DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce

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DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
DIVERSITÀ • INCLUSIONE • COESIONE

Un anno
di Luce!
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
Qualcosa da
festeggiare
di Letizia Cini

Un anno di vita è un anniversario impor-
tante da festeggiare. Soprattutto oggi,
25 novembre, “Giornata internazionale
per l’eliminazione della violenza contro
le donne”. È in questo solco che è stato
piantato il seme di “Luce!“, barriera con-
tro la violenza, sotto ogni forma essa si
nasconda: dopo questi primi 365 giorni
raccogliamo i frutti.
Sono tanti gli articoli, le storie, le testi-
monianze cui il progetto dedicato ai temi
della diversità, dell’inclusione e della
coesione di Editoriale Nazionale, ha
dato spazio, vedendo crescere numero
di lettori e autorevolezza. E continuerà
a farlo, sotto la guida di Agnese Pini,
direttrice de “La Nazione” e di “Luce!”, a
capo di una redazione pronta a confron-
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
tarsi ogni giorno con argomenti e realtà
in costante evoluzione: condizione fem-
minile, diritti umani, sessualità, etica del
fine vita, sostenibilità aziendale, econo-
mia green, rivoluzione digitale, disabi-
lità, social network. Seppur di stringente
attualità, molte di queste tematiche diffi-
cilmente troverebbero spazio su mezzi di
informazione convenzionali.

L’obiettivo che si è dato “Luce!”, con
il sostegno del suo Comitato scienti-
fico - composto dal sondaggista Nando
Pagnoncelli, la filosofa Laura Boella,
l’economista comportamentale e senior
advisor sul talento Luisa Bagnoli, lo
scrittore e sceneggiatore Ivan Cotroneo,
il dirigente sportivo e pentatleta Luca
Pancalli, l’attivista e filantropa dell’e-
dutainment Claudia Segre, l’impren-
ditore sociale Luca Trapanese e Sofia
Viscardi, scrittrice e founder di “Venti”
- è invece quello di identificare ciò che
per troppo tempo è stato messo ai mar-
gini, lasciato... nel buio.
Ecco perché, dopo l’intervista a France-
sca Michielin, saranno proprio le voci
del Comitato scientifico a fare un primo
bilancio dei frutti raccolti e di quelli
che matureranno. A partire dal grande
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
evento che si svolgerà martedì prossimo
al Teatro La Pergola di Firenze, l’occa-
sione per presentare anche il riconosci-
mento dedicato ai “portatori e portatrici
di luce”, ambasciatori di valori positivi
da mettere sotto i riflettori nel novembre
del 2022, in occasione del secondo com-
pleanno di “Luce!”.

Storie e volti, persone normalmente
speciali che magari potranno essere di
esempio per gli altri, diventando a loro
volta protagonisti di un cambiamento
che parte anche dal linguaggio ma,
soprattutto, dall’atteggiamento mentale,
come spiega più avanti il vice direttore
de “La Nazione“, Piero Fachin.
Una trasformazione testimoniata anche
dalle tante voci che vengono riportate
attraverso il racconto di chi le ha sele-
zionate durante il corso di questo anno,
senza dimenticare quella del web; quei
“lampi di Luce!“ capaci di delineare
trend, temi più in voga, tutto quanto i
nostri social hanno messo in “Luce!”.

  Clicca per vedere l’intero evento
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
INDICE

Francesca Michielin
Non solo canzoni per dare
voce a chi non ne ha
di Andrea Spinelli            Vai all’articolo

Smart working
La vera sfida? Mettere
tutti d’accordo
di Luisa Bagnoli              Vai all’articolo

Famiglia
Diamo una dignità
alle nuove convivenze
di Laura Boella               Vai all’articolo

Uguali diritti
Occorre liberarsi delle etichette
per tutelare tutti
di Ivan Cotroneo              Vai all’articolo

La nuova Italia
Tra diversità e inclusione
Come saremo nel 2030?
di Nando Pagnoncelli          Vai all’articolo

Disabilità e sport
Da disabile a paralimpico
L’importanza di una parola
di Luca Pancalli              Vai all’articolo
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
Lavoro e parità
Divario di genere: superiamolo
con le tecnologie
di Claudia Segre         Vai all’articolo

Oltre i modelli
La disabilità non ha bisogno
di politically correct
di Luca Trapanese        Vai all’articolo

Diversità
Senza le differenze
non esiste ricchezza
di Francesca Vecchioni   Vai all’articolo

Lavoro e inclusione
Il nostro impegno a favore
delle donne
di Antonella Centra      Vai all’articolo

Coesione
Come una squadra
Per condividere sacrifici e gioie
di Paolo Di Santo        Vai all’articolo

Comunicazione
Un calice di genuinità
Senza nuocere all’ambiente
di Francesco Sorelli     Vai all’articolo
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
Parità
Percorsi di sviluppo
«No» al gender gap
di Raffaella Poggi d’Angelo   Vai all’articolo

Valorizzare
Storia di inclusione
nel Dna di un’azienda
di Andrea Laudadio            Vai all’articolo

Cambiamento
Un mese dedicato
alle riflessioni
                              Vai all’articolo

FESTA DI LUCE!
Parole e note, una sera speciale
da vivere insieme
di Piero Ceccatelli           Vai all’articolo

L’intervista a Elena Bonetti
In cammino verso la parità fra
uomo e donna
di Ettore Maria Colombo       Vai all’articolo

L’intervista a Ambra Sabatini
La verità? Si è persone anche
se manca un arto. Basta
che funzioni il cuore
di Piero Ceccatelli           Vai all’articolo
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
Francesca
Michielin
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
Non solo
canzoni
per dare voce
a chi non ne ha

«L’artista non è un politico
e quindi non può essere tirato
nelle dispute sociali. Deve
rimanere libero, ma anche
essere cosciente di avere
una posizione di primo piano»

di Andrea Spinelli
DIVERSITÀ INCLUSIONE COESIONE - Luce
S         iamo una sola direzione in que-
          sto universo. Con le convin-
          zioni della sua canzone più
famosa, Francesca Michielin approda il
30 novembre sul palco del Tatro La Per-
gola per parlare al compleanno di Luce!
dei suoi valori e della sfida di essere
donna in musica in un mondo maschi-
lista. “Sono nata a Bassano del Grappa
vicino ad un seminario scalabriniano ed
è lì che ho iniziato a fare volontariato”
racconta lei, 26 anni, approdata alla
notorietà nel 2012 vincendo quell’X-Fac-
tor che le ha schiuso una carriera impre-
ziosita da quattro album e due secondi
posti (su due partecipazioni) a Sanremo.
“È stato mio padre ad aprirmi gli occhi
sulle realtà dei migranti e l’esperienza
s’è trasformata per me e mio fratello
in qualcosa di veramente speciale, nel
modo di sentirsi parte della comunità in
maniera più profonda”.

