Il lavoro c'è, mancano i super tecnici Benedetti: agire subito o sarà il declino - Anci FVG

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IL MESSAGGERO VENETO
15 MAGGIO

Le imprese regionali fanno i conti con il fabbisogno di personale altamente
specializzato: resta il nodo della formazione

Il lavoro c'è, mancano i super tecnici
Benedetti: agire subito o sarà il declino
Elena Del Giudice UDINE. Nel volgere dei prossimi anni serviranno, solo in Friuli Venezia Giulia,
almeno 5 mila addetti con competenze specifiche di alta specializzazione. E quanti giovani formati
saranno in grado di rispondere all'offerta di occupazione, se già ora i posti di lavoro che ci sono restano
scoperti? La stima sui numeri è facile: in regione «solo nel comparto metalmeccanico ci sono circa
3.800 imprese attive - ricorda Gianpietro Benedetti, nella veste di presidente della Fondazione Mits,
Malignani istituto tecnico superiore - con un totale di 56 mila addetti. Di questi almeno il 10% dovranno
avere competenze fondamentali per garantire la competitività delle imprese del Fvg nel contesto
globale». L'alternativa? «Il declino». Non solo delle imprese ma anche del territorio.Ma chi forma questi
giovani? La risposta è l'Its, l'Istituto tecnico superiore, ovvero un percorso di studi che segue il diploma
e che si sviluppa in 2 anni. E che, nonostante sia un modello vincente, incontra molti ostacoli. Per dirne
uno, se in Germania questo genere di formazione produce 800 mila tecnici specializzati, in Italia si
ferma a 10 mila. E non perché manchino i posti di lavoro. Gli ostacoli sono diversi, si va della cultura
(c'è chi ancora pensa che la formazione tecnica produca operai generici), dalle convinzioni di
insegnanti e genitori, per arrivare all'Università che vede, negli Its, una "minaccia" alle proprie lauree
triennali.Nonostante tutto ciò, negli ultimi anni sull'insegnamento tecnico che mira a formare personale
specializzato da utilizzare nelle imprese c'è stato un investimento, tanto da essere - oggi - la punta
avanzata dell'istruzione tecnica. Nel Paese sono oltre un centinaio gli istituti attivi in ogni settore. In Fvg
si contano 4 Fondazioni orientate sui percorsi formativi più richiesti dal territorio: a Pordenone
informatica e telecomunicazioni, a Trieste mobilità sostenibile e logistica, a Udine meccanica,
manutenzione aeronautica, agroalimentare, arredo, macchine agricole.«Nella trasformazione in atto del
manifatturiero - aggiunge Sergio Barel, presidente del distretto Comet e Ceo di Brovedani Group spa -
almeno il 10% dei nuovi addetti dovranno avere competenze che vanno dalla meccatronica alle
automazioni, dal controllo dei processi produttivi alla gestione delle reti digitali alla connessione
macchine, alle nuove tecnologie come l'Additive Manufacturing: 5 mila posti di lavoro che, con loro,
trascinerebbero l'evoluzione del cluster nella vera industria 4.0 e l'evoluzione dell'intero settore
metalmeccanico».«L'esigenza di competenze 4.0 nella progettazione, realizzazione e messa in servizio
di siti produttivi, siano essi nuovi o ristrutturati, diventa sempre più pressante - ha dichiarato Marco
Ometto, responsabile della divisione ricerca e sviluppo di Danieli Automation». Da qui la necessità di
avviare percorsi formativi finalizzati proprio alla formazione di nuove competenze utili all'industria 4.0 e,
più in generale, all'industria regionale che vuole restare competitiva.
l'esperienza

Oltre 300 diplomati a Udine
il 98% ha trovato occupazione
UDINE. Diploma Its uguale lavoro sicuro. Degli ultimi diplomati Mits, il 98% ha un lavoro, il 2% ha
optato per proseguire gli studi e si è iscritto all'Università.È un percorso di formazione di successo,
quello dell'istituto tecnico superiore, avviato in Friuli Venezia Giulia nel 2011. A oggi sono 23 i corsi
avviati, di cui 14 si sono conclusi diplomando 303 tecnici, in prevalenza nel settore della meccatronica e
delle macchine agricole. I percorsi riservati ad agroalimentare e legno- arredo sono gli ultimi nati a cui
si sommerà, da ottobre, l'indirizzo in automazione, sistemi digitali di controllo e reti di comunicazione
con altri 25 posti a disposizione per formare i tecnici del 4.0, ovvero dei percorsi di digitalizzazione delle
produzioni, raccolta dei big data ecc. Accedono all'Its, a seguito di selezione, i giovani che hanno un
diploma di istruzione secondaria superiore o un diploma di istruzione e formazione professionale
quadriennale con frequenza di un corso annuale integrativo. I percorsi hanno una durata biennale o
triennale e prevedono uno stage obbligatorio. «L'esperienza lavorativa in azienda - ha spiegato Paola
Perabò, che oltre ad essere vicepresidente del Mits, è responsabile della Danieli Academy - può essere
svolta, ed il caso di Danieli, con un contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca».Se si
allarga lo sguardo a livello nazionale, sono 103 gli Its attivi in Italia che contano oltre 13 mila 300 iscritti.
L'ultimo monitoraggio nazionale, su dati del Miur, nel triennio 2015-2018, su 6 mila 293 diplomati, 5 mila
70 risultato occupati a un anno dalla fine del percorso di studi, con una percentuale pari
all'80,6%.«Sarebbe sbagliato pensare che gli Its finalizzano la loro attività formativa per soddisfare le
esigenze delle grandi aziende - chiarisce Ester Jannis -: i 302 diplomati di questi anni si sono infatti
inseriti di imprese grandi, medie e piccole, e la scelta dei percorsi di studio risponde alle necessità del
territorio con l'obiettivo di fornire un contributo al suo sviluppo».Ma in cosa divergono la formazione Its
da quella universitaria? Fondamentalmente nel diverso genere di competenze che vuole formare, meno
accademiche, per gli Its, ma non per questo meno qualificanti. «Parliamo di skills, di capacità di
lavorare in squadra, parliamo - è la definizione data dall'ingegner Gianpietro Benedetti - dell'intelligenza
del fare». E per esplicitare, cita un ingegnere svedese della Danieli che, per spiegare come funziona
uno specifico macchinario, impugna chiave inglese e svita-bulloni e inizia a smontar e pezzo per pezzo
il macchinario mentre spiega che costa sta facendo, il perché lo fa, qual è il problema e quale sarà la
soluzione. «In Italia forse un ingegnere su 10 sarebbe in grado di fare la stessa cosa». Un diplomato
Its, invece sì.Sabato 18 maggio, infine, a partire dalle 9,30 nell'Aula magna dell'Isis in via Leonardo da
Vinci a Udine, si svolgerà la cerimonia di consegna dei diplomi id tecnico superiore.
nuovo corso

