Corso di Laurea in Storia Il popolo della terra Memoria collettiva, resistenza ancestrale e riconoscimento politico dei Mapuche del Cile
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Università degli Studi di Padova Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità Corso di Laurea in Storia Il popolo della terra Memoria collettiva, resistenza ancestrale e riconoscimento politico dei Mapuche del Cile Relatore: Prof. Javier Pablo Grossutti Laureando: Alvise Murazzi Matricola: 1056450 Anno Accademico 2021/22 1
Voglio ringraziare Guillermo Jaque Calfuleo, studioso, artigiano e artista della comunità mapuche di Puquiñe, senza il quale non avrei potuto orientarmi in questo lungo racconto, e Pilar Reuque, rappresentante di COMI in Cile, per i preziosi consigli. 2
Indice INTRODUZIONE GEOGRAFICA...............................................................................4 1. IL POPOLO DELLA TERRA........................................................................................6 IL CILE NEL 1520........................................................................................................8 LA VITA MAPUCHE..................................................................................................10 2. MAPUCHE E SPAGNOLI...........................................................................................13 ALMAGRO, VALDIVIA E ALTRI CONQUISTADORES........................................14 I TOQUIS DELLA GUERRA DI ARAUCO..............................................................18 L’EPOCA DEI PARLAMENTI o DEI KOYANG.......................................................22 3. MAPUCHE E CILENI.................................................................................................24 L’INDIPENDENZA DEL CILE..................................................................................24 LA PACIFICAZIONE DELL’ARAUCANIA............................................................26 LE LOTTE MAPUCHE NEL ‘900.............................................................................29 DAGLI ANNI ‘60 ALLA DITTATURA......................................................................32 LA DITTATURA DI PINOCHET...............................................................................34 3. DALLA SVOLTA DEMOCRATICA AD OGGI.........................................................36 DA NUEVO IMPERIAL ALLA LOTTA ARMATA...................................................37 L’ESTALLIDO SOCIAL.............................................................................................39 CONCLUSIONE.........................................................................................................41 BIBLIOGRAFIA.........................................................................................................43 3
INTRODUZIONE GEOGRAFICA Il Cile è un paese che si estende in lunghezza, i cui 750.00 km² si dispiegano per migliaia di chilometri da Nord a Sud, abbracciato ad Est dalla Cordigliera della Ande e ad Ovest dall’Oceano Pacifico. Questa forma particolare comporta l’avvicendarsi di ambienti geografici e morfologici tra i più vari ed estremi, che ne hanno influenzato in modo preponderante le vicende storiche. Al Nord, dove corre il confine con Perù e Bolivia, si estende il Grande Norte, una vasta regione arida caratterizzata dal deserto di Atacama e della cordigliera Domeyko, nonché dalla bellezza dei suoi paesaggi. L’orografia ed il clima inospitali hanno da sempre reso questa regione una barriera più che un crocevia di popoli. Tendenza debolmente messe in discussione negli ultimi due secoli con lo sfruttamento dei giacimenti di rame e nitrato, voci fondamentali nelle esportazioni del paese. Subito a Sud di questa zona desertica ve n’è una seconda, delimitata a Nord dal fiume Copiapó e a Sud dall’Aconcagua, denominata Norte Chico, dove la catena montuosa della costa si incontra con le Ande generando valli attraversate da ampi fiumi. Il clima permane semi-arido sugli altopiani ma l’umidità si concentra nelle valli, rendendo queste regioni, in particolare il Coquimbo, molto predisposte alla coltura della vite e dell’olivo. 4
Finalmente, a Sud del fiume Aconcagua, inizia il Cile che è anche oggetto del mio studio: le “floride valli cilene” del regno coloniale di Nuova Extremadura, come venne battezzato da Pedro de Valdivia nel 1541. Santiago sorge al centro di un bacino, nel punto in cui le due catene montuose del paese tornano a dividersi. Una enorme depressione fertile si distende tra le montagne, la “Depresión intermedia”, srotolandosi fino ad incontrare i climi glaciali del Sud. Essa è attraversata da numerosi fiumi e da montagne di modeste dimensioni. La pampa cilena e i boschi si alternano, ed il clima è continentale temperato, le precipitazioni modeste. E’ in questa valle che oggi vive la grande maggioranza dei cileni, per lo più attorno alle zone metropolitane di Santiago, Concepción e Valparaíso. La “Zona Central” corrisponde quindi grossomodo a 500 chilometri a Sud di Santiago: a metà della Depresión intermedia v’è un confine naturale che la divide dalla Zona Sur e che crea in qualche modo un altro Sud: è il fiume Biobío. Oltre quel fiume la macchia andina lascia spazio alla fitta foresta sempreverde, che è l’elemento principale. Le regioni prendono i nomi di Los Riòs, Los Lagos, ad indicare l’eccezionalità idrologica dell’area, piena di laghi azzurri e fiumi imponenti. Il Sud del Paese è caratterizzata da piogge abbondanti, e vi è anche un’importante attività sismica legata ai numerosi vulcani della regione. Infine, oltre il Sud, troviamo le 2 regioni del Chile Australe, Aysén e la regione Magellano o dell’Antartide cilena. Un enorme territorio glaciale, caratterizzato da foreste artiche e fiordi, da smisurati arcipelaghi di minuscole isole, e che comprende le porzioni più meridionali della Patagonia e della Terra del Fuoco. Queste zone sono da sempre scarsamente abitate, anche lo stretto di Magellano rimane uno snodo fondamentale per la navigazione tra Atlantico e Pacifico. 5