Il successo l’ha costretta a crescere
molto in fretta.
“Quando ho vinto X-Factor avevo 16
anni e ho provato la classica sindrome
dell’impostore, l’insicurezza di chi pensa
di non meritarsi il successo che ha. Così,
per non farmi travolgere dagli eventi, ho
lavorato con lentezza, facendo un passo
alla volta. E ho detto tantissimi no”.
Cinque anni fa “Nessun grado di separa-
zione” s’è rivelata una canzone capace di
andare ben oltre le aspettative.
“Devo dire che, quando l’ho scritta
assieme ad altri autori, non ne avevo
afferrato tutte le potenzialità. Il brano
mi piaceva e sentivo pure la forza del
messaggio, che però era ancora molto
indefinito. Trasversale. Nella prima ste-
sura parlava della vita di coppia in gene-
rale, ma la potenza della condivisione ha
poi messo in luce altri contenuti“.

Quali?
“Grazie alla passione di chi l’ha ascol-
tato e amato, ma grazie anche all’Euro-
vision e al momento storico che stavamo
vivendo, ha assunto ulteriori significati.

«L’umanità fa la differenza.
Se ciascuno ne coltivasse
almeno un po’ vivremmo
in un mondo migliore»
Pure Sanremo quell’anno era diventato,
infatti, un palco dell’impegno nel soste-
gno delle unioni civili; c’erano artisti,
come me, che si esibivano con un brac-
cialetto, con un nastrino, con una ban-
diera a sostegno dell’idea. Proprio sul
palco dell’Ariston ho capito che volevo
dedicare quelle parole alla comunità
LGBT, perché mi sentivo motivata da
un obiettivo e da un messaggio. Tant’è
che quando la canto spesso sventolano
le bandiere arcobaleno ed è davvero un
momento bellissimo”.
Non è nella nostra natura, dire di
amarci e alla fine amarci così male”
canta in “Stato di natura” riflettendo
sulla condizione femminile.
“Il brano parte chiaramente da un con-
cetto socio filosofico. L’essere umano
attuale si trova inserito in una società
estremamente più progredita di quella
del passato; quindi, dovrebbe essere più
intelligente e avere una coscienza più
elevata. Cosa che, invece, non è. Siamo
tornati paradossalmente allo stato
brado, a quello ‘stato di natura’ raccon-
tato da Hobbes e Locke”.

Questo che domande la spinge a porsi?
“C’è da chiedersi, ma cosa siamo noi
donne che ci fischiano per strada? Dei
cani? Come sottolineato pure da Car-
lotta Vagnoli nel suo ultimo libro, non è
che io debba arrivare ad essere uccisa dal
mio compagno per definire violento il
suo atteggiamento. La violenza, infatti,
si esprime in tante maniere. Le molestie
sono di tante nature differenti e il cat
calling, i fischi e gli apprezzamenti vol-
gari di strada, possono rappresentare il
primo gradino dell’escalation”.
Perché?
“Sono atteggiamenti che possono anche
destabilizzare, soprattutto se sei molto
giovane. Ogni donna che conosco ha
avuto almeno una volta nella sua vita
paura di rientrare a casa da sola. Nella
scrittura del brano c’è stato anche l’in-
tervento di Damiano dei Måneskin che
ha scritto una strofa molto importante

FRANCESCA MICHIELIN Nata a Bassano del Grappa il 25 febbraio 1995, è una cantante
e compositrice italiana. Ha raggiunto la notorietà nel 2011 in seguito alla vittoria della quinta
edizione del talent show “X Factor“.
in cui ricorda come si parta dall’urlare
una frase sessista come ‘che bel culo’ per
arrivare ad una violenza peggiore”.

Quindi il linguaggio ha un peso.
“Sì, il linguaggio è importantissimo,
perché forma il pensiero. E se una per-
sona parla bene e perché pensa bene.
E se pensa bene certe cose non le fa.
‘Stato di natura’ è uno dei miei brani
che affrontano il tema del femminismo
in senso ampio. Sono felice che pure
Michela Murgia ne abbia parlato contri-
buendo a farlo diventare un manifesto
della mia musica e del mio pensiero”.

In “Bolivia”, invece, canta “è l’uma-
nità che fa la differenza”. Pensa che
questa, al momento, sia una coscienza
diffusa?
“Questo è un altro dei concetti che mi
piacerebbe molto poter approfondire
martedì prossimo alla Pergola. La nostra
coscienza, al momento, è ridotta tal-
mente all’osso che non riusciamo più a
fidarci degli altri. Le persone non rie-
scono ad empatizzare con ciò che non
conoscono, con ciò che non li riguarda
direttamente. Quindi l’umanità fa vera-
mente la differenza, perché se cia-
scuno ne coltivasse un po’ dentro di se,
vivremmo in un mondo migliore. Para-
dossale che noi esseri ‘umani’ veniamo
definiti etimologicamente con qualcosa
che non riusciamo poi a rappresentare”.

Oggi come oggi dove si ferma, a suo
avviso, lo sguardo del mondo?
“A mio avviso il problema centrale è che
noi siamo di fatto una società eteronor-
mativa bianca in cui tutto il potere e il pri-
vilegio sono in mano a un certo tipo di
essere umano che ragiona per inclusione,
tolleranza, integrazione; insomma siamo
un insieme portato ad inglobare gli altri
piuttosto che spostare il ragionamento su
un piano diverso: quello della convivenza
fra le diversità. Ogni persona è diversa
dalle altre con cui condivide il pianeta. E
in questo contesto, per far sì che questa
convivenza rimanga il più pacifica possi-
bile, sono quelli con più privilegi a dover
utilizzare una maggior dose di umanità ed
empatia nei loro comportamenti”.

Nelle grandi come nelle piccole cose.
“Esempio pratico, la tampon tax. Noi
donne abbiamo il ciclo e gli uomini no, ma
questo non li esenta dall’impegno a spen-
dersi per far sì che la spesa degli assorbenti
possa essere detratta dalle tasse. Questa
iniquità persiste perché ci sono pochissime
donne in politica e quindi nella condizione
di poter legiferare in materia. Ma il senso
di comunità dovrebbe essere forte per tutti
allo stesso modo”.

Quale pensa debba essere il ruolo degli
artisti, dei grandi comunicatori, nella
crescita della coscienza collettiva?
“L’artista non è un politico e quindi
non può essere tirato costantemente
nelle dispute sociali. Deve rimanere
libero, ma anche essere cosciente
di avere una posizione di primo piano
in questa nostra società. Io, ad esempio,
a 26 anni mi sento molto più privilegiata
di tante altre ventiseienni perché
ho un pubblico, un canale Instagram,
una voce, e sento il bisogno di agire
di conseguenza”.

Come?
“Per me il podcast ‘Maschiacci’ è questo;
avere una voce, tutta mia, per dare voce
a chi non ha voce. Un lavoro di squadra
realizzato con l’ausilio di un team molto
preparato per offrire a chi mi ascolta una
visione un po’ più ampia del mondo che
ci gira attorno. Di natura sono una per-
sona molto curiosa e in vita mia, dal
giornalino della scuola al podcast, ho
sempre cercato di raccontare delle cose.
E questo mi porta a mettere le passioni
dentro al mio lavoro. Come ci poniamo,
come descriviamo, come parliamo agli
altri: il linguaggio è la vera rivoluzione”.
Smart working
Il lavoro ibrido
è una risorsa da studiare

La vera sfida?
Mettere tutti
d’accordo
                        di Luisa Bagnoli
LUISA BAGNOLI è imprenditrice, economista
         comportamentale e senior advisor sul talento
         di oggi e su quello di domani. Ha fondato
         nel 2019 una scuola sul Futuro e nel 2021
         una scuola di Intelligenza Artificiale.