All'Its Malignani decolla
il biennio per il digitale
UDINE. Quella del colmare il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, è uno degli obiettivi
prioritari «per l'industria regionale come nazionale - ricorda Anna Mareschi Danieli, presidente di
Confindustria Udine - su cui, peraltro, siamo fortemente impegnati». Ma l'impegno di Confindustria, da
solo, non basta. «Occorre spingere sull'orientamento dei ragazzi, sull'informazione a genitori e
insegnanti, dobbiamo far comprendere l'importanza degli Its e dell'alta specializzazione. E bisogna
anche - ha proseguito Mareschi Danieli - sensibilizzare la Regione che, ad esempio, non assicura le
stesse agevolazioni agli studenti degli Its e a quelli universitari. Se c'è una legge, è datata e non
rispecchia più il contesto, forse andrebbe cambiata».I percorsi di formazione superiore sono strutturati
per accogliere un numero massimo di 25 studenti, in alcuni indirizzi il numero massimo viene raggiunto,
in altri no.Da qui l'esigenza di promuovere «questa offerta formativa d'eccellenza - ha aggiunto Ester
Jannis, alla guida del Mits - che da ottobre 2019 si arricchisce di un ulteriore indirizzo, ovvero il
percorso per tecnico di "Automazione, sistemi digitali e di controllo e reti di comunicazione". L'offerta
formativa che fa capo al Mits è dunque piuttosto articolata, tanto da aver già richiesto «ospitalità ad
istituti della provincia per accogliere i nostri studenti - segnala Paola Perabò, vicepresidente
Fondazione Mits -, cosa che oggi ci impone di riflettere sulla necessità di avere un edificio
specificatamente riservato».

Programma Ue in alternanza scuola-lavoro coinvolge 150 ragazzi: saranno loro a
insegnare una comunicazione efficace

Nell'era social gli studenti tutor delle
aziende
Alessandro Cesare UDINE. Abbattere la distanza che ancora separa i giovani dall'Europa e aiutare le
imprese più innovative a comunicare meglio grazie all'intraprendenza delle nuove generazioni. In
estrema sintesi è questo il contenuto del progetto Eu-Move, finanziato dalla Regione con fondi europei,
che ieri, con la presentazione dei lavori degli studenti, ha chiuso il suo primo atto. Il secondo vedrà i
ragazzi mettersi in gioco direttamente nelle imprese finanziate, nell'ambito dell'alternanza scuola-
lavoro, con l'obiettivo di avviare una campagna di comunicazione efficace per l'era dei social
network.Poco informati sull'UeI giovani sanno poco o nulla dell'Europa. Prima di questa esperienza sul
campo, però, gli studenti hanno dovuto cimentarsi con un loro racconto (utilizzando i più svariati canali
di comunicazione) dell'Europa. E non sono mancate le sorprese, visto che la maggior parte degli
studenti coinvolti (oltre 150 delle classi terze, quarte e quinte superiori di sette istituti delle provincia di
Udine, Gorizia e Trieste) si è accorta di saperne poco o nulla sull'Ue e sulle sue istituzioni. «Ho voluto
cimentarmi con questo progetto - ammette Marcello Rossi della quarta D del liceo Copernico - per
scoprire qualcosa in più sull'Europa, in una momento in cui non è facile reperire informazioni dettagliate
su questa istituzione. Credo che il risultato finale sia stato positivo, avendo acquisito diverse nozioni
che la maggior parte dei miei coetanei non posseggono. Non solo - aggiunge -, questa iniziativa mi ha
consentito di lavorare in team e di produrre qualcosa di concreto». Esperienza positiva anche per
Rebecca Trevisano della terza B del liceo Stellini: «Dopo la presentazione fatta all'inizio dell'anno da
parte del nostro professore di Diritto - racconta la giovane allieva - mi sono resa conto di essere
totalmente disinformata sulle questioni europee, ma devo ammettere che al termine di questa
esperienza ne so decisamente di più. È stato bello anche lavorare in gruppo, e sono certa che questo
potrà servirmi anche quando comincerò a lavorare». Rebecca fa riferimento all'ingresso in un'impresa
per la seconda fase del progetto di alternanza scuola-lavoro: «Mi aspetto di mettere in pratica quello
che ho imparato in questi ultimi mesi», confessa.Gli studenti premiatiE proprio Marcello e Rebecca
fanno parte dei gruppi di studenti premiati per i lavori svolti, che avranno la possibilità, nella seconda
fase di Eu-Move, di entrare in azienda per progettare una strategia di comunicazione 2.0. A essere
premiati, ieri, durante la presentazione avvenuta nell'auditorium Comelli, sono stati il gruppo New6 del
liceo Stellini di Udine con il gioco da tavolo nella categoria "parole", il gruppo Peace7 del liceo Galilei di
Trieste e il gruppo Ige dei licei Stellini-Copernico di Udine nella categoria "video promo", il gruppo
Europolo del liceo Duca degli Abruzzi di Gorizia e l'Isis Stringher di Udine rispettivamente con il
progetto "Professor Exchange" e "Ice-Fumetto satirico" nella categoria "progetto". Premio speciale della
giuria di qualità per la poesia del gruppo W&U del liceo Galilei e un altro riconoscimento speciale al
gruppo Point of Europe sempre del Galilei per il video promo del Por Fesr cantato. I migliori lavori sono
stati premiati con dei buoni cultura: tre sono stati assegnati da una commissione tecnica, due sono stati
dati alle migliori esposizioni.i numeriLa giornata di presentazione. Oltre un centinaio i giovani che hanno
assistito all'evento, aperto con un tavolo a cui hanno preso parte Graziano Lorenzon (esperto di progetti
comunitari), Lino Vasinis (Autorità di gestione del Por Fesr 2014-2020 Fvg), Fabio Spitaleri (docente
universitario della facoltà di Scienze Politiche di Trieste), Maurizio Corradetti (Commissione Europea),
Francesca Colle, Stefania De Colle, Ivano Trevisanutto (funzionari Regione Fvg), Ivan Curzolo
(progettista ed esperto in politiche comunitarie) e Paolo Tomasin nelle vesti di moderatore.L'ue crede
nei giovaniMaurizio Corradetti, rappresentante della Commissione Europea, ha commentato il progetto
e Eu-Move e i suoi primi esiti in Friuli Venezia Giulia. «L'Europa crede molto nei giovani ed è per questo
che finanzia progetti come Eu-Move - ha assicurato - quello che l'Europa vorrebbe fare tramite la
diffusione di queste conoscenze è mettere a disposizione delle nuove generazioni una sorta di cassetta
per gli attrezzi, da utilizzare per crearsi un futuro e diventare veri cittadini europei».

