Verso l'adesione! - Azione Cattolica Pavia

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Azione Cattolica di Pavia                                                  Adesione 2020

Introduzione
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello
stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di
confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti.
[…] La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e
superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le
nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e
abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra
comunità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui
mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta
scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non
possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Ci chiami a cogliere questo tempo di
prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio:
il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario
da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e
verso gli altri. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli,
scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa
sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza,
avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e
nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come
affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e
stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di
tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.”
                                                                             Papa Francesco

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Rieccoci tutti. Ancora sulla stessa barca. Pronti a dare volta, a ​ripartire​, legando
saldamente una cima ad un sostegno in modo che non si sciolga, per mettere in
sicurezza la barca. Siamo protagonisti di una storia che ne racchiude tante altre. Siamo
figli di un vissuto che ci ha segnati. Siamo qui, ancora fragili e disorientati ma pronti a
ripartire, a navigare insieme. Sì, siamo pronti anche se le parole mancano. Siamo pronti
nello sguardo. Si vede!
Gli occhi, lo sguardo, sono la parte del volto che resta scoperta quando indossiamo la
mascherina. E sebbene il suono delle parole arrivi smorzato al destinatario, lo sguardo
non è soggetto a filtri. Oggi, più di prima, lo sguardo è per noi incontro, avvicinamento,
espressione, parola.
I nostri sguardi sono più intensi. Facciamoci caso. Ci indicano l’intensità della relazione,
della confidenza. Ci permettono di dire «Posso entrare?, sono qui con te». Con lo
sguardo possiamo parlare, senza sentire il bisogno delle parole. Comunicare e ricevere
comunicazione. Intavolare discorsi facendo silenzio.
Con questa intensità maggiore siamo chiamati a guardare, ​esplorare​, riconoscere la
realtà. Una realtà abitata dal prossimo: uno sguardo una storia.

Siamo chiamati a tenere gli occhi aperti, a riconoscerci dagli sguardi e a riconoscerci
negli sguardi di coloro che sono con noi sulla stessa barca.
Perché in fin dei conti lo sguardo e la barca sono luoghi di incontro. Luoghi nei quali
facciamo esperienza dell’altro; esperienze comuni come la fragilità e il limite, il
riconoscersi ‘‘insieme creature’’ e il farsi dono.

Siamo chiamati ad abitare lo sguardo, siamo chiamati ad abitare la barca. Ad abitare, a
star dentro questi luoghi. ​Scegliere di stare: scegliamo di guardare da dentro la barca il
mare del futuro presente, scegliamo di guardare negli occhi l’altro e di navigare insieme,
scegliamo di rinnovare la nostra presenza nel viaggio con l’associazione.

È proprio in questi luoghi che ci sentiremo accolti e mai soli, già pronti a salpare… a vele
spiegate!

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Per iniziare
Quest’anno siamo chiamati a reinventarci, a non fermarci e a trovare nuovi modi per
dare continuità alle nostre consuetudini.
Tra pochi giorni rinnoveremo il nostro ​Sì ​di ​adesione all’Azione Cattolica e per questo
proponiamo a tutti gli associati e agli amici vicini un ​percorso di riflessione ​che ha il
sapore della Settimana dello Spirito che tanti di noi ricorderanno. L’abbiamo intitolata ​A
vele spiegate… Verso l’adesione!
Questo materiale comune, pensato per tutte le fasce d’età, ci accompagnerà lungo
tutta la settimana, scandendo le giornate per entrare in sintonia con il Signore e tra di
noi.
Il percorso inizia lunedì 23 novembre e terminerà domenica 29 novembre​, quando ci
riuniremo insieme, online, per celebrare un piccolo momento di Adesione comune.
Tre verbi scandiranno la nostra settimana ed occuperanno due giorni ciascuno: ​ripartire
(lunedì e martedì), ​esplorare ​(mercoledì e giovedì) e ​scegliere ​(venerdì e sabato).
Ogni primo giorno ci faremo provocare e guidare dai nostri assistenti che, prendendo
spunti da brani della Bibbia, proporranno una riflessione su ogni verbo. Troverete il
testo di riferimento in questo opuscolo e il video sul nostro sito
www.azionecattolicapavia.it​ , al link indicato nelle pagine successive.
Ogni secondo giorno, invece, ci faremo accompagnare da brani, canzoni, attività
pensate ad hoc per ogni settore. Troverete tutto il materiale nelle pagine successive.
Abbiamo inoltre creato una ​bacheca virtuale ​dove condividere i motivi per cui scegliamo
di aderire all’Azione Cattolica, ma anche pensieri, riflessioni, commenti scaturite dalle
attività proposte nella settimana, in forma anonima o firmandosi. Lo trovate a questo
link: ​https://padlet.com/micolboriotti/avelespiegate
Vi auguriamo, quindi, ​buona settimana​: dedichiamo uno spazio di tempo e di cuore a
questo momento, lasciamoci interrogare e provocare, sarà bello pensarci tutti insieme,
riuniti sotto lo stesso percorso.

                                                                  La Presidenza Diocesana

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         Segui le icone…

                            La barchetta
                            identifica il percorso per i ​ragazzi dell’ACR

                            La barca a vela
                            identifica il percorso per i ​giovani

                            Il veliero
                            identifica il percorso per gli ​adulti

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                                  RIPARTIRE

Ripartire non è strategia. Non si riparte anzitutto programmando, ma provando a
convertirci. Gesù, davanti all’imprevisto dell’incomprensione, riparte da capo: dal
chiamare per nome, dall’avvicinarsi e dal lasciarsi avvicinare. Quella che gli apostoli
vivono è una esperienza di vocazione, che sempre si rinnova nel tempo della sequela e
della missione: “siamo sempre discepoli-missionari”. Ripartire è tornare alla sorgente; è
rinnovare le ragioni di un’alleanza. È permettere alla voce del Signore di raggiungerci
nuovamente.

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Lunedì 23 novembre

Don Lorenzo Mancini, Assistente Giovani e MSAC, ci guida nella riflessione sulla
ripartenza ​prendendo spunto da un brano del Deuteronomio.

        Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto
         percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e
        metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu
      avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti
        ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non
      conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti
      capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di
                      quanto esce dalla bocca del Signore.