«I         nnanzitutto troviamoci d’ac-
           cordo sul nome: in tutto il
           mondo si è parlato di remote
working, qui in Italia invece di smart
working. Io propongono la dicitura
lavoro ibrido perché hybrid working è
usato anche all’estero ed è importante
partire dalle parole perché, come ha
detto benissimo il filosofo Vito Man-
cuso: “Con le frasi si può mentire, con le
parole no”. Siamo in una fase di afferma-
zioni e di poche domande e io per affron-
tare il tema caldo, emotivo, divisivo del
lavoro ibrido voglio partire proprio da
queste. La prima: Ha senso tornare iden-
tici a prima? No, dobbiamo cambiare
tutto, altrimenti sarebbe come voler met-
tere della benzina dentro un auto elet-
trica. Seconda domanda: È possibile guar-
dare al lavoro ibrido con la stessa visione
e con lo stesso mindset di prima? Nean-
che, il famoso panta rei di Eraclito, il
tutto scorre, ci dice che non è possibile e
che resistere al cambiamento fa male alle
emozioni come al prodotto interno lordo.

Terza e ultima domanda: Ci sono persone
più portate al cambiamento di altre? Sì,
ma la sfida è mettere tutti d’accordo, cre-
are un ponte. Pensiamo al filone del no al
lavoro ibrido: queste persone durante l’e-
mergenza hanno vissuto il lavoro ibrido
in maniera totalizzante: hanno lavorato
(forse anche più di prima), ma sull’e-
mergenza quotidiana, senza aver avuto
lo spazio mentale per l’innovazione, la
creatività, perché entrambe richiedono
empatia.
Dall’altra parte, il filone del sì a tutti i
costi è fatto di persone sicuramente più
portate al cambiamento, ma anche da
lavoratori che hanno giovato del lavoro
da remoto perché si sono liberati della
presenza di colleghi e capi che non gli
piacevano. Come al solito, due parti con-
trarie vedono da punti di vista opposti
lo stesso problema, che in questo caso è
uno: l’empatia.
Il lavoro ibrido è una risorsa ma dob-
biamo lasciare le aziende libere di tro-
vare la loro forma. Sugli ingredienti giu-
sti per un lavoro ibrido all’altezza del suo
nome, però, la combo è una sola: empa-
tia, cybersecurity, nuove tecnologie e la
telepresenza robotica che oggi è diven-
tata un must have perché è un Avatar che
ti dà tre dimensioni, quelle necessarie
all’apprendimento e all’innovazione”.

   Clicca per il video dell’intervista
Famiglia
Lo spazio intermedio nel vuoto
tra l'individuo e la collettività

Diamo
una dignità
alle nuove
convivenze
                          di Laura Boella
LAURA BOELLA è stata professore ordinario
         di Filosofia Morale e di Etica dell’ambiente presso
         l’Università Statale di Milano. Le sue recenti pub-
         blicazioni: Hannah Arendt. Un difficile umanesimo,
         Feltrinelli 2020; Cuori pensanti. Cinque brevi lezio-
         ni di filosofia per tempi difficili, Chiarelettere 2020.

«O         ggi parlare di famiglia signi-
           fica parlare di famiglie, chia-
           mando al plurale le sue varie e
molteplici manifestazioni. La famiglia
al singolare arriva però in nostro soc-
corso se vogliamo descrivere la forma di
vita che continua a essere una struttura
sociale di fondamentale importanza.
La famiglia occupa uno spazio interme-
dio nel grande vuoto che si è scavato tra
l’individuo e la collettività. Potremmo
infatti considerarla un ponte indispen-
sabile. Durante l’emergenza sanita-
ria si è notato ed è emerso che la fami-
glia funziona come rifugio, luogo pro-
tetto in cui le relazioni potevano ancora
essere coltivate, luogo di aiuto e soste-
gno reciproco, diventando in qualche
caso una tana, un posto oscuro, sotterra-
neo, di isolamento e di perdita della vita
sociale. La pandemia ha messo anche
in evidenza, portandola a nudo, la fun-
zione di welfare della famiglia e il suo
profilo utilitaristico ed economico: le
famiglie sono arrivate là dove lo Stato
non è riuscito ad arrivare. Un tassello
del mosaico familiare, che abbiamo però
delle remore ad accettare. Ma sono mol-
teplici gli aspetti dell’istituto familiare
che non bisogna ignorare.

La famiglia da società di mutuo soc-
corso può diventare un’associazione a
delinquere, come nel caso delle famiglie
mafiose. Ci sono poi le famiglie allar-
gate e le nuove famiglie. Un’istituzione
ricca e sfaccettata, quella familiare, che
oggi si trova di fronte a grandi sfide. Dal
punto di vista giuridico e legale, manca
ad esempio il riconoscimento dei nuovi
esperimenti di convivenza, dei nuovi
modi di essere famiglia. Una sfida che
non deve però metterne in secondo
piano un’altra: quella dell’impegno
etico. Fondare una famiglia, soprattutto
se slegata dai vincoli giuridico-legali,
implica scegliere la durata di un rap-
porto e tutelare l’interesse dei minori.
Ogni famiglia dunque dev’essere libera
di sperimentare forme nuove di convi-
venza, senza dimenticare però che que-
sta libertà è una libertà che richiede
impegno e capacità di reggere forti diffi-
coltà».

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Uguali diritti
L’Italia deve affrontare
il vuoto normativo

Occorre
liberarsi
delle etichette
per tutelare
tutti
                           di Ivan Cotroneo
IVAN COTRONEO nato a Napoli, scrittore, sceneg-
         giatore e regista. Il suo ultimo film per il cinema
         è Un bacio, la sua ultima serie televisiva
         La compagnia del Cigno 2,il suo ultimo romanzo
         14 giorni, scritto insieme a Monica Rametta.

«In           Italia esistono svariate e
              diversificate famiglie di
              fatto, ma lo Stato non le
vede, non le tutela e significativamente
non le chiama nemmeno famiglia. Un
singolare che infatti mi sta stretto per-
ché richiama soltanto un’idea: quella
della famiglia tradizionale, con genitori
di sesso diverso e figli naturali, spesso
nella sua declinazione patriarcale. Le
altre famiglie invece per la legge non
esistono, sono invisibili. In Italia c’è da
affrontare un vuoto normativo grave e,
in questo senso, la mancanza del matri-
monio egualitario è drammatica perché
mette in crisi istituzioni e situazioni che
di fatto già esistono, come ad esempio le
famiglie arcobaleno. Un vuoto norma-
tivo che chiama, anzi quasi costringe i
magistrati a fare giurisprudenza, soprat-
tutto per tutelare i minori, che sono le
prime vittime di questa miopia politica.

