LA COMUNICAZIONE DIGITALE DEL MUSEO CIVICO GAETANO FILANGIERI: UNA PARZIALE AMNESIA - POLYGRAPHIA

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La comunicazione digitale del Museo Civico
             Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

                            Francesca Basile*, Martina Tramontano**

Durante il lockdown disposto per la pandemia di Covid-19, il Museo Civico Gaetano Filangieri di
Napoli ha sfruttato le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per garantire l’accesso al
patrimonio. Abbiamo analizzato tali strategie, studiando, in primo luogo, la relazione che intercorre
tra le informazioni estrapolate dalle piattaforme social – riservando particolare attenzione ai
commenti degli utenti/visitatori – e le modalità di divulgazione della mission originaria e odierna
dell’istituzione. I dati raccolti sono stati elaborati alla luce sia dell’inchiesta promossa da ICOM
durante l’emergenza sanitaria, sia di un lavoro di ricerca sul posto, al fine di comparare le strategie
di comunicazione realizzate nello spazio reale e in quello virtuale. Dall’indagine è emersa una
generale propensione alla sponsorizzazione del patrimonio culturale attraverso un linguaggio
mediatico ipercomunicativo e scarsamente correlato con solidi intenti pedagogici, che offrano
risposte alle sfide sollevate dalla pandemia alla fruizione del patrimonio culturale cittadino.

During the lockdown imposed for the COVID-19 pandemic, the Gaetano Filangieri Civic Museum
of Naples used the on-line communication to ensure the access to its heritage. We analyzed these
strategies, first of all, by studying the relationship between the informations extracted from the
social media – with a particular focus on user/visitor feedbacks – and the dissemination methods
of the museum's original and current mission. The data collected were developed in view of both
the inquiry promoted by ICOM during the health emergency, and the research activity on site, in
order to compare the communication strategies implemented in real and virtual space. The survey
revealed a general propensity for sponsoring cultural heritage through a hypercommunicative
media language, poorly correlated with solid pedagogical intentions that can offer answers to the
challenges raised by the pandemic towards the city's cultural heritage and its use.

* Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici Suor Orsola Benincasa
(francesca.basile6@studio.unibo.it).
** Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici Suor Orsola Benincasa
(martina1tramontano@gmail.com).
Polygraphia 2021, n. 3                                                                                    157
Francesca Basile - Martina Tramontano

In apertura
    Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione offrono a musei e gallerie d’arte l’op-
portunità di presentare in forme inedite il patrimonio storico-artistico e consentono l’intera-
zione con un pubblico differenziato, rimettendo in discussione il concetto di accessibilità alla
proposta culturale1. L’accesso può essere promosso garantendo, a diverse fasce di visitatori, la
fruizione attiva delle informazioni, oppure favorendo processi di feedback per comprendere e
per soddisfare le esigenze del destinatario2. In queste pagine si tratterà dell’accessibilità al pa-
trimonio del Museo Civico Gaetano Filangieri di Napoli, durante il lockdown predisposto dal
governo in risposta alla pandemia di Covid-19. Nel corso dell’emergenza sanitaria, molteplici
istituzioni italiane – incalzate dal Ministero dei Beni Culturali e del Turismo – hanno imple-
mentato massicce campagne social accomunate dall’hashtag #iorestoacasa. La riscoperta delle
potenzialità del web e degli strumenti del digitale ha dato adito alla realizzazione quotidiana
di dirette streaming di approfondimento, prodotti audiovisivi che compensassero l’interruzione
delle mostre e progetti di beneficenza. In occasione di un’intervista rilasciata il 18 aprile 2020,
il ministro Dario Franceschini ha persino lanciato la proposta di una piattaforma digitale a pa-
gamento per la promozione del patrimonio storico-artistico del Paese3. Tuttavia, Nicolette Man-
darano e Maria Elena Colombo – esperte di comunicazione digitale in ambito museale – affer-
mano che le istituzioni italiane, con poche eccezioni, non hanno superato l’esame: «monologhi
troppo lunghi, talvolta autoreferenziali, dei direttori, video improvvisati senza avere la stru-
mentazione adatta (e senza postproduzione), foto di bassa qualità, spiegazioni poco limpide. Ma
soprattutto ipercomunicazione»4. In particolare, il giornalista Paolo Jorio, direttore del Museo
Civico Gaetano Filangieri, ha sfruttato la rete e gli spazi pubblicitari per intrattenere il pubbli-
co, per la promozione e per una prima sperimentazione di didattica a distanza. Gli esiti rivelano
non poche criticità in quanto la mission odierna e quella originaria dell’istituzione non risultano
chiaramente leggibili, né in loco né dai relativi canali social, a causa sia delle ingenti perdite del
primo nucleo collezionistico – dovute all’incendio del deposito di San Paolo di Belsito del 1943
– sia dell’assenza di una chiara programmazione per la comunicazione del patrimonio. Ci siamo
quindi confrontate con Luca Manzo, vicepresidente dell’Associazione Onlus Salviamo il Museo
Filangieri, che ha risposto alle nostre domande accettando di compilare l’inchiesta promossa
da ICOM (cfr. le risposte in appendice). Dall’intervista è emerso che, a causa della situazione
economica precaria del museo, la gestione delle piattaforme virtuali è affidata al direttore e a
un esterno non competente. La mission dell’istituzione, in aggiunta, sarebbe sostanzialmente
orientata all’élite partenopea in quanto si ridurrebbe, fin dagli albori, alla celebrazione della
stirpe del Filangieri. Tale aspetto è attualmente riscontrabile nella prevalente sponsorizzazione
della figura del nonno giurista e nell’organizzazione delle collezioni, che sono presentate al
pubblico alla stregua di una Wunderkammer. Successivamente, abbiamo analizzato le identità
virtuali del museo messe in campo con più frequenza, prima e durante l’emergenza sanitaria,
con un occhio di riguardo per i commenti degli utenti. Dopo la riapertura del 13 giugno, ab-
biamo osservato da vicino le pratiche di mediazione nello spazio fisico, verificando altresì il

1. Cfr. Fahy 2003, pp. 81-97.
2. Cfr. Fahy 2003, pp. 81-97.
3. Cfr. https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/04/18/franceschini-pensiamo-a-una-netflix-della-cultura_
ea51312e-43dc-4812-81d1-42518db342c7.html
4. Gigliotti 2020.

