I testi della 'via crucis' della pasqua 2018 al Colosseo
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VENERDÌ SANTO PASSIONE DEL SIGNORE VIA CRUCIS PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE FRANCESCO COLOSSEO ROMA, 30 MARZO 2018 INTRODUZIONE I testi delle meditazioni sulle quattordici stazioni del rito della Via Crucis di quest’anno sono stati scritti da quindici giovani, di un’età compresa tra i 16 e i 27 anni. Due, quindi, sono le principali novità: la prima non ha riscontri nelle edizioni del passato e riguarda l’età degli autori, giovani e adolescenti (nove di essi sono studenti del liceo di Roma Pilo Albertelli); la seconda consiste nella dimensione “corale” di questo lavoro, sinfonia di tante voci con tonalità e timbri diversi. Non esistono “i giovani”, ma Valerio, Maria, Margherita, Francesco, Chiara, Greta… Con l’entusiasmo tipico della loro età hanno accettato la sfida che è stata proposta dal Papa all’interno di questo anno 2018, dedicato in generale alle giovani generazioni. Lo hanno fatto con un preciso metodo operativo. Si sono riuniti intorno a un tavolo e hanno letto i testi della Passione di Cristo secondo i quattro Vangeli. Si sono messi, pertanto, davanti alla scena della Via Crucis e l’hanno “vista”. Dopo la lettura, rispettando il tempo necessario, ognuno dei ragazzi si è espresso dicendo quale particolare della scena lo avesse colpito. E così è stato più semplice e naturale assegnare le singole stazioni. Tre parole chiave, tre verbi, segnano lo sviluppo di questi testi: innanzitutto, come si è già accennato, vedere, poi incontrare, infine pregare. Quando si è giovani si vuole vedere, vedere il mondo, vedere tutto. La scena del Venerdì Santo è potente, anche nella sua atrocità: vederla può spingere alla repulsione oppure alla misericordia e, quindi, ad andare incontro. Proprio come fa Gesù nel Vangelo, tutti i giorni, anche questo giorno, l’ultimo. Egli incontra Pilato, Erode, i sacerdoti, le guardie, sua madre, il Cireneo, le donne di Gerusalemme, i due ladroni suoi ultimi compagni di strada. Quando si è giovani ogni giorno si ha l’occasione di incontrare qualcuno, e ogni incontro è nuovo, sorprendente. Si invecchia quando non si vuole più vedere nessuno, quando la paura che rinchiude vince sull’apertura fiduciosa: paura di cambiare, perché incontrare vuol dire cambiare, essere pronti a rimettersi in cammino con occhi nuovi. Vedere e incontrare spinge, infine, a pregare perché la vista e l’incontro generano la misericordia, anche in un mondo che sembra sprovvisto di pietà e in un giorno come questo, abbandonato all’ira insensata, alla viltà e alla pigrizia distratta degli uomini. Ma se seguiamo Gesù con il cuore, anche attraverso il misterioso cammino della Croce. Allora possono rinascere il coraggio e la fiducia e, dopo aver visto ed essersi aperti all’incontro, sperimenteremo la grazia del pregare, non più da soli, ma insieme. MEDITAZIONI E PREGHIERE redatte da I Valerio De Felice II Maria Tagliaferri e Margherita Di Marco III Caterina Benincasa IV Agnese Brunetti V Chiara Mancini VI Cecilia Nardini VII Francesco Porceddu VIII Sofia Russo IX Chiara Bartolucci X Greta Giglio XI Greta Sandri XII Dante Monda XIII Flavia De Angelis XIV Marta Croppo coordinati dal professore Andrea Monda VIA CRUCIS I stazione Gesù è condannato a morte Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 22-25) Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere. Ti vedo, Gesù, di fronte al Governatore, che per tre volte tenta di contrastare la volontà del popolo e infine sceglie di non scegliere, di fronte alla folla, che per tre volte viene interrogata e sempre decide contro di te. La folla, cioè tutti, cioè nessuno. Nascosto nella massa l’uomo smarrisce la propria personalità, è la voce di altre mille voci. Prima di rinnegare te, rinnega se stesso, disperdendo la propria responsabilità in quella fluttuante della moltitudine senza volto. Eppure è responsabile. Sviato dai sobillatori, dal Male che si propaga con voce subdola e assordante, è l’uomo a condannarti. Oggi noi inorridiamo di fronte a una tale ingiustizia, e vorremmo prenderne distanza. Ma così facendo dimentichiamo tutte le volte in cui noi per primi abbiamo scelto di salvare Barabba anziché te. Quando il nostro orecchio è stato sordo alla chiamata del Bene, quando abbiamo preferito non vedere l’ingiustizia davanti a noi. In quella piazza gremita, sarebbe stato sufficiente che un solo cuore dubitasse, che una sola voce si alzasse contro le mille voci del Male. Ogni volta che la vita ci porrà davanti a una scelta, ricordiamoci di quella piazza e di quell’errore. Concediamo ai nostri cuori di dubitare e imponiamo alla nostra voce di levarsi. Ti prego, Signore, veglia sulle nostre scelte, rischiarale della tua Luce, coltiva in noi la capacità di interrogarci: solo il Male non dubita mai. Gli alberi che affondano radici nel terreno, se innaffiati dal Male, avvizziscono, ma tu hai posto le nostre radici in Cielo e le fronde sulla terra per riconoscerti e seguirti. Pater noster… II stazione Gesù è caricato della croce Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8, 34-35) Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, [Gesù] disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Ti vedo, Gesù, coronato di spine, mentre accogli la tua croce. La accogli, come sempre hai accolto tutto e tutti. Ti caricano del legno, pesante, ruvido, ma tu non ti ribelli, non butti via quello strumento di tortura ingiusto e ignobile. Lo prendi su di te e cominci a camminare portandolo sulle spalle. Quante volte mi sono ribellata e arrabbiata contro gli incarichi che ho ricevuto, che ho avvertito come pesanti o ingiusti. Tu non fai così. Sei solo di qualche anno più grande di me, oggi si direbbe che sei ancora giovane, ma sei docile, e prendi sul serio quello che la vita ti offre, ogni occasione che ti si presenta, come se volessi andare fino in fondo alle cose e scoprire che c’è sempre qualcosa di più di quello che appare, un significato nascosto e sorprendente. Grazie a te comprendo che questa è croce di salvezza e di liberazione, croce di sostegno nell’inciampo, giogo leggero, fardello che non grava. Dallo scandalo della morte del Figlio di Dio, morte da peccatore, morte da malfattore, nasce la grazia di riscoprire nel dolore la resurrezione, nella sofferenza la tua gloria, nell’angoscia la tua salvezza. La stessa croce, simbolo per l’uomo di umiliazione e dolore, si rivela ora, per grazia del tuo sacrificio, come una promessa: da ogni morte risorgerà la vita e in ogni buio risplenderà la luce. E possiamo esclamare: “Ave o croce, unica speranza!”