Io non faccio il politico. Il mio lavoro è
raccontare storie e nelle storie che rac-
conto cerco di mettere al centro diverse
famiglie che non richiamano l’idea pla-
tonica che si continua purtroppo a rac-
contare come esaustiva, ma che invece
rappresentano e rispecchiano le fami-
glie che vedo nella società. Quando lo
faccio, mi sembra di portare in scena il
mondo in cui vivo, pulsante contempo-
raneo, e non un mondo altro. Cerco di
rappresentarle in maniera non antago-
nista, perché nella realtà queste fami-
glie non si pongono mai da antagoni-
ste rispetto a quella tradizionale, ma
chiedono soltanto di allargare il campo
dei diritti che, come un cappello o un
ombrello, dovrebbe farsi più largo per
coprire e finalmente comprendere tutti.
Le persone single e le coppie omoses-
suali chiedono per esempio la possi-
bilità di poter riconoscere il figlio del
partner o di poter adottare, la società
chiede di normare le famiglie d’ele-
zione, andando oltre il legame di san-
gue. Questi nuovi diritti cosa tolgono
alle coppie eterosessuali, che sono già
disciplinate dal matrimonio? Niente,
perché l’estensione di un diritto non pre-
giudica quelli preesistenti.

Oggi per prendere in considerazione il
tema famiglia dobbiamo dimenticarci
etichette superate, perché appena ini-
ziamo a elencare cominciamo a esclu-
dere. Esiste ed è radicato nella società
civile di oggi un concetto di fami-
glia che va oltre quella tradizionale,
quindi più che nominare le varie forme
dovremmo fare chiarezza su quali sono
i requisiti che ci permettono di parlare
di famiglia: la presenza di un legame
affettivo stabile dovrebbe portare alla
possibilità (oggi negata) di formare
una famiglia, esattamente come accade
per quella tradizionale”.

  Clicca per il video dell’intervista
La nuova Italia
Non solo buoni sentimenti.
C'è bisogno di consapevolezza

Tra diversità
e inclusione
Come saremo
nel 2030?
                  di Nando Pagnoncelli
NANDO PAGNONCELLI è presidente di Ipsos,
         società leader in Italia nel settore delle ricerche
         demoscopiche. Insegna “Analisi della pubblica
         opinione” presso la Facoltà di Scienze Politiche e
         sociali dell’Università Cattolica di Milano.

«N            essuno ha la sfera di cristallo
              ma viviamo in una congiun-
              zione astrale assolutamente
favorevole nella prospettiva di una società
più inclusiva nei confronti di ciò che è
considerato diverso. Da un lato ci sono le
istituzioni europee e nazionali che stanno
riflettendo sul futuro e stanno investendo
sulla sua costruzione attraverso i fondi del
Pnrr, nella sfida di immaginare il domani.
Dall’altro c’è il mondo delle imprese, che
si sta muovendo ormai da diversi anni gui-
dato da un nuovo senso di responsabilità
sociale d’impresa. Fino a quindici anni fa
circoscritto a iniziative di filantropia o a
un miglioramento del rapporto con i pro-
pri clienti. Oggi vissuto in senso più oli-
stico, con più attenzione e consapevo-
lezza, passando dal principio che nelle
imprese ci sono diversi portatori di inte-
resse: dai lavoratori all’ambiente. E al cen-
tro del quadro, o della congiunzione, i cit-
tadini che sia pure con atteggiamenti un
po’ selettivi a seconda dei soggetti coin-
volti sono molto più attenti alla condi-
zione delle persone con disabilità, degli
omosessuali, dei transgender, dei giovani,
degli stranieri o di coloro che sono consi-
derati diversi.

Alla domanda se tra dieci anni vivremo in
un paese più equo, caratterizzato da una
ripresa della dinamica demografica, dalla
valorizzazione dei giovani, della popola-
zione straniera e delle categorie ai margini
dell’attenzione come quelle dei disabili,
rispondo che dipenderà soprattutto dai
cittadini. All’Italia del domani per affron-
tare queste sfide in una logica inclusiva
non basteranno infatti né le istituzioni, né
le imprese, se i cittadini non diventeranno
consapevoli delle loro responsabilità indi-
viduali nella costruzione di un futuro
migliore. Per questo serve “Luce!”: non per
appellarsi ai buoni sentimenti, ma per gui-
dare i lettori verso la consapevolezza che
attraverso i processi di inclusione, e per-
correndo con convinzione la sua strada,
potremo guadagnarci tutti”.

   Clicca per il video dell’intervista
Disabilità / sport
Un aggettivo che definisce
un mondo

Da disabile
a paralimpico
L’importanza
di una parola
                       di Luca Pancalli
LUCA PANCALLI paraolimpionico nel nuoto, con
         15 medaglie ai Giochi Paralimpici, 10 ai Mondialie
         e 6 agli Europei. Si ritira dall’attività nel 1996. Nel
         2000 è eletto presidente della Federazione Italiana
         Sport Disabili. È autore, insieme al giornalista
         Giacomo Crosa, del romanzo “Lo specchio di
         Luca”, edito da Fazi Editori, pubblicato nel 2013.

«L            a categorizzazione della
              disabilità rischia di trasfor-
              marsi in un limite, una pri-
gione culturale e utilizzarle le giuste
parole, in questo senso, è importante
per aprire la porta o lasciarla chiusa. Dal
Duemila, da presidente della Federa-
zione italiana sport disabili, mi sono bat-
tuto molto per utilizzare al posto di disa-
bile il termine paralimpico: era ovvia-
mente una forzatura linguistica. Ma il
termine è passato. Al tempo, infatti, era
preminente l’aggettivazione dell’atleta
rispetto all’atleta stesso. Ma un lento
lavoro di formazione dei giornalisti su
questo argomento ha portato a far diven-
tare d’uso comune il termine paralimpico
fino a trasformarlo in un aggettivo che
ha incluso tutte le persone con disabi-
lità che fanno sport e non solo quelle che
partecipano a una paralimpiade. Que-
sto termine ha cancellato dal linguag-
gio comune una discriminazione odiosa:
nel 2018 abbiamo fatto un accordo con
la Treccani per inserire l’aggettivo para-
limpico/paralimpica dentro il Dizionario,
chiudendo il cerchio e trasformando la
percezione della disabilità attraverso una
semplice parola.

Gli atleti paralimpici, insieme al comi-
tato, in questi anni hanno dato vita a
una rivoluzione dal basso. I campioni
che hanno vinto 69 medaglie a Tokyo,
infatti, non lo hanno fatto grazie a un’o-
perazione di vertice, ma per la propria
volontà e quella delle famiglie che li
hanno assecondati e circondati di atten-
zioni, ricavando grazie anche alle istitu-
zioni locali, spazi per allenarsi, orari per
avere impianti liberi e professionisti spe-
cializzati. Di più: hanno creato nella pro-
pria cerchia la consapevolezza che la per-
sona con disabilità può fare ciò che appa-
rentemente le appare più lontano e pre-
cluso: l’attività sportiva. I nostri cam-
pioni sono degli ambasciatori, tanto
che si sta formando una sindacalizza-
zione dei diritto allo sport per tutti. Ma i
migliori ambasciatori del paralimpismo
restano e sono quei i cittadini che riven-
dicano il diritto allo sport da aggiun-
gersi agli altri mille diritti - al lavoro, alla
scuola, ai trasporti, all’accesso, al wel-
fare – per i quali le persone con disabilità
combattono ogni giorno la propria olim-
piade della vita”.

