La Copertina d'Artista - #ripartitalia 2019 - L'editoriale di Ivan Zorico ...

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La Copertina d'Artista - #ripartitalia 2019 - L'editoriale di Ivan Zorico ...
La Copertina d’Artista - #ripartitalia 2019
Immaginate di esprimere un desiderio, quale scena si forma nei vostri pensieri, dove andrà a pescare
la vostra memoria?

Penso che, più o meno, la maggior parte di voi sarà equamente divisa fra chi ha immaginato la scena
di una stella cadente e quelli che si sono immaginati davanti alla propria torta di compleanno, pronti
a soffiare sulle candeline.

Quest’ultima scena pare aver ispirato l’artista di questo mese nella realizzazione della copertina
d’artista. Caterina Ardizzon (classe 1988) ci propone un’immagine gioiosa e positiva, un
sorprendente mix fra illustrazione, fumetto e grafica, solo apparentemente semplice ed immediata,
ma in realtà densa, finanche stratificata, piena di simboli da scoprire.
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zine con l’opera “Soffia Forte!” dell’artista Caterina Ardizzon.

Ciò che immediatamente salta all’occhio sono due elementi: la figura di un grande uccello al centro
dell’opera e quella di una donna, in basso a sinistra, che soffia via qualcosa dal palmo della sua
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mano. Lo sfondo della composizione è scombussolato dal turbinare di tante decorazioni che, come
coriandoli, accentuano l’atmosfera allegra di tutta la scena.

Dopo un’osservazione più attenta e meditata, quindi, l’iniziale semplicità e immediatezza pare
disperdersi in una complessità assai maggiore. Ma, allora, cosa ci vuole comunicare l’artista?

Il titolo dell’opera: “Soffia forte!” fa riferimento sicuramente all’atto di spegnere le candeline, e il
vortice delle decorazioni, che richiamano il piumaggio dell’uccello, accentua il clima di festa. Ma
cosa rappresenta il grande uccello che troneggia al centro dell’immagine?
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Ho avuto una certa perplessità nel proporre una qualche interpretazione, sapevo che l’artista
predilige la rappresentazione degli uccelli nelle sue opere e sapevo che si era attenuta al tema del
mese di settembre del nostro magazine che, come sapete, è #ripartitalia, e che è fra i più propositivi
e ottimisti della nostra rivista. Insomma, avevo capito che l’uccello al centro dell’immagine era
importante, ma non riuscivo a capirne il motivo, finché mi sono tornati in mente i versi di una poesia
di Emily Dickinson, “Speranza”, che recita:
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“La speranza è quella cosa piumata –

  che si viene a posare sull’anima –

  Canta melodie senza parole –

  e non smette – mai –

  E la senti – dolcissima – nel vento –

  E dura deve essere la tempesta –

  capace di intimidire il piccolo uccello

  che ha dato calore a tanti –

  Io l’ho sentito nel paese più gelido –

  e sui mari più alieni –

  Eppure mai, nemmeno allo stremo,

  ho chiesto una briciola – di me.”

Insomma, la speranza per la grande poetessa americana è un uccello che non smette mai di cantare
alla nostra anima e, forse, anche per Caterina Ardizzon la speranza, il coraggio, il desiderio, la voglia
di ripartire è un uccello, forse una fenice che, come nel mito, risorge dalle proprie ceneri.

Non dimentichiamoci che il motto della fenice è: “Post fata resurgo” (“Dopo la morte torno ad
alzarmi”) e che adesso ci pare il più sincero augurio che l’artista ci possa fare, perché le cadute sono
inevitabili ma, come la fenice mitologica o l’uccello della speranza dickinsoniana, non dobbiamo
smettere né di rialzarci, né di cantare, né di librarci leggeri nei cieli del possibile.
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Caterina Ardizzon è nata a Venezia nel 1988. Dopo essersi diplomata al liceo scientifico e aver
frequentato per 5 anni la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia, si trasferisce a Milano per
laurearsi alla triennale di design del prodotto al Politecnico, e, successivamente, in Inghilterra, per
conseguire la laurea specialistica in design per la sostenibilità presso la Bournemouth University.

Agli studi di design seguono tre anni di formazione attoriale. Caterina è designer, attrice e scrittrice,
e al momento collabora come illustratrice e grafica per aziende, associazioni culturali, privati e
progetti teatrali.
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La sua ricerca risente fortemente della sua eclettica formazione ed i suoi soggetti sono caratterizzati
in egual misura da elementi della grafica e dell’illustrazione. Caratteristici dell’artista sono i soggetti
favolistici ed animali ricorrenti nelle sue opere, soprattutto gli uccelli che, secondo l’artista, “ironici
e liberi di comunicare, arrivano direttamente da un mondo fantastico”.

Per informazioni e per contattare l’artista Caterina Ardizzon:

cateardizzon@gmail.com

www.caterinaardizzon.com

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della
quinta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un portfolio alla nostra
redazione: redazione@smarknews.it
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#ripartItalia - L'editoriale di Ivan Zorico
Per partire e ripartire, bisogna fermarsi.
Può sembrare un controsenso ma non lo è.

Viviamo in una società votata alla ipervelocità, che mastica e sputa via risorse, contenuti e
attenzione. In questo contesto è facile, per non dire scontato, vivere nell’istantaneità di un oggi
ripetuto. Abbiamo perennemente lo sguardo rivolto verso lo schermo del nostro smartphone al quale
chiediamo di intrattenerci (guai ad annoiarci o pensare), sorprenderci con notifiche e distrarci con
aggiornamenti vari. I tormentoni social ci trasportano da una stagione meteorologica e televisiva
all’altra con facilità accomodante, accompagnati dalla ciclicità dei meme che ormai hanno sostituito
lo scorrere dei mesi del calendario. Viviamo insomma in una bolla dalla quale è difficile venire fuori.
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fografica di @LoriLewis e @OfficiallyChadd

Ci troviamo in un periodo eccezionale.
Per la prima volta l’uomo si ritrova tra le mani la lampada di Aladino a cui può chiedere di avverare
ben più di tre desideri. Se ci pensate basta strofinare con cura lo schermo del nostro device (dicasi
anche genio della lampada) per farci restituire magicamente le risposte alle nostre domande o (per
rimanere in tema) esaudire i nostri desideri.
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Ma gli stiamo facendo le domande giuste?
Al posto di intrattenerci, sorprenderci e stimolarci, potremmo chiedergli ad esempio di educarci,
istruirci e aiutarci a riflettere. Se invece di contare quanti giorni mancano alla visione de “Una
poltrona per 2” (leggasi Natale), lo usassimo per scoprire quanti anni mancano al raggiungimento
della pensione, potremmo capire che c’è qualcosa che dovremmo iniziare a fare (leggasi lavorare su
un “piano B”).