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La comunicazione digitale del Museo Civico Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

funzionamento della recente app scaricabile come guida. Abbiamo confrontato l’allestimento
attuale con le immagini d’archivio delle sale – risalenti al 1920 –, con i disegni delle vetrine
realizzati dal Filangieri e con le ipotesi sul percorso museale originario, ricostruite dalla studiosa
Nadia Barrella nel testo La forma delle idee, servendoci delle preziose guide coeve pervenuteci
dalla penna dell’aristocratica Emma Perodi. La documentazione delinea i meditati legami che
intercorrevano tra l’architettura, gli elementi d’arredo, la museotecnica, le modalità espositive
e i singoli oggetti, alla luce di un avanzato approccio filologico alle testimonianze storiche. Nel
dettaglio, poiché è emerso che la problematica della funzione della quadreria della sala Agata è
ancora aperta5, ci è parso significativo evidenziare quanto le mostre correnti risultino insisten-
temente incentrate sui singoli capolavori pittorici, di Jusepe de Ribera e di Luca Giordano ad
esempio, in linea con le tendenze espositive mainstream impostate sul mito del «genio maledet-
to» di Caravaggio. La comunicazione digitale oggetto della nostra indagine, infatti, si configura
come una massiccia promozione di stampo mediatico che ha, sì, il pregio di rendere il Museo
Filangieri – purtroppo ancora scarsamente noto ai cittadini napoletani – maggiormente visibile
al pubblico, ma al prezzo della mutilazione della complessa mission originaria dell’istituzione,
oggigiorno ridotta a scrigno di tesori vagamente correlati con il tessuto storico di Napoli. Tali
narrazioni, in sostanza, diffondono i cliché sulla città esplosi durante la fase di turisticizzazione
degli ultimi anni.

Lo sfaldamento della visione del Principe
    Nel 1881, il Principe di Satriano Gaetano Filangieri avvia le trattative con il Comune di
Napoli per la donazione delle proprie collezioni d’arte e della biblioteca personale, allo scopo
di costituire un museo civico, che apre al pubblico sette anni dopo, in seguito a un’articolata
operazione di restauro della sede, il rinascimentale Palazzo Como6. L’allestimento definitivo,
a cura del fondatore, si presenta notevolmente ampliato rispetto al nucleo collezionistico ori-
ginario grazie a ulteriori acquisizioni. Le scelte espositive del Principe, infatti, si orientano via
via alla restituzione dell’evoluzione tecnica e stilistica delle Arti Applicate, in sinergia con il
Museo Artistico Industriale della città e con le sue Scuole Officine. Tali scelte si basano sulla
volontà di istituire un vero e proprio laboratorio di industrial design per le manifatture arti-
stiche napoletane, allo scopo di rilanciare l’artigianato locale su scala industriale tramite un
approccio filologico al prodotto7. Dalle pagine di Emma Perodi, del resto, il museo si configura
come una straordinaria opera d’arte totale: l’architettura, i manufatti, i documenti, i percorsi
espositivi delle sale e il più piccolo dettaglio d’arredo sono concepiti in rapporto dialettico con
la storia dell’edificio. La visione d’insieme delle eclettiche ricostruzioni d’ambiente e la va-
lorizzazione di stampo tecnico-scientifico dei singoli pezzi, supportata dai microallestimenti,

5. Cfr. Barrella 2010, pp. 183-187.
6. Cfr. Barrella 2010, p. 190: «Palazzo Como non fu la prima sede individuata da Filangieri per esporre in manie-
ra permanente la sua collezione. Nel febbraio del 1880, il Principe scriveva infatti all’allora Soprintendente Giulio
de Petra per ottenere alcuni terreni dell’abolita Certosa di San Martino dove poter costruire, ex novo, uno spazio
che conciliasse le sue esigenze abitative con la volontà di rendere fruibili le sue raccolte. Il Principe inseguiva an-
cora un modello di casa-museo simile a quello che, ad esempio, Giacomo Poldi Pezzoli stava realizzando a Milano
negli stessi anni, ma il progetto è stato modificato dai più complessi obiettivi che il contesto napoletano, il concreto
avviarsi del Museo Artistico Industriale e la vicenda di Palazzo Como gli consentirono di mettere a fuoco».
7. Cfr. Barrella 2010, pp. 19-42.

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risultano complementari8. Il Museo Filangieri rappresenta, infatti, un unicum nel panorama
italiano delle istituzioni museali dell’epoca in quanto configura una mission complessa, che
chiama in causa una riflessione più ampia sul significato stesso dell’azione conservativa e del-
le moderne forme e tecniche architettoniche le quali devono nascere in armonia col passato
per ristabilire un edificio «in uno stato completo che può non essere mai esistito in un dato
tempo»9, come insegna l’architetto francese Eugène Viollet-le-Duc. In effetti, già il rimontag-
gio della splendida facciata bugnata di Palazzo Como, arretrata di 20 metri in un’operazione
urbanistica all’avanguardia per tutelarne l’integrità nell’ambito del Risanamento, attesta la cura
del Principe nel realizzare un organismo di citazioni e di integrazioni in stile, che spaziano dal
Medioevo, al Rinascimento e alla contemporaneità. Perodi evidenzia la funzione del plastico
di Palazzo Como, collocato dal Filangieri all’ingresso del museo per rendere immediatamente
tangibile l’intervento urbanistico, e descrive un percorso percettivo intenzionalmente studiato
per stimolare le emozioni del visitatore. Uno degli esempi più significativi di questa sintesi di
autocelebrazione, di recupero delle atmosfere del passato e di intenti didattici, volti allo svilup-
po della città, risiede nel mosaico della volta al piano inferiore, minuziosamente progettato dal
Principe e realizzato dagli artigiani delle Scuole Officine seguendo l’antica tradizione bizanti-
na, grazie alla collaborazione di Giuseppe Salviati, lungimirante imprenditore che pure stava
rinnovando la tradizione dell’artigianato veneto. La raccolta di armi aveva valore documen-
tario ma anche di trofeo in onore del padre, il generale Carlo10, mentre l’albero genealogico e
gli stemmi nobiliari tracciati sulla volta esaltavano la stirpe. Si tratta della restituzione della
memoria collettiva della famiglia in relazione al mutamento di ruolo della nobiltà nell’ex ca-
pitale del Regno, che si stava appropriando dei valori borghesi della ricchezza, della cultura e
dell’éngangement, all’indomani dell’Unità d’Italia11. Al livello superiore, il vestibolo con armi ed
emblemi, alcuni elementi d’arredo originali, alternati a copie di prodotti artigianali dei secoli XV e
XVI, sull’esempio del Museo Cluny12, costituiva un affresco storico in cui trovavano posto anche
i gonfaloni delle armi di casa Filangieri e della città di Napoli, atti a rappresentare la dimensione
municipale del museo e l’intento di incidere sul territorio. Sempre al secondo piano, una quinta
in velluto e seta, posta all’ingresso del peristilio della sala Agata, invitava a riposare lo sguardo e
precludeva la vista dell’intero salone: una volta guadagnata la soglia, il visitatore riusciva ad im-
mergersi nel più importante spazio espositivo del museo, dove veniva investito dall’illuminazione
zenitale irradiata dal soffitto a vetri e dalla vivacità dei colori delle tappezzerie e del pavimento
maiolicato – istoriato con gli stemmi nobiliari e la sigla delle Scuole Officine –, in un gioco di
luci che induceva una calcolata tensione emotiva. Il fulcro visivo della sala risiedeva nel ritratto
del nonno, il giurista e filosofo illuminista Gaetano Filangieri, celebre autore de La Scienza della
Legislazione, il cui manoscritto era significativamente esposto nella vetrina sottostante il dipinto.

