ATTI DEL CONVEGNO Responsabilità Sociale d'Impresa - Venezia Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo 6 febbraio 2020

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ATTI DEL CONVEGNO Responsabilità Sociale d'Impresa - Venezia Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo 6 febbraio 2020
ATTI DEL CONVEGNO
          Responsabilità Sociale d’Impresa

                          Venezia
Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo
                      6 febbraio 2020
ATTI DEL CONVEGNO Responsabilità Sociale d'Impresa - Venezia Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo 6 febbraio 2020
Presentazione

Il fascicolo raccoglie gli atti del convegno “Responsabilità Sociale d’Impresa” tenutosi a Venezia il
6 febbraio 2020, organizzato dall’Associazione degli Industriali e da Eni.
 In uno scenario economico sempre più globalizzato, tutti i principali attori della società civile
devono impegnarsi per salvaguardare l’ambiente, generare benessere ed equità sociale, in un
percorso capace di tutelare i diritti delle generazioni future.
 Il seminario si è aperto con il saluto dell’Assessore alla Coesione Sociale Comune di Venezia
Simone Venturini, è proseguito con la lectio magistralis di S.E. Mons. Francesco Moraglia
Patriarca di Venezia, l’intervento del Presidente Gruppo Save Spa Enrico Marchi e la relazione del
Presidente Eni Foundation Domenico Noviello. Le conclusioni sono state affidate al Presidente
Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo Vincenzo Marinese.

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ATTI DEL CONVEGNO Responsabilità Sociale d'Impresa - Venezia Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo 6 febbraio 2020
INDICE INTERVENTI

SALUTI DELLE AUTORITÀ

Simone Venturini                                                           4

 Assessore alla Coesione Sociale Comune di Venezia

RELAZIONI

S.E. Mons. Francesco Moraglia                                              5

 Patriarca di Venezia

Enrico Marchi                                                              13

 Presidente Gruppo Save Spa

Domenico Noviello                                                          18

 Presidente Eni Foundation

DISCORSO CONCLUSIVO

Vincenzo Marinese                                                          33

 Presidente Confindustria Venezia Area Metropolitana di Venezia e Rovigo

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Saluto

Simone Venturini, Assessore alla Coesione Sociale Comune di Venezia

"Confindustria - ha esordito Venturini nel ringraziare i promotori dell'iniziativa - ha intrapreso un
percorso importante di apertura alla città, di organizzazione di eventi sul territorio, anche oltre i
temi legati all'imprenditoria. La città cresce culturalmente anche grazie all'offerta che Confindustria
sta garantendo".
 L'assessore ha poi rivolto un ringraziamento particolare al patriarca Moraglia per l'impegno che lo
ha visto protagonista in questi mesi a fianco delle imprese. "La sua presenza in Piazza San Marco
nei giorni difficili dell'acqua alta eccezionale, vicino a commercianti, artigiani, imprenditori,
insieme agli altri attori istituzionali e alla Forze dell'ordine, non era scontata ed è stata una grande
testimonianza di umiltà e insieme di forza".
 "La città - ha evidenziato Venturini - si è però subito rialzata ed è pronta a intercettare e a venire
incontro alle esigenze degli ospiti che scelgono di visitarla. La città è viva e lo sarà sempre di più.
L'idea di lavorare sulla salvezza di Venezia, non solo per quanto riguarda i suoi monumenti, ma
anche per quanto riguarda le persone che la abitano - ha proseguito Venturini - è sicuramente un
obiettivo a cui le imprese stanno tendendo. Non c'è salvezza di una città senza ripresa delle attività
economiche, perché senza imprese non c'è lavoro, e senza lavoro viene meno il collante economico
di una città e il suo essere attrattiva per le persone che vogliono abitarla. In questo senso
l'imprenditore svolge di per sé una funzione sociale: il suo ruolo è fondamentale per cogliere e
affrontare le nuove sfide che si presentano. Anche le società di capitali sono società di persone, e
dove ci sono le persone l'imprenditore ha una responsabilità verso i lavoratori, le loro le famiglie, il
territorio in cui opera. Una responsabilità - ha concluso rivolgendosi al pubblico presente - che voi
portate avanti ogni giorno, silenziosamente. Bisogna nobilitare di più il ruolo sociale delle imprese e
dell'imprenditore, che non è chi fa soldi sulle spalle degli altri, ma una persona grazie a cui ingegno,
iniziative economiche, creatività mantengono un territorio e tengono in piedi i legami familiari
e sociali di una città".

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Lectio Magistralis

S.E. Mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia

Presidente, Direttore Generale, Associate e Associati,

 nel ringraziare per l’invito, provo a condividere con Voi alcuni pensieri sulla responsabilità sociale
d’impresa.
 Ne tratterò, ovviamente, a partire da una antropologia orientata in senso cristiana, ma laica e non
confessionale. Il termine “laicità” non è sinonimo di “laicismo” e qui, di seguito, indico subito
alcune linee fondanti tale laicità.
 Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco afferma: “…la vocazione di un
imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della
vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e
rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo” (Papa Francesco, Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, n. 203).
 Ancora Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune tratta della
necessità di educare la nostra e le future generazioni (compresi gli imprenditori e i dirigenti) ad una
vera alleanza tra umanità e ambiente: “L’educazione ambientale è andata allargando i suoi
obiettivi. Se all’inizio era molto centrata sull’informazione scientifica e sulla presa di coscienza e
prevenzione dei rischi ambientali, ora tende a includere una critica dei “miti” della modernità
basati sulla ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo,
mercato senza regole) e anche a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello
interiore con sé stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello
spirituale con Dio” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n. 210).
 In premessa, ricordo che per “impresa” s’intende naturalmente l’attività che ha per scopo la
produzione di beni e/o di servizi. Tale attività si riferisce all’uomo e alla sua responsabilità ed è il
risultato dell’azione congiunta del lavoro, delle macchine e del capitale.
 Il legislatore civile, nel definire l’impresa, pone al centro della stessa la figura umana
dell’imprenditore (cfr. art. 2082 del Codice Civile) che esercita professionalmente un’attività
economica da egli organizzata e finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e servizi
servendosi di un complesso di beni (cfr. art. 2555 CC).