. Ti prego, Signore, fa’ che alla luce della Croce, simbolo della nostra fede, possiamo accettare le nostre sofferenze e, illuminati dal tuo amore, abbracciare le nostre croci, rese gloriose dalla tua morte e risurrezione. Donaci la grazia di guardare alle nostre storie e di riscoprire in esse il tuo amore per noi. Pater noster… III stazione Gesù cade per la prima volta Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 4) Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Ti vedo, Gesù, sofferente mentre percorri la via verso il Calvario, carico del nostro peccato. E ti vedo cadere, con le mani e le ginocchia a terra, dolorante. Con quanta umiltà sei caduto! Quanta umiliazione provi ora! La tua natura di vero uomo si vede chiaramente in questo frammento della tua vita. La croce che porti è pesante; avresti bisogno di aiuto, ma quando cadi a terra nessuno ti soccorre, anzi, gli uomini si prendono gioco di te, ridono di fronte all’immagine di un Dio che cade. Forse sono delusi, forse si sono fatti un’idea sbagliata di te. A volte pensiamo che avere fede in te significhi non cadere mai nella vita. Insieme a te cado anch’io, e con me le mie idee, quelle che avevo su di te: quanto erano fragili! Ti vedo, Gesù, che stringi i denti e, completamente abbandonato all’amore del Padre, ti rialzi e riprendi il tuo cammino. Con questi primi passi verso la croce, così titubanti, Gesù, mi ricordi un bambino che muove i primi passi verso la vita e perde l’equilibrio e cade e piange, ma poi continua. Si affida alle mani dei genitori e non si ferma; ha paura ma va avanti, perché alla paura sopravviene la fiducia. Con il tuo coraggio ci insegni che i fallimenti e le cadute non devono mai arrestare il nostro cammino e che abbiamo sempre una scelta: arrenderci o rialzarci con te. Ti prego, Signore, risveglia in noi giovani il coraggio di rialzarci dopo ogni caduta proprio come hai fatto tu sulla via del Calvario. Ti prego, fa’ che sappiamo sempre apprezzare il dono grandissimo e prezioso della vita e che i fallimenti e le cadute non siano mai un motivo per buttarla via, consapevoli che se ci fidiamo di te, possiamo rialzarci e trovare la forza di andare avanti, sempre. Pater noster… IV stazione Gesù incontra sua madre Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 34-35) Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». Ti vedo, Gesù, quando incontri tua madre. Maria è lì, cammina per la strada affollata, ci sono molte persone accanto a lei. L’unica cosa che la distingue dagli altri è il fatto che lei è lì per accompagnare suo figlio. Una situazione che si verifica quotidianamente: le mamme accompagnano i figli a scuola, o dal medico, o li portano con sé al lavoro. Maria però si distingue dalle altre mamme: lei sta accompagnando suo figlio a morire. Vedere il proprio figlio morire è la sorte peggiore che si possa augurare ad una persona, la più innaturale; ancora più atroce se il figlio, innocente, sta morendo per mano della giustizia. Che scena innaturale e ingiusta davanti ai miei occhi! Mia madre mi ha educato al senso della giustizia e ad avere fiducia nella vita, ma quello che oggi i miei occhi vedono non ha nulla di questo, è privo di senso, ed è pieno di dolore. Ti vedo, Maria, mentre guardi il tuo povero ragazzo: ha i segni della flagellazione sulla schiena ed è costretto a sopportare il peso della croce, probabilmente presto cadrà sotto di essa per la fatica. Eppure sapevi che, prima o poi, sarebbe successo, ti era stato profetizzato, ma ora che è accaduto è tutto diverso; ed è sempre così, siamo sempre impreparati di fronte alla vita, alla sua crudezza. Maria, ora sei triste, come lo sarebbe qualunque donna al tuo posto, ma non sei disperata. I tuoi occhi non sono spenti, non guardano nel vuoto, tu non cammini a testa bassa. Sei splendente anche nella tua tristezza, perché hai speranza, sai che quello di tuo figlio non sarà un viaggio di sola andata e sai, lo senti, come solo le mamme lo sentono, che lo rivedrai presto. Ti prego, Signore: aiutaci a tenere sempre presente l’esempio di Maria, che ha accettato la morte di suo figlio come mistero grande di salvezza. Aiutaci ad agire con lo sguardo orientato al bene degli altri e a morire nella speranza della risurrezione e con la consapevolezza di non essere mai soli, né abbandonati da Dio, né da Maria, madre buona che ha sempre a cuore i suoi figli. Pater noster… V stazione Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 26) Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Ti vedo, Gesù, schiacciato sotto il peso della croce. Vedo che non ce la fai da solo; proprio nel momento dello sforzo maggiore, sei rimasto solo, non ci sono quelli che si dicevano tuoi amici: Giuda ti ha tradito, Pietro ti ha rinnegato, gli altri abbandonato. Ma ecco un incontro improvviso, un tale, un uomo qualunque, che forse di te aveva sentito parlare eppure non ti aveva seguito, e invece ora è qui, al tuo fianco, spalla a spalla, a condividere il tuo giogo. Si chiama Simone ed è uno straniero che viene da lontano, da Cirene. Per lui oggi un imprevisto, che si rivela un incontro. Sono infiniti gli incontri e gli scontri che viviamo ogni giorno, soprattutto noi ragazzi che entriamo continuamente in contatto con realtà nuove, nuove persone. Ed è nell’incontro inaspettato, nell’incidente, nella sorpresa spiazzante che è nascosta l’opportunità di amare, di riconoscere il meglio nel prossimo, anche quando ci sembra diverso. Talvolta ci sentiamo come te, Gesù, abbandonati da quanti credevamo nostri amici, sotto un peso che ci schiaccia. Ma non dobbiamo dimenticare che c’è un