                             Deuteronomio (Dt 8, 2-3)

Possiamo ascoltare la riflessione di Don Lorenzo nel video a questo link:
http://www.azionecattolicapavia.it/adesione-20/percorso-adesione/materiale-assistenti/

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Dopo un momento personale di riflessione, recitiamo da soli o con la nostra famiglia
questa preghiera:

Signore Gesù,

apri il nostro cuore all’ascolto della tua Parola.

Rendici disponibili alla tua chiamata.

Aiutaci a rinnovare e a purificare il “perché” del nostro impegno.

Fa che non ci stanchiamo di tornare da te

ogni volta che sperimentiamo la nostra debolezza.

Aiutaci a vivere e ad accogliere ogni imprevisto

come opportunità per incontrarti, riascoltarti,

ripartire da Te e con Te.

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Martedì 24 novembre

Oggi ti proponiamo di ascoltare questa canzone, s’intitola ​Buon viaggio​, di Cesare
Cremonini. Puoi cercarla su YouTube e ascoltarla insieme alla tua famiglia.
Quale frase ti ha colpito di più e perché? Diccelo qui:
https://padlet.com/stefanolanterna01/ACR

Buon viaggio                                         E per quanta strada ancora c'è da fare
Che sia un'andata o un ritorno                       amerai il finale
Che sia una vita o solo un giorno                    Share the love, share the love
Che sia per sempre o un secondo                      Il mondo è solo un mare di parole
L'incanto sarà godersi un po' la strada              E come un pesce puoi nuotare solamente
Amore mio, comunque vada                             quando le onde sono buone
Fai le valigie e chiudi le luci di casa              E per quanto sia difficile spiegare
Coraggio, lasciare tutto indietro e andare           Non è importante dove, conta solamente
Partire per ricominciare                             andare
Che non c'è niente di più vero di un miraggio        Comunque vada, per quanta strada ancora
E per quanta strada ancora c'è da fare               c'è da fare
amerai il finale                                     Share the love, share the love
Share the love, share the love                       Buon viaggio
Chi ha detto che tutto quello che cerchiamo          Che sia un'andata o un ritorno
Non è sul palmo di una mano                          Che sia una vita o solo un giorno
E che le stelle puoi guardarle solo da lontano       (Share the love, share the love)
Ti aspetto dove la mia città scompare                E siamo solo di passaggio
E l'orizzonte è verticale                            Voglio godermi un po' la strada
Ma nelle foto hai gli occhi rossi e vieni male       Amore mio comunque vada
Coraggio, lasciare tutto indietro e andare           (Share the love, share the love)
Partire per ricominciare                             (Share the love)
Che se ci pensi siamo solo di passaggio              Buon viaggio...

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Ripartire​ a volte può essere molto difficile. Per mostrarvi come si può ripartire nella
vita vi proponiamo l’esempio di questa Band che lo ha fatto alla grande!

“Ma questo è il mio viaggio
Un' onda perfetta
Dove tutto combacia
Anche quando non sembra
Dove ogni mattino
è una pagina bianca
Di un nuovo destino
Di un nuovo cammino”

The Sun - Onda perfetta

I The Sun sono un gruppo ​roc​k italiano originario di ​Thiene​, in ​provincia di Vicenza​. Il
gruppo è il risultato dell'evoluzione artistica della band Sun Eats Hours, attiva dal ​1997​.

Hanno raggiunto un successo internazionale, che ha permesso loro di affermarsi tra i
gruppi punk rock della ​scena italiana di inizio millennio, fama che nel 2004 ha valso loro
il riconoscimento da parte del ​M.E.I. di "Migliore punk band italiana all'estero"; hanno
preso parte a centinaia di tour e festival internazionali, facendo da spalla a gruppi
affermati della scena punk mondiale, e venduto più di venticinquemila copie di CD.
Nel 2009, in seguito a una svolta spirituale, hanno cambiato il nome in The Sun e sono
diventati una delle formazioni più influenti del ​christian rock​, arrivando a suonare
davanti a papa ​Papa Francesco​ in occasione delle ​Giornate mondiali della gioventù​.
Qui sotto vi forniamo il link per accedere ad un’intervista die The Sun su TV2000, dove la
band si racconta e racconta cosa l’ha spinta a ​ripartire secondo un punto di vista tutto
nuovo.

https://drive.google.com/file/d/1iKMBwfQVs7NGrklvkHhfzDKfAyombzY_/view?usp=shari
ng

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DALL’INTERVENTO SCRITTO DA PAPA FRANCESCO PER LA RIVISTA SPAGNOLA ​VIDA
NUEVA
Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: ‘Rallegratevi” (cfr. Mt, 28, 9). Sono le prime
parole del Risorto dopo che Maria Maddalena e l’altra Maria scoprirono il sepolcro
vuoto e s’imbatterono nell’angelo. ​Il Signore va loro incontro per trasformare il loro
lutto in gioia e consolarle in mezzo alle afflizioni (cfr. Ger 31, 13). È il Risorto che vuole
risuscitare a una vita nuova le donne e, con loro, l’umanità intera. Vuole farci già iniziare
a partecipare della condizione di risorti che ci attende.
Invitare alla gioia potrebbe sembrarci una provocazione, e persino uno scherzo di
cattivo gusto dinanzi alle gravi conseguenze che stiamo subendo a causa del Covid-19.
Non sono pochi quelli che potrebbero ritenerlo, al pari dei discepoli di Emmaus, come
un gesto d’ignoranza o d’irresponsabilità (cfr. Lc 24, 17-19). Come le prime discepole che
andavano al sepolcro, viviamo circondati da un clima di dolore e d’incertezza che porta
a chiederci: “Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?” (Mc 16, 3). Come
faremo per affrontare questa situazione che ci ha completamente sopraffatti? L’impatto
di tutto ciò che sta accadendo, le gravi conseguenze che già si segnalano e
s’intravedono, il dolore e il lutto per i nostri cari ci disorientano, angosciano e
paralizzano. ​È la pesantezza della pietra del sepolcro che s’impone dinanzi al futuro e
che minaccia, con il suo realismo, di seppellire ogni speranza. È la pesantezza
dell’angoscia di persone vulnerabili e anziane che attraversano la quarantena nella più
assoluta solitudine, è la pesantezza delle famiglie che non sanno più come portare un
piatto di cibo sulla loro tavola, è la pesantezza del personale sanitario e degli addetti alla
sicurezza quando si sentono esausti e sopraffatti … quella pesantezza che sembra
avere l’ultima parola.
È tuttavia commovente ricordare l’atteggiamento delle donne del Vangelo. Di fronte ai
dubbi, alla sofferenza, alla perplessità dinanzi alla situazione, e persino alla paura della
persecuzione e di tutto ciò che sarebbe potuto accadere loro, furono capaci di mettersi
in movimento e di non lasciarsi paralizzare da quello che stava succedendo. Per amore
verso il Maestro, e con quel tipico, insostituibile e benedetto genio femminile, furono
capaci di accettare la vita come veniva e di aggirare astutamente gli ostacoli per stare
accanto al loro Signore. A differenza di molti degli Apostoli che fuggirono in preda alla
paura e all’insicurezza, che negarono il Signore e scapparono (cfr. Gv 18, 25-27), loro,
senza evadere né ignorare quello che stava accadendo, senza fuggire né scappare…
seppero semplicemente esserci e accompagnare. Come le prime discepole che, in