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L’impresa - come ogni attività umana - dipende dalle conoscenze e dai valori che caratterizzano
un’epoca, dalla cultura degli imprenditori e delle associazioni che li rappresentano, le quali, a loro
volta, hanno una storia, una idealità.
 Vorrei allora richiamare qui quanto detto dal Santo Padre nell’intervista al quotidiano Il Sole 24
Ore il 7 settembre 2018: “Il modo di pensare l'azienda incide fortemente sulle scelte organizzative,
produttive e distributive. Si può dire che agire bene rispettando la dignità delle persone e
perseguendo il bene comune fa bene all'azienda. C'è sempre una correlazione tra azione dell'uomo
e impresa, azione dell'uomo e futuro di un'impresa… Una sana economia non è mai slegata dal
significato di ciò che si produce e l'agire economico è sempre anche un fatto etico. Tenere unite
azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione,
operatività e rispetto dell'ambiente diventano elementi che nel tempo garantiscono la vita
dell'azienda. Da questo punto di vista il significato dell'azienda si allarga e fa comprendere che il
solo perseguimento del profitto non garantisce più la vita dell'azienda…” (Papa Francesco,
Intervista al quotidiano Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2018).
 L'industria, oggi, vive una fase denominata 4.0; si tratta della quarta rivoluzione industriale della
quale non abbiamo ancora una visione esaustiva, ma possiamo descriverla come il processo che
condurrà ad una produzione automatizzata e interconnessa. Un processo nel quale la macchina -
intesa in senso lato - non è più un elemento ausiliario al quale affidare dei lavori di tipo materiale,
ma diventa un qualcosa che gestisce dati, li elabora e indirizza le risultanze che ne ricava non solo
sul piano operativo ma anche organizzativo.
 La Responsabilità Sociale d’Impresa - Corporate Social Responsability - deve perciò misurarsi
con le caratteristiche dell’epoca storica che viviamo, concretamente, con le sue conoscenze e valori.
“La Corporate Social Responsability (CSR) - cito dal Dizionario Treccani - mette al centro della
funzione-obiettivo dell’impresa la composizione dei diversi interessi dei molteplici stakeholder.
Secondo una simile prospettiva, le dimensioni ambientali, umanitarie e sociali si affrancano da uno
storico ruolo di sudditanza rispetto all’obiettivo del profitto e, in quanto obiettivi in sé,
contribuiscono a definire modalità e vincoli per il conseguimento dei risultati più strettamente
economici.L’efficienza nel rispetto delle norme e l’osservanza di doveri fiduciari nei confronti degli
stakeholder sono ormai chiavi gestionali sempre più adottate” (Dizionario Treccani, Voce
Corporate Social Responsability).
 Il termine Industria 4.0 indica così la tendenza all'automazione industriale che integra nuove
tecnologie produttive per migliorare le condizioni di lavoro e creare nuovi modelli di business,
aumentando il prodotto e la qualità produttiva degli impianti. Circa il miglioramento delle
condizioni di lavoro non si dà ancora un sostanziale accordo tra gli studiosi; per alcuni, infatti, il

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miglioramento delle condizioni di lavoro sarebbe solo una promessa - peraltro non inedita - che
ogni trasformazione tecnico-organizzativa porta con sé.
 L’Industria 4.0 - denominata pure dei sistemi cibernetici - è stata preceduta da:
· l’Industria 1.0, epoca in cui la produzione aveva alla base la meccanizzazione con utilizzo della
forza dell’acqua e del vapore;
· l’Industria 2.0, quando con la catena di montaggio l’industria si è caratterizzata per la produzione
di massa.
· l’Industria 3.0 fondata sul computer e l’automatizzazione.
 Infine, come detto, l’Industria 4.0, ossia quella dei sistemi cibernetici costituita da strumenti
concettuali sviluppati da tecnologie sempre più avanzate. Questa fase comporta la disponibilità ad
investimenti su infrastrutture, attrezzature, impianti, installazioni, servizi pubblici e, ovviamente,
scuole, sistemi energetici, enti di ricerca e aziende per ammodernare il sistema produttivo non solo
nelle specifiche realtà aziendali ma anche ponendolo in un contesto generale più efficiente
e rendendolo, quindi, più competitivo a livello globale.
 Alcuni guardano, però, già alla quinta rivoluzione, ossia all’Industria 5.0 che si focalizzerà sulla
cooperazione tra uomo e macchina con la finalità dichiarata di far lavorare in armonia l’intelligenza
umana con quelle impropriamente definite come “intelligenze artificiali”.
La collaborazione tra uomini e robot punta allo sviluppo di un valore aggiunto in termini di
produzione; essa si pone, come obiettivo, la creazione di un prodotto personalizzato che rispetti le
esigenze del cliente.
 Lo sviluppo dell’Information and Communication Technology (ICT) e dell’Artificial Intelligence
(AI) ha condotto alla messa a punto dei Cyber-Physical System (CPS), chiave di volta di ogni futura
crescita.
 Giovanni Manco, esperto in Digital Business Transformation – al cui pensiero rimando - delinea
l’attuale momento considerando il futuro come già, almeno parzialmente in atto, e parla di uno
sviluppo dall’Industria 4.0 a quella 5.0.
 Ecco le sue parole: “I vantaggi per la società e le imprese sono notevoli. Attualmente il modello
Industria 4.0 è focalizzato molto sulla realizzazione di un ecosistema aziendale basato su
un’architettura che integra orizzontalmente e verticalmente i vari Cyber-physical-System
(CPS) e i vari sistemi di gestione. L’impiego dei Cobot ["Collaborative robot ", ossia un robot
concepito per interagire fisicamente con l’uomo in uno spazio di lavoro] è limitato, e la
ridefinizione dell’intervento umano nei processi produttivi (la nuova connessione della forza
lavoro) rappresenta ancora un possibile problema. Nello scenario Industria 5.0 l’Empowering