1. IL POPOLO DELLA TERRA Il termine Mapuche, da Mapudungun Mapu (terra) più Che (gente), indica la più numerosa etnia indigena del Chile e di alcune parti dell’Argentina. Nella sua accezione, può variare: come sinonimo di Auracani, ossia gli abitanti dell’Auraucania propria, o come autodefinizione da parte di numerose minoranze indigene che si riconoscono nella cultura Mapuche. Dopo i Quechua e i Ayamara sono il terzo popolo indigeno nell’America Latina di oggi. I dati del Cile riferiscono 1 750 000 individui che si dichiarano mapuche nel 2017, quasi il 10% della popolazione, distribuiti prevalentemente nelle regioni centro-meridionali. L’economia della minoranza mapuche è basata sulla produzione agricola e la pastorizia di sussistenza, la pesca o la caccia/raccolta secondo l’ecosistema. Fondamentale è la conservazione delle pratiche agricole tradizionali, spesso legate a momenti comunitari. Queste attività vengono complementate da un provvido artigianato tradizionale di oggetti in legno, tessuti, ceramiche che hanno un proprio mercato nazionale. Sulle origini e la definizione del popolo mapuche esistono diverse teorie. I principali etnologhi che hanno concentrato i propri studi sulla storia Mapuche all’inizio del ‘900, Ricardo E. Latcham e Tomàs Guevara Silva, offrono tesi contrastanti: Latchman vide migrazioni di popoli dall’Est, dall’Argentina, Guevara dal Nord, dall’area andina. Pur sempre migrazioni di popoli esterni che giunti in Cile costituirono la propria società. Anche la datazione è incerta, ma le ipotesi più recenti collocano questo periodo vicino al collasso della società Tiahuanaco (XII secolo). Da allora, possiamo provare a tripartire concettualmente le vicende del popolo Mapuche secondo uno schema a noi congeniale, pur consapevoli che esso porta con sé una prospettiva del tutto soggettiva ed arbitraria. Definiamo quindi 6
una preistoria, o una storia antica mapuche, dallo stanziamento ancestrale fino al 1550, che include la formazione di una cultura specifica e le guerre con il popolo Inca tra il 1460 ed il 1490. Un’epoca “moderna”, dal 1550 al 1810, che corrisponde di fatto ai due secoli e mezzo della feroce Guerra di Arauco e della colonizzazione spagnola. Infine, l’età contemporanea della storia Mapuche si apre nel 1810 con l’indipendenza cilena, il riassetto repubblicano e l’istituzionalizzazione della questione indigena. Essa vede la violenta occupazione dell’Auraucania (1860- 1880), gli espropri e le leggi agrarie del ‘900, le svolte degli anni ‘60-’70, la dittatura militare fino ad arrivare alle vicende del Chile odierno. E’ giocoforza leggere la storia di questo popolo nel solco del secolare scontro con gli invasori, i conquistadores che essi chiamarono Huincas (nuovi inca), gli spagnoli che divennero cileni. Nel corso del ‘900 questo si è modificato assumendo le precise caratteristiche del conflitto mapuche odierno, alle cui fondamenta sono il recupero delle terre ancestrali sottratte durante il lungo processo coloniale, l’ottenimento del diritto all’autodeterminazione delle comunità e il riconoscimento delle specificità culturali. Alcuni capitoli di questa storia sono aperti: tra 2019 e 2020 il Cile ed in particolare la capitale, Santiago, sono stati teatro di una serie di accese e partecipatissime proteste note come Estallido Social, che originate da una manifestazione contro il rincaro dei trasporti urbani sono divampate ed hanno incluso una numerosa composizione indigena. Il governo Piñera si è visto costretto nel 2019 a promuovere la Convención Constitucional, che dovrebbe riscrivere la costituzione risalente a Pinochet, nella quale convergono alcune frange dell’associazionismo politico indigena, e nel 2021 ha ceduto il governo del paese ad una coalizione, Apruebo dignidad, nata dalle stesse forze politiche che hanno animato le proteste. Senza aver ovviamente risolto le ormai secolari ragioni di questa lotta che è 7
ancora talvolta violenta, le nuove svolte politiche insieme ad un consistente lavoro di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale mapuche offrono quantomeno una possibilità e una direzione verso la risoluzione del conflitto. IL CILE NEL 1520 Ad abitare questo enorme territorio vi erano diversi popoli che avevano tra loro relazioni più o meno amichevoli. Questi gruppi andarono incontro a destini diversi, e le loro particolarità culturali subirono importanti stravolgimenti tra l’arrivo degli spagnoli e il ‘900. I distinguo tra le etnie che abitavano il Cile vero e proprio vanno per lo più fatti nel seno del macrogruppo dei Mapuche. In generale, possiamo dire che questi popoli avevano tipologie simili di organizzazione sociale, pur presentando variazioni in base alla disponibilità e al tipo di risorse del territorio, e che condividevano l’uso della lingua Mapudungun. Una visione tradizionale divide il Popolo della Terra in un gruppo centrale, i Mapuche propri o Auracani, e quattro “famiglie” regionali: pikunches, williches, lafkenches e pewenches. Tra il fiume Aconcagua e il Río Biobío, quindi in quella che oggi viene definita la zona centrale del Cile, viveva il popolo Picunche, dal mapudungun “gente del Nord”. Questi conobbero ed ebbero scambi con l’Impero Inca, e furono i primi ad entrare in contatto con i conquistadores. Fu nel loro territorio ancestrale che sorsero i primi insediamenti spagnoli, come Santiago e Concepción, e furono ampiamente e precocemente impiegati come manodopera servile, in particolare come lavaderos d’oro. Subirono nel corso dei secoli un’importante castiglianizzazione, e da loro discende gran parte del meticciato cileno di oggi. 8
Gli Huilliches, “gente del Sud”, abitavano la zona che va dal Río Bueno a, bene o male, l’Isla Grande de Chiloé. Questi subirono solo tardivamente l’influenza spagnola, vivendo molto a Sud del Biobío, e piuttosto si mescolarono con popolazioni andine o della patagonia. Altri sottogruppi erano i Lafquenches (gente della costa) che abitavano le sponde del Pacifico, i Pehuenche (gente dell’auracaria), stanziati nelle valli andine, e la lista potrebbe continuare. In generale possiamo affermare che nei secoli successivi all’arrivo dei colonizzatori spagnoli gli elementi caratteristici di queste particolarità etnico- culturali subirono un violento mescolamento e livellamento. Nel profondo Sud vivevano i Tehuelche, i Patagoni che compaiono già nelle cronache del Pigafetta, il diarista di Magellano. Essi chiamavano sé stessi Aonek'enk, o Chon, erano dediti alla pesca e allo scambio di pellami con altre tribù. Subirono tra il XVII e il XIX secolo una “mapuchizzazione” degli usi e dei costumi, e quelli che non furono inquartierati nella riserve oggi lottano per il riconoscimento della propria specificità in Argentina. Vi erano ulteriori popoli originari all’interno del Cile odierno, oltre ai Mapuche. A Nord, ricordiamo i popoli di lingua Aymara, gli Atacameños del deserto e i Kollas (o Colla) andini. A Sud, i Kawésqar e gli Yamana, stanziati anche in Patagonia. L’etnia Rapa Nui, con la sua misteriosa storia, è a sé stante. 9
