragazzi e ragazze adolescenti con una
siringa nel braccio nei bagni delle stazioni ferroviarie
replicano immagini di trent’anni fa.
I nuovi consumatori
Secondo l’ultima Relazione       al parlamento, nel 2017 i
consumatori di eroina sono 285   mila, per un giro di affari da
2,3 miliardi. Le stime per il    2018, ancora non disponibili,
vanno nella stessa direzione:     l’uso sta aumentando. Quanto
alla popolazione studentesca,    secondo l’Espad elaborato dal
Cnr, l’1,1 per cento ammette di aver fatto uso di eroina
almeno una volta nella vita (circa 28.000 studenti); lo 0,8
per cento l’ha assunta almeno una volta nel 2017 (oltre
20.000) e lo 0,6 per cento nel mese precedente la compilazione
del questionario (15.500). Il 64 per cento degli studenti che
hanno fatto uso di eroina almeno una volta nella vita
riferisce di averla fumata con le «stagnole» (alluminio da
cucina), il 28,5 per cento con la siringa in vena. Tra gli
studenti che hanno riferito di aver usato eroina durante
l’ultimo anno, il 79 per cento ha utilizzato anche altre
sostanze stupefacenti, il 91 per cento cannabis, l’81 per
cento cocaina, il 72 per cento sostanze stimolanti, il 66 per
cento allucinogeni.

Il rischio «americano»
Il quadro in Italia oggi è questo: aumento del consumo di
eroina, creazione di una nuova fascia di consumatori giovani,
mercato criminale che sperimenta nuove strategie come
l’abbassamento dei prezzi o la miscela di sostanze. Il
risultato è l’impennata dei decessi per overdose da eroina.
Questo scenario va necessariamente analizzato con un occhio a
quel che sta accadendo negli Stati Uniti, dove la più grave
epidemia di droga nella storia umana sta provocando circa 70
mila decessi l’anno (leggi l’inchiesta di Dataroom del 16
aprile 2018). In una città come Philadelphia ad esempio, come
dimensioni poco più grande di Milano, nel 2017 ci sono state
oltre 1.200 overdose mortali e più di 8 mila non mortali (su
la Lettura #390 in edicola il reportage di Gianni Santucci da
Philadelphia). Accade perché le gang criminali hanno inondato
le strade di Fentanyl, o eroina mescolata al Fentanyl. Si
tratta di un oppioide sintetico utilizzato come fortissimo
antidolorofico, ma cento volte più potente della morfina, e
che permette ai venditori di moltiplicare i guadagni (un chilo
di Fentanyl prodotto clandestinamente nei laboratori cinesi
costa 5 mila dollari al chilo e può essere tagliato molto più
dell’eroina naturale).
Allo stesso tempo, crea una dipendenza più feroce e immediata.
E aumenta a dismisura il rischio di overdose. Per ora in
Italia si registrano pochi casi, ma tutto lascia presagire
l’apertura di un mercato.

A ottobre 2018, provincia di Cosenza, 6 arresti per traffico
di cerotti al Fentanyl; gennaio 2019, Melzo (Milano), furto di
4 fiale di Fentanyl in ospedale; febbraio 2019, 20 grammi di
Fentanyl sequestrati a Roma: spedizione diretta in Umbria;
febbraio 2019, 2 grammi di Fentanyl sequestrati a Milano,
spediti dal Canada, diretti a Cinisello Balsamo (una analoga
spedizione diretta in Piemonte è stata intercettata); aprile
2019, 23 grammi di sequestrati a uno spacciatore marocchino in
un appartamento di Salò (Brescia). Bene, tutto questo non è
percepito come allarme sociale, non entra nel dibattito
pubblico e tanto meno in quello politico.

