DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
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Qualcosa da festeggiare di Letizia Cini Un anno di vita è un anniversario impor- tante da festeggiare. Soprattutto oggi, 25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. È in questo solco che è stato piantato il seme di “Luce!“, barriera con- tro la violenza, sotto ogni forma essa si nasconda: dopo questi primi 365 giorni raccogliamo i frutti. Sono tanti gli articoli, le storie, le testi- monianze cui il progetto dedicato ai temi
della diversità, dell’inclusione e della coesione di Editoriale Nazionale, ha dato spazio, vedendo crescere numero di lettori e autorevolezza. E continuerà a farlo, sotto la guida di Agnese Pini, direttrice de “La Nazione” e di “Luce!”, a capo di una redazione pronta a confron- tarsi ogni giorno con argomenti e realtà in costante evoluzione: condizione fem- minile, diritti umani, sessualità, etica del fine vita, sostenibilità aziendale, econo- mia green, rivoluzione digitale, disabi- lità, social network. Seppur di stringente attualità, molte di queste tematiche diffi- cilmente troverebbero spazio su mezzi di informazione convenzionali. L’obiettivo che si è dato “Luce!”, con il sostegno del suo Comitato scienti- fico - composto dal sondaggista Nando Pagnoncelli, la filosofa Laura Boella, l’economista comportamentale e senior advisor sul talento Luisa Bagnoli, lo scrittore e sceneggiatore Ivan Cotroneo, il dirigente sportivo e pentatleta Luca Pancalli, l’attivista e filantropa dell’e- dutainment Claudia Segre, l’impren- ditore sociale Luca Trapanese e Sofia Viscardi, scrittrice e founder di “Venti” - è invece quello di identificare ciò che
per troppo tempo è stato messo ai mar- gini, lasciato... nel buio. Ecco perché, dopo l’intervista a France- sca Michielin, saranno proprio le voci del Comitato scientifico a fare un primo bilancio dei frutti raccolti e di quelli che matureranno. A partire dal grande evento che si svolgerà martedì prossimo al Teatro La Pergola di Firenze, l’occa- sione per presentare anche il riconosci- mento dedicato ai “portatori e portatrici di luce”, ambasciatori di valori positivi da mettere sotto i riflettori nel novembre del 2022, in occasione del secondo com- pleanno di “Luce!”. Storie e volti, persone normalmente speciali che magari potranno essere di esempio per gli altri, diventando a loro volta protagonisti di un cambiamento che parte anche dal linguaggio ma, soprattutto, dall’atteggiamento mentale, come spiega più avanti il vice direttore de “La Nazione“, Piero Fachin. Una trasformazione testimoniata anche dalle tante voci che vengono riportate attraverso il racconto di chi le ha sele- zionate durante il corso di questo anno, senza dimenticare quella del web; quei “lampi di Luce!“ capaci di delineare trend, temi più in voga, tutto quanto i nostri social hanno messo in “Luce!”.
INDICE Francesca Michielin Non solo canzoni per dare voce a chi non ne ha di Andrea Spinelli Vai all’articolo Smart working La vera sfida? Mettere tutti d’accordo di Luisa Bagnoli Vai all’articolo Famiglia Diamo una dignità alle nuove convivenze di Laura Boella Vai all’articolo Uguali diritti Occorre liberarsi delle etichette per tutelare tutti di Ivan Cotroneo Vai all’articolo La nuova Italia Tra diversità e inclusione Come saremo nel 2030? di Nando Pagnoncelli Vai all’articolo Disabilità e sport Da disabile a paralimpico L’importanza di una parola di Luca Pancalli Vai all’articolo
Lavoro e parità Divario di genere: superiamolo con le tecnologie di Claudia Segre Vai all’articolo Oltre i modelli La disabilità non ha bisogno di politically correct di Luca Trapanese Vai all’articolo Diversità Senza le differenze non esiste ricchezza di Francesca Vecchioni Vai all’articolo Lavoro e inclusione Il nostro impegno a favore delle donne di Antonella Centra Vai all’articolo Coesione Come una squadra Per condividere sacrifici e gioie di Paolo Di Santo Vai all’articolo Comunicazione Un calice di genuinità Senza nuocere all’ambiente di Francesco Sorelli Vai all’articolo
Parità Percorsi di sviluppo «No» al gender gap di Raffaella Poggi d’Angelo Vai all’articolo Valorizzare Storia di inclusione nel Dna di un’azienda di Andrea Laudadio Vai all’articolo Cambiamento Un mese dedicato alle riflessioni Vai all’articolo FESTA DI LUCE! Parole e note, una sera speciale da vivere insieme di Piero Ceccatelli Vai all’articolo L’intervista a Elena Bonetti In cammino verso la parità fra uomo e donna di Ettore Maria Colombo Vai all’articolo L’intervista a Ambra Sabatini La verità? Si è persone anche se manca un arto. Basta che funzioni il cuore di Piero Ceccatelli Vai all’articolo
Non solo canzoni per dare voce a chi non ne ha «L’artista non è un politico e quindi non può essere tirato nelle dispute sociali. Deve rimanere libero, ma anche essere cosciente di avere una posizione di primo piano» di Andrea Spinelli
S iamo una sola direzione in que- sto universo. Con le convin- zioni della sua canzone più famosa, Francesca Michielin approda il 30 novembre sul palco del Tatro La Per- gola per parlare al compleanno di Luce! dei suoi valori e della sfida di essere donna in musica in un mondo maschi- lista. “Sono nata a Bassano del Grappa vicino ad un seminario scalabriniano ed è lì che ho iniziato a fare volontariato” racconta lei, 26 anni, approdata alla notorietà nel 2012 vincendo quell’X-Fac- tor che le ha schiuso una carriera impre- ziosita da quattro album e due secondi posti (su due partecipazioni) a Sanremo. “È stato mio padre ad aprirmi gli occhi sulle realtà dei migranti e l’esperienza s’è trasformata per me e mio fratello in qualcosa di veramente speciale, nel modo di sentirsi parte della comunità in maniera più profonda”. Il successo l’ha costretta a crescere molto in fretta. “Quando ho vinto X-Factor avevo 16 anni e ho provato la classica sindrome dell’impostore, l’insicurezza di chi pensa di non meritarsi il successo che ha. Così, per non farmi travolgere dagli eventi, ho
lavorato con lentezza, facendo un passo alla volta. E ho detto tantissimi no”. Cinque anni fa “Nessun grado di separa- zione” s’è rivelata una canzone capace di andare ben oltre le aspettative. “Devo dire che, quando l’ho scritta assieme ad altri autori, non ne avevo afferrato tutte le potenzialità. Il brano mi piaceva e sentivo pure la forza del messaggio, che però era ancora molto indefinito. Trasversale. Nella prima ste- sura parlava della vita di coppia in gene- rale, ma la potenza della condivisione ha poi messo in luce altri contenuti“. Quali? “Grazie alla passione di chi l’ha ascol- tato e amato, ma grazie anche all’Euro- vision e al momento storico che stavamo vivendo, ha assunto ulteriori significati. «L’umanità fa la differenza. Se ciascuno ne coltivasse almeno un po’ vivremmo in un mondo migliore»
Pure Sanremo quell’anno era diventato, infatti, un palco dell’impegno nel soste- gno delle unioni civili; c’erano artisti, come me, che si esibivano con un brac- cialetto, con un nastrino, con una ban- diera a sostegno dell’idea. Proprio sul palco dell’Ariston ho capito che volevo dedicare quelle parole alla comunità LGBT, perché mi sentivo motivata da un obiettivo e da un messaggio. Tant’è che quando la canto spesso sventolano le bandiere arcobaleno ed è davvero un momento bellissimo”.
