CONFIMI 15 dicembre 2017 - Confimi Industria Basilicata

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CONFIMI
   15 dicembre 2017

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INDICE

CONFIMI
  15/12/2017 Corriere di Verona - Nazionale                              5
  Apindustria: «Crisi, fuori dal tunnel ma marmo ed edilizia soffrono»

  15/12/2017 L'Arena di Verona                                           6
  Le pmi di Apindustria ritornano ad assumere

  15/12/2017 L'Arena di Verona                                           7
  Lorenzo Bossi subentra a Veronesi

  15/12/2017 Cronaca di Verona                                           8
  LAVORO, UN ANNO A FIANCO DELLE AZIENDE

  15/12/2017 Cronaca di Verona                                           9
  LORENZO BOSSI UN COMMERCIALISTA ALLA DIREZIONE

CONFIMI WEB
  14/12/2017 La Cronaca di Verona.com 18:16                              11
  LAVORO, UN ANNO A FIANCO DELLE AZIENDE

SCENARIO ECONOMIA
  15/12/2017 Corriere della Sera - Nazionale                             13
  Il pranzo e la fusione che salta

  15/12/2017 Corriere della Sera - Nazionale                             16
  LE BOLLE FINANZIARIE DELLA RETE IDEOLOGIA DEL NOSTRO TEMPO

  15/12/2017 Corriere della Sera - Nazionale                             17
  Amazon fa la pace con il Fisco Pronta a versare oltre 100 milioni

  15/12/2017 Corriere della Sera - Nazionale                             19
  Luxottica, la fusione con Essilor più vicina al sì dell'Antitrust Ue

  15/12/2017 Corriere della Sera - Nazionale                             20
  L'acciaio di Terni torna all'utile (ma il riassetto non è finito)

  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                              21
  Murdoch cede e Disney rileva studios e pay tv
15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            23
  Perché diciamo no alla moneta parallela

  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            25
  A Verona il maxi hub dell'e-commerce di Zalando

  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            26
  Derivati «di Stato» per migliorare i conti ma il deficit-Pil alla fine è aumentato

  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            28
  Bce: ripresa robusta ma c'è bisogno del Qe

  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            30
  Svizzera-Italia, previsto un contenzioso tributario di massa

  15/12/2017 La Repubblica - Nazionale                                                 31
  Vegas: "Mi parlò di Etruria" Boschi assediata ma resiste

  15/12/2017 La Repubblica - Nazionale                                                 33
  "Nessun conflitto d'interessi, mi usano per coprire i veri scandali bancari"

  15/12/2017 La Stampa - Nazionale                                                     35
  Sorpresa: le Province assumono

  15/12/2017 Il Messaggero - Nazionale                                                 36
  Il Tesoro: bonus mamme a tutte Pensioni, ok ai 67 anni dal 2019

SCENARIO PMI
  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            38
  Il modello Pmi per la musica di Cremonini

  15/12/2017 Il Sole 24 Ore                                                            40
  Nel 2017 cinque accordi con Bei: 2 miliardi a imprese

  15/12/2017 La Repubblica - Nazionale                                                 41
  L'Ice arruola Yoox per aiutare i piccoli a esportare

  15/12/2017 MF - Nazionale                                                            42
  Tandem Intesa Sanpaolo-Bei per sostenere pmi e mid cap italiane

  15/12/2017 ItaliaOggi                                                                43
  Boom dell'export con +9%
CONFIMI

5 articoli
15/12/2017
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 Il bilancio
 Apindustria : «Crisi, fuori dal tunnel ma marmo ed edilizia soffrono»

 VERONA «Dopo un lungo periodo di crisi finalmente possiamo dire che l'economia si sta riprendendo». È
 quanto ha affermato detto il presidente di Apindustria Verona, Renato Della Bella, in occasione del bilancio
 annuale. «La situazione - ha spiegato - non è omogenea in tutti i settori, tuttavia possiamo dire con
 soddisfazione che la meccanica, che rappresenta il cuore delle nostre imprese associate, ha ripreso a
 tirare. Bene anche il comparto grafica ed il legno, con un'importante quota di export che complessivamente
 tra i nostri associati arriva a circa il 35%. Mentre sull'alimentare non c'è nulla da aggiungere perché è
 storicamente il settore che ha saputo cavalcare meglio di ogni altro la crisi. Rallenta, invece, dopo segnali
 positivi, il settore del marmo, mentre l'edilizia continua a scontare un lungo periodo negativo». In provincia,
 Apindustria, riunisce 751 piccole e medie aziende per un fatturato di 5 miliardi.

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 ASSOCIAZIONI. Bilancio 2017 positivo per l'associazione presieduta da Renato Della Bella
 Le pmi di Apindustria ritornano ad assumere
 Sono stati 540 i nuovi addetti assorbiti nell'anno da 160 aziende Export, gestione del credito e formazione i
 temi caldi del 2018

 Sta andando in soffitta un anno all'insegna della ripresa per le Pmi di Apindustria Verona. Lo certificano il
 numero di assunzioni effettuate dal campione di 160 aziende seguite nella gestione del personale, che in
 12 mesi hanno assorbito 540 nuovi addetti, il sostanziale azzeramento delle ore di cig richieste e le esigue
 procedure di mobilità aperte - solo due - dallo stock di 751 imprese associate.«Le realtà della
 metalmeccanica che costituiscono quasi il 45% delle iscritte ad Apindustria ha registrato gli incrementi di
 ordinativi più consistenti, in arrivo soprattutto dall'estero. Le aziende del grafico-cartario e del legno si sono
 stabilizzate: per chi ha superato la crisi ci sono gli elementi per ripartire», ha analizzato il presidente Renato
 Della Bella, che insieme alla vicepresidente (alla guida anche di Apidonne) Marina Scavini, al presidente
 Apigiovani, Daniele Maccari e al componente di Giunta, Giorgio Martini, hanno tracciato ieri il bilancio
 2017.«Meno brillanti invece i risultati del marmo-lapideo, che risente dello stallo in cui versa l'edilizia e il
 tessile abbigliamento che segue una parabola altalenante», ha aggiunto della Bella. «Per agganciare le
 opportunità offerte dalla domanda crescente di made in Italy dall'estero, verso cui è orientato oltre il 40%
 della produzione delle associate, Api ha rafforzato il servizio di consulenza all'export, ha svolto formazione
 gestionale e fiscale e aperto uno sportello di consulenza sul piano Industria 4.0 per segnalare i tipi di
 investimenti finanziabili», ha proseguito Della Bella. È urgente anche riallacciare il dialogo che negli anni
 della crisi si è logorato con il sistema bancario. «Serve che i colleghi imprenditori diventino più consapevoli
 della situazione finanziaria della loro aziende e ricevano formazione sulla gestione della loro tesoreria, un
 servizio che stiamo perfezionando», ha sottolineato, «La ripresa però ci fa fare velocemente i conti con due
 problemi: entro i prossimi cinque anni le nostre associate dovranno affrontare un massiccio ricambio
 generazionale, che occorre saper gestire. Nell'immediato preoccupa la mancanza o indisponibilità di
 personale qualificato da impiegare nelle aziende che hanno ripreso ad assumere», ha evidenziato
 Martini.«Con il progetto Api Factory visitiamo le scuole e cerchiamo di coinvolgere gli studenti che saranno i
 nostri collaboratori di domani, ma ci accorgiamo dello scollamento ancora fortissimo tra mondo del lavoro e
 della scuola, tra aspirazioni e sbocchi che concretamente possono essere offerti», fa notare Maccari. «Non
 dobbiamo stancarci di dialogare con il mondo della scuola e della formazione. La difficoltà a integrare i
 nostri organici non è solo tecnica, ma anche di approccio al lavoro: non si può entrare in azienda pensando
 di partire da posizioni di vertice», osserva Scavini. Oltre che con la scuola resta aperto il confronto con le
 amministrazioni comunali e le altre associazioni di categoria su cui Della Bella si propone di elaborare e
 condividere progetti comuni. Va.Za.© RIPRODUZIONE RISERVATA© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONFIMI - Rassegna Stampa 15/12/2017 - 15/12/2017                                                                     6
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 Lorenzo Bossi subentra a Veronesi