Lo scienziato friulano, padre della nanomedicina: «Accetto con grande
entusiasmo, per me è un onore incredibile»

L'udinese Mauro Ferrari nuovo presidente
del Consiglio europeo di ricerca a Bruxelles
Laura Pigani UDINE. Ha appena ricevuto in Senato il premio Guido Carli, riservato alle eccellenze
italiane, e già torna a far parlare di sé per un'altra importante carica, di quelle destinate a lasciare il
segno nel mondo scientifico europeo e internazionale. La mente brillante è quella dello scienziato
friulano Mauro Ferrari, che la Commissione Ue ieri ha nominato - da una rosa di una cinquantina di
illustri candidati - presidente del Consiglio europeo della ricerca, che nello specifico sostiene la ricerca
di frontiera in tutte le sue declinazioni.Ferrari, 60 anni a luglio, impegnato soprattutto negli studi sulle
nanotecnologie e nel campo della bioingegneria applicate in medicina, prenderà servizio il primo
gennaio 2020, al termine del mandato del presidente uscente, il franceseJean-Pierre Bourguignon, e
resterà in carica 4 anni. «È un onore incredibile, per me, essere stato scelto per questo ruolo - riferisce
il ricercatore, sempre appoggiato dalla moglie Paola Del Zotto -, davanti ci sono sei mesi di studio e
lavoro con la leadership attuale e il consiglio scientifico per avere un inquadramento sulla strada da
percorrere».Il professor Ferrari è considerato il pioniere della nanomedicina e dell'oncofisica del
trasporto. Forte di una esperienza ultra trentennale negli Stati Uniti, nella sua carriera ha contribuito a
incrementare la ricerca in molteplici campi, dalla matematica all'ingegneria, dalla medicina alla biologia.
Il nuovo presidente entra nella squadra dell'Erc in un momento strategico per il suo sviluppo. Per il
prossimo bilancio Ue a lungo termine, infatti, la Commissione ha proposto "Horizon Europe (Orizzonte
Europa)", il più ambizioso programma europeo di ricerca e innovazione mai realizzato, su cui è stato
raggiunto in aprile un accordo politico, e un aumento significativo delle risorse per il Consiglio europeo
(dai 13,1 miliardi di euro per il 2014-2020 ai 16,6 miliardi per il 2021-2027).«Il Consiglio - ha spiegato
Ferrari - finanzia la ricerca basata sul principio dell'eccellenza negli stati membri in diversi campi
(scienze biologiche, medicina, ingegneria, scienze sociali e così via), facendo riferimento all'"individual
investigator". È una strategia che si è dimostrata vincente, un modello mondiale per il finanziamento
della ricerca e sono onorato di essere al servizio dell'Erc».Ferrari è arrivato a Udine da bambino, in
seguito agli spostamenti del padre militare, e nel capoluogo friulano si è formato. «Ho frequentato qui
gran parte delle scuole - ha riferito - e ora porterò un po' di Friuli a Bruxelles. Ho già tirato fuori la
grammatica per un ripasso». Nonostante i tanti anni negli States, un pezzetto del suo cuore è rimasto
nella Piccola Patria. «Non mi considero però un cervello in fuga - ha voluto precisare -, credo che la
mobilità possa soltanto fare del bene. Collaboro con centri di ricerca europei e con l'Italia, dove trovo ci
siano opportunità e menti superlative. Qualcuno va all'esterno, altri restano, a seconda del settore che
intendono approfondire. In Italia, per esempio, ci sono aree di eccellenza nelle scienze mediche, in
fisica, matematica e scienze sociali. Siamo storicamente uno dei paesi più importanti, a livello di ricerca
scientifica, dobbiamo credere che la mobilità rappresenta un progresso per la civiltà e vantaggi
competitivi. Dalla ricerca nasce l'innovazione, che spinge l'economia e prospetta maggiori possibilità di
lavoro. Non bisogna - ha concluso - avere paura dello scambio».«L'Erc è conosciuta in tutto il mondo -
ha dichiarato Carlos Moedas, commissario per la ricerca, la scienza e l'innovazione - per finanziare
ricerche basate sull'eccellenza. Il professor Mauro Ferrari è noto a livello internazionale per la sua
eccezionale carriera accademica interdisciplinare. Con i suoi riconoscimenti scientifici, la sua forte
leadership e le eccezionali capacità comunicative rappresenta la persona giusta per portare il Consiglio
e la scienza europea a nuovi livelli».La decisione della Commissione segue una rigida procedura di
selezione di elevato livello competitivo ed è curata da un comitato composto dall'economista Mario
Monti (ex premier e presidente dell'università Bocconi), Alice Gast (presidente dell'Imperial College),
Fabiola Gianotti (direttore generale del Cern), Carl-Henrik Heldin (presidente del cda della Nobel
Foundation), Jules A. Hoffmann (Nobel in medicina), Helga Nowotny (ex presidente Erc) e Maciej Zylicz
(presidente del consiglio di amminsitrazione della Fondazione per la scienza polacca).
le reazioni