LA VITA MAPUCHE I Mapuche, con tutte le specifiche di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo, abitavano dunque all’inizio del ‘500 l’area che va dal fiume Itata, dove oggi sorge Concepción, e l’isola di Chilloe. L’assenza pressoché totale di documenti scritti pervenuti a noi da fonti indigene del XV-XVI secolo implica alcune premesse nell’analisi delle usanze, costumi e tradizioni dei mapuche “storici”. Il bagaglio stratificato di credenze religiose e narrazioni rituali si è modificato, per assimilazione o alterazione. Certamente l’assorbimento di altri gruppi etnici cileni e argentini ha portato all’innesto di elementi culturali inediti, così come non possono non aver influito l’evangelizzazione cristiana ed il sincretismo. All’interno dello stesso contesto mapuche infine esistono numerose discontinuità e differenze dovute alle caratteristiche delle fonti stesse, su base per lo giù geografica. In Cile, fino al 1541, non esistevano insediamenti urbani, né centri politici. I mapuche vivevano in piccoli clan familari chiamati Lof, che era la forma basica della società. All’interno di un Lof parentale non esisteva la proprietà privata e la maggior parte dei lavori era svolto in collettività. La vita del lof si svolgeva attorno ad un Rehue, tronco sciamanico, da cui deriva anche l’autorità del Lonco, il capo della comunità, che in mapudungun significa “testa”. I lof di una provincia o di una zona potevano riunendosi dar vita a un Aillarehue, “nuovo Rehue”, per lo più in occasioni di celebrazioni religiose o sociali. Era usanza tra i Mapuche compiere lunghi viaggi accompagnati da tutto il lof familiare con l’intento di visitarne altri appartenenti al medesimo Aillarehue, per scambiarsi doni, merci, racconti. In casi eccezionali, come la guerra, i Loncos a capo dei clan familiari si 10
riunivano in un’ulteriore e più ampia confederazione, il Butalmapu. I butalmapu tradizionali erano di fatti suddivisioni regionali delle tribù mapuche, e sono così nominati: Lelfünmapu, la pianura, Lafkenmapu, territorio costiero, Inapiremapu, la precordigliera andina, “terra con la neve”, e Piremapu, la cordigliera andina propria “terra della neve”. In quelle occasioni i loncos eleggevano un Toqui, un capo per la guerra, il cui ruolo durava soltanto fino alla fine del conflitto. Tutta la quotidianità ed i rapporti sociali erano codificati secondo Ad Mapu, l’insieme delle tradizioni, leggi, usanze e conoscenze che venivano tramandate oralmente all’interno del lof. Esse derivavano dal riconoscimento e dal rispetto di tre qualità diverse di spiriti sovrannaturali: i Ngen, potenti entità legate agli elementi naturali o luoghi simbolici quali fiumi, boschi e monti; e i Pillán o Wangulén, i fantasmi dei venerabili antenati della tribù, rispettivamente maschili o femminili; infine i Wekufe, gli spiriti maligni. Tra i pillàn ve ne erano di preminenti, i quali costituivano un pantheon di divinità comuni a tutti i sottogruppi geografici mapuche, quali Ngenechén che governa il mondo, Antu e Kuyén, il sole e la luna, Peripillán, il fuoco, ed Elmapu che creò l’uomo. A ricoprire il ruolo centrale di intermediazione con i mondi spirituali vi è la Machi, la sciamana, la quale era anche la guaritrice della tribù e conosceva le procedure per il Machitún, la cerimonia attraverso la quale invocava gli antenati per scacciare le influenze maligne o guarire un infermo, o per il Guillatún, il rituale di supplica verso gli spiriti, nel quale la machi si arrampicava sul Rehue: il tronco cerimoniale era fabbricato in modo che avesse quattro o sette scalini (ad indicare i mondi, materiali e spirituali, che l’officiante voleva richiamare). Accanto alla Machi stava il Ngenpiñ, in mapudungun “signore delle parole”, il depositario della tradizione filosofica e gnoseologica mapuche, che poteva svolgere a sua volta il Guillatùn e ricopriva il ruolo di riferimento politico- religioso. 11
Riguardo alla cosmogonia mapuche e alle narrazioni sulla creazione del mondo, due sono le vicende che mantengono un’omogeneità privilegiata. All’origine delle cose il Wenu Mapu, la terra di sopra, era oscura. L’essenza dell’anima del mondo, Pu-am, diede vita ai primi spiriti, i quali divennero gli astri del cielo e illuminarono il mondo. Tra di essi spiccava Antu, il sole, che era il pillàn più potente. Egli scelse in moglie Kuyèn, la luna, generando così l’alternarsi di notte e giorno, ma attirando su di loro l’invidia di Peripillán, il fratello di Antu, e di tutte le altre stelle. Tra Antu e Peripillàn si scatenò una lotta fratricida a cui preserò parte tutti gli spiriti. Gli stessi figli dei due antagonisti, Kaykay e Trentren, si rivoltarono contro i loro padri. Da questa guerra venne generato il mondo terreno: una volta sconfitti i suoi nemici, Antu, furioso, fece precipitare i pillàn sconfitti, creando le montagne, le colline ed i vulcani, che rappresentano la volontà di Perilipillàn di ribellarsi ancora. Le Wangulén, ossia gli spiriti femminili sconfitti, piansero il loro rimorso così a lungo da formare i mari, i laghi ed i fiumi. La seconda storia riguarda Trentren-Vilu e Caicai-Vilu, o Trentren e Kaykay, i figli rispettivamente di Antu e Peripillàn. Finita la guerra tra gli spiriti e fallita la loro rivolta, anch’essi furono scagliati su Mapu (la terra), ma anziché divenire terra o acqua, essi vennero puniti e trasformati in due giganteschi serpenti, condannati a dimorare e costudire l’uno la terra e l’altro il mare. Caduti in un lungo sonno, fu Kaykay, nel mare, il primo a svegliarsi e, infuriato, iniziò a colpire il mare generando inondazioni e diluvi. Trentren si risvegliò dunque per il gran trambusto e, visti gli uomini che stavano per annegare, provò per loro pena, e permise loro di salire sulla sua lunga schiena e li poggiò sulla montagne a cui ordinò poi di crescere in altezza, dando vita alla Cordigliera. Quelli che non potè salvare, Trentren trasformò in uccelli o pesci, da cui ebbe origine la varietà degli animali. Ma l’acqua continuava a salire, così i due serpenti ingaggiarono una titanica lotta che terminò solo quando essi si stancarono e tornarono a dormire. La forma dei due nemici, addormentati l’uno accanto all’altro, spiegherebbe la forma del Cile. 12