Se invece di perderci tra le notifiche, lo utilizzassimo come strumento di apprendimento, potremmo
migliorare le nostre competenze (hard e soft) e crearci nuove opportunità (vedi il “piano B”). Se
invece di farci distrarre con aggiornamenti vari, lo impiegassimo per scoprire che non esiste solo la
realtà che ci hanno raccontato, ma che possiamo percorrere tante strade parallele, potremmo
prendere in considerazione di iniziare una nuova vita, forse più appagante (vedi il fenomeno del
nomadismo digitale come, appunto, possibile “piano B”).

Ripartiamo dalla gestione del nostro tempo.
Impiegare il tempo che abbiamo a disposizione per queste attività ci porterà a ricavare del tempo
per pensare e assorbire quanto appreso. A differenza di un meme che ha una vita di tre secondi,
porre l’attenzione su quanto detto ci porterà a soffermarci su qualcosa che ci importi veramente: la
nostra vita.

Sono solito incitare all’azione, a non restare con le mani in mano. In questo momento, invece, invito
a fermarsi per considerare, valutare e immaginare. E solo successivamente agire. Chi è nato dagli
anni ’80 in avanti è abituato a rimandare tutto. Il lavoro dopo la laurea, poi dopo il master, poi
dopo anni di precariato, e così via. Con la vita privata che arranca in salita. Individuare le coordinate
del proprio viaggio richiede tempo. E non è più il momento di rinviare. Prendiamocelo tutto. È
nostro.

Buona lettura.
Ivan Zorico

Ti è piaciuto? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre.
Se vuoi rimanere in contatto con me questo                                           è   il    link
giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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#ripartitalia - L'editoriale di Raffaello
Castellano
Vi ricordate di Haley Joel Osment, l’attore, bambino prodigio
del film “Il sesto senso” del 1999, scritto e diretto dal
talentuoso regista indiano M. Night Shyamalan?

All’epoca del film aveva solo 11 anni, quasi la stessa età (9 anni) del personaggio che interpretava,
Cole Sear, e la sua magistrale performance lanciò non solo la sua carriera, ma fu anche fra le
principali ragioni del successo del film che, con 672.806.292 dollari al botteghino, è non solo uno dei
più grandi incassi della storia del cinema, ma anche il film horror di maggior successo di sempre fino
al 2017, quando è stato superato da “It”.

Perché ve ne sto parlando?

Perché, l’anno dopo il successo del “Sesto senso”, Haley Joel Osment recita in un altro film, “Un
sogno per domani”, di Mimi Leder (qui la nostra recensione). Se non lo avete visto, dovete
assolutamente recuperarlo perché questo film mi sembra lo spunto ideale per parlare
dell’argomento di questo numero di Smart Marketing, che, come sapete, ogni settembre, da sei anni
ormai, è #ripartitalia.

Nel film Osment interpreta Trevor McKinney, uno studente di scuola media intelligentissimo,
sensibile e un po’ impacciato che, ispirato da un professore di scienze sociali, Eugene Simonet,
interpretato da un intenso e sempre all’altezza Kevin Spacey, decide di rispondere al compito del
professore “Cosa vuole il mondo da noi?”, proponendo una sua particolare formula per cambiare in
meglio il mondo.

La sua formula si chiama “passa il favore” e prevede che lui dia il suo aiuto a tre persone in difficoltà
per risolvere un problema che li affligge senza chiedere nulla in cambio, se non l’impegno di fare lo
stesso con altre tre persone. Mentre Trevor McKinney, descrive ad una classe incredula ed ad un
affascinato professore il suo metodo, alla lavagna, piano, piano, si delinea uno schema a crescita
esponenziale che in soli 5 passaggi raggiunge 243 persone.

Il metodo “passa il favore” del piccolo Trevor mi sembra quello di cui noi Italiani, e non solo,
abbiamo bisogno per ripartire; più in generale il concetto “chiave”, che mi pare evidente abbiamo
smarrito, è quello del “dono”, ossia di fare qualcosa di gratuito per gli altri per il semplice fatto di
rendere migliore il mondo in cui abitiamo.

Come mi pare di aver già detto in altri articoli, la mia formazione ed esperienza è maturata
principalmente nelle associazioni culturali (anche Smart Marketing nasce da una militanza ed
amicizia in un’associazione fra me ed Ivan, poi confluita in una nuova realtà); faccio promozione
culturale dal 1997, quindi da 22 anni, per me è un vero e proprio lavoro ed è il lavoro che faccio da
più tempo. Organizzando eventi, promuovendoli e collaborando con tante persone, posso
testimoniare che la “cultura del dono”, il metodo del “passa il favore” è un metodo che funziona e
che personalmente mi ha fornito la rete di professionisti, colleghi ed amici con cui ancora oggi opero
professionalmente. Insomma ciò che era gratuito e pro bono nei primi anni, negli ultimi si è rilevato
remunerativo sia in termini economici che di conoscenze e contatti.

Come sappiamo bene e come ci ricordano le architetture ed il funzionamento dei social network,
conoscenze e contatti (sostanzialmente informazioni) sono nel mondo contemporaneo più importanti
degli stessi soldi. Perché, come ci insegnano Google, Amazon, Facebook e Apple, i nostri dati sono la
vera “moneta” del terzo millennio.

Ho cominciato e poi sempre operato nel mondo della promozione culturale pensando di condividere
con altre persone i film, i libri, la musica, l’arte che più mi appassionavano e dei quali volevo
assolutamente fare partecipi i miei simili; questo piano, piano ha delineato una rete sociale (reale,
non solo digitale) intorno a me, fatta di esseri umani, con le mie stesse passioni ed interessi, con i
quali ho cominciato a collaborare prima gratuitamente, in seguito professionalmente. Quello che era
una semplice passione è diventata una vera professione.

Le nostre azioni, sia quelle buone che quelle brutte, ve lo posso garantire, hanno delle conseguenze.
Alle volte sono immediate, alle volte a breve termine, alle volte, quelle più profonde ed importanti, a
lungo, lunghissimo termine. Sta a noi decidere che mondo vogliamo: come il piccolo Trevor nel film
“Un sogno per domani”, siamo chiamati, non importa che età abbiamo, a rispondere alla domanda
del professor Simonet: “Cosa vuole il mondo da noi?”, perché è una domanda dalla quale non
possiamo esimerci e che prima o poi busserà prepotentemente alla porta della nostra attenzione e,
cosa più importante, della nostra coscienza.

