Il contadino che sconfisse Hitler
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Il contadino che sconfisse Hitler 75 anni fa Franz Jägerstätter, oggi riconosciuto martire e beato, veniva decapitato a Berlino. Con la sua lucida testimonianza francescana aveva dimostrato la netta incompatibilità tra nazismo e cristianesimo. «Il caso Jägerstätter è incredibile» dichiara in video il giornalista del Tg1 Rai nello speciale Tv7. «Franz aveva fatto soltanto le elementari. Non aveva letto Gandhi. Non sapeva nulla dell’obiezione di coscienza. Come può un padre di famiglia maturare in assoluta solitudine una rivolta morale, una testimonianza così eroica?». Quella puntata del 1989 (di Paolo Giuntella ed Ennio Chiodi) rivela per la prima volta in Italia al grande pubblico televisivo la figura del contadino austriaco, cattolico, sposo e papà di tre figlie, condannato dal Reich alla decapitazione giusto 75 anni fa, venerato dalla Chiesa come martire e dal 2007 come beato. Proprio l’anniversario è l’occasione per avvicinare la sua particolarissima figura, oltretutto nell’imminenza dell’uscita nelle sale cinematografiche di Radegund, l’atteso film biografico firmato da Terrence Malick, regista del pluripremiato The Tree of Life (Usa 2011). Il titolo è l’abbreviazione del toponimo Sankt Radegund, allora come oggi piccolo villaggio rurale al confine con la Germania, stessa distanza in linea d’aria da Linz a est e da Monaco di Baviera a ovest (e 30 chilometri da Braunau, paese natale di Hitler…). Dura la vita da queste parti, a inizio secolo scorso. I genitori di Franz (classe 1907) non hanno nemmeno il necessario per sposarsi, così il bimbo è affidato alle cure della nonna fino ai 10 anni, quando mamma Rosalia (il papà è morto in guerra nel 1915) si sposa con Heinrich Jägerstätter, proprietario di una piccola fattoria. Franz prende il suo cognome e col tempo lo sostituirà nell’attività di famiglia.
Inizia una nuova vita: il ragazzo è brillante e vivace, fino all’eccesso. Passa pure qualche notte in prigione, arrestato per rissa. «Non è un provocatore, ma non si tira indietro quando viene provocato» sintetizza Cesare G. Zucconi in Cristo o Hitler? (San Paolo 2008). Franz è un buon partito, ama divertirsi, è il primo in paese a possedere una moto. La sua curiosità lo spinge a uscire, va a lavorare in miniera, lontano da casa. A contatto col mondo operaio, la sua fede vacilla, non più «protetta» dall’ambiente tradizionale. Scriverà poi alle figlie: «Posso dirvi per esperienza personale quanto sia penoso essere un mezzo cristiano: è più un vegetare che un vivere». È un periodo travagliato, nel quale le domande si rincorrono. Alcune risposte arrivano solo al rientro in paese. La svolta ha un nome, Franziska, che in breve diviene sua moglie e nel tempo la madre delle loro tre figlie. Siamo nel 1936, e già sull’Austria soffia il vento nazista che da lì a poco, nel marzo 1938, si trasformerà in uragano con l’anshcluss, l’annessione alla Germania, e l’inizio del conflitto mondiale. Nel gennaio del ’38 Franz fa un sogno, l’unico registrato nei suoi diari. Vede «un bel treno» nel quale in tanti fanno a gara per entrare, tra cui «un gran numero di ragazzi», al punto che «non si riusciva quasi a fermarli». Ode «una voce» che rivela: «Questo treno conduce all’inferno». Svegliatosi di soprassalto, racconta il tutto alla moglie. Poi annota: «All’inizio questo treno che correva mi risultava piuttosto misterioso, ma più passava il tempo più si svelava il suo significato. (…) Per dirla in breve era tutta la compagnia nazionalsocialista». Nel quaderno, questa pagina riporta il titolo Sul tema più attuale: cattolico o nazionalsocialista, la questione più pregnante nella riflessione del contadino austriaco che progressivamente elabora motivazioni sempre più stringenti a favore dell’incompatibilità, tanto da portarlo al deciso rifiuto di combattere per Hitler. I due periodi di addestramento militare, nel 1940 e nell’anno
seguente, gli danno ulteriori opportunità di riflessione. Medita sul nazismo e sul suo carattere anticristiano, facendosi forza solo sulla Bibbia, sulla vicinanza della moglie, sull’esempio di alcuni santi, tra tutti santa Teresa di Lisieux, san Tommaso Moro e il francescano san Corrado da Parzham. Proprio in questo periodo, con l’amico commilitone Rudolf Mayer entra a far parte dell’Ordine francescano secolare. «È come se cercasse di rendere più solida la sua fede, più capace di resistere alle prove» commenta Zucconi. E in effetti Franz così scrive alla moglie per annunciargli la sua scelta: «Ti deve essere di conforto il fatto che la mia fede non si è indebolita mentre faccio il soldato». Pure Franziska di lì a breve emette la professione tra i francescani laici. A distanza di anni, in un’intervista così commenta il passo del marito: «È stato un miracolo, che si sia convertito così. Io non l’ho mai costretto, è venuto tutto da lui». C’è l’eco dell’accusa che tutto il paese, familiari compresi, le ha rivolto per decenni: colpa sua se Franz ha fatto la fine che ha fatto, se si è messo in testa certe idee cristiane… Rientrato dal secondo periodo di addestramento (aprile 1941), alla conduzione della fattoria Jägerstätter somma il servizio come sacrestano: la Messa e l’adorazione diventano una tappa fissa quotidiana, fino alla chiamata alle armi, nel febbraio ’43. Franz si presenta e comunica la sua decisione. Viene tratto agli arresti, a Linz. Ma egli non è un obiettore impulsivo, il suo non è un colpo di testa, un «signor no» improvviso e improvvisato. È una scelta a lungo ponderata nell’animo, nella preghiera e nella riflessione personale, di fronte a Dio e agli uomini. I nazisti capiscono bene che il suo gesto è pericolosamente rivoluzionario, e lo trasferiscono a Berlino (nella stessa prigione del pastore Dietrich Bonhoeffer) affinché sia esemplarmente processato dal tribunale supremo del Reich. Viene condannato a morte e quindi ghigliottinato il 9 agosto 1943.