Non è nella nostra natura, dire di amarci e alla fine amarci così male” canta in “Stato di natura” riflettendo sulla condizione femminile. “Il brano parte chiaramente da un con- cetto socio filosofico. L’essere umano attuale si trova inserito in una società estremamente più progredita di quella del passato; quindi, dovrebbe essere più intelligente e avere una coscienza più elevata. Cosa che, invece, non è. Siamo tornati paradossalmente allo stato brado, a quello ‘stato di natura’ raccon- tato da Hobbes e Locke”. Questo che domande la spinge a porsi? “C’è da chiedersi, ma cosa siamo noi donne che ci fischiano per strada? Dei cani? Come sottolineato pure da Car- lotta Vagnoli nel suo ultimo libro, non è che io debba arrivare ad essere uccisa dal mio compagno per definire violento il suo atteggiamento. La violenza, infatti, si esprime in tante maniere. Le molestie sono di tante nature differenti e il cat calling, i fischi e gli apprezzamenti vol- gari di strada, possono rappresentare il primo gradino dell’escalation”.
Perché? “Sono atteggiamenti che possono anche destabilizzare, soprattutto se sei molto giovane. Ogni donna che conosco ha avuto almeno una volta nella sua vita paura di rientrare a casa da sola. Nella scrittura del brano c’è stato anche l’in- tervento di Damiano dei Måneskin che ha scritto una strofa molto importante FRANCESCA MICHIELIN Nata a Bassano del Grappa il 25 febbraio 1995, è una cantante e compositrice italiana. Ha raggiunto la notorietà nel 2011 in seguito alla vittoria della quinta edizione del talent show “X Factor“.
in cui ricorda come si parta dall’urlare una frase sessista come ‘che bel culo’ per arrivare ad una violenza peggiore”. Quindi il linguaggio ha un peso. “Sì, il linguaggio è importantissimo, perché forma il pensiero. E se una per- sona parla bene e perché pensa bene. E se pensa bene certe cose non le fa. ‘Stato di natura’ è uno dei miei brani che affrontano il tema del femminismo in senso ampio. Sono felice che pure Michela Murgia ne abbia parlato contri- buendo a farlo diventare un manifesto della mia musica e del mio pensiero”. In “Bolivia”, invece, canta “è l’uma- nità che fa la differenza”. Pensa che questa, al momento, sia una coscienza diffusa? “Questo è un altro dei concetti che mi piacerebbe molto poter approfondire martedì prossimo alla Pergola. La nostra coscienza, al momento, è ridotta tal- mente all’osso che non riusciamo più a fidarci degli altri. Le persone non rie- scono ad empatizzare con ciò che non conoscono, con ciò che non li riguarda direttamente. Quindi l’umanità fa vera- mente la differenza, perché se cia-
scuno ne coltivasse un po’ dentro di se, vivremmo in un mondo migliore. Para- dossale che noi esseri ‘umani’ veniamo definiti etimologicamente con qualcosa che non riusciamo poi a rappresentare”. Oggi come oggi dove si ferma, a suo avviso, lo sguardo del mondo? “A mio avviso il problema centrale è che noi siamo di fatto una società eteronor- mativa bianca in cui tutto il potere e il pri- vilegio sono in mano a un certo tipo di essere umano che ragiona per inclusione, tolleranza, integrazione; insomma siamo un insieme portato ad inglobare gli altri piuttosto che spostare il ragionamento su un piano diverso: quello della convivenza fra le diversità. Ogni persona è diversa dalle altre con cui condivide il pianeta. E in questo contesto, per far sì che questa convivenza rimanga il più pacifica possi- bile, sono quelli con più privilegi a dover utilizzare una maggior dose di umanità ed empatia nei loro comportamenti”. Nelle grandi come nelle piccole cose. “Esempio pratico, la tampon tax. Noi donne abbiamo il ciclo e gli uomini no, ma questo non li esenta dall’impegno a spen- dersi per far sì che la spesa degli assorbenti
possa essere detratta dalle tasse. Questa iniquità persiste perché ci sono pochissime donne in politica e quindi nella condizione di poter legiferare in materia. Ma il senso di comunità dovrebbe essere forte per tutti allo stesso modo”. Quale pensa debba essere il ruolo degli artisti, dei grandi comunicatori, nella crescita della coscienza collettiva? “L’artista non è un politico e quindi non può essere tirato costantemente nelle dispute sociali. Deve rimanere libero, ma anche essere cosciente di avere una posizione di primo piano in questa nostra società. Io, ad esempio, a 26 anni mi sento molto più privilegiata di tante altre ventiseienni perché ho un pubblico, un canale Instagram, una voce, e sento il bisogno di agire di conseguenza”. Come? “Per me il podcast ‘Maschiacci’ è questo; avere una voce, tutta mia, per dare voce a chi non ha voce. Un lavoro di squadra realizzato con l’ausilio di un team molto preparato per offrire a chi mi ascolta una visione un po’ più ampia del mondo che ci gira attorno. Di natura sono una per-
sona molto curiosa e in vita mia, dal giornalino della scuola al podcast, ho sempre cercato di raccontare delle cose. E questo mi porta a mettere le passioni dentro al mio lavoro. Come ci poniamo, come descriviamo, come parliamo agli altri: il linguaggio è la vera rivoluzione”.
