CONFIMI Rassegna Stampa del 05/09/2018

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CONFIMI
  Rassegna Stampa del 05/09/2018

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INDICE

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SCENARIO ECONOMIA
  05/09/2018 Corriere della Sera - Nazionale                                         5
  Ma dove sono le risorse per il patto di governo?

  05/09/2018 Corriere della Sera - Nazionale                                         7
  «Rassicuro mercati e Tria» Poi il leader vede Blair, il super consulente del Tap

  05/09/2018 Corriere della Sera - Nazionale                                         9
  Imprese, il conto dello spread: indebitarsi costa l'1% in più

  05/09/2018 Corriere della Sera - Nazionale                                         11
  Tim, la Borsa non crede al rilancio Intanto Iliad fa il pieno di abbonati

  05/09/2018 Il Sole 24 Ore                                                          13
  Partite Iva, flat tax con tre aliquote

  05/09/2018 Il Sole 24 Ore                                                          16
  Telecom ai minimi da 5 anni Pesano Iliad e il taglio delle stime

  05/09/2018 Il Sole 24 Ore                                                          19
  L'Fmi del «nuovo corso» costretto a ricorrere ai vecchi strumenti anti-crisi

  05/09/2018 La Repubblica - Nazionale                                               21
  ANCHE NAVA FA LITIGARE GOVERNO E UE

  05/09/2018 La Repubblica - Nazionale                                               22
  Terni ha paura acciaio in vendita e futuro a rischio

  05/09/2018 Il Messaggero - Nazionale                                               24
  Deficit, la frenata della Lega avviso a M5S: ora la Fornero

  05/09/2018 Il Messaggero - Nazionale                                               27
  «I soldi ci sono, nella manovra misure concrete su flat tax, pace fiscale e
  quota 100 per le pensioni»
SCENARIO PMI
  05/09/2018 Il Sole 24 Ore                                              29
  «Più lavoro da taglio cuneo e quota 100 per tutti. Sì ai vincoli Ue»

  05/09/2018 Il Sole 24 Ore                                              32
  Spread in discesa, ma alla Pmi il debito costa lo 0,5% in più

  05/09/2018 Il Sole 24 Ore                                              34
  La Pmi italiana MyBest sbarca su Euronext

  05/09/2018 MF - Nazionale                                              35
  Wall Street accusa il rischio dazi
SCENARIO ECONOMIA

11 articoli
05/09/2018                                                                                diffusione:222170
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 L'analisi
 Ma dove sono le risorse per il patto di governo?
 Federico Fubini

 Prima che la domanda si ponesse con l'urgenza attuale, la risposta si trovava già nel sito di
 M5S il 26 gennaio scorso. «Tutti ci chiedono: dove prenderete i soldi? I soldi ci sono, eccome,
 in un bilancio da 800 miliardi». Naturalmente il «blog delle Stelle» si riferiva alle idee per
 finanziare il reddito di cittadinanza, più altri «cinquanta miliardi in investimenti pubblici». Si
 leggeva: «Basta avere lungimiranza e le mani libere da condizionamenti di lobby che finora
 hanno sempre prosperato in modo parassitario, attaccate alle gonne dello Stato».
 In questo M5S dimostrava di essersi posto il problema più della Lega, la quale aveva escluso
 qualunque sacrificio. La «flat tax» leghista al 15% promessa a tutti, ispirata al modello di
 Mosca, avrebbe dovuto finanziarsi da sola con la crescita che doveva generare. Poco importa
 che la spesa pubblica in Italia sia di quasi il 20% più alta che in Russia, in proporzione alla
 taglia dell'economia. Quanto alla «pace fiscale», o condono, avrebbe comunque prodotto
 gettito fiscale per un solo anno mentre i tagli alle tasse promessi sarebbero stati per sempre.
 Con il Movimento 5 Stelle era diverso: indicava gli interventi da fare. In primo luogo «trenta
 miliardi annui a regime di spending review, compreso un miliardo di tagli ai costi della
 politica». Da allora M5S ha vinto le elezioni e governato cento giorni eppure oggi per la prima
 volta da sei anni l'Italia non ha più un commissario per la spending review: nominata da
 Palazzo Chigi, quella figura è necessaria per il lavoro quotidiano di selezione, controllo e
 intervento sulle spese, ma appunto il governo ha scelto di fare senza. Difficile così reperire
 anche solo un miliardo nel 2019 dalle uscite dei ministeri. Quanto all'altro «miliardo» di spese
 della politica da tagliare, la cancellazione dei cosiddetti «vitalizi» parlamentari (pensioni
 calcolate con il metodo retributivo) ha dato appena 43 milioni; però poi si sono dovuti
 bloccare anche quelli in vista di ricorsi delle persone colpite.
 Del resto il piatto forte, per M5S, era altrove. «Quaranta miliardi l'anno di agevolazioni fiscali
 che si possono spostare da obiettivi dannosi e improduttivi verso finalità ad alto
 moltiplicatore», si legge nel blog. Sono le spese fiscali, in tutto poco meno di settecento
 deduzioni o detrazioni diverse. I 5 Stelle in questo avevano contato bene: tolti gli sgravi
 ininfluenti e quelli indispensabili, in quella lista spiccano quattordici voci che - se nulla cambia
 con la legge di Stabilità - costeranno 38,1 miliardi allo Stato nel 2019 ma in teoria si
 potrebbero limare. Resta da capire se nel governo qualcuno oserà farlo.
 Come mostra il grafico sopra, oggi gli sgravi sulle accise al gasolio in agricoltura e
 nell'autotrasporto pesano per esempio sul bilancio per oltre due miliardi. Ma sembra
 impossibile che il governo li riduca, dopo che Matteo Salvini della Lega aveva promesso in
 campagna elettorale di «cancellare sette accise sulla benzina subito» (da allora di questo non
 parla più). Ci sarebbero poi da aggredire le detrazioni ed esenzioni sulla casa, quelle che forse
 più di tutte le altre favoriscono chi possiede patrimoni più alti e immobili più preziosi a spese
 di chi li ha più bassi e non possiede affatto immobili. C'è per esempio la detrazione sulla
 rendita catastale per la prima casa (toglie al gettito 3,6 miliardi), di cui inevitabilmente non
 gode il 33% delle famiglie italiane senza prima casa di proprietà; lo stesso vale per l'Imu
 prima casa (costa 3,6 miliardi) e la Tasi sulla prima casa (3,5 miliardi). Ancora più squilibrate
 a favore di chi ha grandi case e può permettersi grandi migliorie su di esse sono le detrazioni
 per le ristrutturazioni edilizie (costano 5,8 miliardi) o per gli interventi di riqualificazione