«Nella fede nessuno è isolato» «Sono almeno tre gli elementi davvero notevoli della vicenda di Franz» spiega Giampiero Girardi, guida di un gruppo che da anni valorizza la figura del beato austriaco. «Intanto emerge la sua solitudine. Il primo scopritore di Jägerstätter, l’americano Gordon Zahn, ce lo ha restituito nel 1962 come Il testimone solitario, titolo del suo libro tradotto pure in Italia (Gribaudi 1968). Il suo è un taglio sociologico, non religioso, e sottolinea appunto l’emarginazione di Franz, non collegato a nessun gruppo o movimento politico di sostegno. Le grandi figure di obiettori non violenti come Gandhi o Martin Luther King avevano alle spalle un popolo, organizzazioni con cui discutere e rafforzarsi nelle difficoltà. Franz ebbe solo la moglie e pochissimi amici a sostenerlo. Ecco anche l’importanza dell’aiuto spirituale che trovò nei francescani: credo che per lui sia stato molto importante». Sì, ha vissuto la solitudine di una scelta radicale, ma al contempo nella consapevolezza che «nella fede nessuno è isolato dagli altri», come scrive alla moglie dal carcere. Sottolineare il suo isolamento fa risaltare ancor più la determinazione, la ricchezza culturale e intellettuale, la capacità critica del contadino austriaco. «Aveva frequentato appena le elementari – prosegue Girardi –, proveniva da un contesto sociale e culturale ben povero. La sua curiosità e forte personalità lo facevano però essere attento a quanto accadeva, desideroso di capire. Certo si abbeverò della lettura della Bibbia, il cui studio in ambiente tedesco anche tra i laici era diffuso, come in Italia sarebbe stato solo dopo il Concilio. Pur tuttavia, l’impostazione del cattolicesimo nella campagna austriaca era molto tradizionale, avrebbe anche potuto bloccarlo. La sua grandezza è essere riuscito a tradurre i valori del cattolicesimo in senso etico arrivando alle scelte che ha fatto in anni tremendi come quelli del totalitarismo».
La rielaborazione di pensiero che emerge dai suoi scritti è davvero stupefacente. Il suo argomentare è concreto, immediato, coinvolgente. Spiritualmente molto maturo, tanto che alcune intuizioni sul ruolo dei laici e sulla responsabilità personale anticipano quanto solo il Vaticano II sancirà. La sua scelta è meditata e sofferta, ma non lo mette su un piedistallo, non lo abilita a giudicare gli altri. Così, pur costretto in prigione, distante dalla famiglia e dalla libertà, Franz non arriva a odiare. E invita a non prendere la sua vicenda come un pretesto per approdare all’odio. Anzi, detta ai familiari il giusto atteggiamento: «Perdonate con gioia. La maggior parte degli uomini si rovinano la vita da soli, con la loro incapacità di perdonare». Il perdono deve coinvolgere anche i tanti cristiani che non seppero riconoscere la purezza dell’agire di Jägerstätter. Anzi, lo osteggiarono apertamente. È il terzo elemento sottolineato da Giampiero Girardi, che sulla vicenda firma il libro Una storia d’amore, di fede e di coraggio (Il Pozzo di Giacobbe 2013). «Franz muore in nome del Vangelo col parere contrario della Chiesa. Il vescovo, il parroco e il cappellano gli avevano intimato di recedere. Ritengo sia stata la più grande sofferenza per lui, ma anche poi per la moglie, che patì i lunghi anni di silenzio e incomprensione fino al 1962… Immagino poi quale sospiro di sollievo abbia tirato vedendo Franz sugli altari!». Franziska infatti si è spenta solo nel 2013, all’età di 100 anni. Commentando in carcere le letture di Pasqua, il contadino che sconfisse il suo conterraneo Hitler rifletteva: «Cosa c’è di più consolante per noi cristiani che non dobbiamo più temere la morte?» Autore: Alberto Friso
Fonte: http://www.messaggerosantantonio.it/content/il-contadin o-che-sconfisse-hitler Da Giulia Tanel (NuovaBussolaQuotidiana). “Mostrami l’amore”, così si parla di (vera) affettività Nel nostro contesto ipersessualizzato e pornografico, dove si moltiplicano i corsi che riducono la sessualità a mero “tecnicismo”, è importante formare una cultura affettiva sana che coinvolga i genitori come primi responsabili dell’educazione dei figli. Con questi scopi nascono i cinque sussidi di Mostrami l’amore, rivolti a diverse fasce d’età e intesi a trasmettere tanti insegnamenti oggi ignorati. «Non conosco l’amore, mostramelo tu!». È questo un interrogativo che, presto o tardi, matura nella mente e nel cuore di tutti i ragazzi e le ragazze, e che vorrebbero rivolgere ai loro adulti di riferimento. Questa richiesta, spesso non esplicita, talvolta non viene tuttavia raccolta e coltivata come meriterebbe, oppure la sua trattazione viene delegata ad agenzie educative terze, non sempre allineate e rispettose dei valori dei genitori e che spesso riducono la sessualità a un mero “tecnicismo”. Il tutto, in un contesto sociale ipersessualizzato, che dice e mostra tanto (troppo!), ma senza uno sguardo integrato e volto al vero benessere delle persone. Insomma, la confusione è tanta. Ed è proprio nel tentativo di
porvi un argine che nel 2014 è nata l’associazione di promozione sociale Progetto Pioneer, che negli ultimi anni si è distinta per i suoi progetti educativi rivolti a vari target, per la formazione pensata per persone coinvolte nel mondo dell’educazione, per la produzione di materiali e per la realizzazione di convegni. Tra queste attività rientra la sfida del progetto Mostrami l’amore, che si pone l’obiettivo di rispondere alla domanda da cui si è partiti, dando così il proprio contributo per la formazione di una nuova cultura dell’educazione affettivo-sessuale. Mostrami l’amore si sostanzia nella produzione di 5 sussidi, «testi divulgativi per aiutare genitori e ragazzi ad affrontare la pervasività dei contenuti pornografici in modo responsabile, cautelante ed efficace». Il primo è 100.000 baci, a cura degli psicologi Miriam Incurvati e Giovanni Petrichella, inerente alla fascia d’età 0-10 anni: si rivolge ai genitori «con consigli per aumentare la sintonia emotiva tra genitori e bambini, sviluppare un sano rapporto con il piacere del contatto tra i corpi di se ́ e dell’altro attraverso le coccole, il gioco e la gestione del pudore». Per la fase prepuberale, tra gli 8 e i 12 anni, sono stati quindi pensati due sussidi per genitori e figli: Sicuri alla scoperta della rete (a cura delle psicologhe Valeria Vichi e Alessandra Uliano) e Chi SiAmo: un viaggio alla scoperta dell’adolescenza (a cura dei medici Virginia Conti e Donatella Sanna). Il primo interessa «la gestione della privacy, del pudore online, dei pericoli di Internet, della libertà di scelta e delle minacce alla libertà di scelta (messaggi ipercoinvolgenti, subliminali, dipendenza indotta)»; mentre il secondo si pone l’obiettivo «di trasmettere ai ragazzi la bellezza e l’unicità del proprio corpo, la consapevolezza del valore di se ́ e dell’altro e un’idea sulla sessualità positiva e relazionale». Arrivando all’età adolescenziale (10-16 anni), è stato elaborato dallo psicologo Gabriele Di Marco il
testo FiltriAmo, pensato per soli genitori, con consigli tecnici su come porre dei filtri a Internet, uniti a consigli pratici sulla gestione di figli adolescenti. Infine, dai 16 anni in su, la psicologa Laura Perrotti ha curato Mostrami cosa posso fare, un manuale di autoaiuto «su come trovare un equilibrio e capacità di libera scelta rispetto all’uso di materiale pornografico e per uscire dalla dipendenza». I sussidi 100.000 baci e Chi SiAmo: un viaggio alla scoperta dell’adolescenza sono già disponibili, editi da Città Nuova, e verranno ufficialmente presentati domenica 26 maggio alle ore 19.00 presso Horti Balbinae (Piazza Santa Balbina 8, Roma), alla presenza degli autori, del presidente di Progetto Pioneer Marco Scicchitano, di Tonino Cantelmi e di Giampaolo Nicolais. L’ingresso è libero, ma su prenotazione a info@progettopioneer.com. Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/mostrami-lamore-cosi-si-parl a-di-vera-affettivita Preghiere a Maria Ausiliatrice PREGHIERA A MARIA composta da San Giovanni Bosco O Maria, Vergine potente, Tu grande illustre presidio della Chiesa;
Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani; Tu terribile come esercito schierato a battaglia; Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo; Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze difendici dal nemico e nell’ora della morte accogli l’anima nostra in Paradiso! Amen TRIDUO A MARIA AUSILIATRICE proposto da San Giovanni BoscoO Maria Ausiliatrice, Figlia prediletta del Padre, Tu fosti da Dio costituita quale potente aiuto dei cristiani, in ogni pubblica e privata necessità. A te ricorrono continuamente gli infermi nelle loro malattie, i poveri nelle loro strettezze, i tribolati nelle loro afflizioni, i viaggiatori nei pericoli, i moribondi nella sofferenza dell’agonia, e tutti ricevono da te soccorso e conforto. Ascolta dunque benigna anche le mie preghiere, o Madre pietosissima. Assistimi sempre amorosa in tutte le mie necessità, liberami da tutti i mali e guidami alla salvezza. Ave Maria,.. Maria, Aiuto dei cristiani, prega per noi. 2. O Maria Ausiliatrice, Madre benedetta del Salvatore, validissimo è il tuo aiuto in favore dei cristiani. Per te le eresie furono sconfitte e la Chiesa uscì vittoriosa da ogni insidia. Per te le famiglie e i singoli furono liberati ed anche preservati dalle più gravi disgrazie. Fa’, o Maria, che sia sempre viva la mia fiducia in te, affinché in ogni difficoltà possa anch’io sperimentare che tu sei veramente il soccorso dei poveri, la difesa dei perseguitati, la salute degli infermi, la consolazione degli afflitti, il rifugio dei peccatori e la
perseveranza dei giusti. Ave Maria,.. Maria, Aiuto dei cristiani, prega per noi. 3. O Maria Ausiliatrice, Sposa amabilissima dello Spirito Santo, Madre amorosa dei cristiani, io imploro il tuo aiuto per essere liberato dal peccato e dalle insidie dei miei nemici spirituali e temporali. Fa’ che in ogni momento io possa provare gli effetti del tuo amore. O cara Madre, quanto desidero venire a contemplarti in Paradiso. Ottienimi dal tuo Gesù il pentimento dei miei peccati e la grazia di fare una buona confessione; affinché io possa vivere in grazia tutti i giorni della mia vita fino alla morte, per giungere in Cielo e godere con te l’eterna gioia del mio Dio. Ave Maria,.. Maria, Aiuto dei cristiani, prega per noi. “Atto di filiazione con cui si prende per Madre la Vergine Maria” COMPOSTO DA San Giovanni Bosco (Letture cattoliche, Torino 1869, pag. 57). Mio Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, figliuolo unico di Dio e della santa Vergine, io vi riconosco, e vi adoro come mio primo principio ed ultimo fine. Vi supplico di rinnovare in favor mio quel misterioso amorevole testamento, che avete fatto sulla Croce, dando al prediletto apostolo San Giovanni la qualità ed il titolo di figliuolo della vostra Madre Maria. Ditele anche per me queste parole: Donna, ecco il tuo Figlio.
Fatemi grazia di poter appartenere a Lei come figliuolo, e di averla per Madre in tutto il tempo della mia vita mortale su questa terra. Beatissima Vergine Maria, mia principale Avvocata e Mediatrice, io NN, peccatore miserabile, il più indegno e l’infimo de’ vostri servi, umilmente prostrato dinanzi a Voi, affidato alla vostra bontà e misericordia, ed animato da un vivo desiderio di imitare le vostre belle virtù, vi eleggo quest’oggi per mia Madre, supplicandovi che mi riceviate nel numero fortunato de’ vostri cari figliuoli. Vi faccio una donazione intiera ed irrevocabile di tutto me stesso. Ricevete di grazia la mia protesta; gradite la confidenza, con cui mi abbandono nelle vostre braccia. Accordatemi la vostra materna protezione in tutto il corso della mia vita, e particolarmente nell’ora della morte, onde l’anima mia sciolta dai lacci del corpo, passi da questa valle di pianto a godere con Voi l’eterna gloria nel Regno de’ Cieli. Così sia![1] PREGHIERA A MARIA AUSILIATRICE O Maria Ausiliatrice, noi ci affidiamo nuovamente, totalmente, sinceramente a te! Tu che sei Vergine Potente, resta vicino a ciascuno di noi. Ripeti a Gesù, per noi, il “Non hanno più vino” che dicesti per gli sposi di Cana, perché Gesù possa rinnovare il miracolo della salvezza, Ripeti a Gesù: “Non hanno più vino!”, “Non hanno salute, non hanno serenità, non hanno speranza!”. Tra noi ci sono molti ammalati, alcuni anche gravi,
confortali, o Maria Ausiliatrice! Tra noi ci sono molti anziani soli e tristi, consolali, o Maria Ausiliatrice! Tra noi ci sono molti adulti sfiduciati e stanchi, sostienili, o Maria Ausiliatrice! Tu che ti sei fatta carico di ogni persona, aiuta ciascun di noi a farsi carico della vita del prossimo! Aiuta i nostri giovani, soprattutto quelli che riempiono le piazze e le vie, ma non riescono a riempire il cuore di senso. Aiuta le nostre famiglie, soprattutto quelle che faticano a vivere la fedeltà, l’unione, la concordia! Aiuta le persone consacrate perché siano un segno trasparente dell’amore di Dio. Aiuta i sacerdoti, perché possano comunicare a tutti la bellezza della misericordia di Dio. Aiuta gli educatori, gli insegnanti e gli animatori, perché siano aiuto autentico alla crescita. Aiuta i governanti perché sappiano cercare sempre e solo il bene della persona. O Maria Ausiliatrice, vieni nelle nostre case, Tu che hai fatto della casa di Giovanni la tua casa, secondo la parola di Gesù in croce. Proteggi la vita in tutte le sue forme, età e situazioni. Sostieni ciascuno di noi perché diventiamo apostoli entusiasti e credibili del Vangelo. E custodisci nella pace, nella serenità e nell’amore, ogni persona che alza verso di te il suo sguardo e a te si affida. Amen AFFIDAMENTO DELLA CASA A MARIA AUSILIATRICE Santissima Vergine Maria, da Dio costituita Ausiliatrice dei cristiani, noi ti eleggiamo Signora e Padrona di questa casa. Degnati, Ti supplichiamo, di mostrare in essa il Tuo potente
aiuto. Preservala dai terremoti, dai ladri, dai cattivi, dalle incursioni, dalla guerra, e da tutte le altre calamità che Tu sai. Benedici, proteggi, difendi, custodisci come cosa tua le persone che vivono e vivranno in essa: preservale da tutte le disgrazie e gli infortuni, ma soprattutto concedi loro l’importantissima grazia di evitare il peccato. Maria, Aiuto dei Cristiani, prega per quanti abitano in questa casa che a Te si è consacrata per sempre. Così sia! PREGHIERA DI AFFIDAMENTO A MARIA AUSILIATRICE Santissima ed Immacolata Vergine Maria, Madre nostra tenerissima e potente AIUTO DEI CRISTIANI, noi ci consacriamo interamente a te, perchè tu ci conduca al Signore. Ti consacriamo la mente con i suoi pensieri il cuore con i suoi affetti, il corpo con i suoi sentimenti e con tutte le sue forze, e promettiamo di voler sempre operare alla maggior gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Tu intanto, o Vergine incomparabile, che sei sempre stata la Madre della Chiesa e l’Ausiliatrice del popolo cristiano, continua a mostrarti tale specialmente in questi giorni. Illumina e fortifica i vescovi e i sacerdoti e tienili sempre uniti e obbedienti al Papa, maestro infallibile; accresci le vocazioni sacerdotali e religiose affinché, anche per mezzo loro, il regno di Gesù Cristo si conservi tra noi e si estenda fino agli ultimi confini della terra.