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mezzo all’oscurità e allo sconforto, riempirono la loro borsa di olii aromatici e si misero
in cammino per andare a ungere il Maestro sepolto (cfr. Mc 16, 1), così noi abbiamo
potuto, in questo tempo, vedere molti che hanno cercato di portare l’unzione della
corresponsabilità per accudire e non mettere a rischio la vita degli altri. A differenza di
quanti fuggirono con la speranza di salvare sé stessi, siamo stati testimoni di come vicini
e familiari si sono impegnati, con sforzo e sacrificio, a restare in casa e frenare così la
diffusione. Abbiamo potuto scoprire come molte persone che già vivevano e dovevano
subire la pandemia dell’esclusione e dell’indifferenza hanno continuato ad adoperarsi,
accompagnandosi e sostenendosi, affinché la situazione sia (o meglio, fosse) meno
dolorosa. Abbiamo visto l’unzione versata da medici, infermieri e infermiere,
magazzinieri, addetti alla pulizia, badanti, trasportatori, forze di sicurezza, volontari,
sacerdoti, religiose, nonni ed educatori e tanti altri che hanno avuto il coraggio di offrire
tutto ciò che avevano per dare un po’ di cura, calma e animo alla situazione. ​Anche se la
domanda continuava a essere la stessa: “Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del
sepolcro?” (Mc 16, 3), tutti loro non hanno smesso di fare ciò che sentivano di potere e
dover dare.​
Ed è stato proprio lì, in mezzo alle loro occupazioni e preoccupazioni, che le discepole
furono sorprese da un annuncio straripante: “Non è qui. È risorto”. La loro unzione non
era un’unzione per la morte, ma per la vita. Il loro vegliare e accompagnare il Signore,
persino nella morte e nella disperazione più grande, non era vano, anzi permise loro di
essere unte dalla Resurrezione: non erano sole, Lui era vivo e le precedeva lungo il
cammino. Solo una notizia straripante era capace di rompere il circolo che impediva
loro di vedere che la pietra era già stata rotolata via, e il profumo versato aveva più
capacità di diffusione di ciò che le minacciava. Questa è la fonte della nostra gioia e
speranza, che trasforma il nostro agire: le nostre unzioni, la nostra dedizione … il nostro
vegliare e accompagnare in ogni forma possibile in questo tempo, non sono né saranno
vani: non è dedizione per la morte. Ogni volta che prendiamo parte alla Passione del
Signore, accompagniamo la passione dei nostri fratelli, vivendo anche la stessa
passione, le nostre orecchie ascolteranno la novità della Resurrezione: ​non siamo soli, il
Signore ci precede nel nostro cammino rimuovendo le pietre che ci paralizzano.​
Questa buona novella fece sì che quelle donne tornassero sui loro passi a cercare gli
Apostoli e i discepoli che restavano nascosti per raccontare loro: “La vita strappata,
distrutta, annientata sulla croce si è risvegliata ed è tornata a pulsare” (R. Guardini, El
Señor, 504). Questa è la nostra speranza, quella che non potrà esserci strappata, messa
a tacere o contaminata. Tutta la vita di servizio e di amore che avete donato in questo
tempo tornerà a pulsare. Basta aprire una fessura perché l’unzione che il Signore ci
vuole donare si espanda con forza inarrestabile e ci consenta di contemplare la realtà
dolente con uno sguardo rinnovatore.

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E, come le donne del Vangelo, anche noi siamo ripetutamente invitati a tornare sui
nostri passi e a lasciarci trasformare da questo annuncio: ​il Signore, con la sua novità,
può sempre rinnovare la nostra vita e quella della nostra comunità (cfr. Evangelii
gaudium, n. 11). In questa terra desolata, il Signore s’impegna a rigenerare la bellezza e a
far rinascere la speranza: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve
ne accorgete?” (Is 43, 19). Dio non abbandona mai il suo popolo, è sempre accanto a lui,
specialmente quando il dolore si fa più presente.
Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da
solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono
dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti.
La Pasqua ci convoca e c’invita a fare memoria di quest’altra presenza discreta e
rispettosa, generosa e riconciliatrice, capace di non rompere la canna incrinata né di
spegnere lo stoppino che arde debolmente (cfr. Is 42, 2-3) per far pulsare la vita nuova
che vuole donare a tutti noi. È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la
creatività e ci rinnova in fraternità per dire presente (oppure eccomi) dinanzi all’enorme
e improrogabile compito che ci aspetta. È urgente discernere e trovare il battito dello
Spirito per dare impulso, insieme ad altri, a dinamiche che possano testimoniare e
canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento concreto
della storia. Questo è il tempo favorevole del Signore, che ci chiede di non conformarci
né accontentarci, e tanto meno di giustificarci con logiche sostitutive o palliative, che
impediscono di sostenere l’impatto e le gravi conseguenze di ciò che stiamo vivendo.
Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del
possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrici.​ Lo Spirito, che non si lascia
rinchiudere né strumentalizzare con schemi, modalità e strutture fisse o caduche, ci
propone di unirci al suo movimento capace di “fare nuove tutte le cose” (Ap 21, 5).
In questo tempo ci siamo resi conto dell’importanza “di unire tutta la famiglia umana
nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (Lettera enciclica, Laudato si’, 24
maggio 2015, n. 13). Ogni azione individuale non è un’azione isolata, nel bene o nel
male. Ha conseguenze per gli altri, perché tutto è interconnesso nella nostra Casa
comune; e se sono le autorità sanitarie a ordinare il confinamento in casa, è il popolo a
renderlo possibile, consapevole della sua corresponsabilità per frenare la pandemia.
“Un’emergenza come quella del Covid-19 si sconfigge anzitutto con gli anticorpi della
solidarietà” (Pontificia Accademia per la Vita. Pandemia e fraternità universale, Nota
sulla emergenza da Covid-19, marzo 2020, p. 4). Lezione che romperà tutto il fatalismo
in cui ci eravamo immersi e ci permetterà di sentirci nuovamente artefici e protagonisti
di una storia comune e, così, rispondere insieme a tanti mali che affliggono milioni di
persone in tutto il mondo. ​Non possiamo permetterci di scrivere la storia presente e
futura voltando le spalle alla sofferenza di tanti. ​È il Signore che ci domanderà di