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                                                                                                            La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 energetica (1,6 miliardi). Per non parlare delle detrazioni per spese mediche e sanitarie (3,1
 miliardi) riservate anche ai redditi alti e altissimi o del bonus da 80 euro di Matteo Renzi, che
 costa 8,9 miliardi e spesso favorisce i ceti medi rispetto ai ceti più deboli. E che dire del
 credito d'imposta da 240 milioni per gli armatori?
 La lista è lunga, le possibilità numerose per il governo di rendere il sistema degli sgravi più
 equo e meno costoso, in modo da reperire risorse e attuare così il suo programma. Ma
 occorre scegliere e dunque scontentare almeno qualcuno. Occorrono, direbbe il blog di M5S,
 «lungimiranza e mani libere da lobby». Dopo tante parole su Facebook, la prova con la realtà
 è adesso.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  Corriere della Sera Quanto costano allo Stato gli sconti fiscali Le previsioni per il 2019 (in
 milioni di euro) Fonte: Ministero dell'Economia 0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 240 864,8
 1.923 1.611,1 1.264,4 727,1 3.630 3.674 3.580 1.030,5 5.883,5 1.619,6 3.117,3 8.964
 Accise ridotte per il gasolio in agricoltura Credito d'imposta per gli armatori
 Proroga/ampliamento di super e iper ammortamento Cedolare secca sui canoni di locazione
 Riduzione delle accise sul gasolio per l'autotrasporto Credito d'imposta per gli investimenti in
 ricerca e sviluppo Detrazione della rendita catastale sulla prima casa Esenzione dell'Imu sulla
 prima casa Esenzione della Tasi sulla prima casa Detrazione degli interessi sui mutui per la
 prima casa Detrazione del 50% per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio Detrazioni
 del 55% e del 65% sugli interventi di riqualificazione energetica Detrazione per spese
 mediche e sanitarie Il bonus degli 80 euro di Renzi

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 Il retroscena
 «Rassicuro mercati e Tria» Poi il leader vede Blair, il super
 consulente del Tap
 I due portavoce Per evitare confusione sulla linea economica del partito verranno nominati 2
 portavoce
 Marco Cremonesi

 ROMA«La notizia? È che faremo una finanziaria perbene». Perbene in che senso? «Non
 torceremo il braccio dietro alla schiena al ministro Tria». Appena uscito dal Viminale, uno dei
 partecipanti al summit dei leghisti che si occupano di economia scherza. E la mette così:
 «Tripla rassicurazione: ai mercati, agli elettori e, appunto, al ministro all'Economia».
 L'appuntamento al ministero dell'Interno era atteso: intorno a un tavolo, tutti i ministri, i
 viceministri e i sottosegretari economici della Lega, più i capigruppo di Camera e Senato. Per
 Matteo Salvini occorreva, tanto per cominciare, mettere un freno alle troppe voci discordanti
 provenienti dall'interno della Lega riguardo alla linea economica del partito. E così, d'ora in
 avanti, su questi argomenti ci saranno «due portavoce» politici. Scelti, probabilmente, tra i
 partecipanti alla riunione di ieri.
 Il primo sarà delegato a parlare di questi temi con il governo e con gli alleati a 5 Stelle, il
 secondo sarà incaricato di svolgere lo stesso ruolo pubblicamente, davanti a taccuini e
 telecamere. Chi saranno? Per il momento, non si sa: Matteo Salvini ancora non ha deciso. Ma
 il punto, come dice uno degli «economisti», è che «occorreva mettere uno stop. Anche perché
 spesso fanno molto più danno le parole in libertà che il merito dei provvedimenti».
 Soprattutto, la linea economica andava definita. Perché tutto quello che è contenuto nel
 «contratto di governo» ora andrà declinato nella prima legge di bilancio legastellata. E gli
 obiettivi vanno dunque diluiti sul periodo medio lungo: in primo luogo, nell'aggiornamento del
 Def che dovrà essere presentato a giorni. E infatti, questa mattina Salvini incontrerà a Palazzo
 Chigi il premier Giuseppe Conte, il vicepremier e capo dei 5 Stelle Luigi Di Maio, il
 sottosegretario Giancarlo Giorgetti e lo stesso ministro Tria.
 In ogni caso, il messaggio sottinteso nella modulazione dei tempi, spiega un altro dei
 partecipanti all'incontro, è «che il governo durerà. Che Salvini non ha alcuna intenzione di
 farlo cadere in anticipo come spesso voi scrivete sui giornali, istigati da M5S».
 Salvini nelle ultime settimane era infastidito dal fatto che di riforma della legge Fornero sulle
 pensioni si parlasse sempre meno: «Non dobbiamo far pensare che ce ne siamo dimenticati».
 Perché così non è: lui stesso ieri ha ribadito che la missione, già per la prossima legge di
 bilancio, «è quella di arrivare a quota 100 (come somma tra età anagrafica e anni di
 contributi) in modo effettivo». Se ne dovrà occupare l'ex sindacalista Claudio Durigon, il
 sottosegretario al Lavoro.
 E poi, ci sarà la flat tax. Che dovrebbe partire già dall'anno prossimo, con aliquota comme
 annunciato al 15%, ma soltanto per le partite Iva. Nel 2019 saranno dunque i soli
 professionisti ad avvantaggiarsene: «Ma già dall'anno prossimo dovrebbe essere estesa anche
 alle imprese e alle persone fisiche». Infine, la «pace fiscale», la rottamazione della cartelle
 esattoriali: secondo i calcoli della Lega, bisognerà vedere quanto condivisi dal ministro Tria, il
 ridurre al 10% di quanto dovuto porterebbe nelle casse statali ben 60 miliardi.
 In tutto questo, resta però da capire il ruolo che la Lega intende attribuire alla spesa per le
 grandi opere. Ieri, infatti, si è parlato assai più di un «grande piano per la manutenzione del
 patrimonio pubblico» assai più che delle infrastrutture che attendono il completamento (o

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 l'avvio). Su cui i 5 Stelle, peraltro, sono ancora da convincere.
 Un Matteo Salvini descritto come «molto ministeriale, ma senza cravatta» ha ascoltato le
 opinioni di tutti i presenti prima di riconvocarli per martedì della settimana prossima. Poi, è
 arrivato il momento di ricevere Tony Blair. Il vice presidente del Consiglio ha ricevuto l'ex
 premier britannico da solo, alla presenza della sola traduttrice. I due hanno parlato di
 immigrazione e di politiche energetiche, ipotizzando una conferenza sullo sviluppo in Africa.
 Soltanto più tardi, ai tre si è unito il consigliere diplomatico del Viminale Stefano Beltrame.
 Blair è super consulente del gasdotto trans adriatico, il Tap. E cioè, una delle grandi opere in
 discussione su cui M5S continua a storcere il naso.
 Ad ogni modo, tutti giurano che la Lega «non intende tentare di sforare il tetto del rapporto
 tra deficit e pil. Anzi, l'idea è quella di rimanere al di sotto del 3 per cento in maniera
 significativa».
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 La parola
 IL DEF
 Il governo sta lavorando alla nota di aggiornamento del Def. Il Def è l'acronimo dil Documento
 di Economia e Finanza, ed è il principale strumento della programmazione economico-
 finanziaria in Italia. Proposto dal governo e approvato dal Parlamento, esso indica la strategia
 economica e di finanza pubblica nel medio termine (medium term budgetary framework). Il
 periodo di programmazione copre almeno un triennio. Il Def deve essere è presentato entro il
 10 aprile e va presentato in sede europea.
 Foto:
 L'ex premier britannico, il laburista Tony Blair, 65 anni, e il vicepremier Matteo Salvini, 45
 anni, ieri all'incontro al Viminale. Blair ha visto anche l'esponente dem Sandro Gozi, 50 anni
 ( Ansa )
 Foto:
 Tutte le notizie di politica,
 con gli aggiornamenti in tempo reale, i commenti, le analisi, i video
 e le fotogallery