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Lavoro e parità
Solo nel 26% dei casi la donna
è il “decisore finanziario”

Divario
di genere:
superiamolo
con le tecnologie
                       di Claudia Segre
CLAUDIA SEGRE presidente e fondatrice di Global
         Thinking Foundation. Già membro della consulta
         esperti della Commissione Finanze della Camera,
         è stata chairman del Board of Education di Acifx
         International, ora honorary member. Forbes l’ha
         nominata fra le 100 donne italiane di maggior
         successo del 2019.

«È            ormai del tutto evidente che
              il cambiamento climatico è
              una rilevante problematica
sociale e che la pandemia ha acuito le già
ampie differenze di genere sul versante
occupazionale, incidendo più signifi-
cativamente su quei settori in cui sono
impiegate in maggioranza le donne. L’I-
talia ha posto l’empowerment femmi-
nile al centro della sua presidenza del
G20 e del PNRR, perché la ripresa non
può concretizzarsi se ci dimentichiamo
di metà del Paese e non combattiamo
le disparità presenti. Tutti ostacoli che
zavorrano la crescita ed è per questo che
l’impegno a ridurli – dal divario salariale,
occupazionale a quello pensionistico -
dev’essere massimo. Anche perché que-
ste disparità non sono conseguenza della
pandemia, ma rappresentano un pro-
blema strutturale del mercato del lavoro
europeo. Ed è infatti l’Europa a chiedere
politiche attive per centrare gli obiet-
tivi di parità di genere sostanziale, come
abbiamo visto cercare di fare nell’ultimo
anno dal governo, fino all’importante
ratifica della Convenzione 190 dell’ILO.

Dal mondo del lavoro i divari di genere
arrivano a toccare anche il cuore econo-
mico delle case. Guardando alle scelte di
investimento delle famiglie italiane, dal
sondaggio condotto da Fipe emerge che
solo nel 26% dei casi la donna è il “deci-
sore finanziario” e che nel 30% dei casi
non ha un conto corrente personale.
Nessuna di queste donne prende inoltre
in considerazione la possibilità di utiliz-
zare una piattaforma di prestito FinTech:
app e servizi sviluppati da aziende che
lavorano sulle nuove opportunità offerte
dall’open banking per rendere la finanza
più trasparente e l’accesso agli istituti più
semplice.
In Italia però le donne fanno difficoltà
ad accedere anche alle forme di finanzia-
mento pubblico, nonostante questo sia
tra le priorità della strategia nazionale
per la parità di genere 2020-2025.
Secondo l’indice Desi Women in digital
il Paese è al 20esimo posto tra i 28 stati
membri europei per quanto riguarda il
divario di genere, in particolar modo nel
settore dell’economia digitale. Per inver-
tire la tendenza è dunque necessario
investire su formazione digitale e infor-
mazione: passaggi cruciali per riqualifi-
care la forza lavoro».

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Oltre i modelli
Concretezza per una società
predisposta all’accoglienza

La disabilità
non ha bisogno
di politically
correct
                    di Luca Trapanese
LUCA TRAPANESE è padre di una bambina down
         che ha adottato nel 2018. Nel 2007 fonda “A ruota
         libera Onlus” con cui realizza una lunga serie di
         progetti legati alla disabilità. Ha pubblicato, con Luca
         Mercadante, Nata per te. Storia di Alba raccontata tra
         noi, Einaudi Stile Libero (2018). Con patrizia Rinaldi,
         Vi Stupiremo con difetti speciali, Giunti (2019).

«P           artiamo da un presuppo-
             sto: la perfezione non esi-
             ste. Non esistono una vita
perfetta, una famiglia perfetta, un lavoro
perfetto, non esiste un corpo perfetto.
Nonostante questo, però, la società e la
comunità continuano a bombardarci con
messaggi di perfezione e ci dicono che
se non abbiamo standard altissimi, non
siamo nessuno: siamo inutili, con il risul-
tato che sempre più giovani e adulti sono
insoddisfatti, infelici e alla ricerca di non
si sa mai che cosa.

Basterebbe che qualcuno dicesse loro che
siamo tutti imperfetti e che nel percorso
della vita non dobbiamo raggiungere
dei modelli, ma la felicità. E la felicità
dipende dal riuscire a essere se stessi.
Chi ci dice che una persona disabile è più
infelice di una che non lo è? Io ho cono-
sciuto dei ragazzi disabili felicissimi.

Il problema è che gli altri li vedono infe-
lici perché i modelli che ci circondano
sono orientati verso uno standard di feli-
cità che nessuno può raggiungere. E lo
stesso problema ricade sulle famiglie:
tendiamo a incasellare tutti in schemi,
invece dovremo distruggerli per dire
che le famiglie sono il posto dove c’è
amore, il luogo dove si decide di cre-
scere insieme e che non c’è un modello
di famiglia da cui dobbiamo sentirci ispi-
rati: a ispirarci dev’essere solo il senti-
mento che le tiene unite. Per accettare
la disabilità la via dev’essere quella della
concretezza.

La società dev’essere predisposta all’ac-
coglienza del diverso: dalla nascita, la
scuola, le attività lavorative, la socia-
lità, l’affettiva e la sessualità. Invece che
chiamarli “diversamente abili” chiamia-
moli “handicappati” perché porre sotto
i riflettori il loro handicap può essere il
primo passo per accogliere la loro diver-
sità e trovare delle soluzioni a sostegno
delle loro esigenze. E chi dovrebbe farlo
se non lo Stato, accogliendo nel suo wel-
fare la risposta alle loro necessità? Il
politically correct in questo senso rischia
di offuscare i reale bisogni di queste per-
sone: i disabili non sono diversamente
abili, hanno un handicap e meritano di
avere gli stessi diritti di tutti”.

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Diversità
Ognuno di noi può evolversi
solo grazie alle altre persone

Senza
le differenze
non esiste
ricchezza
                   di Francesca Vecchioni
FRANCESCA VECCHIONI presidente di Diversity –
         organizzazione no profit impegnata a promuovere
         l’inclusione sociale e il benessere organizzativo.
         È esperta di comunicazione, linguaggi dei media,
         hate speech e diritti umani, formatrice sui temi di
         inclusione, discriminazione e diversity management.

«P            ella diversità bisogna
              prenderne atto, perché
              senza la diversità non
esisterebbe la ricchezza, l’evoluzione,
l’innovazione. Dico prendere atto perché
non è un’opinione, ma un fatto: la realtà
è fatta di diversità e la diversità è una
ricchezza da qualsiasi punto di vista la
osserviamo: biologico, evoluzionistico,
scientifico, economico, creativo,
filosofico.