Ti preghiamo ancora, dolcissima Madre, di tenere sempre rivolti i tuoi sguardi amorevoli sopra i giovani esposti a tanti pericoli, e sopra i poveri peccatori e moribondi. Sii per tutti, o Maria, dolce Speranza, Madre di misericordia, Porta del cielo. Ma anche per noi ti supplichiamo, o gran Madre di Dio. Insegnaci a ricopiare in noi le tue virtù, in particolar modo l’angelica modestia, l’umiltà profonda e l’ardente carità. Fa’, o Maria Ausiliatrice, che noi siamo tutti raccolti sotto il tuo manto di Madre. Fa’ che nelle tentazioni ti invochiamo subito con fiducia: fa’ insomma che il pensiero di te sì buona, sì amabile, sì cara, il ricordo dell’amore che porti ai tuoi devoti, ci sia di tale conforto da renderci vittoriosi contro i nemici dell’anima nostra, in vita e in morte, affinché possiamo venire a farti corona nel bel Paradiso. Amen. PREGHIERA A MARIA AUSILIATRICE ISPIRATA ALLA PALA DI TORINO O Maria Ausiliatrice, Tu, immersa nel mare di luce della Trinità ed assisa sopra un trono di nubi, Tu, coronata di stelle come Regina del cielo e della terra, Tu, sostieni il Bambino, il Figlio di Dio, che con le braccia aperte offre le sue grazie a chi viene a te. Tu, circondata come da una corona umana da Pietro, da Paolo, dagli Apostoli e dagli Evangelisti, che ti proclamano loro Regina. Tu, unisci il cielo e la terra, Tu, Madre della Chiesa che sta già nella gloria celeste
e della Chiesa pellegrina nel mondo, rendici costruttori instancabili del Regno, riempici della passione del “Da mihi animas”, rendici segni dell’amore di Dio per i piccoli e i poveri, proteggici dal nemico e nell’ora della morte guidaci alla gloria eterna. Amen. Pascual Chavez V Congresso di Maria Ausiliatrice Città del Messico, agosto 2007 [1] Riportato in L’Immacolata Ausiliatrice, 128-129. Copyright © 2019 ADMA All rights reserved – ADMA – Via Maria Ausiliatrice 32 – Torino, TO 10152 – Italy
Da Costanza Miriano. “Le domande grandi dei bambini. 1° Convegno Nazionale” Guardavo questa locandina, pensando che vorrei tanto andare, e mi è caduto l’occhio sul contributo spese (20 euro), e ho pensato che una cosa così di euro ne vale milioni, anzi non ha prezzo, davvero. Trovare degli alleati nell’educazione dei nostri figli, uomini intelligenti che si mettano al servizio dell’educazione, è veramente l’emergenza numero uno della nostra civiltà. Non ce ne sono molti, in giro. Padre Maurizio Botta e don Andrea Lonardo sono due di loro: uomini che pregano e vogliono bene, che leggono e studiano e ragionano, e poi traducono il frutto del loro lavoro per creare un metodo di catechesi nuovo ma antico, cioè dire la verità ai ragazzi, prendendo sul serio, molto sul serio le loro domande. La giornata dell’8 giugno a Roma – il primo convegno nazionale Le domande grandi dei bambini – sarà un’occasione per approfondire il metodo, per arricchire i libri che essendo destinati ai bambini non potevano essere appesantiti troppo da indicazioni per i grandi, per incontrarsi e guardarsi negli occhi, che è sempre l’unica via di trasmissione della fede, per i tanti sacerdoti catechisti animatori genitori che già lo utilizzano nelle loro parrocchie e per tutti quelli che sono incuriositi e vorrebbero adottarlo. Spesso mi chiedono come si faccia a educare alla fede, e io rispondo, non con falsa umiltà ma semplicemente con senso della realtà (e anche un po’ di scoramento) che non lo so, davvero. So solo come non si fa. I bambini non vogliono essere trattati da bambini, cioè come se fossimo superiori a loro, solo perché abbiamo più rughe e più pancia. Vogliono essere presi sul serio. A volte si può anche dire non lo so, per esempio. A volte si può dire “non ho una risposta ma ti sono
vicina e ti voglio bene”, oppure “andiamo insieme a chiedere a qualcuno che lo sa”. A volte si può dire “fammici pensare, che a questa cosa non avevo mai riflettuto, anzi grazie perché me la chiedi”. I bambini poi, non vogliono le bugie. Credono solo alle cose su cui scommettiamo davvero la vita. Credono solo a quello in cui noi siamo seri, quello su cui noi per primi lavoriamo seriamente. I bambini non crescono in un sistema educativo preoccupato solo di includere accogliere accompagnare incoraggiare (lo sapevate che l’Unione Europea prevede che non si boccino più dello 0,5% degli studenti???), vogliono qualcuno che creda abbastanza in loro da permettere che facciano la loro fatica di crescere, vogliono qualcuno che dica “non mi accontento di questo per te, puoi fare di più, e quindi lo devi fare”. Grazie dunque a chi si prende la briga di aiutarci a generare alla vita di fede questi ragazzi, grazie a chi andrà al convegno e aiuterà a diffondere il bene che viene da una educazione fatta bene, cioè con amore e usando il meglio della nostra intelligenza. Fonte: https://costanzamiriano.com/2019/05/22/le-domande-grand i-dei-bambini-1-convegno-nazionale/#more-20675
Da Francesco Marchese Ragone del Giornale. Francesco e i migranti: “L’Italia non può accoglierli tutti da sola” «Quello dei migranti è un problema che riguarda l’Italia, risolvetelo!». Una risposta perentoria, che è suonata come una doccia fredda per molti dei vescovi italiani radunati in Vaticano per l’Assemblea Generale della Cei. Papa Francesco, lunedì pomeriggio, nel confronto a porte chiuse con i vescovi giunti da tutta Italia, aveva detto di esser disponibile a rispondere a tutte le domande, a tutto ciò che arrivava dal cuore di ogni singolo prelato presente. E così, uno dei vescovi che aveva seguito sin dall’inizio il discorso introduttivo del Santo Padre, ha voluto domandare al Pontefice come affrontare la questione dei migranti, sempre al centro del dibattito politico italiano. Francesco dopo aver ascoltato attentamente il suo interlocutore che parlava in assemblea, ha risposto con un secco: «Risolvete voi il problema!». Poi, come spiega uno dei presenti al Giornale, Francesco ha voluto chiarire meglio la sua posizione: «È un problema italiano, è vero-, ha detto,- ma deve essere un problema europeo, di tutta l’Europa e non di un singolo Paese come l’Italia che ha fatto tanto». A quel punto il Pontefice, sempre rispondendo al vescovo, ha portato come esempio la Svezia, chiarendo che un Paese ha il dovere di salvare vite umane in mare, ma non può accogliere fino allo stremo se non ha possibilità di integrare chi arriva. «Se l’Italia non può accogliere, non può integrare, non può dare i
