Essere un vero test proiettivo - Smart Marketing
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Il film 365 e le accuse di misoginia, sessismo e violenza: quando il film può essere un vero test proiettivo. Il lavoro del critico, si sa, è quello di valutare la qualità di un’opera, in questo caso cinematografica, di interpretarne le dinamiche e/o di valutarne eventuali difetti o pregi, sia di forma che di contenuto. Ma il lavoro del critico è anche un lavoro piuttosto creativo: egli talvolta scorge nelle trame e nei personaggi dinamiche psicologiche di cui gli stessi sceneggiatori sono ignari ed attribuisce al regista, in alcune occasioni, intenzioni che lui non si sarebbe mai sognato di esprimere. Magari queste intenzioni erano inconsce, ma se addirittura Freud spesso forzava la mano attribuendo ai pazienti intenzioni dettate da pulsioni sessuali recondite, figuriamoci se questo errore non viene commesso da chi di mestiere non fa di certo lo psicoanalista! Lungi da me l’idea di mettere in discussione il creativo lavoro del critico, anzi la mia è quasi una lode a chi spesso è più creativo dell’oggetto stesso della sua critica, tuttavia ciò che voglio sottolineare è che in questo lavoro vengono spesso proiettate le proprie dinamiche psicologiche. Questo avviene in ognuno di noi mentre guardiamo un film e un critico, essendo prima di tutto uno spettatore, non è esente da questo meccanismo, per cui se parliamo di proiezioni psicologiche non stiamo parlando delle proiezioni del critico, ma dello spettatore in senso lato. A n n a M a r i a S i e k lucka in una scena del film. Un film che ultimamente ha suscitato critiche polemiche, che sta dando alla luce il suo sequel e ispirato proiezioni psicologiche è uno degli ultimi arrivati sulla piattaforma Netflix, “365”, diretto dai registi Barbara Białowąs e Tomasz Mandes e interpretato da Michele Morrone e Anna Maria Sieklucka. Si tratta fondamentalmente della storia di un giovane boss mafioso che rapisce una donna, dalla quale è ossessionato, e le propone una sorta di dinamica perversa e “gentile” nello stesso tempo: se entro 365 giorni non si innamorerà di lui, la lascerà andare senza toccarla. Il resto è solo un contorno la cui funzione è quella di
sostenere questa perversa dinamica. In sé già la presentazione dei personaggi la dice lunga su come evolverà la storia, poiché gli autori presentano immediatamente la complementarità dei due protagonisti. Lui un ossessivo dai tratti psicopatici che cerca l’amore della sua vita e ovvio, essendo un mafioso, non può mica cercarlo seducendo con il suo fascino una donna ad una festa di compleanno tra matricole universitarie, ma la costringe con la forza. Già questo fa storcere il naso ad alcuni critici che sembrano dimenticare che si parla, seppur in chiave erotica, di un personaggio di mafia e già questo mette lo spettatore in una condizione che lo allontana da pensieri di imitazione e/o esaltazione delle sue gesta. Lei invece è una donna frustrata sessualmente, trascurata dal suo fidanzato. Il regista ha già costruito i tasselli di due persone complementari destinate, nel bene o nel male, ad unirsi. Ma c’è chi, addirittura, ci ha visto un’istigazione al rapimento, alla violenza o addirittura un’esaltazione della misoginia. Insomma, signori, tutti sanno che un film deve avere “un conflitto” su cui far reggere la sceneggiatura ossia una dinamica insolita, fuori dal comune, qualcosa che nella vita normale è considerata sbagliata, proibita e, ovviamente, illegale. Se non fosse così, andrebbero censurati tutti i film in cui i rapinatori la fanno franca e vivono, come da cliché, su un’isola tropicale sorseggiando pina colata e godendosi i soldi della rapina dinanzi al mare. Ma in questo film il rapimento della donna e la proposta di farla innamorare entro 365 giorni senza toccarla se non sarà lei a decidere, non vuole affatto dare ad intendere che basti rapire una donna per farla innamorare, come alcuni critici hanno voluto sottolineare. Il rapimento è solo una scusa bella e buona per creare una dinamica che veda insieme la classica vittima e il classico carnefice, dove è la vittima che decide, in realtà, come dirigere la relazione. Qualcosa gli autori dovevano inventarsela, no? Se in un film si vuole dar vita ad un carnefice (che poi non lo sarà più di tanto) bisogna creare un contesto adatto, e quello del rapimento è una delle strategie possibili per creare il conflitto. Chi dovesse davvero sentirsi istigato a commettere un atto del genere o ad imitare le gesta di questo mafioso, probabilmente, avrebbe seri problemi a rapportarsi con la realtà e avrebbe già tendenze criminali, senza necessitare dei suggerimenti di qualcun altro, addirittura di un film. E la misoginia per la quale il film è stato accusato? Da un punto di vista prettamente clinico, ho imparato che il misogino odia le donne e in questo film c’è tutt’altro. Possiamo parlare di possessione patologica, ossessione di sicuro, ma l’attrazione ossessiva che nutre il protagonista verso la protagonista può essere definita misogina solo da chi non ha idea del senso clinico del termine.