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 Imprese, il conto dello spread: indebitarsi costa l'1% in più
 Il mercato dei prestiti obbligazionari valuta peggio le aziende italiane e assegna un rischio
 Paese più elevato
 Fabrizio Massaro

 Non esiste solo lo spread dei Btp. Esiste anche quello delle imprese. E, al pari di quello più
 noto che indica il costo del debito pubblico rispetto a quello tedesco, mostra quanto le aziende
 italiane stiano faticando sempre di più a prendere soldi a prestito sul mercato dei bond.
 Il fenomeno si sta accentuando dal 5 marzo, all'indomani delle elezioni, e dopo un
 rallentamento a inizio giugno a seguito della nascita del governo Conte si è riacutizzato nel
 corso dell'estate fino ai picchi di questi giorni. È quello che gli esperti chiamano effetto
 trascinamento: le vicende politiche, che surriscaldano lo spread Btp/Bund, influenzano anche
 il debito delle imprese e quindi l'economia del Paese. Non è solo lo Stato a pagare più
 interessi; la febbre ha contagiato le banche e le imprese. Un segnale da non sottovalutare per
 il governo, in particolare per la Lega che nelle imprese del Nord ha un importante bacino
 elettorale. Per questo motivo imprenditori e osservatori delle cose economiche guardano con
 preoccupazione al dibattito in corso sulla manovra e alle tentazioni di Matteo Salvini e Luigi Di
 Maio di ricorrere al deficit per finanziare flat tax e reddito di cittadinanza.
 L'analisi dei dati (al 30 agosto) effettuata per il Corriere della Sera da un'importante banca
 italiana mostra chiaramente come per le imprese il mercato obbligazionario sia più caro
 rispetto a pochi mesi fa (tecnicamente, a salire è lo spread sul mid-swap, il tasso
 interbancario che le aziende usano per stabilire il tasso fisso dei loro bond). È vero che i tassi
 aumentano in tutta Europa - in media di 15-30 punti base per le nuove emissioni rispetto al
 2017 - per fenomeni sovranazionali come la fine degli aiuti della Bce (il «quantitative
 easing»), la guerra dei dazi Usa-Cina o la crisi valutaria in Turchia. Ma ci sono particolarità
 italiane che fanno sì che il debito costi qui più che altrove.
  Appena a luglio Terna ha collocato con successo un bond a 5 anni a 80 punti base (sopra il
 tasso mid-swap) mentre un anno fa pagava solo 50 punti per un più rischioso bond a 10 anni.
 A giugno Atlantia e Fincantieri hanno preferito ritirare l'emissione di un bond per l'alta
 volatilità del mercato che non offriva condizioni vantaggiose.
 Un'ulteriore conferma si è avuta ieri dal collocamento di bond comparabili (7 anni, tasso fisso,
 stesso rating) da parte dell'italiana 2i Rete Gas e della spagnola Telefonica: la prima ha avuto
 uno spread di 165 punti; la seconda, appena 95. In sostanza, a parità di condizioni il mercato
 valuta peggio le imprese italiane, cioè assegna un valore al rischio Paese. Lo si vede anche
 sulle quotazioni dei bond «corporate» già in circolazione: il mercato sconta un peggioramento
 della percezione del rischio, misurato in certi casi in un 1% in più rispetto a tre mesi fa: il
 bond Tim a scadenza 2023 oggi quota 190 punti base dai 74 punti di marzo (da appena 35 di
 giugno); Italgas da 69 è passata a 108 punti, A2A da 39 a 104. Adeguandosi, con un po' di
 ritardo, alle evoluzioni dei Btp.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  IL COSTO DEL DEBITO PER LE IMPRESE E LO STATO Bond a 5 anni sul mercato secondario,
 spread sul tasso mid-swap, in punti base Al 5 marzo 2018 Fonte: dati Bloomberg CdS 0 50
 100 150 200 250 Italgas 69 26 108 74 35 190 39 8 104 39 -1 50 224 67 224 31 -2 47 47 7
 73 Tim A2A Enel Snam Eni Btp a 5 anni Al 1 giugno Al 30 agosto

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2018                                                          9
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 Il debito
 Le aziende italiane stanno registrando rendimenti più elevati sulle loro obbligazioni, con le
 quali chiedono soldi in prestito al mercato. Per gli esperti è l'effetto di un maggiore rischio-
 Paese percepito: lo spread dei tassi alle aziende si adegua allo spread sui Btp

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2018                                                       10
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 Tim, la Borsa non crede al rilancio Intanto Iliad fa il pieno di
 abbonati
 Titoli giù del 5%, Genish compra. Lunedì il consiglio. La concorrente a quota 1,5 milioni
 Federico De Rosa

 Il cerchio inizia a stringersi. Anche se per ora nessuno parla di redde rationem, la posizione di
 Amos Genish al vertice di Tim si sta facendo sempre più a rischio. Il prossimo consiglio,
 convocato il 10 settembre, potrebbe dare il via al conto alla rovescia per l'uscita del manager
 israeliano che, nonostante gli sforzi e un piano strategico di grande visione, non sta portando i
 risultati attesi.
 La difficoltà è evidente. Ieri i titoli di Tim sono scesi al nuovo minimo di 0,52 euro, chiudendo
 la seduta in ribasso del 5,41%. Gli operatori sono tutti (o quasi) «corti» sul titolo, segno che
 la fase ribassista è destinata a proseguire complice anche l'avversione degli investitori al
 «rischio Italia». Ovviamente Genish non ci crede e ieri ha comprato 1 milione di azioni Tim
 investendo 523 milioni. A Vivendi, Elliott e Cdp tocca invece contare le minusvalenze. Per la
 Cassa, che ad aprile ha comprato il 4,2%, si parla di circa 200 milioni.
 Ad accelerare ieri il calo in Borsa ha contribuito anche un report di Exane (Bnp Paribas) dal
 titolo «Cacciatori di affari attenzione», che in 50 pagine analizza il piano Genish, in relazione
 al contesto di mercato e a quello specifico dall'Italia, arrivando a tagliare a 0,38 euro (-30%)
 il prezzo obiettivo di Tim. Secondo Exane, mentre il business di linea fissa declina
 rapidamente e Iliad conquista nuovi clienti nel mobile, Tim sembra in balia degli eventi («una
 trappola di valore» la definisce Exane). Proprio ieri la compagnia guidata da Xavier Niel ha
 comunicato di aver raggiunto 1,5 milioni di abbonati con Iliad in Italia e che è pronta a
 partecipare alla gara per le frequenze 5G. Oltre alla concorrenza di Iliad, secondo Exane è
 stata sottostimata anche l'entità dei ricavi che Open Fiber sottrarrà a Tim sul business della
 banda larga e le prospettive per Tim Brasil, più difficili del previsto.
 A questo punto al board di lunedì può succedere tutto. Il clima in consiglio è tutt'altro che
 sereno. La conflittualità, portata dalla vittoria di Elliott in assemblea resta alta e Vivendi non
 ha rinunciato alla rivalsa. Tra ottobre e novembre si dovrebbe tenere l'assemblea per la
 nomina dei revisori e i francesi potrebbero cogliere l'occasione per chiedere di integrare
 l'ordine del giorno con la revoca del board. Genish, scelto dai francesi e confermato con da
 Elliott, si trova preso nel mezzo. Se non fosse stato per la mediazione del presidente Fulvio
 Conti, il manager probabilmente sarebbe già fuori. Ma, visti i numeri della semestrale e le
 vendite in Borsa, questa volta Conti potrebbe avere difficoltà a frenare una richiesta di
 discontinuità. Il 24 settembre ci sarà un altro consiglio.
 Il board del 10 settembre è stato convocato per decidere se partecipare all'asta per il 5G, da
 cui il governo si aspetta di incassare almeno 2,5 miliardi, che senza l'offerta di Tim
 difficilmente arriveranno. A quanto risulta né Genish né Conti hanno avuto ancora modo di
 incontrare il nuovo ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, che invece si è mostrato
 interessato alle vicende di Tim in chiave rete, nell'ottica della società unica per la banda larga
 con Open Fiber. Il piano di societarizzazione dell'infrastruttura proposta da Genish è all'esame
 dell'AgCom, ma i tempi si stanno allungando e ieri si è saputo che l'Authority si è presa altri
 90 giorni per concludere il lavoro.
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  Corriere della Sera In Borsa 0,5000 0,6000 0,7000 0,8000 0,9000 ott nov dic gen feb mar
 apr mag giu lug ago set 2 0 1 7 2 0 1 8 0,5244 euro -5,41% IERI