«L'orgoglio della nostra terra»
Il Friuli esulta per l'incarico
Alessandro Cesare udine. Sono unanimi i consensi per la nomina di Mauro Ferrari a presidente del
Consiglio europeo della ricerca. Entusiasta il sindaco di Udine Pietro Fontanini, che lo scorso
novembre, assieme alla sua giunta, gli ha conferito il sigillo della città per aver dato lustro al Friuli e al
suo capoluogo. «È una grande notizia che premia uno scienziato e un uomo di alto spessore. Per noi è
un onore aver consegnato il sigillo di Udine a una persona come lui, che non hai mai dimenticato il
Friuli e le sue origini. La Commissione europea - aggiunge il primo cittadino - ha fatto un'ottima scelta
perché Ferrari è uno di quegli uomini speciali che la storia ci consegna ogni cento anni. Sono convinto
che saprà fare cose egregie anche in questo suo nuovo ruolo». Ferrari, classe 1959, è stato uno
studente del liceo Stellini di Udine. E grande è la soddisfazione, alla notizia della sua nuova nomina, da
parte del presidente dell'associazione Stelliniani, Andrea Purinan: «Mauro Ferrari è un nostro socio
onorario da molti anni - esordisce -. Spesso viene da noi per parlare con i ragazzi e ogni anno, a sue
spese, porta qualche studente meritevole a fare uno stage nel suo centro di ricerca di Houston. Una
persona non solo preparata, ma caratterizzata da una grande umanità. Un vero esempio». Nella
speranza di poterlo rivedere presto a Udine, Purinan aggiunge: «La sua nomina testimonia come lo
Stellini non solo dia una preparazione umanistica, ma consenta di raggiungere eccellenti risultati anche
in campo scientifico. Siamo davvero orgogliosi di lui, uomo di grande umanità e sensibilità». Un altro
che conosce bene Ferrari è Paolo Bordon, presidente dell'associazione Maratonina Udinese: «È una
bella notizia, in primis perché si tratta di una persona competente con un curriculum che parla per lui, in
secundis per il Friuli, che può vantare una personalità del suo calibro. Questa nomina - chiude Bordon,
che con Ferrari ha condiviso qualche sgambata - è un riconoscimento per il suo lavoro, per la sua
carriera e per il suo impegno da scienziato. I progetti che gestirà sono in mani più che serie».

Il riconoscimento verrà consegnato ai migliori 20 municipi
Una squadra di esperti deciderà le azioni dei prossimi anni

Tutela dell'ambiente
Arrivano gli oscar ai Comuni più "green"
Maura Delle Case udine. Tutela dell'ambiente e cambiamenti climatici stanno in cima all'agenda
politica della giunta che per novembre ha in progetto di riunire un pool di scienziati indicati da Friuli
Venezia Giulia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Stiria, Carinzia, Slovenia e Croazia per mettere nero su
bianco gli obiettivi e le strategie dal 2020 al 2050. «Penso a una carta di Parigi a misura di
Mitteleuropa» ha detto l'assessore all'Ambiente, Fabio Scoccimarro, annunciando l'iniziativa che entra
nella fase organizzativa. «Agli scienziati - ha aggiunto l'assessore - chiederemo di stilare un documento
concreto che ci dia chiare indicazioni in ordine alle politiche da adottare a livello di macro area per
gestire i cambiamenti climatici. Eventi come quello alluvionale dello scorso ottobre non possono più
essere considerati fatti occasionali».Condivisione è la parola d'ordine che vale a livello macro e micro.
Per i governi regionali e nazionali, come per le amministrazioni locali. Restando in campo di sfide
climatiche globali, anche i Comuni da qualche anno a questa parte danno infatti un contributo sempre
più significativo che Ape, l'Agenzia per l'energia del Friuli Venezia Giulia, ha deciso di premiare con gli
"Energy Awards". Sia per dare visibilità ai «Comuni ++», vale a dire le amministrazioni che si sono
maggiormente impegnate a favorire la riduzione dei consumi di risorse ed energia, sia per realizzare
appunto la condivisione di buone pratiche con gli enti locali un po' più indietro sulla strada dell'efficienza
energetica. L'iniziativa è stata presentata ieri in Regione dal direttore di Ape, Matteo Mazzolini, insieme
al direttore del servizio energia Fvg, Sebastiano Cacciaguerra, e a Scoccimarro.Conclusa la fase
preliminare di candidatura dei Comuni, che ha visto partecipare 26 municipi regionali, l'appuntamento è
ora per mercoledì 22, nella cornice del salone del Parlamento a Udine, dove dalle 17 saranno chiamati
sul palco i 20 premiati (i cui nomi restano top secret): Comuni con prestazioni energetiche che vanno
dal un minimo di E++ a un massimo di A++, calcolati da Ape considerando la gestione e pianificazione,
la contabilità energetica, le azioni volte a ridurre in consumi, la produzione di energia da fonti
rinnovabili, la mobilità sostenibile e infine la comunicazione e la sensibilizzazione dei cittadini. «Non
progetti, ma azioni realizzate - ha precisato Mazzolini -: vogliamo premiare gli sforzi realizzati dai
Comuni che spesso restano sottotraccia e speriamo che la partecipazione con l'andare delle edizioni
vada aumentando».

l'accordo

Da Gemona a Lignano 109 ex caserme e
strade saranno degli enti locali
udine. Ben 109 immobili da valorizzare, 109 "gioielli" di proprietà dello Stato che saranno trasferiti alla
Regione, o dalla Regione ai Comuni, per essere riqualificati. È l'obiettivo del protocollo d'intesa siglato
ieri a Udine dall'assessore Barbara Zilli e Fabio Pisa, direttore dell'Agenzia del demanio del Fvg.
L'intesa ha come obiettivo razionalizzazione, dismissione e valorizzazione dei patrimoni immobiliari
pubblici e la semplificazione delle procedure di trasferimento dei beni demaniali dallo Stato alla
Regione.L'elenco dei 109 immobili è stato recentemente aggiornato dalla Paritetica Stato-Regione,
perché la commissione paritetica è uno dei soggetti coinvolti nelle procedure di dismissione e di
successiva valorizzazione. Di questo elenco fanno parte 89 beni di proprietà del ministero della Difesa
che li ha messi a disposizione della Regione e dei Comuni del Friuli Venezia Giulia. Si tratta soprattutto
di ex caserme, strade militari o palazzine non più utilizzate dall'esercito. Comuni e Regione hanno
inoltre espresso interesse a poter entrare in possesso di un'altra ventina di beni considerati utili per
finalità di sviluppo locale. Tra questi, ad esempio, ci sono l'ex palazzina ufficiali a Gemona del Friuli, il
castello di Gradisca, il museo militare di Palmanova, il lungomare Trieste a Lignano, gli ex alloggi
militari a Casarsa della Delizia e a Chiusaforte. In alcuni casi l'interesse è stato espresso perché sono
stati avviati progetti comunali per la realizzazione di centri di aggregazione giovanile, case di riposo,
appartamenti in social housing. Con la firma del protocollo la giunta vuole dare impulso all'economia e
avviare celermente il recupero di immobili in disuso e di aree abbandonate.Nella prima fase Regione e
Demanio saranno impegnate nella raccolta di informazioni e condivisione delle reciproche banche dati.
Un ruolo centrale, come detto, è affidato alla Paritetica che sarà impegnata a velocizzare le procedure
di dismissione, alcune delle quali necessitano dei pareri di più ministeri competenti. È prevista poi una
successiva collaborazione con gli ordini professionali per costituire un gruppo di lavoro a cui affidare la
certificazione delle stime del valore degli immobili rispetto agli attuali livelli del mercato.