21 maggio 2019 | 23:58
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NUOVA RUBRICA. GIACOMETO.
Piccola   teologia    veneta.
“Giacometo viene presentato”
Don Angelo (inventore di Giacometo) nei momenti di vita
quotidiana, in famiglia con il fratello Albino
(testimonianza di Giorgio Bertolin)
Il rapporto tra lo zio don Angelo e suo fratello Albino, mio
padre, era caratterizzato da una composta cordialità        .
Condivisero solo la prima fanciullezza, poi le loro vite
presero strade molto diverse: lo zio all’età di dieci anni
iniziò il suo percorso di studi in Seminario, mio padre, due
anni più giovane, continuò per tutta la vita nel duro lavoro
di piccolo agricoltore. I contatti tra i due fratelli non
erano molti, recarsi a Tencarola, da quando don Angelo si
insediò come Parroco, era difficile: si doveva andare, da
Caltana, in bicicletta fino a Ponte di Brenta, per poi
proseguire con l’autobus.

Comunque le visite “dovevano essere brevi”: don Angelo aveva
il timore che i parrocchiani potessero alludere ad impropri
mantenimenti o a privilegi nei riguardi della sua parentela.
Mio Padre mi raccontava che un giorno lui e il padre
Valentino, costretti a trattenersi più del solito, presso la
canonica, per un lavoretto nel piccolo vigneto, allora situato
dove oggi sorge il campanile, furono fatti uscire dal retro,
in fretta e con la consegna del silenzio.

Con l’arrivo del Cappellano Don Luigi dalla Longa, lo zio
iniziò a concedersi qualche settimana di vacanza, soprattutto
nei mesi estivi, a Caltana city, nelle sponde del fiume
Cognaro (cosı̀amava definire il domicilio del fratello).

Nel loro discutere si notava un comune senso dell’umorismo,
utilizzando l’ironia, anche se con atteggiamenti diversi; mio
padre costruiva il discorso cercando soprattutto la reazione
divertita dell’interlocutore, suo fratello si immedesimava,
viveva la discussione, la modellava quasi a volersi divertire
per primo: era la chiave della sua facilità di entrare in
empatia, soprattutto con i piccoli.
Nelle loro discussioni c’era il ricordo delle frequentazioni
della Parrocchia di Caltana, le loro dinamiche relazioni, come
chierichetti, con il mite e pio don Antonio Gallerani e
l’estroso e vulcanico cappellano don Marco.
Parlavano dei Genitori e in particolar modo della Madre per
quel suo carattere fiero e combattivo; si divertivano a
rievocare l’episodio che la vide, con atteggiamento severo e
tono a dir poco deciso, controbattere la Maestra che non
accettava la giustificazione per un’assenza scolastica del
figlio Albino: «me par de ve
                           ̀darla, …come Caifa che se strassa
e vesti nel Sinedrio», sghignazzava lo Zio.
Del padre Valentino evidenziavano l’intransigenza         nei
comportamenti e la severità nelle punizioni: «Contame Albino,
de que
     ̀a volta del funerà
                        e del nonno Bepi». «Go da vere ancora
el crepo – rispondeva mio Padre toccandosi la testa e, alzando
gli occhi per cercare attenzione dei presenti – so drio
petenà
      rme davanti al specio per andare al funerà e…, no rivba
me pare!… el me fulmina coi oci, …el fa on salto dandome on
tangaròn cosı̀ forte che con a testa domenti rompo el specio,
…e sgrignando i denti: tirate sò chee pane  ̀e!!…, credito de
‘ndà
    re a baeàre!».

Un antenato spesso rievocato era il loro bisnonno Giacomo,
sempre nominato “Bapo dea caneta”, con le sue gesta e quel suo
millantare origini nobiliari cercando di sottolineare
attraverso quel suo particolare abbigliamento: calzoni alla
zuava, mantellina e cappello a cilindro (la caneta). Era
spesso menzionato, perché li divertiva in modo particolare,
quel suo vezzo di mettersi all’entrata della Chiesa, in
prossimità dell’acquasantiera, bagnarsi abbondantemente le
dita con l’acqua benedetta per portarla alle giovani che
entravano, toccando loro le mani in segno, a suo dire di
galanteria. Sempre di «Bapo» ricordavano anche il suo vantarsi
nell’interloquire con i vari signorotti della zona e quel suo
particolare richiamo, quando le finanze famigliari
scarseggiavano, scandito nel suo più aristocratico dialetto
veneziano: «El conte P… el me gà dito: Bapo!, …se te vol far
sche
   ̀i, te pol magnare anca senza sal!».