8. Cfr. Barrella 2010, pp. 172-182.
9. Viollet-le-Duc 1854, p.14. Citato in Barrella 2010, p. 166.
10. Cfr. Barrella 2010, p. 45.
11. Cfr. Barrella 2010, p.33.
12. Il Musée de Cluny, rappresentò il prototipo di una nuova forma-museo nella quale Alexandre Du Sommerard
aveva riunito un allestimento di oggetti medievali e rinascimentali, tra le mura di una cappella gotica, nel 1832.
Acquistata dallo Stato nel 1842, la raccolta venne aperta al pubblico nel 1844, con la partecipazione di Viollet-le-
Duc, e ovviava alla necessità di esporre oggetti d’arte applicata al fine di risollevare il gusto del popolo e degli
operai. Cfr. Barrella 2010, pp. 22-23.

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La comunicazione digitale del Museo Civico Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

    Oltre a un’armoniosa visione d’insieme, che rendeva immediatamente tangibile il contributo
intellettuale apportato dai Filangieri nel corso delle generazioni, il progetto espositivo suggeriva
percorsi lineari e dettagliati, scanditi dalle vetrine disposte in successione. Riguardo ai dipinti,
le acquisizioni successive al 1881 e le scelte espositive finali attesterebbero che il Principe abbia
progressivamente abbandonato l’idea di assemblare una quadreria sulla storia della pittura na-
poletana, limitandosi a mere finalità decorative e a una visualizzazione embrionale del metodo
della Storia dell’Arte, al tempo ancora tutta da fare per la carenza di ricerche d’archivio. Infine,
al centro di uno splendido ballatoio costeggiato dalle ceramiche – divise per scuole e per prove-
nienze –, la prestigiosa biblioteca in legno rimarcava che la sistematizzazione e la ricostruzione
filologica dei documenti sono propedeutici alla critica e alla ricerca. L’intreccio di museografia,
di museotecnica e di restauro manifestava, pertanto, la consapevolezza che il segno distintivo
delle civiltà non risiede nell’eccezionalità dell’opera, bensì nella contestualizzazione del patri-
monio dei materiali e archivistico.

    La Direzione Jorio: eventi, miracoli e il mito del capolavoro
    Nel 2012 la struttura museale ha riaperto dopo 13 anni di chiusura dovuta ai debiti tuttora
non estinti dal Comune di Napoli. A partire dal gennaio 2018, la Direzione Jorio ha comportato
la semplificazione della denominazione in «Filangieri Museo», in vista di una sponsorizzazione
improntata a restituire la nuova identità di «Palazzo delle Arti Polifunzionale» destinato a feste,
spettacoli ed eventi per raccolte fondi, a mostre sui pittori caravaggeschi e sulle tematiche d’at-
tualità, come la questione di genere13, a esposizioni sugli artisti più sdoganati14. Inoltre, Paolo
Jorio, già direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, incarna il sodalizio che prevede l’in-
tegrazione in un unico ingresso per le due strutture, nell’ambito della rete «Via Duomo – Strada
dei Musei»15. A ben guardare però, risultando assente un’articolata offerta culturale in merito,
il sodalizio si limita allo slogan leggibile nel doppio logo che unifica il Filangieri e il Museo
del Tesoro, rispettivamente narrati come «la mente e il cuore di Napoli». Anche il plastico di
Palazzo Como, centrale nell’allestimento originario, nonché il simbolo del Museo Filangieri
quale capofila delle istituzioni culturali di via Duomo, in virtù della sua vicenda nell’ambito
dell’urbanistica partenopea, è stato collocato nella sala inferiore, in fondo a destra, senza alcun
cenno allo storico dibattito sulla conservazione. L’intesa tra i due enti, in sostanza, è perseguita
unicamente sotto un profilo comunicativo emozionale – nei confronti dei turisti – ed empatico
– nei confronti dei napoletani. La nuova denominazione è anche spia di una chiusura elitaria
dell’istituzione rispetto al circuito culturale cittadino. Il logo in questione svetta sulla facciata
di palazzo Como onde distinguere l’edificio dalla vicina Chiesa del Gesù Nuovo, con cui i pas-
santi sono soliti confonderlo per la facciata bugnata che caratterizza entrambe le architetture.
All’interno della recente brochure, del sito e dei canali social il logo è modificato in relazione
al tipo di attività promossa dal museo16, coerentemente con il progetto di un «Palazzo d’Arte

13. Dal 19 settembre al 1 dicembre 2019 si è svolta la mostra «Le Donne del Filangieri».
14. La sala Agata è stata recentemente affittata per il progetto su Frida Kahlo, a cura della fashion designer Susi
Sposito.
15. Il Filangieri Museo, la chiesa San Severo al Pendino, il Pio Monte della Misericordia, il Madre, il Cartastorie
Museo dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, il Complesso Monumentale Donnaregina – Museo Diocesano,
il Complesso monumentale dei Girolamini e il Museo del Tesoro di San Gennaro.
16. Filangieri Eventi – Filangieri Musica – Filangieri in Movimento – Filangieri Museo Napoli.

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Polifunzionale», che scavalca così la missione civica del passato. Jorio sta ridefinendo l’identità
confusa di un’istituzione che non è più un ente autonomo depositario della storia cittadina, bensì
la cornice estetica di eventi a pagamento. In tal senso, risultano rimossi i «processi di rielabora-
zione della memoria e di riscrittura del passato»17 che contribuiscono a rendere tale un museo.
Il biglietto integrato, del resto, tende a escludere i due musei dall’offerta turistica di via Duomo
e non inserisce il Filangieri nel circuito ExtraMann, che nasce dall’iniziativa del Museo Arche-
ologico Nazionale di Napoli per stabilire un partenariato con altri istituti culturali della città.18
La crisi identitaria traspare anche dall’allestimento della sala Agata: l’attenzione alla visione
d’insieme e l’originario fulcro visivo nel ritratto del nonno – andato distrutto ma in procinto
di essere rimpiazzato da un nuovo dipinto – sono sacrificati per la Testa di Fanciullo di Luca
Della Robbia, la quale è collocata al centro dell’ingresso. I supporti alla visita per il pubblico
confondono ulteriormente le acque: una piantana con gli orari di apertura e due banner verti-
cali d’introduzione accolgono i visitatori sulla gradinata d’accesso; non c’è nessun riferimento
all’architettura, al restauro in stile, ai criteri espositivi adottati dal Principe, al prospetto di
Palazzo Como e ai mosaici della volta; persino i ritratti di famiglia al pian terreno non presen-
tano indicazioni di sorta; le targhe marmoree che descrivono la storia del padre, del «palazzo
in movimento» e delle maestranze assoldate per la costruzione del museo non sono valorizzate
dal sistema di illuminazione; risulta insufficiente la comunicazione inerente al portato simboli-
co del pavimento maiolicato della sala Agata; le didascalie, realizzate con grafiche e materiali
incongrui, si limitano a descrivere gruppi isolati di oggetti e riportano gravi lacune informa-
tive – ad esempio, la provenienza dei manufatti19. Tali notevole mancanze non sono nemmeno
compensate dalla possibilità di acquistare un’audioguida. La comunicazione nello spazio reale,
insomma, non favorisce la mediazione del progetto museologico e museografico del Principe,
configurando, invece, un contenitore di capolavori privo di itinerari espositivi adatti a un pub-
blico di non specialisti, ai bambini e persino agli esperti. La confusione generata dai supporti
informativi, come vedremo, ha il suo corrispettivo nella comunicazione digitale, che restituisce
l’immagine semplicistica di una spettacolare Wunderkammer.