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Penso che in un clima esasperato sul piano politico, ambientale, sociale ed economico come quello
attuale riscoprire la cultura del “dono”, il mettere in pratica il metodo “passa il favore” del piccolo
Trevor, non possa che rendere il mondo migliore, anche se i passaggi non arriveranno al 5° ma,
diciamo, si fermeranno al 3°, avremo comunque aiutato, ciascuno di noi, 27 persone; mettiamo che
questo articolo lo stiate leggendo o lo leggerete in 500, moltiplicando 500 X 27 si ottiene
l’impressionante cifra di 13.500 persone, più o meno un paese di piccole dimensioni della provincia
italiana, un piccolo spicchio, una parte del tutto, che sarà diventato un posto ed un mondo migliore.

Non scappiamo dalle nostre responsabilità, non nascondiamoci dietro la scusa che lo Stato è cattivo,
la politica è inutile, siamo al verde e che noi non abbiamo potere per influenzare il mondo: il piccolo
Trevor e ancora di più Greta Thunberg, ci dimostrano “inequivocabilmente” che abbiamo torto e
che ciascuno di noi, se vuole, può fare la differenza.

Lo ha detto più chiaramente e prosaicamente Gandhi, detto il Mahatma (grande anima), che liberò
un popolo ed una nazione intera, l’India, dal più potente regime coloniale di ogni epoca, quello
Britannico, non attraverso una sanguinaria guerra (questo lo potevano fare in tanti), ma attraverso
la pratica della “non violenza” che, anni dopo, avrebbe ispirato altre tre grandi anime (il piccolo
Trevor sarebbe stato contento) come Martin Luther King, Nelson Mandela e Aung san Suu Kyi:

                          “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

E voglio lasciarvi con questo augurio e con la preghiera di applicare nelle vostre vite il metodo
“passa il favore” del piccolo Trevor. Provateci, gli effetti sugli altri e, soprattutto, su voi stessi
saranno incredibili, addirittura magici, fidatevi!

Buona lettura, buona ripartenza e buone azioni a tutti voi.

                                                                             Raffaello Castellano

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Come cambia il ruolo del consulente
nell'era digitale. Intervista a Daniele
Gregori.
#Innovazione, #digital transformation e nuove #tecnologie, cambiano giorno dopo giorno il
volto della società e dell’economia. Si creano nuovi Business e nuove professioni per resistere a un
mercato sempre più rapido e competitivo e le aziende non possono far altro che innovarsi ed
affiancarsi a consulenti e professionisti smart, eclettici, sempre sul pezzo.

Tra le pagine del libro CONSULENTI 4.0 di Daniele Gregori, focalizzato proprio sulle competenze
per le sfide del futuro sono tanti gli interrogativi che avrei potuto a mia volta scrivere un libro di
risposte.
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nsul Editore 2019 – I social network per il libero professionista Novecento Editore 2018, a
cura di Daniele Gregori

Uno stimolo continuo tanto da chiedere all’autore di rispondere a qualche quesito ponendo
all’attenzione un tema ancora nuovo e da esplorare. Il divario generazionale al tempo del digitale
rende tutto più complesso poiché di mezzo ci si mette la tecnologia che non è detto per tutti possa
essere di facile approccio.

D. I nativi digitali sono pronti al mondo del lavoro 4.0?*

R. La società, e con essa il mondo del lavoro, sta crescendo velocemente da molti anni. La
trasformazione digitale ha introdotto elementi indispensabili ed imprescindibili in ogni ambito
lavorativo. Solitamente le persone nate prima degli anni 80 ritengono che i millennials (nati 1981-
1996) abbiano il vantaggio, rispetto a loro, di essere cresciuti con questi nuovi dispositivi digitali tra
le mani.

Ma in questo ragionamento noto un bias di fondo: il mondo del lavoro 4.0 , che stiamo vivendo
richiede sicuramente competenze digitali, ma esse sono composte da due elementi inscindibili:

■   HARD SKILL DIGITALI: conoscenza tecnica e dimestichezza con device e software.
■   SOFT SKILL DIGITALI: essere digitali nella mentalità ossia, conoscere, scoprire, provare, usare e
    sfruttare la tecnologia trasmettendo il proprio “valore aggiunto”. Sintetizzata comunemente con
    l’espressione “mindset digitale”.

Alla luce di questa nuova e più rotonda definizione delle competenze digitali ci rendiamo conto che
la “confidenza” con lo strumento tecnologico è solo una parte dell’equazione. Pc,
smartphone, social e app possono rivelarsi utili strumenti solo se utilizzati trasmettendo la propria
competenza, preparazione ed esperienza. Cercando di entrare in empatia, seppur a distanza, con il
nostro interlocutore. Nelle relazioni a distanza la nostra parte emotiva ha un ruolo chiave. Perché se
gli incontri in presenza si ridurranno sempre di più, ciò che non potrà invece mai mancare saranno
le “relazioni” tra le persone. Sono la professionalità e qualità della relazione a garantirci alte
performance, introdurre la tecnologia nel proprio lavoro non basta.

Detto ciò, è probabile che un ragazzo giovane abbia maggiore dimestichezza con gli strumenti
digitali rispetto ad un over 45, ma non darei per scontato che sappia anche “trasmettere” la propria
competenza e creare relazioni di valore attraverso l’utilizzo della mail o delle chat di messaggistica.

D. Il loro modo di approcciare alla comunicazione, spesso fatta di messaggi di testo e
faccine per esprimere le emozioni, rischia di determinare un impoverimento emotivo?

R. Coltivare l’empatia, anche attraverso il digitale, è un elemento chiave per avere buone
performance nel lavoro, sforzandosi di capire emozioni e stati d’animo altrui. Questo significa che
non possiamo comunicare con eccessiva sintesi e rapidità. Dobbiamo fermarci, prendere del tempo
per leggere attentamente una mail del cliente\collega e ragionare sulla migliore risposta che siamo
in grado di dare. Questo atteggiamento è importante anche per cercare di trasmettere il nostro
messaggio senza creare fraintendimenti e incomprensioni, tipiche nelle comunicazioni a distanza
composte da solo testo dove manca completamente il tono. Tutto ciò richiede grande cura e
attenzione. Come, per esempio, rileggere il messaggio che abbiamo scritto, prima di premere
“invia”. Di conseguenza le relazioni digitali sul posto di lavoro sono molto distanti da quelle che i
ragazzi hanno tra di loro nella vita quotidiana. Al contrario, invece, una figura senior spesso sa
perfettamente il modo più funzionale per approcciare con gli altri. Ma entrambi possono apprendere
e migliorare la parte nella quale sono meno confidenti. Anche aiutandosi. La figura junior deve fare
esperienza e capire le dinamiche del mondo del lavoro, il senior può raggiungere maggiore
dimestichezza con i nuovi dispositivi attraverso la pratica e liberandosi del (eventuale) pregiudizio
sullo strumento.