In libertà
          , lo Zio parlava anche dei suoi scritti, dei suoi
viaggi, della nuova Chiesa di Tencarola, delle attività
parrocchiali e anche di Pastorale Liturgica. Era orgoglioso
che i suoi scritti avessero tanto seguito e che fossero letti
perfino dal Beato Papa Giovanni XXIII, il quale dedicava
spesso parole di stima e ammirazioni: «… Che forsa! …adesso xe
                                                             ́
parfin bè o essere pı̀
                      c oi e tondetti». Del processo di
canonizzazione di Papa Giovanni, iniziato subito dopo la
morte, diceva: «Paolo VI gà messo insieme anca Pio XII par
frenare un pocheto, se no el me deventava santo anca prima de
Sant’Antonio».

Relativamente al racconto “El brivido dela Castagnara granda”
gli si chiedeva anticipazioni sulla trama e, ovviamente, come
e quando decideva di terminarlo: «No gò intensiò
                                                 n de moeà
                                                          rlo,
…el funsiona, …basta zontare situassiò  n e personaggi e teo
slonghi fin che te voi», diceva visibilmente soddisfatto.

Non l’abbiamo mai sentito esprimere critiche verso i Superiori
o verso i Colleghi Sacerdoti. Sapeva di essere stimato e
questo lo inorgogliva; non resisteva però
                                         , con la parlata, nel
giocare, nell’infierire, nel creare caricature con riferimento
all’aspetto fisico o alle abitudini di qualcuno.

Sul “Parco di Caltana city”: «Don Gioani el tabaca come on
turco, el tira col naso cofà na turbina… Quando el porta i
tosi a dotrina, vestio col tabaro, col fis-cio in boca e à
bache
    ̀ta in man, el me pare un mandrian».

Riferendosi a Mons. Canella: «Semo in albergo, …el se cava ea
camisa…, – per carità
                     !…, fame un piassere, se te ve in spiaia,
metate na canotiera, se no te me spaenti e done incinte!».

Con il Cappellano Don Luigi dalla Longa aveva un buon
rapporto, lamentava certe assenze e ritardi, ma apprezzava,
anzi invidiava quella sua giovanile intraprendenza: «Non te o
cati mai, ma quando el riva el fa par sinque». Ad una visita
ai genitori di Don Luigi, a Valdobbiadene, ricordava la
preoccupazione del padre: «Me raccomando don Angelo…, el me
tenda sto toso, …el porta passiensa».

Contrariamente a quanto spesso riportato, aveva grande
considerazione del genere femminile. Vedeva la donna come
educatrice, mite, pronta a smussare le tensioni famigliari,
custode dei valori cristiani; non doveva esporsi alle
suggestioni del modernismo che puntava a sminuire quei valori
di umiltà
         , pazienza, fedeltà e perseveranza esaltati, invece,
dalla vita di Maria di Nazareth. Questo non voleva dire
chiudersi in casa e subire passivamente gli eventi, anzi.
Ricordo molto bene una sua considerazione: «Spesso ricevo in
Archivio, donne che e se lamenta per problemi famigliari dovù
                                                             i
aea fadiga dei lavori de casa, a dover vivere in fameie tanto
numerose, a sopportare insensibilità o insofferenza del marı̀
                                                             o,
ecc. …Vedo tanta rassegnassion e anca sofferenza; …a volte me
toca fare el psicologo: Non tasare sempre! Fatte sentire!
…varda che de meio de tı̀ non ghe ne se tante, …cambia
petenatura, va qualche volta daea paruchiera, trucate un
pocheto e te vedare ̀ che to marı̀ o , se non xè semo, el se
sveia».