La comunicazione in rete del Filangieri Museo
   Dopo la riapertura del 2012, il museo ha implementato una strategia di comunicazione
attraverso i principali social media: Facebook, Instagram, Twitter e un canale su YouTube.
La Direzione Jorio, in particolare, ha potenziato la sponsorizzazione dell’identità polifunzionale
e del legame con il Museo del Tesoro di San Gennaro. La correlazione storica e culturale dei due
enti, tuttavia, è rilevabile esclusivamente dalla descrizione della sala Carlo Filangieri, presente
nel sito, e dai post inerenti alla mostra «Il Principe Cavaliere», inaugurata in occasione della
celebrazione del Real Ordine di San Gennaro20. D’altro canto, i social del Filangieri pubbliciz-

17. Hooper-Greenhill 2003, p. 17.
18. Cfr. https://www.museoarcheologiconapoli.it/it/extramann/#.
19. Solo poche didascalie delle vetrine situate nel ballatoio della sala Agata, che ospitano alcune porcellane salvate
dall’incendio di San Paolo Belsito, accennano ai ‘notevoli danni e perdite per incendio verificatosi a causa degli
eventi bellici del 1943’ e all’originario nucleo espositivo. Per quanto riguarda le altre opere esposte, inoltre, la
relativa provenienza è indicata unicamente se originarie di Villa Livia.
20. Durante l’evento sono stati esposti nella sala Agata amuleti, abiti, drappi e ricami dell’Ordine Maggiore del

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La comunicazione digitale del Museo Civico Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

zano a più riprese il Museo del Tesoro, ma non viceversa. In linea generale, l’istituzione non
dispone di un ufficio comunicazione, avvalendosi di un collaboratore occasionale per un’opera-
zione di marketing alquanto caotica, prevalentemente attraverso Instagram e Facebook. Come
ha evidenziato Luca Manzo nel corso della nostra intervista, i social rappresentano «un mezzo
per incrementare gli introiti e il numero di visitatori», non la messa a punto di una nuova offer-
ta culturale da destinare a un pubblico differenziato21. La piattaforma Instagram, in effetti, è
assimilabile a una sorta di vetrina per gli eventi, il più delle volte promossi da privati, e appare
strutturata in un’ottica di restituzione del beneficio economico. Le fotografie sui contenuti del
museo pongono l’accento sull’eccezionalità delle singole opere d’arte e sono accompagnate da
brevi testi manchevoli di approfondimenti scientifici, talvolta persino delle informazioni stretta-
mente necessarie, come datazione e provenienza; il linguaggio e la grafica ostentano ricercatez-
za nonostante la rassegna stampa sia costantemente ricondivisa con una risoluzione pessima22.
I post sulle mostre sono pubblicati una tantum23 e non mirano né al racconto dello svolgimento
dell’evento, né alla condivisione delle impressioni dei fruitori. I tempi di pubblicazione sono
piuttosto disomogenei e sono compresi in un arco temporale che va da un post ogni due giorni
a un post a settimana o un post al mese. Le stories sono praticamente assenti e gli hashtag, che
potrebbero sopperire a questa mancanza, sono usati in maniera confusionaria. Talvolta, essi
sostituiscono la didascalia e presentano un linguaggio distaccato e autocelebrativo. I più fre-
quenti – #museofilangieri #filangierimuseo, #vienialmuseodelprincipe #palazzodarte #filangie-
ripalazzodellearti #bigliettointegrato – sono ridondanti rispetto al contenuto della pagina e non
hanno contribuito alla costituzione di una comunità virtuale limpidamente identificabile. Tale
fallimento si rispecchia nel basso numero di like – una media di 50 per post, su 2.039 follower
– e sulla carenza di commenti che, quando rilasciati, consistono in brevi dichiarazioni di gradi-
mento, principalmente espresso tramite emoticon prive di contenuto complesso, segno, questo,
dell’incapacità di sollecitare la fruizione consapevole del patrimonio. L’account Facebook ha
caratteristiche molto simili, salvo lo spazio maggiore riservato ai video promozionali realizzati
dalle tv locali on line e dai tg regionali o nazionali. Anche questo social è gestito in maniera
confusionaria. Ciò si percepisce, prima di tutto, dalla coesistenza di due profili: Museo Civico
Gaetano Filangieri, iscritto alla piattaforma dal 2015 e usato con costanza, che conta un maggior
numero di like e follower, e il Filangieri Museo Napoli, iscritto dal 2018, una sorta di doppione
della pagina principale e del profilo Facebook del direttore. Gli utenti interagiscono con com-
menti articolati che esprimono gradimento o creano dibattito, anche se manca una pluralità dei
punti di vista, sintomo di un pubblico solo parzialmente differenziato. Nel complesso, il numero
di like esprime una scarsa ricettività rispetto al ritmo di pubblicazione, il quale è stabile sui 3 o
4 post a settimana. Dalla pagina iniziale dell’account Twitter, attivo a partire da aprile 2014, si
legge lo slogan «il Museo della Città per la Città», che dovrebbe richiamarsi alla relazione con
il territorio. Tuttavia, i tweet tra il 2018 e il 2019 non afferiscono ad approfondimenti sulla storia
del museo o della città e non compaiono re-tweet dagli account di altre istituzioni culturali.

Regno di cui, come si evince dai post di Instagram, faceva parte Carlo Filangieri.
21. Bodo 2003, p. XIII.
22. La struttura Instagram è composta in gran parte da foto molto diverse per inquadratura e qualità. Risulta, dun-
que, palese l’assenza di una gestione unitaria del canale.
23. Per le mostre, ad esempio, sono stati pubblicati uno o più post ravvicinati, in concomitanza con le date di inau-
gurazione. Sono assenti, inoltre, ulteriori post che raccontino del proseguimento o del termine delle esposizioni.

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Il canale YouTube del Museo Gaetano Filangieri, infine, è stato attivato nel febbraio 2020
per sostenere il crowdfunding finalizzato all’acquisizione del ritratto di Gaetano Filangieri senior.