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 VERSO LA MANOVRA
 Partite Iva, flat tax con tre aliquote
 Marco Mobili Marco Rogari

 Flat tax a 3 aliquote per Pmi e professionisti; quota 100 dal 2019 per un ampia platea. Sono
 le priorità per la manovra indicate ieri dal summit del Carroccio, che si devono saldare con
 l'avvio del reddito di cittadinanza su cui insiste il M5S. Ma la riuscita dell'operazione dipende
 dal livello del rapporto deficit-Pil su cui prosegue il confronto nel Governo e tra l'esecutivo e
 Bruxelles. Mobili e Rogari a pag. 3
 ROMA
 Flat tax per piccole imprese e professionisti a tre aliquote. E quota 100 dal 2019 per un'ampia
 platea di pensionandi. Sono le due priorità indicate dalla Lega per la prossima manovra, al
 termine del vertice di ieri dello stato maggiore del Carroccio, che si devono saldare con
 l'immediato avvio del reddito di cittadinanza su cui continua a puntare con forza il M5S, come
 ha sottolineato ieri Luigi Di Maio. Ma la buona riuscita di questa operazione dipende dalla
 collocazione dell'asticella del rapporto deficit-Pil su cui prosegue il confronto all'interno del
 Governo e tra l'esecutivo e Bruxelles.
 Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, continua a mostrare prudenza per rassicurare i
 mercati e alla luce del peggioramento del quadro macroeconomico rispetto al Def di aprile (Pil
 più basso con ricadute su deficit e debito). Nel Carroccio cresce la convinzione che il deficit
 nominale possa salire al 2,8-2,9% aprendo uno spazio di flessibilità di oltre 20 miliardi che
 consentirebbe di coprire gran parte della manovra (clausole Iva comprese) destinata ad
 avvicinarsi a quota 30 miliardi. Al ministero dell'Economia sembrano considerare invalicabile
 quota 1,7-1,8% rimanendo preferibilmente attorno all'1,5%. Ma la maggioranza non appare
 disposta a scendere sotto il 2%. Oggi potrebbe essere fatto un tentativo per trovare la
 quadratura del cerchio con un vertice di Governo al quale dovrebbe partecipare Tria.
 Quella che appare già abbastanza solida è la rivisitazione del capitolo fiscale. Che,allo stato
 attuale prevede una Flat tax a tre aliquote per imprese(con possibile esclusione delle società
 di capitali)e professionisti con ricavi fino a 100mila euro e che il sottosegretario all'Economia
 Massimo Bitonci traduce nel 5% per le start up, 15% per chi ha ricavi fino a 65mila euro e
 20% per quelli fino a 100mila euro di fatturato. A sostenere la misura dovrà contribuire la
 pace fiscale che spazia dal pre-accertamento agli accertamenti veri e propri con il rilancio del
 contraddittorio tra Fisco e contribuenti, comprese le liti fiscali pendenti e la riscossione con la
 definitiva rottamazione del magazzino della ex Equitalia. A completare il quadro anche una
 terza versione della voluntary disclosure sul contante e le cassette di sicurezza. Non solo. Nel
 vertice di ieri della Lega al Viminale il menù delle proposte fiscali per la manovra di Bilancio è
 stato arricchito con il rilancio della web tax sul money transfer.
 Sul versante della previdenza la maggioranza spinge per fare diventare le pensioni una delle
 priorità della manovra. Nelle ultime ore l'ipotesi del ricorso a quota 100 (nella somma di età
 anagrafica e anzianità contributiva) modulabile in forma selettiva (agganciata alla questione-
 esuberi), che era sotto la lente dei tecnici del governo fino alla scorsa settimana, è passata in
 secondo piano rispetto all'opzione di un intervento in favore di una platea molto ampia,
 magari con un percorso graduale. Anche il vertice di ieri della Lega si è concluso con
 l'obiettivo di far scattare quota 100 nel 2019 a tappeto (costo 6-8 miliardi) o quanto meno per
 un bacino non ristretto introducendo alcuni paletti, come il vincolo dei 64 anni di età
 anagrafica o quello del ricalcolo contributivo. A confermarlo indirettamente è anche il

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 sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, che ha partecipato al vertice: «È stata un'ottima
 giornata di lavoro, il superamento della Fornero resta un obiettivo prioritario della manovra».
 Un'esigenza condivisa anche da M5S, con cui continua il confronto sui ritocchi alla stretta alle
 pensioni d'oro, che in ogni caso non sarà parte integrante della manovra ma marcerà in
 Parlamento come Ddl "collegato". La Lega punta anche a un intervento sugli assegni
 d'invalidità sopra 500 euro. Più complessa la partita sul taglio selettivo del cuneo per le
 imprese 4.0, che resta però appesa al nodo risorse della manovra.
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 IL CANTIERE DELLA LEGGE DI BILANCIO
 B
 coperture
 La partita della manovra si gioca sul deficit
 È sul rapporto deficit/Pil che si gioca la partita della manovra e delle misure che potranno
 entrarvi. Nella Lega cresce la convinzione che il deficit nominale possa salire al 2,8-2,9%
 aprendo uno spazio di flessibilità di oltre 20 miliardi che consentirebbe di coprire gran parte
 della manovra destinata ad avvicinarsi a quota 30 miliardi. Per il Mef sarebbe invalicabile
 quota 1,7-1,8% rimanendo preferibilmente attorno all'1,5%. Ma la maggioranza non appare
 disposta a scendere sotto il 2%
 C
 pensioni
 Obiettivo platea ampia per quota 100
 La maggioranza è in pressing per far scattare dal 2019 quota 100 (somma di età anagrafica e
 anzianità contributiva) per tutti o quanto meno per un'ampia platea di lavoratori introducendo
 alcuni paletti come il vincolo dei 64 anni di età. Il bacino definitivo dipenderà dalle effettive
 risorse disponibili. Sulla stretta alle pensioni d'oro si lavoro a correttivi, la proposta di legge
 dovrebbe assumere la fisonomia di un Ddl "collegato". La lega punta anche a interventi sugli
 assegni d'invalidità
 D
 flat tax
 Imprese e professionisti con ricavi a 100mila euro
 Il cantiere del Governo sull'introduzione della tassa piatta prevede allo stato attuale una Flat
 tax declinata su tre aliquote e riservata a imprese e professionisti che hanno avuto ricavi fino
 a 100mila euro. In pratica, il restyling dell'attuale regime forfettario per le partite Iva si
 dovrebbe articolare su tre livelli di prelievo: il 5% per le start up, il 15% per chi ha ricavi fino
 a 65mila euro e 20% per quelli fino a 100mila euro di fatturato
 E
 web tax
 Un prelievo mirato sui money transfer
 In attesa di sciogliere il nodo sul futuro della web tax varata nell'ultima legge di Bilancio che
 attende ancora il decreto attuativo e di capire le decisioni che verranno assunte a livello
 comunitario, la prossima manovra potrebbe rilanciare il tema ripartendo dall'introduzione di
 un prelievo mirato sulle transazioni che viaggiano attraverso il canale dei money transfer.
 Anche questa è una delle proposte avanzate nel vertice della Lega ieri al Viminale
 F
 pace fiscale