U n a s c e n a d e l f i l m 3 6 5 con Michele Morrone e Anna Maria Sieklucka. Ma veniamo al “sessismo”, e anche qui c’è bisogno di qualche precisazione lessicale. In questo film non c’è alcuna discriminazione sessuale. Abbiamo una donna rapita che, come ovviamente accadrebbe nella realtà, si ribella, ma non si intravede alcuna forma di discriminazione, che sarebbe peraltro anche inutile sotto l’aspetto narratologico; l’unica cosa che spicca è che la vittima comincia un gioco sottilmente perverso. Il messaggio, oserei dire scontato, che è presente in tutti i film in cui c’è un gangster potente è che tutti i personaggi, uomini e donne che siano (e quindi senza distinzioni di genere), fanno ciò che il boss comanda solo perché hanno paura e non perché la ritengano cosa giusta. Magari possono non piacere le perversioni o le scene di sesso, ma questa è un’altra storia nel merito della quale non mi interessa entrare. Un film ha una trama che può piacere o meno e l’unica cosa che si possa fare è decidere se vederlo oppure no. Quando in apertura ho parlato di proiezioni, evidenziavo come un essere umano possa vedere in un film dinamiche che appartengono al proprio immaginario, determinato dalla sua educazione, dalle sue esperienze, da credenze radicate nel tempo e, perché no, da qualche trauma. In quante occasioni, vedendo un film in cui apparivano dei criminali, alcuni si sono identificati nella parte del poliziotto e altri in quella del rapinatore? Ci siamo chiesti il perché di queste differenze dinanzi alla stessa pellicola? Alcuni, di sicuro, hanno scelto in base alla simpatia che suscitava in loro il protagonista. Molte volte abbiamo parteggiato per il cattivo solo perché interpretato dal nostro attore preferito, ma, in altre occasioni, il fatto di sostenere il poliziotto o il criminale è determinato da esperienze passate che ci hanno in qualche modo segnato. Ad esempio se una persona ha subito un torto da parte di un’istituzione che, magari per qualche
errore, si è accanita contro di lei sotto l’aspetto giudiziario, facilmente conserverà un senso di rancore verso ogni forma di giustizia, come rappresentante di quella che tanto l’ha fatta soffrire, e più facilmente si identificherà nel criminale del film e parteggerà per lui. Di contro, chi ha subito una violenza, un furto ecc proverà rancore, e giustamente, verso i criminali ed ecco che, nello stesso film, vedrà con occhi diversi il rapporto tra la polizia “buona” e il criminale “cattivo”, sperando che quest’ultimo non la faccia franca. Ogni spettatore, compreso un critico, porta con sé le proprie esperienze, sono queste ad averlo forgiato, ad aver suscitato in lui convinzioni radicate e/o addirittura ideologie. In un film in cui il tema centrale è il sesso è improbabile che non emergano dinamiche psicologiche profonde in cui sentimenti di perversione, moralismo, pregiudizi facciano sentire la loro forza. Chi è attratto dalla perversione si concentrerà sulla relazione dei protagonisti, chi invece è un moralista si concentrerà sul contorno, allo scopo di vedere ancora più torbido il tutto e farne oggetto di critica. L e 1 0 t a v o l e d e l t e s t d i Rorscahch. Proprio come avviene nei più popolari testi proiettivi, come il Test di Appercezione Tematica o come il famosissimo test di Rorscahch, nonostante gli sforzi del regista, ognuno vedrà quel che vuole e diventerà il co-regista di una storia completamente nuova la cui trama è scritta a quattro mani tra lo sceneggiatore animato da tecnica e creatività e lo spettatore animato dalle sue esperienze e convinzioni. Nel classico testo di Massimo Ammaniti e Daniel Stern “Rappresentazioni e narrazioni” è ben spiegata questa dinamica proiettiva dei lettori in ogni genere letterario. Perché ho scelto “365” come esempio? Perché è uno dei film più visti e controversi dell’ultima stagione, perché sta per uscire il suo sequel e che, di sicuro, porterà con sé le stesse polemiche e le stesse dinamiche proiettive, si perché è un film che ben si presta alle proiezione di cui parlavo e anche perché conosco personalmente il
protagonista che mi ha dato una marcia in più per capire più da vicino il contenuto del film. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Wellness, alimentazione e salute, esplorati in 5 documentari Netflix Il settore del benessere negli ultimi anni è diventato un mercato miliardario, che ha attorno a sé numerosi collegamenti culturali e socioeconomici, dall’abbigliamento all’editoria, dal lifestyle al settore turistico fino alla spiritualità. Questo mondo in forte espansione è destinato a ramificarsi e a essere portatore di innovazione e, speriamo visto il periodo che stiamo vivendo, anche di un vero e proprio miglioramento del nostro modo di stare al mondo, magari più in armonia con il pianeta e i suoi abitanti. Proprio perché è un argomento interessante e vasto hanno pensato bene di dedicargli documentari e docuserie che rendono più comprensibili i numerosi meccanismi che si annidano dietro il mondo del wellness e dell’alimentazione. Ne ho selezionati 5 presenti su Netflix: “A chi fa bene il wellness“ Titolo originale “(Un)well”, una docuserie che in sei episodi racconta diverse tematiche legate all’industria del wellness: olii essenziali, sesso tantrico, latte materno e massa muscolare, digiuno,
ayahuasca, trattamento con le punture d’api. La docuserie esplora i lati estremi e controversi di questi trattamenti naturali diffusi in tutto il mondo. “Chiedi al medico“ È una docuserie in cui tre simpatici dottori, Renee, Sandro e Shalin, approfondiscono attraverso interviste ed esperimenti i più disparati campi della salute fisica, concentrandosi sul nostro corpo e le sue infinite caratteristiche. Gli argomenti trattati in “Ask the Doctor”, titolo originale, sono: obesità, sonno, allergie, dieta, dolore, geni, alcol, esercizio fisico, intestino, raffreddore e influenza, sensi, sesso. Scopri il nuovo numero: “Wellness economy” Il settore legato al benessere della persona è esploso negli ultimi anni abbracciando ben più di un mercato: alimentazione, dispositivi tecnologici, editoria, medicina, stili di vita, abbigliamento e molti altri. Il wellness, insomma, è un settore da tenere in estrema considerazione. “What the healt“ È un docu-film del 2017 che analizza e critica le ripercussioni dell’enorme consumo mondiale di carne e latticini sulla salute delle persone. È scritto, prodotto e diretto da Kip Andersen e Keegan Kuhn e ha ricevuto numerose critiche negative da medici e dietologi che sostengono che le fonti utilizzate siano distorte e le conclusioni a cui arriva molto deboli. È un documentario che sostiene la dieta a base vegetale ed il suo produttore esecutivo è l’attore Joaquin Phoenix, vegano convinto da molti anni. “Human. Il mondo dentro di noi“ La docuserie, uscita a giugno 2021, mostra in maniera coinvolgente e con l’uso di immagini spettacolari il meraviglioso funzionamento del corpo umano. Questi gli argomenti dei sei episodi di circa un’ora, disponibili anche con l’audio in italiano: reazioni, pulsazioni, energia, difese, sensi, nascita. “The Game Changers“ Documentario del 2018 diretto dal regista Louie Psihoyos, ha come protagonista James Wilks, insegnante di autodifesa che, costretto al riposo da un infortunio, usa questo tempo per trovare il metodo più efficace per recuperare la forma fisica. Lo fa intervistando diverse personalità del mondo dello sport e numerosi medici, soldati e scienziati, che approfondiscono i benefici dell’alimentazione vegana sulle prestazioni fisiche; ospiti anche l’attore Arnold Schwarzenegger e il pilota Lewis Hamilton. Questi documentari non hanno lo scopo di sostituirsi ai pareri medici o di essere una guida che possa valere per ogni essere umano ma, sicuramente, mai come in questo ultimo anno e mezzo, abbiamo imparato come l’attenzione al benessere psicofisico debba essere fondamentale per ognuno di noi ed essere una delle principali vie da perseguire nella vita di tutti i giorni. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.
Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter 5 Nuove uscite per accogliere l'estate Alle porte dell’estate tanti sono i film e le serie che ci attendono: tra le numerose uscite di giugno ci sono serie tv che hanno già trovato successo con la prima stagione, ma anche novità tanto attese. Ecco le 5 scelte di questo mese: 1) ALFREDINO – UNA STORIA ITALIANA E’ la miniserie Sky Original che porta sugli schermi una delle vicende più tragiche accadute nel nostro paese: è la storia di Alfredino Rampi, il bambino di 6 anni caduto in un pozzo artesiano nelle campagne di Vermicino il 10 giugno 1981, che dopo svariati tentativi di salvataggio, morì dopo tre giorni. Dopo 40 anni rivive l’incidente di Vermicino di quel bambino che tanto è rimasto nel cuore di tutti gli italiani e con la miniserie “Alfredino – Una storia italiana” sicuramente chi ha seguito l’evento si emozionerà con i ricordi e i più giovani conosceranno un’importante pagina di cronaca e di comunicazione mediatica. L’appuntamento è per il 21 e 28 giugno su Sky Cinema; 2) SUMMERTIME 2 “Summertime” è la serie tv diretta da Lorenzo Sportiello e Francesco Lagi, liberamente ispirata al romanzo “Tre metri sopra il cielo” di Federico Moccia. Iniziata nel 2020, la prima stagione della serie ci trasporta nella tipica atmosfera estiva della riviera romagnola, fatta di spiagge, divertimento
e amori sotto il sole. La serie racconta l’incontro tra la protagonista Summer (nome preso dalla canzone jazz “Summertime”) e il motociclista Alessandro Alba. Dopo il successo della prima stagione, la seconda, in uscita su Netflix il 3 giugno, continuerà a raccontare le vicende dei due ragazzi e dei loro amici e speriamo conservi la leggerezza dei primi episodi, insieme alla bellezza della fotografia e della colonna sonora, curata dal cantautore indie Giorgio Poi; Scopri il nuovo numero: “Holiday working” Se l’anno scorso abbiamo scoperto il remote, lo smart e il south working, oggi si fa strada un nuovo concetto di lavoro: l’holiday working. Con un pc al seguito ed una connessione a internet è possibile lavorare ovunque, mantenendo inalterati i livelli di produttività. La rivoluzione è compiuta: non importa dove lo fai, ma cosa fai! 3) SECURITY E’ il thriller italiano Sky Original, diretto da Peter Chelsom, con gli attori Marco D’Amore, Maya Sansa, Fabrizio Bentivoglio e Silvio Muccino. Ispirato all’omonimo romanzo di Stephen Amidon (autore de “Il capitale umano”), “Security” è ambientato a Forte dei Marmi, una tranquilla cittadina dove si svolge una storia che inizia da un video di una telecamera di sorveglianza. Il regista di questo film si è avvalso della collaborazione del direttore della fotografia Mauro Fiore, già vincitore del Premio Oscar per il film “Avatar” nel 2010. L’atteso film uscirà in anteprima assoluta su Sky il 7 giugno; 4) LUPIN parte 2 La serie Netflix “Lupin”, ha come protagonista Assane Diop, un ladro che per i suoi colpi si ispira al personaggio dei romanzi di Maurice Leblanc, il famosissimo Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo. Tanto è stato il successo della prima parte, uscita l’8 gennaio scorso, e molto alte sono le aspettative per questa seconda parte, in uscita su Netflix l”11 giugno. L’attore protagonista Omar Sy (“Quasi amici”, “Famiglia all’improvviso – Istruzioni non incluse”, “Mood Indigo”) è intenso e piacevole in questa serie avvincente e dinamica, seguita e apprezzata, tanto da essere stata già confermata per la terza parte; 5) SWEET TOOTH “Sweet Tooth” è la serie, tratta dall’omonimo fumetto DC Comics di Jeff Lemire, creata da Jim Mickle e prodotta dall’attore Robert Downey Jr. e sua moglie, la produttrice Susan Levin. La serie fantasy drama racconta le vicende di Gus, un bambino metà umano e metà cervo, che si unisce ad un gruppo di altri ibridi come lui, in cerca di risposte dopo un cataclisma abbattuto sul mondo. Questa serie tv, le cui riprese si sono svolte in Nuova Zelanda, andrà in onda su Netflix il 4 giugno e già si preannuncia un prodotto seguitissimo dell’enorme catalogo Netflix. Prepariamoci per l’estate, quindi, ma non perdiamo il ritmo del binge watching, non sarà la prova costume, ma l’allenamento dev’essere altrettanto costante.