2. MAPUCHE E SPAGNOLI L’autore di romanzi e antropologo, nonché storico ed ex-ministro brasiliano Darcy Ribeiro definiva così la società auracana al loro incontro con i conquistadores spagnoli: “si trovavano alle soglie della stratificazione sociale e dell’unificazione politica, pronti a costituire uno Stato rurale artigianale”. La complessità dei meccanismi di produzione, giunti a garantire un surplus alimentare per frange non-rurali, e la capillarità dei fenomeni degli scambi, più sociali che economici in realtà, avrebbero potuto dare vita a classi o gruppi sociali prettamente dediti alla guerra, alla religione, all’amministrazione. Difficile capire se, come sostiene Ribeiro, questo grado di complessità della costruzione sociale è una “evoluzione mancata”, cui i diversi gruppi che abitavano l’Araucania sarebbero inevitabilmente giunti se non fosse stato per la comparsa degli europei, o se, suggeriamo, non si fosse quell’evoluzione arrestata per una sorta di equilibrio positivo interno. L’autore riconosce poi alla semplicità delle società mapuche del XVI diversi vantaggi, il primo e più importante dei quali un’abbondanza di tempo libero da dedicare alle relazioni interpersonali. In tali condizioni godevano di un ambiente 13
sociale ricco, fondata sull’uguaglianza, la larghezza e il gusto di vivere, derivante dalla convivenza in grandi comunità omogenee, unificate da medesime tradizioni e visione del mondo”. Procedendo con il ragionamento, si può affermare che l’assenza di alcune figure tipiche non solo nella società europea ma anche di quelle inca o maya, quali il nobile, il sacerdote, il servo/schiavo, rappresentarono per gli auracani un notevole vantaggio contro gli aggressori spagnoli. Nelle tristi storie di Monctezuma e di Atahualpa hanno un ruolo da protagonisti le elitès locali, pronte a cospirare o almeno conciliarsi con gli spaventosi invasori per mantenere il loro potere e privilegio. Non fu così per i toquis, il cui ruolo era temporaneo e dipendente dell’accordo tra comunità diverse. Ugualmente, le grandi masse di prigionieri o nati schiavi degli imperi andini e dello Yucatàn erano indifferenti agli sconvolgimenti politici dei loro padroni, mentre tra gli mapuche non esisteva la servitù. ALMAGRO, VALDIVIA E ALTRI CONQUISTADORES Il primo europeo a visitare il territorio oggi riconosciuto come Cile fu Ferdinando Magellano, che nel novembre del 1520 “scoprì” ed attraversò lo stretto che ne prese il nome. L’esploratore portoghese battezzò la Patagónia e la Terra do Fogo durante il suo ultimo e celebre viaggio. A capo della seconda spedizione, che nel 1535, dopo una durissima traversata della cordigliera andina entrò finalmente nel centro del paese fino al fiume Itata, c’era Diego de Almagro. Questi era un hidalgo castigliano, ed incarnava in quanto tale ed al pari dei suoi compagni, la complessità dell’impalcatura ideologica delle corone di Spagna. Forgiata da secoli di interminabili guerre di reconquista e conquista, in Spagna 14
quanto in Nord Africa, o militando nei temibili tercios nei conflitti in Francia o in Italia, la piccola ed impoverita nobiltà di Castiglia era nel XVI secolo pronta ad imbracciare la Croce e la Spada e portarle ai più remoti angoli di quell’Impero che iniziava a pensarsi universale. Il lungo conflitto tra i vicini regni cristiani e musulmani aveva permesso lo sviluppo di sofisticati strumenti, ideologici, amministrativi e giuridico-sociali, atti alla continua integrazione di territori conquistati e all’inquadramento delle popolazioni sottomesse. Fu infatti nelle pianure iberiche strappate al califfato di Toledo prima e di Cordova poi che per la prima volta si diffuse l’organizzazione della Hacienda, che verrà poi così largamente utilizzata in America Latina. La particolare e nota divisione per tipi sociali, quali mozàrabes, conversos, moriscos, marranos, ecc...; risponde ad una logica ideologica e propagandistica di perpetua ridefinizione dell’Altro e ne proietta la sua intenzione di conquista. Infine, occorre risaltare l’ampia cornice religiosa dentro la quale si colloca l’azione di caballeros e hidalgos. L’epica eroica dello sforzo nella guerra contro gli infedeli venne convenientemente indirizzata e razionalizzata dalla Chiesa Cattolica, nel seno della quale nacquero ordini monastico-militari simili a quelli in Terrasanta come l’ordine di Santiago e l’ordine di Calatrava. Diversi papi concessero nei secoli i privilegi di crociati ai soldati spagnoli. Nel fornire legittimazione ideologica alle conquiste delle corone iberiche giunse simbolicamente la bolla papale Inter Caetera del 1493, con la quale Alessandro VI, aragonese di nascita, estendeva fino ai confini dell’ignoto la missione evangelizzatrice e civilizzatrice di Spagna e Portogallo. Essa precedette il trattato di Tordesillas (1494) che ne precisò la geografia, e celeberrima bolla Sublimis Deus (1537) attraverso la quale Paolo III esplicitò che «Indios veros homines esse». Il dibattito sull’umanità e sulla libertà dei cosiddetti indios produsse in terra di Castiglia le leggi di Burgos (1512) e le Leggi Nuove (1542), promulgate da Ferdinando II e Carlo V, di fatto revisioni organiche del sistema delle 15
encomiendas. E prosegì fino ed oltre alla Disputa di Valladolid (1550-51) dove si affrontarono le visioni contrapposte di Juan Ginés de Sepúlveda, difensore del naturale diritto di sottomettere gli indigeni, e di Bartolomé de Las Casas, domenicano che come il suo confratello Francisco de Vitoria propugnavano una precoce concezione dei diritti umani e della sovranità dei popoli indigeni sulle loro terre d’origine. Diego de Almagro fu, nel 1531, uno dei soci di Francisco Pizarro nella conquista del Perù e della violenta fine dell’impero Inca. Insieme essi avevano fondato una vera e propria impresa, raccogliendo mezzi e uomini, con l’obiettivo di spartirsi i territori e le ricchezze del Perù. A conquista avvenuta però, i soci iniziarono a litigarsi titoli e le città, e a Pizarro non restò, per levarsi Almagro di torno, che promettergli il titolo di governatore di tutte le terre che avrebbe reclamato a Sud. Almagro, soddisfatto, preparò la spedizione e nel luglio del 1534 partì. A questa spedizione viene tradizionalmente associata la “scoperta” del Cile. Almagro portò con sé più di 2000 persone, per la maggior parte yanaconas, termine utilizzato sia dai mapuche che dagli spagnoli per indicare gli indios inca utilizzati per il lavoro nelle encomiendas o, come in questo caso, come portatori e ausiliari in armi. Attratto come gli altri conquistadores dalla sete di oro e altri preziosi, Almagro trovò tutt’altro in Cile, affrontando il rigidissimo inverno delle Ande. Giunti decimati alla regione di Nuble, gli esploratori ebbero in questo frangente il primo scontro armato con i Mapuche, lungo le sponde del fiume Itata: la battaglia di Reinohuelén, l’inizio della Guerra di Aràucania. Era il 1536. Sconfortato, Almagro fece dietro front cercando di riguadagnare la volta del Perù, scegliendo però stavolta la strada lungo la costa, attraversando perciò il deserto di Atacama. In pochi tornarono a Cuzco insieme ad Almagro, ed in condizioni pietose. L’esito disastroso di questa prima spedizione scoraggiò solo brevemente eventuali emuli. 16