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people, ovvero l’importanza dell’uomo nei processi automatizzati, è strategica per la qualità,
l’efficienza e soprattutto per una piena attuazione dell’obiettivo di personalizzare i beni/servizi
prodotti offerti alla clientela” (tratto da Innovation Post: Giovanni Manco, Verso Industria
5.0. I vantaggi del nuovo paradigma).
 In tale contesto, la responsabilità d’impresa viene accresciuta dalla maggiore complessità e dal
maggior potere che assumono i nuovi strumenti; essa ricade ancora di più sull’uomo che rimane,
comunque, la prima “risorsa” dell’attività imprenditoriale.
 Dopo quanto detto, è importate considerare l’attuale contesto in cui si svolge l’attività umana
denominata “impresa”.
 “La Corporate Social Responsability - cito sempre dal Dizionario Treccani - trova uno spirito
applicativo più profondo nell’adozione, da parte delle imprese, di forme di autoregolamentazione
spontanea espresse nei codici etici e nelle carte dei valori aziendali, anche secondo standard
riconosciuti internazionalmente (➔ certificazione ambientale). In tali documenti, che integrano i
rapporti per la comunicazione sociale e ambientale, si definisce lo stile di condotta etico-morale
dell’impresa,anche rispetto a situazioni non regolamentate dal legislatore e che possono
riguardare i rapporti tra proprietà, management e dipendenti,come anche i rapporti con i fornitori
e con gli altri stakeholder esterni”(Dizionario Treccani, voce Corporate Social Responsability).
 Nell’impresa del futuro il confronto tra beni prodotti e/o servizi erogati e profitto, non dovrà più
limitarsi a confronti numerici ma dovrà tener conto di ciò che esiste ed evolve dietro quei numeri
perché, se da tale analisi dovesse derivare una responsabilità sociale che fa capo a quella impresa,
allora, il futuro di tale azienda potrebbe risultarne compromesso in misura maggiore rispetto a
decenni or sono.
 La responsabilità sociale d’impresa rientra, quindi, all’interno della connotazione morale
dell’attività imprenditoriale e fa parte della più generale attività economica (cfr. Compendio della
Dottrina Sociale della Chiesa, [d’ora in poi C.d.S.C.] nn. 330-335). Fra poco ci soffermeremo
anche sul rapporto fra iniziativa privata ed impresa (C.d.S.C., nn. 336-350).
 Circa la questione più generale, ossia il rapporto fra morale ed economia (C.d.S.C., n. 331), va
sottolineato innanzitutto che tra morale ed economia vi è una “necessaria distinzione” ma non certo
una separazione; anzi, sussiste “una reciprocità importante”. E si rileva l’utilità di aprire il
campo economico alle istanze morali proprio perché l'uomo rimane sempre “l'autore, il centro e il
fine di tutta la vita economico-sociale” e il fine dell’economia non risiede in se stessa ma possiede
una naturale “destinazione umana e sociale”. Non riconoscere questa reciprocità tra
morale ed economia sarebbe “irrazionale”.

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Il Compendio arriva a sottolineare (n. 332) che questo legame di reciprocità diventa, in realtà, una
risorsa e un “fattore di efficienza”poiché “la dimensione morale dell'economia fa cogliere come
finalità inscindibili, anziché separate e alternative, l'efficienza economica e la promozione di uno
sviluppo solidale dell'umanità”. E già questa affermazione collega strettamente la questione
dell’efficienza (nella produzione, nei servizi, nell’impiego delle risorse ecc.) a quella di una
distribuzione giusta e solidale della crescita economica in modo che non escluda nessuno (popolo e
persone), relegando così in condizioni di povertà e sfruttamento.
 È ben chiaro – e il Compendio lo evidenzia (n. 334) – che l’economia ha per oggetto “la
formazione della ricchezza e il suo incremento progressivo, in termini non soltanto quantitativi, ma
qualitativi: tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale
dell'uomo e della società in cui egli vive ed opera”. E quando si parla di sviluppo questo non è mai
“un mero processo di accumulazione di beni e servizi” che, oltretutto, non garantisce ed assicura a
nessuno “la realizzazione dell'autentica felicità umana”. Mi sono sentito dire anche da alcuni
imprenditori una cosa che, per me, era ovvia: i soldi non fanno la felicità…
 Circa il rapporto più articolato fra iniziativa privata e impresa (C.d.S.C., nn. 336-350), si devono
porre le premesse per cogliere ed esprimere la responsabilità d’impresa, particolarmente
dell’imprenditore cristiano.
 Va riaffermato, intanto, che “la dottrina sociale della Chiesa considera la libertà della persona in
campo economico un valore fondamentale e un diritto inalienabile da promuovere e tutelare”
(C.d.S.C., n. 336).
 Numerosi e importanti passaggi del magistero anche recente (pensiamo al contributo offerto in
materia da san Giovanni Paolo II) sottolineano l’assoluta importanza di non ridurre mai o addirittura
distruggere, anche in campo economico ed imprenditoriale, “la soggettività creativa del cittadino”
(cfr. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Sollecitudo rei socialis, n.15) e che l’intervento dello Stato
deve semmai favorire tale libertà d’iniziativa svolgendo al meglio le sue funzioni istituzionali e
limitandosi a porre in essere solo quei meccanismi di controllo, quelle regole o quei vincoli di
azioni che il perseguimento del bene comune generale richiede come necessari “senza
irreggimentare l'intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli” (cfr. Giovanni
Paolo II, Lettera enciclica Centesimus annus, n. 48).
 Ora desidero richiamare quanto il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa dice
dell’importante ruolo dell’imprenditore e del dirigente di azienda che, quando sono in grado
d’interpretare tale compito in spirito di fedeltà a quanto richiedono i riferimenti antropologici
orientati in senso cristiani, diventano figure imprescindibili non solo per la loro azienda ma,
anche, per l’intero territorio ove operano come imprenditori e dirigenti d’azienda.

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È chiaro che tutto deve avvenire all’interno di una piena e vera “laicità” e indico, di seguito, solo
alcuni spunti “di partenza”.
 Interessante è notare anche come il n. 343 del Compendio ci rimandi all’autentico – e spesso
dimenticato - significato della competizione imprenditoriale che rappresenta “un cum-petere [petere
dal latino], ossia un cercare insieme le soluzioni più adeguate, per rispondere nel modo più
idoneo ai bisogni che man mano emergono”.
 In una società che è sempre più comunità globale e – lo auspichiamo - solidale, anche nell’ambito
del lavoro e dell’economia, la responsabilità dell’imprenditore assume il rilievo di una virtù che è,
insieme, individuale e sociale; una virtù “indispensabile” e “necessaria allo sviluppo di una
comunità” (C.d.S.C., n. 343). Se, quindi, fate bene gli imprenditori - attenzione! – voi siete i buoni
samaritani di una società.
 Sempre san Giovanni Paolo II ricordava ed esplicitava così tale aspetto: “In questo processo sono
coinvolte importanti virtù, come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli
rischi, l'affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell'esecuzione di decisioni
difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell'azienda e per far fronte agli eventuali
rovesci di fortuna”(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Centesimus annus, n. 32). A tal proposito,
mi preme anche dirvi una cosa: so bene che un imprenditore non ha orari ma… cercate di averli!
Esiste la famiglia ed esistono i figli che non hanno i tempi dell’azienda…
 Per la crescente complessità (e responsabilità) dell’attività economica ed imprenditoriale, a chi
agisce in questo campo è richiesto un supplemento di attenzione, di aggiornamento e di
discernimento a partire da “una costante riflessione sulle motivazioni morali che devono guidare le
scelte personali di chi è investito di tali compiti” (C.d.S.C., n. 344) con particolare riguardo –
accanto agli obiettivi strettamente economici dell’impresa, dell’efficienza economica e della cura
del capitale – a ciò che rappresenta la primaria ricchezza, il patrimonio decisivo, il fattore di
produzione per eccellenza di un’impresa: le persone che la compongono, i lavoratori - nelle loro
differenti mansioni ma con la stessa e inestimabile dignità umana - da preservare e tutelare sempre.
 Anche “nelle grandi decisioni strategiche e finanziarie, di acquisto o vendita, di
ridimensionamento o chiusura di impianti, nella politica delle fusioni, non ci si può limitare
esclusivamente a criteri di natura finanziaria o commerciale” (C.d.S.C., n. 344).
 Non posso, infine, trascurare di osservare che in tale contesto rientra anche il doveroso impegno di
dirigenti ed imprenditori (cfr. C.d.S.C., n. 345) ad assicurare scelte, decisioni e misure di vita
aziendale che favoriscano la vita familiare delle persone e, alla luce sempre di una visione integrale
dell’uomo e dello sviluppo, il perseguimento di una politica aziendale di “qualità” della vita: qualità