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nuovo: “Dov’è tuo fratello” (Gn 4, 9) e, nella nostra capacità di risposta, possa rivelarsi
l’anima dei nostri popoli, quel serbatoio di speranza, fede e carità i cui siamo stati
generati e che, per tanto tempo, abbiamo anestetizzato e messo a tacere.
Se agiamo come un solo popolo, persino di fronte alle altre epidemie che ci
minacciano, possiamo ottenere un impatto reale. Saremo capaci di agire
responsabilmente di fronte alla fame che patiscono tanti, sapendo che c’è cibo per tutti?
Continueremo a guardare dall’altra parte con un silenzio complice dinanzi a quelle
guerre alimentate da desideri di dominio e di potere? Saremo disposti a cambiare gli stili
di vita che subissano tanti nella povertà, promuovendo e trovando il coraggio di
condurre una vita più austera e umana che renda possibile una ripartizione equa delle
risorse? Adotteremo, come comunità internazionale, le misure necessarie per frenare la
devastazione dell’ambiente o continueremo a negare l’evidenza? La globalizzazione
dell’indifferenza continuerà a minacciare e a tentare il nostro cammino… Che ci trovi
con gli anticorpi necessari della giustizia, della carità e della solidarietà. Non dobbiamo
aver paura di vivere l’alternativa della civiltà dell’amore, che è “una civiltà della
speranza: contro l’angoscia e la paura, la tristezza e lo sconforto, la passività e la
stanchezza. La civiltà dell’amore si costruisce quotidianamente, ininterrottamente.
Presuppone uno sforzo impegnato di tutti. Presuppone, per questo, una comunità
impegnata di fratelli” (Eduardo Pironio, Diálogo con laicos, Buenos Aires, 1986).
In questo tempo di tribolazione e di lutto, ​auspico che, lì dove sei, tu possa fare
l’esperienza di Gesù, che ti viene incontro, ti saluta e ti dice: “Rallegrati” (cfr. Mt 28, 9).
E che sia questo saluto a mobilitarci a invocare e amplificare la buona novella del Regno
di Dio.

SPUNTI PER LA RIFLESSIONE
Lasciamoci interrogare profondamente dalle tante domande che sono presenti nel
brano.

   1. Tante sono le situazioni di difficoltà che abbiamo affrontato nella nostra vita, e
      ancor più in questi ultimi mesi. Quante volte il peso degli accadimenti ha posto sul
      nostro futuro una pietra che da soli non ci sentivamo in grado di spostare e che
      seppelliva le nostre speranze?

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   2. Chi ci ha accompagnato e chi siamo stati capaci di accompagnare durante questi
      momenti di difficoltà?

   3. Come possiamo riconoscere il Signore come compagno che precede i nostri
      passi?

   4. Ci riconosciamo individui parte di un popolo interconnesso? Ci riconosciamo
      corresponsabili nella nostra comunità?

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Dopo un momento personale di riflessione, recitiamo da soli o con la nostra famiglia
questa preghiera:

DAMMI, SIGNORE, UN’ALA DI RISERVA!

Don Tonino Bello
Voglio ringraziarti, Signore per il dono della vita;
ho letto da qualche parte che gli uomini hanno un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare,
Signore, che tu abbia un’ala soltanto, l’altra la tieni nascosta,
forse per farmi capire che tu non vuoi volare senza di me;
per questo mi hai dato la vita:
perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con Te,
Perché vivere non è trascinare la vita,
non è strapparla, non è rosicchiarla,
vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia
Di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.
Ma non basta saper volare con Te, Signore.
Tu mi hai dato il compito
Di abbracciare anche il fratello e aiutarlo a volare.
Ti chiedo perdono, perciò, per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi.
Non farmi più passare indifferente vicino al fratello che è rimasto con l’ala ,
l’unica ala inesorabilmente impigliata
nella rete della miseria e della solitudine
e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te;
soprattutto per questo fratello sfortunato,
dammi, o Signore, un’ala di riserva.

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                                  ESPLORARE

Le domande di Gesù scavano nella nostra coscienza: lasciano ai desideri la libertà di
manifestarsi, smascherano le ambizioni e ci aiutano a discernere i bisogni più veri.
Questa esperienza intima che viviamo con il Signore, possiamo sperimentarla nella vita
associativa, ecclesiale, sociale. Lasciando, come il tempo della pandemia ci ha insegnato,
che la realtà ci riveli, a poco a poco, il nostro posto, la nostra missione, la direzione del
nostro slancio. Esplorare è avere uno sguardo “intelligente”, che guarda dentro per
meglio capire; è una tappa nostro discernimento personale e comunitario.

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Mercoledì 25 novembre

Don Marco Boggio Marzet, Assistente ACR, ci guida nella riflessione sull’​esplorazione
partendo da un brano del Libro dei Numeri.