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Molte sono le serie del 2020 degne di essere viste e, concentrandomi solo su quelle iniziate quest’anno, ho provato a fare una piccola selezione (non una classifica), spaziando tra generi e tematiche. Le 10 serie tv del 2020 da guardare assolutamente: 1) Unorthodox E’ una miniserie disponibile su Netflix, basata sul libro autobiografico “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche” della scrittrice Deborah Feldman. La serie racconta la storia di Esty, una ragazza di famiglia ultra-ortodossa chassidica, che a causa della sua fede non può vivere una vita normale, ma è destinata solo ad essere madre e moglie devota; quando ad Esty questa vita comincia a star stretta decide di scappare via dall’America per andare in Germania. E’ una serie che mostra un mondo con regole che ai nostri occhi risultano incomprensibili e lo fa in maniera molto elegante e toccante, in soli quattro episodi;
2) The Midnight Gospel La serie d’animazione di Netflix più surreale che ci sia. E’ nata dalle mani del regista e animatore Pendleton Ward e dal comico Duncan Trussell, che è l’autore del podcast che l’ha ispirata. Il protagonista, negli otto episodi, viaggia attraverso un multiverso di fantastici mondi, attraverso un simulatore, incontrando assurdi personaggi e affronta con loro tematiche filosofiche e spirituali, acquistando sempre maggior consapevolezza, tutto sullo sfondo di animazioni visionarie che si susseguono in un turbine di colori psichedelici; Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. 3) Romulus E’ la serie italiana del momento, creata e diretta dal regista Matteo Rovere, che narra le vicende precedenti alla nascita di Roma. La serie Sky Original, composta da dieci episodi, ricostruisce fedelmente la società in cui è ambientata, grazie al supporto di storici e archeologi. Il cast è costituito da numerosi attori visti in altri film e serie tv italiane, come ad esempio “Gomorra”. Il regista Matteo Rovere si è già cimentato in un progetto a sfondo storico con il film “Il primo re”, con protagonista Alessandro Borghi; 4) La regina degli scacchi La miniserie ideata da Scott Frank e Allan Scott, è tratta dal romanzo “The Queen’s Gambit”, dello scrittore Walter Tevis. La serie americana Netflix, di sette episodi, racconta la storia di Beth Harmon, una bambina orfana che all’età di otto anni, conosce il mondo degli scacchi a cui si appassiona in maniera viscerale. Beth inizia presto ad essere dipendente da alcol e psicofarmaci ma, nonostante la sua natura fragile, riesce a diventare una donna ed una giocatrice forte e tenace, capace di farsi strada nel mondo degli scacchi. Una serie emozionante, ricca di scenografie e costumi bellissimi, con la bravissima attrice protagonista Anya Taylor-Joy;
5) Ethos “Ethos” (titolo originale Bir Başkadır) è una serie Netflix, come “Unorthodox”, basata sulla storia di una giovane donna influenzata dalle regole della sua religione. Ci troviamo però in Turchia, ad Istanbul, protagonista degli otto episodi è Meryem, interpretata dall’intensa e bellissima attrice Öykü Karayel, che vive con la famiglia del fratello a cui è molto devota. La donna comincia ad andare da una psicologa a causa di svenimenti frequenti e da lì si snodano le storie di personaggi provenienti da differenti classi sociali con livello culturale e problemi molto diversi tra loro. “Ethos” è una serie che sta facendo molto discutere in Turchia e che affonda le radici in un profondo universo psicologico oltre che religioso. I titoli di coda sono quasi tutti accompagnati da videoclip musicali anni ottanta, un’idea molto originale per una serie tv; 6) Hollywood E’ la miniserie targata Netflix che con ironia e leggerezza affronta lo spinoso tema della discriminazione, razziale e sessuale. “Hollywood” racconta la storia di sei giovani ragazzi, aspiranti attori e registi, con il sogno di aver successo nel mondo del cinema, che dovranno scontrarsi con i pregiudizi dell’America del secondo dopoguerra. La serie di sette episodi, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, diretta da Daniel Minahan, è brillante e coinvolgente e ha come ciliegina sulla torta la straordinaria interpretazione di Jim Parsons (Sheldon Cooper di “The Big Bang Theory”) nei panni del chiacchierato agente delle star Henry Willson, realmente esistito; 7) We are who we are E’ la miniserie italo-americana diretta dal regista Luca Guadagnino per Sky Atlantic, co-creata con lo scrittore Paolo Giordano e la sceneggiatrice Francesca Manieri. Negli otto episodi viene raccontata una storia di crescita, amicizia, amore, scoperta ed accettazione di sé e degli altri, con protagonisti l’inquieto e sensibile Fraser e la bellissima e razionale Caitlin. I due adolescenti vivono in una caserma a Chioggia, base militare statunitense dove lavora il padre di lei e dove la madre di lui è diventata il nuovo comandante. Un’emozionante serie capace di coinvolgere sia i più giovani
che gli adulti, un prodotto del regista italiano che, dopo il successo del bellissimo “Chiamami col tuo nome”, torna a raccontare le inquietudini tipiche dell’adolescenza con poesia e raffinatezza e con riuscite scelte dal punto di vista degli attori, dei costumi e della colonna sonora;
8) I am not okay with this E’ la serie americana creata e diretta dal regista Jonathan Entwistle, già regista della serie “The End of the F***ing World”, e prodotta dai produttori di “Stranger Things”. La serie presente nel catalogo Netflix, è tratta da una graphic novel del fumettista americano Charles Forsman e ha come protagonista l’adolescente Sydney che improvvisamente si accorge di avere dei superpoteri, che si manifestano quando è particolarmente arrabbiata o impaurita. Una commedia dark nello stile anni ottanta, che può piacere anche ai non più adolescenti, ma c’è un però: la prima stagione composta da sette episodi pare essere anche definitivamente l’ultima, perché la serie è stata cancellata; non si può dire, quindi, che abbia avuto lo stesso successo delle altre due famose serie sopra citate; 9) The Last Dance Il successo planetario che ha riscosso la docu-serie Netflix “The Last Dance” è innegabile. Punto di forza è sicuramente il fenomeno del basket Michael Jordan e la sua squadra, i Chicago Bulls, e la possibilità che questa serie offre di seguire tutte le loro vicende, sportive e personali, nei dieci episodi che raccontano la clamorosa ascesa che la storica squadra dell’NBA ha vissuto negli anni ’90. Un bellissimo mix di spezzoni di partite e interviste a giocatori, allenatori, dirigenti e giornalisti, coinvolti nella storia del cestista icona mondiale dello sport e nelle vittorie dei Chicago Bulls, la squadra che vinse per ben sei volte il campionato NBA; 10) The New Pope “The New Pope” è la miniserie, sequel del già bellissimo e fortunato “The Young Pope”, scritta e diretta dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino per Sky Atlantic. Racconta in nove episodi l’ingresso in Vaticano di Sir John Brannox, interpretato da uno strepitoso John Malkovich, che viene nominato Papa col nome di Papa Giovanni Paolo III e subentra a Papa Pio XIII, ovvero Lenny Belardo, ovvero il fantastico Jude Law. Serie tv meravigliosa sotto tutti i punti di vista, dalla regia