Per essere consapevoli che viviamo
immersi nella diversità, bisogna però
assumersi l’impegno e la responsabilità
di conoscerla, di farla conoscere, di
diventare agenti di diversità. Ma è
difficile, richiede impegno. Il nostro
cervello infatti economizza e alla fatica
della comprensione o della messa in
discussione preferisce il darsi e il farsi
dare ragione. E invece è così bello a volte
non avere ragione. È bello perché ti
porta su strade nuove, che ti conducono
oltre ciò che già sai o sei in grado di
immaginare.

Basta scomodare la filosofia greca per
capire che non può essere che così e che
non è certo una novità: il dubbio socra-
tico, il rimettersi in discussione, è alla
base della conoscenza e la conoscenza è
da sempre diversità. Esercitarla, esplo-
rarla, conoscerla, interiorizzarla signi-
fica però anche rendersi consapevoli che
ognuno di noi può evolvere solo grazie
alle altre persone.

La diversità non è mai un singolare, è
sempre un plurale. Ed è in fondo proprio
questo che dev’essere il nostro obiettivo
più lontano e importante: renderci conto
che non è con il singolare, non è che con
il punto fermo, con la presa di posizione
che riusciamo a evolvere. È invece con
i plurali, con i punti di vista differenti,
con la comprensione degli altri e
attraverso una visione multipla della
realtà che riusciamo davvero a vedere
con chiarezza questo mondo. Senza gli
altri, finiamo per essere dei singolari
che guardano al mondo come dovrebbe
essere senza avere la forza – che non
può che nascere dalla collettività – di
cambiarlo”.

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Lavoro
e inclusione
Gucci, bilancio di genere

Il nostro
impegno
a favore
delle donne
                    di Antonella Centra
ANTONELLA CENTRA
         executive vice president
         general counsel, corporate
         affairs & sustainability di
         Gucci.

«R           edigeremo il nostro primo
             bilancio di genere, uno stru-
             mento potente che speriamo
diventi prassi anche per altre realtà del
settore privato nel percorso verso una
piena parità. La pandemia ha accentuato
problemi di disuguaglianza preesistenti.
Per questo crediamo sia importante
lavorare tutti insieme verso una dire-
zione comune. Con il pieno supporto del
nostro ceo e presidente Marco Bizzarri,
abbiamo deciso di intraprendere un per-
corso di analisi approfondita della nostra
popolazione aziendale in Italia redi-
gendo il nostro primo bilancio di genere.

Come fatto per la lotta al cambiamento
climatico, riteniamo sia fondamentale
agire ma dobbiamo essere consapevoli
della situazione in cui ci troviamo per
generare un vero cambiamento. Per que-
sto abbiamo dato il via ad un nuovo capi-
tolo del programma Sviluppo filiere con
Intesa Sanpaolo: per consentire alle pic-
cole e medie imprese parte della nostra
filiera di beneficiare di un accesso al cre-
dito facilitato, a condizioni migliori, e
avviare un percorso di evoluzione indu-
striale in accordo con i principi di ugua-
glianza di genere e transizione ecologica
sostenuti dal Piano Nazionale di Ripresa
e Resilienza. Se pensiamo alla transi-
zione verde, le donne hanno oggi una
grande opportunità per promuovere un
cambio di passo importante, perché in
molti campi della sostenibilità sono lea-
der, a differenza del passato. Le donne
possono essere al centro di questa rivolu-
zione: sarà nostro compito renderlo pos-
sibile. In Gucci le donne rappresentano
la maggioranza della popolazione azien-
dale a livello globale. Ma siamo convinti
che si possa fare di più.

Tornando al bilancio di genere, questo
è uno strumento potente che speriamo
diventi prassi anche per altre realtà del
settore privato nel percorso verso una
piena parità. Siamo tra le prime aziende
in Italia ad adottare questo strumento
innovativo. Quando si tratta di diritti
non c’è concorrenza ma al contrario
maggiore adesione porta un beneficio
diffuso. Auspichiamo la certificazione di
genere diventi una prassi.
Coesione
L’unico modo per guardare al futuro

Come
una squadra
Per condividere
sacrifici e gioie
                      di Paolo Di Santo
PAOLO DI SANTO fondatore
         di Diesse srl nel 2005 coi 3
         fratelli. Nel 2013 acquisisce
         Bibo Italia spa di cui è l’attuale
         Ad e presidente del Cda.

«C            ertamente “Luce!” è un pro-
              getto virtuoso, fondamen-
              tale, principalmente innova-
tivo, è portavoce di un passaggio tra cir-
costanze attuali e future. Oggi è impor-
tante imparare a vivere con più consa-
pevolezza, questo significa accettare e
condividere diversità, attuando politiche
di inclusione e coesione sociale, temi fon-
damentale per una società ormai matura
ad attuarli. Purtroppo oggi il mondo gira
ad una velocità tale, che ci obbliga a man-
tenere la stessa, rendendoci ciechi delle
esigenze altrui. Questo, il punto di rifles-
sione, perché solo riuscendo a immedesi-
marsi in loro ci si rende conto di quanto
fondamentale oggi è.
Allora si inizia a comprendere e condi-
videre, il che vuol dire: insegnare, ma
soprattutto imparare, imparare a cam-
biare, imparare nuovi pensieri, princi-
palmente rispettare il pensiero altrui,
creando quella coesione sociale che è la
base del progetto condiviso. La coesione
sociale come per automatismo diventa
solidarietà, non creando disparità sociali
e culturali. In buona sostanza sono con-
tento e onorato di fare parte a questo
progetto insieme a tante altre persone,
ognuno con un talento diverso. Que-
sti principi sono da sempre alla base del
nostro modo di vedere le cose, di conse-
guenza sono parte integrante della vita
quotidiana della nostra azienda.

Ecco che ogni giorno ci impegniamo
affinché tutte le persone che lavorano
con noi a prescindere dalla loro sto-
ria personale, si sentono accettate, con-
siderate, incluse, è parte integrante del
nostro mondo. Questo ci permette di
essere una squadra, una famiglia che
condivide sacrifici e gioie, e che ci fa sen-
tire bene perché sappiamo che questo è
l’unico modo di guardare al futuro.

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Comunicazione
Educazione al consumo del vino

Un calice
di genuinità
Senza nuocere
all’ambiente
                   di Francesco Sorelli
FRANCESCO SORELLI
         direttore comunicazione
         e brand experience
         dell’Azienda vinicola
         Ruffino

«L’           attenzione gentile a cosa ci
              sta intorno, alle persone e
              all’ambiente, permea il mio
modo di pensare ormai da diversi anni.
Sento molto, e non è retorica, un ruolo
da custode della bellezza di quello che
ci è stato dato, dei luoghi che abitiamo e
del futuro che lasceremo ai nostri figli.
Per questo, quando è arrivata la pro-
posta di far parte del comitato scienti-
fico - io davvero piccolo al cospetto di
un gruppo di persone esemplari per le
loro attività e per i loro conseguimenti
- vi ho visto una forte comunione di
intenti che mi ha fatto subito abbrac-
ciare (ahimè ancora solo virtualmente!)
il gruppo di lavoro di “Luce!”.
Mi occupo di comunicazione del vino per
l’azienda vinicola Ruffino. Il vino è pro-
babilmente la più virtuosa forma di inte-
razione fra uomo e natura (l’uva, lasciata
in pianta, andrebbe in acescenza…),
costituisce un meraviglioso segno di
incontro ed è un ponte di inclusività: una
tavolata fra amici, un momento di relax
a casa col proprio partner, un calice i cui
profumi raccontano l’anima del luogo…
quante affettuose storie e consuetudini
virtuose emergono da una bottiglia di
vino condivisa?