      Il Signore parlò a Mosè e disse: «Manda uomini a esplorare la terra
        di Canaan che sto per dare agli Israeliti. Manderete un uomo per
            ogni tribù dei suoi padri: tutti siano prìncipi fra loro». […]
         Al termine di quaranta giorni tornarono dall’esplorazione della
        terra e andarono da Mosè e Aronne e da tutta la comunità degli
        Israeliti nel deserto di Paran, verso Kades; riferirono ogni cosa a
         loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti della terra.
          Raccontarono: «Siamo andati nella terra alla quale tu ci avevi
         mandato; vi scorrono davvero latte e miele e questi sono i suoi
        frutti. Ma il popolo che abita quella terra è potente, le città sono
       fortificate e assai grandi e vi abbiamo anche visto i discendenti di
           Anak. Gli Amaleciti abitano la regione del Negheb; gli Ittiti, i
          Gebusei e gli Amorrei le montagne; i Cananei abitano presso il
         mare e lungo la riva del Giordano». Caleb fece tacere il popolo
        davanti a Mosè e disse: «Dobbiamo salire e conquistarla, perché
          certo vi riusciremo». Ma gli uomini che vi erano andati con lui
      dissero: «Non riusciremo ad andare contro questo popolo, perché
      è più forte di noi». E diffusero tra gli Israeliti il discredito sulla terra
             che avevano esplorato, dicendo: «La terra che abbiamo
        attraversato per esplorarla è una terra che divora i suoi abitanti;
          tutto il popolo che vi abbiamo visto è gente di alta statura. Vi
      abbiamo visto i giganti, discendenti di Anak, della razza dei giganti,
           di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste, e così
                            dovevamo sembrare a loro».

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        Allora tutta la comunità alzò la voce e diede in alte grida; quella
      notte il popolo pianse. Tutti gli Israeliti mormorarono contro Mosè
       e contro Aronne e tutta la comunità disse loro: «Fossimo morti in
          terra d’Egitto o fossimo morti in questo deserto! E perché il
      Signore ci fa entrare in questa terra per cadere di spada? Le nostre
        mogli e i nostri bambini saranno preda. Non sarebbe meglio per
      noi tornare in Egitto?». Si dissero l’un l’altro: «Su, diamoci un capo
                              e torniamo in Egitto».

                             Numeri (Nm 13,1-2. 25-14,1-4)

Possiamo ascoltare la riflessione di Don Marco nel video a questo link:
http://www.azionecattolicapavia.it/adesione-20/percorso-adesione/materiale-assistenti/

Dopo un momento personale di riflessione, recitiamo da soli o con la nostra famiglia
questa preghiera:

Spirito Santo,
dono del Risorto,
tu sei fuoco che illumina:
rischiara ogni tenebra del nostro cuore
e rivela ciò che sentiamo e ciò che desideriamo.
Tu sei vento che soffia:
donaci di intuire e di accogliere i bisogni
e le speranze dei nostri fratelli,
perché servendoli possiamo accoglierti.

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Giovedì 26 novembre

Vi va di mettere le mani in pasta insieme a noi? A questo link troverete l’attività che abbiamo
preparato per voi!
https://drive.google.com/file/d/1gPJ1AFLzl7_F-ULmE2nt8laPHQj4FAeF/view

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Il progetto “Al vedere la Stella” è un
progetto nato per il 150esimo anniversario
dell’Azione Cattolica Italiana, nel 2017,
annunciato da Matteo Truffelli in assemblea
nazionale. L’AC da allora ha portato ogni
mese a Betlemme un piccolo gruppo di
persone per toccare e servire coloro che ci
mostrano, oggi, il volto di chi continua a
nascere nella mangiatoia perché non trova
posto altrove: i più deboli tra i deboli, i
piccoli che vengono ospitati in un centro che accoglie bambini e ragazzi con disabilità
gravi, molto spesso rifiutati o abbandonati per necessità dalle loro famiglie, le quali a
loro volta vivono in condizioni difficilissime, dimenticate dal mondo, chiuse al di là di un
muro.

Per il verbo ​esplorare abbiamo deciso di proporvi la testimonianza di una volontaria di
questo progetto.

MARIA FEDELE RACCONTA HOGAR, LA «GROTTA» DEL VOLONTARIATO DI AC
da Avvenire Calabria

Non sarà facile raccontare quanto
successo laggiù in terra di Giuda. Non
è mai facile raccontare la gratitudine
che ricolma il cuore di gioia vera.
Perché è proprio vero, “al veder la
stella” si prova davvero una grande
gioia, lo dice il Vangelo, lo dice la vita
che incontra altra vita, lì a Betlemme,
dove l’Amore più grande ha deciso di
farsi bambino. E Betlemme, con le
sue colline bianche chiazzate di

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verde, strade essenziali ed aride, piene di percorsi in salita, ancora oggi, è la città delle
grotte. Grotte che un tempo riparavano dal freddo pastore e bestiame, grotte che
accoglievano chi non trovava posto per nascere, grotte che oggi sono case che
accolgono chi ancora non avrebbe altro posto, in questo mondo che continua ad
abbandonare e lasciarti da solo. L’Hogar, Niňo de Diòs, è una struttura a pochi passi
dalla Basilica della Natività, luogo di culto dove oltre duemila anni fa sorgeva “La
grotta”, quella in cui il Figlio di Dio nasce e viene avvolto in fasce e posto in una
mangiatoia proprio lì a fianco. L’Hogar è oggi una “grotta speciale”, una casa che ospita
trentadue persone, tra bambini e ragazze con disabilità psicofisiche, quasi tutte
abbandonate dalle loro famiglie di origine, perché lì a Betlemme, la disabilità è ancora
considerata sciagura e maledizione di Dio e pertanto il tasso di abbandono già in
ospedale è elevatissimo. La casa, gestita da una congregazione delle figlie del Verbo
Incarnato, ogni mese apre le proprie porte a un gruppo di volontari individuati
all’interno di un progetto promosso dall’Azione Cattolica nazionale: “Al veder la stella”.
Nei primi giorni di ottobre, mentre in Italia si aprono i lavori del sinodo dei giovani,
anche io parto verso Betlemme, attirata dal desiderio di vivere giorni di servizio, silenzio,
preghiera e discernimento, alla scuola dei più poveri. Insieme a me condividono questa
esperienza, Sergio e Filippo, compagni di viaggio con storie differenti. E se Betlemme ha
strade nettamente in salita anche questa esperienza parte proprio così, nella fatica di un
cammino ripido ed in salita. L’ingresso in casa, accolto da un silenzio tagliente e qualche
abbraccio che ti fa sentire inadatto e fuori posto, e i primi giorni che trascorrono proprio
così con questo senso di inadeguatezza, a volte accompagnato dal “disgusto”,
consegnato a chi a sua volta si consegna a te con piena fiducia. E ti senti anche tu dentro
un presepe, in viaggio, verso una meta. E ne senti tutta la fatica. È in quegli sguardi
accoglienti che qualcosa cambia di nuovo. L’Hogar, pur nella fatica di giorni vissuti
intensamente, si tinge di colore e inizia ad essere gioco, coccole, carezze, braccia che
cullano, aeroplanini per mangiare, canzoncine, baci della buonanotte e ninna nanne da
improvvisare in una lingua inventata. Ma alle ninna nanne non servono le parole, così
come per i segni, così come per quel segno annunciato dall’ angelo, “troverete un
bambino adagiato in una mangiatoia”. E l’Hogar è mangiatoia per questi bimbi, accolti
da giovani donne che hanno consacrato a Dio tutta la loro vita, donne che avvolgono,
nutrono e custodiscono la vita. Sono esse donne consacrate che danno tutto, danno
loro stesse, donano il loro amore di madre, e sanno nutrire e custodire la vita. E
comprendi finalmente in fondo il senso di una vita totalmente donata. Ecco allora il
segno: l’Amore che ancora oggi copre tutto anche il dolore, l’amore che si fa
concretezza nella vita che si dona all’altro. L’altro che si fa vicino a te, con tenerezza di
bimbo, che non fa più così paura, mentre risuonano chiare nella tua mente quelle parole
che furono del Santo poverello di Assisi, “ciò che prima mi parve amaro mi fu convertito