Nel 1541 un altro dei luogotenenti di Pizarro, Pedro de Valdivia, guidò una seconda spedizione, la quale ebbe più successo. Egli fondò Santiago, l’attuale capitale del Cile, ed altre città come Serena, Concepción, La Imperial, ed assoggettò le tribù picunche al lavoro forzato. Gli spagnoli bramavano il controllo delle valli a Sud del fiume Bìobìo, da cui era possibile all’epoca ricavare grandi quantità di oro alluvionale. Questo era necessario al nuovo governatore per far attirare in Cile altri sudditi spagnoli, così come a legittimare la sua conquista. Tutta la popolazione non europea veniva impiegata come lavadores, ossia setacciatori, un lavoro molto duro che per gli indigeni era privo di significato. Valdivia guidò diverse spedizioni a sud del Bìobìo, sconfiggendo a più riprese le tribù mapuche ed espandendo il dominio coloniale, fondando piazzeforti e stazioni commerciali. In queste occasioni spesso Valdivia dimostrò la sua crudeltà: era usanza mutilare, tagliando mani o piedi, i prigionieri sconfitti, di modo che servissero da monito scoraggiando i mapuche. Il mito dell’invincibilità delle forze spagnole si infrange nel 1553, a Tucapèl, 600 chilometri a Sud di Santiago. Qui Pedro de Valdivia viene sorpreso, con poche centinaia di spagnoli e qualche migliaio di “yanaconas”, da una soverchiante forza indigena. Il massacro che ne seguì, nella quale venne giustiziato lo stesso governatore, portò al primo sollevamento generale mapuche, che durò fino al 1557 e provocò la distruzione di diverse città fondate dai conqusitadores. E’ in questo periodo che i popoli di etnia mapuche cominiciano ad assimilare alcune delle arti e delle tecniche degli europei. Impararono a costruire fortificazioni, a combattere in formazione e divennero maestri nell’arte dell’equitazione. Sopratutto, si abituarono a formare ampie confederazione guerriere, i Butalmapu, l’unica formazione politica capace di comporre un fronte comune contro gli spagnoli. 17
I TOQUIS DELLA GUERRA DI ARAUCO Tra i mapuche, come abbiamo detto, non esistevano nobili, re, governatori. La concezione fortemente collettivista delle comunità mapuche non da importanza a dinastie o genealogie, e spesso le fonti spagnole confondono i nomi attribuendoli ad altri. Di alcuni capi sappiamo invece abbastanza, anche se le tracce si mescolano con la leggenda o con il romanzo. I Toquis venivano eletti dall’assemblea dei loncos, il Aillarehue. Più Aillarehue formavano il Butalmapu, che eleggeva un Butal-Toqi, o Gran toqui in spagnolo. Il primo che citiamo è Michimalonco. Egli era un Picunche, abitava la valle del fiume Aconcagua con la sua tribù, e negli anni precedenti all’arrivo di Valdivia ebbe incontri e scontri con gli Inca, i quali avevano stabilito in quella zona la più meridionale delle loro province. Egli assistette all’assoggettamento delle genti che abitavano attorno a Santiago, vide le loro miserabili condizioni sotto il dominio spagnolo, raccolse attorno a sé migliaia di guerrieri e scatenò un violento attacco contro gli invasori. Santiago de Chile fu quindi ad un passo dalla distruzione l’11 settembre del 1541, poco più di 6 mesi dopo la sua fondazione. I mapuche bruciarono quasi tutte le costruzioni e uccisero buona parte dei coloni: in questo episodio fu Inés Suárez, la compagna di Valdivia, a guidare la difesa della città. La sua figura ha avuto notevole fortuna letteraria grazie ad un romanzo dedicatole da Isabel Allende. Di fatto, una delle poche donne delle quali siano rimaste testimonianze rilevanti in tutta la storia della colonizzazione delle Americhe. L’attacco contro Santiago non riuscì del tutto, e negli anni successivi gli spagnoli imposero il proprio controllo su tutto il territorio abitato dai picunche. Michimalonco terminò i suoi giorni come yanacona, come comandante degli indios ausiliari al servizio del suo nemico. 18
Lautaro, o Leftraru, è forse il più rinomato tra tutti i Toquis mapuche. La sua figura è stata idealizzata e posta a simbolo complessivo della resistenza indigena, assurgendo a vero e proprio eroe nazionale cileno, oltre ad essere uno dei personaggi storici più noti. In realtà, quello che sappiamo della sua vita si mescola con la leggenda, e con il personaggio letterario, e certamente assistiamo ad una qualche sorte di caratterizzazione di stampo politico dell’individuo. Nacque tra il 1530 e il ‘35, nella regione di Nuble, o forse nell’Araucanìa propria. Quand’era ancora bambino, il suo Lof fu attaccato dagli spagnoli di Valdivia, e lui fu catturato, divenendo parte della servitù. Si racconta che fu paggio, o valletto, del governatore stesso. Passò alcuni anni sotto il giogo della schiavitù, assistendo alle atrocità commesse dei conquistadores. Probabilmente covò un grande odio nei confronti dei sui padroni, e studiò le ragioni del loro strapotere militare. Capì che le armature e le lame d’acciaio, l’uso della cavalleria e delle armi da fuoco, unite alla disciplina degli hidalgos permettevano agli spagnoli di sconfiggere forze indigene enormemente più numerose. Intuì che la debolezza degli invasori era il loro numero esiguo, sparpagliati su di un enorme territorio. Nel 1551 fuggì da Santiago e tornò dalla sua gente: era figlio di un lonco, dovette vincere la reticenza di alcuni, ma infine gli fu permesso di assumere il ruolo di Toqui e dirigere la guerra contro Valdivia. A Lautaro si attribuisce l’introduzione dell’uso della cavalleria e delle tecniche di guerriglia da parte dei Mapuche. Organizzò una gerarchia militare, e un servizio di spionaggio capace di monitorare i movimenti spagnoli. Le innovazioni di Lautaro, oltre che la sua predisposizione al comando e il suo genio miliare, permisero ai mapuche di cogliere la prima importante vittoria, il massacro di Tuchapel, citato nel capitolo precedente, nel dicembre del 1553. Lautaro potè sì vendicarsi dell’odiato Pedro de Valdivia, ma non potè approfittare dell’occasione per cancellare la presenza spagnola in Cile: non solo 19