 Il 2018 porterà diverse novità in Apindustria. La prima, il cambio della guardia nella direzione
 dell'associazione di categoria. Luciano Veronesi, al timone tecnico dell'associazione dal 2003 e profondo
 conoscitore del tessuto delle Pmi scaligere, lascerà il posto a Lorenzo Bossi, 48 anni, responsabile dell'
 ufficio fiscale di Apindustria e dottore commercialista. Il passaggio di consegne, ufficializzato ieri, sarà
 formalizzato l'1 gennaio. «Ringraziamo Veronesi per il lavoro prezioso che ha svolto in questi anni in
 associazione», ha detto Renato Della Bella.Diverse anche le iniziative programmate ed orientate
 soprattutto al sostegno delle piccole imprese alle prese con l'internazionalizzazione. «Pensiamo a un
 rafforzamento ulteriore dei servizi di orientamento e supporto all'export», ha spiegato Della Bella. «Al di là
 della gestione delle pratiche doganali, faremo formazione offrendo un analisi dei mercati di sbocco per le
 produzioni delle associate e programmando missioni pensate sulle esigenze delle Pmi, come la
 partecipazione a fiere, incontri mirati, b2b», ha aggiunto. Obiettivo, continuare a far crescere il numero di
 associati che nel 2017 è tornato al saldo positivo. Va.Za.© RIPRODUZIONE RISERVATA©
 RIPRODUZIONE RISERVATA

CONFIMI - Rassegna Stampa 15/12/2017 - 15/12/2017                                                                  7
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 L'INCONTRO DI APINDUSTRIA CONFIMI
 LAVORO, UN ANNO A FIANCO DELLE AZIENDE
 Il presidente Renato Della Bella traccia il bilancio trascorso e delinea le strategie future delle PMI scaligere.
 Presentato inoltre il nuovo direttore Lorenzo Bossi

 Tempo di bilancio per Apindustria Confimi Verona, Associazione delle PMI fondata nel 1962 con la finalità
 di rappresentare, tutelare e sostenere le piccole e medie Imprese di Verona, è una delle realtà più
 dinamiche e rappresentative dell'economia scaligera e dell'intero Nordest. Durante la conferenza stampa è
 stato presentato il nuovo direttore Lorenzo Bossi ; bolzanino classe '69, Dottore commercialista-revisore
 contabile il quale collabora con Apindustria dal 2003. Al suo fianco anche il presidente Renato Della Bella ,
 il presidente di Apidonne Marina Scavini e di Apigiovani Daniele Maccari per chiudere il cerchio anche il
 vicepresidente e presidente del distretto di Legnago Claudio Cioetto. L'associazione conta ventinove
 dipendenti e settecentocinquantuno aziende associate. Apindustria Confimi Verona accompagna lo
 sviluppo delle imprese fornendo indicazioni e promuovendo istanze di politica economica a livello
 nazionale, regionale e locali; aderisce inoltre a Confimi Industria, la Confederazione Italiana delle Imprese
 Manufatturiere. Ogni giorno lavora al fianco delle imprese associate, svolgendo attività di sindacato verso
 gli enti e le amministrazioni pubbliche, statali e territoriali, e altri soggetti impegnati nelle relazioni politiche,
 economiche, industriali e sociali. Un team di professionisti è impegnato quotidianamente in consulenze
 telefoniche o personali dall'ambito legale a quello finanziario-commerciale.
 Foto: La conferenza stampa di fine anno. Sopra Renato Della Bella

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 CHI È
 LORENZO BOSSI UN COMMERCIALISTA ALLA DIREZIONE

 Nasce a Bolzano il 14 luglio del 1969. Maturità classica ma si laurea successivamente in economia
 aziendale. Non contento punta al secondo titolo prima triennale e poi specialistico in psicologia sociale e
 della comunicazione. Le prime espe rienze lavorative le svolge dal 1993 al 1999 nello studio associato
 Battain-Pichler-Mog gio della sua città natale. Nel nuovo millennio collabora con KPMG a Verona per un
 anno e poi nello studio Micheloni e associati. Dal 2003 ad oggi è impegnato tra Apindustria e convegni in
 materia fiscale, societaria e aziendale.
 Foto: Lorenzo Bossi

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CONFIMI WEB

1 articolo
14/12/2017 18:16
Sito Web                                   La Cronaca di Verona.com

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  LAVORO, UN ANNO A FIANCO DELLE AZIENDE

  LAVORO, UN ANNO A FIANCO DELLE AZIENDE Il presidente Renato Della Bella traccia il bilancio
  trascorso e delinea le strategie future delle PMI scaligere. Presentato inoltre il nuovo direttore Lorenzo
  Bossi Di Cronaca di Verona - 14 dicembre 2017 Tempo di bilancio per Apindustria Confimi Verona,
  Associazione delle PMI fondata nel 1962 con la finalità di rappresentare, tutelare e sostenere le piccole e
  medie Imprese di Verona, è una delle realtà più dinamiche e rappresentative dell'economia scaligera e
  dell'intero Nordest. Durante la conferenza stampa è stato presentato il nuovo direttore Lorenzo Bossi;
  bolzanino classe '69, Dottore commercialista-revisore contabile il quale collabora con Apindustria dal 2003.
  Al suo fianco anche il presidente Renato Della Bella, il presidente di Apidonne Marina Scavini e di
  Apigiovani Daniele Maccari per chiudere il cerchio anche il vicepresidente e presidente del distretto di
  Legnago Claudio Cioetto. L'associazione conta ventinove dipendenti e settecentocinquantuno aziende
  associate. Apindustria Confimi Verona accompagna lo sviluppo delle imprese fornendo indicazioni e
  promuovendo istanze di politica economica a livello nazionale, regionale e locali; aderisce inoltre a Confimi
  Industria, la Confederazione Italiana delle Imprese Manufatturiere. Ogni giorno lavora al fianco delle
  imprese associate, svolgendo attività di sindacato verso gli enti e le amministrazioni pubbliche, statali e
  territoriali, e altri soggetti impegnati nelle relazioni politiche, economiche, industriali e sociali. Un team di
  professionisti è impegnato quotidianamente in consulenze telefoniche o personali dall'ambito legale a
  quello finanziario-commerciale.