Smart working Il lavoro ibrido è una risorsa da studiare La vera sfida? Mettere tutti d’accordo di Luisa Bagnoli
LUISA BAGNOLI è imprenditrice, economista comportamentale e senior advisor sul talento di oggi e su quello di domani. Ha fondato nel 2019 una scuola sul Futuro e nel 2021 una scuola di Intelligenza Artificiale. «I nnanzitutto troviamoci d’ac- cordo sul nome: in tutto il mondo si è parlato di remote working, qui in Italia invece di smart working. Io propongono la dicitura lavoro ibrido perché hybrid working è usato anche all’estero ed è importante partire dalle parole perché, come ha detto benissimo il filosofo Vito Man- cuso: “Con le frasi si può mentire, con le parole no”. Siamo in una fase di afferma- zioni e di poche domande e io per affron- tare il tema caldo, emotivo, divisivo del lavoro ibrido voglio partire proprio da queste. La prima: Ha senso tornare iden- tici a prima? No, dobbiamo cambiare tutto, altrimenti sarebbe come voler met- tere della benzina dentro un auto elet-
trica. Seconda domanda: È possibile guar- dare al lavoro ibrido con la stessa visione e con lo stesso mindset di prima? Nean- che, il famoso panta rei di Eraclito, il tutto scorre, ci dice che non è possibile e che resistere al cambiamento fa male alle emozioni come al prodotto interno lordo. Terza e ultima domanda: Ci sono persone più portate al cambiamento di altre? Sì, ma la sfida è mettere tutti d’accordo, cre- are un ponte. Pensiamo al filone del no al lavoro ibrido: queste persone durante l’e- mergenza hanno vissuto il lavoro ibrido in maniera totalizzante: hanno lavorato (forse anche più di prima), ma sull’e- mergenza quotidiana, senza aver avuto lo spazio mentale per l’innovazione, la creatività, perché entrambe richiedono empatia. Dall’altra parte, il filone del sì a tutti i costi è fatto di persone sicuramente più portate al cambiamento, ma anche da lavoratori che hanno giovato del lavoro da remoto perché si sono liberati della presenza di colleghi e capi che non gli piacevano. Come al solito, due parti con- trarie vedono da punti di vista opposti lo stesso problema, che in questo caso è uno: l’empatia.
Il lavoro ibrido è una risorsa ma dob- biamo lasciare le aziende libere di tro- vare la loro forma. Sugli ingredienti giu- sti per un lavoro ibrido all’altezza del suo nome, però, la combo è una sola: empa- tia, cybersecurity, nuove tecnologie e la telepresenza robotica che oggi è diven- tata un must have perché è un Avatar che ti dà tre dimensioni, quelle necessarie all’apprendimento e all’innovazione”. Clicca per il video dell’intervista
Famiglia Lo spazio intermedio nel vuoto tra l'individuo e la collettività Diamo una dignità alle nuove convivenze di Laura Boella
LAURA BOELLA è stata professore ordinario di Filosofia Morale e di Etica dell’ambiente presso l’Università Statale di Milano. Le sue recenti pub- blicazioni: Hannah Arendt. Un difficile umanesimo, Feltrinelli 2020; Cuori pensanti. Cinque brevi lezio- ni di filosofia per tempi difficili, Chiarelettere 2020. «O ggi parlare di famiglia signi- fica parlare di famiglie, chia- mando al plurale le sue varie e molteplici manifestazioni. La famiglia al singolare arriva però in nostro soc- corso se vogliamo descrivere la forma di vita che continua a essere una struttura sociale di fondamentale importanza. La famiglia occupa uno spazio interme- dio nel grande vuoto che si è scavato tra l’individuo e la collettività. Potremmo infatti considerarla un ponte indispen- sabile. Durante l’emergenza sanita- ria si è notato ed è emerso che la fami- glia funziona come rifugio, luogo pro- tetto in cui le relazioni potevano ancora essere coltivate, luogo di aiuto e soste- gno reciproco, diventando in qualche caso una tana, un posto oscuro, sotterra-
neo, di isolamento e di perdita della vita sociale. La pandemia ha messo anche in evidenza, portandola a nudo, la fun- zione di welfare della famiglia e il suo profilo utilitaristico ed economico: le famiglie sono arrivate là dove lo Stato non è riuscito ad arrivare. Un tassello del mosaico familiare, che abbiamo però delle remore ad accettare. Ma sono mol- teplici gli aspetti dell’istituto familiare che non bisogna ignorare. La famiglia da società di mutuo soc- corso può diventare un’associazione a delinquere, come nel caso delle famiglie mafiose. Ci sono poi le famiglie allar- gate e le nuove famiglie. Un’istituzione ricca e sfaccettata, quella familiare, che oggi si trova di fronte a grandi sfide. Dal punto di vista giuridico e legale, manca ad esempio il riconoscimento dei nuovi esperimenti di convivenza, dei nuovi modi di essere famiglia. Una sfida che non deve però metterne in secondo piano un’altra: quella dell’impegno etico. Fondare una famiglia, soprattutto se slegata dai vincoli giuridico-legali, implica scegliere la durata di un rap- porto e tutelare l’interesse dei minori. Ogni famiglia dunque dev’essere libera
di sperimentare forme nuove di convi- venza, senza dimenticare però che que- sta libertà è una libertà che richiede impegno e capacità di reggere forti diffi- coltà». Clicca per il video dell’intervista
Uguali diritti L’Italia deve affrontare il vuoto normativo Occorre liberarsi delle etichette per tutelare tutti di Ivan Cotroneo