Simone di Cirene pronto a prendere la nostra croce. Non dobbiamo dimenticare che non siamo soli, e da questa consapevolezza possiamo trarre la forza per farci carico della croce di chi abbiamo accanto. Ti vedo, Gesù: ora sembra che provi un po’ di sollievo, riesci per un attimo a respirare, ora che non sei più solo. E vedo Simone: chissà se ha sperimentato che il tuo giogo è leggero, chissà se si rende conto di cosa significa quell’imprevisto nella sua vita. Signore, ti prego affinché ognuno di noi possa trovare il coraggio di essere come il Cireneo, che prende la croce e segue i tuoi passi. Ognuno di noi sia così umile e forte da caricarsi della croce di chi incontriamo. Fa’ che, quando ci sentiamo soli, possiamo riconoscere sulla nostra strada un Simone di Cirene che si ferma e si carica del nostro fardello. Donaci di saper cercare il meglio in ogni persona, di essere aperti ad ogni incontro anche nella diversità. Ti prego perché ognuno di noi possa scoprirsi inaspettatamente al tuo fianco. Pater noster… VI stazione Veronica asciuga il volto di Gesù Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 2-3) Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Ti vedo, Gesù, misero, quasi irriconoscibile, trattato come l’ultimo degli uomini. Cammini a stento verso la tua morte con il volto sanguinante e sfigurato, anche se come sempre mite ed umile, rivolto verso l’alto. Una donna si fa spazio tra la folla per scorgere da vicino quel tuo volto che, forse, tante volte aveva parlato alla sua anima e che lei aveva amato. Lo vede sofferente e lo vuole aiutare. Non la fanno passare, sono tanti, troppi, e armati. Ma a lei tutto questo non importa, è determinata a raggiungerti e riesce per un attimo a toccarti, accarezzarti con il suo velo. La sua è la forza della tenerezza. I vostri occhi si incrociano per un attimo, il volto nel volto dell’altro. Quella donna, Veronica, di cui non sappiamo nulla, non ne conosciamo la storia, si guadagna il Paradiso con un semplice gesto di carità. Ti si avvicina, osserva il tuo volto straziato e lo ama ancor più di prima. Veronica non si ferma all’apparenza, oggi tanto importante nella nostra società delle immagini, ma ama incondizionatamente un volto brutto, non curato, non truccato e imperfetto. Quel volto, il tuo volto, Gesù, proprio nella sua imperfezione mostra la perfezione del tuo amore per noi. Ti prego, Gesù, dammi la forza di avvicinarmi alle altre persone, ad ogni persona, giovane o vecchia, povera o ricca, a me cara o sconosciuta, e di vedere in quei volti il tuo volto. Aiutami a non indugiare nel soccorrere il prossimo, in cui tu dimori, come Veronica è accorsa da te sulla via del Calvario. Pater noster… VII stazione Gesù cade per la seconda volta Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 8. 10) Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. […] Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Ti vedo, Gesù, cadere ancora davanti ai miei occhi. Cadendo ancora mi dimostri di essere un uomo, un vero uomo. E vedo che ti rialzi nuovamente, più deciso di prima. Non ti rialzi con superbia; non c’è orgoglio nel tuo sguardo, c’è amore. E nel proseguire il tuo cammino, rialzandoti dopo ogni caduta, annunci la tua Risurrezione, dimostri di essere pronto a caricare ancora una volta e per sempre, sulle tue spalle sanguinanti, il peso del peccato dell’uomo. Cadendo ancora ci hai mandato un chiaro messaggio di umiltà, sei caduto a terra, su quell’humus da cui siamo nati noi “umani”. Siamo terra, siamo fango, siamo niente in confronto a te. Ma tu hai voluto diventare come noi, e ora ti mostri vicino a noi, con le stesse nostre fatiche, le stesse nostre debolezze, con lo stesso sudore della nostra fronte. Ora anche tu, in questo venerdì, come capita anche a noi, sei prostrato dal dolore. Ma tu hai la forza di andare avanti, non hai paura delle difficoltà che puoi incontrare, e sai che alla fine della fatica c’è il Paradiso; ti rialzi per dirigerti proprio lì, per aprirci le porte del tuo regno. Uno strano re sei, un re nella polvere. Sento una vertigine: noi non siamo degni di paragonare le nostre fatiche e le nostre cadute alle tue. Le tue sono un sacrificio, il sacrificio più grande che i miei occhi e tutta la storia potrà mai vedere. Ti prego, Signore, fa’ che siamo pronti a rialzarci dopo essere caduti, che possiamo imparare qualcosa dai nostri fallimenti. Ricordaci che quando tocca a noi di sbagliare e cadere, se siamo con te e stringiamo la tua mano, possiamo imparare e a rialzarci. Fa’ che noi giovani possiamo portare a tutti il tuo messaggio di umiltà e che le generazioni future aprano gli occhi verso di te e sappiano comprendere il tuo amore. Insegnaci ad aiutare chi soffre e cade accanto a noi: ad asciugare il suo sudore e a tendere la mano per risollevarlo. Pater noster… VIII stazione Gesù incontra le donne di Gerusalemme Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 27-31) Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Ti vedo e ti ascolto, Gesù, mentre parli alle donne che incontri lungo la tua strada verso la morte. In tutte le tue giornate sei passato incontrando tante persone, sei andato incontro e hai parlato con tutti. Ora parli con le donne di Gerusalemme che ti vedono e piangono. Anch’io sono una di quelle donne. Ma tu, Gesù, nel tuo ammonimento usi parole che mi colpiscono, sono parole concrete e dirette; a primo impatto possono apparire dure e severe perché schiette. Oggi, infatti, siamo abituati ad un mondo fatto di giri di parole, una fredda ipocrisia vela e filtra ciò che vogliamo realmente dire; gli ammonimenti si evitano sempre di più, si preferisce lasciare l’altro al proprio destino, non curandosi di sollecitarlo per il suo bene. Mentre tu, Gesù, parli alle donne come un padre, anche rimproverandole; le tue parole sono parole di verità e arrivano immediate con il solo scopo della correzione, non del giudizio. E’ un linguaggio diverso dal nostro, tu parli sempre con umiltà e arrivi dritto al cuore. In questo incontro, l’ultimo prima della croce, emerge ancora una volta il tuo amore senza misura verso gli ultimi e gli emarginati; le