    Il sito web
    I canali social non presentano rimandi reciproci24, né collegamenti ad eventuali analisi tema-
tiche da approfondire sul sito web. Quest’ultimo è caratterizzato da una struttura e da una grafica
essenziali, alla stregua della brochure cartacea, ed è l’unico canale disponibile anche in lingua
inglese sebbene la sezione Curiosità e Notizie sia redatta solo in italiano. Una stringata citazio-
ne del fondatore sintetizza parte della mission originaria25. L’unica sezione di approfondimento
rimanda all’archivio aprile/dicembre 2019, che include un corpus di testi su Gaetano Filangieri,
sul Maggio dei Monumenti 2019, sul carteggio tra Gaetano Filangieri e Benjamin Franklin, su
La Scienza della Legislazione, sulla storia dell’edificio, su alcune rassegne e mostre26. In calce
al sito è possibile iscriversi alla newsletter, visitare i profili Instagram e Facebook, acquistare
il biglietto on-line. È inoltre presente l’appello a donazioni per la creazione di percorsi tattili e
sensoriali, per l’incremento dell’offerta culturale, per il prolungamento degli orari di visita e per
l’ammodernamento dell’illuminazione delle sale. Non è presente, a tal proposito, il collegamen-
to al sito dell’Associazione Onlus Salviamo il Museo Filangieri. Il sito propone una narrazione
del museo in parte coerente con i social, in parte volta a una mediazione maggiormente accurata
della mission originaria, in particolare nella sezione Come nacque il Filangieri. L’utente più
superficiale e distratto, tuttavia, potrebbe pensare che il museo sia dedicato alle Arti Antiche e
pittoriche in quanto le collezioni sono accumulate e descritte secondo la logica della Wunder-
kammer27. L’alter ego digitale del museo, in definitiva, non favorisce l’approccio intuitivo e non
agevola la fruizione degli approfondimenti.

   L’offerta digitale durante l’emergenza sanitaria
   Dall’analisi dei post pubblicati sulle piattaforme Instagram e Facebook, è emerso che l’istitu-
zione, nel corso della pandemia, ha optato per una strategia di fidelizzazione del suo pubblico,
seppur in maniera disomogenea e attraverso tattiche già in uso, senza pervenire a un amplia-
mento del bacino di utenza. Tale processo è stato attivato quasi esclusivamente sulla piattaforma
Facebook. A partire dal post dell’8 marzo 2020, che ha annunciato la chiusura a tempo indeter-
minato, il museo ha ribadito i contatti telefonici e l’indirizzo di posta elettronica per chi avesse
bisogno di consultare l’archivio e la biblioteca. La comunicazione a distanza è proseguita con
la pubblicazione di post e di video divulgativi che hanno avuto come protagonista il direttore
Paolo Jorio. Anche in questa circostanza si è palesato il netto predominio del Museo del Tesoro,
in quanto il racconto del Museo Filangieri è stato ridotto a una superficiale introduzione sul
pensiero di Gaetano Filangieri senior e sulla visione «illuminata» di Gaetano Filangieri junior.

24. Ad eccezione di Twitter, che, come si è visto, rimanda ai contenuti pubblicati su Facebook; tuttavia non si è
ritenuto utile analizzarlo a causa dell’esiguità di tweet pubblicati tra il 2019 e il 2020.
25. «“L’intento è esporre quei capolavori che rappresentano i ricordi del nostro antico lustro, e sono più importanti
per l’Historia della nostra arte” - G. Filangieri».
26. Dall’analisi del sito e dei canali social, si apprende che il museo ha realizzato la rassegna «La riscoperta dei
capolavori del Filangieri», svoltasi in tre mostre dedicate alla «Riscoperta della Scuola napoletana del Seicento e
del primo Settecento», e a un approfondimento sui «Capolavori inediti salvati da Villa Livia».
27. La sala Agata è definita: «una contemporanea Wuderkrammer», con tanto di errore di battitura.

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La comunicazione digitale del Museo Civico Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

Durante l’emergenza sanitaria, in aggiunta, i musei cittadini hanno partecipato al palinsesto
quotidiano in streaming programmato dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune
di Napoli #NONFERMIAMOLACULTURA. Sulla pagina Facebook del Filangieri sono stati
pubblicati i post di rimando alla pagina dell’Assessorato ma non è stata portata avanti, con l’au-
silio dell’hashtag in questione, un’attività di mediazione delle iniziative pertinenti. Oltre a ciò,
sono stati realizzati alcuni video a scopo didattico, sempre con il supporto di slide illustrate dal
direttore, per il canale locale Napoli News24 e nell’ambito del progetto ohmyguides.tours.com.
Quest’ultima programmazione, infatti, è consistita in una serie di visite guidate a distanza per
le scuole, tra cui un focus sul Museo Civico Filangieri. Partendo dal Cinquecento, Jorio si è sof-
fermato sul Settecento e sulla figura di Gaetano Filangieri, su La Scienza della Legislazione e
sul carteggio con Benjamin Franklin, per giungere poi all’Ottocento, secolo delle grandi migra-
zioni e del Risanamento, argomento che ha introdotto un resoconto sulla vicenda delle Scuole
Officine e sulla visione comunitaria del Principe28. Successivamente, il direttore ha accennato
alla storia di Palazzo Como, definendolo «un palazzo in movimento», e alla questione dell’alle-
stimento del museo, vero e proprio «gioiello» che rispecchia «l’utopia del Principe», quest’ulti-
ma leggibile nel pavimento maiolicato e nella decorazione musiva delle volte al pian terreno29.
È da sottolineare che mentre i video precedenti erano stati strutturati sulle slide aperte dal pc del
direttore, il progetto realizzato con la collaborazione di Ohmyguide ha previsto un denso mon-
taggio di immagini, a tratti sfiancante, e la ripresa delle sale, offrendo la possibilità di esperire del
peculiare percorso museale e dell’arredo su cui, purtroppo, la voce narrante non si è soffermata.
Il racconto, infatti, coerentemente con la strategia comunicativa dell’ente, ha privilegiato i singoli
capolavori, la pinacoteca, la collezione d’armi e il lucernario, senza fornire spiegazioni sull’uni-
cum museologico e museografico della struttura. Al termine della lezione, infine, Jorio ha colto
l’occasione per ribadire la nuova identità «policulturale» del museo, «sogno di tutti i cittadini
di Napoli». Gli altri post pubblicati durante il lockdown riguardano le collezioni e la biblioteca,
ricondivisioni di post del Museo del Tesoro di San Gennaro, un solo post, sia su Facebook, sia
su Instagram, riguardante la partecipazione alla giornata arTyouready promossa dal Mibact30 –
ma non è stata sollecitata la rielaborazione delle foto postate dagli utenti con il relativo hashtag
– e altresì alcuni post sui disegni inviati alla e-mail del Filangieri, in occasione della parteci-
pazione di entrambi i musei alla Giornata Mondiale del Disegno31. Anche per questa iniziativa,
a differenza di altre istituzioni cittadine come la Certosa e il Museo Nazionale di San Martino,