IVAN COTRONEO nato a Napoli, scrittore, sceneg- giatore e regista. Il suo ultimo film per il cinema è Un bacio, la sua ultima serie televisiva La compagnia del Cigno 2,il suo ultimo romanzo 14 giorni, scritto insieme a Monica Rametta. «In Italia esistono svariate e diversificate famiglie di fatto, ma lo Stato non le vede, non le tutela e significativamente non le chiama nemmeno famiglia. Un singolare che infatti mi sta stretto per- ché richiama soltanto un’idea: quella della famiglia tradizionale, con genitori di sesso diverso e figli naturali, spesso nella sua declinazione patriarcale. Le altre famiglie invece per la legge non esistono, sono invisibili. In Italia c’è da affrontare un vuoto normativo grave e, in questo senso, la mancanza del matri- monio egualitario è drammatica perché mette in crisi istituzioni e situazioni che di fatto già esistono, come ad esempio le famiglie arcobaleno. Un vuoto norma- tivo che chiama, anzi quasi costringe i
magistrati a fare giurisprudenza, soprat- tutto per tutelare i minori, che sono le prime vittime di questa miopia politica. Io non faccio il politico. Il mio lavoro è raccontare storie e nelle storie che rac- conto cerco di mettere al centro diverse famiglie che non richiamano l’idea pla- tonica che si continua purtroppo a rac- contare come esaustiva, ma che invece rappresentano e rispecchiano le fami- glie che vedo nella società. Quando lo faccio, mi sembra di portare in scena il mondo in cui vivo, pulsante contempo- raneo, e non un mondo altro. Cerco di rappresentarle in maniera non antago- nista, perché nella realtà queste fami- glie non si pongono mai da antagoni- ste rispetto a quella tradizionale, ma chiedono soltanto di allargare il campo dei diritti che, come un cappello o un ombrello, dovrebbe farsi più largo per coprire e finalmente comprendere tutti. Le persone single e le coppie omoses- suali chiedono per esempio la possi- bilità di poter riconoscere il figlio del partner o di poter adottare, la società chiede di normare le famiglie d’ele- zione, andando oltre il legame di san- gue. Questi nuovi diritti cosa tolgono
alle coppie eterosessuali, che sono già disciplinate dal matrimonio? Niente, perché l’estensione di un diritto non pre- giudica quelli preesistenti. Oggi per prendere in considerazione il tema famiglia dobbiamo dimenticarci etichette superate, perché appena ini- ziamo a elencare cominciamo a esclu- dere. Esiste ed è radicato nella società civile di oggi un concetto di fami- glia che va oltre quella tradizionale, quindi più che nominare le varie forme dovremmo fare chiarezza su quali sono i requisiti che ci permettono di parlare di famiglia: la presenza di un legame affettivo stabile dovrebbe portare alla possibilità (oggi negata) di formare una famiglia, esattamente come accade per quella tradizionale”. Clicca per il video dell’intervista
La nuova Italia Non solo buoni sentimenti. C'è bisogno di consapevolezza Tra diversità e inclusione Come saremo nel 2030? di Nando Pagnoncelli
NANDO PAGNONCELLI è presidente di Ipsos, società leader in Italia nel settore delle ricerche demoscopiche. Insegna “Analisi della pubblica opinione” presso la Facoltà di Scienze Politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano. «N essuno ha la sfera di cristallo ma viviamo in una congiun- zione astrale assolutamente favorevole nella prospettiva di una società più inclusiva nei confronti di ciò che è considerato diverso. Da un lato ci sono le istituzioni europee e nazionali che stanno riflettendo sul futuro e stanno investendo sulla sua costruzione attraverso i fondi del Pnrr, nella sfida di immaginare il domani. Dall’altro c’è il mondo delle imprese, che si sta muovendo ormai da diversi anni gui- dato da un nuovo senso di responsabilità sociale d’impresa. Fino a quindici anni fa circoscritto a iniziative di filantropia o a un miglioramento del rapporto con i pro- pri clienti. Oggi vissuto in senso più oli- stico, con più attenzione e consapevo- lezza, passando dal principio che nelle imprese ci sono diversi portatori di inte- resse: dai lavoratori all’ambiente. E al cen- tro del quadro, o della congiunzione, i cit- tadini che sia pure con atteggiamenti un
po’ selettivi a seconda dei soggetti coin- volti sono molto più attenti alla condi- zione delle persone con disabilità, degli omosessuali, dei transgender, dei giovani, degli stranieri o di coloro che sono consi- derati diversi. Alla domanda se tra dieci anni vivremo in un paese più equo, caratterizzato da una ripresa della dinamica demografica, dalla valorizzazione dei giovani, della popola- zione straniera e delle categorie ai margini dell’attenzione come quelle dei disabili, rispondo che dipenderà soprattutto dai cittadini. All’Italia del domani per affron- tare queste sfide in una logica inclusiva non basteranno infatti né le istituzioni, né le imprese, se i cittadini non diventeranno consapevoli delle loro responsabilità indi- viduali nella costruzione di un futuro migliore. Per questo serve “Luce!”: non per appellarsi ai buoni sentimenti, ma per gui- dare i lettori verso la consapevolezza che attraverso i processi di inclusione, e per- correndo con convinzione la sua strada, potremo guadagnarci tutti”. Clicca per il video dell’intervista
Disabilità / sport Un aggettivo che definisce un mondo Da disabile a paralimpico L’importanza di una parola di Luca Pancalli
LUCA PANCALLI paraolimpionico nel nuoto, con 15 medaglie ai Giochi Paralimpici, 10 ai Mondialie e 6 agli Europei. Si ritira dall’attività nel 1996. Nel 2000 è eletto presidente della Federazione Italiana Sport Disabili. È autore, insieme al giornalista Giacomo Crosa, del romanzo “Lo specchio di Luca”, edito da Fazi Editori, pubblicato nel 2013. «L a categorizzazione della disabilità rischia di trasfor- marsi in un limite, una pri- gione culturale e utilizzarle le giuste parole, in questo senso, è importante per aprire la porta o lasciarla chiusa. Dal Duemila, da presidente della Federa- zione italiana sport disabili, mi sono bat- tuto molto per utilizzare al posto di disa- bile il termine paralimpico: era ovvia- mente una forzatura linguistica. Ma il termine è passato. Al tempo, infatti, era preminente l’aggettivazione dell’atleta rispetto all’atleta stesso. Ma un lento lavoro di formazione dei giornalisti su questo argomento ha portato a far diven- tare d’uso comune il termine paralimpico fino a trasformarlo in un aggettivo che ha incluso tutte le persone con disabi-