donne infatti, a quel tempo, non erano considerate degne di essere interpellate, mentre tu, nella tua gentilezza, sei veramente rivoluzionario. Ti prego, Signore, fa’ che io, insieme alle donne e agli uomini di questo mondo, possiamo diventare sempre più caritatevoli nei confronti dei bisognosi, proprio come facevi tu. Dacci la forza di andare contro corrente ed entrare in contatto autentico con gli altri, gettando ponti ed evitando di chiuderci nell’egoismo che ci conduce alla solitudine del peccato. Pater noster… IX stazione Gesù cade per la terza volta Dal libro del profeta Isaia (Is 53, 5-6) Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Ti vedo, Gesù, mentre cadi per la terza volta. Due volte già sei caduto e due volte ti sei rialzato. Non ci sono più limiti alla fatica e al dolore, ormai sembri definitivamente sconfitto, in questa terza e ultima caduta. Quante volte, nella vita di tutti i giorni, ci capita di cadere! Cadiamo così tante volte che perdiamo il conto, ma speriamo sempre che ogni caduta sia l’ultima, perché ci vuole il coraggio della speranza per affrontare la sofferenza. Quando uno cade tante volte, alla fine le forze crollano e le speranze svaniscono definitivamente. Mi immagino accanto a te, Gesù, nel percorso che ti sta conducendo alla morte. È difficile pensare che proprio tu sia il Figlio di Dio. Qualcuno ha già provato ad aiutarti ma ormai sei sfinito, sei fermo, paralizzato e sembra che non riuscirai più ad andare avanti. Ma ecco che improvvisamente vedo che ti rialzi, raddrizzi le gambe e la schiena, per quanto sia possibile con una croce sulle spalle, e riprendi a camminare, di nuovo. Sì, stai andando a morire, ma vuoi farlo fino in fondo. Forse questo è l’amore. Ciò che capisco è che non importa quante volte cadremo, ci sarà sempre l’ultima, forse la peggiore, la prova più terribile in cui siamo chiamati a trovare la forza per arrivare alla fine del percorso. Per Gesù la fine è la crocifissione, l’assurdo della morte, ma che rivela un significato più profondo, uno scopo più alto, quello di salvarci tutti. Ti prego, Signore, donaci ogni giorno il coraggio per andare avanti nel nostro cammino. Fa’ che accogliamo fino in fondo la speranza e l’amore che ci hai donato. Tutti possano affrontare le sfide della vita con la forza e la fede con cui tu hai vissuto gli ultimi momenti nel tuo cammino verso la morte in croce. Pater noster… X stazione Gesù è spogliato delle vesti Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 23) I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Ti vedo, Gesù, nudo, come non ti ho mai visto. Ti hanno privato delle vesti, Gesù, e se le stanno giocando a dadi. Agli occhi di questi uomini hai perso l’unico brandello di dignità che ti era rimasto, l’unico oggetto che possedevi in questo tuo cammino di sofferenza. All’inizio dei tempi, tuo Padre aveva cucito degli abiti per gli uomini, per rivestirli di dignità; ora, degli uomini te li strappano di dosso. Ti vedo, Gesù, e vedo un giovane migrante, corpo distrutto che arriva in una terra troppo spesso crudele, pronta a togliergli la veste, unico suo bene, e a venderla; a lasciarlo così con la sua sola croce, come la tua, con la sua sola pelle martoriata, come la tua, con i suoi soli occhi grandi di dolore, come i tuoi. Ma c’è qualcosa che gli uomini spesso dimenticano riguardo alla dignità: essa si trova sotto la tua pelle, è parte di te e sarà sempre con te, e ancor di più in questo momento, in questa nudità. La stessa nudità con cui veniamo alla luce è quella con cui la terra ci accoglie alla sera della vita. Da una madre all’altra. E ora qui, su questa collina, c’è anche tua madre, che ti vede di nuovo nudo. Ti vedo e comprendo la grandezza e lo splendore della tua dignità, della dignità di ogni uomo, che nessuno potrà mai cancellare. Ti prego, Signore, fa’ che tutti noi possiamo riconoscere la dignità propria della nostra natura, anche quando ci ritroviamo nudi e soli davanti agli altri. Fa’ che possiamo sempre vedere la dignità degli altri, e stimarla, e custodirla. Ti preghiamo di concederci il coraggio necessario per capire noi stessi oltre ciò che ci riveste; e di accettare la nudità che ci appartiene e ci ricorda la nostra povertà, di cui tu ti sei innamorato fino a dare la vita per noi. Pater noster… XI stazione Gesù è inchiodato alla croce Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 33-34) Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Ti vedo, Gesù, spogliato di tutto. Hanno voluto punire te, innocente, inchiodandoti al legno della croce. Che cosa avrei fatto io al posto loro, avrei avuto il coraggio di riconoscere la tua, la mia verità? Tu hai avuto la forza di sopportare il peso di una croce, di non essere creduto, di essere condannato per le tue parole scomode. Oggi non riusciamo a digerire una critica, come se ogni parola fosse pronunciata per ferirci. Tu non ti sei fermato neanche di fronte alla morte, hai creduto profondamente nella tua missione e ti sei fidato di tuo Padre. Oggi, nel mondo di Internet, siamo così condizionati da tutto ciò che circola in rete che a volte dubito anche delle mie parole. Ma le tue parole sono diverse, sono forti nella tua debolezza. Tu ci hai perdonato, non hai portato rancore, hai insegnato a porgere l’altra guancia e sei andato oltre, fino al sacrificio totale della tua persona. Mi guardo intorno e vedo occhi fissi sullo schermo del telefono, impegnati sui social network ad inchiodare ogni errore degli altri senza possibilità di perdono. Uomini che, in preda all’ira, urlano di odiarsi per i motivi più futili. Guardo le tue ferite e sono consapevole, ora, che io non avrei avuto la tua forza. Ma sono seduta qui ai tuoi piedi, e mi spoglio anch’io di ogni esitazione, mi alzo da terra per poter essere più vicina a te, anche solo di qualche centimetro. Ti prego, Signore, fa’ che, di fronte al bene, io possa avere la prontezza di riconoscerlo; fa’ che, di fronte a un’ingiustizia, io possa avere il coraggio di prendere in mano la mia vita e agire diversamente; fa’ che possa liberarmi da tutte le paure che come chiodi mi paralizzano e mi tengono lontana