La rotta balcanica torna alla ribalta e Lubiana si appella alle autorità italiane
Fedriga: «Se ci chiedono di controllare i confini siamo pronti a collaborare»

Pattuglie miste italo-slovene
per bloccare i clandestini
Mattia Pertoldi udine. La rotta balcanica, specialmente per quanto riguarda la situazione all'interno dei
confini dell'ex Jugoslavia, torna a fare paura, la Slovenia si appella all'Italia e il governatore del Friuli
Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, apre alle proposte di Lubiana di istituire un sistema di
pattugliamento misto delle frontiere.La triangolazione politica, e legata al controllo dei fenomeni
migratori, nasce da una precisa richiesta avanzata dal ministro degli Esteri sloveno, Miro Cerar, al suo
omologo italiano, Enzo Moavero Milanesi, a margine di un incontro ufficiale a Bruxelles. Cerar, in
quell'occasione, ha infatti espressamente avanzato a Moavero la possibilità di ritornare al
pattugliamento misto del confine italo-sloveno, specialmente nella zona di Trieste, trovando nella
controparte romana una sostanziale disponibilità di massima.La pressione all'interno dei Paesi dell'ex
Jugoslavia è, infatti, tornata a crescere negli ultimi tempi. Al di là dell'episodio di qualche giorno fa, in
cui quattro cittadini di Stati nordafricani hanno rubato l'auto a un contadino sloveno per tentare la fuga
in Italia, il vero problema si registra al confine tra Slovenia e Croazia e, più a sud, tra il territorio di
Zagabria e la Bosnia, Paese extra-Ue in cui sono ammassati da mesi decine di migliaia di profughi che
sperano di arrivare in Europa. La polizia croata ne blocca e respinge a centinaia ogni giorno, ma in tanti
eludono i controlli e arrivano in Slovenia con le autorità di Lubiana che, quando li intercettano,
rimandano i migranti in Croazia con il corollario di nervosismo e accuse reciproche che si innesca tra i
due Governi. È altrettanto inevitabile, quindi, che più di qualcuno, alla fine, riesca ad avvicinarsi alla
frontiera italiana e, non in rare occasioni, a varcarla prima di essere bloccato appena oltre il confine.Da
qui, quindi, la richiesta di Cerar di istituire - sul modello di quanto accade da anni nel Tarvisiano con
l'Austria, per quanto in quella zona i controlli avvengano soprattutto sui treni - un sistema di
pattugliamento misto italo-sloveno. Certo, resta da capire la ratio della proposta, considerato come non
si registrino passaggi di migranti dall'Italia alla Slovenia, ma soltanto in senso avverso e dunque un
eventuale blocco dei confini tratterrebbe i profughi nel territorio di Lubiana, ma alla fine cambia poco.
Perché alle parole di Moavero si sommano quelle di Fedriga. «Nei mesi scorsi - ha spiegato il
presidente - avevamo manifestato la disponibilità ad aiutare la Slovenia nel pattugliamento delle aree di
frontiera con la Croazia perché ritenevamo quell'area la più vulnerabile. Se invece, oggi, gli sloveni ci
chiedono di collaborare sul confine italiano siamo, ovviamente, prontissimi a muoverci visto l'obiettivo di
impedire l'arrivo in Italia degli immigrati clandestini».
IL PICCOLO
15 MAGGIO

Il ministro degli Esteri di Lubiana lancia la stretta sui controlli
per arginare gli ingressi lungo la rotta balcanica. Ok da Roma

Pattuglie miste italo-slovene
per presidiare le aree di confine
Mauro Manzin LUBIANA. La cosiddetta rotta dei Balcani seguita dai profughi per transitare dal Medio
Oriente in Europa non è affatto chiusa. Lo è, per la verità, solo ufficialmente, perché il traffico non si è
mai esaurito. Ne sa qualcosa la Slovenia che nonostante gli oltre 170 chilometri di muro al confine con
la Croazia vede giornalmente decine di rifugiati transitare illegalmente sul proprio territorio in direzione
Austria o Italia. Ma se con Vienna il dialogo sembra essere chiuso, dopo che il governo di destra
guidato dal premier Sebastian Kurz ha recentemente stabilito un'ulteriore proroga dell'annullamento del
regime di Schengen con la Slovenia e quindi riconfermato i controlli ai confini, con l'Italia l'atmosfera
politico-diplomatica è molto diversa. Così incontrato il responsabile della Farnesina Enzo Moavero
Milanesi a Bruxelles a margine del Consiglio europeo, il ministro degli Esteri della Slovenia Miro Cerar
non ha esitato a proporre la riedizione delle pattuglie miste di polizia italo-slovene al confine tra i due
Paesi proprio per arginare il fenomeno dell'immigrazione clandestina.Per Lubiana, è posizione ben
conosciuta dalle cancellerie europee, il controllo dei confini all'interno dell'Area Schengen è
assolutamente inaccettabile. La Slovenia ha sempre difeso il proprio ruolo di "custode" dei confine
esterno di Schengen nei Balcani occidentali, giustificando così di fatto anche l'innalzamento delle
barriere materiali lungo il limes con la Croazia, ma al suo interno l'area, per Lubiana, è intoccabile. E
così è impensabile per la diplomazia slovena l'ipotesi di riprendere i controlli ai valichi tra Italia e
Slovenia.Il ministro degli Esteri Miro Cerar ha chiaramente illustrato la posizione di Lubiana al
responsabile della diplomazia italiana Enzo Moavero Milanesi, il quale ha accolto molto positivamente
le parole del collega sloveno. Il responsabile degli Esteri italiano ha quindi annunciato che, a breve del
caso saranno interessati i ministeri degli Interni dei due Paesi, mentre seguirà già entro la metà di
maggio un vertice tra i direttori generali di entrambe le polizie. Il ministro Cerar, da parte sua, ha
affermato che la costituzione delle pattuglie miste deve avvenire nel minor tempo possibile, anche se
non ha saputo indicare una data precisa, soprattutto «per bloccare il flusso illegale attraverso il confine
e dare così un segnale molto serio ai criminali trafficanti di uomini per far capire loro che le cose sono
cambiate».Secondo i dati Frontex, da gennaio a marzo nei Balcani occidentali sono stati 2.300 i
passaggi illegali di confini, almeno quelli evidenziati dalle autorità, +81% rispetto a un anno fa, un dato
che fa pensare che, nell'anno del 2019, saranno superati i 5.900 passaggi irregolari registrati nel 2018.
Numeri ben lontani dai picchi del 2015 (ben 764 mila ingressi), ma anche dai dati del 2017, chiuso a
quota 12.000 ingressi. Una diminuzione attribuita alla chiusura della rotta e all'accordo Ue-Turchia.
Dopo che Ungheria, Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno chiuso i loro confini, i migranti
hanno iniziato a optare per una rotta parallela dall'Albania attraverso il Montenegro o la Serbia alla
Bosnia Erzegovina. Un piccolo numero ha scelto la rotta via Bulgaria e Romania. Ma negli ultimi mesi
ha ripreso vigore anche la rotta che dalla Bosnia va in Croazia, Slovenia e poi si dirama o verso
l'Austria o verso l'Italia. Solo lunedì scorso la polizia slovena ha intercettato a Ilirska Bistrica (Villa del
Nevoso) 74 migranti giunti dalla Croazia e diretti in Italia.«L'Ue e i Paesi membri - ha dichiarato Cerar -
si devono dare da fare per assicurare la stabilità e la sicurezza e un fattore chiave in tale funzione è
costituito proprio dal controllo dei confini esterni con la cooperazione degli Stati dove insorgono le
crisi». Per ora il modello italo-sloveno delle pattuglie miste lungo il confine non verrà replicato da
Lubiana con la Croazia lungo il suo confine sudorientale. Per Cerar non esiste la necessità. Certo è che
i profughi passano ogni giorno, alcuni muoiono annegati nel infido fiume Kolpa, mentre in Croazia ci
sono sempre più trafficanti di uomini fai da te che, pur di fare soldi, si improvvisano criminali e
trasferiscono migranti dalla Croazia attraverso la Slovenia verso l'Italia. Ma si sa che tra Lubiana e
Zagabria da alcuni mesi non corre buon sangue e, guarda il caso, proprio a causa dei confini nella
disputa infinita di un arbitrato internazionale che la Croazia non riconosce.