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 Accordi a 360 gradi con maxi rottamazione
 Nella manovra si punta a una pace fiscale a 360 gradi: dalla fase del pre-accertamento a
 quella degli accertamenti veri e propri con il rilancio del contraddittorio tra Fisco e contribuenti
 fino alle liti fiscali pendenti. E per la riscossione sarà prevista la definitiva rottamazione del
 magazzino della ex Equitalia. A completare il quadro della pace fiscale anche una terza
 versione della voluntary disclosure sul contante e le cassette di sicurezza

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 TLC
 Telecom ai minimi da 5 anni Pesano Iliad e il taglio delle stime
 L'operatore low cost verso 2 milioni di clienti, Exane taglia il target a 0,38
 Antonella Olivieri

 Pesante scivolone per il titolo Telecom a Piazza Affari che già aveva subito una continua
 erosione dai massimi di maggio. Ieri ha chiuso in calo del 5,41% a 0,525 euro, il minimo da
 cinque anni e quasi la metà rispetto al prezzo di carico di 1 euro al quale l'ha in portafoglio
 Vivendi. Gli scambi sono stati intensi (337,8 milioni di pezzi). Al contesto già di per sè incerto
 creato dalla situazione di governance irrisolta, si aggiungono il neo entrante Iliad che marcia
 verso i 2 milioni di clienti e il taglio delle stime da parte di Exane che ha ridotto il target price
 da 55 a 38 centesimi. Può sorprendere che a fronte di uno sconto sui multipli di Borsa
 dell'ordine del 25% rispetto al settore - come riconosce la stessa casa di brokeraggio di Bnp-
 Paribas - nessuno si sia fatto avanti a contrastare le vendite. Solo l'a.d. Amos Genish ha
 investito mezzo milione di euro a 0,52 per azione.
  a pag. 10
 Da inizio maggio, quando il nuovo cda Telecom si è insediato e le quotazioni, sulla spinta degli
 acquisti di Elliott e Cdp, si erano surriscaldate fino a raggiungere quota 87 centesimi, per il
 titolo in Borsa è stata un'erosione continua. Ma ieri Telecom è proprio franata in Piazza Affari,
 chiudendo in calo del 5,41% a 0,525 euro che rappresenta il minimo da cinque anni e quasi la
 metà rispetto al prezzo di carico (già svalutato) di 1 euro al quale l'ha in portafoglio il primo
 azionista Vivendi. Non c'è nulla di veramente nuovo a giustificare l'accelerazione al ribasso -
 un movimento oltretutto accompagnato da scambi intensi che hanno interessato 337,8 milioni
 di pezzi - se non che, in un contesto già di per sè incerto, da una parte il neo entrante Iliad
 marcia spedito verso i 2 milioni di clienti e dall'altra Exane ha pensato bene di abbassare le
 stime con un taglio drastico del target price da 55 a 38 centesimi.
 Può sorprendere che a fronte di uno sconto sui multipli di Borsa dell'ordine del 25% rispetto
 alla media del settore - come riconosce lo stesso report della casa di brokeraggio del gruppo
 Bnp-Paribas - nessuno si sia fatto avanti a contrastare le vendite. Se non l'ad Amos Genish
 che ieri si è comprato un milione di azioni, mettendo sul piatto di suo 523.400 euro. La verità
 è che Telecom è in una situazione irrisolta, con il cambio di governance che non ha portato
 nell'immediato i frutti sperati e tre blocchi azionari - Vivendi (23,94%), Elliott (8,8%) e Cdp
 (4,9%) - che non si parlano e non si sa bene da che parte tirino. Così chi vuole vedere il
 bicchiere mezzo pieno ha gioco facile, tanto più che l'impennata dello spread non è certo una
 buona notizia per un gruppo che ha 30 miliardi di debito.
 La tendenza dei tassi al rialzo è però lo sfondo. Ieri si sarebbero scatenate le vendite di fondi
 anglosassoni, qualcuno parla anche di nuove posizioni short. Iliad in Borsa ha fatto peggio di
 Telecom dall'inizio dell'anno - -42% la prima (ma +6,6% ieri), -27% la seconda - e ha parlato
 di «deludente performance delle vendite» nel primo semestre. Però in Italia, le sue offerte
 promozionali funzionano e a inizio agosto aveva già raggiunto 1,5 milioni di clienti. Secondo
 Equita il traguardo dei 2 milioni è a portata di mano già per metà mese. Una quota di mercato
 che è vicina al 2%, ma che costa, tant'è che, come ovvio per una start up (ha cominciato
 commercialmente a operare solo dal 29 maggio), al 30 giugno ha contabilizzato ricavi per 9
 milioni riportando un Ebitda negativo di 28 milioni, a riflettere i costi di roamig pagati a Wind-
 Tre e le spese del lancio del marchio, con una perdita netta di 31 milioni. Ma Iliad, che nel
 maturo mercato francese ha dovuto inventarsi una nuova strategia per contrastare il suo