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in dolcezza di anima e corpo” - diceva così quando parlava dei lebbrosi che tanto gli
facevano orrore. Comprendi quale sia quella “Parte migliore da scegliere” e che non ti
viene tolta: la vita che in ogni cosa si lascia abitare da Dio, dalla Sua presenza e dalla Sua
parola. E così “al veder la stella” anche noi torniamo a casa pieni di gioia, con sguardo
ricalibrato, semplice e semplificato. La gioia di chi riconosce quanto in Dio davvero sia
tutto possibile, la gioia di chi riconosce l’Amore e lo vede vincere … perché anche noi lì
a Betlemme, lì nella “casa del pane”, abbiamo visto l’Amore vincere!

IN DIRETTA DA… LODI!

Qui sotto, infine, vi linkiamo una testimonianza di una nostra dirimpettaia dell’AC di
Lodi, Benedetta Landi, che qualche anno fa ha avuto la fortuna di andare in Terra Santa
con l’Azione Cattolica.

​http://www.azionecattolicapavia.it/adesione-20/percorso-adesione/materiale-giovani/

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DISCERNERE PER TROVARE STRADE NUOVE
I Presidenti e Assistenti di Azione Cattolica riuniti per il Convegno di Bologna sono stati
accompagnati a chiedersi e a comprendere cosa significhi e cosa si intenda per
“discernimento comunitario”. Un discernimento che si collochi dentro la conversione
missionaria del nostro tempo e guardi alla nostra storia associativa, aiutandoci a
intendere la nostra responsabilità nei confronti del patrimonio di cui siamo custodi. Un
patrimonio ricco, sostegno per l’Associazione nel suo “sporgersi in avanti” e nel
continuare a capire come “restare fedele alla propria identità pur cambiando” (Matteo
Truffelli). Chiamati - come e in quanto Azione Cattolica - a compiere questo “atto di
intelligenza spirituale” che sopra ogni cosa ci consente di comprendere e mettere in
pratica ciò che a Dio è più gradito. Mons. Gualtiero Sigismondi, a tal proposito, ha
suggerito ai partecipanti un possibile decalogo per vivere il discernimento come un’arte:
   1. Stimare gli altri superiori a se stessi gareggiando nel sopportarsi a vicenda
       nell’amore.
   2. Saper nutrire un po’ di diffidenza verso il proprio giudizio.
   3. Trovare soluzioni condivise cercando i punti di convergenza a partire da quelli di
       tangenza tendendo al massimo bene possibile e non al minimo indispensabile.
   4. Coniugare analisi e sintesi: “non basta utilizzare il telescopio ma anche il
       microscopio” perché il tutto è più importante della parte.
   5. Riconoscere che un’individuazione dei fini da sola non basta senza i mezzi
       concreti per raggiungerli.
   6. Avere memoria del futuro interpretando “i sogni degli anziani e le visioni dei
       giovani” senza cedere la Parola alla nostalgia e all’utopia perché entrambe
       soffocano la profezia.
   7. Avere l’umiltà di avviare processi a lunga scadenza senza lasciarsi superare
       dall’ossessione di raggiungere risultati immediati.
   8. Imparare a tendere l’orecchio alla Parola di Dio e a sentire il polso del tempo e
       della vita.
   9. Avere la serena consapevolezza che tutto concorre al bene.
   10. Tenere insieme dottrina e pastorale.

Andiamo allora in Galilea abbandonando le nostre certezze e il nostro sentirci
“evangelizzatori di professione” e accreditandoci non come portatori ma come
cercatori di Cristo!

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SPUNTI PER LA RIFLESSIONE

Ragioniamo sul decalogo proposto e riflettiamo sugli spunti che ci vengono dati.

Si può provare a farsi interrogare dalle esortazioni partendo dalla nostra dimensione di
singoli individui ed associati e successivamente aprendo la visione e la riflessione alla
comunità ed all’associazione di cui siamo parte.

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Dopo un momento personale di riflessione, recitiamo da soli o con la nostra famiglia
questa preghiera:

O Signore Padre santo, creatore dell’universo, principio e fonte di sapienza,
Tu hai posto in ogni cosa il segno del tuo infinito amore e hai donato all’uomo
l’intelligenza e il desiderio di conoscere quanto da Te creato.
Tu, spirito di sapienza, di intelletto e di scienza che hai ispirato gli uomini affinché
attraverso l’arte, le lettere e le scienze conoscessero e facessero conoscere la
sublime bellezza e perfezione che regola l’universo, diventando scopritori, cantori
e custodi delle tue meraviglie, rendici sempre desiderosi ricercatori della verità
attraverso lo studio e la conoscenza della realtà che ci circonda, il dialogo aperto
e costruttivo, lo sguardo attento, e al contempo sereno, alle vicende degli uomini
e della storia.
Te lo chiediamo per Cristo Nostro Signore, unico vero Maestro per tutti noi.
Amen

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                                  SCEGLIERE

Possiamo essere battezzati, cioè immersi nello stesso battesimo di Gesù.
Noi lo ricordiamo: in quel momento della sua vita terrena si sono manifestati l’amore del
Padre e la solidarietà del suo Cristo per gli uomini peccatori. Una voce dal cielo, insieme
al dono dello Spirito, hanno raggiunto colui che si era posto in mezzo al suo popolo. Così
anche noi scopriamo questa possibilità: vivere grazie all’amore di Dio, sicuri della sua
fedeltà, stupiti della sua Provvidenza.