agli attori, dalla sceneggiatura alle scenografie, costumi e musiche. Accanto a mostri sacri come Malkovich e Law, spicca un ineguagliabile Silvio Orlando, nel ruolo del Cardinale napoletano Angelo Voiello. Personalmente credo che questa sia, tra le dieci, quella che metto al 1° posto, assolutamente imperdibile, da vedere solo dopo aver visto “The Young Pope”. Vi consiglio di guardare tutte queste serie tv ed anche altre interessanti che ho dovuto lasciare fuori da questa selezione; non cercate solo generi che già conoscete e vi appassionano, ma provate la visione anche di quei prodotti che vi sembrano molto lontani dai vostri gusti, perché se c’è una cosa che il 2020 ci ha insegnato è che non dobbiamo mai smettere di metterci alla prova, di scavalcare i nostri limiti ed anche iniziare una nuova serie tv può essere un ampliamento del nostro piccolo confortevole mondo. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Tre novità Netflix da non perdere. Un film, un cortometraggio ed una miniserie, per accontentare proprio tutti. Tante le novità Netflix che ci tengono compagnia in questi mesi, si va dalle serie tv ai film, dai documentari alle animazioni. Ho scelto tre novità molto diverse tra loro: un film italiano, un cortometraggio animato ed una miniserie americana. 1. “La vita davanti a sé”
2. “Se succede qualcosa, vi voglio bene” 3. “La regina degli scacchi” “La vita davanti a sé” è un film con protagonista l’icona del cinema italiano Sophia Loren, diretta dal figlio, il regista Edoardo Ponti. E’ l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1975 dello scrittore Romain Gary, già portato sul grande schermo nel 1977 dal regista Moshé Mizrahi. Il film racconta la storia del piccolo Momò, un orfano di origine senegalese che va a vivere a casa di Madame Rosa, una donna anziana, sopravvissuta all’Olocausto, che ospita nella sua casa figli di prostitute. https://www.youtube.com/watch?v=En1jkf34xjc Dapprima il rapporto tra Rosa e Momò non è dei migliori, il ragazzino spaccia per guadagnarsi del denaro e difficilmente riesce a stare alle regole della signora che lo ospita, ma andando avanti con la storia il rapporto tra loro si evolverà, fino a diventare un forte legame d’amicizia che cambierà l’atteggiamento di Momò. Girato a Bari, in alcune delle vie più riconoscibili della città, il film si presenta come una storia delicata che fa riflettere, grazie anche alla forte carica espressiva della grande Sophia Loren e al volto incisivo e coinvolgente del giovane attore Ibrahima Gueye.
“Se succede qualcosa, vi voglio bene”, titolo originale “If anything happens, I love you”, è un cortometraggio animato, targato Netflix, realizzato da Michael Govier e Will McCormack. Racconta il dolore di due genitori che hanno perso la figlia di dieci anni in una sparatoria a scuola; in dodici minuti questo cortometraggio riesce a narrare la distanza che si crea tra queste due persone ed il profondo vuoto emotivo che la perdita della figlia ha portato in loro. E’ struggente, ben costruito, forte ed incisivo. https://www.youtube.com/watch?v=3kH75xhTpaM&feature=emb_logo Bellissimi disegni stile carboncino in bianco e nero, assenza di dialoghi, suoni che contribuiscono alla descrizione della storia e musiche emozionanti che accompagnano perfettamente le immagini, sono i punti di forza di questo cortometraggio, che è già entrato nella top ten italiana di Netflix e nel cuore degli spettatori.
E se parliamo di opere che sono entrate nel cuore degli spettatori, non possiamo non parlare di “La regina degli scacchi”, la miniserie Netflix più vista di sempre (come ha reso noto Netflix). Tratta da un romanzo, la serie ha come titolo originale “The Queen’s Gambit”, con riferimento al Gambetto di donna, il nome di una apertura degli scacchi. Appassionante, emozionante, avvincente, questo e molto altro si può dire di questa serie, che ha come protagonista il personaggio inventato di Beth Harmon, una bambina di otto anni che inizia a giocare a scacchi nell’orfanotrofio dove vive, grazie al custode che le insegna a giocare e scopre il suo incredibile talento. https://www.youtube.com/watch?v=Ya1MgSu8Pxc Dipendente da alcol e psicofarmaci, Beth, sin da quando era una bambina prodigio, lotta contro i pregiudizi legati al suo essere donna in un mondo di giocatori uomini e lo fa con il suo spirito combattivo e indipendente, solitario e lungimirante. Ciò che rende questa serie magnifica ed imperdibile è, accanto alle scenografie ed i costumi, sicuramente l’eccezionale prova attoriale della protagonista, l’attrice Anya Taylor-Joy, assolutamente perfetta nel ruolo della fredda e concentrata giocatrice, che è anche una donna fragile ed emotiva. Risulterà senza dubbio ancor più appassionante agli occhi di chi conosce il gioco degli scacchi, con tutte le sue strategie e la sua storia. Scopri il nuovo numero: Il Natale che verrà Che natale sarà? Difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Per tanti sarà un Natale senza un parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro, per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri. Nell’attesa di questo Natale particolare, pensiamo un po’ meno ai regali e poniamo l’attenzione sul nostro percorso interiore, sul rapporto con gli altri e dedichiamo del tempo a ciò che ci aiuta a riflettere, sia esso un ricordo, un progetto, un libro o un film, perché la motivazione per migliorarsi la si può trovare ovunque, se siamo disposti a cercarla.