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SCENARIO ECONOMIA

15 articoli
15/12/2017                                                                                                diffusione:231083
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 le carte, le date
 Il pranzo e la fusione che salta
 Fiorenza Sarzanini

 R esoconti e lettere riservate: le carte depositate presso la commissione parlamentare rivelano che gli
 interventi di Boschi su Etruria avvengono quando la trattativa fra i due istituti di credito è in pieno
 svolgimento. a pagina 5
  ROMA L ettere riservate, resoconti di riunioni, verbali del consiglio di amministrazione: sono le carte
 depositate presso la commissione parlamentare Banche a rivelare che gli interventi dell'allora ministra per
 le Riforme Maria Elena Boschi, «preoccupata per la possibile fusione tra Banca Etruria e Popolare di
 Vicenza», avvengono quando la trattativa tra i due istituti di credito è in pieno svolgimento. Mentre Boschi
 parte per Milano e va a pranzo con il presidente di Consob Giuseppe Vegas, Bankitalia cerca una soluzione
 per fare fronte alla disastrosa situazione patrimoniale dell'istituto di credito di Arezzo. E per questo mette
 intorno allo stesso tavolo di palazzo Koch i rappresentanti delle due banche, compreso Pier Luigi Boschi
 che all'epoca era da poco diventato vicepresidente. Sforzo inutile: il tentativo non va a buon fine perché è
 proprio il vertice di Etruria a bocciare la proposta di PopVicenza. Neanche un anno dopo, travolto da un
 buco miliardario, l'istituto aretino viene commissariato.
  L'accordo di aprile
 Il 3 dicembre 2013 il governatore di Bankitalia Ignazio Visco manda una lettera al presidente del cda di
 Etruria Giuseppe Fornasari e «dispone la convocazione del cda entro 10 giorni dal ricevimento della
 missiva con all'ordine del giorno l'integrazione della Popolare in un gruppo di adeguato standing in grado di
 apportare le necessarie risorse patrimoniali, manageriali e professionali». I vertici della banca individuano in
 Rothschild e Lazard gli advisor «per il supporto» nella ricerca. Di 27 gruppi contattati solo due si fanno
 avanti. Uno è PopVicenza. Il 18 marzo 2014 il presidente Gianni Zonin annuncia pubblicamente la
 presentazione di un'offerta. Che cosa accade dopo è svelato nel verbale del cda di Etruria del 6 giugno
 2014 che ricostruisce l'intera vicenda.
 Un «accordo di processo» tra le due banche viene stipulato il 12 aprile 2014. Pochi giorni dopo «le parti
 avviano un approfondimento congiunto avente ad oggetto, in particolare, la realizzazione di un'operazione
 di integrazione alla pari tra banche popolari prendendo in considerazione la possibilità di procedere ad una
 fusione tra i due istituti di credito». Proprio in quei giorni Boschi vede Vegas. Secondo alcune indiscrezioni
 è Denis Verdini a fare da tramite per organizzare il pranzo milanese. Parlano della fusione e Vegas spiega
 «che non è argomento di sua competenza».
  La bocciatura di giugno
 Il negoziato intanto procede. Il 15 maggio «la prospettiva di fusione viene discussa dai rispettivi advisor in
 una riunione nell'ambito della quale sono state vagliate le possibili linee guida dell'operazione». Il 28
 maggio PopVicenza formula l'offerta che «prevede un'acquisizione per cassa di Etruria da realizzarsi a
 mezzo di offerta pubblica di acquisto e mediante trasformazione della banca in società per azione». Due
 giorni dopo si riunisce il cda di Etruria per valutare l'iniziativa e la ritiene «in netta discontinuità rispetto alle
 ipotesi di lavoro sinora considerate nell'ambito della trattativa condotta tra le parti».
 È l'inizio della fine. Il 5 giugno c'è un incontro informale nella sede di Bankitalia dove i rappresentanti di
 Etruria spiegano che le condizioni di PopVicenza non possono essere accettate. Undici giorni dopo questa
 posizione diventa ufficiale. In un «appunto per il direttorio» datato 18 giugno 2014, il capo della Vigilanza
 Carmelo Barbagallo spiega che «il 16 giugno 2014 durante un incontro richiesto con urgenza dal presidente
 di Etruria per aggiornare la Vigilanza sullo stato delle trattative» Rosi ha spiegato che «l'Opa per cassa su
 almeno il 90 per cento del capitale non può essere accolta in quanto sarebbe bocciata dall'assemblea dei

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 soci». La conclusione di Barbagallo è secca: «C'è la sensazione che all'interno del cda di Etruria sussista
 una spaccatura tra i favorevoli a un'aggregazione in tempi brevi e chi vuole preservare l'autonomia con
 questa seconda linea che sta prevalendo». È così: la seconda linea vince e la fusione salta, proprio come
 voleva la ministra Boschi.
  fsarzanini@corriere.it
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  Roberto Rossi
 Il procuratore di Arezzo, 58 anni, non ha riferito dell'indagine a carico di Pier Luigi Boschi
  Carmelo Barbagallo
 Il capo della Vigilanza della Banca d'Italia, 61 anni, ha difeso l'operato di Palazzo Koch
  Gianni Zonin
 L'ex presidente della Popolare di Vicenza, 79 anni, ha detto di aver perso anche lui dei soldi
  Ignazio Visco
 Il governatore di Bankitalia,
 68 anni, sarà ascoltato in Commissione martedì prossimo
  Federico Ghizzoni
 L'ex amministratore delegato di Unicredit, 62 anni, sarà ascoltato mercoledì prossimo
 40 i componenti
 della Commissione parlamentare bicamerale di inchiesta sul sistema bancario
 e finanziario:
 20 deputati
 e 20 senatori
 27 settembre
 È la data di insediamento della Commissione d'inchiesta sulle banche, che scadrà
 con il termine di questa XVII legislatura
 Foto:
 Il testo del verbale
 del cda di Banca Etruria
 del 6 giugno 2014
 Il documento ricostruisce
 la trattativa
 con la Banca Popolare
 di Vicenza
 per una ipotetica fusione tra
 i due istituti
 e gli atti compiuti
 dai vertici dell'Istituto
 di Arezzo
 per valutare l'offerta giunta
 dal Veneto
 Il testo del verbale
 del cda di Banca Etruria
 del 6 giugno 2014
 Il documento ricostruisce
 la trattativa