Vivere distanti – se le norme sanitarie lo richiedono – ma non isolati; mai indifferenti gli
uni al destino degli altri. Vivere preferendo l’incontro al pregiudizio, ricercando il
dialogo, osando il dono della nostra vita.

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Venerdì 27 novembre

Don Davide Diegoli, Assistente Unitario e Adulti, ci guida nella riflessione sulla ​scelta
partendo da un brano della Genesi.

        Dall'Egitto Abram ritornò nel Negheb con la moglie e tutti i suoi
      averi; Lot era con lui. Abram era molto ricco in bestiame, argento e
         oro. Poi di accampamento in accampamento egli dal Negheb si
         portò fino a Betel, fino al luogo dove era stata gia prima la sua
         tenda, tra Betel e Ai, al luogo dell'altare, che aveva là costruito
          prima: lì Abram invocò il nome del Signore. Ma anche Lot, che
         andava con Abram, aveva greggi e armenti e tende. Il territorio
          non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni
        troppo grandi e non potevano abitare insieme. Per questo sorse
          una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot, mentre i
       Cananei e i Perizziti abitavano allora nel paese. Abram disse a Lot:
           «Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi,
      perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il paese?
      Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra, io antra, io andrò a destra; se tu
                          vai a destra, io andrò a sinistra».
      Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un
         luogo irrigato da ogni parte - prima che il Signore distruggesse
          Sòdoma e Gomorra -; era come il giardino del Signore, come il
      paese d'Egitto, fino ai pressi di Zoar. Lot scelse per sé tutta la valle
      del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono
       l'uno dall'altro: Abram si stabilì nel paese di Canaan e Lot si stabilì
             nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sòdoma.

                                Genesi (Gen 13, 1-12)

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      Possiamo ascoltare la riflessione di Don Davide nel video a questo link:

    http://www.azionecattolicapavia.it/adesione-20/percorso-adesione/materiale-assistenti/

Dopo un momento personale di riflessione, recitiamo da soli o con la nostra famiglia
questa preghiera:

Padre,
che non hai esitato a donare il tuo Figlio, Signore Gesù,
che ci hai amati sino alla fine;
Spirito Santo,
che incessantemente animi la Chiesa, Santa Trinità, unico Dio:
ciascuno di noi possa trovare in te il coraggio e la fiducia,
lo slancio e la gioia dei «Sì»
che danno senso alla vita.

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Sabato 28 novembre

DALL’ANGELUS DI PAPA FRANCESCO DEL 12 AGOSTO 2018
“Ma non basta non fare il male per essere un buon cristiano; è necessario aderire al
bene e fare il bene. […] Ricordate questo – se lo ricordate, possiamo ripeterlo insieme:
“E’ buono non fare il male, ma è male non fare il bene”. Questo lo diceva Sant’Alberto
Hurtado.
Oggi vi esorto ad essere protagonisti nel bene! Protagonisti nel bene. Non sentitevi a
posto quando non fate il male; ognuno è colpevole del bene che poteva fare e non ha
fatto.”

A volte è difficile scegliere di fare il bene, ma il Papa ci chiede di essere protagonisti, in perfetto
stile ACR.

In che modo possiamo essere protagonisti nel bene? Quali piccoli gesti possiamo fare nei
confronti di chi ci sta vicino? Pensateci un po’… Sono tantissimi!
Oggi vi lasciamo un compito: scegliere una buona azione da compiere in famiglia e farla,
vedrete come sarà bello!

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Negli anni novanta, in un villaggio isolato tra i monti dell'Algeria, nove monaci
cistercensi di origine francese vivono in armonia con i loro fratelli musulmani, cui
prestano aiuto medico e farmacologico (uno di loro è medico). Tuttavia quando un
attacco terroristico sconvolge la regione, la pace e tranquillità che caratterizzano la loro
vita sono in procinto di essere cancellate. Man mano che la violenza e il terrore
integralista della guerra civile si diffondono nella regione, i monaci si ritrovano davanti
ad un bivio: decidere se rimanere o ritornare in Francia. Nonostante anche l'invito delle
autorità ad andarsene, i monaci decidono di restare al loro posto pur di aiutare la
popolazione locale, mettendo così in grave pericolo la loro stessa vita per amore di
Cristo.
Infine nel marzo del 1996 sette dei nove monaci vengono rapiti da un commando di
terroristi.
Verranno trovati morti a maggio.

Questa triste vicenda ci mostra come una grande fede in Dio permette di
intraprendere sempre la strada giusta, senza essere frenati dalla paura delle
conseguenze, in questo caso assai tragiche. Per capire meglio questa decisione vi
proponiamo la visione del bellissimo film ​Uomini di Dio (Des Hommes et des Dieux) –
2010, di Xavier Beauvois.

Qui sotto, invece, l’ultima famosa lettera di uno dei monaci, Christian de Chergé.

IL TESTAMENTO SPIRITUALE DI CHRISTIAN DE CHERGÉ

Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo
che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la
mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata”
a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non
potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come
essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante
altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

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                                                         La mia vita non ha valore più di
                                                         un’altra. Non ne ha neanche di
                                                         meno. In ogni caso non ha
                                                         l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto
                                                         abbastanza per sapermi complice
                                                         del male che sembra, ahimè,
                                                         prevalere nel mondo, e anche di
                                                         quello che potrebbe colpirmi alla
                                                         cieca. Venuto il momento, vorrei
                                                         poter avere quell’attimo di lucidità
che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e
nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo,
infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse
indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò
che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla ad un Algerino, chiunque
sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e
conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. È troppo facile
mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi
estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. L’ho
proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza,
ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia
madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti
musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno
rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”.
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più
lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per
contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria
del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta
sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che
sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto. In
questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici
di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e
ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso! E anche te, amico dell’ultimo

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minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e
questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in
Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.