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dei prodotti, qualità dei servizi, qualità delle relazioni, qualità dell’ambiente e del contesto sociale
ecc.
 In conclusione, circa la responsabilità sociale d’impresa vale la pena sottolineare anche la
necessità di un’opera educativa-culturale che tocchi tutti i soggetti coinvolti: non solo la proprietà e
il management, i dipendenti e i collaboratori, ma anche tutti gli stakeholder interessati e
riconducibili – di volta in volta - a figure interne all’azienda o che interagiscono con essa (ad es.
dipendenti, fornitori ecc.) o ad altri soggetti esterni (ad es. clienti, cittadini residenti nelle zone dove
l’impresa ha sede e svolge l’attività ecc.).
 Fondamentale è tenere sempre presente – lo annotava già san Giovanni Paolo II nella Centesimus
annus – che “la domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé cosa
legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con
questa fase storica... Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è
necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del
suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali... È, perciò,
necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei
consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di
responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre
che il necessario intervento delle pubbliche Autorità” (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica
Centesimus annus, n. 32).
 Da quanto esposto ne deriva, in modo chiaro che, oggi, l’impresa e l’imprenditore a capo
dell’azienda non possono operare come fossero circoscritti nei soli limiti del bilancio aziendale ma
devono tener conto di ciò che l’attività dell’impresa genera a carico della società e degli individui
che la compongono, operando secondo principi che abbiano un preciso e fermo riferimento a valori
antropologici per una crescita giusta ed armonica del bene comune che – non dobbiamo
dimenticarlo! - non è mai la semplice sommatoria dei beni particolari.
 In tale contesto va segnalato anche un ultimo aspetto che sottopongo alla vostra attenzione. Lo
traggo da un’analisi pubblicata nei giorni scorsi dal Sole 24 Ore e che osservava come “un dibattito
globale sulla necessità per le imprese di ripensare la propria responsabilità e incorporare
esplicitamente obiettivi di impatto sociale nel proprio core business” in questi ultimi tempi sia
sempre più rilevante. Lo stesso Manifesto 2020 di Davos - “Davos Manifesto 2020: the universal
purpose of a company in the fourth industrial revolution” -, del resto, spinge i grandi capitali
internazionali verso “un'agenda di transizione” verso il cosiddetto stakeholder capitalism,
connotato appunto dalla necessità di rispondere ad una ampia comunità di portatori di interessi e
non solo agli azionisti.

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Sulla necessità, poi, che si rivedano e si superino anche certe separazioni o distinzioni troppo
rigide nello stesso mondo economico ed imprenditoriale - nell’ottica di una responsabilità sociale
d’impresa sempre più avvertita e praticata - c’è anche da tener presente un’interessante riflessione
di Papa Francesco espressa in quell’intervista rilasciata poco più di un anno fa al Sole 24 Ore:
“Un'etica amica della persona tende al superamento della distinzione rigida tra realtà votate al
guadagno e quelle improntate non all'esclusivo meccanismo dei profitti, lasciando un ampio
spazio ad attività che costituiscono e ampliano il cosiddetto terzo settore. Esse, senza nulla togliere
all'importanza e all'utilità economica e sociale delle forme storiche e consolidate di impresa, fanno
evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione delle responsabilità da parte dei
soggetti economici. Infatti, è la stessa diversità delle forme istituzionali di impresa a generare un
mercato più civile e al tempo stesso più competitivo” (Papa Francesco, Intervista al Sole 24 Ore, 7
settembre 2018).
 Ricordo, infine, come l’enciclica Laudato si’ richieda espressamente un cambiamento negli stili di
vita così da poter incidere su chi detiene il potere politico, economico e sociale, rimarcando la
responsabilità sociale dei consumatori (cfr. Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n. 207). E
tutti – lo sappiamo bene – siamo, in diverso modo e a vario titolo, consumatori.

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Intervento

Enrico Marchi, Presidente Gruppo Save Spa

Buongiorno a tutti, Grazie Vincenzo,

Quando abbiamo parlato per questo incontro, mi era stato proposto un intervento di 30 minuti ma
pensando che fossero troppi ho detto 15 erano sufficienti. Domenica pomeriggio invece quando ho
cominciato a riflettere su tutto quello che facciamo, ho visto che avevo così tante cose da dire che
forse avrei fatto bene ad accettare i 30 minuti, quindi chiedo venia se magari sforerò di qualche
minuto.

E’ che nella vita professionale capita spesso di parlare di risultati, di ricavi costi ecc, mentre oggi
parliamo di un tema almeno altrettanto importante, se non più, perché la responsabilità sociale è uno
dei concetti fondanti su cui si basa la costruzione e la vita di un’azienda, è uno dei pilastri su cui poi
si costruiscono i numeri.