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 con la Banca Popolare
 di Vicenza
 per una ipotetica fusione tra
 i due istituti
 e gli atti compiuti
 dai vertici dell'Istituto
 di Arezzo
 per valutare l'offerta giunta
 dal Veneto

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 Risponde Aldo Cazzullo
 LE BOLLE FINANZIARIE DELLA RETE IDEOLOGIA DEL NOSTRO TEMPO
 Leonardo Di Sabatino

 Caro Aldo,
 I bitcoin bisognava comprarli anni fa, come feci io, dopo un'attenta analisi. Li comprai a 260 e li ho rivenduti
 a 4.000 euro su local bitcoin in 10 minuti. Se li avessi tenuti, ora sarei ricco.
 Poiché ogni versamento sul mio conto corrente può essere oggetto di contestazioni e accertamenti tributari,
 i miei movimenti sono regolati in bitcoin ed ethereum.
  Felice Caspursi
 Il mondo non ha del tutto metabolizzato la crisi del 2007-2008 e già si avvicina un nuovo cataclisma che, a
 fronte di enormi guadagni per pochi speculatori, coinvolgerà le vite di miliardi di cittadini comuni. L'inghippo
 si chiama «criptovaluta».
  Mauro Chiostri
  Cari lettori,
 H o ricevuto molte lettere in difesa del bitcoin. In rete è nata una discussione, leggo di giornalisti che si
 battono in difesa del nuovo vitello d'oro: la moneta della rete. Del resto la rete è la nuova ideologia, se non
 la nuova religione. Tutto quello che viene dalla rete è buono e giusto, o almeno smart e cool. Leggo
 sintetizzata sul sito «Anteprima» di Giorgio Dell'Arti la storia di Federico Pecoraro, 33 anni, di Bordighera,
 laureando in Scienze motorie, che nel 2013 decise di comprare bitcoin («centinaia», sorride) e di farne
 un'impresa, Robocoin. Veri bancomat per acquistare o vendere criptovalute: «Il primo mi è costato 18 mila
 euro, mia mamma mi ha dato del pazzo. Nessuno dei miei amici ha accettato di investire, oggi dicono che
 non ho fatto abbastanza per convincerli». Ora capitalizza 300 miliardi, +1000%. Chi è? Un imprenditore?
 Ma no, gli imprenditori danno lavoro a migliaia di persone, e infatti vengono spesso additati come sfruttatori
 e affamatori del popolo, la burocrazia salta loro addosso e si fa trainare come soma sul groppone, il Fisco li
 attende al varco. Il bitcoin esclude simili problemi. Oggi i soldi si fanno con altri soldi, meglio se elettronici.
 Nel meraviglioso mondo del bitcoin si diventa ricchi senza bisogno di lavoro e lavoratori. È una bolla
 destinata come tutte le bolle a sgonfiarsi? Poco male, tra poco se ne gonfierà un'altra. Va bene,
 applaudiamo, esultiamo; però così perdiamo il diritto di lamentarci se i nostri figli il lavoro non lo trovano e a
 volte neppure lo cercano.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere
 della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579 lettere@corriere.it letterealdocazzullo
 @corriere.it Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 15/12/2017 - 15/12/2017                                                           16
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 Amazon fa la pace con il Fisco Pronta a versare oltre 100 milioni
 La Procura di Milano potrebbe archiviare l'inchiesta penale sul gruppo di Bezos
 Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

 MILANO L'erario incassa un altro corposo assegno da uno dei principali giganti del web. Dopo Apple e
 Google, anche Amazon sta per aderire in tempi stretti all'accertamento dell'Agenzia delle Entrate e verserà
 poco più di cento milioni di euro come diretta conseguenza dell'inchiesta per evasione fiscale avviata dalla
 Procura della Repubblica di Milano.
 La firma dell'adesione da parte del gigante dell' ecommerce è vicinissima dopo che i dettagli
 dell'operazione sono stati definiti tra i funzionari dell'Agenzia, Angela Calcò e Aldo Polito, e i tributaristi di
 Amazon, Gugliemo Maisto e Marco Cerrato. Il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano
 aveva accertato l'esistenza di una «stabile organizzazione» che avrebbe operato in maniera occulta
 generando redditi sui quali non avrebbe pagato le tasse nel periodo che va dal 2011 a parte del 2015 e
 trasferendo gli introiti, sotto forma di costi per servizi, alla casa madre con sede in Lussemburgo, paese in
 cui la tassazione è più favorevole alle imprese, invece di pagare le tasse in Italia dove i redditi erano stati
 realizzati.
 Nel caso di Amazon, però, la difesa ha sostenuto che nel periodo sotto indagine la società aveva avuto in
 Italia solo un ufficio molto ridotto, non certo una stabile organizzazione, e che gli introiti, in termini di margini
 (la società di Jeff Bezos incassa l'1% del prezzo di vendita degli articoli) e di collocamento degli avvisi
 pubblicitari, sarebbero stati generati dalla struttura organizzativa lussemburghese. Nello stesso periodo,
 Amazon ha sviluppato in Italia un volume di affari contenuto che è vertiginosamente aumentato solo dopo
 che nel 2015 è stata aperta la sede di Castel San Giovanni (Piacenza) che, ha fatto notare più volte il
 gruppo, attualmente garantisce «una forza lavoro a tempo indeterminato di oltre 2.000 dipendenti».
 La società quando cominciò l'attività in Italia nel 2011 si rivolse all'Agenzia delle Entrate con una richiesta
 formale (Apa) per delineare quale organizzazione dovesse essere adottata in modo da non violare la
 normativa sulla materia. Il Fisco fece le sue verifiche due anni dopo al termine delle quali ritenne di rilevare
 una situazione diversa da quella che era rappresentata contestando l'esistenza di una «stabile
 organizzazione». Ma quell'azione «virtuosa» della società potrebbe comunque giocare a favore, così come
 la realizzazione della sede emiliana.
 A differenza di altri colossi del web, che hanno patteggiato la pena con la Procura guidata da Francesco
 Greco pagando cifre più considerevoli (Google 306 milioni per le inserzioni su YouTube tra il 2009 e il 2013,
 Apple 318 per i redditi 2008-2013), il colosso di Seattle potrebbe evitare di finire di fronte a un giudice. La
 palla passa al legale che segue la vicenda penale, l'avvocato Marco Calleri. Assiste l'unico indagato, uno
 dei vertici lussemburghesi, e potrebbe chiedere al pm Adriano Scudieri di archiviare il fascicolo.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 1 per cento
 È quanto incassa Amazon
  dal prezzo
 di vendita
 degli articoli. L'accordo
 con il Fisco arriva dopo un'inchiesta per evasione
 2000 i dipendenti
 a tempo indeterminato di Amazon nella sede aperta
 nel 2015

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 15/12/2017 - 15/12/2017                                                             17
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 a Castel San Giovanni, Piacenza
 Foto:
 Jeff Bezos, 53 anni, fondatore di Amazon