Dei suoi viaggi in diversi Paesi, non solo europei, sempre con
l’inseparabile Mons. Canella («Mi e don Chèco semo come marı̀
                                                             o
e moı̀
     ere»). Gli piaceva raccontare la cultura, le abitudini,
l’organizzazione sociale e soprattutto la cucina: «I me gà
servı̀o na beissima insaeata, con tante verdure, ma sò ra i ga
butà na scassoeà de na paste
                             ̀ca del posto, …Coi sforsi a ghemo
mandàxò».
In un’altra situazione: «Voevimo provare ‘na speciaità del
posto, …i me ga portà ‘na specie de fritura, con dee fete che
parea bacaeà; …ghemo magnà, …tuto bon e coto ben. Incuriosii
ghe domandemo cossa chèl gera: …carne de serpente!».
Vedendo la nostra espressione schifata, per niente mitigata
dal solito sorrisetto di circostanza, lo zio, con aria
divertita, rivolgendosi verso di me: «Vedi toso, …se te capita
de voe
     ̀r provare piatti che non te conossi, …magna e tasi!, …fa
domande, dopo e se i te xè piasù
                                 i».

Mio Padre spostava spesso la discussione su tematiche
religiose, sulla trasformazione della società
                                             , sui cambiamenti
nella Chiesa Cattolica e sul Concilio Vaticano II. Lo zio
argomentava su tutto, con grande pacatezza e serenità
                                                     , non
sembrava il «Giacometo» battagliero dei suoi scritti: «Quando
te scrivi – diceva –se te voi che resta el segno, te devi
sgraffare!».

Sullo svolgimento del Concilio Vaticano II ci informava sullo
stato dei lavori, sulle questioni in discussione, sulla
difficoltà di conciliare le varie posizioni dei Padri
Conciliari: «Se da ‘na parte i spense per forti cambiamenti e
l’altra parte che tenta de resistere, ma che a dovarà moeà
                                                           re,
…non se sa quanto, perché cheà
                               ltri i xé forti… El poro Paolo
VI gavarà da triboeà
                     re par smussare e concludere». Non l’ho
mai sentito patteggiare per l’una o l’altra parte, per Lui
l’importante era il fine ultimo a cui doveva tendere ogni
cristiano: «Noialtri se affanemo a girare e rigirare el timon,
su come e quando alsare e sbassare e ve ̀e, ma so na nave, chi
che comanda, deve scansare i pericoi e vardare a bù
                                                   ssoea».

Sui comportamenti alle volte era molto intransigente, i
Comandamenti, i Sacramenti ed i Precetti della Chiesa andavano
rispettati perche
                ́, per Lui, erano il collante che teneva unito
il popolo di Dio e la corazza che lo difendeva dalle lusinghe
di quel modernismo impregnato di troppo permissivismo che
stava portando alla secolarizzazione della società   . Sapeva
però vedere e valutare le situazioni; ricordo che in una
discussione, avevo diciassette anni, forse per rafforzare
certe mie giovanili convinzioni, mi lasciai scappare un
licenzioso aggettivo abbinato ad una generica Marisa, Lui mi
guardò
      , spense il suo solito sorriso, aspettò qualche secondo
per raffreddare il clima e perentoriamente disse: «Varda che
no te dona par gnente!». Rimasi sorpreso e ferito, non me
l’aspettavo da Lui che mi aveva sempre manifestato simpatia e
stima, mi volle del tempo per stemperare la delusione e anche
una certa irritazione.

In un’altra occasione si rivolse a mio Padre: «Ciò Albino,
…varda che el parco de Caltana el sa che te lavori anca de
Domenega!». Mio Padre, senza cercare giustificazioni rispose:
«Si don Angeo, ma te se ́ anca ti che i campi non speta».
Riprese Don Angelo: «Voialtri che lavore
                                       ̀ a tera con e man, par
mi, si sempre dispensai», fu la risposta immediata e senza
distinguo.