È un tema di cui si parla con maggior frequenza, ma non è un tema solo di oggi, abbiamo per
esempio nel nostro recente passato esempi illustri di imprenditori sia nel privato che nel pubblico,
che hanno avuto chiaro cosa significa questo concetto è l’hanno tradotto in pratica nella loro opera:
penso ad Adriano Olivetti o, per restare in Veneto, a Gaetano Marzotto (abitazioni per i dipendenti,
assistenza sanitaria e i villaggi alpini e al mare per le vacanze, il dopolavoro e i centri ricreativi),
insomma un antesignano di quello che oggi si definisce welfare aziendale che anche noi in Save,
come poi vedremo, pratichiamo da molti anni. O ancora Enrico Mattei che pure se è stato un
“imprenditore pubblico” a volte criticato per la disinvoltura, diciamo così, che le regole dell’epoca
gli permettevano, è stato anche lui all’avanguardia in tema di attenzione ai territori dove Eni
lavorava o ai dipendenti del gruppo (io stesso, avendo mio papà che lavorava in un’azienda del
gruppo Eni, la Lanerossi, ho imparato a sciare nel villaggio fatto costruire proprio da Mattei sopra
Borca di Cadore a pochi passi da Cortina, tra l’altro con un’architettura che ancor oggi non ha perso
di attualità).

Detto questo, vorrei anche ribadire un concetto fondamentale: c’è chi pensa che un imprenditore
abbia come primo obiettivo il profitto: niente di più sbagliato. Io ho sempre pensato che il profitto
non è un obiettivo bensì la conseguenza di un lavoro ben fatto. Oppure come diceva Leopoldo
Pirelli, il profitto è la misura dell’efficienza dell’impresa. Gli obiettivi invece, sono prodotti e
servizi utili al prossimo, una crescita sana, il benessere e l’equilibrio sociale.

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Se penso alla mia attività imprenditoriale posso dire di non aver mai pensato come obiettivo al
guadagno, ma (oltre a quello di vivere a Conegliano) il mio primo obiettivo era di costruire una
banca di investimenti per aiutare nello sviluppo aziende e territorio. Poi, a un certo punto quando ho
cominciato ad interessarmi all’aeroporto, dare orgoglio al Veneto di avere degli aeroporti all’altezza
della propria storia (missione cardinale Roncalli).

Tutto questo anche nella consapevolezza di quella frase del Vangelo di Luca che uno dei nostri più
grandi statisti, Alcide De Gasperi, amava ricordare spesso e che dice “a chi fu dato molto sarà
chiesto molto a chi fu affidato molto sarà chiesto ancora di più”.

Prima di entrare nel merito specifico dell’incontro di oggi, alcuni dati di inquadramento generale.
Nel 2019 il Polo Aeroportuale del Nord Est, comprensivo degli aeroporti di Venezia, Treviso,
Verona e Brescia, ha gestito 18,5 milioni di passeggeri.

Al centro del Sistema vi è l’aeroporto di Venezia, terzo gateway intercontinentale nazionale, dove
operano 50 compagnie aeree per oltre 115 destinazioni, 10 delle quali di lungo raggio. L’impatto
occupazione diretto del Marco Polo corrisponde a circa 10.000 occupati, a cui si aggiungono i 2.500
dell’aeroporto di Treviso. Attraverso il metodo di calcolo elaborato da Airports Council
International, abbiamo calcolato l’impatto occupazionale complessivo e gli effetti sul PIL generati
sul territorio dagli aeroporti di Venezia e Treviso: per il 2019 sono stati pari a oltre 30 mila posti di
lavoro, con un PIL di quasi 1,5 milioni di euro.

Ma vediamo come si traduce in Save nei fatti, il concetto di responsabilità sociale in alcuni ambiti
come: attenzione ai dipendenti, sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale.

È un punto d’orgoglio per la nostra Società aver sempre salvaguardato l’occupazione, anche nei
momenti peggiori. Prendiamo la crisi 2008-2001, anche in quel periodo difficile non abbiamo
operato nessun licenziamento, né utilizzato ammortizzatori sociali. Per noi l’impresa è una
comunità, che pensa ai lavoratori e alle loro famiglie e che trasmette valori.

Save poi è stata una delle prime società italiane a varare programmi di welfare aziendale, come si
chiama oggi. Io ci credo molto.

Nel 2012 è stato sottoscritto il primo accordo sindacale per l’introduzione di strumenti volti a
favorire il benessere dei dipendenti del Gruppo e delle loro famiglie. Tra questi, la contribuzione a
forma di previdenza complementare, l’integrazione della polizza sanitaria contrattuale, i rimborsi
per la frequenza dei familiari a percorsi di educazione, per l’accesso ai servizi di assistenza per i
familiari anziani o non autosufficienti, per le attività ricreative/culturali e per l’utilizzo dei mezzi

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pubblici per recarsi al lavoro. A tutto ciò si aggiungono le varie convenzioni stipulate con enti
diversi, i permessi per le visite specialistiche e l’orario flessibile di ingresso.

Nel 2019 il Gruppo SAVE ha proseguito e arricchito con nuove iniziative il piano aziendale di
welfare, introducendo fra le altre un’importante novità in tema di benessere del personale,
focalizzandosi soprattutto su tematiche di salvaguardia dei lavoratori da comportamenti lesivi della
persona, introducendo in azienda l’incarico di Consigliere di Fiducia, assegnato a un soggetto terzo
ed indipendente nonché garante di neutralità, riservatezza ed indipendenza. Una figura di matrice
europea relativa alla “Tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro”, ancora poco
presente nelle aziende.

Si tratta nel nostro caso di una consulente chiamata a prevenire, gestire e risolvere efficacemente i
casi di molestie, mobbing e discriminazioni; si rivolge a quanti, tra il personale, collaboratori,
stagisti del Gruppo vogliano affidarsi in via riservata ad un soggetto terzo, presso il quale trovare
ascolto ed eventualmente ottenere supporto ed assistenza nella risoluzione delle dinamiche
lavorative che determinino l’insorgere di situazioni di disagio.

Il progetto della Consigliera di Fiducia ha comportato l’assegnazione a SAVE per la seconda volta
consecutiva del premio Welfare Index PMI per la categoria Commercio e Servizi durante la quarta
edizione dell’evento svoltosi lo scorso marzo presso il Salone delle Fontane dell’EUR.

La sostenibilità sociale. Sostegno attività sportive, culturali, sociali

Un altro ambito nel quale si esprime il nostro concetto di responsabilità sociale consiste nel
sostegno ad attività culturali, sportive e sociali a livello sia locale che nazionale, attraverso
erogazioni a favore di manifestazioni sportive, eventi finalizzati a salvaguardare il patrimonio
artistico e culturale, erogazioni liberali e sponsorizzazioni a favore di iniziative a scopo sociale,
contributi ad associazioni e a progetti nel campo della ricerca.