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T r i s t a n H a r r i s Questo documentario unisce interviste a professionisti del settore a filmati recitati con attori, inserendo anche qualche animazione e con questa formula riesce a tenere incollato lo spettatore, nonostante la tematica ed i suoi numerosi risvolti diventino ogni minuto più inquietanti. Tra i protagonisti delle interviste spicca Tristan Harris, ex esperto di etica digitale di Google, che durante il suo lavoro si chiese se fosse normale essere così dipendenti dalle e-mail, dai messaggi e dalle notifiche e oggi spiega alla gente cosa si cela dietro tutto il mondo social. Nei suoi convegni Harris invita a riflettere su come il mondo intero stia impazzendo, su come chi lavora dietro queste piattaforme ci tenga perennemente sotto controllo, ci induca inconsciamente a modificare i nostri comportamenti non solo virtuali, ma soprattutto quelli della vita reale quotidiana. In questo documentario i vari ex dipendenti pentiti della Silicon Valley intervistati ci raccontano la pericolosa deriva della tecnologia, nata per scopi ben più nobili, come riunire famiglie distanti, velocizzare la sanità, condividere il sapere in tutto il mondo e, invece, si ritrova oggi ad essere un enorme invisibile burattinaio che gestisce, indirizza e controlla le nostre vite e le nostre scelte, che immagazzina i nostri dati 24 ore al giorno, lasciandoci solo l’illusione di avere ancora una privacy e una libertà di
pensiero. L’accusa mossa ai social, non è nei confronti del social in sé, quanto al modo in cui le grandi ricchissime aziende pagano per ricevere i dati degli utenti e non solo indirizzi e numeri di telefono, bensì stati d’animo e interessi, cosa odiamo e cosa ci piace, chi seguiamo sui social e chi amiamo nella vita reale, quanti secondi guardiamo una foto e a che ora e molto altro ancora, influenzando, così, i nostri pensieri, le nostre scelte ed i nostri comportamenti nella vita e invadendo completamente la nostra privacy. Scopri il nuovo numero: #ripartItalia Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #ripartItalia sembra utile e necessario perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite. Tutto questo controllo avviene attraverso algoritmi creati da intelligenze artificiali che selezionano i contenuti più adatti a ciascuno utente, entrando così in un’assurda competizione per la sua attenzione e per tenerlo più tempo possibile attaccato al suo device. Facile intuire che il problema non è tanto grave verso la popolazione adulta, tanto quanto lo è, invece, verso gli adolescenti, che diventano sempre meno capaci di relazionarsi faccia a faccia, di instaurare rapporti veri e sani e soprattutto di reggere ai giudizi degli altri, il tutto aggravato dal fenomeno del bullismo e degli haters, che utilizzano proprio lo scudo dello schermo per denigrare il bersaglio di turno; assistiamo così all’aumento dei casi di depressione nei giovani, sempre più soli e fragili. Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok e molti altri prendono il controllo anche dell’autostima dei bambini e dei ragazzi che, attraverso il consenso o il dissenso di estranei, costruiscono una distorta percezione della propria identità. https://www.youtube.com/watch?v=Ko2YcD0iYpc Un’altra importante intervista presente è quella all’informatico padre fondatore della realtà virtuale,
Jaron Lanier, autore del libro “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” (qui trovate la nostra recensione), che spiega il concetto di prodotto sui social: nel momento in cui noi utenti non paghiamo per utilizzare questi siti, abbiamo l’illusione di non stare comprando nulla, che non ci sia un vero e proprio prodotto da comprare e un prezzo da pagare, ma in realtà non è così, perché il prodotto siamo noi e Lanier lo spiega con questa frase “è il graduale e impercettibile cambiamento del tuo comportamento e della tua percezione ad essere il prodotto”. Lo scenario svelato da “The social dilemma” è un preoccupante quadro quasi senza via d’uscita, fatto di un aumento delle malattie mentali, della discriminazione di varia natura e della violenza, tutti problemi che partono dai social media, ma che poi si realizzano nella vita vera, ma c’è una
soluzione a tutto questo? C’è una speranza? Un modo per invertire la rotta? Il punto di partenza è necessariamente obbligare l’industria tecnologica della Silicon Valley ad applicare delle norme etiche che possano rimodulare l’utilizzo dei nostri dati sensibili, attraverso
leggi e sanzioni, ma c’è anche qualcosa che possiamo fare noi fruitori, come cancellarsi dai social (la scelta più estrema) o almeno provare ad essere più vigili durante l’utilizzo dei social network, cercando di non cadere nelle trappole delle fake news, dei siti clickbait, dei video consigliati e ridurre il tempo trascorso sui vari social. Il documentario si conclude con l’invito a visitare il sito thesocialdilemma.com (https://www.thesocialdilemma.com), con la frase “Apriamo un dialogo per una soluzione” e, infatti, credo ci sia l’urgenza di far conoscere questo docudrama, soprattutto ai giovani, magari proiettandolo nelle scuole, col fine di aprire un confronto, un momento di condivisione e conversazione, nella vita vera. Tempo di lettura: 3,83 minuti Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter E se potessi riscrivere la storia? Questa è la domanda che ci pone “Hollywood”, la miniserie ispirata agli anni d'oro del cinema americano Tra le novità Netflix spicca senza dubbio “Hollywood”, la miniserie che racconta la storia di sei giovani ragazzi ed il loro sogno di sfondare nel mondo del cinema. La brillante serie, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, diretta da Daniel Minahan, potrebbe al primo sguardo sembrare solo