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D. Qual è il consiglio da dare per approcciare nel migliore dei modi al mondo che si sta
trasformando e sopravvivere nella sua complessità?

R. Consigliare oggi non è semplice, perché non è semplice prevedere cosa accadrà in futuro. Siamo
passati da un mondo nel quale una generazione viveva una rivoluzione sociale alla volta, a quello
odierno nel quale ogni generazione è chiamata ad affrontarne tre. Ogni rivoluzione porta con sé
indubbiamente anche delle opportunità, ma ci richiede l’enorme sforzo di cambiare ed evolverci più
rapidamente che in passato. Nessuno, nel mondo del lavoro 4.0, può dire di aver raggiunto un livello
di competenza tale da potersi permettere di fermaresi. Un consiglio quindi può essere quello di
allenarsi al “cambiamento costante” grazie a quello che gli anglosassoni chiamano “learnability” che
significa credere nel proprio miglioramento, accettando le sfide e l’incertezza del “nuovo” e poco
conosciuto, vivendo l’apprendimento continuo come un’occasione per migliorare. Dobbiamo lavorare
su noi stessi, capire come viviamo e che emozioni proviamo quando siamo chiamati ad apprendere
qualcosa di nuovo e cambiare le nostre abitudini. Se riusciremo a vivere serenamente
l’apprendimento continuo che ci richiederà il mondo del lavoro futuro, saremo imprenditori e
manager “a prova di futuro”.

Durante la nostra chiacchierata ragionando sull’importanza della comunicazione e relazione via chat
che perde di “emozioni” ci siamo scambiati emoticon con faccine reali. Non più il classico smile e la
faccina triste, ma foto da piccoli ridendo o piangendo… E’ stato un gioco, che ci ha talmente
emozionato da farci pensare ad un nuovo modo di comunicare in chat emotivamente intelligente.

Curiosi? Scaricate la app sticker Maker e divertitevi a creare le vostre Emoticon personalizzate per
emozionare di più!

*Intervista concessa da Daniele Gregori autore di CONSULENTI 4.0 TeleConsul Editore
2019 – I social network per il libero professionista Novecento Editore 2018

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Ripartiamo con la formazione continua via
e-learning
Nella nuova era digitale in cui viviamo è necessario fare formazione continua e l’e-learning è lo
strumento migliore per acquisire conoscenze e nuove capacità nella quarta rivoluzione
industriale, capace di generare opportunità per oltre un milione di professionisti del digitale fino al
2020.

Il segreto del professionista di oggi è quello di saper approfittare della velocità e della completezza
delle informazioni diffuse via web, aggiornando obiettivi e valori sulla base della trasformazione che
la tecnologia ha portato nelle nostre vite. Non a caso le parole chiave “aggiornare” e “formare” sono
anche gli obiettivi di Agenda Digitale per la PA, che si basa sui principi del long life learning
per la formazione e la qualificazione umana e professionale dei dipendenti.

Una curiosità?
Secondo una ricerca Accenture, le competenze digitali non solo sono fondamentali nel lavoro e
nella carriera, ma anche favoriscono la parità di genere e l’e-learning è oggi lo strumento migliore
per acquisirle.

Pensiamo, ad esempio, al ruolo fondamentale della scuola per cui già gli alunni delle scuole primarie
italiane sono inseriti nel Piano Nazionale della Scuola Digitale. Oppure alla necessità per ogni
professionista di formarsi durante tutto l’arco della vita, grazie all’e-learning, che diventerà piano
piano il modo migliore per acquisire nuove conoscenze.

Settembre, quindi, come tutti i nuovi inizi, ci vede ripartire tra mestieri e occupazioni classici e
nuove professioni digitali, tutte accomunate dal potente alleato dell’e-learning per cavalcare il
cambiamento e agevolare la crescita personale della persona.

Vantaggi e svantaggi dell’e-learning
Sappiamo tutti come seguire webinar e corsi di formazione dal proprio computer sia una comodità e
permetta di risparmiare tra spostamenti, benzina e tempo. Prima di vedere, quindi, gli svantaggi e
vantaggi dell’e-learning ricordiamo come con questo termine di intende comunemente una forma di
apprendimento online grazie all’uso di Internet e delle nuove tecnologie multimediali.
I 5 principali vantaggi di questo sistema si possono
riassumere come segue:
1.   condivisione dei contenuti tra persone anche a grande distanza tra loro;
2.   possibilità di personalizzare i tempi di apprendimento e solo quello che serve;
3.   possibilità di consultare i materiali online;
4.   costi inferiori rispetto alla formazione tradizionale;
5.   lezioni semplici e di maggiore impatto grazie all’uso di audio, animazione e video al posto della
     tradizionale dispensa cartacea.

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I 4 principali svantaggi di questo sistema sono, invece:
1.   assenza dell’interazione fisica con il docente;
2.   maggiore importanza agli elementi multimediali, rispetto al testo della spiegazione;
3.   mancanza dell’aspetto sociale e relazionale della formazione;
4.   mancanza della competizione con altri studenti.

Oggi, tuttavia, la nuova formazione si fa online dato che una metodologia come l’e-learning sta al
passo con le esigenze dell’insegnamento moderno, assicura maggiore flessibilità e permette a tutti di
avere accesso all’istruzione.

Una nuova tendenza: lo YouTuber diventa formatore
Nella formazione online stiamo da poco assistendo a un nuovo modello di business, in cui lo
YouTuber diventa formatore offrendo corsi di qualità, capaci di recuperare quel rapporto
umano che manca nel mondo dell’elearning e monetizzando una community di nicchia.

Sono così nate piattaforme di elearning come Docety, piattaforma fondata da Palmieri, con i colleghi
Mario Palladino e Michele Forlante grazie a un progetto di crowdfunding e che si basa sul rapido
sviluppo del mercato della formazione online, cresciuto lo scorso anno del 17%.