Tra questi voglio sottolineare nel campo della cultura:

Cultura

Socio sostenitore della Fondazione Teatro La Fenice dal 2008

Sostenitore del Premio Campiello

Sostenitore dell’attività della Venice International Foundation

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Nel campo dello sport siamo

Sport

Sponsor della Venice Challenge Cup di tennis dall’anno 2011

Sponsor del settore maschile e giovanile della Reyer

Official Hub delle Nazionali di calcio (non solo brand, ma interesse sportivi sul territorio)

Sociale

Sostegno a Caritas, Associazione Mestre Benefica, Parrocchia di Tessera, Fondazione Alvise
Marotta, programmi per passeggeri affetti da autismo.

La sostenibilità ambientale

La tutela dell’ambiente è un tema fondamentale per un aeroporto e il Gruppo si impegna nel
mantenere un dialogo costante con il territorio nella convinzione che, attraverso il coinvolgimento
delle comunità locali, si possa far conoscere e apprezzare nel tempo il nostro lavoro. L’obiettivo che
si pone SAVE, data la propria importanza per l’intera area del Nord Est, è quello di coinvolgere le
comunità locali in un dialogo fluido e costante sui progetti e le attività elaborate in coerenza con le
trasformazioni territoriali pianificate per illustrare le prospettive di crescita/sviluppo (spesso si
temono cose che non si conoscono).

Al fine di intensificare il dialogo con il territorio, da diversi anni SAVE ha costituito un Tavolo
Territoriale con associazioni e istituzioni locali.

Gli incontri del Tavolo Territoriale hanno come obiettivo lo scambio di informazioni e momenti di
confronto su progetti che trasformeranno l’Aeroporto Marco Polo nel corso dei prossimi anni in una
“città aeroportuale”, fulcro di un insieme coordinato di servizi e polo di riferimento (non so se
sapete che già oggi è presente una rappresentanza del Consolato USA a Venezia in Aeroporto). Un
passaggio progressivo, programmato sulla base di un Master Plan che costituisce uno strumento di
pianificazione imprescindibile per uno sviluppo equilibrato e funzionale, rispettoso delle specificità
ambientali dello scalo veneziano. E come ogni città abbiamo anche il “Municipio di Marco Polo
City”

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Le riunioni del Tavolo Territoriale hanno tra l’altro portato all’individuazione e alla condivisione
della maggior parte degli interventi di mitigazione/compensazione inseriti nello Studio di Impatto
Ambientale dell’Aeroporto di Venezia.

Dal 2015 l’Aeroporto di Venezia è neutro rispetto alle emissioni di CO2 e certificato al massimo
livello 3+ secondo il programma volontario Airport Carbon Accreditation.

In Europa sono 40 gli aeroporti accreditati al livello 3+, 49 nel mondo, su un totale di 266 aeroporti
certificati ai vari livelli.

Nel 2018 anche l’Aeroporto Antonio Canova di Treviso ha ottenuto la certificazione Neutrality 3+.

Circa il 75% dell’energia elettrica necessaria al funzionamento del Marco Polo viene autoprodotta,
la restante quota è acquistata dalla rete e proviene da fonti rinnovabili. L’energia autoprodotta
deriva prevalentemente dalla centrale di trigenerazione inaugurata nel 2016, la quale produce anche
parte dell’energia termica e frigorifera, recuperando il calore prodotto dal processo di produzione di
energia elettrica. Una parte di energia elettrica è prodotta da oltre 7000 pannelli fotovoltaici
distribuiti in aeroporto. Impianti innovativi ed energia pulita raggiungono gli obiettivi di incremento
del rendimento energetico, riduzione dei consumi e riduzione di emissioni di C02.

Tra le azioni più recenti messe in atto da SAVE, vi sono la sostituzione delle luci del terminal con
tecnologia a LED, che ha portato ad una riduzione di circa 250 tonnellate di CO2, e l’introduzione
di motori a basso consumo nell'impianto di movimentazione bagagli, con conseguente ulteriore
riduzione di 50 tonnellate. Dal 2011, anno base di valutazione, l’indice KPI (chilogrammi di C02
per passeggero) è sceso da 2,02 a 1,61, una diminuzione di tonnellate di CO2 pari al 20%,
nonostante la costante crescita dei passeggeri.

È in corso inoltre un processo di sostituzione dei veicoli dell’aeroporto con modelli ibridi o elettrici.
Per agevolare anche gli operatori aeroportuali ad intraprendere il percorso verso una mobilità più
sostenibile, all’interno del sito aeroportuale sono stati dislocati diversi punti di ricarica dedicati.

L’impegno per l’ambiente si esprime nell’adesione a “net zero emissions by 2050” sottoscritta a
Cipro a giugno 2019 nel corso della 29^ Assemblea generale di ACI Europe. SAVE si è data
l’obiettivo di anticipare tale scadenza al 2035.

L’Aeroporto Marco Polo di Venezia è stato inoltre l’unico aeroporto italiano selezionato nel 2019
da ENEA, attraverso la propria agenzia nazionale per l’efficienza energetica, quale opinion leader
nell’ambito della campagna nazionale ItaliainClasseA finanziata dal Ministero per lo Sviluppo

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Economico. Si tratta di una campagna che svolge attività di formazione e informazione per
accrescere la consapevolezza dei consumatori sulle azioni da intraprendere per favorire la riduzione
dei consumi energetici e creare condizioni favorevoli per una crescita sostenibile.

Il dialogo con le scuole

Nel 2019 infine il Gruppo SAVE ha avviato un dialogo con le scuole del territorio incentrato
sulla divulgazione delle attività di sostenibilità. Lo scorso novembre, in occasione della
Giornata internazionale dell’Albero, 100 bambini hanno piantato al Marco Polo cento alberi,
dando inizio ad un’opera di mitigazione a favore del limitrofo abitato di Tessera. Il percorso
didattico proseguirà con incontri che toccheranno diverse aree tematiche, quali la produzione di
energia pulita, il risparmio energetico e la gestione dei rifiuti.

Fin qui abbiamo parlato di SAVE, io però nella mia attività imprenditoriale mi divido tra Save
appunto e Banca Finint, un settore, quello della finanza non semplice, specie in questi anni. E allora
permettetemi di concludere con qualche considerazione di come si possa tradurre il concetto di
responsabilità sociale anche in finanza. Dobbiamo infatti distinguere la finanza speculativa fine a sé
stessa e la finanza buona; quella che è strumento per la crescita delle aziende, delle persone e dei
territori. E’ la distinzione che ne ha fatto un grande banchiere Raffaele Mattioli alla fine degli anni
40 in una celebre lettera all’allora capo del PCI Palmiro Togliatti in cui parlava appunto di finanza
buona e finanza cattiva.