Noi toscani del resto discendiamo dai
raffinatissimi Etruschi - dei migranti
peraltro, poiché molto probabilmente
provenivano dall’Asia - che per primi
introdussero la viticoltura in Italia e che
amavano eleganti aggregazioni nel segno
del bello e del buono; condividiamo inol-
tre lo stesso milieu della Firenze del
Rinascimento, di Leonardo da Vinci e
Caterina de’ Medici, dove l’uomo si è
ritrovato al centro del proprio destino,
con l’orgoglio dell’autodeterminismo e
la possibilità di essere felici; abbiamo,
infine, profonde radici nella civiltà con-
tadina, quella del fiasco, del riuso, del
pane sciocco e del non si butta via
niente, del poco che diventa tanto.
Quindi, il vino è stato il filo rosso che ha
intrecciato nei millenni la nostra identità
e ci ha abituato all’accoglienza e all’in-
clusività. Ma, al contempo, il vino è una
bevanda a contenuto alcolico e come tale
deve essere trattato, rispettato e gustato
(non voglio scrivere né consumato né
bevuto) con estrema responsabilità. Non
solo, è un prodotto “glocale”, amato
internazionalmente e la sua produzione
- dalla vigna alla cantina -, nonché la
sua filiera distributiva, devono rispettare
determinati parametri per non nuocere
all’ambiente.

Quindi, l’inclusione e la diversità come
ricchezza e non minaccia, l’educazione al
consumo di bevande alcoliche, uno stile
di vita ecosostenibile, infine anche l’uso
di un linguaggio e una scrittura carez-
zevole, adeguata e appropriata, sono le
tematiche su cui spero di poter portare
un mio modesto contributo.

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Parità
La presenza femminile in Enel è del 22%

Percorsi
di sviluppo
«No» al gender
gap
                di Raffaella Poggi d’Angelo
RAFFAELLA POGGI
         D’ANGELO
         responsabile People care
         & Diversity management
         di Enel Italia

«La            filosofia di Enel si basa sui
               principi fondamentali di non
               discriminazione, pari oppor-
tunità e uguale dignità per tutte le forme
di diversità, inclusione, bilanciamento
tra vita privata e vita professionale. Pun-
tiamo sulla parità retributiva del salario
e sulle pari opportunità a partire dal pro-
cesso di recruiting. I processi di selezione
del personale sono attentamente monito-
rati per garantire un equo bilanciamento
dei generi con l’obiettivo di raggiungere
un target per l’accesso alle selezioni del
50% nel 2021. A fine 2020 le donne del
Gruppo Enel sono circa il 22%, e 22% del
totale delle posizioni apicali sono anche
le manager, mentre coprono circa l’11% in
posizioni executive. Una volta entrate in
azienda, ci sono molti progetti che pun-
tano ad azzerare il gender gap e a favo-
rire le politiche di work life balance: da
percorsi di sviluppo dedicati alle donne,
a programmi e servizi a supporto della
genitorialità quali asili nido aziendali,
centri ludici fino alle convenzioni per ser-
vizi di baby sitter e badanti. In più in linea
con la policy Diversity&Inclusion pro-
muoviamo una serie di iniziative con l’o-
biettivo di incoraggiare le giovani a sce-
gliere percorsi di studio in ambito tecni-
co-scientifico superando le scelte stereoti-
pate di genere.

La sensibilizzazione in questo senso ini-
zia da subito, nelle scuole - superiori,
medie e ora anche elementari, dove dif-
fondiamo l’importanza di una cultura tec-
nico-scientifica. Negli ultimi cinque anni
abbiamo raggiunto oltre 10mila ragazze a
livello globale grazie a diverse iniziative
che coinvolgevano testimonial e modelli
di ruolo. Un approccio più aperto, più
inclusivo stimola la circolarità delle idee
che porta l’azienda ad essere più compe-
titiva sul mercato ed innovativa e ad otte-
nere, quindi, dei vantaggi economici e
anche in termini di sostenibilità.
Valorizzare
Tim, il valore dei singoli arricchisce
il gruppo

Storia
di inclusione
nel Dna
di un’azienda
                        di Andrea Laudadio
ANDREA LAUDADIO
          Responsabile TIM
          Academy, Development
          & Recruiting di TIM

«L’          inclusione è la protagoni-
             sta della 4 Weeks 4 Inclusion
             2021, la più grande mara-
tona di eventi digitali mai realizzata sul
tema in Italia promossa da TIM. Prota-
goniste oltre 200 aziende che, per 4 set-
timane, hanno dato vita a un palinsesto
di 189 eventi, con 212 ore di diretta, in cui
si sono passati il testimone centinaia di
ospiti tra amministratori delegati, mini-
stri, rappresentanti delle associazioni
sindacali e società civile, artisti, giornali-
sti, testimonial del mondo della cultura,
campioni dello sport e influencer.
Funziona parlare di inclusione? Dai
risultati raggiunti direi di sì. Oltre
mezzo milione di persone hanno
seguito i nostri eventi e 3,5 milioni sono
state le visualizzazioni sui social. Signi-
fica che il tema non solo interessa, ma
ingaggia, emoziona e coinvolge perché
riguarda tutti.

Crediamo fermamente che un ambiente
in cui ognuno possa esprimere al meglio
le proprie potenzialità e particolarità,
nel pieno rispetto delle pari opportunità
e della diversità, sia alla base del suc-
cesso e della crescita delle aziende.
È da questo presupposto che devono
partire, perchè includere è un beneficio
per tutti, in termini di qualità di vita, di
relazioni, di creatività, di innovazione, e
anche di performance.

Come promotori del progetto siamo
molto orgogliosi dei risultati raggiunti
e crediamo che soltanto grazie ad un’a-
zione collettiva si possa creare una
società più inclusiva e aperta alle diver-
sità per offrire opportunità a tutti. Que-
sto mese ha segnato solo l’inizio di un
percorso comune per un network di
aziende che si è scoperto forte e appas-
sionato. Condividere e promuovere
azioni specifiche relative alle diversità
di genere, età, nazionalità e disabilità e
la cultura dell‘inclusione a tutti i livelli
e in tutti i contesti organizzativi, sarà
anche la mission della terza edizione di
4 Weeks 4 Inclusion, prevista da TIM
per il prossimo anno.
Cambiamento
Diversity&Inclusion
per Crédit Agricole

Un mese
dedicato
alle riflessioni
«Il            Gruppo Crédit Agricole è
               il 10° gruppo bancario al
               mondo, presente in 48 Paesi
tra cui l’Italia, che rappresenta il suo
secondo mercato. Qui il Gruppo opera
con tutte le linee di business e occupa
circa 17.500 collaboratori. Con que-
sti numeri, il tema dell’inclusione non
può essere messo in secondo piano ma
diventa fondamentale per consentire ad
ogni talento di esprimersi pienamente.
Il percorso di Crédit Agricole Italia
sulle tematiche dell’inclusione è attivo
ormai da anni con l’obiettivo di alimen-
tare un cambiamento culturale necessa-
rio ad una piena valorizzazione di tutte
le diversità, non solo di quelle di genere,
proprio come avviene già da tempo in
Francia. Il Gruppo è convinto che valo-
rizzare le diversità rappresenti una
risorsa chiave per lo sviluppo umano e
aziendale.