giusti servizi a chi arriva perché è ormai saturo, deve chiedere anche agli altri Paesi europei di farlo», ha aggiunto Bergoglio, «se poi c’è il problema migranti, risolvetelo!». Una posizione che non coincide con quella, cucita addosso al Papa, dell’accoglienza incondizionata dei migranti che bussano alle nostre porte: se da un lato, infatti, è vero che Francesco critica la chiusura dei porti e chiede l’abbattimento dei muri, dall’altro è innegabile che negli ultimi anni, il Pontefice ha adeguato la sua posizione con il nuovo contesto europeo e parla sempre più di «prudenza» nell’accogliere chi arriva in cerca di un futuro. Proprio a fine marzo, Bergoglio, sul volo di ritorno dal Marocco, aveva affrontato la questione rispondendo alle domande dei giornalisti, ai quali aveva detto: «La Svezia ha ricevuto gli immigrati con una generosità impressionante. Imparavano subito l’idioma a carico dello Stato, trovavano lavoro, casa. Adesso la Svezia si sente un po’ in difficoltà nell’integrare, ma lo dice e chiede aiuto». Già nel novembre 2016 Francesco aveva lanciato un allarme in questo senso e aveva chiesto di riflettere bene prima di accogliere gli immigrati: di ritorno proprio dalla Svezia per una visita di due giorni all’insegna del dialogo ecumenico, il Papa rispondendo a chi gli chiedeva cosa pensasse dei Paesi che chiudono le frontiere aveva detto: «Non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma c’è anche la prudenza dei governanti, che devono essere molto aperti a riceverli ma anche a fare il calcolo di come poterli sistemare; non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore e alla lunga questo si paga, si paga politicamente, come si paga politicamente anche una imprudenza nei calcoli e ricevere più di quelli che si possono integrare».
Da Milena Gabanelli. “La nuova strage dell’eroina in Italia: decessi per overdose +9,7% in un anno” Video Gabanelli L’Italia sta ricominciando«a contare i morti». Dopo un calo costante durato più di 15 anni, dal 2017 sono tornati ad aumentare. Ma non se n’è accorta. Non vuole vedere. E nessuno tra politici, responsabili della salute pubblica, sindaci, assessori (tranne poche menti illuminate, o terrorizzate da una storia che già si conosce) si chiede perché la curva dei decessi ha piegato — di nuovo — verso l’alto. E qualcuno si chiede qual è (quali sono) le sostanze che uccidono? È l’eroina? Solo l’eroina? O i «fentanili», farmaci oppioidi sintetici (ultra potenti «parenti» dell’eroina creati in laboratorio) che negli Stati Uniti stanno provocando un’ecatombe, e che in Italia hanno già causato due decessi, uno a Milano, l’altro a Varese? Intanto sono 350 i decessi classificati come overdose negli anni 2015-2017. Ma alla voce «sostanza responsabile del decesso», ci si scontra con un: «Non identificata». Contemporaneamente le statistiche dicono che il numero dei morti torna a salire a causa di una sola sostanza: eroina. Solo segnali, per il momento, ma per leggerli, ed eventualmente contrastarli, bisognerebbe conoscere una storia iniziata 46 anni fa. Il primo morto Nel 1973 viene rapito a Roma Paul Getty III, nipote dell’uomo all’epoca più ricco del mondo; un’epidemia di colera si diffonde in estate a Bari, Palermo, Napoli, Cagliari; a settembre il segretario del Pci Enrico Berlinguer lancia la proposta del «compromesso storico»; e a dicembre, il giorno 17, un commando di terroristi palestinesi attacca un aereo della Pan Am a Fiumicino, una strage che provoca 34 morti. In
quell’anno passa del tutto inosservata la prima vittima di un’altra strage, che si sarebbe propagata per decenni: il primo decesso in Italia per overdose di eroina. Uno stupefacente che iniziava appena a comparire sullo scenario criminale e sociale, come raccontano gli archivi italiani dell’antidroga (un chilo d’eroina sequestrato nel 1971, 29 chili l’anno dopo). A partire da quell’anno, in Italia, di droga sono morte oltre 25 mila persone. L’anno peggiore fu il 1996: 1.562 decessi per overdose (275 dei quali in Lombardia, 220 nel Lazio). I numeri «parlano»: l’eroina si diffonde e crea per qualche anno un numero sempre più ampio di tossicodipendenti, all’inizio sono anni di latenza, di incubazione. Poi, si iniziano a contare i morti. Sempre di più. Nuovo anno nero: il 2017 Per 16 anni (dal 2000 al 2016) i decessi sono calati gradualmente (meno 48 per cento). Un trend positivo, ma che ha portato l’oblio sul tema droga. Nel 2017 però arriva, inaspettata, una inversione di tendenza: più 9,7 per cento in
un anno solo. A determinarla, un aumento della diffusione di eroina. Nel 2016, su 268 morti, 99 sono da eroina, pari al 37 per cento; l’anno dopo, l’ultimo su cui si hanno dati disponibili e certificati, su 294 vittime, 148 sono per eroina: un aumento del 50 per cento. Solo per dare un’idea, sempre nel 2017, 53 morti sono legate alla cocaina, 13 al metadone, 1 ai barbiturici e 2 all’Mdma. Guardando all’età , i livelli di mortalità più alti si riscontrano a partire dai 25 anni per raggiungere i picchi massimi nella fascia superiore ai 40 anni. La domanda decisiva allora diventa: sono i primi segnali di una nuova potenziale strage?Per capirlo bisogna incrociare i dati delle Relazioni al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, i rapporti della Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga) e lo studio del Cnr sull’uso di alcol e sostanze psicoattive in Italia. Le morti «misteriose» Ai 148 morti acclarati per eroina nel 2017, si aggiungono 74 morti da sostanza non determinata: sostanzialmente decessi «misteriosi», non attribuibili con certezza a sostanze note (erano 118 nel 2016). Una delle ipotesi è che siano però anche quelli legati all’eroina, probabilmente tagliata con altre sostanze. Sui tagli e le «sperimentazioni» criminali si hanno poche certezze, anche perché una delle principali carenze del sistema italiano è una totale mancanza di analisi preventiva