Ebbene anche in Banca Finint (un gruppo che conta oltre 400 dipendenti) noi diamo grande
attenzione ai nostri collaboratori, ma non solo, cerchiamo di contribuire a migliorare la qualità della
vita nel nostro territorio, aiutando la cultura (che come diceva ancora Raffaele Mattioli serve a dare
un’anima ai numeri) aiutando lo sport e prestando attenzione a tutto ciò che può far crescere le
nostre zone. E ancora per esempio ci occupiamo di riqualificazione urbana attraverso progetti di
social Housing che permettono di trovare casa a persone meno abbienti.

In conclusione spero di avervi dato un quadro di cosa sia la responsabilità sociale per un
imprenditore, e voglio concludere con un concetto di Joaquin Navarro-Valls (storico direttore della
sala stampa vaticana con Papa Wojtyla): che ha scritto che “il senso ultimo del lavoro non riposa
tanto in ciò che dal lavoro si può ottenere, ma in ciò che col lavoro possiamo divenire noi stessi e in
ciò che col lavoro possiamo migliorare degli altri”.

Grazie.

                                                                                                          18
Relazione

Domenico Noviello, Presidente Eni Foundation

Introduzione

Gentili colleghi, ospiti, signore e signori,

Sono molto lieto di essere qui con voi e ringrazio tutti per l’invito.

Mi chiamo Domenico Noviello, sono un dirigente Eni e Presidente di Eni Foundation.

La mia testimonianza riguarda una grande impresa come Eni, il suo percorso distintivo, il suo
modo di essere impresa e di operare come Impresa Responsabile.

Ci tengo a ricordare a tutti che Eni è una società italiana, una grande Energy Company a chiara
vocazione internazionale, solida sotto il profilo finanziario, con molta tecnologia, tante riserve di
petrolio e gas e un patrimonio di competenze nelle risorse umane che sono tra le poche al mondo.

Operiamo in 67 Paesi - oltre 30.000 donne e uomini lavorano per noi in tutto il mondo.

Eni è molto impegnata nella transizione energetica che ci vede tutti focalizzati verso le energie
alternative; per questo stiamo realizzando importanti progetti come la riconversione delle Raffinerie
in Bio Raffinerie per produrre biocarburanti a basso impatto ambientale e la costruzione di impianti
di piccole dimensioni che trasformano i rifiuti organici urbani in energia.

Nel settore della raffinazione siamo attivi in Italia e in Germania e abbiamo aperto una nuova fase
di crescita per la nostra raffinazione grazie all’acquisizione strategica del 20% della Raffineria di
Ruwais ad Abu Dhabi.

In Italia, abbiamo convertito la Raffineria di Venezia in bioraffineria (primo esempio al mondo di
questo tipo di trasformazione) per produrre, come vi dicevo, combustibili più puliti di alta qualità e
stiamo ultimando un analogo progetto di riconversione in bioraffineria della Raffineria di Gela.

Vengo quindi al tema della Responsabilità Sociale d’Impresa che, badate bene, non è una scoperta
recente.

                                                                                                         19
Per quanto ci riguarda, è parte integrante del modo di operare dell'Eni. Il nostro obiettivo è da
sempre quello di coniugare competitività con responsabilità. È un impegno volto a perseguire
crescita, innovazione e risultati, prestando sempre grande attenzione alla qualità della vita, ai diritti
umani e allo sviluppo sostenibile.

Questo impegno si ritrova nei principi, nelle politiche e nei comportamenti manageriali che
caratterizzano l’operato di Eni, comportamenti tesi a promuovere una "cultura della
responsabilità e della sostenibilità" finalizzata a rafforzare la fiducia nell’Eni da parte di tutti i
suoi principali stakeholder: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, partner commerciali e finanziari,
istituzioni, organizzazioni non governative e le numerose comunità con le quali il Gruppo
interagisce.
I concetti di “Responsabilità sociale d’impresa” e di “Sostenibilità” si intrecciano e sono
interconnessi. Entrambi coinvolgono un’ampia varietà di temi, economici, sociali, istituzionali,
ambientali. Sono espressi nei 17 obiettivi di sviluppo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Il concetto di sviluppo sostenibile, come sapete, occupa un ruolo centrale nel dibattito sugli scenari
e nella definizione dei modelli di crescita per i prossimi decenni. L’evoluzione della nostra società,
degli stili di vita e dei comportamenti individuali deve considerare una serie di tematiche – la tutela
dell’ambiente, la formazione e conservazione della ricchezza, l’equità sociale – in un’ottica che
includa e integri anche i diritti delle generazioni future.

Nel mondo dell’economia globale tutti i principali rappresentanti della società civile, governi,
istituzioni, comunità, imprese, sono chiamati a impegnarsi in uno sforzo comune, pur con le
necessarie ed evidenti differenze di identità, di ruoli e di finalità.

In questo contesto, le imprese, sottoposte in misura sempre più ampia alla valutazione di mercati,
istituzioni e società civile, devono orientare i loro comportamenti secondo un percorso di
responsabilità e sostenibilità del proprio agire.

Questo nuovo modello di riferimento rappresenta fra l’altro per il sistema produttivo italiano una
grandissima opportunità: più crescita con misure ad hoc da destinare all’economia circolare,
secondo il paradigma delle quatto “R”: “riduzione”, “riutilizzo”, “riciclo” e “recupero”.

Paradigma in grado di valorizzare le caratteristiche distintive e il DNA delle PMI italiane che
costituiscono l’ossatura del sistema industriale italiano.

Vi invito in proposito a leggere il Rapporto della Fondazione per la sussidiarietà “Sussidiarietà e
PMI per lo sviluppo sostenibile”, di recente pubblicazione.

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Ma non solo alle PMI sto pensando. Il riferimento è anche al documento della Business Roundtable
   americana del 19 agosto scorso sottoscritto da 181 imprese e manager della Corporate America (JP
   Morgan, Apple, Amazon, etc.): Basta con la dittatura dello “Shareholders Value” sembra
   concludere il documento, l’utilità sociale di un’azienda va oltre i suoi bilanci.

   I marchi più affermati e i capitalisti più attenti all’evoluzione della società e al mutamento dei
   costumi hanno compreso che il valore di un’azienda oltre che dai bilanci viene misurato
   dall’opinione pubblica, dai dipendenti, dai fornitori, dalle comunità in cui opera.

   La posizione ha suscitato molto interesse e altrettanto scetticismo.