28. Paolo Jorio cita brevemente gli studi di Gaetano Filangieri e il suo testo La storia dell’arte e dei mestieri.
29. Nel corso della spiegazione degli ambienti del museo, come già notato nei video divulgativi precedenti, Paolo
Jorio fa alcuni errori contenutistici: le maioliche sono state dipinte a mano da Filippo Palizzi anziché essere state
realizzate dagli allievi dell’istituto su disegno di Gaetano Filangieri; il mosaico delle volte fu realizzato dagli allie-
vi anziché dalle officine Salviati di Venezia.
30. Il 29 marzo 2020, il Mibact ha promosso, sulle sue piattaforme on line, la campagna ArT you ready?, per coin-
volgere gli igers italiani nell’ambito di un grande evento digitale. Influencer, fotografi professionisti, visitatori e
appassionati sono invitati a pubblicare per l’intera giornata foto realizzate all’interno di musei, parchi archeologici,
biblioteche e archivi d’Italia, privilegiando i lavori fotografici privi di figure umane ed esortando a condividerli
attraverso gli hashtag #artyouready e #emptymuseum.
31. La Giornata Mondiale del Disegno è stata istituita a Londra, nel 1962, dal Consiglio Internazionale delle
Associazioni di Disegno Grafico (Ico-D), un’associazione mondiale per i disegnatori professionisti. La ricorrenza
rappresenta un’importante occasione per promuovere il valore della comunicazione attraverso il disegno e per dare
risalto a un’attività che spesso si tende ad associare solo ai bambini. Ormai da molti anni, le istituzioni museali
aderiscono a questa iniziativa per offrire i propri spazi ai disegnatori e favorire il dialogo con gli utenti.

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Francesca Basile - Martina Tramontano

la strategia comunicativa si è rivelata superficiale: il Museo Filangieri e il Museo del Tesoro di
San Gennaro non hanno proposto temi di riflessione attinenti alla storia oppure alle collezioni e
nessun disegnatore, del resto, ha scelto come oggetto il Museo Filangieri32. Il 3 giugno 2020, in
occasione della riapertura33, i social hanno abbandonato qualsivoglia intento didattico per con-
centrarsi sulla mera sponsorizzazione della #culturacheriparte, tramite fotografie di particolari
con brevi didascalie e hashtag attinenti alla riapertura, servizi di televisioni locali e articoli del
quotidiano Il Mattino, invitando i cittadini a visitare il museo. Le uniche eccezioni a carattere
didattico e scientifico sono state la riproduzione fotografica di un articolo di Vittorio del Tufo
su Palazzo Como, come al solito illeggibile a causa della bassa risoluzione, e l’attivazione di
un nuovo sussidio alla visita di tipo audiovisivo. Nel dettaglio, grazie al contributo di Kuwait
Petroleum Italia, è recentemente disponibile l’app gratuita «AMI Filangieri», rivolta a un pubbli-
co differenziato34, la quale propone due itinerari tematici, «Scopri l’opera» e «Percorsi», abbina-
ti a una mappa digitale e disponibili anche in formato audio, con la voce narrante del direttore35.
Tuttavia l’app verte ancora in una fase embrionale in quanto non sono state sviluppate tutte le
sezioni elencate nel menu e sono presenti solo due sezioni per il pubblico generico: I Pezzi forti36
e Famiglia Filangieri37. In realtà, molte opere si ripetono con le medesime descrizioni, la concre-
ta alternanza delle proposte, quindi, non risulta perseguita ed è evidente l’intenzione di focaliz-
zare lo sguardo del visitatore sul singolo oggetto. Infatti, anche se la descrizione del pavimento
della sala Agata si lega al racconto della nascita del Museo Scuole Officine, nell’app è assente
qualsivoglia considerazione sugli arredi. La creazione dell’app e l’imminente pubblicazione
di un catalogo scientifico, sono forse indice di una maggiore attenzione alla divulgazione con
fini didattici. Se confrontiamo la strategia di comunicazione attuata durante la pandemia con
i suggerimenti forniti da ICOM38, possiamo affermare che il personale scientifico del Museo
Civico Gaetano Filangieri non ha sfruttato la pandemia per incrementare il numero di follower.
L’ICOM, per fronteggiare l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla vita dei musei, ha stilato una
lista di proposte basata su una selezione di strategie virtuose messe in campo dai musei di tutto
il mondo. Le riportiamo per una sintetica comparazione:
    Condividere una collezione virtuale attraverso la digitalizzazione del patrimonio: questa ini-
ziativa, già attuata da molti musei a livello nazionale e mondiale, rappresenta un’ottima possi-
bilità di autopromozione e un eccellente mezzo per incrementare il pubblico e, al contempo, per
incoraggiare un approccio creativo al patrimonio. Il Museo Filangieri non ha inserito il proprio
patrimonio in una piattaforma open access, né ha implementato, con Google Art&Culture, la
diffusione dello stesso.
    Organizzare tour virtuali attraverso dirette live sulle piattaforme Facebook e Instagram:
molti musei offrono regolarmente dei tour in diretta, a cura del personale scientifico, essendo

32. Molti disegni, sia di adulti che di bambini, riguardavano il Covid-19, altri il Vesuvio e San Gennaro e moltissi-
me opere, soprattutto dei più grandi, consistevano in ritratti, oppure rimandavano all’idea di distanziamento.
33. A partire dal 13 giugno, il Museo Filangieri è tornato ad accogliere i suoi visitatori, solo il sabato e la domenica
e previa prenotazione online, secondo il solito orario di apertura, garantendo il distanziamento sociale e obbligan-
do all’uso della mascherina.
34. Dal menu a tendina in homepage è possibile scegliere tra i percorsi bambino, teenager, adulto esperto.
35. Cfr. https://www.lagazzettadellospettacolo.it/costume/77138-napoli-apertura-musei-via-duomo/.
36. Dipinti, porcellane, armi, il pavimento della sala Agata.
37. Descrizione della genealogia attraverso i ritratti presenti nel museo e i mosaici delle volte al piano terra.
38. Cfr. https://icom.museum/en/news/how-to-reach-and-engage-your-public-remotely/

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La comunicazione digitale del Museo Civico Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