La scure sulle convenzioni mette in pericolo le attività
della onlus di Zugliano E spinge i responsabili a chiedere un aiuto concreto

Centro Balducci senza fondi
Parte la gara di solidarietà
trieste. Una richiesta di solidarietà per far fronte al netto taglio delle convenzioni che, di fatto, impedisce
di portare avanti le attività di solidarietà e assistenza portate avanti dal 1988, anno in cui iniziò a
muovere i primi passi all'interno di una piccola casa parrocchiale. A lanciarla è il Cento Balducci di
Zugliano, una delle più solide realtà di promozione sociale di tutta la regione. «Il Centro - si legge nel
testo dell'appello -, mantenendo fede ai suoi principi ispiratori, ha sempre vissuto la solidarietà in
entrata e in uscita e in questi anni in diverse situazioni ha concretizzato solidarietà, fuori dal entro, a
persone, associazioni, gruppi, istituzioni. Ora è entrato in una situazione difficile. Di fatto il Centro non
sta usufruendo di convenzioni e deve chiedere un aiuto concreto, con serenità, trasparenza e
attenzione alla libertà di ciascuno». «In questi 31 anni il Centro Balducci - prosegue il testo - è diventato
per tante persone, gruppi, associazioni un riferimento in Fvg con rapporti con altri luoghi d'Italia e del
mondo, luogo di incontro fra persone di provenienza, cultura, fede religiosa diverse. La gestione
economica ha vissuto fasi diverse: un primo periodo solo con la solidarietà, successivamente con una
convenzione con il Comune di Udine per alcuni posti di accoglienza; in seguito con la convenzione con
la Prefettura di Trieste per "Mare Nostrum". Questo per una metà degli ospiti, gli altri accolti in
solidarietà». Ora, come detto, le attività solidali della onlus , sono seriamente a rischio. Di qui l'appello
ad "adottare" il centro. I versamenti si possono effettuare sul conto corrente postale n. 17049339, agli
sportelli di Intesa SanPaolo, agenzia di città n. 2 Udine, e Banca popolare.
Ai 200 mila euro già stanziati ne sono stati aggiunti
di recente altri 180 mila
Solo ad aprile intercettati dieci giovanissimi stranieri

Bugdet raddoppiato nel 2019
per i minori non accompagnati
trieste. L'impegno economico per il 2019, inizialmente fissato a 200 mila euro, è stato aumentato di
ulteriori 180 mila euro. L'Ambito socioassistenziale dei Comuni di Muggia e San Dorligo della Valle ha
praticamente raddoppiato il budget per far fronte all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
«Nel mese di aprile si sono registrati 10 nuovi casi di accoglimento nel territorio, segnale della ripresa
dei flussi migratori lungo la rotta balcanica», ha evidenziato Romana Maiano, responsabile
dell'Ambito.Nel 2018 i minori stranieri non accompagnati accolti son stati 99, di cui ben 74 accolti solo
per un breve periodo, da 1 a 10 giorni. Attualmente sono in tutto 23 i minori accolti e spesati dai
Comuni di Muggia e San Dorligo. A tale proposito è notevole l'evoluzione che c'è stata nell'affrontare
economicamente l'emergenza. Nel 2016 la spesa da parte dei due Comuni della provincia di Trieste per
i minori stranieri non accompagnati è stata di 51mila 341 euro, salita a 113 mila l'anno successivo. Nel
2018 la cifra è ancora aumentata sino a raggiungere i 233mila 351 euro. Nei primi quattro mesi del
2019 l'impegno di spesa ammonta già a quasi 111mila euro.Una situazione difficile da gestire, poiché
come scrive la stessa Maiano «non risulta prevedibile programmare l'accoglienza dei minori stranieri
non accompagnati disposto dalle forze dell'ordine, né la durata della loro permanenza presso le
strutture abilitate al loro accoglimento, e quindi non risulta possibile avere il necessario impegno di
spesa in caso di accoglimento emergenziale». Sulla questione chiara la posizione del sindaco
muggesano Laura Marzi: «Il problema del passaggio della rotta balcanica e dei numeri di coloro che la
utilizzano in progressivo aumento è stato più volte evidenziato, e non deve essere in alcun modo
sottovalutato, ma affrontato con la serietà e la sensibilità che merita. È un problema che, nel caso dei
minori stranieri non accompagnati, acquisisce ancor più rilevanza data la fragilità della loro età, che li
vede soli ad affrontare viaggi ed esperienze che non dovrebbero far parte della loro crescita e che ci
vede coinvolti direttamente dato che il Comune viene, in alcuni casi, designato come loro affidatario». --