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 Luxottica, la fusione con Essilor più vicina al sì dell'Antitrust Ue
 L'ok senza condizioni all'operazione tra i numeri uno di lenti e montature
 Daniela Polizzi

 Luxottica festeggia a Piazza Affari sulla scia delle indiscrezioni in provenienza da Bruxelles che parlano di
 un imminente via libera - senza condizioni - al matrimonio con il gruppo francese Essilor. Il mercato sembra
 averci creduto e ha mandato in rally il titolo Luxottica che ha chiuso in rialzo dello 0,59% a 50,7 euro in una
 giornata di ribassi, con l'indice FtseMib arretrato dello 0,93%. A Parigi gli investitori hanno risposto con
 uguale ottimismo comprando anche i titoli della candidata sposa Essilor, cresciuta dello 0,3% al listino, in
 vista di un'aggregazione che creerebbe un campione da 48 miliardi di euro di capitalizzazione e ricavi
 aggregati sopra i 15 miliardi.
 Se il via libera dell'Antitrust arrivasse a breve - e non ponesse condizioni sulla cessione di asset - per
 Leonardo Del Vecchio, presidente e fondatore della multinazionale degli occhiali, si tratterebbe di un bel
 passo avanti. Bruxelles quel via libera lo ha in effetti fatto desiderare. Dopo vari rinvii, la scadenza ora è l'8
 marzo. Data che ora verrebbe anticipata, secondo le indiscrezioni di Reuters . Il motivo lo aveva spiegato la
 commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager: «Sono aziende con leadership mondiali nelle montature
 e nelle lenti». L'Europa vale il 23% dei ricavi Luxottica, un peso analogo per Essilor. L'Europa è una delle
 cinque giurisdizioni le cui approvazioni rappresentano condizioni sospensive per l'operazione, con Cina,
 Usa, Brasile e Canada, l'unico che ha dato l'ok. A Milano e Parigi non commentano, ma studiano il futuro di
 un gruppo con 140milaaddetti che gioca su mercati globali da 96 miliardi. Sul fronte della governance. Del
 Vecchio cerca un ceo che guiderà la nuova realtà.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 I profili
 Hubert Sagnières,
 62 anni, presidente operativo
  di Essilor
 Margrethe Vestager,
  49 anni, commissaria Ue alla Concorrenza 0,6 per cento
 L'incremento
 di ieri a Piazza Affari del titolo Luxottica dopo le indiscrezioni su un imminente
  via libera
  da parte dell'Antitrust Ue sul matrimonio con la parigina Essilor
 Foto:
  Il profilo Leonardo Del Vecchio, 82 anni, fondatore di Luxottica

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 15/12/2017 - 15/12/2017                                                          19
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 Sussurri & Grida
 L'acciaio di Terni torna all'utile (ma il riassetto non è finito)

 ( f.mas. ) Adesso che in un anno è volata da 3 milioni a ben 87 milioni di euro di utile la controllata italiana
 di ThyssenKrupp, Acciai Speciali Terni (Ast), è più appetibile sul mercato. I numeri del bilancio chiuso a
 ottobre 2017 hanno confermato l'inversione di marcia, dopo otto anni consecutivi di perdita. Anche per
 questo i rumors su una sua cessione da parte del colosso tedesco continuano. Ma, come ha ribadito ieri
 alla viceministro dello Sviluppo economico, Teresa Bellanova l'amministratore delegato di Ast nonché
 numero uno di Thyssen in Italia, Massimiliano Burelli, «non ci sono dossier aperti». In ogni caso non
 potrebbe parlarne, ha spiegato, essendo Thyssen quotata in Germania. Di sicuro c'è che la ristrutturazione
 portata avanti da Burelli, in sella da metà 2016, sta portando frutti, in particolare «mutuando l'approccio
 industriale dell'automotive che ci ha fatto ridurre giacenze, diminuire i reclami, migliorare le performance di
 consegna, così come il riposizionamento di Ast». Ma «ancora lavoro resta da fare; siamo al 30% nel
 percorso di cambio di pelle». A gennaio nuovo tavolo al Mise, con i vertici tedeschi.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  Rina si rifà il look
  e punta su Cube
 ( f. sav. ) Rina cambia faccia e scommette sui Big Data e intelligenza artificiale. Il registro navale italiano ha
 lanciato una nuova piattaforma Cube per l'applicazione dei dati. Secondo Ugo Salerno ( foto ), presidente e
 amministratore delegato di Rina, «la mole di dati disponibili è oggi enorme. Si prevede che entro il 2020 il
 75% delle aziende sarà digitalizzato, ma solo coloro che saranno capaci di elaborare il dato in maniera
 intelligente potranno restare competitivi». Nel settore petrolifero si stima che la gestione digitale degli asset,
 con una rete di sensori, riduca i costi del 25% e aumenti la produzione dell'8%. Rina, multinazionale della
 certificazione originariamente nella cantieristica navale, lavorerà sempre più anche sull'alimentare, sulle
 energie rinnovabili e nella consulenza ingegneristica nel settore delle infrastrutture.
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  Cassa Forense investe
 175 milioni nel Fei
 ( f. sav. ) La pensione degli avvocati in investimenti in venture capital. Il Fondo europeo per gli Investimenti,
 parte del gruppo Bei, ha annunciato la creazione di un nuovo fondo da due miliardi con lo scopo di attrarre
 nuovi investimenti in capitale di rischio per le Pmi in tutta Europa. La prima a muoversi è stata Cassa
 Forense, che ha impegnato circa 175 milioni.
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  Made in Italy con Yoox ed Ice
 ( f. sav. ) L'Ice rilancia sull'export con una piattaforma per le Piccole e medie imprese realizzata con Yoox,
 parte di YNAP. Un modo per portarle in Cina e Stati Uniti puntando sul commercio elettronico. L'iniziativa
 nasce dalle risorse che il ministero dello Sviluppo, guidato da Carlo Calenda, ha deciso di destinare per
 potenziare le azioni di incremento di ecommerce nella moda. E la Cina, in questo, è il mercato più maturo,
 visto il boom della smartphone economy.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 15/12/2017 - 15/12/2017                                                          20
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 GLOBALE
 Murdoch cede e Disney rileva studios e pay tv
 Al tycoon restano Fox Tv e giornali Operazione da 66 miliardi di dollari
 Marco Valsania