Un settore vincente, che potrà ricevere una spinta in più dall’intrattenimento e dal coinvolgimento di
un pubblico più numeroso e fidelizzato, che cerca nuovi modi per acquisire competenze e know how.
Penso, ad esempio, al canale Barbaroffa di Arnaldo Pangia dove si discute di attualità e
comunicazione e che ha già ottenuto 70mila follower su YouTube, attirati anche dai corsi di lingue
straniere ed esposizione.

Gli influencer su Docety guadagnano dai 20 ai 30 euro orari e in una settimana raggiungono e
superano quello che ottenevano da un mese di produzione video, ma su YouTube ci sono anche i
corsi faccia a faccia.

Un nuovo mondo che i giovani sanno utilizzare per acquisire conoscenze nei settori di loro interesse
in modo innovativo o proporle ad altri studenti e un mondo in cui anche l’Italia deve entrare, proprio
ora che le scuole hanno riaperto e milioni di studenti sono di nuovo sui banchi.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo
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Focus su giornalismo, nuovi media e
futuro dell'editoria. Intervista a Pier Luca
Santoro.
In una società come la nostra – definita “La società dell’informazione” – le notizie e le informazioni
sono, evidentemente, il corpo che la compongono.

Il web 2.0 ha rivoluzionato tutti gli ambiti della nostra vita e tutte le attività ad esse collegate. E il
mondo dell’informazione forse è stato uno dei primi ad esserne stato interessato. Le leggende (più o
meno fedeli alla realtà) dicono che nella metà degli anni ’90 si potevano vedere giornalisti acquistare
“furtivamente” riviste tipo “Pc/Internet per tutti” (nome inventato, ma l’idea è chiara) per cercare di
capire cosa stava succedendo al loro lavoro e cosa sarebbe cambiato. Altre leggende (di nuovo, più o
meno fedeli alla realtà), raccontano che, nei primi anni 2000, i giornalisti della carta stampata non
fossero proprio contenti (per usare un eufemismo) di scrivere per il sito internet del giornale per il
quale prestavano servizio, perché ritenuta una pratica dequalificante. Miopia? Probabile. Altri
tempi? Sicuramente. Anche se parliamo solo di pochi anni fa.

Oggi la situazione è cambiata. E i numeri lo testimoniano. La diffusione dello smartphone, la
proliferazione dei social network e il cambio delle abitudini di noi tutti, ci hanno restituito un nuovo
mondo dell’informazione, ma non solo.

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r Luca Santoro, consulente di marketing e
comunicazione

Per capire meglio come si evolverà il giornalismo e il comparto dell’editoria abbiamo intervistato
Pier Luca Santoro, consulente di marketing, comunicazione & sales intelligence, project manager
di DataMediaHub.

D. I giornali e il giornalismo stanno vivendo, ormai da diversi anni, una situazione davvero
particolare stretti come sono tra il fenomeno delle “fake news” e della cosiddetta “post
verità”. Come credi stiano reagendo?
R. Credo che le “fake news” siano una fake news. Infatti stando ai dati di AGCOM, la
disinformazione ha interessato l’8% dei contenuti informativi online prodotti mensilmente nel 2018,
e, sempre stando ai dati dell’Autorità – vedi: http://bit.ly/2IbBLff- tale incidenza sarebbe
ulteriormente in calo. Le “fake news”, di cui sono responsabili ampiamente i media tradizionali, e le
loro versioni online, appaiono come uno strumento usato dai mainstream media per cercare di
recuperare la credibilità, e la fiducia, persa.

D. Già solo 10 anni fa, per non parlare di anni più addietro, il mondo del giornalismo era
composto quasi esclusivamente da lettere mentre oggi non può non integrarsi con i
numeri, ossia con l’analisi e lo studio di quest’ultimi. È un processo davvero esistente o in
Italia siamo ancora indietro sotto questo punto di vista?

R. In Italia, se si escludono le esperienze del Sole24Ore e di TrueNumbers che però ha delle
realizzazioni grafiche basiche, Il data journalism è episodico, usato solo in rari casi, e
prevalentemente affidato in outsourcing e non all’interno delle redazioni. Siamo, anche in questo
caso, decisamente indietro rispetto ad altri Paesi. Come al solito, se ne parla molto, ma si fa poco,
troppo poco.

D. I nuovi media hanno certamente portato dei profondi cambiamenti all’industria
dell’informazione, sia dal punto di vista dei modelli di business efficaci e sia nel modo di
veicolare le notizie. Come vedi il futuro dell’editoria in Italia?

R. L’organizzazione aziendale pressoché della totalità delle imprese editoriali nostrane ricalca
modelli organizzativi degli anni ’80 che le aziende che operano in altri comparti, in altri mercati,
hanno abbandonato almeno da un ventennio. È evidente che questo elemento è un fattore di rigidità
e genera costi non sostenibili. Inoltre, sta scritto nel primo paragrafo della prima pagina del “bigino”
sul management che a una determinata strategia deve necessariamente seguire l’implementazione
di un’adeguata organizzazione del lavoro che consenta all’impresa di implementare tale strategia. A
queste condizioni, che per quanto riguarda le più importanti realtà editoriali nazionali non paiono
mutare a breve, il futuro sarà nero.
D. Parliamo di best practice: ci puoi segnalare un caso di successo in Italia e all’estero?

R. In Italia, seppur in modo diverso, credo che siano esempi di successo Il Post e Fanpage. All’estero
Mediapart e Rue89.

     Scopri il nuovo numero > #ripartItalia
D. Se oggi fossi un ragazzo con la passione del giornalismo, cosa gli consiglieresti di fare
(studi, esperienze, etc.)?

R. Io consiglio sempre di studiare antropologia, poichè quando si conosce l’uomo, le persone, si è in
grado di lavorare, anche, nel giornalismo. Professione in cui, appunto, ci si rivolge alle persone. Ad
integrazione suggerisco di studiare marketing e comunicazione per avere uno sbocco professionale
nel brand journalism, poichè non credo ci siano opportunità concrete a breve-medio termine nel
“giornalismo tradizionale”.

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Un sogno per domani – Il film
Ti chiami Trevor McKinney, hai 11 anni e frequenti la scuola media, vivi con tua madre Arlene, un ex
alcolista che lavora come cameriera in uno strip bar, tuo padre, Ricky, non c’è quasi mai, ed è meglio
così, perché è violento e alcolizzato e picchia spesso tua madre. Insomma, hai quella che si definisce
una situazione famigliare “quantomeno” complicata. Tutto questo ti turba e ti rende insicuro ed un
po’ impacciato, però sei molto intelligente e sensibile e desideroso di fare la tua parte nel mondo.