sulle sostanze al fine di adeguare le risposte sociali e sanitarie. Il mercato della droga, come quello legale, deve fidelizzare i clienti, conquistarne di nuovi, allargare i profitti: dunque cerca il punto di compromesso tra qualità della sostanza, prezzo, impiego di altre sostanze. Questo punto di intersezione sta sempre più in basso, e si è visto a Milano, al «boschetto» di Rogoredo, la piazza di spaccio più grande del nord Italia dove le forze dell’ordine stanno facendo un importante lavoro di prevenzione. Qui i prezzi erano scesi fino a 5 euro a dose e anche più sotto, con una «qualità» ancora accettabile visto che viene utilizzata anche da persone con una lunga storia di tossicodipendenza. Nelle altre città i prezzi sono più alti. Una nuova emergenza sono poi gli psicofarmaci spacciati per strada, anche quelli low cost e facilmente reperibili dai ragazzi (sostanze «legali»): Rivotril, Suboxone, Contramal, il primo a base di benzodiazepina, utilizzati per combattere l’ansia o l’epilessia. Se associati all’alcol e presi in dosi massicce o mixati con altre sostanze hanno effetti simili all’eroina. La criminalità nigeriana, per scalzare le gang nordafricane, a Mestre ha fatto una strage (oltre 20 morti) con l’eroina tagliata con il metorfano, una sostanza che ne moltiplicava gli effetti. La morte di ragazzi e ragazze adolescenti con una siringa nel braccio nei bagni delle stazioni ferroviarie replicano immagini di trent’anni fa.
I nuovi consumatori Secondo l’ultima Relazione al parlamento, nel 2017 i consumatori di eroina sono 285 mila, per un giro di affari da 2,3 miliardi. Le stime per il 2018, ancora non disponibili, vanno nella stessa direzione: l’uso sta aumentando. Quanto alla popolazione studentesca, secondo l’Espad elaborato dal
Cnr, l’1,1 per cento ammette di aver fatto uso di eroina almeno una volta nella vita (circa 28.000 studenti); lo 0,8 per cento l’ha assunta almeno una volta nel 2017 (oltre 20.000) e lo 0,6 per cento nel mese precedente la compilazione del questionario (15.500). Il 64 per cento degli studenti che hanno fatto uso di eroina almeno una volta nella vita riferisce di averla fumata con le «stagnole» (alluminio da cucina), il 28,5 per cento con la siringa in vena. Tra gli studenti che hanno riferito di aver usato eroina durante l’ultimo anno, il 79 per cento ha utilizzato anche altre sostanze stupefacenti, il 91 per cento cannabis, l’81 per cento cocaina, il 72 per cento sostanze stimolanti, il 66 per cento allucinogeni. Il rischio «americano» Il quadro in Italia oggi è questo: aumento del consumo di eroina, creazione di una nuova fascia di consumatori giovani, mercato criminale che sperimenta nuove strategie come l’abbassamento dei prezzi o la miscela di sostanze. Il risultato è l’impennata dei decessi per overdose da eroina.
Questo scenario va necessariamente analizzato con un occhio a quel che sta accadendo negli Stati Uniti, dove la più grave epidemia di droga nella storia umana sta provocando circa 70 mila decessi l’anno (leggi l’inchiesta di Dataroom del 16 aprile 2018). In una città come Philadelphia ad esempio, come dimensioni poco più grande di Milano, nel 2017 ci sono state oltre 1.200 overdose mortali e più di 8 mila non mortali (su la Lettura #390 in edicola il reportage di Gianni Santucci da Philadelphia). Accade perché le gang criminali hanno inondato le strade di Fentanyl, o eroina mescolata al Fentanyl. Si tratta di un oppioide sintetico utilizzato come fortissimo antidolorofico, ma cento volte più potente della morfina, e che permette ai venditori di moltiplicare i guadagni (un chilo di Fentanyl prodotto clandestinamente nei laboratori cinesi costa 5 mila dollari al chilo e può essere tagliato molto più dell’eroina naturale).
Allo stesso tempo, crea una dipendenza più feroce e immediata. E aumenta a dismisura il rischio di overdose. Per ora in
Italia si registrano pochi casi, ma tutto lascia presagire l’apertura di un mercato. A ottobre 2018, provincia di Cosenza, 6 arresti per traffico di cerotti al Fentanyl; gennaio 2019, Melzo (Milano), furto di 4 fiale di Fentanyl in ospedale; febbraio 2019, 20 grammi di Fentanyl sequestrati a Roma: spedizione diretta in Umbria; febbraio 2019, 2 grammi di Fentanyl sequestrati a Milano, spediti dal Canada, diretti a Cinisello Balsamo (una analoga spedizione diretta in Piemonte è stata intercettata); aprile 2019, 23 grammi di sequestrati a uno spacciatore marocchino in un appartamento di Salò (Brescia). Bene, tutto questo non è percepito come allarme sociale, non entra nel dibattito pubblico e tanto meno in quello politico. 21 maggio 2019 | 23:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA
NUOVA RUBRICA. GIACOMETO. Piccola teologia veneta. “Giacometo viene presentato” Don Angelo (inventore di Giacometo) nei momenti di vita quotidiana, in famiglia con il fratello Albino (testimonianza di Giorgio Bertolin) Il rapporto tra lo zio don Angelo e suo fratello Albino, mio padre, era caratterizzato da una composta cordialità . Condivisero solo la prima fanciullezza, poi le loro vite presero strade molto diverse: lo zio all’età di dieci anni iniziò il suo percorso di studi in Seminario, mio padre, due anni più giovane, continuò per tutta la vita nel duro lavoro di piccolo agricoltore. I contatti tra i due fratelli non erano molti, recarsi a Tencarola, da quando don Angelo si insediò come Parroco, era difficile: si doveva andare, da Caltana, in bicicletta fino a Ponte di Brenta, per poi proseguire con l’autobus. Comunque le visite “dovevano essere brevi”: don Angelo aveva il timore che i parrocchiani potessero alludere ad impropri mantenimenti o a privilegi nei riguardi della sua parentela. Mio Padre mi raccontava che un giorno lui e il padre Valentino, costretti a trattenersi più del solito, presso la canonica, per un lavoretto nel piccolo vigneto, allora situato dove oggi sorge il campanile, furono fatti uscire dal retro, in fretta e con la consegna del silenzio. Con l’arrivo del Cappellano Don Luigi dalla Longa, lo zio iniziò a concedersi qualche settimana di vacanza, soprattutto