leggera e piacevole ma, per fortuna, così non è. Il sogno del cinema è solo il punto di partenza, il pretesto del racconto. In realtà andando avanti con le puntate (meglio se viste in lingua originale), si capisce che quel che si vuole raccontare è molto di più. Il desiderio di soldi, successo e popolarità presto si trasforma in un potente veicolo, per un potente messaggio: l’uguaglianza. Così le vicende di questi ragazzi giovani, belli e determinati, si incrociano nella splendente Los Angeles, terra delle opportunità, dove si arriva per realizzare i propri sogni e diventare qualcuno. Non è per tutti facile però: non lo è se, ad esempio, sei un aspirante sceneggiatore di colore o un’aspirante attrice di colore, ma non è facile neanche se sei la moglie del capo dei più famosi studi cinematografici di Hollywood, da cui ci si aspetta esclusivamente che faccia la moglie. Ed è proprio davanti a questi studi, gli Ace Studios, che ogni mattina una folla scalpitante di giovani, si apposta col sogno di essere reclutati, anche solo per fare la comparsa per dieci dollari al giorno; ma su uno che viene selezionato, altri cento ne restano fuori e si barcamenano per guadagnare qualche soldo per pagare le bollette, trovando lavori anche poco convenzionali. Lo scenario qui si sdoppia: da una parte l’America fatta di fast food, lustrini, progresso e icone glamour, dall’altra quell’America ipocrita e razzista, dove il finto perbenismo dei ricchi e le discriminazioni sono all’ordine del giorno, dove le persone di colore sono escluse dai luoghi pubblici, gli omosessuali perseguitati e le donne limitate all’unico compito di moglie e mamma. Sembrano lontane queste condizioni ma, purtroppo, non lo sono e alcune vicende di discriminazioni legate alla razza di appartenenza o agli orientamenti sessuali, a cui ancora oggi dobbiamo assistere, ne sono la conferma. https://www.youtube.com/watch?v=iAvnhxXSG4c Ma torniamo agli anni ’40 e all’aspirante sceneggiatore, Archie Coleman, solo e squattrinato, che ha scritto una bellissima sceneggiatura sulla storia di Peg Entwistle, l’attrice che nel 1932 si uccise lanciandosi dalla scritta Hollywood (prima Hollywoodland), in seguito ad un flop cinematografico. Grazie a diverse vicissitudini la sceneggiatura del film “Peg” viene presa in considerazione e al suo interno convergono tutti i nostri protagonisti. Qui mi fermo con il racconto, per non cadere nello spoiler, ma vado avanti con le curiosità, dicendo che la grandezza di quella che possiamo definire un’ucronistica meta-serie sul cinema, sta nei dettagli: nel mostrare una storia alternativa a quella reale del cinema di quegli anni che conosciamo, nell’accuratezza delle scenografie, esaltate da una luminosa fotografia, nella raffinata colonna sonora swing e nella presenza di alcuni personaggi
realmente esistiti, che rendono la storia ancor più intrigante. Due su tutti, il divo amato dalle donne Rock Hudson (pseudonimo di Rock Fitzgerald) e Henry Willson, il controverso agente delle star, interpretato da Jim Parsons (presente anche tra i produttori esecutivi), il famosissimo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory, che ci regala un’interpretazione molto distante dal nerd che conosciamo, per ritrarre un meraviglioso personaggio cinico e senza scrupoli. Uno dei principali personaggi inventati, invece, è quello di Camille Washington, la ragazza che ambisce a diventare l’attrice protagonista della pellicola “Peg”, per la quale i creatori si sono ispirati a due dive realmente esistite: Dorothy Dandridge, la prima attrice afro-americana ad essere nominata agli Oscar come miglior attrice protagonista e Lena Horn, la prima attrice di colore a firmare un contratto con una major cinematografica di Hollywood. Scopri il nuovo numero > Upgrade Upgrade rappresenta l’ultimo elemento di un racconto che parte a Febbraio 2020. In questi mesi abbiamo raccontato cosa stava succedendo (Virale), ci siamo domandati come la pandemia avrebbe cambiato noi stessi e l’economia (Tutto andrà bene(?)), e abbiamo offerto soluzioni (Reset). Con questo numero abbiamo voluto fare un passo in più: immaginare un domani diverso, anche attraverso esperienze concrete. Un altro punto di forza di questa serie è sicuramente l’evoluzione della storia che, come detto, solo in apparenza è una storia superficiale, ma successivamente, puntata dopo puntata, diventa sempre più emozionante, trasformando i suoi personaggi ed il suo messaggio, diventando così una serie imprescindibile per gli amanti del cinema, ma altrettanto coinvolgente anche per i meno appassionati.
H e n r y W i l l s o n , i l c ontroverso agente delle star, è interpretato da Jim Parsons, il famosissimo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory. Un cast con molti giovani esordienti e poche guest, tra cui il già citato Jim Parsons, Mira Sorvino, Rob Reiner e l’attrice e cantante Queen Latifah, a cui è affidato un personaggio che non rientra tra i principali, ma che risulta essere comunque fondamentale. La cantante americana interpreta l’attrice Hattie McDaniel, che fu la prima donna afroamericana della storia a vincere un premio Oscar, in particolare quello come miglior attrice non protagonista, per il ruolo di Mami nel kolossal “Via col vento” ma che, purtroppo, fu protagonista anche di un avvenimento al limite dell’incredibile, che viene raccontato in una struggente scena dell’ultimo episodio della serie. Ancora oggi, se parliamo di premi Oscar, gli attori di colore, nominati e premiati, sono davvero pochi rispetto alla totalità. La serie “Hollywood” è stata presentata come miniserie, quindi, senza seguito e per ora è così, ma non è da escludere che, se dovesse ricevere il successo che merita, si possa proseguire il racconto, anche se tutte le vicende si sono concluse; uno dei protagonisti, secondo me, avrebbe ancora
qualcosa da dire e proprio per questo credo non abbia avuto un degno finale, ma staremo a vedere. La domanda con cui è stata lanciata questa entusiasmante serie è “E se potessi riscrivere la storia?” ed è rivolta proprio a noi spettatori, mettendoci davanti ad una prova: è possibile cercare di superare quelle brutte pagine di storia che, purtroppo, ancora oggi stiamo scrivendo e dar vita ad una versione alternativa del nostro presente? E’ possibile utilizzare questa drammatica situazione universale come spinta verso il miglioramento? Riusciremo a raccontare a chi non c’era, come ha fatto questa serie tv, una storia senza più discriminazioni, ingiustizie, ignoranza o sarà più facile cedere alla facile scorciatoia del giudizio ad ogni costo, anche, e soprattutto, quando non abbiamo conoscenze adeguate per poterlo emettere? Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