questi degli ottimi strumenti per raggiungere il pubblico a casa e per approfondire i differenti
aspetti della vita del museo. Questa strategia è stata in parte adottata dal Museo Filangieri, che
ha coinvolto il suo pubblico tramite tre dirette su Facebook, in orario pomeridiano. Il risultato,
tuttavia, è una mediazione a metà tra la lezione di Storia dell’Arte e la chiacchierata informa-
le – attraverso la presentazione di slide con voce fuori campo – piuttosto che un tour o a un
approfondimento di tipo empatico tra il direttore del museo e il visitatore39. Tale strategia mira
a una fugace illustrazione dei singoli capolavori, e non all’immersione virtuale nella storia
dell’istituzione.
    Organizzare mostre virtuali su Pinterest: prendendo spunto dalla mostra «Say Cheese!» del
J. Paul Getty Museum di Los Angeles, ICOM proponeva di utilizzare il canale social per espor-
re, in base a una determinata tematica, opere solitamente conservate nei depositi o che non è
possibile esporre per motivi conservativi. Il Museo Filangieri non dispone di questo canale
social, né lo ha attivato durante la pandemia per potenziare l’offerta culturale.
    Creare argomenti di discussione su Twitter: per un approccio impegnato, attraverso l’espo-
sizione di temi culturali e sociali legati alle collezioni, come testimonia l’esempio del MERL -
Museum of English and Rural Life. Nonostante il Museo Filangieri sia dotato della piattaforma
Twitter, questa non è mai stata utilizzata durante il lockdown.
    Podcast: le dirette radio on-line hanno tenuto compagnia al pubblico durante la quarantena,
attraverso il racconto delle collezioni, dibattiti con gli ospiti e/o approfondimenti. Il Museo
Filangieri non è presente in piattaforme del genere.
    Narrare una storia attraverso gli hashtag: dalla precedente analisi dei post, si evince che il
Museo Filangieri ha utilizzato gli hashtag in maniera ridondante e superficiale, senza favorire
inedite condivisioni di idee nella comunità virtuale.
    Quiz e contest: la pubblicazione di quiz – tramite le storie – e contest – attraverso i post – è
un’ottima strategia per attuare la vocazione didattica del museo con il gioco, per rivolgersi a
un pubblico di adolescenti e di non esperti e, al tempo stesso, per aumentare i follower. Questo
approccio stimola, in aggiunta, la creatività dei fruitori, ai quali si propone di reinterpretare i
capolavori con la fantasia e con il materiale disponibile su open access. Sia in condizioni di
normalità, sia durante la pandemia, il Museo Filangieri non ha mai utilizzato questa strategia,
come si evince dall’assenza di storie mirate e contest.

   Il museo e il suo pubblico: un’analisi dei follower, di TripAdvisor e di Google
   Nel panorama dei musei italiani, l’onnicomprensiva etichetta di «grande pubblico» attesta
un’insufficienza di riflessioni sistematiche sui livelli di informazione che il fruitore porta con sé
e sulla personale esperienza di visita40. Abbiamo ritenuto dunque opportuno individuare, sulle
piattaforme Instagram, Facebook, Tripadvisor41 e Google, i feedback del pubblico del Museo Ci-

39. Si veda, ad esempio, l’idea del Museo Van Gogh di Amsterdam, che consiste nel collegare virtualmente le di-
verse versioni de I Girasoli, conservati nel Van Gogh, nella National Gallery di Londra, nella Neue Pinakothek di
Monaco, nel Philadelphia Museum of Art e nel Seiji Togo Memorial Sompo Japan Nipponkoa Museum of Art, at-
traverso video di approfondimento su ciascuna opera e sulle rispettive differenze, a cura del personale scientifico.
40. Hooper-Greenhill 2003, p. 13.
41. Il sito, nato per recensire le strutture ricettive internazionali, ha ampliato la sua offerta con una sezione dedicata
alle attrazioni turistiche, in cui sono compresi i musei. Gli utenti possono registrarsi gratuitamente, esprimere il
proprio grado di apprezzamento tramite una scala valutativa – da pessimo a eccellente –, rendere nota la personale
provenienza geografica, il periodo dell’anno in cui hanno usufruito del servizio e la tipologia di vacanza selezio-

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Francesca Basile - Martina Tramontano

vico Filangieri. Dall’analisi dei follower di Instagram, si evince che il museo è ampiamente rico-
nosciuto. Infatti, oltre a una consistente fetta di utenti privati, troviamo il gruppo di via Duomo,
musei campani, nazionali ed esteri, istituzioni strettamente attive sui territori, importanti asso-
ciazioni culturali, guide turistiche e Bed&Breakfast. Tra gli account seguiti, tuttavia, non com-
paiono alcuni attori di via Duomo, né gran parte dei follower del museo. Dalle recensioni di Fa-
cebook – che esprimono un giudizio complessivo di 4.7 su 5 – e dai commenti ai post, abbiamo
dedotto che gli utenti attivi sono principalmente i cittadini napoletani influenzati dalla strategia
di marketing messa a punto dal direttore Jorio. I commenti, a tal proposito, rivelano, da un lato,
entusiasmo per la salvezza del luogo dal degrado, dall’altro, disappunto per la privatizzazione
degli spazi. L’account del museo risponde raramente ai giudizi negativi ed esorta gli utenti a
ripubblicare i giudizi positivi su TripAdvisor, dove si riscontrano recensioni dal 2012 – 105 in
totale, quasi tutte di visitatori italiani – e un certificato di eccellenza grazie a un punteggio di
4.5 su 542. Le cosiddette «comunità interpretative», teorizzate da Stanley Fish43, consentono di
rintracciare due tipologie di visitatori del Filangieri, siano essi napoletani, italiani o stranieri: la
maggioranza possiede alcune preconoscenze e la capacità di riconoscere le specificità del mu-
seo del collezionista. Eppure, la comunicazione superficiale di contenuto e contenitore neutra-
lizza la possibilità di comprendere il portato sociale della mission originaria, in quanto il luogo è
definito una «casa museo», una «Wunderkammer» oppure «un museo ottocentesco». Il secondo
modello di visitatore, d’altro canto, percepisce il Filangieri quale generico museo d’arte. Dai
feedback emergono altresì i principali schemi di consumo e di partecipazione: le visite copro-
no tutti i mesi di apertura, il biglietto integrato riscuote successo sebbene il significato dello
slogan «cuore e mente di Napoli» risulti oscuro e in pochi afferrano la correlazione con la via
dei musei. Il tempo di visita si aggira intorno ai novanta minuti, ad eccezione di qualche caso
isolato a cui non basterebbe una giornata intera44. Ciascun visitatore, inoltre, è attratto da una
specifica categoria artistica e, generalmente, rimangono impresse solo la collezione d’armi e la
pinacoteca. Nel solco delle macro-categorie definite da Nicolette Mandarano45 per valutare il
milieu museo, abbiamo estrapolato ulteriori informazioni: il comfort delle sale non è molto con-
siderato dal pubblico che non sembra agognare momenti di riposo, né individua le aree di sosta
ideate dal Principe; pochi visitatori lamentano l’assenza di un impianto di areazione per il caldo
estivo; la maggior parte è in grado di orientarsi nelle sale, ad eccezione di una turista che ha
riscontrato qualche difficoltà nel riconoscere gli spazi46; non sono presenti lamentele circa l’esi-
gua illuminazione delle opere del piano inferiore, mentre il lucernario della sala Agata suscita
grande ammirazione; in molte recensioni il pubblico è inizialmente attratto dal contesto storico

nata – da soli, in coppia, con amici, in viaggio di lavoro.
42. 68 valutazioni eccellenti, 25 molto buono, 7 nella media, 2 scarso, 0 pessimo.
43. Fish definisce «comunità interpretativa» quell’insieme di individui che condividono le medesime strategie
nella lettura dei testi e nell’attribuzione di significati, espressione che può essere estesa, secondo l’interpretazione
di Hooper Greenhill, agli oggetti conservati nei musei e alle loro diverse interpretazioni. Si veda nel dettaglio
Hooper - Greenhill 2003, p.27.
44. «È un luogo piccolo, raccolto ma non basta una giornata intera per godere delle rarità e delle bellezze che vi
sono custodite» Marika, Napoli, marzo 2019.
45. Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=ULs1OXQC8mg.
46. «molto scortese un custode uomo nel richiamarmi perché avevo sbagliato stanza, dirigendomi verso quello che
ho visto poi essere tipo ripostiglio per scope, ecco assicuro che non ero intenzionata a portarmele a casa» Sara,
Verona, novembre 2018.