1. La nuova mission Eni e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite

   A settembre scorso, Eni ha lanciato la nuova mission aziendale per riflettere l’integrazione della
   sostenibilità nel business.

   La mission, che prende ispirazione dai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni
   Unite, mette in luce i valori di Eni relativi al clima, all’ambiente, all’accesso all’energia, alla
   cooperazione, alle partnership per lo sviluppo, al rispetto delle persone e dei diritti umani.

   La mission porta al massimo livello i principi alla base del modello di business dell’azienda, che si
   focalizza su investimenti – sia dal punto di vista di business che da quello sociale – a lungo termine,
   andando oltre la dimensione del profitto a breve termine.

                                                                                                             21
Il modello guida l’integrazione della sostenibilità in tutte le attività aziendali e ha particolare
riguardo, oltre che per clima e ambiente, anche per le persone, concentrandosi sullo sviluppo, sulla
crescita, sulla valorizzazione e formazione delle proprie risorse, considerando la diversità come
opportunità.

Consapevolezza, Valori e Responsabilità sono alla base del nostro agire.

La nostra nuova mission è sempre più contestualizzata in un mondo che affronta una duplice sfida:
la sempre della crescente domanda di energia e la lotta al cambiamento climatico.

Ricordo infine che Eni è stata inserita, quest’anno per la prima volta, nel Top 10 delle aziende con
la migliore reportistica sulle performance di sostenibilità, come si evince dall’analisi del World
Business Council for Sustainable Development (WBCSD).

                                                                                                       22
L’edizione di quest’anno, pubblicata a metà ottobre, ha coinvolto 159 importanti aziende
   provenienti da 34 Paesi.

   Eni è indicata come esempio di best practice per il principio di “conciseness and alignment” e per
   essere stata capace di creare un riassunto online conciso e coerente che riassume in maniera efficace
   le iniziative di sostenibilità e spiega la strategia dell’azienda in maniera chiara ed esaustiva.

   Il rapporto sottolinea in particolare come avere un volume totalmente dedicato alla strategia di
   decarbonizzazione permette a Eni di affrontare questa tematica nel dettaglio senza andare a scapito
   degli altri temi legati alla sostenibilità.

2. Eni Foundation – La costituzione

   In linea e per dare attuazione a quanto vi ho illustrato prima, vi informo che Eni già nel 2006 ha
   costituito una propria fondazione – Eni Foundation - per promuovere e realizzare autonomamente,
   in Italia e nel mondo, iniziative di solidarietà sociale e umanitaria nei settori dell’assistenza,
   della sanità, dell’educazione, della cultura e dell’ambiente rivolgendosi in particolare alle fasce
   di popolazione più vulnerabili tra cui i bambini e i soggetti più fragili e indifesi.

   In coerenza con il patrimonio di valori che da sempre caratterizza l’operato di Eni, Eni Fondazione
   in linea con i valori del Codice Etico, opera nel quadro di riferimento della Dichiarazione
   Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, delle Convenzioni fondamentali dell’ILO e delle
   Linee Guida dell’OCSE.

   Eni Foundation è una fondazione di impresa a carattere operativo, che per raggiungere gli
   obiettivi assegnati adotta un approccio proattivo, incentrando la propria attività su iniziative
   progettate e realizzate in autonomia.

   Tutti gli interventi di Eni Foundation sono ispirati ai principi di:

   •       analisi e comprensione del contesto di riferimento;
   •       comunicazione trasparente con gli Stakeholder;
   •       visione e impegno di lungo termine;
   •       diffusione e condivisione di risultati e conoscenze.

                                                                                                           23
La Fondazione attua interventi e realizza progetti volti a tutelare la salute e promuovere il benessere
dei bambini, degli adolescenti e degli anziani, a migliorarne la qualità della vita e a mitigare
fenomeni di disagio e di esclusione sociale.

Nei primi anni di attività, la Fondazione ha concentrato i propri sforzi sul tema della salute
dell’infanzia, una sfida che riguarda soprattutto i Paesi in via di sviluppo dove Eni ha una presenza
operativa, focalizzando l’attenzione sulle principali malattie endemiche e patologie che colpiscono i
minori e ne compromettono la crescita.

Ma i temi e gli ambiti di intervento sono molti e hanno riguardato negli anni l’acqua, la corretta
nutrizione, la sicurezza alimentare, il miglioramento delle tecniche agricole, le attività di
formazione, la sensibilizzazione e la cultura.

In relazione a questi obiettivi, Eni Foundation attiva collaborazioni e partnership, sia nelle fasi
progettuali che di realizzazione, con associazioni non governative, agenzie umanitarie, istituzioni e
amministrazioni locali. I partner vengono selezionati in base a specifiche e comprovate capacità e
competenze negli ambiti di interesse e in funzione della complessità dei progetti da realizzare.

Per darvi una idea concreta vi illustrerò i principali e più recenti progetti realizzati e poi per darvi
un’idea più concreta, vi farò vedere un breve video.

                                                                                                           24
3. Eni Foundation – I Progetti

                                                 Eni Foundation

              Paesi                                           Progetti sanitari

             Ghana                Rafforzamento dei servizi di medicina primaria infantile e materna
           Mozambico              Rafforzamento dei servizi di emergenza infantile nel distretto di
                                  Palma
             Angola               Rafforzamento dell’assistenza sanitario-nutrizionale a favore della
                                  popolazione materno-infantile a Luanda
     Repubblica del Congo         Rafforzamento dell’assistenza sanitaria a favore dell’infanzia nelle
                                  aree rurali;
                                  Prevenzione della trasmissione dell’HIV-AIDS da madre a figlio
           Indonesia              Prevenzione e cura della labiopalatoschisi
           Myanmar                Rafforzamento dei servizi nutrizionali e programmi di
                                  immunizzazione
             Egitto               Rafforzamento dei servizi di assistenza e cura delle ustioni

                                    TOTALE PAESI DI PRESENZA: 7

                                  TOTALE PROGETTI REALIZZATI: 7

                                   TOTALE PROGETTI IN CORSO: 1

   Ghana
   Il Ghana mantiene la propria posizione di secondo Paese più popolato dell’Africa Occidentale dopo
   la Nigeria. Secondo l’ultimo Demographic Health Survey, il tasso di mortalità dei bambini sotto i 5
   anni è di 60 ogni 1.000 nati e il tasso di mortalità materna è di 319 ogni 100.000.

                       Tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni: 60 ogni 1.000 nati

                            Tasso di mortalità materna: 319 ogni 100.000 nati

                                                                                                         25
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