Algeri, 1 dicembre 1993
Tibhirine, 1 gennaio 1994                                                  Christian

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DALL’OMELIA DI PAPA FRANCESCO IL 27 MARZO
“​Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del
tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa
passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la
rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri.”

DALLA LETTERA PASTORALE ALLA CHIESA DI PAVIA ​CORAGGIO SONO IO DI MONS.
CORRADO SANGUINETI
“Le comunità cristiane dovrebbero sempre più diventare luoghi ospitali, fontane di
acqua fresca a cui chiunque può attingere ristoro, dove si riscopre il Dio vivente e si è
aiutati a crescere in una relazione con Lui, in un cammino personale, ognuno con i suoi
tempi e la sua storia, e comunitario, come discepoli e amici di Cristo, vivente nel cuore
della Chiesa e degli uomini.”

SPUNTI PER LA RIFLESSIONE
   -   Ci sentiamo oggi, ancora più urgentemente, chiamati ad una scelta concreta che indirizzi
       la rotta della nostra vita?
   -   Siamo chiamati a scegliere il bene: cosa significa per noi essere “discepoli missionari” in
       tutti gli ambiti della nostra vita?
   -   Siamo disposti a scegliere di guardare ogni fratello negli occhi per “navigare” insieme?
   -   Scegliamo di stare, scegliamo di abitare i nostri luoghi, le Parrocchie, la città, trovando
       nell’Associazione l’acqua fresca che possiamo portare agli altri?

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Dopo un momento personale di riflessione, recitiamo da soli o con la nostra famiglia
questa preghiera:

Signore Gesù tu che leggi nel mio cuore,
concedimi la grazia di conoscere la giusta via da percorrere
e infondi in me il coraggio di prendere le giuste decisioni;
Dammi prima la calma e la pazienza di ascoltare,
stammi vicino perché non vacilli nell'incertezza e nel timore,
confortami dopo il grande passo e non lasciarmi solo,
perché avrò sempre il dubbio di aver sbagliato.
Fa’ che le mie scelte siano sempre conformi al tuo volere,
perché si compia nella mia vita la tua volontà.
Amen

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Per concludere

QUATTRO MOTIVI PER SCEGLIERE L’AZIONE CATTOLICA
di Silvia Landra, ex presidente diocesana di Azione Cattolica Milano

Quali competenze desidera ottenere un laico che sceglie di formarsi alla scuola
dell’Azione Cattolica?
Nel panorama variegato e ricco di proposte che è l’oggi, anche un’associazione che
compie 150 anni di vita – per ragioni storiche in molti decenni è stata l’unica forma
riconosciuta di educazione dei laici cristiani in seno alla Chiesa – deve essere pronta a
dire le sue peculiarità, a offrire i suoi punti di forza per essere riconosciuta e scelta.
Non viene meno il sapore vocazionale che la contraddistingue, tant’è che viene
condivisa da chi è chiamato a servire la Chiesa e la storia secondo il modo proprio
dell’Ac, ma sa di dover raggiungere i cuori su strade nuove, secondo la rinnovata
fisionomia di questo tempo storico.
C’è una base comune che rende fratelli tutti i soggetti, personali e collettivi, che nella
comunità ecclesiale esprimono la forza della vita credente nei territori della Diocesi e
nelle multiformi aggregazioni laicali: l’adesione al Vangelo e l’entusiasmo di condividerlo
con tutti, nelle diverse forme suscitate dallo Spirito.
Non fa eccezione l’Ac, che promuove cammini spirituali esigenti, l’adesione a una regola
di vita, la dignità dell’altro, la centralità del più povero, l’impegno responsabile per il
bene di tutti.
E lo specifico?
Una prima competenza particolare è la capacità di pensare alla Chiesa nel mondo con
uno sguardo critico e consapevole, che sa porsi domande e mettersi in discussione,
interrogando gli esperti della teologia, ma mantenendo linguaggio e stile popolari,
includendo tutti, ascoltando tutti. C’è il desiderio che i laici cristiani capiscano
profondamente la bellezza del modello di Chiesa prospettato nel Concilio Vaticano II,
quello che parte dal popolo, nel quale carismi e ministeri interagiscono tra loro per un
bene comune e più grande.
Un’altra competenza peculiare è la cura delle connessioni e dei legami tra le persone. In
Ac si punta ad accompagnare persone credenti nello scoprire in tutti i contesti della loro
vita – pastorali, culturali, civili e politici – una particolare attitudine a porsi “nel mezzo”,

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a far sì che le persone si parlino e si capiscano, a valorizzare le diversità senza
omologarle, a portare le fatiche della comunione e a godere delle gioie che ne derivano.
Terza competenza specifica è l’amore per ciò che è di tutti: quindi il bene della città e del
Paese; quindi la comunità credente che è la Chiesa popolare e diffusa della quale tutti
possono sentirsi parte; quindi la quotidianità che è fatta di lavoro, scuola, amici, tempo
libero, partecipazione sociale e politica, cultura, disagio e benessere, ovvero di tutti gli
ambiti di vita non elitari, quelli dove tutti scoprono che il Vangelo è possibile, concreto,
vitale.
Una quarta competenza specifica a cui punta nell’oggi la formazione dell’Ac è la
capacità di esercitare una sana autonomia laicale, in comunione con i pastori e con tutti
gli uomini di buona volontà, ma anche nella piena libertà di pensare progetti nuovi di
presenza dell’unica comunità credente che si sviluppino nel caseggiato, negli ambienti
di vita, nei luoghi di passaggio dove la gente possa essere invitata a fermarsi per un po’
di silenzio e condivisione.
Vanno riscoperti i progetti che derivano dai bisogni del territorio, che sanno coinvolgere
destinatari nuovi e non “i soliti noti molto impegnati”, che sanno esprimere una
creatività laicale che non teme la proposta in prima battuta e l’innovazione coraggiosa.
Anche oggi non viene meno l’invito ad aderire all’Ac e a lasciarsi appassionare da una
vita cristiana di laici che non rinunciano a pensare, capaci di interpretare una Chiesa in
uscita che cammina spedita sulle strade del mondo.

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