lità che fanno sport e non solo quelle che partecipano a una paralimpiade. Que- sto termine ha cancellato dal linguag- gio comune una discriminazione odiosa: nel 2018 abbiamo fatto un accordo con la Treccani per inserire l’aggettivo para- limpico/paralimpica dentro il Dizionario, chiudendo il cerchio e trasformando la percezione della disabilità attraverso una semplice parola. Gli atleti paralimpici, insieme al comi- tato, in questi anni hanno dato vita a una rivoluzione dal basso. I campioni che hanno vinto 69 medaglie a Tokyo, infatti, non lo hanno fatto grazie a un’o- perazione di vertice, ma per la propria volontà e quella delle famiglie che li hanno assecondati e circondati di atten- zioni, ricavando grazie anche alle istitu- zioni locali, spazi per allenarsi, orari per avere impianti liberi e professionisti spe- cializzati. Di più: hanno creato nella pro- pria cerchia la consapevolezza che la per- sona con disabilità può fare ciò che appa- rentemente le appare più lontano e pre- cluso: l’attività sportiva. I nostri cam- pioni sono degli ambasciatori, tanto che si sta formando una sindacalizza- zione dei diritto allo sport per tutti. Ma i
migliori ambasciatori del paralimpismo restano e sono quei i cittadini che riven- dicano il diritto allo sport da aggiun- gersi agli altri mille diritti - al lavoro, alla scuola, ai trasporti, all’accesso, al wel- fare – per i quali le persone con disabilità combattono ogni giorno la propria olim- piade della vita”. Clicca per il video dell’intervista
Lavoro e parità Solo nel 26% dei casi la donna è il “decisore finanziario” Divario di genere: superiamolo con le tecnologie di Claudia Segre
CLAUDIA SEGRE presidente e fondatrice di Global Thinking Foundation. Già membro della consulta esperti della Commissione Finanze della Camera, è stata chairman del Board of Education di Acifx International, ora honorary member. Forbes l’ha nominata fra le 100 donne italiane di maggior successo del 2019. «È ormai del tutto evidente che il cambiamento climatico è una rilevante problematica sociale e che la pandemia ha acuito le già ampie differenze di genere sul versante occupazionale, incidendo più signifi- cativamente su quei settori in cui sono impiegate in maggioranza le donne. L’I- talia ha posto l’empowerment femmi- nile al centro della sua presidenza del G20 e del PNRR, perché la ripresa non può concretizzarsi se ci dimentichiamo di metà del Paese e non combattiamo le disparità presenti. Tutti ostacoli che zavorrano la crescita ed è per questo che l’impegno a ridurli – dal divario salariale, occupazionale a quello pensionistico - dev’essere massimo. Anche perché que- ste disparità non sono conseguenza della
pandemia, ma rappresentano un pro- blema strutturale del mercato del lavoro europeo. Ed è infatti l’Europa a chiedere politiche attive per centrare gli obiet- tivi di parità di genere sostanziale, come abbiamo visto cercare di fare nell’ultimo anno dal governo, fino all’importante ratifica della Convenzione 190 dell’ILO. Dal mondo del lavoro i divari di genere arrivano a toccare anche il cuore econo- mico delle case. Guardando alle scelte di investimento delle famiglie italiane, dal sondaggio condotto da Fipe emerge che solo nel 26% dei casi la donna è il “deci- sore finanziario” e che nel 30% dei casi non ha un conto corrente personale. Nessuna di queste donne prende inoltre in considerazione la possibilità di utiliz- zare una piattaforma di prestito FinTech: app e servizi sviluppati da aziende che lavorano sulle nuove opportunità offerte dall’open banking per rendere la finanza più trasparente e l’accesso agli istituti più semplice. In Italia però le donne fanno difficoltà ad accedere anche alle forme di finanzia- mento pubblico, nonostante questo sia tra le priorità della strategia nazionale per la parità di genere 2020-2025.
Secondo l’indice Desi Women in digital il Paese è al 20esimo posto tra i 28 stati membri europei per quanto riguarda il divario di genere, in particolar modo nel settore dell’economia digitale. Per inver- tire la tendenza è dunque necessario investire su formazione digitale e infor- mazione: passaggi cruciali per riqualifi- care la forza lavoro». Clicca per il video dell’intervista
Oltre i modelli Concretezza per una società predisposta all’accoglienza La disabilità non ha bisogno di politically correct di Luca Trapanese
LUCA TRAPANESE è padre di una bambina down che ha adottato nel 2018. Nel 2007 fonda “A ruota libera Onlus” con cui realizza una lunga serie di progetti legati alla disabilità. Ha pubblicato, con Luca Mercadante, Nata per te. Storia di Alba raccontata tra noi, Einaudi Stile Libero (2018). Con patrizia Rinaldi, Vi Stupiremo con difetti speciali, Giunti (2019). «P artiamo da un presuppo- sto: la perfezione non esi- ste. Non esistono una vita perfetta, una famiglia perfetta, un lavoro perfetto, non esiste un corpo perfetto. Nonostante questo, però, la società e la comunità continuano a bombardarci con messaggi di perfezione e ci dicono che se non abbiamo standard altissimi, non siamo nessuno: siamo inutili, con il risul- tato che sempre più giovani e adulti sono insoddisfatti, infelici e alla ricerca di non si sa mai che cosa. Basterebbe che qualcuno dicesse loro che siamo tutti imperfetti e che nel percorso della vita non dobbiamo raggiungere dei modelli, ma la felicità. E la felicità dipende dal riuscire a essere se stessi.