La località dell'Isontino sarà l'unica in tutto il Nord Italia ad ospitare il nuovo Cpr
e il "vecchio" Cara con numeri in aumento dopo i tagli all'accoglienza diffusa

Irregolari e in attesa di asilo
Il doppio fronte a Gradisca
Luigi Murciano gradisca. Un caso unico in tutto il Nord Italia. Quando, indicativamente in autunno,
aprirà i battenti il nuovo Cpr (attualmente in fase di costruzione), Gradisca sarà la sola realtà dell'Italia
settentrionale ad ospitare l'una vicina all'altra due strutture d'accoglienza per migranti: il "carcere" per
irregolari", il Cpr appunto, e il Cara, dove continuano ad essere ospitati i richiedenti asilo. Una
condizione eccezionale, quindi, che rischia di rendere ancora più esplosivo il clima nella cittadina
isontina, già costretta a fare i conti in questo momento con notizie di ritardi e continui "stop and go". Dal
Viminale è arrivata infatti di recente l'ufficializzazione di un'ulteriore proroga di 4 mesi per la gestione
del Cara, affidata già in regime di prorogatio alla coop isontina Minerva. Inoltre la necessità di
completare alcuni lavori di messa in sicurezza all'ex caserma Polonio e ritardi nel doppio bando per la
gestione (proprio in questi giorni si è insediata la commissione giudicante) fanno ritenere che non sarà
il 1 giugno, come inizialmente ipotizzato, la data di inizio attività del nuovo centro di detenzione
amministrativa introdotto dal Decreto Salvini. I due bandi per la gestione parlano di una capienza sino a
150 posti per il blindatissimo Cpr, destinato alla "reclusione" di migranti irregolari in attesa di espulsione
o rimpatrio; e di 200 per il Cara, struttura aperta di accoglienza, non coercitiva, e destinata ai richiedenti
asilo: attualmente sono circa 180. Tutto lascia pensare che si continuerà a viaggiare su queste cifre,
per effetto della contrazione dell'accoglienza diffusa nell'Isontino il cui bando è andato deserto. L'unica
offerta pervenuta, quella presentata da 3 cooperative - Ics, Acli di Cordenons e Murice (emanazione
della Caritas diocesana di Gorizia), riunitesi per l'occasione in un'unica associazione temporanea di
imprese -, è stata ritenuta non ammissibile dalla commissione giudicante. Presentava un rialzo sulla
base d'asta di 18,80 euro al giorno pro capite (attualmente erano 35). Svaniscono in un sol colpo,
dunque, i 63 posti garantiti per l'accoglienza dei richiedenti asilo in tutta la Destra e Sinistra Isonzo: 15
in tre appartamenti gestiti dall'Ics a Cormons, altri 15 dello stesso Consorzio a Staranzano, 15 a Ronchi
gestiti dalle Acli di Cordenons e 8 posti in un appartamento di Gorizia, 5 a S. Lorenzo Isontino e 5 a S.
Pier d'Isonzo per quanto riguarda Murice. Il "naufragio" dell'accoglienza diffusa in provincia comporta
dunque una conseguenza tangibile: a circa 45 migranti va trovata una nuova sistemazione. Finora i
migranti sono stati equamente distribuiti fra il Cara e il centro "Nazareno" di Gorizia. Il sindaco di
Gradisca Linda Tomasinsig parla di «promessa non mantenuta», da parte del governatore Fedriga, che
aveva garantito una chiusura del Cara a fronte dell'apertura del Cpr. «E invece si continua a
concentrare l'accoglienza solamente nei grandi centri e tagliare i fondi per accoglienza e integrazione.
Gradisca continua a essere la soluzione a tutti i problemi e a questo approccio sbagliato al fenomeno
migratorio» .

Giunta e Stato siglano il patto che accelera l'iter per trasferire agli enti locali
o mettere sul mercato ex caserme, aree, strade e palazzi in disuso da anni

Intesa per la valorizzazione
di 109 gioielli del Demanio
Marco Ballico TRIESTE. Ci sono caserme, strade militari o palazzine non più utilizzate dall'esercito. Ma
anche la Pineta di Barcola. L'elenco è composto da 109 immobili all'attenzione della Commissione
paritetica Stato-Regione, di cui 89 messi a patrimonio disponibile dal ministero della Difesa, e quindi
oggetto di potenziale compravendita, e altri 20 sui quali è stato manifestato l'interesse all'acquisizione a
titolo non oneroso da parte di Regione o enti locali. L'interlocuzione Roma-Trieste sul tema riparte. A
Udine, a palazzo Belgrado, che fu sede della Provincia, amministrazione regionale, con l'assessore alle
Finanze Barbara Zilli, e Agenzia del Demanio, con il direttore regionale Fabio Pisa, hanno siglato un
protocollo d'intesa che dà il via libera a iniziative di razionalizzazione, dismissione e valorizzazione dei
patrimoni immobiliari pubblici di rispettiva competenza, nonché di semplificazione delle procedure di
trasferimento dei beni demaniali dallo Stato alla Regione. Tra le manifestazioni d'interesse, come
aggiornato dalla paritetica a marzo, ne compaiono anche tre del Comune di Trieste. Oltre alla Pineta,
l'ex Caserma Duca delle Puglie di via Cumano (dove sono collocati il Museo di Storia naturale e il
Museo della guerra per la pace de Henriquez) e l'ex Direzione d'Artiglieria di Campo Marzio (dove ci
sono il Museo del mare e le celle frigorifere del Mercato ortofrutticolo). A Gradisca compaiono invece le
caserme Toti Bergamas e Ugo Polonio e il Castello. Nulla di nuovo, peraltro, visto che i "gioielli" dello
Stato in via di cessione sono una pratica all'attenzione della paritetica da anni. A leggere le cronache
del 2010 fu la Bicamerale presieduta da Enrico La Loggia a esprimere parere favorevole al decreto
legislativo sul federalismo demaniale e a fissare principi generali e procedure. Consegnando alle
Regioni spiagge, fiumi, laghi e una bella fetta di caserme non più utilizzate. All'epoca si contarono 20
beni (10 a Trieste) sopra il milione, con la Duca delle Puglie stimata 7,3 milioni e la Pineta di Barcola
1,8 milioni. La filosofia alla base del provvedimento era che gli enti territoriali fossero in grado di gestire
e valorizzare meglio di Roma quei beni: il governo, non a caso, lo definì «federalismo di
valorizzazione». Altri, al contrario, ci vedevano la svendita del patrimonio statale. Altri ancora un
"bidone". Fatto sta che l'operazione è ancora lontana dall'essere completata. Nel protocollo firmato ieri
si prevede intanto l'istituzione di un tavolo tecnico operativo per l'attuazione degli obiettivi comuni a
partire dalla condivisione dei dati sul portafoglio di immobili di proprietà pubblica, statale o regionale,
che potranno essere ceduti agli enti locali che ne hanno fatto richiesta. In alternativa i beni potranno
essere immessi sul mercato tramite altre procedure di valorizzazione o vetrine immobiliari per la vendita
a privati finalizzata alla realizzazione di progetti specifici. Secondo Zilli si tratta di un passaggio
operativo «importante per soddisfare le esigenze in primis dei Comuni, con il duplice vantaggio, da un
lato, di sgravare la Regione e lo Stato dall'onere di gestire immobili non più considerati di utilità
strategica, dall'altro di restituire dei beni alle comunità locali per un utilizzo a fini pubblici o per
progettualità tra pubblico e privato che possano avere ricadute sociali».