le vari divisioni territoriali mapuche non avevano mai raggiunto un’unità politica, ma inoltre i riti di guerra prevedevano lunghe ed elaborate celebrazioni, per festeggiare la vittoria appena ottenuta e per commemorare propriamente i caduti. Passarono 2 mesi, durante i quali a Valdivia era succeduto Francisco de Villagra, ed entrambi gli schieramenti si erano riorganizzati. Lautaro aveva condotto i suoi guerrieri molti chilometri più a Nord, alla foce del Bìobìo. Gli spagnoli, di contro, avevano abbandonato dopo la battaglia di Tucapel, molte piazzeforti del Sud. Lo scontro avvenne il 20 febbraio, in quella che viene ricordata come Battaglia di Marihueñu. Questo fu un altro enorme successo di Lautaro e del suo successore, Caupolicàn, nel quale riuscirono ad uccidere numerosi spagnoli. Successivamente, i mapuche diedero alle fiamme Concepción e tutti gli insediamenti a Sud del Bìobìo ma, nuovamente, le cerimonie prescritte dall’Admapu impedirono a Leftratru di cacciare definitivamente gli spagnoli. Fu a questo punto che tra i Mapuche si diffuse la prima delle crisi epidemiche dovute al contatto con gli europei. Probabilmente tifo, o febbre tifoide, quello tra il 1554 e il 1556 fu un violentissimo focolaio che uccise decine di migliaia di indigeni. Lo chiamarono Chavalongo, una parola mapudungun che indica un malessere alla testa: così verranno poi chiamati quasi tutti i mali patogeni che a più riprese decimarono la popolazione originaria del Chile. Unito ai sacrifici della guerra e alla siccità, cui succedette una grave carestia alimentare, il chavalongo disperdette la forza militare cui Lautaro poteva fare affidamento. Con poche centinaia di guerrieri marciò ancora a Nord, oltre il Bìobìo, verso Santiago. Nel frattempo, iniziò a raccogliere nemici anche tra i loncos, alcuni dei quali desiderava la fine delle ostilità, e tra i picunche del Nord, i quali, se non si univano alla causa di Lautaro, ne subivano le ire. 20
Il 30 aprile 1557 Villagra organizzò un’imboscata, la battaglia di Mataquito, sorprendendo i Mapuche. Lautaro cadde in battaglia ed il suo esercito si disperse. Su Caupolicán abbiamo ancora meno certezze. Quasi tutte le notizie che lo riguardano, così come gli altri toquis del periodo, compreso Lautaro, derivano da La Auracana, poema epico scritto da Alonso de Ercilla, un intellettuale spagnolo della corte di Filippo II che in gioventù aveva passato 2 anni in cile. Caupolicàn è il protagonista di buona parte dell’opera, nella quale si narra la sua elezione a toqui: nel II canto del poema, di fronte all’assemblea dei loncos, egli solleva un grande tronco d’albero sulla spalle, tenendolo sollevato per giorni interi, intonando litanie di guerra per incitare i guerrieri mapuche. L’altro emblematico episodio, anch’esso ascrivibile alla tradizione romanzesca più che a un vero fatto storico, riguarda la sua fine. Sconfitto e catturato dagli spagnoli, costretto a sfilare verso il luogo della sua esecuzione, la sua compagna, Fresia, abbandonò il nenonato che aveva avuto da Caupolicàn ai suoi piedi, dicendo che non avrebbe cresciuto il figlio di uno sconfitto. Entrambi gli episodi vanno considerati come prodotti di fantasia, ed offrono un chiaro esempio di come le testimonianze spagnole stigmatizzino profusamente i Mapuche come barbari, o selvaggi, seppur valorosi. Caupolicán fu luogotenente di Lautaro, guidò brevemente la guerra dopo le sua morte. Dopo la ribellione condotta da questi due toquis, l’Impero spagnolo grandi risorse per assicurare le conquiste il regno del Cile. Ricostruire le colonie date alle fiamme richiese tempo, ma il conflitto con i mapuche non toccò più l’intensità del quinquennio tra 1553 e ‘58 per più di quarant’anni. Nel 1598 le condizioni di schiavitù in cui vivevano i lavaderos e il continuo espandersi della rete di insediamenti spagnoli provocarono la Seconda grande ribellione Mapuche: un altro rinomato toqui, Pelantaro, riuscì a sgominare in 21
un’imboscata una intera colonna spagnola, uccidendo l’allora governatore Martín García Óñez de Loyola. La battaglia di Curalaba, conosciuta come “Desastre” dagli spagnoli, innescò un poderoso sollevamento ed in pochi anni tutte le città a Sud del fiume Bìobìo vennero abbandonate o distrutte. Si trattò di un colpo durissimo per il Regno del Cile, il quale abbandonò quasi completamente l’idea di espandersi oltre il fiume, che divenne la vera e propria frontiera per più di due secoli. I due grandi sollevamenti mapuche (1553-58 e 1598-1602) ed il perenne stato di guerra lungo la frontiera così costituitasi portarono con il tempo le due parti a tentare altre vie per risolvere il conflitto. Si erano così costituite le condizioni per il primo Parlamento Mapuche, nel 1641. L’EPOCA DEI PARLAMENTI o DEI KOYANG Il Parlamento di Quilín, nel 1641, fu di importanza fondamentale e di fatto aprì una nuova era nel rapporto tra spagnoli e popoli originari. Fu di fatto un incontro tra il governatore López de Zúñiga e diversi loncos, cacicchi e toquis di vari lof, a rappresentazione di buona parte del popolo Mapuche. Il punto fondamentale fu il riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità Mapuche in tutte le terre a Sud del fiume Bìobìo, che diventava la frontiera di fatto, con il conseguente abbandono degli insediamenti ancora abitati. L’Impero spagnolo riconosceva dunque al popolo Mapuche lo status di alleato, così come i Mapuche si configuravano come nazione che si relazionava con gli spagnoli. Tutti i successivi parlamenti ebbero come base giuridica quello di Quilín, e la stagione di questi incontri diplomatici perdurò due secoli. Almeno fino al Parlamento de Tapihue del 1825, con la nuova nazione Cilena e non più con la colonia spagnola e i suoi governatori. 22