Ma come fare?
Come
spesso
accade,
nella
vita
reale,
quando
la
famiglia
è
assente,
sono
altre
istituzio
ni       a
sopperir
e alla
sua
mancanz
a, e in questo, come in molti altri casi, è la scuola a fare la sua parte e quella della tua famiglia,
attraverso le lezioni di un appassionato professore di scienze sociali, Eugene Simonet, che il primo
giorno del suo corso dà un compito a tutta la tua classe che deciderà il voto di tutto l’anno scrivendo
alla lavagna la domanda: “Cosa vuole il mondo da noi?”.

Decidi di sviluppare il tuo compito attraverso un geniale meccanismo che hai battezzato “passa il
favore”. In pratica, spieghi alla tua classe, il sistema prevede che se ognuno di noi aiuta 3 persone a
risolvere un problema che li affligge e che da soli non riuscirebbero mai a risolvere, senza chiedere
compensi e nulla in cambio se non l’impegno a mettere in pratica lo stesso sistema con altre 3
persone, in soli 3 passaggi si aiutano complessivamente 27 persone, in 4 passaggi diventano 81, in
soli 5 passaggi 243 persone che saranno state aiutate.

Un sistema geniale, che richiede un piccolo sforzo iniziale a ciascun membro della catena e che
cresce esponenzialmente ad ogni passaggio: un multilivello sociale, un sistema piramidale virtuoso
che fonda la sua coerenza sui più solidi concetti matematici.

Non so se qualcuno di voi abbia riconosciuto (o abbia mai visto), nella trama qui sopra il film “Un
sogno per domani” del 2000 per la regia di Mimi Leder, ispirato al libro “La formula del cuore” di
Catherine Ryan Hyde. Spero di sì, ma, se così non fosse, andate a recuperare questo film perché
vederlo, o rivederlo, è una cosa da fare assolutamente.

Le ragioni sono tante: innanzitutto per sapere come va a finire, secondo perché il film può tornare
utile a tutte quelle persone che si occupano di formazione aziendale, terzo perché in un momento di
diffidenza, odio razziale, radicalizzazione delle coscienze, abbiamo bisogno di un bel po’ di buoni
sentimenti, quarto perché c’è un cast stellare che gira a meraviglia e presenta una o due vere
chicche.

Nei panni del piccolo Trevor troviamo l’11enne Haley Joel Osment, l’attore bambino che l’anno
prima aveva sconvolto il mondo del cinema con la sua interpretazione nel film “Il sesto senso” di M.
Night Shyamalan. Nei panni della madre, Arlene, la straordinaria Helen Hunt (che tre anni prima
aveva vinto l’Oscar per “Qualcosa è cambiato”), nel ruolo dell’ispirato professor Eugene Simonet,
l’intenso ed appassionato Kevin Spacey (due Oscar nel 1996 e nel 2000) e, vera chicca, nel ruolo del
padre violento ed alcolizzato, la rock star Jon Bon Jovi, perfettamente calato nel ruolo.

Film solido e ben strutturato, con una sceneggiatura non sempre perfetta, vede nella recitazione
degli attori e nel loro affiatamento sul set i suoi punti di forza. La storia del giovane Trevor
McKinney, per quanto melodrammatica e un po’ troppo buonista, risulta credibile e soprattutto
godibile. Il film, negli anni, è diventato un must per tutti quei professori di scuola, di management e
di corsi motivazionali che volevano spiegare concetti come coraggio, speranza e risolutezza.

La regia di Mimi Leder è misurata e senza eccessi, nonostante la regista provenga da film come
“Deep Impact” (1998) e “The Pacemaker” (1997), mirabolanti e pieni di azione. Ma qui si trattava di
una commedia per famiglie per promuovere il buonismo in salsa americana; certo Frank Capra è
lontano anni luce, ma il film pare una risposta efficace al cinismo dilagante in altre pellicole
dell’epoca. E se andava bene negli anni 2000, ancora più necessario appare oggi.

Costruiamo l'Italia mattone su mattone?
Vi è mai capitato di comprare casa, o anche solo di pensarci? Per decenni l’acquisto di un immobile
ha rappresentato un chiaro segno di maturità personale, raggiungimento di obiettivi e, perchè no, di
benessere finanziario. Mi chiedo se oggi sia ancora così.

Prima di tutto perchè chi è proprietario di una casa ha una serie non indifferente di svantaggi. Non
intendo certo la fatica di partecipare alle assemblee di condominio, le manutenzioni straordinarie e
gli incarti per le attività ordinarie, ma i disincentivi fiscali che provengono dallo Stato.

Parliamo di ISEE, l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, che dovrebbe misurare la
condizione economica di una famiglia. Un affitto abbassa la ricchezza ed è considerato una
componente negativa (la norma afferma che dal reddito lordo è possibile sottrarre il canone di
locazione fino a 7000 euro l’anno con eventuali incrementi in caso di figli).

Il mutuo ipotecario non viene imputato come un costo, nonostante ogni mese ci sia comunque un
esborso economico, e dalla rata si può recuperare fiscalmente solo il 19% degli interessi maturati.

“Ma tu possiedi un immobile!” si potrebbe ribattere.

Infatti la casa è conteggiata, a livelllo di Isee, nel patrimonio, quindi aumenta la ricchezza, ma senza
beneficiare di gevolazione sui costi.

L’altra nota interessante riguarda i tassi di interesse con valori talvolta negativi.

Pensando sempre all’acquisto della casa ogni mese viene rimborsato molto capitale e pochissimi
interessi (dedicubili per meno di 1/5). Fantastico! O no?

Vista dal lato della banca la situazione diventa meno rosea.

Gli istituti di credito marginalizzano dal differenziale tra i i ricavi del denaro prestato ed il costo dei
depositi.

Ma se il tasso del mutuo viene quotato al di sotto dell’1%, quanti mutui dovrà erogare la banca per
sopravvivere e quale remunerazione potrà offrire al risparmiatore privato?

Con un tasso fisso per ottenere il credito che può toccare anche lo 0,6% annuo e rendimento sui
depositi pari a zero, senza saperlo, stiamo distruggendo la ricchezza.

Le banche registrano un esubero di personale e, per sopravvivere, cercano di fondersi o essere
messe in liquidazione.

In alternativa propongono ai risparmiatori investimenti e prodotti assicurativi non sempre adatti a
loro, per non usare parole più pesanti e forse più veritiere.