Chi ci dice che una persona disabile è più infelice di una che non lo è? Io ho cono- sciuto dei ragazzi disabili felicissimi. Il problema è che gli altri li vedono infe- lici perché i modelli che ci circondano sono orientati verso uno standard di feli- cità che nessuno può raggiungere. E lo stesso problema ricade sulle famiglie: tendiamo a incasellare tutti in schemi, invece dovremo distruggerli per dire che le famiglie sono il posto dove c’è amore, il luogo dove si decide di cre- scere insieme e che non c’è un modello di famiglia da cui dobbiamo sentirci ispi- rati: a ispirarci dev’essere solo il senti- mento che le tiene unite. Per accettare la disabilità la via dev’essere quella della concretezza. La società dev’essere predisposta all’ac- coglienza del diverso: dalla nascita, la scuola, le attività lavorative, la socia- lità, l’affettiva e la sessualità. Invece che chiamarli “diversamente abili” chiamia- moli “handicappati” perché porre sotto i riflettori il loro handicap può essere il primo passo per accogliere la loro diver- sità e trovare delle soluzioni a sostegno delle loro esigenze. E chi dovrebbe farlo
se non lo Stato, accogliendo nel suo wel- fare la risposta alle loro necessità? Il politically correct in questo senso rischia di offuscare i reale bisogni di queste per- sone: i disabili non sono diversamente abili, hanno un handicap e meritano di avere gli stessi diritti di tutti”. Clicca per il video dell’intervista
Diversità Ognuno di noi può evolversi solo grazie alle altre persone Senza le differenze non esiste ricchezza di Francesca Vecchioni
FRANCESCA VECCHIONI presidente di Diversity – organizzazione no profit impegnata a promuovere l’inclusione sociale e il benessere organizzativo. È esperta di comunicazione, linguaggi dei media, hate speech e diritti umani, formatrice sui temi di inclusione, discriminazione e diversity management. «P ella diversità bisogna prenderne atto, perché senza la diversità non esisterebbe la ricchezza, l’evoluzione, l’innovazione. Dico prendere atto perché non è un’opinione, ma un fatto: la realtà è fatta di diversità e la diversità è una ricchezza da qualsiasi punto di vista la osserviamo: biologico, evoluzionistico, scientifico, economico, creativo, filosofico. Per essere consapevoli che viviamo immersi nella diversità, bisogna però assumersi l’impegno e la responsabilità di conoscerla, di farla conoscere, di diventare agenti di diversità. Ma è
difficile, richiede impegno. Il nostro cervello infatti economizza e alla fatica della comprensione o della messa in discussione preferisce il darsi e il farsi dare ragione. E invece è così bello a volte non avere ragione. È bello perché ti porta su strade nuove, che ti conducono oltre ciò che già sai o sei in grado di immaginare. Basta scomodare la filosofia greca per capire che non può essere che così e che non è certo una novità: il dubbio socra- tico, il rimettersi in discussione, è alla base della conoscenza e la conoscenza è da sempre diversità. Esercitarla, esplo- rarla, conoscerla, interiorizzarla signi- fica però anche rendersi consapevoli che ognuno di noi può evolvere solo grazie alle altre persone. La diversità non è mai un singolare, è sempre un plurale. Ed è in fondo proprio questo che dev’essere il nostro obiettivo più lontano e importante: renderci conto che non è con il singolare, non è che con il punto fermo, con la presa di posizione che riusciamo a evolvere. È invece con i plurali, con i punti di vista differenti, con la comprensione degli altri e
attraverso una visione multipla della realtà che riusciamo davvero a vedere con chiarezza questo mondo. Senza gli altri, finiamo per essere dei singolari che guardano al mondo come dovrebbe essere senza avere la forza – che non può che nascere dalla collettività – di cambiarlo”. Clicca per il video dell’intervista
Lavoro e inclusione Gucci, bilancio di genere Il nostro impegno a favore delle donne di Antonella Centra
ANTONELLA CENTRA executive vice president general counsel, corporate affairs & sustainability di Gucci. «R edigeremo il nostro primo bilancio di genere, uno stru- mento potente che speriamo diventi prassi anche per altre realtà del settore privato nel percorso verso una piena parità. La pandemia ha accentuato problemi di disuguaglianza preesistenti. Per questo crediamo sia importante lavorare tutti insieme verso una dire- zione comune. Con il pieno supporto del nostro ceo e presidente Marco Bizzarri, abbiamo deciso di intraprendere un per- corso di analisi approfondita della nostra popolazione aziendale in Italia redi- gendo il nostro primo bilancio di genere. Come fatto per la lotta al cambiamento climatico, riteniamo sia fondamentale
agire ma dobbiamo essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo per generare un vero cambiamento. Per que- sto abbiamo dato il via ad un nuovo capi- tolo del programma Sviluppo filiere con Intesa Sanpaolo: per consentire alle pic- cole e medie imprese parte della nostra filiera di beneficiare di un accesso al cre- dito facilitato, a condizioni migliori, e avviare un percorso di evoluzione indu- striale in accordo con i principi di ugua- glianza di genere e transizione ecologica sostenuti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Se pensiamo alla transi- zione verde, le donne hanno oggi una grande opportunità per promuovere un cambio di passo importante, perché in molti campi della sostenibilità sono lea- der, a differenza del passato. Le donne possono essere al centro di questa rivolu- zione: sarà nostro compito renderlo pos- sibile. In Gucci le donne rappresentano la maggioranza della popolazione azien- dale a livello globale. Ma siamo convinti che si possa fare di più. Tornando al bilancio di genere, questo è uno strumento potente che speriamo diventi prassi anche per altre realtà del settore privato nel percorso verso una
piena parità. Siamo tra le prime aziende in Italia ad adottare questo strumento innovativo. Quando si tratta di diritti non c’è concorrenza ma al contrario maggiore adesione porta un beneficio diffuso. Auspichiamo la certificazione di genere diventi una prassi. Clicca per il video dell’intervista
Coesione L’unico modo per guardare al futuro Come una squadra Per condividere sacrifici e gioie di Paolo Di Santo
PAOLO DI SANTO fondatore di Diesse srl nel 2005 coi 3 fratelli. Nel 2013 acquisisce Bibo Italia spa di cui è l’attuale Ad e presidente del Cda. «C ertamente “Luce!” è un pro- getto virtuoso, fondamen- tale, principalmente innova- tivo, è portavoce di un passaggio tra cir- costanze attuali e future. Oggi è impor- tante imparare a vivere con più consa- pevolezza, questo significa accettare e condividere diversità, attuando politiche di inclusione e coesione sociale, temi fon- damentale per una società ormai matura ad attuarli. Purtroppo oggi il mondo gira ad una velocità tale, che ci obbliga a man- tenere la stessa, rendendoci ciechi delle esigenze altrui. Questo, il punto di rifles- sione, perché solo riuscendo a immedesi- marsi in loro ci si rende conto di quanto fondamentale oggi è. Allora si inizia a comprendere e condi- videre, il che vuol dire: insegnare, ma soprattutto imparare, imparare a cam-
biare, imparare nuovi pensieri, princi- palmente rispettare il pensiero altrui, creando quella coesione sociale che è la base del progetto condiviso. La coesione sociale come per automatismo diventa solidarietà, non creando disparità sociali e culturali. In buona sostanza sono con- tento e onorato di fare parte a questo progetto insieme a tante altre persone, ognuno con un talento diverso. Que- sti principi sono da sempre alla base del nostro modo di vedere le cose, di conse- guenza sono parte integrante della vita quotidiana della nostra azienda. Ecco che ogni giorno ci impegniamo affinché tutte le persone che lavorano con noi a prescindere dalla loro sto- ria personale, si sentono accettate, con- siderate, incluse, è parte integrante del nostro mondo. Questo ci permette di essere una squadra, una famiglia che condivide sacrifici e gioie, e che ci fa sen- tire bene perché sappiamo che questo è l’unico modo di guardare al futuro. Clicca per il video dell’intervista
Comunicazione Educazione al consumo del vino Un calice di genuinità Senza nuocere all’ambiente di Francesco Sorelli
FRANCESCO SORELLI direttore comunicazione e brand experience dell’Azienda vinicola Ruffino «L’ attenzione gentile a cosa ci sta intorno, alle persone e all’ambiente, permea il mio modo di pensare ormai da diversi anni. Sento molto, e non è retorica, un ruolo da custode della bellezza di quello che ci è stato dato, dei luoghi che abitiamo e del futuro che lasceremo ai nostri figli. Per questo, quando è arrivata la pro- posta di far parte del comitato scienti- fico - io davvero piccolo al cospetto di un gruppo di persone esemplari per le loro attività e per i loro conseguimenti - vi ho visto una forte comunione di intenti che mi ha fatto subito abbrac- ciare (ahimè ancora solo virtualmente!) il gruppo di lavoro di “Luce!”. Mi occupo di comunicazione del vino per
l’azienda vinicola Ruffino. Il vino è pro- babilmente la più virtuosa forma di inte- razione fra uomo e natura (l’uva, lasciata in pianta, andrebbe in acescenza…), costituisce un meraviglioso segno di incontro ed è un ponte di inclusività: una tavolata fra amici, un momento di relax a casa col proprio partner, un calice i cui profumi raccontano l’anima del luogo… quante affettuose storie e consuetudini virtuose emergono da una bottiglia di vino condivisa? Noi toscani del resto discendiamo dai raffinatissimi Etruschi - dei migranti peraltro, poiché molto probabilmente provenivano dall’Asia - che per primi introdussero la viticoltura in Italia e che amavano eleganti aggregazioni nel segno del bello e del buono; condividiamo inol- tre lo stesso milieu della Firenze del Rinascimento, di Leonardo da Vinci e Caterina de’ Medici, dove l’uomo si è ritrovato al centro del proprio destino, con l’orgoglio dell’autodeterminismo e la possibilità di essere felici; abbiamo, infine, profonde radici nella civiltà con- tadina, quella del fiasco, del riuso, del pane sciocco e del non si butta via niente, del poco che diventa tanto.