 NEW YORK Disney, o meglio la Walt Disney Co, ha conquistato per 52,4 miliardi di dollari (66 miliardi totali
 incluso il debito) gran parte degli asset della 21st Century Fox, l'impero costruito dall'ottuagenario Rupert
 Murdoch che ora passa la mano alla grande rivale d'un tempo. Una fusione che, per dimensioni e influenza
 dei marchi coinvolti, scuote alla radici gli equilibri di potere nel settore dei media tradizionali e digitali, dentro
 e fuori gli Stati Uniti.E intensifica la battaglia per la conquista di audience globalie di nuove strade di
 crescita tra colossi sempre piu' in in grado di dominare contenutio piattaforme di distribuzione - e spesso
 entrambi. L'operazione è interamente in azioni in ragione di 0,2745 titoli Disney per ciascuna azione Fox. A
 Disney, che ha battuto Comcast nel corteggiare Murdoch, andranno gli Studios cine-televisivi della
 Twentieth Century Fox e attività internazionali quali la quota del 39% nella tv satellitare britannica e
 europea Sky e la Star India. Continua pagina 37 NEW YORK Continua da pagina 1 pCon il content e il
 rafforzamento del raggio d'azione fuori dai confini americani, Disney ha in programma una nuova fase di
 drastica espansione ai quattro angoli del pianeta, forte di inediti servizi di streaming - ieri definiti la «maggior
 priorità» - e contando su un potenziamento delle operazioni nel piccolo schermo. Di recente Disney aveva
 comprato per 2,6 miliardi la società di tecnologia streaming BamTech e dovrebbe varare tra il 2018 e il
 2019 sia un canale streaming familiare che uno sportivo. Sta inoltre cercando di contrastare con nuovi
 «pacchetti» multimediali il declino degli abbonamenti alle sue pay-tv, a cominciare dalla sportiva ESPN, che
 se rappresentavano due terzi degli utili operativi cinque anni or sono adesso contano solo per il 47 per
 cento. L'acquisizione è scattata - e forse ha accelerato il passo mentre vecchi e nuovi media sono in
 subbuglio, tra fusioni (in gioco c'è anche AT&T e Time Warner) e spinte alla deregulation oltre che alla
 costante innovazione capitanata da Google, Facebook, Netflix e Amazon. Ieri la Federal Communications
 Commission, che aveva già allentato limiti sulla proprie- tà dei media, ha votato a stretta maggioranza, tre a
 due, per cancellare la «net neutrality», adottata dall'ex amministrazione Obama per garantire democraticità
 su Internet e accusata dalla Casa Bianca di Donald Trump di eccesso di regolamentazione. I colossi
 integrati delle tlc, con in portafoglio sistemi di cavi e wireless, dovrebbero avvantaggiarsi grazie alla
 flessibilità nel favorire siti e offrire servizi a diverse velocità, qualità e costi a fornitori e produttori di content.
 Sollevando così lo spettro di discriminazioni e danni alla concorrenza, soprattutto per società di minori
 dimensioni. Sono già scattati i primi ricorsi in tribunale contro la mossa della Fcc, a partire da quello dello
 Stato di New York, e anche Netflix ha annunciato battaglia. Il nuovo impero di Disney, al riparo da simili
 preoccupazioni, sarà guidato dal veterano amministratore delegato e presidente Robert Iger, che ha esteso
 il suo contratto dal 2019 al 2021 per gestire il merger. Murdoch stesso ha complimentato esplicitamente
 Igere il top executive ha risposto dicendosi onorato della fiducia ricevuta con il passaggio delle consegne
 sugli prestigiosi asset Fox. Il 66enne Iger, da quando diventò chief executive nel 2005, ha già messo a
 segno colpi di successo quali l'ac- quisto di Pixar, Marvel e Lucasfilm di Star Wars. Con Fox riporterà del
 tutto a casa gli XMen, supereroi Marvel ma i cui diritti cinematografici appartenevano a Murdoch, e
 incasserà quelli di film record quali Avatar e di numerosi tra i più popolari show televisivi. Disney, accanto
 alle molteplici attività menzionate, riceverà anche la partecipazione di Fox in Hulu e 22 canali sportivi
 regionali, i Fox Regional Sports Networks. A Murdoch rimar- ranno invece attività nell'informazione e nella
 Tv: la Fox News, Fox Business, la rete Fox Broadcasting e le sue stazioni, Fox Sports 1 e 2 e il Big Ten
 Network. Verranno scorporate in una separata società quotata, con un giro d'affari stimato in circa 10
 miliardi. La famiglia Murdoch controlla inoltre la News Corp, con attività giornalistiche e editoriali quali il
 Wall Street Journal. «Questa acquisizione riflette un quadro dei mass media in cambiamento - ha dichiarato

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 Iger nello spiegare la sua scommessa - Che è definito in modo crescente da tecnologie trasformative e da
 gusti dei consumatori in evoluzione». Iger ha avvertito che la nuova, storica combinazione Disney-Fox non è
 ancora un dato di fatto: dovrà passare al vaglio di severi controlli dell'antitrust, che sta già cercando di
 bloccare AT&T-Time Warner. Le dimensioni del nuovo colosso, anche al netto di alcune eventuali dimissioni
 e previsti tagli, dovrebbero tuttavia essere tali da tenere a battesimo una nuova stagione di fusioni nel
 settore. Tra le possibili future prede circolano nomi a loro volta di prestigio ma oggi in affanno del calibro di
 Cbs e Viacom, Sony Pictures e Lions Gate.
 Acquisizioni Disney In miliardi di $ 21st Century Fox (2017) Pixar (2006) Lucasfilm (2012) Marvel (2009)
 Fonte: Bloomberg 66,1 7,4 4,1 4,0
 La «volpe» nella tana di Topolino Gli asset dei due gruppi dopo il deal da 66,1 miliardi di dollari incluso il
 debito LucasFilm Pixar Marvel The Walt Disney Studios Abc Studios Disney Freeform Abc Television
 Group ESPN Radio Disney
 (*) Quota di partecipazione di Disney Channel Disney Parks and Resort Disney Cruise line Disney Music
 Group The Walt Disney C. Press Sites + ASSET USA 21th Century Fox 21th Century Fox Television
 National Geographic Partners Fox 2000 Fox Searchlight Pictures FX Productions FX Networks 21th
 Century Fox Fox21 Fox Sports Regional Network Avatar Fantastic Four X - Men The Simpsons + ASSET
 INTERNAZIONALI Sky (39%)* Star India Endemol (50%)* Hulu (30%)* Fox Network International Tata Sky
 Wall Street Journal Dow Jones Fox News Channel FS1 sport FS2 sport Fox Business Network Big Ten
 Network Fonte: Disney

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 VALUTA FISCALE
 Perché diciamo no alla moneta parallela
 Lorenzo Codogno, Charles Goodhart e Dimitrios Tsmomocos