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 primo calo di clientela (riuscendo a invertire la rotta già dai primi mesi estivi, ma senza
 evitare un profit warnig sulle indicazioni fino al 2020), ha riportato sulla telefonia mobile della
 Penisola quella pressione sui prezzi che il settore aveva sperato di archiviare con la fusione tra
 il terzo e il quarto operatore mobile. In più ha fatto capire di valutare anche l'ingresso nel
 fisso.
 Exane ha posto piuttosto l'accento sui rischi della telefonia fissa per giustificare il suo giudizio
 tranchant di "trappola del valore" per Telecom. Non solo per la concorrenza di Open Fiber che
 quest'estate si è assicurata le risorse per finanziare il suo progetto di rete in fibra, ma anche
 perchè i ritorni dell'ex incumbent tricolore nel segmento principale del suo business sono
 superiori a quelli dei principali operatori europei, mentre il successo commerciale di Iliad -
 secondo il report della casa francese - è destinato a erodere anche la fascia marginale di
 clientela del fisso, dirottandola sul traffico dati mobile.
 Che dire? C'è solo da sperare che la revisione delle stime da parte degli analisti di Exane - che
 spazia oltre il 2021 - si riveli troppo drastica. Frattanto il valore delle capitale ordinario è
 sceso sotto quota 8 miliardi: basterebbero 2 miliardi per arrivare alla soglia d'Opa del 25%.
 Intanto Tim si prepara a partecipare all'asta per il 5G (lunedì è previsto un breve cda sul
 tema), mentre il progetto di separazione della rete è appeso ai tempi dell'iter regolamentare,
 che si sono allungati con una proroga di 90 giorni dell'analisi di mercato sui servizi d'accesso
 alla rete disposta dall'Agcom lo scorso 25 luglio.
 © RIPRODUZIONE RISERVATA Antonella Olivieri DATI ECONOMICI In milioni di euro al I
 semestre 2018 A ne giugno Iliad ha registrato in Italia 635mila abbonati e ha superato la
 soglia di 1,5 milioni a inizio agosto. Secondo gli analisti di Equita poi, Iliad già nella prima
 metà di settembre potrebbe arrivare a 2 milioni di abbonati. Andamento del titolo ieri 0,544
 0,550 0,556 0,538 0,532 0,526 0,520 Apertura Chiusura , Variazione di ieri Variazione da
 inizio anno -27,13% -5,41% 0,525 Crollo in Borsa I CLIENTI IN ITALIA RICAVI GIUGNO
 AGOSTO Francia Italia Totale 2.395 9 2.404 0 800 1600 2400 894 (28) 866 0 300 600 900
 EBITDA 635.000 >1.500.000 Fonte: Dati societari Il semestre di Iliad
 PROTAGONISTI
 il ceo di telecom
 Genish al nodo del valore di Borsa
 Giù del 27% da inizio anno
 Il titolo ha perso il 27% da inizio
 anno: alle quotazioni attuali
 basterebbero 2 miliardi per portarsi alla soglia dell'Opa del 25%. Telecom è a sconto del 25%
 sui multipli di Borsa del settore e l'ad Amos Genish ha deciso
 di comprare un milione di azioni
 il fondatore di iliad
  Niel, fattore-Italia per il gruppo francese
 L'avanzata dello sfidante
 Iliad, operatore low cost francese
 lanciato nel 2012, ha concluso
 un semestre «deludente» sul fronte delle vendite. In Italia però
 le sue offerte promozionali l'hanno portato vicino a raggiungere i 2 milioni di clienti
 Foto:
 Crollo in Borsa

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/09/2018                                                          17
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 Foto:
 REUTERS
 Operatore francese. --> Un cartellone pubblicitario a Milano
 Il semestre di Iliad

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 L'ANALISI
 L'Fmi del «nuovo corso» costretto a ricorrere ai vecchi strumenti
 anti-crisi
 La differenza rispetto al passato è che gli aiuti a Buenos Aires sono stati concessi rapidamente
 Alessandro Merli

 S
 e la situazione non fosse così drammatica, verrebbe da sorridere all'affermazione del
 presidente argentino Mauricio Macri, secondo cui la crisi attuale «non può essere una crisi
 come un'altra. Deve essere l'ultima». In realtà, negli ultimi quarant'anni, i mercati emergenti,
 Argentina in primis, sono stati spesso, a ondate successive, il teatro di crisi come quella in
 corso nel Paese sudamericano e in Turchia. E non c'è niente che faccia pensare che questa
 possa essere l'ultima. Anzi, le somiglianze con gli anni Novanta, in particolare, sono evidenti:
 l'inizio di un ciclo di aumenti dei tassi d'interesse negli Stati Uniti, il rialzo del dollaro, le prime
 difficoltà di Paesi il cui debito è denominato in larga parte nella valuta Usa, qualche errore dei
 Governi, il crollo della fiducia degli investitori internazionali, la crisi conclamata. Secondo molti
 economisti, il parallelo è particolarmente significativo con il 1994, quando la Federal Reserve
 diede inizio a un ciclo di rialzi che finì per destabilizzare quasi tutti gli emergenti.
 Finora, la Turchia, il primo Paese coinvolto dalle turbolenze, e l'Argentina hanno scelto di
 rispondere in modo diametralmente opposto. Ankara sfidando l'interpretazione più
 convenzionale della crisi, evitando di prendere contromisure, Buenos Aires sposando la ricetta
 più classica del ricorso al Fondo monetario, con il brusco aumento dei tassi d'interesse e
 l'adozione di una severa austerità fiscale compresi aumenti di tasse sui settori più produttivi
 (gli esportatori agricoli). Nessuna delle due opzioni è una garanzia di successo.
 Lo shock che ha investito i Paesi emergenti ha tre fattori, secondo Otaviano Canuto, direttore
 esecutivo della Banca mondiale, in un articolo per la think tank londinese Omfif: l'ascesa del
 dollaro, la politica, i rischi sul commercio internazionale. Se il secondo fattore potrebbe colpire
 Messico e Brasile, in virtù del cambio di Governo già in vista nel primo e dopo le elezioni di
 ottobre nel secondo, e il terzo, per le tensioni Usa-Cina, potrebbe coinvolgere soprattutto i
 Paesi asiatici, Argentina e Turchia sono state travolte anzi tutto dal dollaro forte, in presenza
 di un ampio deficit delle partite correnti e di un'altissima percentuale di debito denominato in
 dollari, che le hanno rese estremamente vulnerabili al cambiamento di umore degli investitori
 globali.
 I rispettivi Governi, Ankara scegliendo una linea antagonista nei confronti della comunità
 internazionale, Buenos Aires ammorbidendo gli obiettivi di inflazione, ci hanno messo del loro.
 In attesa di scoprire le imprevedibili decisioni del Governo Erdogan, sotto i riflettori è
 soprattutto la scelta dell'Argentina di sposare la linea Fmi, tuttora considerato una bestia nera
 dall'opinione pubblica nazionale che lo accusa di aver staccato la spina nel 2001 provocando
 la peggior crisi economica di sempre. Il rialzo dei tassi d'interesse al 60% non ha avuto finora
 l'effetto sperato di bloccare la svalutazione del cambio, che a sua volta peggiorerà l'inflazione.
 Ma l'aspetto più controverso del pacchetto annunciato e poi modificato in questi giorni è la
 riduzione del deficit primario (esclusi gli interessi) dal 2,6% previsto per quest'anno a zero
 l'anno prossimo. L'1% dell'aggiustamento viene da nuove tasse sull'export, il resto da tagli a
 spese e sussidi. «È una strategia non priva di rischi - sostiene Mario Mesquita, capo
 economista della banca brasiliana Itaù - data la correlazione negativa fra l'aggiustamento dei
 conti e la popolarità del Governo in un anno elettorale».