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La comunicazione digitale del Museo Civico Gaetano Filangieri: una parziale amnesia

del palazzo47,, dalla rarità degli oggetti e dalla bellezza dei dipinti, eppure l’apparato dei sussidi
alla visita non attiva l’esaustiva comprensione degli stessi; alcuni visitatori più attenti, che non
si soffermano sulla sponsorizzazione di palazzo d’arte, reclamano audioguide e pannelli didat-
tici; riguardo ai servizi essenziali e aggiuntivi, altri ritengono inconcepibile l’assenza del pos e
nessuno invoca una caffetteria e un guardaroba; i servizi igienici, infine, sono recensiti come
puliti e ben segnalati. Sul motore di ricerca Google il punteggio del museo equivale a 4.6 su 5,
con 51 recensioni rilasciate prevalentemente tra il 2019 e il 2020. Anche in questo caso, trapela
l’interpretazione del luogo quale contenitore di una splendida collezione privata. Dal motore di
ricerca si evincono altresì critiche, apprezzamenti e suggerimenti: molti lamentano l’assenza
del pagamento elettronico e degli ausili didattici, la condizione di inaccessibilità per i visitatori
diversamente abili, reclamano didascalie e racconti, audioguide e la consultazione della bi-
blioteca. Numerosi visitatori apprezzano la gentilezza e la disponibilità dell’organico di sala.
Su questa piattaforma il personale del museo risulta più interattivo, fornendo feedback delle
recensioni e scusandosi con i fruitori insoddisfatti. In sintesi, dai resoconti di TripAdvisor e
di Google, emergono due impressioni distinte: i napoletani sono molto felici della riapertura
di un «tesoro nascosto» alla città, i turisti scoprono il museo per caso e ne intuiscono le pecu-
liarità nel contesto culturale cittadino. I visitatori stranieri, inoltre, forniscono feedback ete-
rogenei: una donna francese, probabilmente avvezza a supporti didattici di qualità, apprezza
la particolarità del contenitore, tuttavia rimpiange di essere stata abbandonata a sé stessa; i
turisti anglosassoni deplorano l’assenza dell’aria condizionata e soltanto alcuni recepiscono
il legame con la raccolta di Arti Applicate di Capodimonte; è curioso che un turista cinese,
infine, elogi la penuria di visitatori, ideale per scattare fantastici selfie con gli amici.

47. La visita al museo è spesso definita come «un viaggio nella macchina del tempo».

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Francesca Basile - Martina Tramontano

Conclusione
    Dall’analisi dei canali di comunicazione del Museo Civico Gaetano Filangieri, si desume
che, durante la pandemia, non è stata messa in atto una programmazione in grado di fidelizzare
nuove tipologie di pubblico, né si è mantenuto un contatto sufficientemente costruttivo con le
persone a casa. Non si è puntato, inoltre, a una divulgazione scientifica capace di adattare i con-
tenuti al mezzo digitale senza sacrificare la complessità della mission perduta. La strategia co-
municativa adottata, dunque, è incentrata sul modello di trasmissione a traiettoria unidireziona-
le. Un approccio del genere è gravemente limitante, in quanto si fonda su espedienti tecnici che
ignorano gli aspetti sociali e culturali della comunicazione, non interpretando esaustivamente
i processi alla base della reciproca comprensione tra gli individui48. Un segnale eloquente deriva
dall’assenza, sulla maggior parte delle piattaforme digitali, dei feedback dei visitatori, persino
nell’ottica di una valutazione della ricezione dell’informazione trasmessa. Il Museo Filangieri
non ha approfittato del lockdown per instaurare un dialogo di qualità con gli utenti virtuali
perché non ha fornito diverse chiavi di lettura del patrimonio, ma ha dimostrato, soprattutto nel
caso di Instagram, una chiusura in sé stesso, spia di una concezione del marketing culturale che
cela le incertezze identitarie già verificate nello spazio fisico della struttura. Questa situazione,
in un periodo in cui la comunicazione dovrebbe sostenere il punto di vista critico sull’attualità
ed essere più che mai di compagnia, dimostra come la nuova identità di museo polifunzionale
non sia in grado di potenziare la rete culturale cittadina. L’obiettivo principale, al contrario,
consiste nella privatizzazione degli spazi. Ulteriori prove risiedono sia nell’interruzione della
newsletter – che avrebbe potuto consolidare il rapporto con il pubblico più affezionato –, sia
nell’assenza della diffusione del patrimonio librario, dovuta all’insufficienza di fondi – secondo
quanto dichiara Jorio a più riprese. Tutto questo nonostante la biblioteca sia un prezioso scrigno
di contributi fondamentali sulla storia filosofica, artistica e urbanistica della città di Napoli e
testimoni il ruolo ricoperto dalla famiglia Filangieri nel Secolo dei Lumi, nel dibattito sulla Sto-
ria dell’Arte e nella temperie culturale della Francia ottocentesca. Insomma, ad oggi, il Museo
Civico Gaetano Filangieri sembra essere molto lontano dall’idea di museo relazionale:
    Non più esclusivamente “scrigno” della memoria e “roccaforte” della tutela e dell’eccellenza
scientifica – tale sembra essere la percezione del museo d’arte tuttora prevalente nell’immagi-
nario collettivo – ma anche e soprattutto luogo di esperienza conoscitiva, aggregazione socia-
le, crescita civile e ridefinizione identitaria. Il museo relazionale, infatti, deve interrogare la
propria natura di istituzione culturale anche al fine di coinvolgere strati più vasti di popolazione
– siano essi nuovi, come gli immigrati, o tradizionalmente lontani dal museo, come i ceti meno
abbienti – e proporre un’offerta esente da inconsapevoli discriminazioni per diventare un luogo
critico e autocritico di educazione, se così si può dire, “civile” oltreché di ricreazione49.
    Dall’intervista a Luca Manzo è emerso che l’odierna strategia di marketing mira ad attirare,
da una parte, soprattutto il turismo di massa e, dall’altra, un pubblico elitario a cui vendere il
museo come luogo di eventi per contrastare il deficit economico, a scapito di un’accessibilità de-
mocratica. Parallelamente, la comunicazione dei contenuti scientifici appare poco accattivante
e priva di una visione progettuale solida. La carenza di traduzioni in lingua, inoltre, costituisce
un limite enorme all’attrazione del turismo estero. La funzione trainante che dovrebbe svolgere

48. Cfr. Hooper-Greenhill 2003, p. 11.
49. Bodo 2003, pp. XI -XIII.

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