dalla vita che tu hai sperato e preparato per noi. Pater noster… XII stazione Gesù muore in croce Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 44-47) Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Ti vedo, Gesù, e questa volta non ti vorrei vedere. Stai morendo. Eri bello da guardare quando parlavi alle folle, ma ora tutto è finito. E io non voglio vedere la fine; troppe volte ho girato lo sguardo dall’altra parte, mi sono quasi abituato a fuggire il dolore e la morte, mi sono anestetizzato. Il tuo grido sulla croce è forte, straziante: non eravamo pronti a tanto tormento, non lo siamo, non lo saremo mai. Fuggiamo d’istinto, in preda al panico, di fronte alla morte e alla sofferenza, le rifiutiamo, preferiamo guardare altrove o chiudere gli occhi. Invece tu resti lì in croce, ci aspetti a braccia aperte, aprendoci gli occhi. È un mistero grande, Gesù: ci ami morendo, essendo abbandonato, donando il tuo spirito, compiendo la volontà del Padre, ritirandoti. Tu resti in croce, e basta. Non provi a spiegare il mistero della morte, del consumarsi di tutte le cose, fai di più: lo attraversi con tutto il tuo corpo e il tuo spirito. Un mistero grande, che continua ad interrogarci e ad inquietarci; ci sfida, ci invita ad aprire gli occhi, a saper vedere il tuo amore anche nella morte, anzi a partire proprio dalla morte. È lì che ci hai amati: nella nostra più vera condizione, ineliminabile e inevitabile. È lì che cogliamo, seppure ancora in modo imperfetto, la tua presenza viva, autentica. Di questo, sempre, avremo sete: della tua vicinanza, del tuo essere Dio con noi. Ti prego Signore, apri i miei occhi, che io ti veda anche nelle sofferenze, nella morte, nella fine che non è la vera fine. Turba la mia indifferenza con la tua croce, scuoti il mio torpore. Interrogami sempre con il tuo mistero sconvolgente, che supera la morte e dona la vita. Pater noster… XIII stazione Gesù è deposto dalla croce Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 38-40) Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodemo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ti vedo, Gesù, ancora lì, sulla croce. Un uomo in carne ed ossa, con le sue fragilità, con le sue paure. Quanto hai sofferto! E’ una scena insostenibile, forse proprio perché è intrisa di umanità: è questa la parola chiave, la cifra del tuo cammino, costellato di sofferenza e di fatica. Proprio quell’umanità che spesso dimentichiamo di riconoscere in te e di ricercare in noi stessi e negli altri, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore, ciechi e sordi di fronte alle difficoltà e al dolore altrui. Ti vedo, Gesù: ora non sei più lì, sulla croce; sei tornato da dove sei venuto, adagiato sul grembo della terra, sul grembo di tua madre. Ora la sofferenza è passata, svanita. Questa è l’ora della pietà. Nel tuo corpo senza vita riecheggia la forza con cui hai affrontato la sofferenza; il senso che sei riuscito a darle si riflette negli occhi di chi è ancora lì e ti è rimasto accanto e sempre rimarrà al tuo fianco nell’amore, donato e ricevuto. Si apre per te, per noi, una nuova vita, quella celeste, all’insegna di ciò che resiste e non viene spezzato dalla morte: l’amore. Tu sei qui, con noi, in ogni istante, in ogni passo, in ogni incertezza, in ogni ombra. Mentre l’ombra del sepolcro si allunga sul tuo corpo disteso tra le braccia di tua madre, io ti vedo e ho paura ma non dispero, ho fiducia che la luce, la tua luce, tornerà a risplendere. Ti prego, Signore, fa’ che in noi sia sempre viva la speranza, la fede nel tuo incondizionato amore. Fa’ che possiamo mantenere sempre vivo e acceso lo sguardo verso la salvezza eterna, e che riusciamo a trovare ristoro e pace nel nostro cammino. Pater noster… XIV stazione Gesù è collocato nel sepolcro Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 41-42) Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. Non ti vedo più, Gesù, ora è buio. Cadono ombre lunghe dalle colline, e le lanterne dello Shabbat brulicano in Gerusalemme, fuori dalle case e nelle stanze. Battono contro le porte del cielo, chiuso e inespugnabile: per chi è tanta solitudine? Chi in una notte tale può dormire? Risuona la città dei pianti dei bambini, dei canti delle madri, delle ronde dei soldati: muore questo giorno, e solo tu ti sei addormentato. Dormi? E su quale giaciglio? Quale coperta ti nasconde al mondo? Da lontano Giuseppe di Arimatea ha seguito i tuoi passi, e ora in punta di piedi ti accompagna nel sonno, ti sottrae agli sguardi degli indignati e dei malvagi. Un lenzuolo avvolge il tuo freddo, asciuga il sangue e il sudore e il pianto. Dalla croce precipiti, ma con leggerezza. Giuseppe ti issa sulle spalle, ma lieve tu sei: non porti il peso della morte, non dell’odio, né del rancore. Dormi come quando nella paglia tiepida eri avvolto e un altro Giuseppe ti teneva in braccio. Come allora non c’era posto per te, non hai adesso dove posare il capo: ma sul Calvario, sulla dura cervice del mondo, lì cresce un giardino dove ancora nessuno è stato mai sepolto. Dove te ne sei andato, Gesù? Dove sei sceso, se non nel profondo? Dove, se non nel luogo ancora inviolato, nella cella più angusta? Nei nostri stessi lacci sei preso, nella nostra stessa tristezza sei imprigionato: come noi hai camminato sulla terra, e ora al di sotto della terra come noi ti fai spazio. Vorrei correre lontano, ma dentro di me tu sei; non devo uscire a cercarti, perché alla mia porta tu bussi. Ti prego, Signore, che non ti sei manifestato nella gloria ma nel silenzio di una notte oscura. Tu che non guardi la superficie, ma vedi nel segreto e nel profondo entri, dal profondo ascolta la nostra voce: fa’ che possiamo, stanchi, riposare in te, riconoscere in te la nostra natura, vedere nell’amore del tuo volto dormiente la nostra bellezza perduta. Pater noster…
la via crucis che papa Francesco ha affidato ad una donna In questo venerdì santo queste le meditazioni della Prof.ssa Anne-Marie Pelletier alla quale Papa Francesco ha affidato il compito di accompagnare con le sue riflessioni la tradizionale Via Crucis (Via della Croce, Via Dolorosa) al Colosseo (Roma) il 14 prile 2017 . Una donna, una laica, una