Quindi, il vino è stato il filo rosso che ha intrecciato nei millenni la nostra identità e ci ha abituato all’accoglienza e all’in- clusività. Ma, al contempo, il vino è una bevanda a contenuto alcolico e come tale deve essere trattato, rispettato e gustato (non voglio scrivere né consumato né bevuto) con estrema responsabilità. Non solo, è un prodotto “glocale”, amato internazionalmente e la sua produzione - dalla vigna alla cantina -, nonché la sua filiera distributiva, devono rispettare determinati parametri per non nuocere all’ambiente. Quindi, l’inclusione e la diversità come ricchezza e non minaccia, l’educazione al consumo di bevande alcoliche, uno stile di vita ecosostenibile, infine anche l’uso di un linguaggio e una scrittura carez- zevole, adeguata e appropriata, sono le tematiche su cui spero di poter portare un mio modesto contributo. Clicca per il video dell’intervista
Parità La presenza femminile in Enel è del 22% Percorsi di sviluppo «No» al gender gap di Raffaella Poggi d’Angelo
RAFFAELLA POGGI D’ANGELO responsabile People care & Diversity management di Enel Italia «La filosofia di Enel si basa sui principi fondamentali di non discriminazione, pari oppor- tunità e uguale dignità per tutte le forme di diversità, inclusione, bilanciamento tra vita privata e vita professionale. Pun- tiamo sulla parità retributiva del salario e sulle pari opportunità a partire dal pro- cesso di recruiting. I processi di selezione del personale sono attentamente monito- rati per garantire un equo bilanciamento dei generi con l’obiettivo di raggiungere un target per l’accesso alle selezioni del 50% nel 2021. A fine 2020 le donne del Gruppo Enel sono circa il 22%, e 22% del totale delle posizioni apicali sono anche le manager, mentre coprono circa l’11% in posizioni executive. Una volta entrate in azienda, ci sono molti progetti che pun- tano ad azzerare il gender gap e a favo- rire le politiche di work life balance: da
percorsi di sviluppo dedicati alle donne, a programmi e servizi a supporto della genitorialità quali asili nido aziendali, centri ludici fino alle convenzioni per ser- vizi di baby sitter e badanti. In più in linea con la policy Diversity&Inclusion pro- muoviamo una serie di iniziative con l’o- biettivo di incoraggiare le giovani a sce- gliere percorsi di studio in ambito tecni- co-scientifico superando le scelte stereoti- pate di genere. La sensibilizzazione in questo senso ini- zia da subito, nelle scuole - superiori, medie e ora anche elementari, dove dif- fondiamo l’importanza di una cultura tec- nico-scientifica. Negli ultimi cinque anni abbiamo raggiunto oltre 10mila ragazze a livello globale grazie a diverse iniziative che coinvolgevano testimonial e modelli di ruolo. Un approccio più aperto, più inclusivo stimola la circolarità delle idee che porta l’azienda ad essere più compe- titiva sul mercato ed innovativa e ad otte- nere, quindi, dei vantaggi economici e anche in termini di sostenibilità. Clicca per il video dell’intervista
Valorizzare Tim, il valore dei singoli arricchisce il gruppo Storia di inclusione nel Dna di un’azienda di Andrea Laudadio
ANDREA LAUDADIO Responsabile TIM Academy, Development & Recruiting di TIM «L’ inclusione è la protagoni- sta della 4 Weeks 4 Inclusion 2021, la più grande mara- tona di eventi digitali mai realizzata sul tema in Italia promossa da TIM. Prota- goniste oltre 200 aziende che, per 4 set- timane, hanno dato vita a un palinsesto di 189 eventi, con 212 ore di diretta, in cui si sono passati il testimone centinaia di ospiti tra amministratori delegati, mini- stri, rappresentanti delle associazioni sindacali e società civile, artisti, giornali- sti, testimonial del mondo della cultura, campioni dello sport e influencer.