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 In un simile contesto a rischiare è anche il Fondo monetario, che potrebbe trovarsi risucchiato
 nello stesso ruolo di principale imputato che ha avuto per decenni e dal quale ha cercato di
 districarsi negli ultimi anni, soprattutto sotto la direzione di Christine Lagarde. Se la ricetta
 appare non dissimile da quella del passato, il capo dell'Fmi ha tenuto a presentarla, alla firma
 del prestito da 50 miliardi di dollari, come frutto di un programma partorito dal Governo
 argentino e non imposto dall'istituzione di Washington e che comunque dovrà tenere presente
 «di sforzi per sostenere la parte più vulnerabile della società». È il Fondo monetario "dal volto
 umano", che recentemente ha imboccato una strada della revisione dei propri dogmi: ma, alle
 strette, dopo che il primo annuncio dell'accordo non è riuscito a calmare i mercati, si è
 ritornati a una stretta fiscale più severa, l'unica parte certa della quale, tra l'altro, è l'aumento
 delle imposte. L'impatto recessivo è molto probabile. Rispetto al passato, in questo caso l'Fmi
 si è per lo meno mosso con una rapidità un tempo impensabile e mobilizzando un importo
 superiore al previsto. Finora non è bastato.
 In questo ritorno agli anni Novanta, l'Fmi si trova nuovamente coinvolto in una crisi di tipo
 tradizionale e nella sua area classica di operazioni, i mercati emergenti, dopo aver dedicato
 l'ultimo decennio quasi esclusivamente all'Eurozona, un terreno di intervento nel quale
 secondo molti, sia nell'Europa stessa, sia fra i Paesi emergenti, non avrebbe dovuto
 avventurarsi e dove, secondo i suoi critici, ha messo a repentaglio la propria credibilità,
 accettando un ruolo di comprimario rispetto ai partner europei e quasi mai riuscendo a far
 passare la propria linea.
 Lo stesso Fmi punta ora a ritirarsi da questo scacchiere mentre la crisi dell'Argentina sarà il
 suo primo primo test del "nuovo corso", dove paradossalmente dovrà confrontarsi con il suo
 passato.
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 GLI AIUTI FMI
 50 miliardi
 Il nuovo piano per l'Argentina
 L'accordo tra Fondo e Buenos Aires per far fronte alla crisi valutaria è stato raggiunto in
 maggio, con un primo esborso di 15 miliardi in giugno. Il governo argentino ha aggiornato nel
 frattempo il suo piano di risanamento - con aumenti delle tasse e tagli alla spesa - per
 ottenere più rapidamente le tranche di aiuti. Nonostante il rapido compromesso e il buon
 dialogo tra Fmi e Argentina, i mercati finora restano scettici.
 16 miliardi
 Il vecchio piano per la Turchia
 Nel 2001-2002 la Turchia ottenne un importante pacchetto di aiuti per fronteggiare una prima
 crisi valutaria. Oggi invece il presidente turco Erdogan si oppone a un coinvolgimento diretto
 dell'Fmi nonostante il crollo della lira turca e a un aumento dei tassi d'interesse.
 Foto:
 Fmi. --> Il direttore Christine Lagarde. Il Fondo è impegnato in un piano di aiuti da 50
 miliardi di dollari nei confronti dell'Argentina. La Turchia invece si rifiuta di chiedere
 l'intervento diretto dell'Fmi

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 Il punto
 ANCHE NAVA FA LITIGARE GOVERNO E UE
 Andrea Greco

 Tra le Cose da fare dopo le ferie c'è anche il nodo della nomina di Mario Nava alla presidenza
 Consob. Tre europarlamentari M5s ieri ne hanno chiesto le dimissioni, poiché la replica dell'8
 agosto del commissario Ue Gunther Oettinger alla loro interrogazione «conferma i dubbi del
 M5s sull'irregolarità della nomina in distacco, mentre Nava avrebbe potuto essere posto in
 aspettativa» da alto funzionario Ue. A leggerla, la missiva di Mr. Bilancio e risorse umane Ue,
 (quindi capo anche del Nava distaccato) non fa che ribadire cose note: «Nel richiedere il
 distacco le autorità italiane e il governo Gentiloni confermarono che non avrebbe inciso
 sull'indipendenza di Nava in veste di presidente Consob». Distacco che «data l'importanza di
 potenziare la collaborazione con gli Stati membri», Bruxelles autorizzò di lena, in primavera.
 Che poi ciò configuri, con meno benigne interpretazioni, un commissariamento soft per il
 garante del mercato italiano, o possibili conflitti d'interesse, è altro discorso. Come pure che
 Nava nel collegio Consob abbia glissato sull'ipotesi aspettativa: la stessa chiesta a Oettinger
 da Giulia Bertezzolo, da lui scelta tra i colleghi come segretario generale Consob. Il dossier è
 sul tavolo del premier Conte.
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 W +,% Ago Ago 10 Ago 20 Ago 28 Ago S&P 500 -,% , Ago 10 Ago 20 Ago 28 Ago -, % ,
 EURO/DOLLARO 10 Ago 20 Ago 28 Ago -,% , SPREAD BTP/BUND Ago 10 Ago 20 Ago 28 Ago
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 1,18 1,17 1,16 1,15 1,14 1,13 300 280 260 240 220 200

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 Il reportage La crisi della siderurgia
 Terni ha paura acciaio in vendita e futuro a rischio
 Thyssen cede Ast, in corsa Elliott-Arvedi "Non solo Ilva, serve politica industriale"
 MARCO PATUCCHI

 D al nostro inviato , TERNI «Non è mica cioccolato, non è mica Perugia». Claudio Cipolla ha
 parcheggiato l'auto al bordo della collina affacciata sulla fabbrica e indica i comignoli
 dell'acciaieria che fumano lenti.
   Più in là, subito a ridosso dello stabilimento, Terni si perde nel verde. Un'altra città
 dell'acciaio che guarda con paura al futuro.
  Come la Taranto dell'Ilva, come la Piombino di Jindal, come la Trieste della Ferriera Arvedi.
   «Mio nonno lavorava nell'acciaieria. Dopo è entrato papà, ha costruito le condotte che
 portano l'acqua dalla cascata delle Marmore. Poi è toccato a me. Conosco ogni angolo della
 fabbrica e so quanto vale per tutti noi, per tutta la comunità. Vorrei che lo capisse anche il
 governo con una vera politica industriale», racconta Claudio che è stato assunto dall'Acciai
 speciali Terni quando aveva vent'anni e oggi, quarantenne, guida la Fiom provinciale. La
 sottile angoscia dei 2400 operai di Ast (e dei 1000 dell'indotto) è diversa da quella che si vive
 a Taranto: qui a Terni l'azienda fa utili (quasi 90 milioni nel 2017), l'impatto ambientale è
 ridotto («Si è investito tanto contro l'inquinamento - spiega Cipolla l'unico vero problema è la
 discarica») e l'occupazione non è apparentemente in discussione.
  Ma la fabbrica è in vendita e sui possibili acquirenti c'è grandissima incertezza. Si teme anche
 la cessione a pezzi. Una beffa per il gioiello della siderurgia italiana, e una minaccia per un
 territorio che durante la lunga recessione ha perso nel solo settore metalmeccanico il 25% dei
 posti di lavoro (oggi sono circa 7500, con la presenza di 17 multinazionali). Più la crisi della
 chimica, l'altra vocazione manifatturiera locale.
   In Europa ci sono solo tre produttori di acciaio inox e uno di questi è Ast (la Acelors di
 ArcelorMittal e la Outokumptu gli altri due). A Terni fino a qualche anno fa si sfornavano
 anche titano e acciaio magnetico, altri prodotti d'élite.
  Fiore all'occhiello dell'industria nazionale non a caso finito, dopo l'epopea delle partecipazioni
 statali, nel gigante ThyssenKrupp. Una gestione lacrime e sangue (e non è solo una metafora
 pensando alla tragedia della Thyssen di Torino) che ha tagliato alcune produzioni (titano e
 magnetico, appunto) ma almeno ha risanato i conti. Dopo la fusione con Tata, però, Ast è
 finita fuori dal core business del gruppo indoeuropeo e dunque in vendita. Un gioiello che
 potrà continuare a brillare solo se resterà nelle mani di un altro gigante mondiale, magari
 asiatico. Viceversa, rischierebbe di trasformarsi in una sorta di "boutique siderurgica" senza
 futuro. «Sarebbe un affare o per chi è già nel settore degli speciali o ne è utilizzatore»,
 ragiona Carlo Mapelli del Politecnico di Milano. Ecco perché non convince più di tanto
 l'interessamento del tandem guidato dal fondo americano Elliott e dalla Arvedi (mentore l'ex
 ad di Ast Lucia Morselli, la manager dei tagli, certo non amatissima da queste parti). E
 preoccupa anche il possibile ritardo della vendita visto l'incrocio con le prossime elezioni
 europee e con il voto regionale in Umbria: «È ora che il governo sancisca la strategicità
 dell'acciaio per il Paese, all'Ilva come a Terni», dice Fabio Paparelli, assessore alla Sviluppo
 economico della Regione (Pd).
  «Per la Lega la siderurgia italiana va tutelata», gli fa eco Leonardo Latini, il sindaco che ha
 conquistato Terni, storica roccaforte rossa. Un segnale leghista che il vicepremier Luigi Di
 Maio dovrebbe cogliere in vista del tavolo sull'Ilva che riapre oggi, ma anche