studiosa di Bibbia. Ancora una volta un’attenzione del Vescovo di Roma per una pluralità di voci in quella sinfonia corale che è la cattolicità della chiesa. Si tratta di testi a prima vista poco “appariscenti” ma se letti con cura mostrano un’attenzione a diverse tradizioni religiose impersonate da Etty Hillesum e il pastore e teologo Dietrich Bonhoeffer, fino a proporre alla nostra considerazione testimoni del nostro tempo come i monaci uccisi a Tibhirine. Originalità che si mostra anche nella scelta dei brani biblici suggeriti e nei quadri della via crucis mostrati alla nostra riflessione: il rinnegamento di Pietro, la sofferenza di Cristo, in cui oggi si riconoscono uomini, donne e persino “bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati”, il silenzio del sabato. L’autrice della via crucis a proposito del punto di partenza delle sue meditazioni ha affermato: “Direi che non ho pensato a quello che volevo dire o a quello che volevo trasmettere. La mia idea è stata, piuttosto, quella di ritrovarmi in questo cammino, di cercare di mettermi sui passi di Gesù che sale sul Golgota. Si tratta di una dimensione del pensiero di Dio e non del nostro, quindi ho cercato di avere un atteggiamento di ascolto e di silenzio per arrivare, per me stessa e per gli altri, allo straordinario paradosso che si realizza nell’ora della Passione, quello che le Scritture definiscono l’inaudito dell’ora di Dio e che tocca intensamente e profondamente tutto l’agire del nostro mondo contemporaneo.“
INTRODUZIONE L’Ora è dunque giunta. Il cammino di Gesù sulle strade polverose della Galilea e della Giudea, incontro ai corpi e ai cuori sofferenti, spinto dall’urgenza di annunciare il Regno, questo cammino si ferma qui, oggi. Sulla collina del Golgota. Oggi la croce sbarra la strada. Gesù non andrà più lontano. Impossibile andare più lontano! L’amore di Dio riceve qui la sua piena misura, senza misura. Oggi l’amore del Padre, che vuole che, attraverso il Figlio, tutti gli uomini siano salvati, va fino alla fine, là dove noi non abbiamo più parole, dove siamo disorientati, dove la nostra religiosità è oltrepassata dall’eccesso dei pensieri di Dio. Sul Golgota, infatti, contro tutte le apparenze, è questione
di vita. E di grazia. E di pace. Si tratta non del regno del male che noi conosciamo fin troppo, ma della vittoria dell’amore. E, proprio sotto la stessa croce, si tratta del nostro mondo, con tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti… Tante lacrime, tanta miseria nel calice che il Figlio beve per noi. Tante lacrime, tanta miseria che non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito. È della fedeltà invincibile di Dio alla nostra umanità che si tratta sul Golgota. È una nascita che là si compie! Dobbiamo avere il coraggio di dire che la gioia del Vangelo è la verità di questo momento! Se il nostro sguardo non raggiunge questa verità, allora restiamo prigionieri delle reti della sofferenza e della morte. E rendiamo vana per noi la Passione di Cristo. Preghiamo. Signore, i nostri occhi sono oscuri. E come accompagnarti così lontano? «Misericordia» è il tuo nome. Ma questo nome è una follia. Scoppino i vecchi otri dei nostri cuori! Guarisci il nostro sguardo perché s’illumini della buona
notizia del Vangelo, nell’ora in cui restiamo ai piedi della Croce del tuo Figlio. E noi potremo celebrare «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» (Ef 3, 18) dell’amore di Cristo, col cuore consolato e abbagliato. VIA CRUCIS Prima stazione: Gesù è condannato a morte Dal Vangelo secondo Luca
Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio (22, 66). Dal Vangelo secondo Marco Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: “Fa’ il profeta!”. E i servi lo schiaffeggiavano (14, 64-65). Meditazione Non servirono molte discussioni agli uomini del Sinedrio per pronunciarsi. Già da molto tempo la causa era decisa. Gesù deve morire! Così pensavano già quelli che volevano buttarlo giù dalla scarpata del colle, il giorno in cui, nella sinagoga di Nazaret, Gesù aveva aperto il rotolo proclamando in prima persona le parole del libro di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione […] a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18. 19). Già quando aveva guarito il paralitico alla piscina di Betzatà, inaugurando il sabato di Dio che libera da tutte le schiavitù, le mormorazioni omicide si erano gonfiate contro di lui (cfr Gv 5, 1-18). E, nell’ultimo tratto di strada, mentre saliva a Gerusalemme per la Pasqua, il cappio si era stretto, inesorabilmente: egli non sarebbe più sfuggito ai suoi nemici (cfr Gv 11, 45-57). Ma dobbiamo avere una memoria ancora più lunga. A partire da Betlemme, dai giorni della sua nascita, Erode aveva decretato che egli doveva morire. La spada degli sbirri del re usurpatore massacrò i bambini di Betlemme. Quella volta Gesù sfuggì alla loro furia. Ma solo per un certo tempo. Già egli non era più che una vita in sospeso. Nel pianto di Rachele sui
suoi figli che non sono più, risuona, a singhiozzi, la profezia del dolore che Simeone annuncerà a Maria (cfr Mt 2, 16-18; Lc 2, 34-35). Preghiera Signore Gesù, Figlio prediletto, che sei venuto a visitarci, passando in mezzo a noi e facendo il bene, riportando alla vita quanti abitano l’ombra della morte, tu conosci i nostri cuori tortuosi. Noi affermiamo di essere amici del bene e di volere la vita. Ma siamo peccatori e complici della morte. Noi ci proclamiamo tuoi discepoli, ma prendiamo strade che si perdono lontano dai tuoi pensieri, lontano dalla tua giustizia e dalla tua misericordia. Non abbandonarci alle nostre violenze. La tua pazienza per noi non si esaurisca. Liberaci dal male! Pater noster «Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta.» Seconda stazione: Gesù è rinnegato da Pietro Dal Vangelo secondo Luca Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è galileo». Ma Pietro rispose: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre
ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente (22, 59-62). Meditazione Intorno ad un braciere, nel cortile del Sinedrio, Pietro e qualcun altro si riscaldano in quelle ore fredde della notte, attraversate da febbrili andirivieni. All’interno, la sorte di Gesù sta per decidersi, nel faccia a faccia con i suoi accusatori. Chiederanno la sua morte. Come una marea che sale, intorno cresce l’ostilità. Come si infiamma la stoppia, l’odio attecchisce e si moltiplica. Ben presto una folla urlante esigerà da Pilato la grazia per Barabba e la condanna di Gesù. Difficile dichiararsi amico di un condannato a morte senza essere attraversato da un brivido di terrore. La fedeltà intrepida di Pietro non riesce a resistere alle parole sospettose della serva, la portinaia del luogo. Riconoscere che è discepolo del rabbi galileo, sarebbe dare più peso alla fedeltà a Gesù che alla propria vita! Quando implica tale coraggio, la verità fa fatica a trovare dei testimoni… Gli uomini sono fatti in modo che allora molti le preferiscono la menzogna; e Pietro appartiene alla nostra umanità. Tradisce, a tre riprese. Poi incrocia lo sguardo di Gesù. E le sue lacrime scendono, amare eppure dolci, come acqua che lava una sporcizia. Presto, passato qualche giorno, vicino a un altro fuoco di brace, sulla riva del lago, Pietro riconoscerà il suo Signore risorto, che gli affiderà la cura delle sue pecore. Pietro imparerà senza misura il perdono che il Risorto pronuncia su tutti i nostri tradimenti. E prenderà parte ad una fedeltà che, da allora in poi, gli farà accettare la propria morte
come un’offerta unita a quella di Cristo. Preghiera Signore, nostro Dio, tu hai voluto che sia Pietro, il discepolo rinnegato e perdonato, a ricevere l’incarico di guidare il tuo gregge. Imprimi nei nostri cuori la fiducia e la gioia di sapere che, in te, possiamo attraversare i burroni della paura e dell’infedeltà. Fa’ che, istruiti da Pietro, tutti i tuoi discepoli siano i testimoni dello sguardo che tu posi sulle nostre cadute. Che mai le nostre durezze o le nostre disperazioni rendano vana la Risurrezione del tuo Figlio! Pater noster Cristo morto per i nostri peccati, Cristo risorto per la nostra vita, ti preghiamo, abbi pietà di noi. Terza stazione: Gesù e Pilato Dal Vangelo secondo Marco Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso (15, 1. 3. 15). Dal Vangelo secondo Matteo
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!» (27, 24). Dal libro del profeta Isaia Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti (53, 6). Meditazione Roma di Cesare Augusto, la nazione civilizzatrice, le cui legioni si propongono la missione di conquistare i popoli per portare loro i benefici del suo giusto ordine. Roma, presente anche alla Passione di Gesù nella persona di Pilato, il rappresentante dell’Imperatore, il garante del diritto e della giustizia in terra straniera. Eppure, lo stesso Pilato che dichiara di non trovare alcuna colpa in Gesù, è colui che ratifica la sua condanna a morte. Nel pretorio dove Gesù viene processato, la verità risplende: la giustizia dei pagani non è superiore a quella del Sinedrio dei Giudei! Decisamente questo Giusto, che attira stranamente su di sé i pensieri omicidi del cuore umano, riconcilia ebrei e pagani. Ma lo fa, per ora, rendendoli ugualmente complici dell’uccisione di lui stesso. Tuttavia, viene il momento, anzi è vicino, in cui questo Giusto li riconcilierà in altro modo, per mezzo della Croce e di un perdono che li raggiungerà tutti, ebrei e pagani, li guarirà insieme dalle loro vigliaccherie e li libererà dalla loro comune violenza. Una sola condizione per aver parte a questo dono: sarà confessare l’innocenza dell’unico Innocente, l’Agnello di Dio immolato per il peccato del mondo; sarà rinunciare alla
presunzione che mormora dentro di noi: «Io sono innocente del sangue di quell’uomo»; sarà dichiararsi colpevoli, nella fiducia che un amore infinito avvolge tutti, ebrei e pagani, e che tutti Dio chiama a diventare suoi figli. Preghiera Signore, nostro Dio, davanti a Gesù consegnato e condannato, noi non sappiamo fare altro che discolparci e accusare gli altri. Per tanto tempo noi cristiani abbiamo addossato al tuo popolo Israele il peso della tua condanna a morte. Per tanto tempo abbiamo ignorato che dovevamo riconoscerci tutti complici nel peccato, per essere tutti salvati dal sangue di Gesù crocifisso. Donaci di riconoscere nel tuo Figlio l’Innocente, l’unico di tutta la storia. Lui che ha accettato di essere “fatto peccato per noi” (cfr 2 Cor 5, 21), affinché per mezzo di lui tu potessi ritrovarci, umanità ricreata nell’innocenza nella quale ci hai creato, e nella quale ci rendi tuoi figli. Pater noster Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Quarta stazione: Gesù re della gloria Dal Vangelo secondo Marco I soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!» (15, 16-18). Dal libro del profeta Isaia Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato (53, 2-4). Meditazione Banalità del male. Sono innumerevoli gli uomini, le donne, persino i bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati, sotto tutti i cieli e in ogni tempo della storia. Senza cercare protezione nella condizione divina che gli è propria, Gesù si inserisce nel terribile corteo delle sofferenze che l’uomo infligge all’uomo. Conosce l’abbandono degli umiliati e dei più derelitti. Ma quale aiuto ci può dare la sofferenza di un innocente in più? Colui che è uno di noi è prima di tutto il Figlio prediletto del Padre, che viene a compiere ogni giustizia con la sua obbedienza. E all’improvviso tutti i segni si capovolgono. Ecco che le parole e i gesti di scherno dei suoi torturatori ci svelano – oh paradosso assoluto – l’insondabile verità: quella della vera, dell’unica regalità, manifestata come un amore che non ha voluto sapere altro che la volontà del Padre e il suo desiderio che tutti gli uomini siano salvati. «Sacrificio e offerta non gradisci […]. Allora ho detto: “Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà”» (Sal 40, 7-9). Questa ora del Venerdì Santo lo proclama: c’è una sola gloria in questo mondo e nell’altro, quella di conoscere e compiere la volontà del Padre. Nessuno di noi può ambire a una dignità più alta di quella di essere figlio in Colui che si è fatto