Funziona parlare di inclusione? Dai risultati raggiunti direi di sì. Oltre mezzo milione di persone hanno seguito i nostri eventi e 3,5 milioni sono state le visualizzazioni sui social. Signi- fica che il tema non solo interessa, ma ingaggia, emoziona e coinvolge perché riguarda tutti. Crediamo fermamente che un ambiente in cui ognuno possa esprimere al meglio le proprie potenzialità e particolarità, nel pieno rispetto delle pari opportu- nità e della diversità, sia alla base del successo e della crescita delle aziende. E’ da questo presupposto che devono partire, perchè includere è un beneficio per tutti, in termini di qualità di vita, di relazioni, di creatività, di innovazione, e anche di performance. Come promotori del progetto siamo molto orgogliosi dei risultati raggiunti e crediamo che soltanto grazie ad un’a- zione collettiva si possa creare una società più inclusiva e aperta alle diver- sità per offrire opportunità a tutti. Que- sto mese ha segnato solo l’inizio di un percorso comune per un network di aziende che si è scoperto forte e appas-
sionato. Condividere e promuovere azioni specifiche relative alle diversità di genere, età, nazionalità e disabilità e la cultura dell‘inclusione a tutti i livelli e in tutti i contesti organizzativi, sarà anche la mission della terza edizione di 4 Weeks 4 Inclusion, prevista da TIM per il prossimo anno. Clicca per il video dell’intervista
Cambiamento Diversity&Inclusion per Crédit Agricole Un mese dedicato alle riflessioni
«Il Gruppo Crédit Agricole è il 10° gruppo bancario al mondo, presente in 48 Paesi tra cui l’Italia, che rappresenta il suo secondo mercato. Qui il Gruppo opera con tutte le linee di business e occupa circa 17.500 collaboratori. Con que- sti numeri, il tema dell’inclusione non può essere messo in secondo piano ma diventa fondamentale per consentire ad ogni talento di esprimersi pienamente. Il percorso di Crédit Agricole Italia sulle tematiche dell’inclusione è attivo ormai da anni con l’obiettivo di alimen- tare un cambiamento culturale necessa- rio ad una piena valorizzazione di tutte le diversità, non solo di quelle di genere,
proprio come avviene già da tempo in Francia. Il Gruppo è convinto che valo- rizzare le diversità rappresenti una risorsa chiave per lo sviluppo umano e aziendale. “Un ambiente di lavoro rispettoso e inclu- sivo, in grado di portare innovazione, che sia equo e tenga conto delle individualità, è il presupposto fondamentale per ogni tipo di crescita sostenibile – dicono da Crédit Agricole Italia. In questo senso, costruire e sostenere una cultura del rispetto rappresenta una grande oppor- tunità per ogni azienda”. A dimostrazione di tutto questo, Crédit Agricole, ogni anno dedica l’intero mese di novembre all’inclusione, pro- ponendo ai propri colleghi una serie di incontri, webinar e seminari per inda- gare le diverse sfaccettature della Diver- sity&Inclusion al fine di continuare ad alimentare una cultura aziendale aperta e attenta a cogliere le differenze come uno stimolo costruttivo. Focus degli incontri del Mese dell’Inclusione 2021 è stato il linguaggio perché siamo oggi nel mezzo di un’evoluzione culturale in cui il la parola rappresenta uno strumento
importante e potente per creare inclu- sione o esclusione. A trovare ascolto presso i colleghi del Gruppo nel corso del mese di novembre sono state testi- monianze importanti come quelle della professoressa Vera Gheno, sociolingui- sta ed esperta del linguaggio dei social media, e della professoressa Claudia Bianchi, docente di Filosofia e Teoria dei linguaggi all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Clicca per il video dell’intervista
Festa di Luce! I lettori sono invitati al Teatro la Pergola di Firenze Parole e note Una sera speciale da vivere insieme di Piero Ceccatelli
In principio fu il pentimento su un tatuaggio, affidato a un laser per cancellare un ricordo o un amore. E fu il futuro incerto dei millenials, che rivelavano aspirazioni e sogni fra lavori e vitepre- carie. Da allora, “Luce!” si è affermanto come il primo (per nascita) canale tema- tico lanciato da un quotidiano in Ita- lia lungo gli immensi sentieri dell’in- clusione, della diversità, della lotta alle discriminazioni, presentando oltre 1200 articoli notizie, interviste, inchieste,con montaggi fotografici colorati e lumi- nosi dove si annunciavano conquiste e dai toni virati seppia laddove la luce non ha ancora squarciato ogni tenebra. Dalle lotte delle donne per i dirìtti e quelle del mondo Lgbtq+ per vivere e manife- stare liberamente e in sicurezza il pro- prio orientamento, “Luce!” si è immerso nelle derive razziste delle società italiana e mondiale; è stato al fianco delle madri in equilibrio con lavori poco pagati e qualificati. O, addirittura, sono licenziate all’an- nuncio della gravidanza, come ai tempi del padrone delle ferriere e nel 2021, in certe società sportive. Poi, ha raccon- tato le persone con disabilità, compresse
fra barriere architettoniche e da cultu- rali. L’intero mondo di cui “Luce!” si occupa sarà rappresentato nella festa del 30 novembre al Teatro La Pergola di Firenze. Introdotti da Monica Peruzzi, volto di Sky legato all’informazione su temi sociali, fra i grandi ospiti ecco Fran- cesca Michielin, che darà anima a un incontro fra parole e musica. Ed ecco Ambra Sabatini, vincitrice nei 100 metri alle Paralimpiadi di Tokio2020 in cui l’I- talia esibì di sé l’immagine più bella: Ambra precedé sul podio Martina Cai- roni e Monica Contrafatto, anch’esse prive degli arti inferiori, perduti, nel “Luce!” si è affermato come il primo (per nascita) canale tematico lanciato da un quotidiano in Italia lungo gli immensi sentieri dell’inclusione, della diversità, della lotta alle discriminazioni
caso di Monica, per un ordigno in Afghanistan. Alla festa ci sarà anche chi a “Luce!” e al pool di giornalisti che lo redige, offre spunti, stimoli, impulsi: i membri del comitato scientifico che riunisce con la direttrice de “La Nazione“ Agnese Pini, i direttori delle altre testate del Gruppo Editoriale Nazionale, Michele Brambilla (QN e Il Resto del Carlino) e Sandro Neri (Il Giorno), il sondaggista Nando Pagnoncelli, la senior advisor sul talento Luisa Bagnoli, il dirigente sportivo e pentatleta Luca Pancalli, l’attivista e filantropa dell’edutainment Claudia Segre, l’imprenditore sociale Luca Trapanese, l’attivista per i diritti civili Francesca Vecchioni, oltre ai rap- presentanti delle imprese che sposano lo spirito di “Luce!”.
L'intervista / Elena Bonetti
In cammino verso la parità fra uomo e donna di Ettore Maria Colombo Luce! compie un anno. Quale il suo augurio? “Il primo compleanno di Luce! è un tra- guardo che saluto con piacere e che offre a me e a tutti noi un’occasione impor- tante di riflessione su temi cruciali per lo sviluppo e il futuro delle nostre comunità”. Quale è il messaggio che vuole lanciare? “Illuminare le diseguaglianze, il cam- mino verso la parità tra donne e uomini,
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