Ci sarà un motivo se il questionario MiFid è sempre più lungo e arricchito di domande!.

Tornano all’ottica del privato, una bassa remunerazione del denaro porta a disincentivare il
risparmio.

Come a dire: “chi me lo fa fare di mettere da parte anche solo 100 euro, se non ci guadagno nulla e,
anzi, posso comprare anche il frullatore di casa a rate con tasso zero?”

Tutto questo ovviamente favorito anche dall’indicatore ISEE. Infatti chi rinuncia alla pizza del sabato
sera o alle vacanze per mettere da parte qualche soldino, avrà ricchezza maggiore.

Chi va dal parrucchiere, che magari incassa i soldi e non sempre fa la ricevuta, ogni settimana è
favorito perchè ha poco denaro da parte, quindi merita di essere aiutato.

Le agevolazioni passano dagli assegni familiari, sconti sulle rette scolastiche, sugli abbonamenti a
servizi pubblici, sulle utenze, sui servizi sanitari e dentistici, riduzione del canone RAI, sconti sul
canone telefonico, riduzione della tassa sui rifiuti, sui libri scolastici e sulle attività sportive dei figli.

Vale davvero la pena sostenere chi non risparmia? O sarebbe auspicabile destinare maggiori importi
a chi, nonostante cerchi di centellinare ogni euro, non arriva a fine mese?

Il mattone come investimento ha perduto valore. Il famoso IRR (Internal Rate of Return) si contrae
per effetto dlla tassazione disincentivando il risparmio e mette nero su bianco l’assenza di
prospettive di ripresa economica.

Infatti se il denaro prestato a 5 anni ha un tasso di uno zero virgola qualcosa inferiore a quello
prestato a 20 anni, significa che da qui ai prossimi 20 anni la situazione non sarà cambiata di molto.

Così, mentre le aziende chiudono, si tenta di sbarcare il lunario aprendo B&B o emigrando in
Spagna.

Sarà davvero una decresicata felice quella che ci aspetta? O favorire la cicala rispetto alla formica
sta indebolendo il Paese? Da 20 anni si registra una crescita del PIL dello 0,2% annuo, gli stipendi
sono diminuiti e anche il monte ore dando una parvenza di aumento del lavoro, ma la precarietà è
sempre in agguato.

La soluzione starà nella tassa sulle merendine? O sulle bibite gassate? Che andranno considerate
beni di lusso. Oltre ai voli aerei e al contante. Staremo a vedere.

Intanto si avvicina il 31 ottobre, che per tutti è Halloween (tanto per non favorire la formica che
risparmia ma la cicala che consuma in cose inutili) ma sarebbe auspicabile tornasse ad essere la
Giornata Mondiale del Risparmio istituita nel 1924 da Maffeo Pantaleoni in occasione del congresso
dell’Istituto internazionale del Risparmio.

Durante quel primo incontro, conclusosi appunto il 31 ottobre 1924, si voleva proporre il risparmio
come base dell’educazione non solo economica della società, ma volta ad un uso migliore della
richezza sociale e individuale. Non ozio, ma lavoro per diffondere il risparmio come ideale a
sostegno dell’economia del territorio e delle esigenze della collettività.

Questi tassi non incentivano a risparmiare e tolgono la prospettiva di un futuro migliore, facendo
smettere di sognare il domani.

L’eterna rinascita del cinema italiano e le
nuove tecnologie
Il cinema italiano può essere soprannominato come l’eterno giorno della marmotta. Un cinema
glorioso, che è morto e resuscitato innumerevoli volte. Ad ogni stagione ci siamo svegliati rinati.
L’avvento del sonoro nel 1927, aveva mandato al fallimento tutte le vecchie case di produzione, non
attrezzate per quella rivoluzione epocale che avvenne negli Usa a fine anni ’20. Però su quelle
ceneri, nacque un nuovo cinema italiano, impomatato, girato negli studios, al quale, bisogna darne
atto il regime fascista investì tantissimi soldi, facendolo in qualche modo rinascere.

Venne poi la guerra e la ventata di realismo, susseguente alla fine, con la nascita del neorealismo e
film epocali come Roma città aperta, Sciuscià e Ladri di biciclette, che portarono il cinema nelle
strade e commossero il mondo. Il neorealismo ebbe vita breve e su quelle ceneri, tenendo la
componente realista del genere, si arrivò alla scintillante stagione della commedia all’italiana, quella
che ha reso immortale il nostro cinema. Per almeno un ventennio poi, il cinema italiano, sottoposto
alla pressione del cinema internazionale, sopravvisse, grazie a quella dozzina di nomi che presero in
mano le sorti dell’industria cinematografica italiana e la portarono alle vette assolute. Dapprima
nomi come quelli di Totò, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Macario, Rascel,
Dapporto, De Sica e poi nomi come Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi, Chiari, Franchi & Ingrassia.

Personaggi che insieme rappresentavano nel ventennio 1950-1969 il 70% degli incassi di Cinecittà.
Poi vennero gli anni ’70 e gli anni ‘80 e quel ricambio generazionale formato da artisti come
Pozzetto, Montesano, Banfi, Villaggio, Troisi, Verdone, Benigni, che portarono alla creazione di una
seconda stagione della commedia all’italiana. E poi? E poi siamo rinati altre innumerevoli volte.
Siamo rinati negli anni Novanta con Virzì e Muccino. Nei Duemila con Sorrentino e Garrone. E
qualche anno fa, nuovamente con pellicole come Perfetti sconosciuti o Il nome del figlio. La verità è
che non siamo mai del tutto morti e mai del tutto resuscitati. I mille stravolgimenti del cinema
italiano, sono stati gli stessi che hanno portato a quella che è la società italiana oggi.