obbediente per noi fino alla morte di croce. Preghiera Signore, nostro Dio, ti preghiamo: in questo giorno santo che porta a compimento la rivelazione, abbatti in noi e nel nostro mondo gli idoli. Tu conosci il loro potere sulle nostre menti e sui nostri cuori. Abbatti in noi le figure menzognere del successo e della gloria. Abbatti in noi le immagini che sempre riemergono di un Dio secondo i nostri pensieri, un Dio distante, così lontano dal volto rivelato nell’alleanza e che si manifesta oggi in Gesù, al di là di ogni previsione, al di sopra di ogni speranza. Lui che confessiamo come l’«irradiazione della [tua] gloria» (Eb 1, 3). Fa’ che entriamo nella gioia eterna, che ci fa acclamare in Gesù rivestito di porpora e coronato di spine, il re della gloria che canta il salmo: «Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria» (24, 9). Pater noster Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria. Quinta stazione: Gesù porta la croce Dal Libro delle Lamentazioni
Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore, al dolore che ora mi tormenta, e con cui il Signore mi ha afflitta nel giorno della sua ira ardente (1, 12). Dal Salmo 146 Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio […]. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, […] il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova (146, 5. 7-8. 9). Meditazione Lungo l’aspro cammino del Golgota, Gesù non ha portato la croce come un trofeo! Egli non somiglia in nulla agli eroi della nostra fantasia che abbattono trionfanti i loro malvagi nemici. Passo dopo passo ha camminato, il corpo sempre più pesante e più lento. Ha sentito la sua carne intaccata dal legno del supplizio, le gambe fiaccate sotto il carico. Di generazione in generazione, la Chiesa ha meditato questa via segnata da inciampi e cadute. Gesù cade, si rialza, poi ricade, riprende il cammino sfibrante, probabilmente sotto i colpi delle guardie che lo scortano, perché è così che sono trattati, maltrattati, i condannati in questo mondo. Colui che ha fatto alzare i corpi allettati, raddrizzato la donna curva, strappato dal letto di morte la figlia di Giairo, rimesso in piedi tanti afflitti, eccolo oggi affondato nella polvere. L’Altissimo è a terra. Fissiamo lo sguardo su Gesù. Attraverso di lui, l’Altissimo ci
insegna che è al tempo stesso – incredibile! – Il più Umile, pronto a scendere fino a noi, ancora più giù se necessario, così che nessuno si perda nei bassifondi della propria miseria. Preghiera Signore, nostro Dio, tu scendi nel profondo della nostra notte, senza porre limiti alla tua umiliazione, perché è in essa che raggiungi la terraspesso ingrata, a volte devastata, delle nostre vite. Noi ti supplichiamo: fa’ che la tua Chiesa possa testimoniare che l’Altissimo e Il più Umile sono in te un solo volto. Concedile di portare a tutti coloro che cadono la buona novella del Vangelo: non c’è caduta che possa sottrarci alla tua misericordia; non c’è perdita, non c’è abisso tanto profondo che tu non possa ritrovare chi si è smarrito. Pater noster Ecco, io vengo, o Dio, a fare la tua volontà. Sesta stazione: Gesù e Simone di Cirene Dal Vangelo secondo Luca Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene che tornava dai campi e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù (23, 26). Dal Vangelo secondo Matteo «Quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti
abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?» (25, 37-39). Meditazione Gesù inciampa lungo la via, la schiena schiacciata sotto il peso della croce. Ma bisogna andare avanti, camminare, e ancora camminare, perché è il Golgota, il sinistro “luogo del Cranio”, fuori dalle mura della città, la meta della squadriglia che incalza Gesù. Passa di lì in quel momento un uomo, con le braccia robuste. Appare estraneo agli eventi del giorno. Sta tornando a casa, ignaro di tutta la vicenda del rabbi Gesù, quando viene precettato dalle guardie per portare la croce. Che cosa avrà saputo del condannato spinto dalle guardie al supplizio? Cosa poteva conoscere di colui che «non aveva più aspetto d’uomo», come il servo sfigurato di Isaia? Della sua sorpresa, forse di un suo iniziale rifiuto, della pietà che lo ha colto, nulla ci è detto. Il Vangelo ha conservato soltanto la memoria del suo nome: Simone, originario di Cirene. Ma il Vangelo ha voluto portare fino a noi il nome di questo libico e il suo umile gesto d’aiuto anche per insegnarci che, alleviando il dolore di un condannato a morte, Simone ha alleviato il dolore di Gesù, il Figlio di Dio, che ha incrociato la sua strada nella condizione di schiavo, assunta per noi, assunta per lui, per la salvezza del mondo. Senza che lui lo sapesse. Preghiera Signore, nostro Dio, tu ci hai rivelato che in ogni povero che è nudo, prigioniero, assetato, sei tu che ti presenti a noi, e sei tu che noi accogliamo, visitiamo, rivestiamo, dissetiamo: «Ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a
trovarmi» (Mt 25, 35-36). Mistero del tuo incontro con la nostra umanità! Così tu raggiungi ogni uomo! Nessuno è escluso da questo incontro, se accetta di essere uomo di compassione. Noi ti presentiamo, come un’offerta santa, tutti i gesti di bontà, di accoglienza, di dedizione che vengono compiuti ogni giorno in questo mondo. Degnati di riconoscerli come la verità della nostra umanità, che parla più forte di tutti i gesti di rifiuto e di odio. Degnati di benedire gli uomini e le donne di compassione che ti rendono gloria, anche se non sanno ancora pronunciare il tuo nome. Pater noster Cristo morto per i nostri peccati, Cristo risorto per la nostra vita, ti preghiamo, abbi pietà di noi. Settima stazione: Gesù e le figlie di Gerusalemme Dal Vangelo secondo Luca Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. […] Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (23, 27-28. 31). Meditazione Il pianto che Gesù affida alle figlie di Gerusalemme come un’opera di compassione, questo pianto delle donne non manca mai in questo mondo.
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