 Quando due terzi delle forze politiche, almeno sulla carta, sono favorevoli all'introduzione di una valuta
 parallela, questo non può che preoccupare. Quando poi un dettagliato "punto di vista" economico della
 Banca d'Italia stronca questa idea e nessun giornale lo riporta, questo preoccupa ancor di più. Continua
 pagina 10 Cosa ha detto la Banca d'Italia? Con dovizia di riferimenti normativi, la Banca d'Italia ha fatto
 varie considerazioni. La moneta fiscale non avrebbe corso legale, ma solo una funzione di riserva di valore
 e quindi sarebbe del tutto similea un titolo di Stato (qualcuno la chiama infatti mini-Bot). Se uno Stato
 decidesse di eseguire i propri pagamenti in valuta diversa dalla moneta legale si prefigurerebbe una
 violazione dei Trattati europei. Probabilmente avrebbe «negative ripercussioni di carattere reputazionale
 presso i potenziali sottoscrittori dei titoli di debito pubblico». Per usare parole meno caute e attente, si
 scatenerebbe una crisi finanziaria. La banca centrale ha anche detto chiaramente che la moneta fiscale
 «avrebbe un minore grado di liquidità nelle transazioni diverse dal pagamento delle tasse» e quindi
 verrebbe scambiata con «uno sconto sul valore facciale» e comporterebbe «ulteriori costi aggiuntivi rispetto
 quelli pagati per l'emissione dei titoli di Stato». Di conseguenza, fornitori e dipendenti «ove costretti ad
 accettare in pagamento la moneta fiscale, subirebbero una riduzione del loro reddito, essendo pagati con
 uno strumento di minore valore rispetto alla moneta legale negli scambi successivi». Inoltre, la moneta
 fiscale rappresenta «una passività del Governo sin dal momento in cui è emessa, così comei titoli di
 Stato».E quindi, «trattandosi a tutti gli effetti di passività dello Stato, tali strumenti potrebbero essere emessi
 solo rispettando i vincoli riguardanti il deficite il debito pubblico imposti dal Patto di stabilità e crescita». Noi
 ci permettiamo di sollevare alcuni punti aggiuntivi, molto più fondamentali e non detti dalla Banca d'Italia.
 Sia pure su scala ridotta (ma questo sarebbe tutto da vedersi), si produrrebbero gli stessi effetti di un'uscita
 dall'euro, cioè Italexit. Con l'immediato deprezzamento della nuova moneta fiscale, le imprese o
 aumenterebbero i prezzi oppure avrebbero una diminuzione dei lori introiti, e quindi il rapporto tra il loro
 redditoe il loro debito denominato in euro peggiorerebbe. Anche lo Stato si troverebbe comunque a dover
 ripagare il debito pubblico esistente in euro a fronte di entrate denominate nella nuova moneta fiscale (che
 secondo alcuni dovrebbe essere addirittura data gratuitamente ai cittadini). Anche se una ridenominazione
 del debito potrebbe essere teoricamente possibile si configurerebbe come un default. Le maggiori imprese
 non sarebbero comunque in grado di farlo per il loro debito e, se lo facessero, i creditori esteri potrebbero
 appropriarsi dei loro beni, quantomeno quelli all'estero. Molte imprese finirebbero in bancarotta. E le
 banche? I depositi esistenti sono denominati in euro. Con l'adozione della doppia valuta, qualsiasi tentativo
 da parte del governo di modificare la denominazione del debito pubblicoo il debito dei residenti nei confronti
 delle banche porterebbe il valore delle attività in euro ben al di sotto di quello delle passività,e quindi a una
 potenziale insolvenza. Vedendo questi sviluppi, i depositanti non perde- rebbero tempo e sposterebbero i
 loro depositi all'estero, determinando una vera e propria fuga di capitali e il panico. L'emorragia potrebbe
 essere contenuta solo con l'introduzione di limitazioni nei movimenti di capitale, ma questo, al di fuori di un
 programma di assistenza europea, non sarebbe coerente con una piena partecipazione all'Unione
 monetaria europea. Oppure potrebbe essere limitata se la Banca centrale europea fosse disponibile ad
 agire come prestatrice di ultima istanza per le banche. Oppure ancora se fosse presente un'efficace
 assicurazione nazionale e/o europea sui depositi. Per dirla in modo leggermente diverso, nel contesto
 europeo la Bce/Mvu e le autorità europee avrebbero, in pratica, un potere di veto. Qualsiasi tentativo di
 adottare una valuta parallela si trasformerebbe rapidamente in un'espulsione forzata dall'euro. Quindi la
 moneta fiscale non servirebbe neppure come arma di pressione politica a Bruxelles o "Piano B". Anche
 l'idea di rendere la doppia circolazione quantitativamente limitata non tiene. Se la circolazione fosse per

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 importi piccoli, non varrebbe la pena correre tutti questi rischie il limite oltre il quale si produrrebbero gli
 effetti indicati non è quantificabile ex ante. Per tali ragioni, l'idea di adottare unilateralmente una moneta
 fiscale in un Paese vulnerabile come l'Italia semplicemente non è una proposizione sostenibile.
 L.Codogno@lse.ac.uk C.A.Goodhat@lse.ac.uk Dimitrios.Tsomocos@sbs.ox.ac.uk © RIPRODUZIONE
 RISERVATA

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 Investimenti.
 A Verona il maxi hub dell'e-commerce di Zalando
 Laura Cavestri

 Pagina 14 MILANO Zalando "premia" l'Italia e sceglie Verona - per l'esattezza Nogarole Rocca, tra la città
 veneta e la lombarda Mantova - per insediare il suo 6° hub - il primo al di fuori del perimetro
 Germania-Polonia - orientato non solo al Paese ma a crescere in tutto il Sud Europa. Lo ha ufficializzato,
 ieri, la società tedesca, dopo le prime indiscrezioni emerse ad agosto, alla presentazione dei dati di bilancio
 e il susseguirsi di voci che, solo una settimana fa, davano la piattaforma di e-commerce specializzata in
 moda e accessori, sul punto di sbarcare nella "bassa" bergamasca. Un impegno preciso anche nei numeri.
 Perchè il nuovo hub logistico di Zalando sarà un investimento da 150 milioni di euro (anche grazie alla forte
 componente tecnologica), occuperà una superficie di circa 130mila metri quadrati (nell'attuale magazzino di
 Stradella sono 20mila) e partirà con 200 addetti ma sarà in grado di assumere a regime - verosimilmente
 nell'arco di 2-3 anni dall'entrata in funzione - circa mille addetti. I lavori di costruzione inizieranno nella
 primavera 2018.«Lo stabilimento sarà operativo nell'autunno 2019 - ha sottolineato Jan Bartels, vice
 presidente Customer Fulfillment & Logistics di Zalando - anche se la parte di automazione sarà completata
 nel 2020. Si tratta infatti di un investimento cospicuo proprio perchè elevata è la componente di innovazione
 e tecnologia che andremo a inserire. Grazie a questi ulteriore investimenti, l'azienda rafforzerà il servizio
 offerto alla clientela italiana e velocizzerà le spedizioni nei mercati del Sud Europa». La struttura di
 Nogarole Rocca si estenderà, dunque, su una superficie logistica di circa 130mila metri qua- drati, simile agli
 altri hub centrali già presenti in Germania (Erfurt, Mönchengladbach, Lahr) e Polonia (Gryfino e Gluchow).
 «La vicinanza ai mercati del Sud Europa, la disponibilità di manodopera, l'infrastruttura di alto livello,
 specialmente per quanto concerne l'accesso alle autostrade A22 e A4, sono alcune delle ragioni che hanno
 determinato la scelta» ha aggiunto Bartels. Che sul numero di addetti esprime cautela. «All'inizio si partirà
 con circa 200 addetti -chiarisce -. Si può arrivare a mille nel medio periodo. Vedremo quali saranno la
 crescita e l'andamento del mercato». Le operazioni all'interno della struttura saranno gestite da un partner
 esterno, la cui selezione avverrà attraverso gara d'appalto. Soddisfatta la comunità locale. «Sarà
 sicuramente un'occasione importante per lo sviluppo del territorio, sia in termini economici che
 occupazionali - ha affermato Paolo Tovo, il sindaco di Nogarole Rocca -. L'amministrazione offre la
 massima di- sponibilità e la collaborazione necessaria per la realizzazione di questo importante
 investimento». Intanto per quanto riguarda la costruzione, i lavori sono stati affidati a Vailog, parte di Segro,
 un fondo d'investimento che opera nel settore del Real Estate in Regno Unito e tra i principali proprietari,
 asset manager e sviluppatori di magazzini e applicazioni industriali leggere. Nei primi 9 mesi dell'anno i
 ricavi di Zalando sono risultati in crescita del 23,9%, pari a 3,15 miliardi (erano 2,54 miliardi nello stesso
 periodo del 2016). I clienti attivi della società berlinese sono cresciuti sino a quota 22,2 milioni. Infine, ieri,
 Bartels ha confermato l'intenzione del gruppo di entrare, dalla prossima primavera, nel mercato del beauty,
 offrendo un'ampia gamma di prodotti, cosmetici, creme e make up, con un vasto range di prezzi, prima in
 Germania, per poi raggiungere gli altri mercati. Ma esclude un interesse del gruppo verso settori "non
 affini", ad esempio l'elettronica. © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Foto: (nella foto, il cuore del centro logistico di Zalando a Erfurt, in Germania, gemello di quello a Nogarole
 Rocca)