Il cinema e la realtà virtuale Il cinema è sempre stato levigato dalla tecnologia, dall’avvento del sonoro nel 1927 al Technicolor tra gli anni ’40 e ’50, fino ai primi esperimenti del 3D negli anni ’50. Inizialmente liquidati come investimenti costosi e spesso poco compresi dal pubblico, dopo anni di perfezionamenti questi strumenti si sono diffusi. Il XXI secolo ha già visto una buona dose di audaci innovazioni (il 4D che si è infiltrato nei cinema tradizionali, la crescita delle piattaforme di streaming), ma in un mercato sempre più competitivo, la corsa alla ricerca della prossima grande scoperta non si ferma. Tra le registe che più hanno intrapreso questa strada innovativa, spicca la figura di Tamara Shogaolu regista, artista e direttrice creativa della Ado Ato Pictures di Amsterdam. Il suo lavoro più recente è un documentario animato in “virtual reality” dal titolo Another Dream, che ha debuttato al Tribeca Film Festival, ed è un manifesto sul potere del formato. Attraverso l’uso di registrazioni audio, animazione 3D e illustrazioni a mano libera che si possono vedere tramite un visore oculus, segue una coppia lesbica egiziana che cerca asilo in Olanda dopo la rivoluzione del 2011. La novità di Another Dream è che lo spettatore non è un osservatore passivo: i partecipanti devono seguire la coppia e portare a termine delle prove per sbloccare il capitolo successivo della storia. Una delle scena più interessanti si svolge in un supermercato dove la coppia parla delle proprie esperienze legate all’omofobia in patria e anche di quelle legate al razzismo nel nuovo Paese. Durante la scena, lo spettatore è in piedi di fianco a loro, sente le loro voci e vede la gente intorno che si gira a guardare. È una cosa che riesce a coinvolgere nella narrazione molto di più che se si stesse guardando un film tradizionale. Certo, l’industria cinematografica ha poi proseguito il suo cammino nella realtà virtuale. Il maggiore successo al momento è Black Mirror: Bandersnatch, di Netflix, frutto dell’ingegno dei creatori della serie Charlie Brooker e Annabel Jones. Il protagonista del film interattivo è Stefan, un programmatore nell’Inghilterra degli anni ’80 che sta adattando un librogame in un videogioco. Lo spettatore deve prendere decisioni che portano a diversi percorsi narrativi. L’elemento interattivo funziona perché aggiunge uno strato alla storia. Gli spettatori hanno l’impressione di poter controllare il personaggio o perlomeno di poter interagire o partecipare attivamente alla storia. Il successo di Bandersnatch ha spinto il gigante dello streaming a commissionare più film e show televisivi interattivi. You vs Wild, una serie interattiva con Bear Grylls, è uscita nell’aprile del 2019 e nella seconda metà del 2020 Unbreakable Kimmy Schmidt tornerà con uno speciale interattivo. Ma questo processo di gamification sarà la nuova normalità delle produzione cinematografiche e televisive? Difficile dirlo, certo le produzioni di prodotti del genere sono ancora faticose, dispendiose e richiedono molto tempo. Funzionano bene se l’idea di partenza è originale, se può essere in grado di sconvolgere emotivamente il pubblico.
Certo, le possibilità di narrazione sono infinite, da quelle brevi di un cortometraggio a quelle infinitamente lunghe delle serie tv. Tutto sta nel creare idee originali che possano creare quell’alone di sorpresa emotiva, pari a quella che in quel lontano 1927, lasciò a bocca aperta il pubblico di una sala cinematografica di Los Angeles, il quale scoprì per la prima volta, che le gesta degli eroi del cinema, potevano essere comprese anche con l’udito e non solo con gli occhi. E poi venne tutto il resto, che è Storia, con la S maiuscola. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter La casa di carta dalla Resistenza alle canzoni: Bella ciao e tutta la musica italiana che appassiona la serie cult dal successo planetario L’arte e la musica del Bel Paese, hanno da sempre ispirato il mondo ed educato alla bellezza, nell’immaginario collettivo, infatti, l’italiano è considerato creativo, forse un po’ pittoresco, ma sempre dotato di un grande talento. Di questi tempi cupi però, credo che l’Italia abbia mostrato altre doti al mondo, doti di cui forse non siamo sufficientemente consapevoli. Le vicende legate al Coronavirus, hanno visto un’Italia più coesa e disciplinata, più solidale, ma anche capace di far fronte a situazioni complesse senza risparmiare enormi sacrifici.
È “l’Italia che resiste”, tanto cara a Francesco De Gregori, che riesce a dare un significato nuovo al concetto di “Resistenza”, svincolandolo da quello che storicamente gli viene attribuito. A dire il vero, il processo era iniziato ancor prima ed in un modo del tutto inconsapevole: ci avevano pensato Tokyo, Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Helsinki, Oslo, Lisbona, Stoccolma, Bogotà, Palermo e Marsiglia, capeggiati da “Il Professore”, personaggi della serie culto spagnola “La casa di carta”, ideata da Àlex Pina. Ma che c’entra la Resistenza italiana con quella che poteva essere una serie TV come tante altre? Chi ha già visto la serie, sa che la resistenza è la chiave di volta di una storia incentrata su un’ambiziosa rapina alla Zecca di Spagna, in cui i rapinatori vestono tute rosse e si coprono il viso usando maschere di Salvador Dalí e in alcuni momenti topici, intonano un canto a noi familiare. “Una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao! Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor. O partigiano portami via, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao! o partigiano portami via che mi sento di morir.” È “Bella ciao”, uno dei nostri canti partigiani più conosciuto e chissà quante volte ci sarà capitato di ascoltarlo, eppure mai avremmo pensato che sarebbe diventato l’elemento distintivo di una serie TV del colosso Netflix, suggerendo un racconto così passionale ed intenso, ma anche così distante dalle vicende storiche della Resistenza italiana e che, grazie al suo successo planetario, avrebbe ispirato movimenti ecologisti e per i diritti civili in ogni parte del mondo. https://youtu.be/ohGa1rBIIas
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