nei mesi estivi, a Caltana city, nelle sponde del fiume Cognaro (cosı̀amava definire il domicilio del fratello). Nel loro discutere si notava un comune senso dell’umorismo, utilizzando l’ironia, anche se con atteggiamenti diversi; mio padre costruiva il discorso cercando soprattutto la reazione divertita dell’interlocutore, suo fratello si immedesimava, viveva la discussione, la modellava quasi a volersi divertire per primo: era la chiave della sua facilità di entrare in empatia, soprattutto con i piccoli. Nelle loro discussioni c’era il ricordo delle frequentazioni della Parrocchia di Caltana, le loro dinamiche relazioni, come chierichetti, con il mite e pio don Antonio Gallerani e l’estroso e vulcanico cappellano don Marco. Parlavano dei Genitori e in particolar modo della Madre per quel suo carattere fiero e combattivo; si divertivano a rievocare l’episodio che la vide, con atteggiamento severo e tono a dir poco deciso, controbattere la Maestra che non accettava la giustificazione per un’assenza scolastica del figlio Albino: «me par de ve ̀darla, …come Caifa che se strassa e vesti nel Sinedrio», sghignazzava lo Zio. Del padre Valentino evidenziavano l’intransigenza nei comportamenti e la severità nelle punizioni: «Contame Albino, de que ̀a volta del funerà e del nonno Bepi». «Go da vere ancora el crepo – rispondeva mio Padre toccandosi la testa e, alzando gli occhi per cercare attenzione dei presenti – so drio petenà rme davanti al specio per andare al funerà e…, no rivba me pare!… el me fulmina coi oci, …el fa on salto dandome on tangaròn cosı̀ forte che con a testa domenti rompo el specio, …e sgrignando i denti: tirate sò chee pane ̀e!!…, credito de ‘ndà re a baeàre!». Un antenato spesso rievocato era il loro bisnonno Giacomo, sempre nominato “Bapo dea caneta”, con le sue gesta e quel suo millantare origini nobiliari cercando di sottolineare attraverso quel suo particolare abbigliamento: calzoni alla zuava, mantellina e cappello a cilindro (la caneta). Era
spesso menzionato, perché li divertiva in modo particolare, quel suo vezzo di mettersi all’entrata della Chiesa, in prossimità dell’acquasantiera, bagnarsi abbondantemente le dita con l’acqua benedetta per portarla alle giovani che entravano, toccando loro le mani in segno, a suo dire di galanteria. Sempre di «Bapo» ricordavano anche il suo vantarsi nell’interloquire con i vari signorotti della zona e quel suo particolare richiamo, quando le finanze famigliari scarseggiavano, scandito nel suo più aristocratico dialetto veneziano: «El conte P… el me gà dito: Bapo!, …se te vol far sche ̀i, te pol magnare anca senza sal!». In libertà , lo Zio parlava anche dei suoi scritti, dei suoi viaggi, della nuova Chiesa di Tencarola, delle attività parrocchiali e anche di Pastorale Liturgica. Era orgoglioso che i suoi scritti avessero tanto seguito e che fossero letti perfino dal Beato Papa Giovanni XXIII, il quale dedicava spesso parole di stima e ammirazioni: «… Che forsa! …adesso xe ́ parfin bè o essere pı̀ c oi e tondetti». Del processo di canonizzazione di Papa Giovanni, iniziato subito dopo la morte, diceva: «Paolo VI gà messo insieme anca Pio XII par frenare un pocheto, se no el me deventava santo anca prima de Sant’Antonio». Relativamente al racconto “El brivido dela Castagnara granda” gli si chiedeva anticipazioni sulla trama e, ovviamente, come e quando decideva di terminarlo: «No gò intensiò n de moeà rlo, …el funsiona, …basta zontare situassiò n e personaggi e teo slonghi fin che te voi», diceva visibilmente soddisfatto. Non l’abbiamo mai sentito esprimere critiche verso i Superiori o verso i Colleghi Sacerdoti. Sapeva di essere stimato e questo lo inorgogliva; non resisteva però , con la parlata, nel giocare, nell’infierire, nel creare caricature con riferimento all’aspetto fisico o alle abitudini di qualcuno. Sul “Parco di Caltana city”: «Don Gioani el tabaca come on
turco, el tira col naso cofà na turbina… Quando el porta i tosi a dotrina, vestio col tabaro, col fis-cio in boca e à bache ̀ta in man, el me pare un mandrian». Riferendosi a Mons. Canella: «Semo in albergo, …el se cava ea camisa…, – per carità !…, fame un piassere, se te ve in spiaia, metate na canotiera, se no te me spaenti e done incinte!». Con il Cappellano Don Luigi dalla Longa aveva un buon rapporto, lamentava certe assenze e ritardi, ma apprezzava, anzi invidiava quella sua giovanile intraprendenza: «Non te o cati mai, ma quando el riva el fa par sinque». Ad una visita ai genitori di Don Luigi, a Valdobbiadene, ricordava la preoccupazione del padre: «Me raccomando don Angelo…, el me tenda sto toso, …el porta passiensa». Contrariamente a quanto spesso riportato, aveva grande considerazione del genere femminile. Vedeva la donna come educatrice, mite, pronta a smussare le tensioni famigliari, custode dei valori cristiani; non doveva esporsi alle suggestioni del modernismo che puntava a sminuire quei valori di umiltà , pazienza, fedeltà e perseveranza esaltati, invece, dalla vita di Maria di Nazareth. Questo non voleva dire chiudersi in casa e subire passivamente gli eventi, anzi. Ricordo molto bene una sua considerazione: «Spesso ricevo in Archivio, donne che e se lamenta per problemi famigliari dovù i aea fadiga dei lavori de casa, a dover vivere in fameie tanto numerose, a sopportare insensibilità o insofferenza del marı̀ o, ecc. …Vedo tanta rassegnassion e anca sofferenza; …a volte me toca fare el psicologo: Non tasare sempre! Fatte sentire! …varda che de meio de tı̀ non ghe ne se tante, …cambia petenatura, va qualche volta daea paruchiera, trucate un pocheto e te vedare ̀ che to marı̀ o , se non xè semo, el se sveia». Dei suoi viaggi in diversi Paesi, non solo europei, sempre con l’inseparabile Mons. Canella («Mi e don Chèco semo come marı̀ o e moı̀ ere»). Gli piaceva raccontare la cultura, le abitudini,