Non è affatto vero, ad esempio, che piattaforme tipo Netflix, la televisione commerciale o Youtube,
hanno distrutto il cinema. Sono solo naturali evoluzioni di quel prodotto artistico inventato dai
Lumiére o da altri millantati o realistici pionieri a fine ‘800. In fondo anche lo smartphone è la
naturale evoluzione del telefono, così come il computer lo è per il calcolatore elettronico o per la
macchina da scrivere. Anzi. Gli youtuber del tipo di Daniele Condotta, dei Nirkiop, dei Sansoni o di
Casa Surace, solo per fare qualche citazione, non sono altro che esempi, modernizzati, degli antichi
sketch di avanspettacolo, che artisti come Fabrizi et company, dovettero fare nei teatrini scalcinati e
impolverati di periferia. Lo stesso Fabrizi, Peppino De Filippo( nei panni di Pappagone), Nino
Taranto, Macario e Raimondo Vianello in coppia con la moglie Sandra Mondaini, portarono quel
magico mondo degli sketch di avanspettacolo, in televisione, tra gli anni ’60 e gli anni ’80.

https://youtu.be/OpQKA_HCSZI

Lo stesso Nino Taranto, grandissimo attore napoletano, quando registrò le sue commedie in
televisione, tra gli anni ’60 e gli anni ’70, ne fu soddisfatto, arrivando a dire che “…sono diventato
molto più popolare con 50 o 60 film, o con le trasposizioni televisive delle mie commedie teatrali, che
in 40 anni di onorata carriera teatrale su e giù per lo stivale”. Il commendatore Nino Taranto, aveva
previsto la popolarità televisiva come qualcosa destinata a rimanere nella memoria della gente e
come naturale prosecuzione del teatro e del cinema. Teatro, cinema, televisione, internet, possiamo
sintetizzare così la naturale evoluzione dei generi. Certo, ognuno, continua a vivere
indipendentemente, perché il teatro non è defunto e il cinema neanche; però è innegabile che ci sia
un certo rapporto tra tutte queste forme di spettacolo.

https://youtu.be/1u6rKmgun1k

E’ anche vero, che la facilità di espansione della rete, ha dato modo di diffondersi anche ai “senza
arte”; però è anche il modo più semplice di farci scoprire talenti grezzi, che se affinati, potrebbero
davvero rilanciare anche le sorti del nostro cinema. Vale quello che disse Einstein: “ho paura della
troppa tecnologia, la quale può essere in grado di creare una generazione di imbecilli”, ma tutto sta
nel saperla usare: se io non rispetto il codice della strada, innegabilmente l’automobile mi diventa
una trappola mortale; così la tecnologia di oggi, se usata, con il cervello e con una dose di sana
mentalità imprenditoriale, rappresenta davvero un tesoro, prezioso, che va custodito e coltivato.

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Al via la 4^ edizione MARKETERs Festival:
l'evento sul digital marketing e il
management.
Torna l’appuntamento con il MARKETERs Festival, punto di riferimento per chi si occupa di digital
marketing e management. La quarta edizione si svolgerà sabato 23 novembre presso il Vicenza
Convention Centre.

Formazione, networking e digital marketing sono le parole chiave di questa giornata, per la
quale si attendono oltre 800 partecipanti che potranno scegliere quali workshop e interventi seguire
tra i molti proposti.

Quest’anno, infatti, l’offerta formativa sarà ancora più completa degli anni precedenti, con un mix di
interventi che formeranno e aggiorneranno su diverse tematiche più che mai attuali: Social
Strategy, Digital Strategy, Data Management e Automation, Content, Digital Media, Digital Sales,
Community e Management Advocacy, Brand Identity, Human Development.

Il MARKETERs Festival si rivolge a professionisti e appassionati che vivono il marketing in prima
linea, con passione e dedizione. È un evento pensato per dare una panoramica completa su quello
che è e sarà il mondo del marketing e del management. Un’occasione unica per ampliare le
prospettive ed avere una visuale sulla direzione in cui stanno andando le industrie e i trend del
mercato.

Tra i docenti già confermati spiccano nomi autorevoli come Matteo Flora, Matteo Pogliani,
Giorgio Soffiato, Gaetano Grizzanti e Mariano Diotto. La rosa degli ospiti è in costante
aggiornamento e include professionisti provenienti da realtà aziendali e istituzionali tra le più
importanti nel panorama Italiano e internazionale.

Come sempre, un occhio di attenzione sarà riservato ai momenti di networking, durante i quali sarà
possibile conoscere ed entrare in contatto con colleghi, importanti realtà e talenti presenti
all’evento, creando sinergie nuove e di valore.

“Il MARKETERs Festival è un’occasione unica per aggiornarsi su tutti i temi più rilevanti del
momento, oltre ad essere un prezioso momento di confronto con colleghi e addetti del settore
impegnati in svariati contesti. È fondamentale trovare momenti di contaminazione come questo, per
alzare la testa e ampliare la propria visione d’insieme.” afferma Francesco Favaro – co-organizzatore
dell’evento

Fino al 30 settembre sono disponibili i biglietti a prezzo Early Bird al sito www.marketersfestival.it,
punto di riferimento per trovare tutte le info legate all’evento.

  Grazie alla nostra collaborazione con l’evento, ai nostri lettori è riservato un sconto per l’acquisto
  del biglietto inserendo il seguente promocode: SMARTMARKETINGMF19

Per le aziende che vogliono partecipare all’evento sono previsti sconti sul prezzo a partire da un
numero minimo di 3 biglietti acquistati.

Il MARKETERs Festival è organizzato da MARKETERs Academy, una realtà digital based gestita da
un team di millennial impiegati in alcune delle migliori agenzie, aziende e multinazionali Italiane e
straniere.

L’appuntamento è per Sabato 23 novembre al Centro Congressi Fiera di Vicenza.

Smart Marketing è felice di essere media partner della 4^ edizione del
MARKETERs Festival – formazione e networking. Il 23 novembre torna
l’appuntamento con il digital marketing al Vicenza Convention Centre.
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Facebook, Instagram e TikTok:
l’evoluzione dei social network. Intervista
a Marco Valentinsig di BeLiked.
Contenuto sponsorizzato – Partiamo subito con qualcosa su cui riflettere: i numeri. In Italia,
Facebook e Instagram contano rispettivamente oltre 35 e 22 milioni di utenti attivi. Se guardiamo
oltre i confini nazionali i numeri assumono proporzioni impressionanti: oltre 2 miliardi di utenti
attivi per Facebook e 1 miliardo di utenti attivi per Instagram.
Insomma, per chi oramai da anni preannuncia la fine di Facebook (e del suo ecosistema) ponendo
l’accento, da un lato, sugli scandali relativi alla gestione della privacy e, dall’altro, sulla fuoriuscita
dei giovani dalla piattaforma, per ricredersi gli basterebbe sapere che oggi il social di Zuckerberg è
quello maggiormente preferito nel 92% dei Paesi del mondo.
Così, giusto per dare una idea di cosa stiamo realmente parlando.

Leggendo questi numeri, che in sostanza certificano un dominio pressoché assoluto da parte del
“mondo Facebook”, si potrebbe essere portati istintivamente a pensare che niente e nessuno possa
modificare la situazione attuale. Ma internet, e in particolare il mondo dei social network, ci ha da
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