Da parte mapuche, la necessità di raggiungere un’intesa con la colonia spagnola dopo un secolo di guerra, epidemie e carestie era impellente. I capi mapuche erano naturalmente predisposti ad una diplomazia fatta di incontri, lunghi discorsi e scambi di doni, anche se erano dovuti diventare feroci guerrieri. Questi nella tradizione admapu si chiamano Koyang. Nel XVII secolo assistiamo quindi ad un certo assestamento. Le usanze mapuche subirono nel frattempo l’influenza delle novità portate dagli spagnoli. I mapuche divennero allevatori di ovini, bovini, suini e cavalli, costituendo grandi allevamenti e mandrie. Alcuni loncos si ritrovarono, in maniera inedita, a possedere numerosi capi di bestiame, e divennero ricchi. L’organizzazione del lavoro rurale mapuche, prima prevalentemente collettivizzato in ambito familiare, ne fu stravolta, giacché ora alcuni proprietari potevano assumere manodopera. La necessità di terra per questa attività provocò la migrazione verso Est, nelle valli andine prima e poi svettando e raggiungendo la pampa argentina, di parti di popolazione che lì si stabilirono. In questo contesto cominciarono ad apparire nella società mapuche il denaro e gli alcolici. La frontiera era dunque permeabile a scambi commerciali e non, nella forma di mercanti crioli o missionari gesuiti. Il cristianesimo d’altro canto non attecchì per nulla a Sud del Bìobìo, almeno fino al XIX secolo. Nel frattempo la vita sociale ed economica del Cile andava definendosi. La sua remota collocazione geografica fu il principale elemento che contribuì a farne la più povera e più pericolosa tra le colonie spagnole del Nuovo Mondo. Trovata questa intesa temporanea con il popolo della terra, il Regno di Cile fu vittima di tra ‘600 e ‘700 di numerosi attacchi pirata da parte di inglesi e olandesi, che ne razziavano i porti. I coloni spagnoli scoprirono a loro spese che il Cile è paese con la più intesa attività sismica al mondo. La terra trema violentemente ogni pochi anni: il terremoto del 1647 rase al suolo Santiago per la seconda volta. La vicenda economica del Cile nella storia moderna lo vede subordinato e 23
fornitore della più florida economia del Viceregno del Perù, cui a sua volta era imposto un monopolio di scambio con la Spagna peninsulare. Il Cile esportava carne sotto sale, cereali e minerali dalle miniere del Nord. Nel corso del 1700 le colonie dell’Impero spagnolo subirono gli effetti delle riforme “illuminate” della nuova monarchia borbonica. La centralizzazione verso la Spagna assoluta significò una minore autonomia politica, una maggiore pressione fiscale a fronte di una più pesante amministrazione, e in definitiva un aumento costante del malcontento verso la madrepatria da parte delle elité coloniali. La pace raggiunta non fu mai totale, ed altre rivolte e sollevazioni scoppiarono nel 1655-60, nel 1723, nel 1769. Ma in questa epoca si posero le basi di una convivenza in qualche modo pacifica. Entrambe le parti compresero che quello con le armi in pugno non era l’unico scambio possibile. 3. MAPUCHE E CILENI L’INDIPENDENZA DEL CILE Nel 1700 assistiamo all’apice della lunga crisi dell’Impero spagnolo. La guerra di successione tra la principali potenze europee ad inizio secolo, il cambio di monarchia ed i continui attriti con le nascenti potenze coloniale di Olanda e Inghilterra, avevano reso precario l’equilibrio nei vasti domini della corona. Le riforme borboniche nei domini coloniali avevano inasprito i rapporti con amministratori creoli e le strutture ecclesiastiche d’oltremare. Fu Napoleone nel 1808 a porre fine all’Antico regime in Spagna, invadendola e costringendo l’imperatore all’abdicazione. L’assenza dell’elemento unitario della monarchia universale e la successiva approvazione della Costituzione repubblicana a Cadice nel 1812, scatenarono il ventennio di guerre d’Indipendenza Ispanoamericane. 24
In Cile la guerra durò durò 13 anni e vide affrontarsi, come altrove, i repubblicani indipendentisti e coloro che volevano preservare la monarchia. Alle tribù mapuche le ragioni di questa guerra parvero incomprensibili . Quelle che presero le armi e si unirono al conflitto, lo fecero dalla parte dei realisti, infrangendo le speranza di coloro che avevano idealizzato una fratellanza patriottica tra cileni e mapuche. La guerra fu lunga e sanguinosa, ma infine i fedeli alla corona furono sconfitti e nacque la Repubblica del Chile. I rappresentanti della neonata nazione incontrarono quelli mapuche nel 1825, in occasione del Parlamento di Tapihue. In questo fondamentale koyang la repubblica cilena riconosceva l’esistenza di una “grande famiglia mapuche” posta all’interno dei confini della nazione. Gli individui che ne facevano parte divenivano cittadini cileni, con tutte le prerogativa, i diritti e i doveri che ne derivano. Si conferma il confine del fiume Bìobìo, e si fa divieto di nuovi insediamenti oltre di esso. Purtroppo l’importanza di questi accordi è più simbolica che altro. Già nei decenni successivi gli attriti tra mapuche e huincas ripresero. La repubblica era fragile, e più volte nel corso del 1800 scoppiarono guerre civili o colpi di stato, nelle quali furono coinvolti anche popolazioni indigene. Nel frattempo, Santiago dovette affrontare anche l’inasprirsi delle relazioni diplomatiche con Perù e Bolivia: il contenzioso riguardava le aree minerarie delle zone di Antofagasta e Atacama, al confine Nord. Tra il 1836 e il 1839 si registra un violento conflitto che coinvolse Perù e Bolivia, riunitesi in una confederazione sovranazionale con a capo Andrés de Santa Cruz, da un lato, e Cile ed Argentina, alleatesi contro questa minaccia, dall’altro. Altre guerre scoppiarono nella seconda metà del secolo, come la Guerra Ispano-Sudamericana (1865-66) tra le flotte della Spagna e quelle delle sue ex- colonie, o la Guerra del Pacifico (1879-84) detta anche guerra del salnitro, nella 25
quale il Cile dovette affrontare Perù e Bolivia, sconfiggendole ed espandendosi verso Nord. Vale a questo punto la pena citare il curioso caso di Orélie Antoine de Tounens. Questo francese, letta La Auracana di Alonso de Ercilla, si propose di divenire il re della “nazione mapuche”. Si imbarcò per il Cile nel 1858 e due anni più tardi, più o meno univocamente, dichiarò il suo dominio sul “Regno dell’Araucania”, cui più tardi si aggiunse il territorio della Patagonia. Antoine de Tounens passò alcuni anni presso i lof della zona del Bìobìo, senza che questi mai gli riconoscessero alcuna autorità. Il più noto lonco dell’epoca, Quilapán, ebbe contatti con lui e forse immaginava di riuscire, attraverso questo bizzarro europeo, ad instaurare rapporti diplomatici con la potenza francese. Orélie Antoine fu poi arrestato, processato e rimpatriato forzatamente in Francia, dove morì in miseria, dopo aver pubblicato alcune sue memorie, nel 1878. LA PACIFICAZIONE DELL’ARAUCANIA Il titolo del paragrafo è una provocazione. Si tratta di un brutto scherzo storiografico. Pacificación de a Araucanía è il nome dato ad un progetto di invasione delle regioni occupate dei Mapuche presentato al congresso del Cile dal colonnello Cornelio Saavedra Rodríguez nel 1861. E’ anche il nome che la narrazione ufficiale cilena assegnò all’occupazione violenta che ne seguì, dal 1866 in poi. L’Occupazione dell’Araucania, come viene chiamata oggi, è forse il più tragico capitolo della storia del popolo della terra. Avventurarsi nell’analizzare questo processo e le sue conseguenze è operazione scivolosa. Ad esso, più che ai tre secoli di guerra con l’Impero Spagnolo, più che alle atrocità commesse dai conquistadores e dai governatori di Santiago, dobbiamo ricondurre le origini di quello che oggi è inteso come 26