l’organizzazione sociale e soprattutto la cucina: «I me gà servı̀o na beissima insaeata, con tante verdure, ma sò ra i ga butà na scassoeà de na paste ̀ca del posto, …Coi sforsi a ghemo mandàxò». In un’altra situazione: «Voevimo provare ‘na speciaità del posto, …i me ga portà ‘na specie de fritura, con dee fete che parea bacaeà; …ghemo magnà, …tuto bon e coto ben. Incuriosii ghe domandemo cossa chèl gera: …carne de serpente!». Vedendo la nostra espressione schifata, per niente mitigata dal solito sorrisetto di circostanza, lo zio, con aria divertita, rivolgendosi verso di me: «Vedi toso, …se te capita de voe ̀r provare piatti che non te conossi, …magna e tasi!, …fa domande, dopo e se i te xè piasù i». Mio Padre spostava spesso la discussione su tematiche religiose, sulla trasformazione della società , sui cambiamenti nella Chiesa Cattolica e sul Concilio Vaticano II. Lo zio argomentava su tutto, con grande pacatezza e serenità , non sembrava il «Giacometo» battagliero dei suoi scritti: «Quando te scrivi – diceva –se te voi che resta el segno, te devi sgraffare!». Sullo svolgimento del Concilio Vaticano II ci informava sullo stato dei lavori, sulle questioni in discussione, sulla difficoltà di conciliare le varie posizioni dei Padri Conciliari: «Se da ‘na parte i spense per forti cambiamenti e l’altra parte che tenta de resistere, ma che a dovarà moeà re, …non se sa quanto, perché cheà ltri i xé forti… El poro Paolo VI gavarà da triboeà re par smussare e concludere». Non l’ho mai sentito patteggiare per l’una o l’altra parte, per Lui l’importante era il fine ultimo a cui doveva tendere ogni cristiano: «Noialtri se affanemo a girare e rigirare el timon, su come e quando alsare e sbassare e ve ̀e, ma so na nave, chi che comanda, deve scansare i pericoi e vardare a bù ssoea». Sui comportamenti alle volte era molto intransigente, i Comandamenti, i Sacramenti ed i Precetti della Chiesa andavano rispettati perche ́, per Lui, erano il collante che teneva unito
il popolo di Dio e la corazza che lo difendeva dalle lusinghe di quel modernismo impregnato di troppo permissivismo che stava portando alla secolarizzazione della società . Sapeva però vedere e valutare le situazioni; ricordo che in una discussione, avevo diciassette anni, forse per rafforzare certe mie giovanili convinzioni, mi lasciai scappare un licenzioso aggettivo abbinato ad una generica Marisa, Lui mi guardò , spense il suo solito sorriso, aspettò qualche secondo per raffreddare il clima e perentoriamente disse: «Varda che no te dona par gnente!». Rimasi sorpreso e ferito, non me l’aspettavo da Lui che mi aveva sempre manifestato simpatia e stima, mi volle del tempo per stemperare la delusione e anche una certa irritazione. In un’altra occasione si rivolse a mio Padre: «Ciò Albino, …varda che el parco de Caltana el sa che te lavori anca de Domenega!». Mio Padre, senza cercare giustificazioni rispose: «Si don Angeo, ma te se ́ anca ti che i campi non speta». Riprese Don Angelo: «Voialtri che lavore ̀ a tera con e man, par mi, si sempre dispensai», fu la risposta immediata e senza distinguo. Arrivò poi la fine della collaborazione con «La Difesa del Popolo». In molti si chiesero del perche ́, considerando che gli scritti/racconti di «Giacometo» erano ancora molto seguiti e contribuivano non poco alla diffusione del giornale. «I me gà fatto fò ra, …mandà in esilio», confidava al fratello Albino. Era amareggiato, si sentiva privato di quel “tocio per scrivere” che gli permetteva di esprimersi in libertà e far arrivare quel suo messaggio di attaccamento ai valori cristiani, condito di personaggi e situazioni presi dalla memoria e dalla sua fervida fantasia, ad una platea molto vasta. Era l’epilogo di quel processo di limitazione/punizione deciso ed annunciato dal Vescovo per aver contrastato certe decisioni della Curia, riguardanti il frazionamento dei finanziamenti e del territorio della Parrocchia di Tencarola. La sua amarezza non si tramutòmai in sconforto, sapeva che il
suo operato gli avevano procurato stima e considerazione da parte dei Colleghi Sacerdoti e dei suoi Parrocchiani, e questo lo gratificava. Quando fu eletto Vicario Foraneo di Selvazzano Dentro con orgoglio diceva: «Quando ghe xe ̀ stà la votassion, ghe gò dito a cheà ltri Parroci: ve mostro a me scheda bianca, …par mi si tutti degni de essere Vicario. …Go da verli incantai, …i ga votàtutti par mi». Dell’ultimo periodo ricordo l’apprensione di mio padre per la salute del fratello che lo faceva ripetere spesso: «L’ultima volta… non lo gò visto tanto ben!», cercando subito il conforto della nostra solita rassicurante smentita. La temuta notizia arrivò , da noi a Caltana, di notte, con la gelida ed esplicita esclamazione di Don Luigi: «Albino!… Don Angelo xe ̀ morto!», detta ancor prima che mio Padre aprisse la porta di casa. Un semplice e dimesso «Oh Signore!…», fu la risposta. Accompagnai subito mio Padre a Tencarola, trovammo la salma di Don Angelo sistemata nella camera ardente ricavata nella sala da pranzo attigua alla cucina, mio Padre sostò in silenzio, con compostezza, più preoccupato sul come atteggiarsi nei confronti delle molte persone che si succedevano che dal gestire l’emozione: scoppiò in un pianto liberatorio solo al momento della chiusura del loculo, in cimitero. Negli anni che seguirono, ogni volta che lo accompagnavo in visita al cimitero di Tencarola si inorgogliva, vedendo la tomba sempre colma di fiori, la molta gente che la visitava e vi sostava in preghiera, ed esternava un imbarazzo: «…grassie, …grassie, …grassie…» quando, riconosciuto, veniva avvicinato per un saluto. A conclusione sento il dovere di ringraziare Adriano Vicarioto per il suo imponente lavoro di ricerca, analisi, riflessioni s u l l a f i g u r a , l ’ o p e r a , l a s p i r i t u a l i t à e a v v e n t u r a
giornalistica di Don Angelo «Giacometo», perché fa scoprire, anche a me nonostante i contatti diretti e le testimonianze famigliari, il Sacerdote a tratti sconosciuto. Tralasciando considerazioni sul valore letterario, teologico, che non mi competono, e piaggerie fuori luogo, dico solo che l’opera è pervasa di partecipazione, dedizione e passione che vanno oltre la rigorosa ricerca e analisi storica: lo Zio Don Angelo, da lassù , con gli occhi lucidi, si meraviglierà per avere tanto ispirato e trasmesso il Vangelo, il fratello Albino sicuramente balbetterà il suo “grassie, …grassie, …grassie!” per tanta commovente testimonianza. Caltana, marzo 2014. (Giorgio Bertolin) Da Giuseppe Aloisi. “Ora i vescovi africani invitano i migranti a restare in Africa” Un documento ufficiale dei vescovi africani consiglia a coloro che vorrebbero migrare di restare nelle loro nazioni di provenienza. I presuli di quelle nazioni, quelle abbandonate da tanti giovani che cercano fortuna e futuro in Europa, nutrono preoccupazioni lampanti per quello che sta accadendo. L’ennesima conferma è arrivata in queste ore, con le numerose firme poste sotto a un documento ufficiale, stilato al termine di un’assemblea plenaria, che sollecita le persone che
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