Arrivò poi la fine della collaborazione con «La Difesa del
Popolo». In molti si chiesero del perche
                                       ́, considerando che gli
scritti/racconti di «Giacometo» erano ancora molto seguiti e
contribuivano non poco alla diffusione del giornale.
«I me gà fatto fò
                  ra, …mandà in esilio», confidava al fratello
Albino. Era amareggiato, si sentiva privato di quel “tocio per
scrivere” che gli permetteva di esprimersi in libertà e far
arrivare quel suo messaggio di attaccamento ai valori
cristiani, condito di personaggi e situazioni presi dalla
memoria e dalla sua fervida fantasia, ad una platea molto
vasta. Era l’epilogo di quel processo di limitazione/punizione
deciso ed annunciato dal Vescovo per aver contrastato certe
decisioni della Curia, riguardanti il frazionamento dei
finanziamenti e del territorio della Parrocchia di Tencarola.
La sua amarezza non si tramutòmai in sconforto, sapeva che il
suo operato gli avevano procurato stima e considerazione da
parte dei Colleghi Sacerdoti e dei suoi Parrocchiani, e questo
lo gratificava.

Quando fu eletto Vicario Foraneo di Selvazzano Dentro con
orgoglio diceva: «Quando ghe xe
                              ̀ stà la votassion, ghe gò dito
a cheà
      ltri Parroci: ve mostro a me scheda bianca, …par mi si
tutti degni de essere Vicario. …Go da verli incantai, …i ga
votàtutti par mi».

Dell’ultimo periodo ricordo l’apprensione di mio padre per la
salute del fratello che lo faceva ripetere spesso: «L’ultima
volta… non lo gò visto tanto ben!», cercando subito il
conforto della nostra solita rassicurante smentita.

La temuta notizia arrivò
                        , da noi a Caltana, di notte, con la
gelida ed esplicita esclamazione di Don Luigi: «Albino!… Don
Angelo xe
        ̀ morto!», detta ancor prima che mio Padre aprisse la
porta di casa. Un semplice e dimesso «Oh Signore!…», fu la
risposta.

Accompagnai subito mio Padre a Tencarola, trovammo la salma di
Don Angelo sistemata nella camera ardente ricavata nella sala
da pranzo attigua alla cucina, mio Padre sostò in silenzio,
con compostezza, più preoccupato sul come atteggiarsi nei
confronti delle molte persone che si succedevano che dal
gestire l’emozione: scoppiò in un pianto liberatorio solo al
momento della chiusura del loculo, in cimitero.
Negli anni che seguirono, ogni volta che lo accompagnavo in
visita al cimitero di Tencarola si inorgogliva, vedendo la
tomba sempre colma di fiori, la molta gente che la visitava e
vi sostava in preghiera, ed esternava un imbarazzo: «…grassie,
…grassie, …grassie…» quando, riconosciuto, veniva avvicinato
per un saluto.

A conclusione sento il dovere di ringraziare Adriano Vicarioto
per il suo imponente lavoro di ricerca, analisi, riflessioni
s u l l a f i g u r a , l ’ o p e r a , l a s p i r i t u a l i t à e a v v e n t u r a
giornalistica di Don Angelo «Giacometo», perché fa scoprire,
anche a me nonostante i contatti diretti e le testimonianze
famigliari, il Sacerdote a tratti sconosciuto. Tralasciando
considerazioni sul valore letterario, teologico, che non mi
competono, e piaggerie fuori luogo, dico solo che l’opera è
pervasa di partecipazione, dedizione e passione che vanno
oltre la rigorosa ricerca e analisi storica: lo Zio Don
Angelo, da lassù
                , con gli occhi lucidi, si meraviglierà per
avere tanto ispirato e trasmesso il Vangelo, il fratello
Albino sicuramente balbetterà il suo “grassie, …grassie,
…grassie!” per tanta commovente testimonianza.

Caltana, marzo 2014.

(Giorgio Bertolin)

Da Giuseppe Aloisi. “Ora i
vescovi africani invitano i
migranti a restare in Africa”
Un documento ufficiale dei vescovi africani consiglia a coloro
che vorrebbero migrare di restare nelle loro nazioni di
provenienza.

I presuli di quelle nazioni, quelle abbandonate da tanti
giovani che cercano fortuna e futuro in Europa, nutrono
preoccupazioni lampanti per quello che sta accadendo.
L’ennesima conferma è arrivata in queste ore, con le numerose
firme poste sotto a un documento ufficiale, stilato al termine
di un’assemblea plenaria, che sollecita le persone che
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