“Un ambiente di lavoro rispettoso e inclu-
sivo, in grado di portare innovazione, che
sia equo e tenga conto delle individualità,
è il presupposto fondamentale per ogni
tipo di crescita sostenibile – dicono da
Crédit Agricole Italia. In questo senso,
costruire e sostenere una cultura del
rispetto rappresenta una grande oppor-
tunità per ogni azienda”.

A dimostrazione di tutto questo, Crédit
Agricole, ogni anno dedica l’intero
mese di novembre all’inclusione, pro-
ponendo ai propri colleghi una serie di
incontri, webinar e seminari per inda-
gare le diverse sfaccettature della Diver-
sity&Inclusion al fine di continuare ad
alimentare una cultura aziendale aperta
e attenta a cogliere le differenze come
uno stimolo costruttivo. Focus degli
incontri del Mese dell’Inclusione 2021 è
stato il linguaggio perché siamo oggi nel
mezzo di un’evoluzione culturale in cui
il la parola rappresenta uno strumento
importante e potente per creare inclu-
sione o esclusione. A trovare ascolto
presso i colleghi del Gruppo nel corso
del mese di novembre sono state testi-
monianze importanti come quelle della
professoressa Vera Gheno, sociolingui-
sta ed esperta del linguaggio dei social
media, e della professoressa Claudia
Bianchi, docente di Filosofia e Teoria dei
linguaggi all’Università Vita-Salute San
Raffaele di Milano.
Festa di Luce!

I lettori sono invitati
al Teatro la Pergola di Firenze

Parole e note
Una sera
speciale
da vivere
insieme

di Piero Ceccatelli
In             principio fu il pentimento
               su un tatuaggio, affidato
               a un laser per cancellare
un ricordo o un amore. E fu il futuro
incerto dei millenials, che rivelavano
aspirazioni e sogni fra lavori e vitepre-
carie. Da allora, “Luce!” si è affermanto
come il primo (per nascita) canale tema-
tico lanciato da un quotidiano in Ita-
lia lungo gli immensi sentieri dell’in-
clusione, della diversità, della lotta alle
discriminazioni, presentando oltre 1200
articoli notizie, interviste, inchieste,con
montaggi fotografici colorati e lumi-
nosi dove si annunciavano conquiste e
dai toni virati seppia laddove la luce non
ha ancora squarciato ogni tenebra. Dalle
lotte delle donne per i dirìtti e quelle
del mondo Lgbtq+ per vivere e manife-
stare liberamente e in sicurezza il pro-
prio orientamento, “Luce!” si è immerso
nelle derive razziste delle società italiana
e mondiale; è stato al fianco delle madri
in equilibrio con lavori poco pagati e
qualificati.
O, addirittura, sono licenziate all’an-
nuncio della gravidanza, come ai tempi
del padrone delle ferriere e nel 2021, in
certe società sportive. Poi, ha raccon-
tato le persone con disabilità, compresse
fra barriere architettoniche e da cultu-
rali. L’intero mondo di cui “Luce!” si
occupa sarà rappresentato nella festa
del 30 novembre al Teatro La Pergola di
Firenze. Introdotti da Monica Peruzzi,
volto di Sky legato all’informazione su
temi sociali, fra i grandi ospiti ecco Fran-
cesca Michielin, che darà anima a un
incontro fra parole e musica. Ed ecco
Ambra Sabatini, vincitrice nei 100 metri
alle Paralimpiadi di Tokio2020 in cui l’I-
talia esibì di sé l’immagine più bella:
Ambra precedé sul podio Martina Cai-
roni e Monica Contrafatto, anch’esse
prive degli arti inferiori, perduti, nel

“Luce!” si è affermato
come il primo (per nascita)
canale tematico lanciato
da un quotidiano in Italia
lungo gli immensi sentieri
dell’inclusione, della
diversità, della lotta alle
discriminazioni
caso di Monica, per un ordigno in
Afghanistan.
Alla festa ci sarà anche chi a “Luce!”
e al pool di giornalisti che lo redige,
offre spunti, stimoli, impulsi: i membri
del comitato scientifico che riunisce con
la direttrice de “La Nazione“ Agnese
Pini, i direttori delle altre testate del
Gruppo Editoriale Nazionale, Michele
Brambilla (QN e Il Resto del Carlino) e
Sandro Neri (Il Giorno), il sondaggista
Nando Pagnoncelli, la senior advisor
sul talento Luisa Bagnoli, il dirigente
sportivo e pentatleta Luca Pancalli,
l’attivista e filantropa dell’edutainment
Claudia Segre, l’imprenditore sociale
Luca Trapanese, l’attivista per i diritti
civili Francesca Vecchioni, oltre ai rap-
presentanti delle imprese che sposano
lo spirito di “Luce!”.
L'intervista / Elena Bonetti
In cammino
verso la parità
fra uomo
e donna
di Ettore Maria Colombo

Luce! compie un anno. Quale il suo
augurio?
“Il primo compleanno di Luce! è un tra-
guardo che saluto con piacere e che offre
a me e a tutti noi un’occasione impor-
tante di riflessione su temi cruciali per lo
sviluppo e il futuro delle nostre comunità”.

Quale è il messaggio che vuole lanciare?
“Illuminare le diseguaglianze, il cam-
mino verso la parità tra donne e uomini,
presentare allo sguardo della società le
troppe potenzialità nel Paese ancora
nascoste e tenute in ombra fra le pieghe
delle discriminazioni e della negazione
di opportunità: è l’agire della ricerca
incessante della democrazia. Questa
ricerca continua e radicale, che vive della
vitalità della nostra Carta e che è anche
la risposta alla vocazione alta dell’infor-
mazione, è una responsabilità comune,
che non può più essere la lotta di pochi:
ciascuno per la propria parte, vi siamo
tutti chiamati”.

Quale è il suo contributo a questi
obiettivi?
“Abbiamo bisogno di dar vita a modelli
di sviluppo capaci di accompagnare le
vite di tutte le cittadine e i cittadini.
È la strada che abbiamo deciso di percor-
rere con il Family Act e due Piani
nazionali, quello per la parità di genere
e quello di contrasto alla violenza contro
le donne, che abbiamo reso strutturali
nella vita del Paese. Questa svolta dalla
provvisorietà alla strutturalità è
la scelta di un Paese ormai pronto a
percorrere senza ripensamenti una
strada non solo giusta per alcuni ma
di vero sviluppo per tutti”.
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