conflitto Mapuche. L’intero specifico universo culturale di cui i mapuche sono eredi subì una azione di violenta deterritorializzazione e altrettanto violenta riterritorializzazione, e ancora stenta a riequilibrarsi. Proviamo ad andare con ordine. Il concetto di continuità territoriale faceva ben parte della retorica sulla costruzione della Nazione sovrana ottocentesca. Ad essa il Cile non era estranea, nonostante le vicende interne ed esterne descritte nel precedente capitolo ne minassero talvolta le aspirazioni in termini di potenza ed equilibrio. L’economia cilena era però in crescita, così la demografia, che permise di colonizzare la regione di Aysen, nel lontano Sud, e di riabitare Valdivia, ed altrettanto si può dire della società, nella quale si sviluppo un’opinione pubblica di un gusto positivista e, talvolta, evoluzionista. Che una parte di quella che reclamavano come terra cilena rimanesse de facto indipendente, nonché abitata da questi indigeni che non costruivano città, né strade o ferrovie, e che quindi non erano “civilizzati”, divenne col tempo un problema urgente per intellettuali e politici, nonché investitori, cileni. Le vaste estensioni territoriali fertili della regione dell’Araucania erano perciò un obiettivo che divenne da politico a militare. Il piano fu proposto da Cornelio Saavedra Rodríguez, e il governo del presidente Manuel Montt lo approvò. Esso prevedeva l’invasione ed il saccheggio di numerosi insediamenti e proprietà mapuche fino al fiume Malleco, la costruzione di piazzeforti militari in tutta la regione, l’esproprio forzoso di tutti i terreni fertili. Le operazioni militari cominciarono nel 1866, l’avanzata dell’esercito cileno fu rapida e violenta. Il numero di morti e di feriti nelle varie fasi del conflitto è sconosciuta, ma moltissime proprietà indigene furono saccheggiate, i superstiti deportati. Saavedra riuscì a fondare, come si era prefissato, forti e città, e nel tempo sorsero strade, porti, ferrovie, ospedali, e le rete elettrificata. Le forze armate cilene erano seguite a poche distanza da un secondo esercito, composto da impiegati fiscali, agromensori e tecnici, i quali fornirono ai 27
mapuche rimasti senza terra un titulo de merced, o grazia, con la quale lo stato cileno gli riconosceva la proprietà di una minuscola porzione del territorio che la loro comunità, o lof, possedeva precedentemente. Questo meccanismo recluse i mapuche, prima sparpagliati in grosse comunità in tutta la regione, in piccole reducciones, privando loro del diritto dell’utilizzo dei pascoli, dei boschi, dei fiumi. La terra concessagli era povera, e ne derivarono contese e violenze. Ai soldati che avevano prestato servizio nell’occupazione, così come ad ondate di famiglie di coloni europei, vennero invece svenduti ampi terreni per pascolare il bestiame, ed i diritti di sfruttamento delle risorse naturali. I Mapuche si ribellarono: Quilapán è il nome del lonco che per ultimo guidò una rivolta contro gli huincas, riunendo migliaia di guerrieri e dandosi alla guerriglia e all’assalto dei nuovi insediamenti commerciali cileni. Le ostilità furono intramezzate da periodi in cui vennero istituiti dei parlamenti, di breve durata. L’avanzamento della tecnologia bellica cilena aveva reso una resistenza vera e propria impossibile. I sollevamenti non cessarono però fino al 1881. Esausti della atrocità della guerra, i butalmapu, le confederazioni guerriere, si sciolsero. I mapuche si ritirarono nelle reducciones assegnategli dal governo cileno, oppure migrarono verso Est, oltre le Ande, in Argentina, dove non li attendeva sorte migliore. Negli anni ‘70 del secolo XIX, infatti, anche lo stato atlantico diede il via alla conquista del desierto, un analogo massacro. Altri mapuche migrarono verso Sud, altri verso l’alto, ossia sulle pendici andine. Numerosi, infine, vennero integrati nelle nuove imprese agricole sorte nei territori che vennero loro espropriati. Anche se l’Occupazione propriamente detta si situa cronologicamente tra il 1866, anno di inizio del Plan Salveedra, ed il 1883, anno della terza fondazione della città di Villarrica, le sue modalità divennero pervasive e caratterizzarono tutte le relazioni tra indigeni e huincas fino al buona parte del ventesimo secolo. Gli investimenti agrari nella regione, uniti all’impressionante immigrazione di manodopera europea, tra cui numerosi italiani, trasformarono l’aspetto delle valli attorno al Bìobìo. Gli espropri forzosi continuarono, così come le violenze e gli 28
inganni dei coloni e degli addetti statali cileni. Mapu in mapudungun vuol dire terra, mentre Che vuol dire popolo. Nel corso di quindici anni di violenze inaudite, il popolo mapuche era rimasto senza terra. Dei grandi raggruppamenti familiari-regionali rimase traccia solo intuitivamente, analizzando il numero di migliaia di riserve indigene in cui ora i mapuche vivevano nella condizione di campesinos, braccianti senza terra. Solo alcuni lof mantennero la loro unità, attorno ad un Rehue o ai cimiteri ancestrali. L’identità stessa degli individui mapuche iniziò ad essere stigmatizzata negativamente, con il loro ingresso come classe proletaria agraria nella società cilena, e si impose la discriminazione etnica. La violenza di questo processo di segregazione territoriale raggiunse l’apice nel 1934 con il Massacro di Ránquil, nella quale esplose la tensione tra forze di frontiera e campesinos indigeni. LE LOTTE MAPUCHE NEL ‘900 Le condizioni di vita del popolo mapuche andarono quindi peggiorando nei primi decenni del ‘900. Attraverso leggi agrarie ed aste, anche le reducciones garantite attraverso i titulos de merced andarono frazionandosi. Come conseguenza al tremendo impoverimento delle proprie comunità molti giovani mapuche cominciarono a migrare verso Nord, cercando lavoro nella periferie delle nascenti metropoli o nelle imprese minerarie. Molti scelsero di rinunciare ad identificarsi individualmente come membri del popolo Mapuche. In questo momento di grande difficoltà, sorsero le prime associazioni indigene. Perduta la loro sovranità territoriale, messa a repentaglio la loro stessa identità, abbandonata ogni speranza di far valere le proprie ragione con la lancia in pugno, il popolo mapuche dovette ripensarsi e riorganizzarsi. 29
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