LA NOVITà ALLA PRESENTAZIONE DI ENERGY AWARDS FVG

Scoccimarro annuncia gli Stati generali
della mittelenergia dell'Alpe Adria
TRIESTE. «Gli Stati generali della mittelenergia dell'Alpe Adria e dell'Adriatico». Nel giorno della
presentazione nel palazzo della Regione di Udine di Energy Awards Fvg, una sorta di premio Oscar
dell'efficienza energetica, l'assessore regionale all'Ambiente Fabio Scoccimarro annuncia un'iniziativa,
tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020, con il Friuli Venezia Giulia capofila, che coinvolga Veneto,
Carinzia, Stiria, Slovenia e Croazia e sia propedeutica a una Carta ambientale 2030-2050, «non un
libro dei sogni, ma un documento da monitorare e tagliandare ogni anno». A più stretto giro, mercoledì
22 maggio, in Castello a Udine, si procederà a premiare i 20 Comuni (sui 26 partecipanti, il primo anno
è stato di rodaggio, il riconoscimento avrà cadenza annuale) - tra cui due capoluoghi, ma i nomi sono
ancora top secret - che si sono distinti per buone pratiche nel campo della sostenibilità ambientale e del
risparmio energetico. Il progetto vede unite Regione e Ape, l'Agenzia per l'Energia del Fvg che
promuove lo sviluppo sostenibile aiutando individui, aziende e amministrazioni locali a conseguire
miglioramenti significativi e misurabili nell'utilizzo razionale dell'energia e delle sue fonti rinnovabili. «Un
percorso virtuoso», che conosce ora la tappa dell'Energy Awards Fvg, sottolinea Scoccimarro, «che
vede anche la Regione coinvolta nel concorso a un cambio culturale nella nostra società».
Dall'assessore, affiancato dal direttore regionale del Servizio Energia Sebastiano Cacciaguerra, sono
arrivate altre due anticipazioni: «Proprio domani (oggi per chi legge, ndr) puntiamo a vincere un premio
nazionale con un progetto Insiel per la mappatura ambientale al forum della Pubblica amministrazione
a Roma. Parte inoltre in questi giorni, con un protocollo che stiamo predisponendo con un investimento
importante, il processo per rendere l'aeroporto regionale il primo scalo internazionale in Italia e in
Europa totalmente "energy free", il che significa che l'energia consumata sarà completamente prodotta
dalla stessa infrastruttura». Mercoledì 22, al tavolo dei relatori, con Scoccimarro, ci saranno il sindaco
di Udine Pietro Fontanini, il direttore dell'Ape Matteo Mazzolini e Anna Sappa, responsabile del progetto
Ce-Heat.

sanità

Riccardi: «Lavoriamo per rivedere
il sistema 118»
TRIESTE. «Il sistema del 118 va rivisto. Ed è il motivo per cui abbiamo dato mandato all'Azienda
regionale di coordinamento per la salute di riorganizzare l'emergenza-urgenza in regione». Riccardo
Riccardi, assessore alla Sanità, non ha gradito che il Nursind, sindacato professioni infermieristiche,
abbia diffuso il verbale del recente incontro con i vertici del Ssr, ma non nasconde che le criticità
evidenziate dalla categoria sono reali. In primis, la frammentazione della risposta della Sores, Sala
operativa regionale emergenza sanitaria di Palmanova, che fatica a diventare una vera centrale unica.
E dunque, fa sapere l'assessore, «la giunta è andata dentro al problema e ha pianificato la revisione del
sistema del 118». Il 30 maggio, via delibera, verrà disposta la costituzione di un dipartimento inter-
aziendale che lavorerà per uniformare protocolli, convenzioni, mezzi di soccorso. «A quel punto
riusciremo a superare lo spezzettamento delle competenze - prosegue Riccardi - e daremo risposta
anche sugli organici: non sarà un problema mettere una persona in più, troveremo assieme la miglior
soluzione possibile. Siamo in ritardo? Sono qui da un anno, ma i problemi strutturali lasciati dalla
precedente legislatura sono tali che non è possibile fare tutto e subito». Riccardi replica anche a chi gli
attribuisce la volontà, come da verbale del Nursind post incontro, di mettere in campo una «macchina
da guerra che annienti gli attacchi mediatici». Il Pd, con il segretario Fvg Cristiano Shaurli, chiede
all'assessore di «sgombrare il campo da qualsiasi ombra o equivoco in merito a una sua possibile
volontà di ammutolire voci critiche o dissenzienti da fuori o da dentro le strutture della sanità regionale»
e di «ripudiare l'uso del linguaggio intimidatorio che gli viene attribuito». Anche il consigliere M5S
Andrea Ussai attacca: «Riccardi ha dimostrato di essere in imbarazzo davanti alle critiche ma, invece di
occuparsi della soluzione ai problemi, pensa a come mettere il bavaglio a chi osa fare emergere le
criticità». Sono espressioni «che non mi appartengono», sottolinea però Riccardi precisando che è
stato il Nursind, peraltro, «a sollecitare una comunicazione che eviti la diffusione di notizie fuorvianti. Da
parte mia, senza alcuna censura, mi batterò sempre per tutelare il Ssr, chi ci lavora e la salute della
gente».

IL GAZZETTINO IN ALLEGATO
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