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 L'INCHIESTA/L'IMPATTO SUL BILANCIO PUBBLICO
 Derivati «di Stato» per migliorare i conti ma il deficit-Pil alla fine è
 aumentato
 Morya Longo

 pagina 2 Dal 2006 al 2016 hanno pesato sul deficit pubblico per quasi 24 miliardi di euro. Hanno
 attualmente un valore di mercato negativo di 31,8 miliardi. Di fatto hanno annullato peri conti pubblici
 italianii benefici, in termini di risparmi in interessi, della politica monetaria della Bce.E oggi sono sotto
 accusa anche dalla Corte dei Conti. Di frontea questo bollettino, viene da chiedersi come mai la Repubblica
 Italiana abbia stipulato nel corso degli ultimi 20 anni con le banche internazionali contratti derivati che si
 sono rivelati così gravosi sui conti pubblici. Il Sole 24 Ore, andando nel profondo dei dati Eurostat e
 confrontandosi con numerosi esperti,è in grado di dare una risposta: i derivati sono serviti per anni per
 "aggiustare" di qualche zero virgola (quando era consentito dalla legge europea) il rapporto tra deficit e Pil.
 Ora ne paghiamo il conto con un aggravio sullo stesso deficit. Che costringe il Paese a misure fiscali più
 austere di quanto sarebbe necessario senza derivati. A spese dei cittadini. Delle imprese. Dell'economia. I
 derivati sono stati abbondantemente usati in alcuni momenti ben precisi. Il primo è nel 19971998, ai tempi
 del Governo Prodi, quando in gioco c'era l'ingresso nell'euro per il primo gennaio 1999. Quando i parametri
 di Maastricht decretavano chi era dentro e chi fuori la nuova moneta. Ebbene: l'intensa attività della
 Repubblica in derivati (che avevano breve durata) ha permesso di ridurre il deficit di 2,4 miliardi nel 1997e
 di3 miliardi nel 1998. Risparmiando 0,2 e 0,3 preziosi punti percentuali nel rapporto deficit/Pil. La seconda
 occasione è nel 2003-20042005, ai tempi del Governo Berlu- sconi. In questo caso l'intensa attività in derivati
 (a più lunga scadenza) ha consentito una riduzione del deficit di 1,18 e 1,31 miliardi nel 2004e nel 2005,
 paria 0,1 punti percentuali sul Pil l'anno. Morale: tra il 1997e il 2005i derivati hanno diminuito il deficit per un
 totale di 11,6 miliardi. Peccato che nei 10 anni successivi l'abbiano aumentato di quasi 24 miliardi. Il
 Bengodi è finito: ora lo zero virgola di spazio sul deficit possiamo solo "sudarcelo" a Bruxelles. Gli anni delle
 vacche grasse I derivati sono contratti finanziari che vengono stipulati con le banche d'affari per modificare
 "sinteticamente" le condizioni di un debito: con uno «swap» si può ad esempio trasformare un tasso
 variabile in un tasso fissoo un debito in dollari in uno in euro, in modo da "proteggersi" contro l'impennata
 dei tassi o l'oscillazione di una valuta. Ma dato chei derivati presuppongono uno scambio di denaro tra il
 debitoree la banca,a seconda di come si modula questo flusso di denaro possono anche essere usati per
 aggiustare poste di bilancio. È il caso dell'Italia prima dell'ingresso nell'euro e nei primi anni 2000, quando
 l'obiettivo - al Ministero dell'Economia - era proprio questo: usarei derivati per ridurre un po' il deficit. Cioè per
 avere benefici immediatie costi futuri. In quegli anni al Tesoro andavano di moda derivati «Irs» in cui l'Italia
 incassava dalle banche controparti un tasso fisso e pagava un tasso variabile. Dato che a quei tempi il
 tasso fisso era più elevato, l'Italia incassava più di quanto spendeva: il beneficio è stato appunto 11,6
 miliardi di deficit in meno tra il 1997e il 2005. Il problema è che la struttura di questi «Irs» prevede che dopo
 i benefici iniziali arrivi il conto: dal 2006 in poi l'Italia ha dunque iniziatoa pagare (principalmente peri derivati
 più recenti), non piùa incassare. Tra il 2003 e il 2005 l'Italia vende anche con particolare lena speciali
 derivati che oggi sono sotto accusa, chiamati «swaption», che permettono di incassare nell'immediato un
 premio. Tutto fa brodo per migliorare il deficit. «A quei tempi si poteva operare in questo modo perché la
 contabilità pubblica era sostanzialmente per cassa - osserva Nicola Benini di Ifa Consulting -. Quando si
 incamerava un premio coni derivati, si riduceva il fabbisogno e dunque il deficit. Dopo il 2013, con le regole
 Sec 2010, questo non è più stato possibile». Gli anni della crisi Dopo il 2006, il ministero cambia strategia:
 invece di usare i derivati per ridurre il deficit, li utilizza per allungare in maniera sintetica la durata del debito
 pubblico. Inizia così a stipulare contratti «Irs» diversi da quelli precedenti: ora la Repubblica paga un tasso
 fisso e incassa dalle banche un tasso variabile. Dato chei derivati degli anni precedenti sono però in

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