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 dell'appuntamento del 18 settembre quando al Mise si riuniranno governo, sindacati e
 Thyssen. In Italia nel 2017 sono state consumate 1,4 tonnellate di acciaio inox, ma di queste
 solo 300mila prodotte da Ast. È il paradossale paradigma della siderurgia italiana che incontri
 anche all'Ilva, con una produzione di piani che non riesce a soddisfare la domanda nazionale,
 o a Piombino dove si è rischiato di interrompere la fornitura di rotaie alle Ferrovie dello Stato.
 È logico che un Paese industrializzato debba soddisfare gran parte del proprio fabbisogno di
 acciaio comprandolo all'estero? Tocca a Di Maio rispondere . E senza ulteriori ritardi.
 Foto: GETTYIMAGES
 Foto: La fabbrica Nella foto sopra uno degli ingressi dell'azienda siderurgica Acciai speciali
 Terni.
  A sinistra, Lucia Morselli ex amministratore delegato della Ast

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 La partita economica LA GIORNATA
 Deficit, la frenata della Lega avviso a M5S: ora la Fornero
 Il vertice del Carroccio sulla legge di bilancio Salvini: «Rispetteremo le regole come i vincoli»
 Indebitamento al 2 % ma subito le pensioni Lo spread cala. Di Maio: «Priorità al Reddito» LA
 FLAT TAX E LA RIDUZIONE DELLE ACCISE DIVENTANO UN PROGETTO DI LEGISLATURA
 Andrea Bassi Marco Conti

 R O M A La parola chiave pronunciata da Matteo Salvini dopo il vertice con gli uomini della
 Lega coinvolti in prima persona nella stesura della prossima legge di Bilancio è «arco della
 legislatura». Le costose promesse elettorali saranno spalmate sui prossimi tre anni, non
 cinque, perché questo è l'orizzonte del bilancio pubblico. Una secchiata di acqua ghiacciata
 gettata dal leader della Lega sul fuoco che negli ultimi giorni ha incendiato i mercati e fatto
 balzare lo spread. Frutto anche dell'incontro che lo stesso Salvini ha avuto il giorno prima con
 il ministro dell'Economia Giovanni Tria. Anche il punto dove il leader della Lega ha posizionato
 ieri l'asticella del deficit per il prossimo anno continua a scendere. Lo sfondamento del 3% è
 stato archiviato. Ma se nei giorni scorsi Salvini si era comunque detto pronto a «sfiorare
 delicatamente» il limite di Maastricht, secondo chi ha partecipato alla riunione di ieri, il leader
 ora si "accontenterebbe" di un deficit di poco superiore al 2%. La cifra, insomma, inizia a
 convergere con quella alla quale starebbe lavorando il ministro dell'Economia, che, invece,
 punterebbe ancora a stare attorno, meglio se sotto, il 2%. Se il messaggio era rivolto ai
 mercati, lo hanno recepito. Le notizie che sono arrivate dal vertice al Viminale, sono state
 accolte positivamente, e lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi è sceso a 266
 punti. Il cambio di rotta di Salvini va interpretato probabilmente, proprio alla luce della
 reazione dei mercati. Il leader della Lega si è reso conto che le esternazioni sue e dei
 principali esponenti del suo partito, sono quelle che davvero muovono il differenziale. Più dei
 Cinque Stelle. Ieri, per esempio, Luigi Di Maio, ha di nuovo rilanciato sul reddito di
 cittadinanza, dicendo che per il M5S è «la priorità», ma lo spread è sceso comunque. LE
 SCHERMAGLIE Schermaglie. Una risposta al vertice della Lega. Anche perché la decisione dei
 leghisti di non andare più all'attacco di Bruxelles costringe in un angolo il Movimento. Di Maio
 aveva preannunciato un «autunno caldo». Dopo l'agenda sui migranti dettata da Salvini,
 sperava di poter prendere finalmente in mano il pallino rilanciando le battaglie economiche dei
 Cinque Stelle. Ora rischia di restare solo con il cerino in mano. In realtà Salvini fa un passo
 importante verso lo stesso Di Maio, mettendo nel congelatore tutte le grandi opere, da
 sempre avversate dai Cinque Stelle, e sposando l'idea lanciata dagli stessi grillini di un
 «grande piano nazionale di manutenzione ordinaria e straordinaria». Questo anche perché il
 leader del Carroccio non ha nessuna intenzione di rompere con l'alleato. Anzi. Il suo interesse
 a questo punto, è che il matrimonio duri. Cosa resta e in che tempi, allora, della flat tax, della
 riforma della Fornero, della riduzione delle accise sulla benzina e di tutte le altre promesse
 della Lega? Il Carroccio, come ha confermato ieri lo stesso Salvini, le porterà avanti tutte.
 Prima la riforma della Fornero con quota 100, che sarà la principale proposta leghista per la
 manovra. Il resto con gradualità e tenendo conto delle risorse disponibili. La flat tax partirà
 dalle partite Iva, per le quali sarà allargato il regime forfettario con il prelievo al 15%.
 Probabilmente la soglia di fatturato per aderire sarà più bassa dei 100 mila euro. Poi, nel
 prossimo triennio, si passerà all'imposta sulle persone. L'incontro di ieri è stato un primo
 appuntamento. Ce ne sarà uno la prossima settimana e domani è atteso un vertice di Conte
 con i suoi vice e il ministro Tria. Una volta deciso cosa portare avanti, il pacchetto delle
 proposte leghiste sarà sottoposto al vaglio del ministro dell'Economia che da ieri è anche alle
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